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Il Foro Romano — Storia e Monumenti

da Christian Hülsen

pubblicato da Ermanno Loescher & Co
Editori di S. M. la Regina d'Italia
1905

Il testo, le piante e le immagini in bianco e nero sono nel pubblico dominio.
Le foto a colori sono © William P. Thayer.

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 p102  XX. Carcer

Oltre la Curia, il Carcere è il solo edifizio rimasto sul Comizio; non si può quindi ometterne la descrizione, sebbene non sia compreso fra gli scavi del Foro propriamente detti. La visita del monumento si può unire a quella dei templi situati sul Clivo Capitolino: vi si accede dalla sagrestia della chiesa di S. Giuseppe dei Falegnami (detta anche S. Pietro in Carcere).

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Fig. 46. Pianta del Carcere.

Gli scrittori romani distinguono il carcere, nel quale i malfattori arrestati erano tenuti fino a che il loro giudizio fosse pronunziato  p103 (la incarcerazione come pena è sconosciuta alla giustizia romana), dal Tulliano, prigione sotterranea nella quale avevano luogo specialmente le esecuzioni segrete. La somiglianza dei nomi aveva fatto considerare il Tulliano come costruito dal sesto re di Roma, Servio Tullio, mentre la costruzione del carcere si attribuiva al suo predecessore Anco Marzio. Ma il nome tullianum probabilmente non significa altro che pozzo, e deriva dalla parola antiquata tullus, polla d'acqua. Il Tullianum viene sempre descritto come luogo squallido e tetro, mentre il carcere e specialmente le lautumiae, che servivano di succursale nel caso di un grande numero di prigionieri, erano prigioni più miti, nelle quali i carcerati p. es. potevano ricevere le visite dei loro parenti ed amici. Si narra che il poeta Nevio (circa 200 av. Cr.) abbia scritto due commedie in carcere. In Roma non esistè mai altro che quest'unico stabilimento carcerario, il quale, le succursali comprese, era di  p104 estensione assai limitata. Ciò spiega il fatto, che il carcere era soltanto una prigione preventiva, non casa di pena.

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Fig. 47. Spaccato del Carcere e del Tullianum.

Una scala moderna conduce al solo vano conservato del carcere superiore, grande stanza a volta, di massi di tufi e pochi travertini. Sopra l'antico portone d'ingresso, al quale ora si sale mediante gradini moderni, e che è al livello dell'antico Comizio (accessibile dal vestibolo della chiesa) si vede una fascia di travertino con l'iscrizione in grandi lettere: C. Vibius C. f. Rufinus, M. Cocceius M. f. Nerva cos. ex s(enatus) c(onsulto). Questi consoli ebbero i fasci sotto il regno di Tiberio o di Caligola (tra il 20 e il 40 d. Cr.). Di altri vani attigui si è accertata l'esistenza, ma nessuno è ancora accessibile.

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Fig. 48. Spaccato e pianta del Tullianum.

Un'altra scala moderna scende dal Carcere superiore al Tulliano, mentre nel tempo antico vi si entrava soltanto per un foro  p105 circolare praticato nel soffitto. Questo soffitto non è il primitivo, ma fu costruito in occasione di un restauro, che è forse quello di cui si fa cenno nell'iscrizione. La pianta della stanza è circolare, ma la terza parte del cerchio è tagliata da una corda; questa parete è di roccia viva, mentre la parte rotonda è composta di massi di tufo, uniti senza cemento ma molto esattamente. Vi rimangono ancora tre filari di pietre aggettati in modo da costruire una specie di cupola la quale in origine era alta il doppio, e rassomigliava ad alcuni monumenti arcaici dell'Italia e della Grecia (il cosidetto tesoro di Atreo in Micene; il pozzo sull'acropoli del Tuscolo, ecc.).

Nel pavimento scaturisce una vena d'acqua, ora scarsa, ma che, secondo l'opinione comune, un tempo era sufficiente a riempire il Tulliano e a servire da pozzo per la rocca Capitolina. Si ritiene che l'acqua sovrabbondante scorresse nella Cloaca Massima per mezzo di un canale sotterraneo, la cui apertura (ora chiusa da una porta di ferro) si vede nella parete a destra. Recentemente questa ipotesi fu messa in dubbio, perchè non esistono tracce di incrostazione, le quali non potrebbero mancare se il vano avesse contenuto per secoli le acque della fonte: invece, secondo altri, l'edifizio sarebbe un sepolcro arcaico a cupola, simile a quelli di Micene.

Nel Tulliano, Giugurta, Vercingetorige ed altri nemici di Roma vinti e fatti prigioneri furono uccisi dopo che avevano seguito le cerimonie trionfali. Il 5 dicembre 63 av. Cr., in cotesto carcere furono giustiziati, per ordine di Cicerone, i compagni di Catilina, rei di alto tradimento verso lo Stato, ed è famosa la descrizione del Tulliano che a questo proposito dà Sallustio:

"Havvi nel carcere chiamato Tulliano un luogo circa dodici piedi sotterra; in esso, per un lieve pendio, da mano manca all'entrata si scende. Le pareti dintorno e la volta di quadrate squallide pietre, terribile ne fanno l'aspetto e buio e fetente".

(Trad. di Vittorio Alfieri).

Ancora nel quarto secolo dopo Cr. il Carcere si trova menzionato come luogo in cui i prigionieri di Stato venivano giustiziati. Secondo la tradizione cristiana il Carcere fu anche prigione dell'apostolo Pietro, il quale per miracolo fece sorgere nel pavimento la fonte per battezzare i suoi carcerieri Processo e Martiniano. Soltanto nelle fonti agiografiche vien dato al carcere il nome di Carcer Mamertinus (o Custodia Mamertini) che invece non trovasi mai usato nelle fonti classiche.

Vedi: Varro l. l. V, 150. 151; Sallust. Catilina 55; Livius I, 33, 8. XXIX, 22, 10. XXXIV, 44, 8.; Velleius II, 7, 2; Valerius Maximus IX, 12, 6;  p106  Plinius n. h. VII, 212; Seneca controv. IX, 27, 20; Festus 262. 356; Calpurnius Flaccus decl. 4; Ammian. Marcellinus XXVIII.1.57; Servius Aen. VI, 573; CIL. VI, 1539.

Jordan I, 1, 453. I, 2, 323‑328; Gori-de Mauro-Parker, Ichnographia teterrimi Carceris Mamertini, Roma 1868 (estr. dal giornale Il Buonarroti, vol. III); Lanciani 587; Pinza, Rendiconti dei Lincei 1902, 226‑239; Huelsen, R. M. 1902, 41.

Accanto al carcer la 'scala dei sospiri' (scalae Gemoniae o semplicemente Gemoniae) saliva verso l'arce. Su questa scala venivano esposti i corpi dei giustiziati prima di essere gettati nel fiume. La direzione della scala deve aver corrisposto ad una delle gradinate moderne a destra o a sinistra della chiesa, ma finora non ne furono trovati gli avanzi.

Vedi: Valerius Maximus VI, 3, 3. IX, 13; Plinius n. h. VIII, 146; Tacitus ann. III, 14. VI, 431. hist. III, 74. 85; Sueton. Tiber. 53. 61. 75. Vitell. 17; Cassius Dio LVIII, 1. 5. 11. 16. LXV, 21.


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