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Cap. IV
(2a Parte)

Questa pagina riproduce una parte di
Aquila

pubblicato nella Serie "Italia artistica"
Bergamo, 1929

Il testo è nel pubblico dominio.

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seguente:

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Cap. V
 

p132 (IV, fine)

La Ceramica. — L'Aquila non ebbe l'importanza di un centro produttore o rinnovatore della maiolica, che si affermò in tanti luoghi d'Abruzzo, e soprattutto a Castelli, assurgendo a manifestazione tipica della regione nel periodo barocco. Tuttavia  p133 nel Museo Civico, e nelle collezioni particolari numerosi e pregevoli saggi son conservati: nucleo considerevole, onde sensibile giovamento si potrebbe ottenere per districare le arruffate fila che segnano lo sviluppo di codesta attività artistica abruzzese.

Allo stato delle conoscenze, il cominciamento della ceramica in Abruzzo vien riportato agli albori del secolo XVI, e la prima data — 1516 — è offerta da un mattone firmato da Tito Pompei, esposto nel Museo Artistico Industriale di Roma. Innanzi al 1540 sorgeva in Castelli una fabbrica. La ceramica abruzzese prese le mosse da quella faentina, ma subì anche l'influsso delle fabbriche di Pesaro e Urbino, oltre a quello dei della Robbia. Tra i precursori del nuovo indirizzo emerge Antonio Lollo (1586‑1619), che segnò un piatto col Giudizio di Paride, ora nel Museo Nazionale di Napoli. Un anno prima ch'egli chiudesse la vita, nasceva Francesco Grue († 1673), capostipite della famiglia cui è legato essenzialmente, di generazione in generazione, come una eredità miracolosa, il magistero ceramistico. Da Francesco sortì i natali Carlantonio (1655‑1733), da questi Francescantonio (1686‑1746), Anastasio (1681‑1743 c.) e Liborio (1702‑1776); da Francescantonio discese Saverio (1731‑1799): e costoro non furono che i maggiori.

Dai Grue derivano artisticamente i Gentili: Carmine (1678‑1763) indicato come discepolo di Carlantonio, e i di lui figliuoli Giacomo (1717‑1765) e Berardino (1727‑1813). Ai Grue si ricongiunge anche Gesualdo Fuina (1755‑1822), allievo di Saverio, il quale applicò alla ceramica, più largamente di quel che avesse fatto il suo maestro, il sistema di lavorazione proprio della porcellana, ispirandosi segnatamente alle fabbriche di Strasburgo e Marsiglia.

Nel Settecento la maiolica raggiunse il massimo splendore; le fabbriche si aprirono ovunque: a Castelli, Penne, Atri, Bussi, Torre De' Passeri, sì che nel 1743 se ne contavano trentacinque. Carlo III fece venire a Napoli, per la scuola quivi sorta, parecchi artefici di Castelli. Ma poco dopo la maiolica soccombette innanzi all'irresistibile espandersi della porcellana di cui essa medesima aveva avvertita l'azione suaditrice. Invano Ferdinando I nel 1789, liberò i prodotti castellani da ogni gravame d'imposta!

Abbracciando con uno sguardo l'intera produzione, si osserva com'essa, pur non potendo gareggiare con quella faentina, nè, tanto meno, con la porcellana, costituisca una estrinsecazione tipica e ricca di seduzioni. L'organismo coloristico lieto, brillante, intonato, benchè modesta sia la tavolozza; il paese giocondo d'acque, di  p134 vegetazioni e di pittoreschi ruderi monumentali, suggestivo di vaghe lontananze su cui s'incurva il cielo che da turchino degrada all'orizzonte in un fluttuar diafano di vapori aurati; la fertilità e il brio dei motivi ornamentali sono i doni precipui per cui essa avvince. Le composizioni ripetono non di rado i capolavori della pittura contemporanea, studiati per lo più sulle stampe e rimaneggiati non sempre con rispetto e gusto, riflettendone le ansiose ricerche verso una più realistica e insieme più significativo visione del paesaggio e della prospettiva aerea.

Nel Museo Civico è esposta una piccola ma interessante collezione di maioliche, provenienti in gran parte dal Convento di S. Bernardino. Un gran piatto (n. 19) va compreso fra i primi notevoli tentativi — seconda metà del sec. XVI — con i quali i maiolicari d'Abruzzo mirano a conquistare una certa personalità. Gli ideali del Cinquecento saturi di Classicità si riflettono nella predilezione per i soggetti guerreschi  p135 e per i fregi animati da elementi bellici, senza pertanto che si riveli intimo studio, assimilazione di codesti motivo. Nel piatto del Museo aquilano si avvicendano, lungo il bordo, cannoni, tamburi, trombe, scudi, spade, elmi, pettorali, grossamente lavorati. Nel mezzo è espresso un trionfo. Le figure son deficienti di proporzioni e di forme e determinate a fatica, con segno angoloso e marcato nei contorni, con poche tonalità in giallo, grigio, verde, violaceo e giallastro, con ombre distribuite senza norma. Qualche particolare è notevole, per esempio il cavaliere che segue il carro. Ma in sostanza è opera d'importanza storica, strettamente affine a qualcuna della Collezione Aliprandi-Sterlich a Penne.


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Museo Civico — Ceramicaº

Piuttosto largamente son rappresentati i Grue. Vi è Francescantonio, il dotto della famiglia, laureato in filosofia e teologia, che firmava al solito pomposamente: Doctor Franc. Grue F. Nella sua arte si han chiari indizî di una coltura pettoruta e ostentata. Menò vita avventurosa: avendo capitanata nel 1716 una rivolta a Castelli venne imprigionato. Come artista ebbe fama. Fu bene accolto ad Urbino e a Loreto pel cui Santuario apprestò alcuni vasi; e si affermò a Napoli ove fondò una scuola, lavorando per la farmacia del Convento di S. Martino e per quella dell'Ospedale degli Incurabili. Di lui v'è un S. Cristoforo (n. 33), un S. Sebastiano (n. 34), un S. Pio (n. 35). Vi si sente Michelangelo nella tendenza al grandioso, nelle forme gigantesche, nelle espressioni intense, negli atteggiamenti audaci e di bella linea, negli atti pronti. Se non che la fattura è trasandata, la colorazione confusa. A lui si può anche ascrivere il n. 6 — Benedizione di Isacco — notevole per gli aggruppamenti e le espressioni.

Una serie pregevole richiama Anastasio Grue. Si fan rilevare i n. 25 e 26 (mattonelle), 30 e 31 (tondi), opera di una stessa mano; mentre i n. 3, 10, 11, 29 son di artisti diversi e meno fini. Nelle prime quattro un giocondo fascino pittoresco penetra il paese opulento di vegetazioni e di ruderi classici onde germinano ciuffi di foglie, vago di lontananze, di acque e di colline azzurrognole vanenti nelle nebbie dell'orizzonte. Le tonalità gialle, verdi e rossiccie — mirabilmente fuse — delle vegetazioni  p136 e delle rovine staccano contro un cielo grigio che svaria al giallo sbiancato e su cui s'addensano nubi violacee orlate di bianco. Le lunghe figurette vestite di giallo e azzurro han scarsa azione; attori maggiori sono i grandi alberi dal tronco ondulato la cui doviziosa chioma disegna quasi un semicerchio.


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Museo Civico — Ceramicaº

Un finissimo piattello (n. 8) fa pensare a Saverio Grue — specie per il trattamento del fogliame, quasi soffocato dalla cornice e l'aggruppamento degli alberi — cioè ad uno dei più insigni maiolicari della scuola, il quale dai suoi viaggi in Francia, Germania, Inghilterra ricavò preziosi insegnamenti. Re Ferdinando I lo chiamò a Napoli per la fabbrica di porcellana della quale fu uno dei tre direttori. Tutto in questo piattello è delicatamente trattato e avvivato da un fascinante gioco coloristico, per cui dagli scuri del primo piano si passa gradualmente con sobrie variazioni al massimo dei chiari effusi dal luminoso cielo pel quale vagano stormi di uccelli caratterizzati con brevi tratti curvilinei.


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Museo Civico — Ceramicheº

Il gruppo dei Gentili è ricordato da poche opere, fra le quali qualcuna di pregio. Un gran piatto (n. 18) che raffigura un gruppo di donne al fonte, incorniciato da un fregio di putti alati sgambettanti tra festoni e distinti in due schiere da cartelle corrispondenti, fa pensare a Berardino per il gettare dei panni che scivolano dalle carni ondeggiando, solcati da lunghe pieghe, per l'ombreggiamento dell'incarnato, per il disegno del grosso avambraccio, pei capelli accusati a ciocche svolazzanti. La costruzione a coppie, lo scarso sviluppo del paese e della prospettiva, il debole senso della forma e altre deficienze son come attenuate dal vivace sentimento decorativo, dalla movimentata azione, dalla bellezza dei tipi, dalla vaghezza con cui sono accordati i toni gialli, turchini e verdi.

Affinità con questo, benchè ad esso inferiore, presenta il n. 17 (La Samaritana),  p138 e anche, ma meno, il n. 23 (Susanna e i vecchioni). Di Berardino sembrano anche i due bei vasi distinti dai numeri 20 e 21, l'uno adorno di un'allegoria della Giudizio, inspirata al fresco del Domenichino in S. Carlo a Catinari a Roma, l'altro con un bel gruppo espressivo di Apollone e Marsia, ed entrambi con vaghissimi paesi, a pochi piani, animati da vispe figurine.

Del fratello Giacomo si potrebbe ritenere una mattonella (n. 32) con la Caccia al Cinghiale, animata nell'azione, notevole nello studio della natura animale e nel taglio del paese, benchè di pochi piani, intonata nel colorito in cui predominano il giallo, il verde, il turchino.

Delle Chiese una sola si adorna di maioliche pregevoli: l'Oratorio Nardis. Quivi il paliotto del maggiore altare è animato da tre file di nove mattonelle ciascuna, in cui son figurati Santi, meno in quella centrale dell'ordine superiore, dove la Trinità, insieme alla Vergine, domina benignamente sull'Aquila, della quale è abbozzata una veduta parziale. In corrispondenza, nella fila sottostante, è rappresentato S. Antonio di Padova. Predominano gialli e turchini, e in parte viola-marrone. Nell'organamento sono evocate le pale d'altare in maiolica, di cui qualcuna ancora si conserva a Castelli. Per esso si fa il nome di Carlantonio, ma è probabile sia lavoro della bottega dei Grue, interessante nel suo insieme, più che per i particolari, benchè taluno riesca gradevole.


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Oratorio di S. Antonio di Nardis — Paliotto in ceramicaº


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