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Il Foro Romano — Storia e Monumenti

da Christian Hülsen

pubblicato da Ermanno Loescher & Co
Editori di S. M. la Regina d'Italia
1905

Il testo, le piante e le immagini in bianco e nero sono nel pubblico dominio.
Le foto a colori sono © William P. Thayer.

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CENNI STORICI


I. Il Foro Romano nell'antichità

1. Nome ed origini.

La parola forum non aveva per gli antichi il significato, assai comune nelle lingue moderne, di una piazza destinata alle adunanze giudiziarie e alle cerimonie pubbliche. I grammatici latini fanno derivare la parola forum dal verbo ferre: secondo essi, forum era la località ove si discutevano gli affari e si vendevano le merci (quo conferrent suas controversias et quo res quae venderentur vellent quo ferrent). I glottologi moderni hanno rifiutato generalmente questa etimologia, senza bene proporne una più certa. Ma fra le diverse congetture una delle più plausibili è quella che dà alla parola forum il significato di "piazza esterna, area chiusa". Il foro antichissimo di Roma, il Forum boarium, era situato tra il Palatino e il Tevere, fuori delle mura "romulee": come in molte città moderne di montagna (Perugia, Urbino) parimenti fuori delle mura trovasi il campo per le fiere del bestiame. Nell'antica Roma, oltre al Forum boarium, esistevano il Forum holitorium per la vendita degli erbaggi, per le derrate alimentarie il Forum cuppedinis, il mercato del pesce (Forum piscarium) e il Forum vinarium per la vendita del vino.


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Fig. 1. La Roma primitiva (PalatiumSeptimontium)
Il Foro Romano, che gli antichi chiamavano spesso Forum semplicemente, non appartiene alla città primitiva. Il primo nucleo di Roma, la città Palatina, aveva il suo  p2 Foro, come abbiamo detto, fra il monte ed il fiume. Anche quando la "Roma quadrata", composta da tre montes (Palatium Cermalus Velia) si estese sulle colline situate ad est e a sud (Fagutal, Oppius, Cispius, Caelius), formando così la città settimonziale, la pianura tra il Palatino ed il Campidoglio rimase per lungo tempo esclusa dalla città. Abbondanti vene di acqua scaturivano sotto il versante meridionale del Campidoglio e sotto l'angolo settentrionale del Palatino: un rigagnolo proveniente dalle colline orientali attraversava la valle, proteggendo come un fossato naturale la città Palatina verso il nord, e percorrendo poi il Velabro, sboccava nel Tevere presso il Foro boario. Dalla Porta Mugonia, detta Porta vetus Palatii, usciva verso settentrione una strada (chiamata poi Sacra Via) in direzione del Campidoglio, sulla quale trovavasi fuori del recinto settimonziale,  p3 una necropoli (sepulcretum). Avvenuta l'unione della città latina sul Palatino con quella sabina sul Quirinale, quando i due comuni uniti insieme ebbero fondato sul Campidoglio la cittadella (arx) e il santuario di Giove Ottimo Massimo, la vallata del Foro venne incorporata nella città; la necropoli sparì e il rigagnolo incanalato diventò la Cloaca Massima. La piazza del mercato, un rettangolo molto più lungo che largo, occupava lo spazio tra il recinto del settimonzio e le falde del Campidoglio; e qui alle falde di questo colle appunto confinava col foro il luogo delle riunioni politiche e giudiziarie del popolo (Comitium).

La tradizione romana conferma pienamente questo stato antico della vallata:

Qui, dove or sono i fôri, erano acquose

Paludi un tempo, e l'onde traboccanti

Del fiume dilagarono la fossa.

. . . . . . altro non era allora

Nei Velabri, per dove oggi le pompe

Sogliono al Circo andar, che vôte canne

E salci.

(Ovid., Fasti, VI, 401 e seg., trad. di Leopoldo Dorrucci).


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Fig. 2. Metto Curzio,
rilievo nel Palazzo dei Conservatori.
Ma la leggenda fa comparire su questo medesimo terreno gli eroi dei primi tempi della città; qui già, secondo la tradizione, dopo il ratto delle Sabine, i guerrieri di Romolo combatterono contro quelli di Tito Tazio; un duce dei Sabini, Metto Curzio, si gettò nel mezzo della valle in un abisso o pantano cui rimase sempre il nome di Lacus Curtius. Quando poi gli avversari, per l'intervento delle donne rapite, si riconciliarono, i due re fecero pace sul "luogo del convegno" (comitium) sotto il Campidoglio. Accanto alla piazza del Comizio, il terzo re, Tullo Ostilio, eresse la Curia Ostilia, il quarto Anco Marzio, o secondo altri, il suo successore Tarquinio  p4 Prisco, costruì il Carcere, ma queste notizie, fondate quasi tutte sopra etimologie assai arbitrarie, non meritano fede: mentre la tradizione che attribuisce la costruzione della Cloaca Massima alla gloriosa dinastia dei Tarquinii, regnante in Roma nel VI secolo av. Cr., è confermata dai risultati degli scavi recenti, che dimostrano, come le sepolture nella valle del Foro continuarono fino al VI secolo.

2. Il Foro piazza del mercato. Il Comizio.

La storia del Foro diventa più chiara nell'ultimo periodo dei re e nel principio della Repubblica, cioè verso la fine del secolo VI e il principio del V av. Cr. Il Foro in quest'epoca, conforme alla definizione di Varrone, si presenta come piazza del mercato, ove i Romani ed i campagnoli "portavano ciò che volevano vendere". La piazza sui due lati lunghi era circondata da tabernae, nelle quali macellai ed erbivendoli esponevano la loro merce. Nelle giornate di festa e per le esequie di cittadini illustri, qui si facevano giuochi ai quali i nobili assistevano seduti  p5 su palchi, sui tetti delle tabernae, oppure dalla piazza più elevata del Comizio, mentre la plebe in piedi si affollava sull'area del Foro. A traverso la piazza, non ancora lastricata, passava la Cloaca Massima, che, coperta soltanto in parte, rimaneva visibile per lunghi tratti, e nel punto ove essa entrava nel Foro stava il sacello di Venere Cloacina, la divinità della purificazione e della fertilità. Parallela alla chiavica, verso i quartieri alti saliva una strada importante, l'Argiletum. Sulla estremità di questa strada (infimum Argiletum) trovavasi l'edicola di Giano bifronte, le cui porte si chiudevano soltanto quando Roma era in pace con tutto il mondo. Nella parte bassa (orientale) del Foro sorgeva il tempio rotondo di Vesta, ove le sei vergini vestali custodivano il fuoco sacro; il tempio aveva da una parte la Regia, residenza ufficiale del Pontefice Massimo, dall'altra, appiè del Palatino, la fonte di Giuturna, nume dell'acqua salutare: dirimpetto, sotto le pendici del Campidoglio, il Volcanale, luogo sacro a Volcano, dio del fuoco.

Il Volcanale sorgeva sul Foro, ed anche sulla piazza più piccola ma più nobile chiamata Comitium. Questa seconda piazza, dedicata secondo le regole della disciplina augurale, era un rettangolo quasi quadrato, le cui facce corrispondevano ai quattro punti cardinali. Sul lato settentrionale del Comizio verso il Quirinale (questo colle nei tempi antichi, prima della costruzione del Foro Traiano, era separato dal Campidoglio soltanto da una vallata piuttosto angusta) sorgeva la Curia, ove si radunava il Senato. Sul lato opposto dove il Comizio confinava col Foro, era situata la tribuna degli oratori e un luogo in cui i senatori aspettavano che si aprisse la Curia (senaculum). Accanto al senaculum fu poi costruito un locale simile per gli ambasciatori stranieri (Graecostasis). Il Comizio aveva una superficie di appena un ettaro (i lati erano lunghi circa 90 metri): in esso si  p6 tenevano le riunioni della cittadinanza divisa in curie (comitia curiata). Tre volte nell'anno, il 24 febbraio, 24 marzo, 24 maggio, il re (o dopo la caduta dei Tarquinii il suo sostituto repubblicano, il rex sacrorum), compiva sul Comizio alcune cerimonie, il cui vero significato era oscuro già per i contemporanei di Cicerone, e viene notato come strano particolare, che il rex, dopo finita la cerimonia, si allontanava in fretta come un fuggiasco, dal Comizio. È sostenuta da alcuni la congettura, che il cippo arcaico sotto il Lapis niger (v. n. XVII) avesse relazione con queste antichissime e misteriose cerimonie. Questo cippo sul Foro è rimasto unico testimone del tempo arcaico di Roma: altri monumenti arcaici vengono menzionati dagli scrittori romani, ma sono ora del tutto scomparsi. Fra essi meritano particolare menzione il puteale e il fico sacro, che rammentano il celebre augure Atto Navio. Questi, secondo la leggenda, avrebbe prodigiosamente trasferito qui il fico ruminale dal posto che occupava prima, presso il Lupercale; una statua del medesimo augure trovavasi sui gradini dinanzi la Curia. Presso i Rostri si vedevano le statue innalzate in onore dei cittadini morti per la patria; e nel medesimo luogo si solevano esporre incisi in bronzo i documenti ufficiali importanti, specialmente i trattati conclusi con popoli stranieri. Quando poi Roma ottenne la prima legge scritta (circa il 450 a. Cr.), le dodici tavole di questa legge furono affisse alla tribuna degli oratori.

Sul Foro propriamente detto, dopo la costituzione della Repubblica (510 a. Cr.) furono eretti parecchi santuari importanti. Le date delle loro fondazioni vennero registrate nella cronaca nella città, scritta dai Pontefici e conservata nella Regia. Nel 497 a. Cr. (257 a. u. c.) in cima al Foro fu dedicato il tempio di Saturno; tredici anni dopo, sul lato opposto, il tempio dei Castori. Allorchè i Galli invasero Roma (390 a. Cr.), e assediarono  p7 il Campidoglio, pochi monumenti dei primi tempi di Roma sfuggirono alla terribile devastazione che colpì il Foro e il Comizio; ma il popolo romano potè col suo vigore superare la terribile catastrofe e vincere altresì le secolari contese tra patrizi e plebei. Finite queste contese con le leges Liciniae Sextiae (366 a. Cr.) e concesso l'adito ai plebei alle dignità dello Stato, M. Furio Camillo, il vincitore di Vejo e dei Galli, dedicò un tempio alla Concordia sopra il Comizio, presso il Clivo Capitolino. Dobbiamo imaginare l'architettura e la decorazione di questo e gli altri templi summenzionati assai semplice e primitiva; le statue erano quasi esclusivamente di terracotta: tegole dipinte a colori servivano per ornato dei tetti e dei frontoni. Le pareti delle celle, costruite di pietra locale, tufo o peperino, erano coperte di stucco e variamente dipinte. Secondo la tradizione, dall'Etruria vennero gli artisti, ai quali re Tarquinio avrebbe dato il vicus Tuscus per abitazione; certo dall'Etruria si presero i modelli. Possiamo farci un'idea di un santuario arcaico del Foro dai templi di Civita Castellana (Falerii) oppure da quello di Alatri, il cui modello in grandezza originale trovasi nel Museo di Villa Giulia.

3. Il Foro come centro della vita cittadina. Le basiliche.

Segue il periodo, nel quale Roma, vinta la potenza etrusca, riuscì a conquistare la egemonia sopra i popoli dell'Italia centrale. Il vincitore dei Latini, Gaio Menio (console, 338 a. Cr.), decorò in quell'anno la tribuna degli oratori con i rostri delle navi di Anzio da lui catturate: la tribuna d'allora in poi ebbe il nome di Rostra. L'istesso Menio, secondo la tradizione, fece costruire per la prima volta sopra i tetti delle tabernae gallerie per gli spettatori dei ludi gladiatorî: e queste gallerie ebbero il nome di maeniana. È molto probabile che Menio sia stato pure l'autore di un altro  p8 provvedimento che mutò assai lo stato del Foro: verso quel tempo infatti furono tolti dalle tabernae i macellari e venditori di erbaggi, e nel loro posto collocati i cambiamonete. Per sostituire il mercato, fu costruito il macellum a settentrione del Foro, dietro le tabernae novae. Le tabernae del Foro, chiamate tabernae argentariae, furono probabilmente allora ricostruite con maggiore solidità ed eleganza; infatti nel 310 a. Cr. gli scudi dorati dei Sanniti, presi dal dittatore Papirio Cursore, furono distribuiti fra gli argentarî del Foro per decorarne le facciate delle loro tabernae. Gaio Menio ebbe per ricompensa una colonna onoraria, la quale era situata sul lato occidentale del Foro presso il Carcere, e che servì per lungo tempo come termine di misurazione — molto primitiva — del tempo.

"Nelle dodici tavole", attesta Plinio (VII, 212), "si fa solamente menzione della levata e del tramonto del sole; dopo alcuni anni vi fu aggiunto altresì il mezzogiorno, che il messo dei consoli annunziava, quando dalla Curia aveva veduto il sole fra i Rostri e la Grecostasi; e parimenti annunziava l'ultima ora del giorno, quando il sole era disceso fra la colonna di Menio ed il Carcere, ma ciò avveniva soltanto nei giorni sereni e fino alla prima guerra punica".

Nel 263 a. Cr. (491 a. u. c.), un quadrante solare fu posto presso i Rostri, portato da M. Valerio Messalla come bottino di guerra da Catania; ma questo quadrante era imperfetto, perchè le linee tracciate per Cattania non concordavano con le ore di Roma; ciò nondimeno, esso servì come orologio per novant'anni, finchè il censore Q. Marcio Filippo (164 a. Cr.) ve ne fece porre accanto un altro costruito con maggior precisione.

Al tempo delle guerre sannitiche, furono collocate sulla gradinata dinanzi la Curia le statue di Pitagora e di Alcibiade, in omaggio all'oracolo che aveva prescritto ai Romani di onorare in siffatta maniera il più sapiente e il più coraggioso dei Greci. È notevole la scelta caratteristica dei personaggi.

 p9  Nel 263 a. Cr. il console Messalla fece collocare presso la Curia Ostilia un grande dipinto che rappresentava la sua vittoria navale sui Cartaginesi e il re Ierone: altri dipinti di simil genere furono spesso eseguiti posteriormente. Nel 260 a. Cr. (494 a. u. c.) fu eretta al primo ammiraglio di Roma, Gaio Duilio, una statua in cima ad una colonna rostrata; la iscrizione onoraria, che si trova oggi nel Palazzo dei Conservatori sotto una colonna rostrata moderna, è una copia incisa in marmo nel principio dell'Impero rinvenuta accanto all'arco di Settimio Severo nel 1565.

Nel 210 a. Cr., un incendio terribile danneggiò ambedue i lati del Foro. Le Tabernae novae, le Lautumiae (sotto la pendice orientale del Campidoglio), il Forum piscarium (dietro le Tabernae novae, presso il Macellum) e molte case private rimasero distrutte: a stento il tempio di Vesta potè essere salvato (Livio, XXVI, 27). Ma questa catastrofe produsse una grande attività edilizia, sviluppatasi specialmente dopo la seconda guerra punica che finì con la vittoria dei Romani (201 a. Cr.).

Nel principio del secondo secolo a. Cr., la cultura e le arti della Grecia e dell'Asia minore cominciarono a penetrare in Roma; dall'oriente ellenistico (forse anche per mezzo delle città della Magna Grecia) venne il modello per un nuovo genere di edifizi, le basiliche. Queste erano grandi aule riparate dal sole e dalle intemperie, nelle quali avevano luogo i dibattimenti giudiziari, si trattavano gli affari, si passeggiava; tutto ciò che finora si era fatto sull'area aperta del Foro. La prima basilica sul Foro fu costruita nel 185 a. Cr. (569 a. u. c.) dal grande nemico dei Greci, M. Porcio Catone Censorio: "egli acquistò", dice Tito Livio (XXXIX, 44), "due case nel vico delle Lautumie e quattro taberne, e vi edificò la basilica che da lui venne chiamata Porcia". Possiamo anche determinare approssimativamente il sito ove sorgeva,  p10 poichè sappiamo che la basilica Porcia era molto vicina alla Curia Ostilia, e il vico delle Lautumiae deve essere stato a piedi della rocca Capitolina, a un dipresso ove oggi è la via di Marforio. Avanzi finora non ne furono trovati, e forse non si troveranno mai, essendo stato l'edifizio, come si dirà in appresso, distrutto da un incendio nel 54 a. Cr. e non più ricostruito. Una seconda basilica fu fatta dai censori del 179 a. Cr., Emilio Lepido e Fulvio Nobiliore, dietro le Tabernae novae sul lato settentrionale; ricostruita ed abbellita più volte, oggi presenta la forma che ebbe nel tempo imperiale (v. n. XXI). Nel 170 a. Cr. (584 a. u. c.), Tiberio Sempronio Gracco costruì una terza basilica, la Sempronia, dietro le Tabernae veteres e precisamente ove sorgeva la casa di Scipione Africano Maggiore presso il Vortumno. Forse avanzi dell'edifizio  p11 sono ancora nascosti sotto la parte orientale della basilica Giulia, e saranno posti in luce da scavi ulteriori.

Quale era la vita quotidiana ed il movimento degli affari sul Foro, lo possiamo immaginare leggendo la descrizione che ne dà la cosidette "parabasi" nella commedia Plautina "Il Gorgoglione" (brano che sembra aggiunto dopo la morte del poeta). L'attore avvisa il pubblico di voler mostrare

. . . in qual luogo sia più facile

Rinvenir chicchessia trovar vogliate;

Vizioso o senza vizi, probo od improbo.

Chi vuol trovare uno spergiuro, vada

Nel Comizio; chi cerca un gabbamondo

Vada al tempio di Vener Cloacina;

Cerca nella Basilica i mariti

Ricchi e scialacquatori; ivi si trovano

Le donnaccie già fruste e i lor mezzani.

Nel mercato del pesce gli scrocconi;

Passeggiano nel fondo i galantuomini

Ed i ricchi, e nel mezzo al Foro presso

Il canale stan quelli che si mostrano

Quel che non sono; i baldanzosi, garruli

E maldicenti stan più in su del Lago

Di Curzio, i quali per nonnulla dicono

Sfacciatamente contumelie a un altro,

Ed hanno tanto in sè da poter dirgliene

Tante con verità. Dalle botteghe

Vecchie stanno color che danno, oppure

Ricevono ad usura. Dietro il tempio

Di Castore v'è gente, a cui se credi

A prima giunta te ne torna male.

Nel vico Tusco trovi i giovinastri

Che di sè fan mercato; nel Velabro

Fornai, beccai, aruspici e una folla

Di venditori e rivenditori.

(Traduzione di G. Finali).

Un confronto colla piantina p. 10 dimostra, che la descrizione procede in ordine strettamente topografico: la basilica v. 7 è l'Emilia; il gioco delle parole nel verso penultimo (vel qui ipsi vortant vel aliis ut vorsentur praebeant) forma un'allusione alla statua di Vortumno dietro il tempio dei Castori, che in italiano non si può imitare.


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Fig. 3. Il Foro circa il 170 a. Cr.

 p12  4. Il Foro luogo delle assemblee politiche.

L'anno 145 a. Cr. (609 a. u. c.) segna un momento importante per la storia del Foro: il tribuno della plebe C. Licinio Crasso trasferì l'assemblea legislativa (i comitia curiata) dal Comizio, diventato troppo angusto, sull'area del Foro. Per conseguenza, gli oratori che fin allora dai Rostri si erano rivolti verso la Curia, cioè verso la parte del Senato, ora dovevano voltarsi verso il Foro, dove stava il popolo. Il Foro, negli anni seguenti, fu teatro delle lotte che si svolsero tra gli ottimati e la plebe, nelle quali ebbero parte principalissima i Gracchi. Gli oratori della parte popolare, oltre che dagli antichi rostri, parlavano spesso dalla gradinata del tempio dei Castori.

Ucciso Gaio Gracco nel 121 a. Cr. (633 a. u. c.) dagli aristocratici, il console Lucio Opimio, suo feroce avversario, fu incaricato dal Senato di rinnovare il tempio della Concordia già dedicato da Camillo. Accanto al tempio, Opimio costruì una basilica, la quale esisteva ancora al tempo di Cesare; Cicerone la chiama monumentum celeberrimum, non certo per l'area dell'edifizio, che era ristretta, ma probabilmente per le sontuose decorazioni. Nel medesimo anno 121, lo sbocco della Sacra Via sul Foro Romano fu decorato con un arco (fornix) dal console Fabio Massimo Allobrogico, il quale vi pose le statue de' suoi antenati, della gente Fabia e Cornelia (v. sotto n. XXXVII).

Durante le guerre civili tra Mario e Silla, più di una volta il Foro fu campo di sanguinosi combattimenti. Nell'83 a. Cr. il Campidoglio e il tempio di Giove essendo rimasti distrutti dalle fiamme, il dittatore Silla concepì il disegno di rinnovare splendidamente il Campidoglio e il Foro. Il tempio di Giove da lui cominciato venne compiuto da Quinto Lutazio Catulo, vincitore dei Cimbri, il quale costruì pure nel piano fra la rocca e il Capitolio  p13 l'archivio dello Stato (tabularium); edifizio, che fornito di un grandioso portico a due piani, coronava degnamente il prospetto della parte occidentale del Foro. Sul Comizio, Silla restaurò la Curia; e in questa occasione vennero tolte le statue di Pitagora ed Alcibiade, di cui si è fatto prima menzione; la morte impedì al dittatore di compiere gli ulteriori disegni per l'abbellimento del Foro.

Verso il 55 a. Cr., il Foro e il Comizio furono testimoni dei tumulti sanguinosi avvenuti tra i seguaci di Clodio e di Milone. Più di una volta i Rostri servirono da fortezza, dall'alto della quale furono lanciati dardi mortali sugli avversari. Ucciso Clodio dai Miloniani il 20 gennaio 52 a. Cr., presso Boville, i suoi compagni ne portarono il corpo sul Comizio e lo bruciarono sopra un rogo improvvisato con i sedili dei senatori e gli scanni dei giudici; le fiamme penetrarono fin dentro la Curia, e la distrussero e anche la vicina basilica Porcia ne rimase gravemente danneggiata. Fausto, figlio del dittatore Silla, edificò una nuova Curia, ma essa non durò più di sette anni.

Era in quel tempo già apparso sull'orizzonte quel grande uomo di Stato, che diede un nuovo indirizzo alle cose romane, e mutò anche la fisonomia del Foro e del Comizio; vogliamo dire Giulio Cesare. Già durante le guerre galliche, fra altri disegni escogitati per l'abbellimento di Roma, egli ne aveva concepito uno grandioso per riordinare il Foro. In una lettera scritta nell'estate del 54 a. Cr., Cicerone, dopo aver parlato dell'operosità edilizia del console Emilio Paolo, il quale, con danaro fornitogli da Cesare, aveva ristaurata la basilica Emilia sul lato settentrionale del Foro, e cominciatane sul lato opposto un'altra, che fu poi chiamata Giulia, prosegue: "gli amici di Cesare, cioè io ed Oppio, per allargare il Foro ed estenderlo sino all'Atrio della Libertà, abbiamo  p14 pagato il terreno sessanta milioni di sesterzi; non si potè ottenerlo a meno dai proprietari. Ma noi faremo opera magnifica costruendo nel Campo Marzio un recinto coperto di marmo per le votazioni dei Comizi tributi (saepta), con un portico di mille passi (m. 1470)" (ad Att. IV, 17).

Già qui si palesano due punti essenziali del disegno di Cesare; egli voleva trasferire i Comizi dal Foro, che era diventato troppo angusto, sul Campo Marzio, allacciando con comode strade l'antico Foro e la nuova piazza destinata alle assemblee politiche. Le somme che furono necessarie per l'acquisto del terreno, si possono paragonare con quelle spese un po' più tardi per la costruzione del Foro Giulio. L'acquisto del terreno per costruire quest'ultimo costò cento milioni di sesterzi, vale a dire diecimila sesterzi (2500 lire) il metro quadrato. Ad un prezzo uguale, gli amici di Cesare nel 54 avrebbero potuto acquistare un'area di circa 6000 mq., che supera di molto quella della basilica Emilia, anche dopo ingrandita sotto l'Impero.

Finite le guerre galliche, Giulio Cesare si occupò con maggiore intensità de' suoi progetti edilizi, servendosi anche dell'ingente bottino riportato dalla Gallia; ed è cosa ammirabile come egli, anche in mezzo alle guerre civili, abbia pensato a riordinare la piazza, in quella forma che le fu conservata nei secoli seguenti. Sul lato meridionale del Foro fu eretta la basilica Giulia e destinata alle udienze giudiziarie che prima si tenevano sul Comizio, oppure presso il tribunale del pretore nella parte bassa del Foro. Sul lato opposto, nell'antica piazza del Comizio, che non serviva più alle udienze giudiziarie, nè alle riunioni delle tribù, sorsero parecchi edifizi. Ivi fu costruita una nuova Curia, più grande e più splendida della Ostilia, ma con differente orientamento; le sue fondamenta corrispondono in gran parte al luogo ove sorgono oggi le  p15 chiese di S. Adriano e di S. Martina. Gli antichi monumenti situati sul confine del Comizio e del Foro, specialmente i Rostri, dovettero perciò cambiare posto: alcuni fra essi scomparvero poi sotto l'alto strato di rottami e di terra col quale gli ingegneri di Cesare rialzarono il livello antico del Foro per ripararlo dalle inondazioni del Tevere. Così splendidamente rinnovato il Foro fu congiunto col Campo Marzio mediante i portici circondanti il tempio di Venere Genitrice, tra la Curia e la Rocca Capitolina. Cotesto tempio innalzato da Cesare alla madre della gente Giulia con i portici circostanti formava una piazza che fu detta Forum Iulium, e diventò il modello di tutti i fori imperiali.

Con la maggiore sollecitudine Cesare cercò di terminare i suoi progetti edilizi, quasi presagendo che non ne avrebbe veduta la fine. Il Foro Giulio e la basilica Giulia furono dedicati ambedue, prima di essere compiuti, il 26 settembre 46 a. Cr., l'ultimo giorno delle grandi feste con le quali si celebrò la vittoria di Tapso. Ma non erano ancora trascorsi diciotto mesi e Cesare cadeva sotto i colpi dei conspiratori, nella Curia di Pompeo, nel Campo Marzio (prossima al luogo dove ora sorge la chiesa di S. Andrea della Valle). Nel Foro gli vennero celebrate solenni esequie, e nel punto ove il suo corpo fu cremato venne eretto il templum Divi Iulii.

L'opera cominciata da Cesare fu compiuta dal suo successore, Ottaviano Augusto. Egli condusse a termine la basilica, dedicò la Curia e probabilmente anche i Rostri nuovi; e al suo padre adottivo divinizzato consacrò il tempio che sorse sul lato orientale del Foro (v. n. XXIV). Accanto al tempio di Cesare, venne eretto ad Augusto un arco onorario (v. n. XXV) dopo che furono ricuperate le insegne militari perdute nella guerra partica. Ad abbellire il Foro contribuirono anche alcuni nobili privati: Munazio Planco che rinnovò il tempio di Saturno (42 a.  p16 Cr.) e Domizio Calvino che ricostruì la Regia (36 a. Cr.). Un poco più tardi Tiberio, figliastro di Augusto e destinato a succedergli nell'impero, restaurò il tempio della Concordia e quello dei Castori (10 d. Cr., 6 d. Cr.), eternando così la memoria di suo fratello Druso e la propria. Ma se nell'età di Augusto fu accresciuto lo splendore del Foro, pure in quel tempo ne comincia la decadenza. Infatti, nel lato settentrionale del Foro Romano, l'imperatore stesso ne costruì un altro, il Forum Augusti nel cui centro sorgeva il tempio di Marte Ultore: splendido gruppo di edifizi, il quale, assai più che il Forum Iulium, era destinato a competere col Foro Romano, e a levargli il primato.

5. Il Foro piazza monumentale e storica. I Fori imperiali.

Gl'Imperatori della prima dinastia non ebbero molto da cambiare nelle linee architettoniche fondamentali tracciate da Cesare e da Augusto, invece rimase loro molto da compiere e da abbellire nei particolari. Allora sorsero nel Foro numerosi monumenti onorari dedicati agl'imperatori, alla casa imperiale e ad uomini illustri. I comizi non avrebbero più trovato posto sufficiente sul Foro, il cui spazio era divenuto ancor più ristretto dopo la costruzione del tempio di Cesare, dei Rostri nuovi, e dopo l'ingrandimento degli antichi santuari di Saturno, della Concordia e dei Castori. Le sedute giudiziarie si tenevano per lo più nella basilica Giulia; di giuochi sul Foro dopo il regno di Augusto non si fa più menzione; invece le esequie per le persone della famiglia imperiale e spesso anche grandi cerimonie politiche si compivano nel Foro, che rammentava, più che qualsiasi altro luogo, l'antica grandezza di Roma. Un arco simile a quello di Augusto fu dedicato, accanto ai Rostri, a Tiberio durante il suo regno (v. n. II); con esso si vollero ricordare le vittorie sui Germani riportate da Germanico  p17 nel 15 e 16 d. Cr. Nel medesimo tempo venne restaurato il Carcere e alle falde del Palatino fu costruito il tempio di Augusto che accolse in appresso anche i culti degli altri imperatori divinizzati (v. n. XXX). Le bizzarre costruzioni di Caligola, l'ingrandimento del palazzo dei Cesari fino al tempio dei Castori e il ponte sovrastante al Foro, che congiungeva il Palatino col Campidoglio, non ebbero lunga durata; i pochi avanzi recentemente scoperti forse appartengono all'ingrandimento del palazzo imperiale (v. n. XXIX). L'incendio Neroniano (19 luglio 64), che fece danni enormi sul Palatino e sulla Sacra Via, non toccò il Foro, ma soltanto gli edifizi situati sul confine orientale: il tempio di Vesta, la casa delle Vestali, la Regia rimasero più o meno danneggiati.

Gl'imperatori Flavî, Vespasiano, Tito e Domiziano, rivolsero la loro operosità edilizia specialmente ai quartieri distrutti dall'incendio Neroniano. A settentrione della Sacra Via, verso l'Esquilino, Vespasiano edificò il suntuoso tempio della Pace, nel quale fra altre cose furono collocate le spoglie del tempio di Gerusalemme. I porticati attorno il tempio formavano una vasta piazza, il cui splendore eguagliava quello dei Fori più antichi. Sulla parete di uno degli edifizi del Forum Pacis — nome che divenne usuale nei secoli posteriori — l'Imperatore fece incidere la pianta marmorea della città da lui restaurata (v. p. 19).º Tito, presso il Clivo Capitolino, cominciò la costruzione di un tempio a suo padre divinizzato, ma non potè compierlo durante il suo brevissimo regno. Anche l'arco decretato in suo onore dal Senato e dal popolo, per la espugnazione di Gerusalemme, fu compiuto soltanto dopo la sua morte (v. n. XLIII). A Domiziano, il quale aveva la passione di costruire, che finì il tempio di Vespasiano, restaurò la Curia, il tempio dei Castori, e il tempio di Augusto con la biblioteca,  p18 fu eretta in mezzo al Foro una statua equestre colossale per celebrare le vittorie da lui riportate sopra i Germani (v. n. XXIII). Domiziano cominciò anche la costruzione di un quarto Foro sulla striscia di terreno rimasta tra il Foro di Augusto e quello della Pace: ma soltanto Nerva, suo successore, la condusse a termine.


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Fig. 4. Frammenti della Forma Urbis Romae.

Traiano, con geniale magnificenza, effettuò il disegno di Cesare, di congiungere cioè l'antico Foro con il Campo Marzio. A occidentale dei Fori di Cesare e di Augusto ne costruì uno nuovo, il quale, per estensione e per splendore, superava di gran lunga tutti gli altri (113 d. Cr.). Ma il terreno, sul quale gli edifizi del Foro Traiano avrebbero dovuto fabbricarsi, dovè essere in parte formato artificialmente, mediante lavori giganteschi e fu necessario spianare, per un'altezza di cento piedi romani (m. 29,5), l'altura meridionale del Quirinale, che fin allora quasi toccava il Campidoglio. Nel Foro Romano, bellissimi rilievi storici ricordano Traiano, e furono probabilmente posti come ornamento dei Rostri da lui restaurati. Adriano fece costruire, sopra suoi disegni, il tempio di Venere e Roma (n. XLII); Antonino Pio sul lato orientale del Foro, dove comincia la Sacra Via, edificò alla sua consorte Faustina un tempio (n. XXXIV) che, morto l'Imperatore, fu consecrato anche a lui (161 d. Cr.). Di Marco Aurelio e di Commodo non esistono sul Foro monumenti ragguardevoli; invece Settimio Severo, il primo Africano che salì sul trono imperiale, ebbe, a quanto sembra, molto a cuore di far elevare monumenti che ricordassero il suo nome sui luoghi storici dell'antica Roma. Egli stesso restaurò il tempio di Vespasiano e il Forum Pacis: in quest'ultimo fece incidere una nuova copia della pianta marmorea della città. Di questa pianta Severiana rimangono ancora numerosi frammenti; quelli relativi al Foro sono riprodotti qui sopra. Giulia Domna, moglie di Severo, restaurò il tempio di Vesta e la casa delle Vestali: anche la  p19 Regia, come sembra, fu rinnovata in quel tempo. L'arco eretto in onore di Settimio Severo sul lato occidentale del Foro, al principio del Clivo Capitolino (v. n. X) sciupò l'aspetto di quel lato coprendo quasi interamente la facciata del tempio della Concordia. È degno di nota che nel terzo secolo d. Cr., periodo di rapida decadenza di Roma, mancano notizie dei monumenti ed edifizi del Foro, fatta eccezione della "statua argentea" di Claudio il Gotico che sorgeva presso i Rostri. Del tempo che passa fra la morte di Caracalla e il regno di Diocleziano — periodo di circa novant'anni e nel quale avvennero continue perturbazioni politiche e cambiamenti d'imperatori — nessun monumento esiste nell'area del Foro; soltanto nell'interno della casa delle Vestali, simile ad un convento, sono rimaste alcune basi onorarie delle Vestali Massime appartenenti alla metà del terzo secolo.

6. Il Foro degli ultimi tempi dell'Impero. Decadenza e rovina.

Il terribile incendio che devastò il Foro al tempo dell'imperatore Carino (283‑284) rese necessari molti restauri che furono compiuti da Diocleziano e dai suoi colleghi sul trono. La Curia venne allora riedificata sulle antiche fondamenta, ma decorata nello stile del tempo; e dinanzi la fronte della basilica Giulia si eressero colonne colossali sopra basi quadrate di mattoni. Massenzio dedicò al figlio suo Romolo, morto in tenera età, un tempio sulla Sacra Via (n. XXXVIII), presso al quale diede altresì principio alla costruzione di una basilica, destinata a superare in isplendore tutte le altre esistenti in Roma (v. n. XLI). Sulla piazza dinanzi la Curia, ultimo lembo del Comizio antico, nel 303, furono collocate colonne onorarie agli Augusti ed ai Cesari: e di una rimane ancora il basamento (v. n. XV). Pure dinanzi la Curia Massenzio fece porre un gruppo rappresentante Marte insieme con Romolo e Remo, che ha forse qualche relazione con un restauro dell'antica "tomba di Romolo". Anche altri monumenti arcaici, come ad esempio il Lacus Curtius (v. n. XXIII) pare siano stati restaurati in quel tempo.

Vinto ed ucciso nella battaglia di Saxa Rubra (313 d. Cr.) Massenzio, il suo vincitore Costantino terminò la grandiosa basilica che porta il suo nome; e a lui fu eretta, nel bel mezzo della piazza, una statua equestre, la cui base con l'iscrizione esisteva ancora nel settimo secolo d. Cr. Il trasferimento della sede imperiale da Roma a Bisanzio, avvenuto nel 330, segna il principio di una decadenza, dalla quale Roma non potè più sollevarsi. Il dissidio fra il paganesimo e la nuova religione cristiana che andava sempre più accentuandosi, esercitò la sua influenza anche sul Foro e la Curia. Nel 346, l'imperatore Costanzo ordinò che i templi pagani fossero chiusi e i sacrifizi aboliti; ma certamente la chiusura dei templi  p21 non fu seguita dalla loro distruzione, poichè molti di essi vennero destinati ad altri scopi; sul Foro, p. es., il tempio di Saturno continuò a servire come deposito del tesoro pubblico. Sotto Giuliano l'Apostata, la reazione pagana riuscì vittoriosa, e di quella vittoria è monumento il Portico degli Dei Consenti (n. XI) restaurato dal prefetto Vezzio Agorio Pretestato (367 d. Cr.); ma fu cosa di breve durata, poichè il regno di Graziano (375‑383) segnò il trionfo definitivo del cristianesimo e allora, non ostante le suppliche eloquenti della parte pagana, l'altare della Vittoria con la statua d'oro della dea fu tolto dalla Curia.

Il valoroso imperatore Teodosio riuscì ancora a difendere l'Italia e Roma dai barbari; ma diviso l'Impero dopo la sua morte fra i figli di lui Arcadio (impero orientale) ed Onorio (impero occidentale), i barbari invasero la penisola. La ribellione di Gildone in Africa (386‑398) fu vinta da quel grande generale di Onorio che era Stilicone, il medesimo Stilicone che sconfisse le orde di Radagaiso presso Fiesole (403); ed ancora oggi si vedono sul Foro gli avanzi dei monumenti che vi furono eretti per celebrare le due vittorie (v. n. XV). Ma il valoroso protettore dell'Impero rimase vittima dei sospetti di Onorio (408) e due anni dopo, i Goti, condotti da Alarico, presero e saccheggiarono Roma (agosto 410). Durante il saccheggio parecchi edifizi del Foro furono distrutti dalle fiamme: la Curia e il Secretarium, la basilica Emilia e probabilmente anche la basilica Giulia. Si cercò di restaurarli negli anni seguenti, ma i restauri eseguiti in fretta e senza gusto attestano la decadenza delle arti e della tecnica al tempo di Onorio. Nel 442, un terremoto spaventevole "fece cadere moltissimi templi e portici" (Paolo Diac., Hist. Lang. XIII, 16) di Roma e anche il Foro deve esserne rimasto danneggiato. Terribile fu poi, nel 455, il saccheggio che alla città diedero i Vandali condotti da Genserico e pare quasi un'ironia il miserabile monumento che un prefetto di Roma elevò circa il 470 accanto ai Rostri per celebrare una vittoria navale sui Vandali (v. p. 66). Questo è l'ultimo monumento che ricordi sul Foro l'Impero occidentale; ventun anno dopo la venuta di Genserico in Italia il giovinetto Romolo depose il diadema imperiale, impostogli da suo padre, il maestro dei militi Oreste, nelle mani dell'Erulo Odoacre, e Roma perdette così il suo ultimo Augusto (476).


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