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Cap. III
(7a Parte)

Questa pagina riproduce una parte di
Aquila

pubblicato nella Serie "Italia artistica"
Bergamo, 1929

Il testo è nel pubblico dominio.

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Cap. IV
(2a Parte)

 p119  IV. — Il Barocco
(inizio)

L'Architettura. — L'edilizia barocca è significativa per l'Aquila più di quella della Rinascita, benchè si rivesta di minor leggiadria. L'indagine ne è resa trepida dall'assenza quasi totale di indicazioni fondate che permettano di seguire, come punti fermi per l'orientamento, qualche data e qualche nome. Comunque, è agevole asserire che la peculiarità maggiore di essa è la compenetrazione degli ideali precipui del Rinascimento, alla cui predilezione contribuì il rinfocolato amore per l'Antichità Classica onde avvampò il secondo cinquantennio del secolo XVIII. Anzi, osservando il complesso monumentale dell'Aquila in questo periodo, vien fatto a prima vista di riconoscere come una concorde tendenza variamente espressa ad uniformarsi al verbo del neo-classicismo. È solo ad un esame più pacato ch'esso svela il vero esser suo, chiarendo che l'esile pulsar del Barocco è quasi soffocato dalle due correnti affini da cui trae alimento, la Classicità cinquecentesca e quella ottocentesca.

Si riscontrano, in verità, nelle fabbriche gli atteggiamenti proprî del Barocco; ma impiegati con straordinaria parsimonia, e, quel che più monta, lo spirito che presiede alle costruzioni non prorompe in quelle audacie, in quelle folleggianti orgie fantasiose che del Barocco costituirono il fermento di dissoluzione e insieme la scintilla vitale. Il Barocco aquilano si può ritenere, nell'insieme delle fabbriche, posteriore al terremoto del 1703, che adeguò al suolo le vetuste e più le recenti costruzioni. È per questo che si avverte ripetutamente l'affiorare di segni rococò e neoclassici sulla complessa sua ossatura.

 p120  Sono i Palazzi che lo esplicano degnamente. Poichè non ostante sorgessero nuove chiese, e le antiche venissero tutte rimaneggiate nell'interno, specie durante il secolo XVI nessuna assunse speciale fisionomia.

Nelle costruzioni civili la massa è sempre improntata di grande compostezza, organata e animata con sobrietà e chiarezza. Lo sviluppo considerevole dei pieni se non infonde alle superfici, specie per l'ineguaglianza di essi, il ritmo proprio del Rinascimento, vi alita pertanto un respiro ampio e pacato, una serena nobiltà. Nè codesta intonazione patisce sviamenti quando l'edificio si piega ad angolo prospettando due visuali. Un solo ordine gli dà il tono, sovrastando a una linea di pannellini quadrangolari — simili a quelle che si susseguono sotto il coronamento — o ad una serie di luci capaci ma subordinate sempre nello sviluppo all'ordine maggiore. Sol di rado la teoria di aperture ricavate al sommo acquista qualche importanza. Sotto il piano primario si distese un fregio piuttosto ampio, e in esso si innestarono le mostre laterali delle finestre e le loro balaustre, prolungandosi, talvolta, al disotto con appendici di mutuli. Solo eccezionalmente, altri elementi partirono i prospetti, esenti, in genere, da suddivisioni verticali, salvo pilastri o lesene che afforzarono gli angoli. Il portale, non sempre praticato nella zona mediana, qualche volta anzi spostato verso le ali, si avvivò per il taglio e la rastremazione dei pilastri, oltre che per la copia dei partiti ornamentali, oppure fu preceduto da un antiportale a colonne sostenenti un terrazzo, spesso a balaustre in ferro panciute — quali si vedono nella Badia Morronese presso Sulmona e altrove — cui risposero due altre alle estremità, gravanti su finte porte d'accesso. Quando l'antiportale mancò, i terrazzi si impostarono su mensoloni incastrati nelle muraglie. Il cornicione fu aggettato vivamente su mensole, or solide e semplici, ora plasmate nel gusto calligrafico del rococò.

La fonte più ricca di inspirazioni va riconosciuta nelle fabbriche romane in cui il Barocco si esprime con maggior compostezza: Palazzo Laterano (1586 circa), Palazzo Borghese (1590), Palazzo Sciarra (1600 circa), Palazzo Madama (1642).

Malgrado la grande indecisione delle notizie e dei lineamenti stilistici, si può avanzare l'ipotesi che siano da annoverare tra i primi saggi del Barocco all'Aquila il Palazzo Quinzi e il Palazzo Pica. In questi edifici la compattezza della massa, il rilievo delle forme e il carattere delle membrature fan presumere il Seicento.

 p121  Il Palazzo Quinzi è ascritto a Francesco Fontana di Accumoli (1668‑1708), allievo di Carlo Fontana, noto per la sistemazione di S. Pietro in Vincoli (1705), e più per l'architettura dell'interno della chiesa dei SS. Apostoli a Roma. Esso si collega in modo singolare al Palazzo Madama, del quale potrebbe anche dirsi una semplificazione assai libera nello schema, nell'organamento dell'antiportale e nella struttura delle luci. Quelle del primo ordine son più vicine alla linea inferiore del Palazzo di S. Calisto a Roma (sec. XVII) e del Palazzo Sciarra. Anche la compagine del portale richiama il Palazzo di S. Calisto, oltre a ricordare l'ingresso nel cortile (a sinistra) del Palazzo Barberini (1629‑30, Borromini). Le finestre principali han strette rispondenze con le nicchie del secondo corpo di S. Ignazio (1650), e anche con quelle della cupola di S. Pietro, quali furono disegnate da Giacomo della Porta (1588‑90) e del Palazzo Laterano, in cui trova riscontro l'intero sistema del primo e del secondo ordine. Oltre che per questi riferimenti ad opere fondamentali del Barocco, il Palazzo Quinzi è interessante per l'intonazione di semplice decoro, alquanto scolorito, però, dallo sviluppo orizzontale e dagli scarni incorniciamenti delle luci. Con esempio non seguito all'Aquila, l'architetto tenta di movimentare la fronte elevando rasente le ultime finestre di ciascun'ala in un fascio di lesene.

 p122  Ricalcato sopra uno schema analogo è il Palazzo Pica. Questo, pertanto, è dotato di maggior snellezza e vita per il misurato sviluppo orizzontale, di monumentalità per l'ampliamento dell'antiportale e la elaborazione delle finestre e delle mensole su cui imposta la cornice di coronamento. D'altra parte, l'ordine caratteristico della mole è appesantito dai coronamenti a duplice frontone iscritti uno nell'altro; il terzo ordine è soffocato fra il sottostante e il cornicione; l'ineguaglianza dei riposi tra le aperture è tale da attutire ogni parvenza di ritmo. A Francesco Fontana si vorrebbe riportare anche il Palazzo Benedetti-Paganica-Mancinelli a via Sassa, che non offre nesso alcuno con le due fabbriche di cui ora si è toccato.


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Palazzo Pica-Alfieri

(Fot. Alinari)

Qualche riferimento ad esse presenta, invece, il Monastero di S. Basilio per il quale si fa il nome di Sebastiano Cipriani da Siena, l'architetto del fastoso altar maggiore di S. Ignazio a Roma (1696) e che nel 1733 fu nominato presidente dell'Accademia di S. Luca. La linea di finestre sottostante al coronamento è ancor più svalutata. Gl'ingressi son praticati soltanto alle estremità ed han coronamento a frontone circolare spezzato e sovrastato da arco lieve. Il Palazzo Quinzi è richiamato, oltre che dalla disposizione dell'insieme, dal profilo delle luci del primo ordine. Nel Monastero di S. Basilio il decoro diviene austero, e si avverte perciò più vivo il soffio del Classicismo che aleggia intorno al Barocco aquilano. La mole si distende interminabilmente, le membrature non han risalto, i pieni sono eccessivi, fastidioso riesce il grande impiego di mutuli. In contrasto con la glacialità della fronte, si apre all'interno il parlatorio, spartito da colonne composite aggettanti come supporti delle arcate. Lo spirito rococò vi traluce disciplinato da un alto senso di classica dignità.

Un edificio che va considerato in questo gruppo è il Palazzo Antonelli, a via Sassa, squilibrato nell'effetto dei pieni, ma vago nel disegno delle luci al secondo ordine. Le  p123 aperture degli altri due piani si ampliano, quelle inferiori sino a divenir botteghe, le superiori in modo da approssimarsi nel profilo alle finestre che costituiscono il primo ordine nei Palazzi sinora esaminati. L'ingresso è praticato verso l'ala sinistra.

Lievi concordanze fanno avvicinare a questa serie il Palazzo Benedetti-Paganica-Mancinelli, anche a Via Sassa, opera singolare, adattata con garbo al difficile sito, bene inquadrata e fusa nelle varie parti, illeggiadrita di grazie rococò, ma rilassata nel ritmo. Il sistema è diverso da quelli notati sin qui, poichè si ha un edificio bifronte a due ordini — il primo rustico — con luci intramezzate da pilastri. Il corpo soprastante al coronamento è, probabilmente, aggiunto. Per la struttura delle finestre vien richiamato il Palazzo Laterano.


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Palazzo Antonelli

(Fot. Carli)

Palazzo Paganica-Mancinelli

(Fot. Carli)

Solamente un'affinità generica — probabilmente accidentale — nel sistema può far accostare a questo Palazzo quello Bonanni a via Buone Novelle 11, dotato di chiarezza e di ritmo (il terzo piano è posteriore), di eleganza nei particolari.

Segnatamente per la duplice facciata angolare e disuguale e per il grande sviluppo dei coronamenti sulle luci maggiori, dal caratteristico timpano scarso, si riallaccia  p124 al Palazzo Paganica-Mancinelli il Palazzo Manieri, leggiero, ma anche slegato per l'eccesso dei pieni, animato al sommo da un fine fregio dorico. Esso rappresenta un altro tipo di fabbrica civile, ad un solo ordine balaustrato, con linea superiore di modeste luci, queste attratte verso le maggiori come da una forza di calamita racchiusa nelle gocce pendule da esse, con motivo comune a molti edifizi, tra cui quello della Consulta a Roma.


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Palazzo Manieri

(Fot. Carli)

Il sistema presumibile fosse adottato prima nel Palazzo Antonelli-De‑Torres Dragonetti, ritenuto opera del Cipriani e posteriore al terremoto del 1703. Analogo a questi due è l'imponente Palazzo Pica-Benedetti a via Fortebraccio n. 4. In genere, struttura affine ai precedenti ha il bifronte Palazzo Cipollone (Vai Cavour, 23), vago nelle proporzioni, nel ritmo e nelle forme, se si eccettui il partito dei pilastri che fiancheggiano il portale. Le luci richiamano il second'ordine del Palazzo Cusani a Milano.


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Palazzo Cipollone

(Fot. Carli)

La stessa disposizione si ripete nel Palazzo Rivera, che ha però fisionomia tutta diversa, materiata di delicatezza per l'incipriatura rococò ond'è cosparso. Nella fronte primaria la mollezza graziosa del Settecento si espande dal coronamento alle luci dell'ordine maggiore, con volute intramezzate da una conchiglia, alle mensole di sostegno del cornicione e al taglio del portale. I coronamenti del secondo e terzo corpo rievocano il Palazzo Tuni o dei Pupazzi a Roma (sec. XVIII); quelli del secondo richiamano anche l'ordine analogo nel Palazzo della Prefettura di Lecce (metà sec. XVII).


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Palazzo Rivera

(Fot. Carli)

Il Palazzo Centi, che si attribuisce a tal Cicci di Pescocostanzo, risalente al 1766, è la sintesi delle virtù costruttive del periodo Barocco nell'Aquila. Si ha un tipo grandioso di costruzione civile, piantata saldamente mercè l'obliquità delle angolate a sperone; dal respiro ampio; ricca di movimento, specie per l'accenno di tripartizione e l'avvicinarsi delle tre luci rispondenti al prospetto; varia di soluzioni, chè la sobrietà raffinata  p125 del terzo ordine si disposa con geniale solidità delle luci nel secondo, e con l'intonazione rococò del sontuoso ingresso e del vestibolo a colonne joniche e capitelli mensoliformi infissi nelle pareti. La nota stonata è offerta dalle ambigue proporzioni delle luci aperte al sommo. Queste richiamano pei coronamenti il Palazzo Rivera e per la struttura il Palazzo bifronte di via Sassa. Quelle del secondo piano presentano qualche affinità col portale di S. Girolamo della Carità a Roma (Gir. Castelli, 1660). Le finestre del primo ordine son legate alle soprastanti, definendo un partito accennato nel Palazzo Manieri. Il prospetto offre riferimento al Palazzo Compagnoni-Marefoschi di Macerata (1609‑32), restaurato e ampliato da Luigi Vanvitelli; il portale ricorda il Palazzo Trivulzio a Milano (sec. XVII), il Palazzo Litta-Modigliani, anche a Milano (Fr. Maria Ricchini, 1648), il Palazzo Toni, che offre materia di raffronti anche pel coronamento delle luci, il Palazzo Doria a Roma. Tra le altre fabbriche barocche — alcune sformate — ricordiamo l'Edificio delle Scuole a via Annunziata; i Palazzi a via Fontesecco, 3; via Indipendenza, 11; via Buone Novelle, 37; via Romana. Inoltre, il Palazzo Ardinghelli-Franchi in Piazza Paganica, assegnato a Francesco Fontana, con finestre a coronamento ondulato, quali si vedono, per esempio, nell'Oratorio di S. Filippo Neri a Roma (Borromini, circa 1650) e si riscontrano in un altro palazzo aquilano, quello Antinori a via Garibaldi, 39, che ne mostra alcuni a frontone curvilineo, di cui fornisce esempi l'istesso Oratorio del Borromini. Coronamenti di quest'ultimo tipo, ma più ricchi, presenta il Palazzo Franchi-  p126 Liberatore-Persichetti — dotato di leggiadro cornicione — per il quale si avanza, senza convincenti prove, il nome di Ferdinando Fuga. Infine va notato, per la decorazione, il portale nell'atrio a sinistra dell'Asilo d'Infanzia (via Sassa, n. 54), datato 1627.


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Palazzo Centi

(Fot. Alinari)

L'edilizia religiosa non è pari a quella civile. Un saggio di barocco notevole offre l'interno di S. Bernardino, nell'accentuarsi della navata mediana, nell'intonazione colossale degli archi di valico, nella pianta poligonale della crociera a cappelle, movimentata, con coro profondo, nelle cupolette ovali sulle cappelle, e in molteplici particolari.

Dei templî rinnovati all'interno durante il secolo XVII e soprattutto nel seguente va ricordato S. Domenico.

Fra quelli interamente improntati al Barocco richiama per certa bizzarria sgraziata S. Agostino, di pianta ovale a cappelle, sormontata da cupola ovale, con accenni al  p127 Fuga nella planimetria e nei coronamenti delle nicchie, inspirata nel prospetto alla chiesa di S. Gregorio in Messina, capricciosa fatica del Guarini (1624‑83). S. Caterina, anch'essa attribuita al Fuga, si fa notare per la fronte — terminata solo nel corpo inferiore — concava nella zona media, obliqua nelle ali; S. Maria del Suffragio, che è penetrata di elementi neo-classici, per l'agile ed elegante cupola attribuita a Giuseppe Valadier (1761‑1839).


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Chiesa di S. Agostino

(Fot. Alinari)


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Chiesa di S. Maria del Suffragio

(Fot. Alinari)

Una sola fabbrica richiede particolare considerazione: l'Oratorio di S. Antonio de' Nardis, del quale s'indica come architetto Ercole Ferrata (1610‑1686), il fecondo seguace e aiuto del Bernini e dell'Algardi a Roma, che custodisce molte opere sue, sorto nel 1647 per cura di Ottavio de' Nardis, restaurato nel 1703 e nel 1720. Presenta singolare sistema d'animazione nella fronte. Consta di due corpi di fabbrica; nell'inferiore si disegnano due portali alle ali e una nicchia con statua fra essi in una zona più elevata; il superiore ha finestrone iscritto entro un sopracoronamento e fiancheggiato da due occhi. Si han richiami a costruzioni romane. Le nicchie si avvicinano a quelle ricavate, circa il 1623, da Vincenzo della Greca nella fronte dei SS. Domenico e Sisto; il fregio interno si ricollega a quello della Cappella Borghese (Flaminio Ponzio, 1611) in S. Maria Maggiore, e offre qualche raffronto anche con quello di S. Maria in Campitelli (Carlo Rainaldi, 1658). Vago è l'interno, ad una sola nave, terminante in un piccolo coro, con cupoletta ovale, rivestito di marmi. La signorile sobrietà dell'intonazione è rilevata dagli effetti policromi in bianco e grigio venato, dal ricco fregio elegante che tutt'intorno si svolge.


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Oratorio di S. Antonio dei Nardis

(Fot. Carli)

Allo stesso maestro si ascrive, a buon diritto, l'altar maggiore di S. Maria di Roio, agile nelle proporzioni, leggiadro nella policromia e nei fini ornati, segnatamente quelli del fregio di coronamento.


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