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Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

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R. Monti (2)

 p695  XIV. RIONE BORGO

S. Pietro in Vaticano

Se v'ha avvenimento storicamente certo egli è quello della venuta, del martirio, e della sepoltura in Roma di s. Pietro. Roma cristiana è il monumento perenne di questo fatto, che si fa anche più evidente, se pongasi mente alle vere ragioni dei contradittori del medesimo; dal complesso delle quali risulta che da questi si vuol negare la venuta e la deposizione in Roma del principe degli Apostoli, unicamente perchè egli è Pietro.

Il divino vaticino sulla fine gloriosa di Pietro si compì nel Vaticano, colà Pietro fu crocifisso e presso il luogo medesimo sepolto. "Quando tu sarai vecchio, gli avea predetto Gesù, tu stenderai le mani ed un altro ti cingerà e questi condurrà ove tu non vuoi."

Egli disse ciò, aggiunge in modo di commento s. Giovanni, per indicare con qual genere di morte Pietro avrebbe dovuto glorificare Iddio. S. Giovanni scrisse il suo evangelio dopo la morte di Pietro e l'autore non solo sapeva come spiet era morto, ma ne parlava come d'un avvenimento conosciuto da tutto il mondo. Questo genere di morte colle mani stese, è evidentemente il supplizio della croce: brachia patibulo explicuerunt, dice Seneca parlando dei crocefissi.

Il corpo di s. Pietro fu deposto ai piedi del colle vaticano, e su quella sacrosanta tomba, in forza della libertà accordata dalla legge romana alle tombe dei suppliziati, si alzò un monumento: "Io posso, scriveva a Proculo sul principio del secolo III il prete romano Caio, io posso mostrati i trofei degli Apostoli; se tu vuoi andare, sia al Vaticano, sia sulla  p696 via Ostiense tu vedrai i trofei di coloro che hanno fondato la chiesa di Roma."

Quelle umili memorie, che tali rimasero durante il volgere dei primi secoli della Chiesa, circondate da sepolcreti e da monumenti profani, furono poi da Costantino sostituite dalle due più splendide basiliche che la pietà e la magnificenza imperiale abbiano mai potuto innalzare.

Il luogo dove Pietro fu deposto dopo il martirio divenne poi il centro del cimitero officiale dei papi suo successori fino a tutto il secondo secolo, cosicchè gli antichi topografi dei secoli VIVII ci attestano d'averlo veduto e venerato: Petrus in parte occidentali civitatis iuxta viam Corneliam ad milliarium primum in corpore requiescit, et pontificalis ordo excepto numero pauco, in eodem loco in tumbis propriis requiescit. Come de' sepolcri papali del secolo III i monumenti hanno mostrato la verità, così ci mostrerebbero veri quelli del secondo e del primo, se ci fosse dato minutamente esaminare la cripta vaticana; e nel luogo medesimo ove Pietro fu deposto la prima volta, aggiungo io, e dove dal nascondiglio della via Appia fu trasferito, giace ancora il suo corpo; sepolcro che ha mutato spesse volte forma dalla prima deposizione dall'Apostolo, ma non mai posto, ed al quale la stessa basilica fu coordinata, talchè la stessa monumentale confessione, per non alterare il luogo del sepolcro, neppur sta perfettamente nel centro dell'immenso edifizio, il che è accaduto in molti altri simili edifizî e per le stesse cagioni.

Una positiva testimonianza sulla scoperta fatta nel ricostruire quella confessione sotto Urbano VIII dimostra la verità della testimonianza degli itinerarî predetti.

Narra il Severano che ivi furono rinvenuti alcuni corpi in pili (cioè sarcofaghi marmorei)

Il Torrigio infatti che fu testimonio oculare di quelle scoperte, narra che sopra uno di quei sarcofaghi era scritto il nome  p697 LINVS, il quale, come appunto si legge nel Libro pontificale, fu sepolto (Ioh. c. 11) che stava Lazaro nel monumento ligatus pedes et manus institis, eccetto uno il quale era in habito pontificale: e se bene non vi erano i nomi di esso, fu creduto molto probabilmente che furono di quelli dieci santi pontefici successori di s. Pietro, per esservi trovata particolarmente una tavola con l'iscrizione s. Linus. Queste furono lasciate nel medesimo luogo.

Il Torrigio infatti che fu testimonio oculare di quelle scoperte, narra che sopra uno di quei sarcofaghi era scritto il nome  p697 LINVS, il quale, come appunto si legge nel Libro pontificale, fu sepolto iuxta corpus b. Petri in vaticano.

La mancanza dell'appellativo episcopus ottimamente conviene, scrive su questo proposito il ch. De Rossi, ai tempi di quella deposizione, in cui quella voce, che non fu in origine di conio ecclesiastico, non era ancora usata a determinare invariabilmente i presidi di ciascuna Chiesa, come avvenne nel secolo IIIII.

In altro documento trovo: "L'anno 1579 . . . . cavandosi nel mezzo della Chiesa nuova incontro la Gregoriana per far la nuova cappella destructa a s. Gregorio, si trovorno più pili con corpi d'antichi cristiani e tra gli altri d'un papa come si congettura. Avea una veste tutta di drappo d'oro e nelli piedi si conosceano le croci guarnite d'oro et come si toccavano diventavano polvere. Altrettanto si trovava in dette parti quando furono fatte le scale di s. Gregorio."

Il piccolo sepolcreto apostolico fu situato in un'area del colle vaticano. Questo fatto era finora ignoto, ma è di sua natura gravissimo, perchè nuova luce porta sulla storia del sepolcro di s. Pietro nel colle vaticano, e nuova conferma aggiunge alla verità della storia e della tradizione romana, risultando in odo evidente che il luogo dove fu dai discepoli sepolto Pietro nel Vaticano, era di natura assolutamente sepolcrale, analogo a quello di moltissimi cimiteri ed aree cimiteriali dell'antichità, e fuori dell'ámbito del circo neroniano.

Ciò risulta da un inedito documento degli archivî vaticani della s. Sede. Lo pubblico qui per intiero perchè sembrami di grandissima importanza, e in pari tempo ne rendo grazie al chmo don Gregorio Palmieri, secondo custode di quegli archivî, che me ne dette già da molto tempo notizia.

"Relazione di quanto è occorso nel cavare i fondamenti per le quattro colonne di bronzo erette da Urbano VIII all'altare della basilica di s. Pietro fatta da signor R. Ubaldi canonico della medesima basilica.

"Quanto si fa intorno al corpo di s. Pietro, è degno di eterna memoria. Avendo dunque papa Urbano VIII nel principio del suo pontificato, conforme all'esempio dei suoi predecessori applicato il pensiero a dar degno compimento a questo glorioso sepolcro, e altare, avendo veduto che sin  p698 d'ora un si erano trovati modelli, che proporzionassero l'ampiezza della cupola e la grandezza del tempio, essendosi veduti, mentre vi sono stati in mostra o scomparire come piccioli, o impedire il prospetto, diede cura al cav. Giovanni Lorenzo Bernini fiorentino, persona di molto ingegno nell'architettura, di far un nuovo disegno, ch'insieme avesse del grande e lasciasse libera alla vista tutta la vaghezza e grandezza del tempio. Fu proposto a questo pure l'erettione intorno all'altare di quattro gran colonne di bronzo di bellavo, sopra le quali posassero quattro Angeli che sostenessero il baldacchino nella maniera che qui sotto si vede. Era quest'opera di lungo tempio, e di grandissima spesa, ma l'animo del pontefice desideroso ancora di cose maggiori in onore di questa gran pietra, approvò il pensiero e comandò il lavoro.

"Per tre anni continui fu con molta assiduità e studio atteso a fare i modelli, e gettiti delle colonne, e tirati giù alcuni pezzi a tal segno che poteano far mostra a mettersi in opera. Visto e considerato che alla gravezza di tanto peso era necessario di fermare i piedistalli in sodo sicuro e ben fermo, fu dato ordine che prima si facesse il tasto, e si vedesse che fermezza promettessero i fondamenti dell'altar maggiore e di quelli archi appresso che reggono il pavimento. Fu cosa meravigliosa ai medesimi periti dell'arte e quasi attribuita a miracolo, quod si vide i fondamenti non più alti di mezzo palmo posare sopra i sepolcri, e come si dice in falso. Nè si poteva capire come si regesse quell'altare con la macchina sopra del baldacchino, e come in tante occasioni di teatri sacri, e concorso grande di popolo non si fosse mai visto pur piccolo segno di pericolo. Ma a periti delle fabbriche, che Iddio diede nello stesso tempo gran materia di giubilo, il vedere quel sacro luogo materialmente edificato supra fundamenta apostolorum et prophetarum e sostenere offitio di pietre ben ferme con i corpi loro quei gloriosi santi, che mentre vissero furono pietre vive dell'edifitio spirituale della Chiesa. Fu tanta la paura che si ebbe della rovina dell'altare che si assicurarono prima di averlo sotto con appoggio di travi e pontelli armato, e levatoli attorno le colonne di legno con tutto l'ornamento del baldacchino. Rimase l'altare così spogliato, e all'aperto sotto la cupola per alcuni mesi, e fu da molti giudicato, che risiedesse in questa maniera con molto maggior maestà e vaghezza di quello si fosse veduto prima con la mostra de' modelli passati. Da questa necessità di dover cavare a fondo  p699 tanto vicino al sepolcro di s. Pietro nacque occasione di varii timori e sospetti per essere il corpo di s. Pietro la sicurezza a Roma della sua fede, la fermezza, la gloria e lo splendore del suo imperio. Era però in questo luogo ogni minimo disordine temuto come grandissimo pericolo, et ogni leggier colpa, come gravissimo sacrilego. Fu stimato dal pontefice quanto prudentemente e piamente le veniva suggerito, e però diede particolar cura al sorge Niccolò Alamanni di natione greco, custode della biblioteca vaticana, persona versata nell'antichità, insigne per la cognizione di varie lingue e per la varia erudizione di mettere in carta e ponderare i dubbi, e i pericoli che venivano opposti e si fossero potuti considerare.

"Risposta alle ragioni, per le quali si dissuadeva il cavare vicino all'altare di s. Pietro.

"Fra molte ragioni, che in questo fatto si potevano addurre, tre ne scelse l'Alamanni per rappresentarli al pontefice come di maggior momento.

"La prima era il pericolo di non mettere in compromesso l'esistentia del corpo di s. Pietro in Roma, mentre cavandosi vicino all'altare non si fosse scoperto vestigio alcuno di sepoltura, come nel tempo di Sisto V accadde del corpo di s. Girolamo quando in santa monaca Maggiore non fu trovato nel luogo dove era riverito.

"Il 2o pericolo era che inavvedutamente non si venisse a muovere e levar via il medesimo corpo di s. Pietro, mentre essendo nel medesimo ambito sepolti molti antichi pontefici, i sepolcri e tumuli loro si sarebbero potuti trovare inmisti e confusi senz'alcun contrassegno.

"3a cagione era il pericolo del medesimo sepolcro di s. Pietro che per la vetustà di tant'anni in questa commozione non venisse a far qualche moto o apertura che portasse poi seco inaspettate conseguenze. Cagionò non piccola ammirazione che avesse l'Alamanni in questa scrittura tralasciata l'epistola di s. Gregorio (30a ad Augustam) che era il fondamento e quasi la ragione tutta di dubitare, epistola tanto stimata e riverita che rga nell'indice delle Reliquie di Roma si conserva nell'archivio delle scritture più importanti di detta chiesa. Nè pareva che mancasse di colpa l'averla o non vista o negletta. Soddisfece poi nel resto con dotta risposta alle ragioni addotte. E primo dovere essere indubitata la esistenza del corpo di s. Pietro in Roma, e nel luogo dove si onora per le attestazioni delle istorie e asserzioni di tanti Padri, i testimoni dei quali, per il numero e  p700 per l'autorità, possono convincere anco un eretico e far evidenza che Roma e della dottrina, del sangue, e del corpo di s. Pietro fu erede. Il sapersi come in tempi di guerre e incursioni di barbari sia stato particolarmente riguardato e riverito il suo sepolcro. Il sito d'esso sepolcro esser determinato certo e distinto dagli altri per i medesimi contrassegni in tutta la continuazione di tempi.

"L'imagine del Salvatore di musaico di Leone III, dentro alla piccola nicchia sotto l'altare. Il forame in mezzo della nicchia chiamato da Anastasio bibliotecario, Billicum Confessionis, dal quale ciò che si pigliava, si diceva presso dal corpo di s. Pietro, e al quale s'accostavano i fedeli per impetrar quelle grazie chiesa per intercessione di s. Pietro pretendevano. La finestrella di bronzo restaurata da Innocenzo III.Tutti questi contrassegni ancor oggi si veggono. Nè solamente il sito che contiene il corpo, ma il sepolcro medesimo essere con note cete e contrassegno distinto, come si raccoglie da Anastasio, riserrato da fabbrica che lo rende immobile, cinto di bronzo come interpretava l'Alamanni, di grossezza di cinque piedi per ogni parte, con il contrassegno della croce d'oro, e de' nomi di Costantino ed Elena sua madre.

"Questo assicurava non solamente che il sepolcro di s. Pietro non si sarebbe potuto confondere con gli altri, in ogni evento che si fosse venuto a scoprire, ma ancora che per l'addietro non avesse potuto ricevere dal tempo ingiuria, o danno tale che si dovesse ora temere o del percuotere dei manuali, o di qualche altra causale rovina et apertura che era il 3o pericolo proposto. Fu divulgata la voce di questa scrittura con molto credito e riputazione dell'Alamanni, e con questa e con quello che a bocca parlò fu quasi levato in ogni scrupolo ai SS. Cardinali che comandavano alla fabbrica e maggiormente confermato l'animo del Pontefice.

"Come fu cominciato a cavare, e del timore che cagionò il case della morte dell'Alamanni.

"Venuto l'ordine preciso, che si cominciasse a cavare, il cav. Bernini senza toccare il pavimento di sopra nella parte sotterranea, visto e misurato dove venissero a cadere i siti dei pilastri, fece dar principio il giorno 29 giugno del 1626 a romper sotto quei muri che erano d'impedimento. Lontano dall'umbilico della confessione palmi tredici, arrivati al pavimento si scoprì tutta quella parte piena di sepolcri e di  p701 tumuli. Fermatisi i manuali e dato avviso, intervennero nel principio per considerare e provvedere a quanto occorreva monsignor cavalier vescovo di Sulmona vicario della basilica, monsignor Angelo Georio coppiere del pontefice canonico e altarista, monsignor Mario Bovio canonico e sacristano maggiore della chiesa. A primi corpi, che fossero aperti e levati vi fu chiamato e si trovò presente l'Alamanni, il quale e sopra il sito e sopra la qualità de' sepolcri e le forme e figure de' corpi fece vari discorsi, e giudizii, donde uscì fuori nuova voce poco considerata che quei primi potessero esser corpi di non santi; e ancora di persone non ecclesiastiche. Accadde questo ai 10 di luglio. Il giorno seguente cascò l'Alamanni in infermità grave, e subito giudicato mortale aggravandosi sempre il male nel 1uarto decimo venne a morte. Non mancavano cognizioni naturali alle quali si potesse riferire questo accidente, senza che si attribuisse a miracolo; aveva in quell'estate l'Alamanni variato il modo e regola di vivere, si era affaticato in alcuni cimiterii in tempo et ore incomode, con occasione che si doveano mandare alcuni corpi dei santi in Spagna. Fu però creduto comunemente che questi fossero i casi avvertiti da s. Gregorio, et una pubblica increpatione di aver poco avvedutamente con titolo di sospetti vani negletto e ributtato quanto in riguardo di quel santo luogo con zelo di sana pietà e religione era stato motivato. Crebbe questa credenza in vedere un D. Francesco Schiaderio cappellano segreto del medesimo pontefice immediatamente cadere in terra di breve infermità intimo suo amico e forse parente a partecipe d'ogni suo pensiero, e quasi nell'istesso tempo morire ancora Bartolomeo suo amanuense di straordinaria sorte di malattia, et un de' servitori, ch'era rimasto, si vide non molto dopo reo di morte per un omicidio in questo tempo commesso. Questi accidenti cagionarono grande alteratione negli animi di molti, parendo che questi esempi nuovi confermassero gli antichi. Ma quello che più d'ogni altra cosa sollevò i pensieri fu che il pontefice istesso in questi giorni occorse che stesse alquanto indisposto, et come varie sono in Roma le passioni, così varii erano i discorsi e diversi i pareri. Chi si turbava per rispetto divino, chi per riguardo umano, et all'opera non si dava più quell'applauso di prima. I preti medesimi della basilica che nel principio stimavano grazia e privilegio il potere assistere a servire a quell'azione cominciarono a ritirarsi, e si interpretava irreverentia e quasi sacrilegio, ciò che prima era stimato devoto e reverente ossequio. Non si parlava  p702 quasi d'altro che dell'epistola di s. Gregorio, la quale fu parimente in quei giorni nelle mani e nelle lingue de' dotti, e degl'indotti, ma come l'intenzione del pontefice era rettissima et in sè l'azione stessa non aveva altro fine che l'onore e gloria di Dio, mosso da interno spirito con pari costanza e prudenza non giudicò per questi umori doversi ritirare dall'impresa, che prima non si vedesse da persone dotte e pie, se i casi riferiti nell'epistola di s. Gregorio erano i medesimi e nelle medesime circostanze, acciochè interpreti fuori dei loro terminio quello è stato registrato da quel glorioso pontefice per magno culto e grandezza dei ss. Apostoli non fosse preso per occasione di lasciarli i loro sepolcri inornati e gli altari scoperti.

"Considerazioni sopra l'epistola di s. Gregorio 30a nel lib. III a Costantina Augusta.

Rese ambiguo s. Gregorio un caso poco innanzi occorso, e da lui narrato nel libro 8 del registro cap. 62 intorno a certe reliquie, se dovea concederle ad Adeodata signora illustre a effetto che fossero maggiormente onorate in una chiesa, che con particolare devozione questa signora fabbricava a gloria di quei santi, de' quali erano le reliquie. Cosiderò il caso, e risolse non doversi credere che vista Dio l'interna devozione di questa signora volesse comportare che restasse defraudata di questa sua santa intenzione, ma interpretò che a questo fine as Dio operato quei segni, e permesso che per questo rispetto le fosse differita la grazia, ut docentibus miraculis (dice egli) et amor nobis creverit in veneratione sanctorum et maior . . . . . exulatione gaudiorum. Con questa regola domanda Costantina Augusta imperatrice nell'epistola 30 il capo e sudario di s. Paolo, per collocarlo nella chiesa, la quale edificava nel suo palazzo; dubita per casi occorsi intorno a queste ed altre reliquie, se possa o debba compiacerla, come grandemente desiderava per la necessità che aveva della grazia d'Augusta, risolve e risponde che non deve avere ardire di farlo e che assolutamente non lo può fare. Pareva in tutti questi casi posti la devozione di chi domandava uguale, la retta intenzione, l'onore dei Santi il medesimo. E se le reliquie domandata da Augusta erano di maggior dignità, erano ancor molto maggiori i meriti e prerogative d'Augusta in comparizioni di quelli di Adeodata, et i miracoli accennati che procederono alle reliquie domandata da Adeodata, se bene non sappiamo in individuo quali fossero, mentre potessero  p703 rendere dubbia la mente di s. Gregorio, si può con molta ragione congetturare, che questi ancora fossero simili. Contuttociò il medesimo giudice nella medesima causa da contrarie sentenze, il medesimo Profeta nella medesima domanda interpreta diversamente la volontà del Signore Iddio. Che altro possiamo dire per far cessare questa meraviglia di quello che insinua il medesimo s. Gregorio? Quello che domandava a Gregorio il capo e sudario di s. Paolo, non era altrimenti Augusta, ma Giovanni Patriarca Costantinopolitano egualmente infenso alla Santità di Gregorio e alla grandezza della sede Romana, il quale se ottennuto l'avesse, non pretendeva la gloria di s. Paolo, la cui dottrina infamava con i perversi costumi, ma sì bene che avesse la Chiesa di Costantinopoli che ambiziosamente reggeva da contraporre alle reliquie di Roma. E se negate le fossero avesse all'ora come concitare l'odio di Augusta contro Gregorio e oscurarli quella gran fama di santità, mentre il mondo l'aveva visto inossequente a così pia istanza di tanta imperatrice. Che perciò con tanta indignazione grida in quell'Epistola: Non est vestrum, questa istantia non viene da voi Augusta, non siete voi che parlate. E mostra tanto spavento che per simile domanda tanto perversamente e con tanta astutia suggerita si fosse avvicinato a quel sepolcro di Paolo.

"Tutto questo viene considerato acciò si vegga che al parere del medesimo Gregorio i medesimi segni e miracoli non si devono per inditio e segno della medesima volontà di Dio, e che quello che viene scritto ad un effetto, non merita la medesima ponderazione, dove cessa quel fine. Ma quando pure si voglia presupporre che Augusta non istigata dal Patriarca, ma per se stessa mossa da santo zelo facesse tale istanza, restava in ogni modo a s. Gregorio gran motivo e ragione di tenere per parte della cosa domandata. Aveva potuto considerare in quel fatto che racconta de' Greci quando furtivamente tentarorno spogliar Roma dei corpi di Pietro e Paolo, essere disposizione dell'eterno volere che restasse Roma per sempre glorioso sepolcro di questi due gran Principi, quasi che dunque stimasse sacrilegio aprire e levar via o capo o sudario da quella tomba; le chiavi da quale in un certo modo si erano già vedute alla cura del cielo, potè con molta ragione ancora a una imperatrice rispondere, che non ardiva nè doveva farlo. Ma nel caso dove siamo non pure all'apertura, ma nemmeno alla vista della tomba dove avvicinarsi.

"Se poi i tre casi riferiti in quest'epistola distintamente si vengano a considerare le circostanze di ciascuno si trovano  p704 differenti dalle nostre. Al 1 caso occorso in quest'istessa basilica di spiet di quel segno di non piccolo spavento, che apparve a Pelagio predecessore di s. Gregorio, quando quasi quindici piedi lontano dal sepolcro volse mutare certo argento, si risponde, che non raccogliendosi dal parlare di s. Gregorio, che cosa fosse quell'argento si può probabilmente credere che fosse quell'argento oblazione o voto particolarmente grato all'Apostolo per la devozione dell'offerente. Che però non piacesse a Dio che fosse remosso. O veramente che in quel caso non si venisse a fare miglioramento al luogo, perchè non sempre chi muta migliora. O fosse altro segreto della divina provvidenza per qualche particolar fine a noi occulto. Questo è ben chiaro quanto sia piaciuto a Dio in ogni tempo la gloria del sepolcro di s. Pietro. Poichè parlando a nostro proposito dell'ornamento prossimo al suo altare vi eresse Costantino un ciborio sostenuto da quattro colonne di porfido. Sisto III ornò tutta la confessione di lamine di argento di libre 150 le quali poi furono rifatte da Onorio, aggiuntevi lib. 197. S. Gregorio medesimo all'istesso altare fece un ciborio con quattro colonne di argento puro. Adriano coperse il pavimento della confessione con argento di libre 150. Leone IV fece il ciborio e le colonne d'argento, vi ose un crocifisso grande tutto d'oro, e una tavola similmente d'oro di libre 216 ornata di gemme. Callisto II, l'istesso altare consecrato da s. Silvestro per l'antichità deforme, lo rinchiuse dentro a nuovo altare di bellissime lastre che oggi si conservano sotto l'altro terzo altare erettovi sopra e consecrato da Clemente VIII. Pio II vi fece un ciborio sopra di marmo pario sostenuto da quattro colonne di porfido intagliatovi attorno con eccellente opera, il martirio degli apostoli, che ancora oggi sotto la confessione si vede. A tempi nostri Clemente VIII e Paolo V hanno ornato l'altare e la confessione in quella maniera che si vede, toccando e cavando ancora nel pavimento inferiore. Come dunque con tanti esempi potrà temere Urbano VIII preparando a questo grande altare di Pietro con nuova invenzione di ornamento onori tanto degni, e memorie così illustri! Il secondo caso che accadde a s. Gregorio medesimo quandoº nella chiesa di s. Paolo messe mano a migliorare quel sepolcro pure si distingue dal nostro, mentre si asserisce in quella effossione si fossero levate cert'ossa e portate altrove, e che ciò accadesse per presunzione di quel preposto, nel qual caso giudicò forse Iddio punitolo il preposto di morte repentina, e per l'ingiuria, che in un certo mod vennero a fargli a quel santo di cui erano quell'ossa  p705 discostandole dalle vicinanze del corpo di s. Paolo e quella presunzione d'aver ciò fosse sao senz'ordine di s. Gregorio, il quale però se cessasse dall'opera, o la proseguisse da quell'epistola non si raccoglie. Ma in questa effossione di Urbano VIII i corpi e le ossa dei santi si dovevano rimettere come si è fatto quasi nel medesimo sito a distanza dal corpo di s. Pietro, e tutto si doveva fare con preciso ordine, e comandamento del pontefice. Di questo ancora non mancano esempi d'altri pontefici, i quali sicuramente in diverse occasioni in questa istessa basilica hanno mossi e levati più corpi de' santi, i quali ancora che forse non si possa presumere che siano stati così insigni come questi che si troveranno più vicini al corpo di s. Pietro, furono però trovati con indizii e contrasegni certi di martirio come ne sono memorie autentiche nel nostro archivio. In tempo di Pio V fu mosso e cavato in quella parte dove si vede oggi la sepoltura di Paolo III; Gregorio XIII fece cavare dove sono le cappelle Gregoriana e Clementina, che erano i fianchi della chiesa vecchia. Paolo V quasi in tutto il resto della chiesa. Che però sotto la confessione si veggono due poliandri pieni di ossa cavate in questi tempi. Nel terzo caso ancora seguito in s. Lorenzo, ci si scoprono le circostanze colpevoli di presunzione e di curiosi. Là, mentre quei monaci mansionari senza che l'opera destinata da Pelagio lo richiedesse si mossero a cercare dove stesse il corpo di s. Lorenzo e casualmente avendo scoperto il suo sepolcro, ardirono senz'ordine o licenza di volere risguardare ciò, che dentro vi fosse, che però non è da meravigliare, se in termine di quei dieci giorni si videro tanti puniti con severo castigo di morte. Questo medesimo pericolo soprasterebbe ancora ai preti e mansionarii di s. Pietro quando in queste simili occasioni volessero imitare i monaci e mansionari di s. Lorenzo. Ma già si è dimostrato di sopra che il sito della sepoltura di s. Pietro è certo che a quella non si doveva accostare. E sebbene la distanza assegnata dall'Alamanni di cinque palmi, mentre che interprete non la tomba, ma la grossezza del metallo, che lo cinge attorno essere di cinque piedi per lato, sarebbe stata una poco distanza da un gran pericolo; l'interpretazione però, che danno altri comunemente più vera e più conforme allo stile improprio e barbaro di Anastasio, che tutta la tomba di s. Pietro cinta di metallo sia per ogni dimensione cinque piedi, conclude molto maggior distanza, e tantochè può esser fuori d'ogni pericolo. Da tutto questo si può raccorre, quanto il fine, che ora si pretende sia diverso, e quanto diverse siano le circostanze dei casi. Onde peraltro  p706 essendo cosa tanto conveniente e religiosa che il thoro nel quale dorme s. Pietro (come parla s. Leone) e il prezioso reclinatorio nel quale riposa il nostro Salomone non sia veduto senza le sue colonne per la materia, e per il lavoro, e per la grandezza riguardevoli, parve che il pontefice non dovesse ritirarsi; ma che potesse con molta lode e merito, senz'altro timore di offendere il dovuto rispetto e riverenza all'epistola di s. Gregorio, proseguire il suo santo e glorioso pensiero. E che quanto agli altri casi successi (quando pure si dovessero attribuire a cagione soprannaturale) più presto si potessero interpretare per reprobazione di qualche circostanza del consiglio che del consiglio stesso."

"Ordini et diligenze usate per comandamento del pontefice in quest'occasione.

"Dovendosi contrettare terreno così santo, et aprire tesori nascosti preziosi, non mancò il pontefice di operare in maniera che fosse abbastanza provisto ed alla riverenza del luogo et alla sicurezza delle reliquie. Comandò che mentre da manuali si lavorava, vi assistessero del continuo sacerdoti e ministri della chiesa, cura ei quali fosse l'aprire i sepolcri, et il levare et riporre pianta, le ossa, la polvere e ceneri dei santi. Proibì con pena di scomunica riservata, l'ingresso per quel tempo sotto alla confessione a qualsivoglia grado o condizione, fuori che a quelli che erano deputati, e che per necessità dell'opera vi dovevano entrare. Con la medesima pena proibì il levare e portar via ossa, medaglie, vesti, ceneri nè l'istessa polvere e terra. Furono avvertiti l'architetto e capi mastri di non toccare, o cavare, se non tanto quanto la necessità dell'opera richiedeva, che i corpi dei Santi et ossa che si fossero trovati, si riponessero in casse di cipresso, e si tenessero sigillati e serrati dentro al'altare della confessione per riporle poi ai loro luoghi. La terra che si fosse trovata vicino alle ceneri e ossa di'martiri, o mescolata con frammenti e minutie di ossa, si conservasse dentro alla cappelletta della Trinità sotto al poliandro. L'altra terra tutte nelle medesime grotte per riporsi poi in altri vasi e luoghi decenti, dentro alla medesima confessione. Fu deputato Gio. Batt. Nardone chierico romano, notaro capitolino, ministro ordinario dell'archivio di s. Pietro che v'intervenisse del continuo, et si rogasse di quanto in quel luogo si fosse trovato o fatto. A Gio. Battista Calandra soprastante della fabbrica persona pratica nel disegno, stimata nella pittura, et nei lavori  p707 di musaico raro e singolare, fu dato ordine di delineare et disegnare quanto di notabile si fosse scoperto. Insomma non fu tralasciato nè pensiere nè diligenza per ovviare a qualsivoglia inconveniente e disordine. L'opera tutta fu dal pontefice commessa e fidata a m. Angelo Georii suo coppiere canonico e altarista il quale con vigilanza, zelo e sollecitudine continua, sopra intese e governò il tutto."

"Effossione del primo fondamento.

"Cominciatosi a cavare il primo fondamento sotto la confessione dalla parte posteriore del corno dell'Epistola dell'altar maggiore, lontano dal forame dentro alla nicchia del svt palmi . . meno di mezzo palmo sotto si cominciarono a trovare i pili o i sepolcri, come si è detto; parte se ne vedeva contigui uno a lato dell'altro, parte sopraposti, non però con ordine certo e regola, ma quasi casualmente et in diversi tempi. I più prossimi verso all'altare appoggiavano lateralmente ad un muro antico, che si credeva girare verso il medesimo altare che però si giudicava, che in quella parte questi fossero i corpi sepolti più appresso al sepolcro di s. Pietro. Erano tumuli di marmi, e lastre semplici di diversa grandezza; senz'alcuna iscrizione, o carattere, o altro segno, o fossero che quei primi christiani fuggissero di imitare i gentili, che erano soliti di scolpire nei tumuli i loro nomi, o facessero questo per maggior sicurezza, acciò non fossero per qualsivoglia cagione, o d'ingiuria, o d'onore levati, questo si vede osservato in una larga serie d'anni; essendosi non solamente i pili di questa effossione, ma ancora quelli questi tante altre fatte in questa medesima basilica la maggior parte trovati in questa forma, come ne sono le memorie nel nostro archivio.

"A molti di loro erano sopraposti tegoloni di terra cotta antichi in forma piramidale primi che si scoprissero, ciascun dei quali fu visto contenere due corpi. Si discernevano le forme e figure loro con teste verso l'altare, vestiti e coperti di veste lunghe e talari per il tempo fosche e quasi nere, cinti e fasciati con legature a guisa di bambini passando le legature ancora sopra le teste: non si sentiva odore considerabile, ma erano collocate e poste una appresso l'altra, con diligenza e cura esatta. Così questi come gli altri ne' pili, toccati e mossi che erano, si risolvevano in polvere, e fuorchè qualche pezzo di vestimento, niente resisteva al tatto. Non fu però possibile di formar concetto particolare, et in individuo e dei nomi e delle quantità  p708 di questi corpi, ma era ben certa la memoria e traditione che appresso il corpo di s. Pietro si fossero sepolti quei primi nostri patriarchi e padri della Chiesa, che con il sangue loro partorirono questa santa e gran repubblica. et sebbene ne' corpi di questi pili non appariva di fuori inditio, e vestigio di martirio, come in quelle ossa, che più al profondo si trovarono, ciò non si poteva ben osservare; per avere le teste involte et legate con il resto del corpo; e poi per l'istoria è noto, che non tutti i martiri e pontefici santi morirono di spada. Si sa insieme con quanta religione e strettezza sia stato vietato e proibito ad altri il seppellirsi non solamente appresso al sepolcro, ma nella basilica di s. Pietro, e se ad alcuno era concesso ciò, non era stanza espressa licentia fondata in una gran prerogativa di merito. Si leggono ancora oggi alcune di queste licenze scolpite in marmo nei tempi di Hormisda, e di Giovanni III, conservate sotto alla confessione, e ne rimane memoria nel nostro archivio. E sono parole di s. Giovanni Crisostomo che gl'imperatori si gloriavano di star nell'atrio e far la guardia, ad ianum piscatoris, che però si son visti nell'atrio vecchio i sepolcri di Ottone II, Valentiniano et Honorio, et i pontefici venuti dopo si seppellivano nel portico. Non si poteva dunque far ha congettura, che questi che si trovavano in questa vicinanza al corpo di san Pietro fossero quei primi martiri e pontefici o loro prima progenie. Questo istesso giuditio fece Clemente VIII quando rizzandosi due pilastri per sicurezza del nuovo altare si scoperse un sepolcro antico dentrovi un corpo assai consumato con altre particole. Nota Tiberio Alfarano che Clemente per reverentia del luogo, e per ferma credenza, che quello potesse essere uno dei pontefici primi fondatori della Chiesa romana, volse che restasse nell'istesso luogo senz'esser toccato. Merita ancora particolare osservanza in questi corpi così accompagnati nei tumuli quel numero di . . . ., insegnamento che ancora ne' sepolcri di dovesse vedere tra christiani vivo il precetto dell'amore, e che la carità è quella, che distingue ancora morto il christiano dal gentile. Degna ancora fu consideratione quella esattezza e diligenza di accomodare i corpi nei sepolcri tanto stimata ed apprezzata si da principio della chiesa nascente, che quelli che a quest'opera attendevano erano tra gli ordini, et officii enumerati e con particolar nome chiamati laborantes come si raccoglie da Epifanio riferito dal Baronio nell'anno 44.

"In questo medesimo piano vicino alla soglia della porta fu trovato un pilo tagliato per mezzo che fu riconosciuto essere  p709 quello che a tempo di Paolo V, perchè non sopravanzasse al pavimento basso della confessione, fu tagliato, vi erano alcune ossa mescolate con terra cascatavi casualmente, raccolte e ristrette, et era coperto sopra da una lastra di diversi pezzi postavi casualmente nel tempo che fu scoperto, essendosi remossa e reposta la sua lastra intera antica.

"Vi erano in quei pezzi di lastre alcune lettere, che mostravano esser servite per depositi dei christiani in tempi più moderni. Pure nell'istesso piano appoggiando al muro, vennero a vista due altri pili più piccoli, ciascun dei quali conteneva un corpo picciolo come di fanciullo di dieci o dodici anni. Uno solamente di questi fu necessario removere, il quale era similmente come gli altri involto e fasciato con vestimento che apparivano fossero stati bianchi; diede a qualcuno occasione di meraviglia, che in quel luogo si fossero trovati corpi di così tenera età, ma non con molta ragione, sapendosi come nella chiesa ogni età è stata sempre atta a poter patire et morire per Christo. Nè fu senza fondamento quello che ad altri successe, che persona per prerogativa di merito insigne avesse potuto ottenere tal gratia e privilegio o per figliuolo o nepote di collocarlo appresso il sepolcro de' martiri. Si legge di s. Paolino vescovo di Nola che Celsum puerum ad tumulum martyrum mandavit apponere. E s. Ambrogio stimò santo, che Satiro suo fratello fosse sepolto ai piedi de' ss. Gervasio e Protasio, dove ancora lasciò di esser portata Marcellina sua sorella. Ideo namque (dice Massimo appresso s. Ambrogio nel serm. 77) hoc a maioribus provisum est ut sanctorum ossibus nostra corpora sociemus, ut dum illas Tartarus metuit, nos poena non tangat, dum illos Christus illuminat, nobis tenebrarum caligo diffugiat. Ma appresso la sepoltura di s. Pietro questo privilegio non si deve così facilmente presumere per la reverenza grande che in tutti i tempi ha ottenuto. Poco appresso sotto quelli due pili grandi prima scoperti, furono trovate due pile di terra cotta antica piene di cenere, et ossa brucciate, una delle quali per inavvertenza dei manuali si ruppe. Vi fu trovato in una di quelle un dente che per la grandezza e bellezza fu portato a mostrare al pontefice. Altri frammenti di simile pile tuttavia profondandosi nel cavare si trovavano, e insieme pezzi di vetri di caraffe rotte, che denotavano tutto quel terreno essere mescolato e tinto con ceneri et sangue di martiri, che però tutto con particolar reverenza fu raccolto. Vi si videro ancora de' carboni, che serviti alla combustione dei martiri, si poteva credere fossero stati come gemme raccolti et ivi insieme con le  p710 loro ceneri riposti. Non prima supuntò nella chiesa il martirio che inserì il Signore Iddio nei petti dei christiani questo gran stimolo e zelo dell'onor de' martiri. Son piene le nostre istorie a che pericolo si mettessero, che diligenze usassero quei primi fedeli, ancora l'istesse vergini e fanciulle, acciò un capello se possibile stato fosse, de' martiri non perisse. Erano cercati e con diligenza riposti gli stessi istrumenti dei loro martirî, come insegne delle loro grandezze e trofei dei loro trionfi. Vediamo risplendere però nella chiesa come tante gioe le pietre di Stefano, i carboni Lorenzo, ed essere le catene di Pietro e Paolo pregiate come diademi e corone. In questa medesima basilica nei tempi di Paolo III cavandosi dove hora è la sua sepoltura, fu tra simili corpi de' santi trovato quelle tanaglie dentate, che con tanto onore si conservano oggi tra le reliquie, già istromento barbaro di fiera crudeltà per lacerare le membra dei martiri d'un proprio nome latino chiamate Vngula: oggi istromento di santità e di grazie divine, abominato già e fuggito dalle più vili mani per il contatto infame del carnefice, hoggi dai pii sovrani, principi e più sublimi sacerdoti riverito con i baci per il sacro contatto dei martiri.

"Si videro ancora canali di terra cotta, ma pieni di simili ceneri e polveri insanguinate.

"Prima medaglia. Nelle due pile dette fu trovata una medaglia che data a polire e messa in mano di persone peite di simile antichità vi conobbero, sebbene malamente, dalla testa queste lettere: M. COMM. ANTERIORE. P. FEL. AVG. cioè Marcus Commodus Antoninus Pius Feliz Augustus. Nel rovescio una figura isolata in piedi che nella sinistra tiene un'asta e nella destra una palma e si vedevano solamente queste lettere: IMP. P. M. TR. P. . . . . . . cioè Imperator Pontifex Max. Tribunitiae potestatis. Parve che questo confermasse il giuditio che prima si era fatto, che andandosi a fondo si troverebbero reliquie dei martiri di quelle prime persecuzioni. Regnò Commodo nell'anno 182, e fu infestissimo ai christiani, i quali non potendo alla posterità lasciare i nomi dei martiri, con questa inventione di mettere delle medaglie degl'imperatori tra le loro ceneri accusavano i tempi dei loro martirii. Più sotto si scoperse una bellissima lastra di pietra chiamata Porta Santa, che copriva un gran pilo: aperto vi si vide due corpi vestiti et fasciati nella medesima maniera, uno di giusta statura che sopravanzava tutto l'humero all'altro che però pareva fanciullo. Non si potè giudicare niente dalla forma dell'osse, che ogni cosa quando si toccava cadeva in ceneri. Seguendosi  p711 ancora il cavare si venne a scoprire la bocca d'un chiusino o pozzuolo, nel quale si vedero molte ossa, mescolate tra ceneri et terra, dentro ancora un'altra pila simile all'altre due. Appresso a queste vedevasi un altro sito quadro dove i due lati furono trovati più corpi, un lato lo formava la continuazione di un muro molto antico scoperto di sopra, questo conteneva una nicchia, il concavo della quale serviva per sepolcro. Si vedevano dal capo ingessate insieme e ben composte cinque teste intere, e ben conservate, seguitavano poi le coste tutte insieme e l'altre parti per suo ordine, mescolate fra molta terra e cenere, non casualmente, ma con accurata maniera e diligenza, vedendosi tutta quella santa congerie bene assicurata e ferma con molto gesso e calce. Da questo intendemmo, come quelli, che di sopra chiamammo laborantes per l'officio d'involtare e coprire corpi morti, fossero forse nell'istesso tempo chiamati fossarii per l'offitio di accomodare in questi pozzi e fosse i medesimi corpi, che di questo nome ancora ne fa mentione Epifanio referito dal Baronio nel medesimo luogo. Simili sorte di sepolture si veggono ancora oggi nelle grotte arenarie fuori di Roma. Fra le ceneri di questa nicchia fu trovata un'altra medaglia.

"Seconda medaglia. Dalla testa radiata vi si conobbero queste note — IMP. C. MA. VAL. MAXIMIANVS AVGVSTVS. cioè Imperator Caesar Marcus Valerius Maximianus Augustus. Nel rovescio vi era un Giove nudo in piedi che nella destra tiene il fulmine, e nella sinistra un'asta ed intorno queste lettere IOVI. CONSERVAT. e sotto IXXIT. Fu sotto Maximiano consorte nell'impero di Diocleziano l'anno 285 che fecero strage de' cristiani crudelissime. Con uguale cura et arte composte furono trovate nell'altro lato di questo quadro cavato nel sodo della terra fosse altrettante viste, con il rosso del sangue fresco, che quasi avrebbe potuto colorire la mano, come tra gli altri con gran meraviglia osservò il signor Giovanni Battista Confalonieri oggi archivista di Castello persona di pietà e dottrina singolare. Vi erano ancora insieme congeste l'altre ossa che con la medesima mesticanza di terra e cenere erano contenute e fermate con la medesima ingessatura. Nel mezzo di questo quadro vi erano due teste con parte di un corpo.

"Terza medaglia. In bocca di una di queste teste fu ritrovata una medaglia, che per il verde che avea causato intorno ai denti fu conosciuta. Questa era rotta e consumata e per quello che con diligente osservazione fu potuto raccorre fu creduto che fosse di Cornelia Salonina figliuola del  p712 re de' Marcomanni, moglie di Gallieno imperatore. Dalla banda della testa non si discernava cosa alcuna. Nel rovescio una figura in piedi che nella destra teneva una patera e nella sinistra un'asta e delle bande S. C. cioè Senatus Consulto. Cominciò a regnare Gallieno insieme con Valeriano suo padre l'anno 254 e perseguitò grandemente i cristiani. In questo sito essendosi già trovato il sodo fermò l'effossione del primo fondamento che fu di palmi . . . . . . . . . . . Il terreno che fu cavato in queste parti, fu veduto assai più umido, e di color più nero dell'altro, e scorgendovisi ancora vestigio di chiaviche e canali denotava essere stata quella parte assai soggetta all'ingiuria delle acque. Onde perciò prese qualcuno occasione di far congettura che un muro antico scoperto sotto, dove è la porticella della confessione, in questo lato fosse quel riparo fatto da Damaso per difendere dalle acque il sepolcro di s. Pietro e gli altri corpi santi. Ma quando non ci fosse altro, bastano per riprovare questa congettura i versi che si leggono ancora conservati come erano anticamente nella sua lapide sotto la confessione, e sono ancora registrati nel nostro archivio, e sono questi appresso:

CINGEBANT LATICES MONTIVM TENEROQVE METAV

CORPORA MVLTORVM CINERES ATQVE OSSA RIGABANT

NON TVLIT HOC DAMASVS, COMMVNI LEGE SEPVLTOS

POST REQVIEM TRISTES ITERVM PERSOLVERE POENAS

PROTINVS AGGRESSVS MAGNVM SVPERARE LABOREM

AGGERIS IMMENSI DEIECIT CVLMINA MONTIS

INTIMA SOLLICITE SCRVTATVS VISCERA TERRAE

SICCAVIT TOTVM QVIDQVID MADEFECERAT HVMOR

INVENIT FONTEM PRAEBET QVI DONA SALVTIS

HAEC CVRAVIT MERCVRIVS LEVITA FIDELIS

"Dal contenuto di questi si dimostra che l'opera fatta da Damaso fu fuori e non dentro della basilica, e fu di molto maggior spesa e consideratione che di un semplice muro. Può ben essere che questo muro fosse ancora fatto per riparo dell'umidità o in questo, o in altro tempo, ma per quello che si vedeva e che fu giudicato da periti non poteva fare riparo alcuno sepolcro di s. Pietro, ma solamente ai sepolcri posti più a basso. Si dovea poi pensare di rimettere in decente et honorevol luogo quelle sante ossa, e corpi levati, che posti diverse casse di cipresso erano stati portati avant l'altare piccolo di s. Pietro sotto la confessione, dove tutti quei giorni erano state custodite sotto chiavi et sigilli. Parve cosa molto conveniente il mantenerli nel medesimo possesso di vicinanza appresso il corpo di s. Pietro, acciochè  p713 anche per l'avvenire questa prerogativa, et honore servisse loro in luogo di gloriosa inscrittione, che dovesse essere loro cosa grata; se come si erano trovati senza distintione di nomi et accompagnati, così ancora un solo tumulo li raccogliesse insieme, amandosi tra di loro i santi martiri come s. Gregorio Nazianzeno meravigliosamente dice. Ripieno però il fondamento vicino al piano del pavimento inferiore sei o sette palmi, vi si fabbricò appresso un decente e capace sepolcro, e nel giorno 28 di luglio, nel qual giorno venne a cadere la festa di s. Vittore uno di quei pontefici che era sepolto vicino al corpo di s. Pietro, fu fatta la loro repositione. Vi intervennero alcuni canonici, con altri sacerdoti della basilica, i quali con lumi, hinni e salmi poterono meritare di ministrare e servire a questi gloriosi santi loro padroni. Si venne con siffatta maniera in un certo modo a consecrare quel fondamento, et a consegnare alla tutela, et protetione di quei santi la colonna, che sopra vi si doveva erigere. Fu lasciata dentro al tumulo intagliato in lamina di piombo questa memoria. Corpora Sanctorum prope sepulchrum sancti Petri inventa cum fundamenta effoderentur aereis columnis, ab Urbano VIII super hac fornice erectis, hic simul collecta et reposita die 28 iulii 1626.

"Effossione del secondo fondamento.

"Avanti alla confessione di ricontro al primo fondamento cominciandosi a cavare per il secondo non prima di cinque palmi sotto, si scoperse dal lato un pilo grande, e di grosse lastre, questi poco impedendo il sito necessario per il fondamento fu pensato che bastasse solamente tagliare e restringere. Tagliato da un capo ci si rimirarono dentro delle ceneri con molt'ossa ed adunate insieme tutte mezz'abbrucciate: queste ridussero in memoria quel famoso incendio ne' tempi di Nerone tre anni avanti il martirio di s. Pietro, quando accusati falsamente i cristiani di tal incendio, e chiamati di tanta colpa rei, diedero particolarmente nel circo appresso gli horti di Nerone qui sotto al Vaticano i primi spettacoli del martirio, questi parte esposti, et accesi ad uso di lumiere notturne, parte fieramente in diversi modi uccisi augurarono al Vaticano con il lume loro i vivi splendori della vera religione e con il sangue la nuova porpora dei più degni e perpetui honori. Questi come si riferisce, furono sepolti, vicino al medesimo luogo dove patirono il martirio, e diedero principio e occasione al culto e veneratione di questo sacro luogo, che fu poi  p714 con diverso nome chiamato martirio, confessione, et oratorio — e che tre anni dopo fatto già con questi martiri quasi prezioso anello, contenne in sè sepolta e legata quella gran pietra. E fu questo ancora meraviglioso l'eterno consiglio, che precedesse alla croce di Pietro, come a quella di Cristo, la strage, di tanti innocenti. Riverimmo perciò quelle sante ossa, come dei primi fondatori di questa gran basilica, e primitie dei nostri martiri, e ristretto il pilo si lasciarono nel medesimo luogo. Non si trovò in tutta quest'effossione altri pili che bisognasse toccare, o removere. Alcune ossa, ma rare, si andorno raccogliendo tra la terra.

Quarta medaglia nel secondo fondamento. Fu in questo sito trovata una medaglia di Faustina figliuola di Antonino Pio et di Faustina moglie di Marco Aurelio, e madre di Comodo imperatore. Sulla testa si leggeva FAVSTINA AVGVSTA. Nel rovescio una figura in piedi, che nella destra teneva una palma, e nella sinistra una cornucopia, e si leggeva intorno HILARITAS etc., dalle bande S. C. Questa fu l'ultima delle medaglie che furono trovate, le quali quanto furono maggiori contrassegni de' tempi crudeli e barbari contro i christiani, tanto ci rappresentarono martiri più invitti e grandi. E come sempre con la gloria de' martiri va congiunto l'obbrobrio, et infamia de' tiranni, fu ottenuto che non forse altri imperatori provarno al pari di questi la spada della divina vendetta. Commodo dopo essersi stato dato il veleno, fu strangolato da Narciso per opera di Marcia sua concubina, di Eletto, suo cubiculario e di Leto prefetto de' soldati. Gallieno vide Valeriano suo padre prigione di Sapre re de' Persi, il quale sette anni lo tenne in una gabbia, e quando cavalcava si serviva di lui per sgabello, e poi lo fece scorticar vivo. Contro Gallieno istesso che l'anno 254 fu imperadore 7 anni in compagnia del padre e 8 solo, si sollevarno trenta tiranni, e fu ucciso intorno a Milano l'anno 299. Lasciò l'impero assieme con Diocletiano, et in ultimo fu strangolato. Al fondo quasi di palmi dodici si scopersero alcuni tegoloni di terra della medesima fattura, e posti nella medesima memoria che sopra si è detto degli altri. Questi coprivano un corpo intero di lunga statura, che misurato si trovò di palmi 8½, la faccia verso l'altare, mani soprapposte, tutto il rimanente del corpo nelle sue parti aderente e congiunto. Non v'era segno alcuno di vestimenti, nè medaglia, o altro segno, ma le ossa erano benissimo conservate e vi era stata usata la medesima diligenza di gesso e calce. Fu riposto questo insieme con le altre ossa in quel medesimo pilo dove furono lasciate  p715 le altre dette di sopra mezz'abbrucciate con la medesima veneratione e memoria che si usò nelle prime il dì . . . d'agosto. L'effossione di questo fondamento fu di palmi 28, et il terreno cavato fu di diversa qualità del primo assai meno molle, di colore quasi giallo e meno smosso, nè vi erano in questa parte vestigii di muri antichi come nell'altra, la quale veniva a esser più vicina a quella parte del cerchio che fu compreso da Costantino nella fabbrica della chiesa vecchia.

"Effossione del terzo fondamento.

"Dal primo fondamento si cominciò il taglio de' muri sotto alle volte per venir addirittura all'effossione di questo terzo che viene a cadere a lato del corno dell'Epistola: avanti all'altar maggiore si venne a scoprire parte del muro del presbiterio vecchio, dove erano i sedili per i cardinali, che quasi una reliquia tirava a sè la veneratione di chi lo riguardava. Questo si ritrovò ancora quando si cavò il quarto fondamento nella parte di rincontro, et osservandosi il suo ambito e curvatura si vide, che obediva per l'appunto alla positura della nicchia dove è la finestrella di bronzo sotto l'altare non venendo per linea diretta verso la porta di mezzo la basilica, ma scostandosi verso la cappella Gregoriana, si fece prova, che sodo e fondamento avesse sotto questa muraglia, et appena toccò terra il piccone, che incontrò nuovi pili e sepolcri, che rinnovò la meraviglia. Si ritrovò ancora in questa parte non molto palmi sotto, quel medesimo muro stesso, al quale appoggiavano, come abbiamo detto di sopra lateralmente i tumuli e sepolcri della prima effossione. Era nel di sopra ornato quasi un palmo con stucchi ancora ben conservati, et accennava che la maggior parte della fabbrica fosse sottocoperta, et che fosse avanzo di picciol tempio, o teatro dei gentili. Si trovò in quell'effossione poco sotto al piano del pavimento un pilo maggiore assai degli altri il quale in un lato della lastra superiore che lo copriva, aveva un grosso anello di ferro. Fu alzata, nè altro vi si conobbe che alcune poche reliquie di polvere e ceneri, e pareva che altre volte fosse stato aperto. Nel mezzo del pilo vi era una lastra sostenuta da due spranghe di ferro, pure con il suo anello in mezzo, sotto il quale non vi si potè discernere figura di corpi interi, ma vi era molto più polvere che nel primo e tutte di colore . . . ripieni di molta umidità. Seguendosi il cavamento sei o sette palmi sotto, da un lato venne percossa e rotta una lastra da piedi a un sepolcro: non era questo pilo formato, ma erano quattro  p716 lastre insieme congiunte in figura triangolare. Dentro vi furono trovate molte ossa ben sopraposte et ferme con alcuni pezzi di vestimenti, che parevano di pianeta, et appariva ancora il drappo tessuto con molt'oro, vi si vedevano fra le ceneri e polvere mescolate molte qualità di fili d'oro. Fuori delle lastre non vi si trovò nè segno nè lettera alcuna, solamente in quella che copriva di sopra nella parte di dentro, per il traverso aveva intagliati certi nomi di consoli. Di simili lastre et pietre servite prima a usi profani de' gentili et poi prese da christiani a loro usi, et in queste et in molte altre effossioni in diversi tempi se ne sono trovate molte, come ne sono memoria nel nostro archivio. Nè deve questo far meraviglia sapendosi che queste parte vicine al cerchio et agli giardini di Nerone essere state piene di sepolcri, statue et simulacri, che però Eliogabalo venendo impedito da questi il corso delle quadriglie, ne fece parte gettare a terra. Fra queste infami et sozze memorie di gentili furono costretti quei primi cristiani a nascondere, e seppellire quelle prime gemme di martiri. Et se avessero ardito o di rompere statue, o di violare sepolcri, non solamente avrebbono esposte se stessi a pene gravissime, che questo era da loro desiderato, e si legge qt volentieri i christiani per seppellire i martiri diventassero martiri, ma avrebbono le medesime ceneri ed ossa de' martiri esposte a nuove pene et ingiurie. A tempo poi di Costantino cessate le persecuzioni, essendo già il Vaticano per il sangue di tanti martiri e tanti corpi santi ivi sepolti, di un puzzolente sterquilinio di gentilità, divenuto quasi un paradiso terrestre, e di vaso di contumelii, fatto un vaso di gloria, nella edificatione della nuova chiesa parve quasi che stimasse Costantino con il pontefice Silvestro di fare a quel luogo ingiuria, se da quelle memorie e marmi antichi l'avessero voluto ancora purgare. Senza dunque toccare o disotterrare l'antico, lasciò che il piede del peccatore conculcasse, e tenesse sotto i piedi legata e imprigionata la gentilità. È noto ancora per l'istrie che ne' suoi tempi Costantino non volse mai usare violenza o forza o fare editto, ma permise semplicemente, che simili memorie e simulacri antichi fossero rotte, guaste ed esposte a ludibrio, acciò così venisse la gentilità a poco a poco senza riguardo di honore a essere sepolta. Non deve però esser di meraviglia se seguitandosi l'effossione sedici palmi sotto, fu ritrovata una statua d'un gentile. Stava questa quasi collocata sopra un letto conforme al costume antico distesa alle mense, una mano appoggiava alla testa, l'altra teneva appresso un vaso o scodella che si fosse, era con la sua veste  p717 senatoria, et con il piede nudo conforme all'uso di que' tempi, quando dai bagni si andava alla mensa. La testa era rotta nell'occipitio, nel resto intiera. Non fu stimata di posta molto eccellente e però levata fu messa tra gli altri marmi della fabbrica. Poco più sotto si trovarno alcuni tegoloni antichi che coprivano un corpo di gran statua, il quale non fu necessario di rimuovere perocchè trovato il sodo, qui fermò l'effossione di palmi . . . . .

"Altri pili si scoprivano in questo fondo tra i lati intagliati e lavorati di favole, et istorie profane, che non furono tocchi. La qualità del terreno in questa parte fu assai simile a quella del primo. I corpi et ossa remosse furono rimesse con l'istessa veneratione e memoria nel giorno 12 di settembre 1626.

"Quarto fondamento.

"Di rincontro al terzo, nella parte dell'Evangelo all'altare, si v a cavare il quarto fondamento: per arrivare al sito di questo quarto, si scoprì l'altra parte del muro del presbiterio vecchio come si è notato di sopra. — Quasi al pari del pavimento si trovò un pilo di belle e grosse lastre: e di grandezza non ordinaria. Era situato tanto questo quanto gli altri, che si trovarno nell'altra parte di rincontro dentro del cerchio del presbiterio, in maniera che i pili tendeano verso l'altare, come tendono i raggi verso il centro d'una rota, che perciò pareva, che con molta particolar ragione meritasse questo luogo nome di concilio di martiri, con qual nome tra gli altri furono chiamati quei luoghi dove riposavano molti martiri, come si nota nel martirologio romano alli 23 di giugno. — Onde assistevano quei corpi al corpo di Pietro come se insieme vivi v'avesse fatto sinodo o concilio, e con molta ragione si vidde convenire a questo sacro thoro quelle parole della . . . . .

"Questo tumulo così situato contenea due corpi, coperti e uniti con quella maniera di legature che si è osservato negli altri, si scorgevano le loro figure e apparivano i vestimenti larghi, copiosi e lunghi sino al piede, di uno appariva la forma della pianeta aperta sopra le spalle, si vedeva in tutte due la tela sottile dei camici, con i lavori di due dita a piede di un piccolo rabesco, i vestimenti inferiori grossi copiosi e tutta forma monacale di color fusco e quasi nero. Ogni cosa quasi polvere fuori che i capelli i quali lunghi in forma di zazzera egualmente recisi parevano tagliati di fresco et erano di color castagno. Alcune poche ossa ancora si trovarno conservate in una scatola a parte. Concorsero molte conietture  p718 di stimar questi di quei primi pontefici greci. Non fu remosso in questa parte altro pilo, non essendo molti altri, che si videro nei lati d'impedimento. Si scopersero bene sotto a detti pili alcuni concavi ripieni di osse congeste con alcune teste formate pure con gesso, e di queste fu necessario votarne qualcuno, che fu offeso dall'opera dei manuali. In questa parte si andò solamente a fondo palmi . . . . . che presto si trovò il sodo nel riempirsi il fondamento, come si era osservato negli altri. Si fabbricò appresso un decente tumulo et nel giorno 12 di settembre vi si riposero le ceneri, et le ossa trovate in questa parte, insieme, con la scatola dentrovi quei capelli, e fu il medesimo giorno che si riposero gli altri corpi del terzo fondamento. Della terra di queste effossioni ne concesse il pontefice una cassa a' padri Teatini per onorare una nuova chiesa che in Napoli fabbricavano in onore di s. Pietro. Ne concesse ancora a' padri Carmelitani scalzi che, come pretiosa reliquia con molte istanza la richiesero applicando a spiet quello che con occasione di s. Lorenzo cantò Prudenzio.

"Scrivendo la storia di quell'opera che sopra di questi fondamenti verrà fatta all'aperto, si lascia a ingegno più chiaro e fecondo et a penna più illustre e corrente.

L. D. B. V. M. ac ss. Apostolis."

Sul luogo adunque nel quale fu seppellito l'apostolo venne edificato dai suoi discepoli un monumento sepolcrale, una cella memoriae, chiamata trofeo dal prete Caio, presso la quale i successori di Pietro fino a Zeffirino furono pressochè tutti sepolti: ma essendo forse quel cimitero antichissimo, non sotterraneo con ambulacri, gallerie e cubicoli, ma istituito all'aperto cielo a maniera d'area come quelli d'Africa, si rese difficile la sepoltura in quel luogo per le leggi spli degli imperatori del secolo III in ordine alle sepolture dei cristiani, le quali costrinsero i fedeli a rimuovere per qualche tempo anche di là le reliquie dell'apostolo e trasferirle in un antichissimo nascondiglio ancora esistente sulla via Appia nel luogo detto ad catacumbas.

Accordata da Costantino la pace alla Chiesa sotto il papa Silvestro, come narra il Libro pontificale, quegli fece edificare sul sepolcro dell'apostolo, senza rimuoverlo affatto dal sito primitivo, una grande basilica preceduta da un atrio e da portico, distinta in cinque navi terminate da grande tribuna. A ricordo poi del suo grandioso lavoro sull'arco trionfale si leggeva la iscrizione dedicatoria dell'imperatore:

QVOD DVCE QVESTE MVNDVS SVRREXIT AD ASTRA TRIVMPHANS

HANC CONSTANTINVS VICTOR TIBI CONDIDIT AVLAM.

 p719  Fino a questi ultimi tempi s'era ignorata l'esistenza di un musaico sopra l'epigrafe suddetta, ma il ch. archeologo signor Frothingham ne ha trovato notizia nell'opera del cardinale Iacobacci, De Concilio, stampata nel 1538; ove si dice che fino a pochi anni innanzi si vedeva in quell'arco maggiore effigiato in musaico l'imperatore Costantino presentato da s. Pietro al Salvatore nell'atto di offrirgli la basilica da sè edificata. Questa bella scoperta conferma in modo evidente l'origine costantiniana della basilica: l'imperatore anzi, come si vide dalle demolizioni della basilica, volle che gran parte del materiale laterizio fosse a bella posta lavorato, e sui sigilli delle fornace fece imprimere il suo nome CONSTANTINVS AVG. D. N.

Fra la tribuna e la nave traversa era il sepolcro di s. Pietro: il quale è ancora nel medesimo luogo, e come scrive il p. Severano, non è stato mai mosso nè aperto da pontefice alcuno.

Le cinque navi della basilica erano sostenute da novantasei colonne marmoree di varie dimensioni, altre di marmo, altre di granito, ecc le prime due vicino alle porte, le quali erano di marmo africano, giudicate le più belle che mai siano state viste nel mondo e di pregio inarrivabile, che poi segate e dimezzata furono poste nel portico della nuova basilica ai due lati della porta maggiore.

Cinque grandi porte, ciascuna delle quali ebbe il suo nome, mettevano alle cinque navi della basilica: posteriormente vi furono aggiunte altre porte secondarie.

Un grande atrio precedeva la chiesa, circondato da portici sostenuto nei tre lati da colonne, ed in quello aderente alla fronte della chiesa si apriva una porta di bronzo sormontata da una statua marmorea di s. Pietro posta sotto un ciborio di bronzo sostenuto da due colonne di porfido.

Nel portico di fronte a questo s'aprivano, le une dirimpetto alle altre, sei porte fiancheggiate da colonne, che Paolo V, adoperò poi nella fabbrica della fontana monumentale al Gianicolo. Al portico si ascendeva per trentacinque scalini di marmo disposti in cinque ordini: ai lati della basilica e delle scale, fuori perciò del quadriportico e delle mura della chiesa, erano state da Costantino edificate due abitazioni, dette dal Libro pontificale nella vita di Simmaco episcopie, onde ebbe origine il palazzo pontificale attuale: sugli avanzi della episcopia sinistra fu edificato il palazzo del s. Uffizio e le abitazioni pei canonici.

 p720  Le scale suddette dai pii romei si solevano salire colle ginocchia, ma quando Simmaco nel 498 le ampliò, ve ne aggiunse altre, e per comodo del popolo le copri con una tettoia o portico dai due lati: in tal modo volle salire Carlo Magno quando la prima volta venne in Roma sotto Adriano I l'anno 774. Più tardi Leone III rinnovò di nuovo quelle scale storiche. I visitatori dei sacri limini fino dal secolo VIII cominciavano le loro visite dalla basilica vaticana, indi per una serie non interrotta di portici giungevano alla ostiense: dalla vaticana al ponte Elio correva la portica di s. Pietro: presso al castello entravano per l'arco eretto da Graziano Valentiniano e Teodosio ad concludendum opus omne porticuum maximorum.º A quell'arco facevano capo i portici massimi non mai interrotti dal ponte Elio fino alla basilica ostiense. I ruderi ne esistevano ancora nel secolo XIV: nel suo tratto centrale questa via conserva ancora il nome di Via del Pellegrino.

Innanzi a quelle scale nella piccola piazza che le precedeva, e che per avere una forma di corte era detta cortina s. Petri, v'era un grande vaso di porfido ad uso di fonte fatto erigere da papa Simmaco, vicino al quale sorgeva da un lato l'abitazione edificata da s. Gregorio per la schola cantorum da lui istituita.

L'atrio costantiniano avanti alla chiesa, che nel 678 fu dal papa Dono risarcito, si chiamò più comunemente paradisus (giardino), perchè anticamente questi atrî erano ornati di piante e verzure che davano al luogo un aspetto di giardino vaghissimo.

Nel secolo IV in Roma la festa di s. Pietro si solennizzava con quella pompa simile all'odierna di Natale, anche per la giocondità e la pompa dei banchetti e delle pubbliche illuminazioni. Narra s. Girolamo che in quel dì ebbe in dono dalla vergine Eustochio frutta e dolci in forma di colombe, di che ringraziandola non cessava di raccomandarle, massime in quel giorni così solenne in Roma, la sobrietà: Festus est dies et natalis b. Petri . . . . . unde nobis sollicitius providendum est ut solemnem diem non tam ciborum abundantia, quam spiritus exultatione celebremus: quia valde absurdum est nimia saturitate velle honorare martyrem, quem scias Deo placuisse ieiuniis.

Infatti sotto quei portici si celebravano quelle solenni agapi e conviti che da principio erano offerti ai poveri, ma che poi degenerarono  p721 in tanto abuso, che s. Paolino esclamò: Mensa Petri recipit quod Petri dogma recusat, e s. Agostino nel 395 scriveva ad Alipio: de basilica b. Petri apostoli quotidianae vinolentiae proferuntur exempla.

In quel portico si leggeva un'epigrafe del papa Giovanni I il cui testo si conserva nel codice palatino: Simplicio lo aveva di nuovo riedificato l'anno 468, ed era allora chiamato palmario; Simmaco vi raccolse l'anno 504 il sinodo quarto, detto perciò Palmario. In mezzo all'atrio, di fronte alla chiesa vi era una fonte edificata da s. Damaso, le cui acque aveva egli raccolte allacciandole da varie vene e sorgenti del colle vaticano e che lasciate già in abbandono danneggiavano i sepolcri e le ossa dei fedeli sepolti in quel luogo.

Di questo suo lavoro Damaso lasciò ricordo in un'epigrafe da lui composta e il cui testo nel marmo originale si conserva ancora nelle odierne grotte vaticane. Egli si servì di quell'acqua medesima per alimentarne la fonte del battisterio vaticano da lui costruito, la cui decorazione fu poi continuata e compiuta da Longiniano prefetto di Roma nel 403. Molte memorie di amaso v'erano in quel battisterio, delle quali una parte è stata ai giorni nostri rinvenuta nelle suddette grotte.

Il fonte damasiano nell'atrio della basilica era grande e magnifico, circondato da colonne di porfido sostenenti una cupola di bronzo. Simmaco lo rese più magnifico, vi pose alcuni delfini e pavoni di bronzo dorato che gittavano acqua, ed al di sopra alzò la magnifica pigna di bronzo che sta oggi nel cortile del Vaticano, la quale prende il nome da quella. Nel portico che precedeva immediatamente la chiesa vi erano sepolcri di molti papi ed altri illustri personaggi.

Cinque erano le porte principali della basilica, di cui la media era detta argentea, perchè ornata di lavori di quel metallo da s. Gregorio il Grande, alla quale fu da Eugenio IV sostituita quella di bronzo che ivi ancora si vede. La seconda a destra era detta romana, la terza guidonea, perchè di là entravano i pellegrini ed ivi stanziavano i guidones, color cioè così detti con vocabolo longobardo che accompagnavano i pellegrini; la quarta, presso la porta argentea, si chiamava ravignanaravennate, perchè per essa entravano gli abitanti del Trastevere, allora detto città de' Ravennati; la quinta si chiamava  p722 del giudizio perchè per essa si portavano i morti a seppellire.

Presso la porta guidonea v'era una porticella detta santa antica, la quale s'apriva al termine del giubileo ogni secolo, ed era piccola ed angusta affinchè innanzi a quella richiamassero a mente i fedeli le parole di Cristo in ordine alle porte del regno dei cieli, che il Signore descrive angustissime in s. Luca: contendite intrare per angustam portam. Ma Sisto IV, ad ovviare il pericolo di gravi disgrazie che accadevano nell'affollarsi del popolo, il quale s'accalcava per quel pertugio nei giubilei, ordinò se ne abbandonasse l'uso e ne aprì una amplissima detta porta santa.

Entrando in chiesa per la porta guidonea, si vedeva in quel luogo, dove fu poi aperta la nuova porta santa, una cappella detta del presepio, edificata da Giovanni VII circa l'anno 705, tutta ornata di musaico e sotto all'imagine della Vergine si leggeva l'iscrizione seguente:

IOHANNE INDIGNVS EPISCOPVS FECIT

B. DEI GENITRICIS SERVVS

Nelle pareti erano istoriate tutte le scene relative alla predicazione dell'apostolo nelle città di Antiochia, di Gerusalemme e di Roma accompagnate dalle leggende:

CIVITAS ANTIOCHIA

CIVITAS HIEROSOLYMA

CIVITAS ROMA

Innanzi alla cappella v'era l'altare pure dedicato dallo stesso Giovanni VII in cui si custodiva l'antichissima imagine del Redentore, detta la Veronica; reliquia che era quasi la meta principale dei pellegrinaggi medievali a Roma. Nella distruzione della basilica non si tenne conto veruno di tutti quei preziosi musaici, e solo l'imagine della Vergine fu distaccata e donata dal cardinale arciprete Pallotta alla famiglia dei Ricci che la collocarono nella loro cappella in s. Marco di Firenze.

Al servizio di questa chiesa v'erano alcuni chierici e mansionarî che sono ricordati negli antichi documenti, e massime in uno antichissimo nell'archivio di quella, ove si legge:

IO. VMB. CLERICVS ET MANS. S. MARIAE IN BERONICA

Così comunemente appellavasi l'oratorio di Giovanni VII.

 p723 Pressochè innumerabile era il numero degli altari e cappelle sparsi nell'immensa basilica, tra i quali si ricordano specialmente quelli di s. Tridenzio, di s. Vincenzo, e dei ss. Lorenzo e Giorgio.

Ma veniamo ora a dire d'uno dei monumenti più insigni della medesima, cioè del suo antichissimo battistero. In mezzo della nave traversa, dove ora è lo spazio fra i pilastri della cupola e della tribuna verso settentrione, s. Damaso eresse un fonte alimentato dalle acque che scorrevano nelle viscere del colle e che danneggiavano, come dicemmo, il cimitero vaticano. Di questo lasciò l'epitaffio metrico che si conserva ora nelle grotte vaticane, e che è inserito nel lungo documento da noi già riportato nella sua integrità. Longiniano, lo compì, e dei lavori del pio prefetto della nostra città nell'anno 403, resta il ricordo nel seguente epitaffio, di cui un frammento si è da non molto rinvenuto nella basilica sotterranea:

LONGINIANVS V. C. PRAEF. VRBIS ET ANASTASIA C. F. EIVS
AD AVGENDVM SPLENDOREM BASILICAE APOSTOLICAE PETRI
PAVIMENTVM PARIETES ITEM CAELVM SACRI FONTIS QVEM DVDVM
DAMASVS VIR SANCTVS IN EA . . . EXTRVXIT SVMPTV PROPRIO
MARMORVM CVLTV ET MVSIVO OPERE DECORARVNT

Lo stesso Damaso scrisse inoltre presso il suddetto fonte quest'epigramma, che l'autore della silloge palatina vide ad fontes s. Petri:

NON HAEC HVMANIS OPIBVS NON ARTE MAGISTRA
SED PRAESTANTE PETRO CVI TRADITA IANVA COELI EST
ANTISTES CHRISTI COMPOSVIT DAMASVS
VNA PETRI SEDES VNVM VERVMQVE LAVACRVM
VINCVLA NVLLA TENENT QVEM LIQVOR ISTITVITE LAVAT

In questo battistero era situata la cattedra di s. Pietro; ed Ennodio di Pavia, che visse alla fine del secolo V, accennando ai nuovi battezzati i quali uscivano dal fonte vaticano per essere unti colla confermazione del vescovo o del papa, scrive che questi era seduto nella sella gestatoria apostolicae confessionis, onde Siricio, successore di damaso, scriveva in quel medesimo luogo:

FONTE SACRO MAGNVS MERVIT SEDERE SACERDOS.

 p724  Prudenzio descrivendo il battistero del Vaticano lo appellò senz'altro la cathedra apostolica. Abbiamo accennato ai musaici dell'arco trionfale, nel quale da un pilastro all'altro v'era una grossissima trave a modo di ponte, e sopra a questo vi era una croce colossale, e dall'una e dall'altra parte della medesima due grandi chiavi fabbricate con anelli di ferro, dove nelle feste solenni e nelleº vigilie si accendevano molti lumi che facevano magnifico effetto:º e veramente fino a' nostri tempi si è mantenuto in s. Pietro quest'uso di sospendere una croce luminosa nell'alto della volta.

Innanzi all'altare di s. Pietro v'erano poi dodici colonne sostenute da un architrave sormontato da altrettante statue postevi da s. Leone IV, le quali rappresentavano il Salvatore fra gli angeli a cui facevano ala i dodici apostoli. Questo portico era stato edificato da Costantino per dare maggiore venerazione ed onore al sepolcro dell'apostolo. Da ambedue le parti del suddetto portichetto per due porticine si discendeva alla confessione sotto l'altare del sepolcro.

Questo sta nel medesimo luogo dove fu la prima volta deposto il corpo del santo apostolo, per non rimuovere il quale, nella basilica sopra edificata, non fu lasciato neppure perfettamente nel mezzo. Dopo i doni preziosissimi di cui Costantino ornò quel sacrosanto sepolcro, vanno ricordati quelli di Sisto III, che vi spese oltre a 400 libbre d'argento, e di Valentiniano Augusto che vi pose un'imagine d'oro massiccio ornata di gemme preziosissime, della quale parla Adriano I in una delle sue epistole: Ilario, Simmaco, Ormisda, Pelagio II, Gregorio il Grande tutti fecero a gara per arricchire quell'inestimabile sepolcro di lampade e d'ornamenti preziosi: Ormisda, per esempio, fece una trave d'argento innanzi alla confessione per sostener la lampada che pesava 1400 libbre; Pelagio coprì tutta la confessione di grosse lastre dello stesso metallo; s. Gregorio vi costruì un ciborio sostenuto da quattro colonne pure d'argento; e sarebbe impossibile riepilogare qui i doni che nel volgere di tanti secoli la cristianità tutta offrì a quel sepolcro, ove giacciono le reliquie dell'apostolo, fondamento e pietra della santa Chiesa.

Il sepolcro poi al quale si discendeva per doppia cataratta, era circondato da transenne marmoree; e dai varî fori i fedeli calavano chiavette d'oro, d'argento, di bronzo che, dopo aver con esse toccato il sepolcro, ritiravano e conservavano come preziose reliquie; si calavano pure veli chiamati sanctuariabrandea.

S. Gregorio di Tours dice che coloro che scendevano al sepolcro di spiet s'appressavano ad una finestrella aperta  p725 ed in essa mettendo il capo domandavano quello che desideravano e tutto ottenevano; e poi, per averne un segno, preso un velo, lo pesavano e quindi, calatolo sopra al sepolcro, ve lo lasciavano per qualche tumulo poscia, ritiratolo, se lo trovavano di peso maggiore, consideravano ciò come segno dell'ottenuto favore.

Terminava la chiesa con una grandiosa tribuna il cui piano era superiore a quello delle navate e vi si accedeva per sette scalini di porfido, i quali dai fedeli si salivano colle ginocchia. Cogli avanzi di quegli scalini furono fatti i due attuali innanzi alla nuova tribuna.

Il fondo della medesima era messo a musaico ed ornato di commesso di varî e ricchi marmi, che furono demoliti e distrutti da Sisto V per l'innalzamento della cupola. Quei musaici però ricordavano l'opera d'Innocenzo III, essendo caduti e distrutti quelli fattevi porre dell'imperatore Costantino e da papa Adriano.

Innocenzo III v'avea fatto rappresentare il Salvatore seduto in cattedrale fra gli apostoli Pietro e Paolo, presso le cui figure i nomi dei due apostoli erano scritti a lettere in colonna e ripetuti in lingua greca e latina: S. PETRVS . S. PAVLVS O. A. PETROC O. A. PAVΛOC,º e presso la testa del Salvatore si leggevano le iniziali ΙϹ . ΧΡ. Ai piedi del Redentore v'era il consueto mistico monte da cui sgorgano i quattro fiumi, ai quali si appressavano due cervi, e sotto ai fiumi si leggevano i loro soliti nomi. Nella zona riservata nel centro, sopra un monte, era posto il divino agnello sorreggente colle zampe la croce; entro un tabernacolo a sinistra di chi riguardava si vedeva l'imagine d'Innocenzo III col suo nome INNOCENTIVS PP. III, e dall'altro lato la imagine di una matrona con una bandiera spiegata e presso la medesima: ECCLESIA ROMANA; sei agnelli per parte si avvicinavano al monte rappresentanti i due elementi costitutivi della Chiesa di Gesù Cristo, cioè le genti e la sinagoga. Ed infatti chiudevano la scena le due città di Betlemme e di Gerusalemme coi loro nomi, indicanti appunto nella prima la vocazione delle genti, nella seconda la vocazione degli ebrei.

Al di sotto del musaico, in giro, si leggevano i seguenti versi:

SVMMA · PETRI · SEDES · EST · HAEC · SACRA · PRINCIPIS · AEDES

MATER · CVNCTARVM · DECOR · ET · DECVS · ECCLESIARVM

DEVOTVS · CHRISTO · TEMPLO · QVI · SERVIT · IN · ISTO

FLORES · VIRTVTIS · CAPIET · FRVCTVSQVE · SALVTIS

 p726  Nell'ambone poi dell'Evangelo vi erano scolpiti i seguenti versi:

SCANDITE · CANTANTES · DOMINO · DOMINUMQUE · LEGENTES

EX · ALTO · POPULIS · VERBA · SUPERNA · SONENT

Il Grimaldi così riepiloga la descrizione della basilica costantiniana: Sancto Pietro è longo 200 passi e largo 112 con cinque navi con colonne, et ha altari 52 con un pavimento di marmi et porfidi et serpentini mischiati et la tribuna di musaici.

Sulle pareti della nave inferiore vi erano poi dipinte le scene del nuovo e del vecchio testamento, opera fatta eseguire nell'897 dal papa Formoso: Niccolò III vi fece rappresentare tutte le serie dei ritratti dei papi insino al suo tempo.

L'iconografia della basilica fu delineata da Tiberio Alfarini e incisa nel 1590. Le sue navi erano sostenute da ottantotto colonne e da otto pilastri. S. Paolino di Nola l'anno 397 ne dà una descrizione sommaria. Il nome e l'insegne di Celestino erano espresse sulla fronte, nell'arco maggiore, nell'abside.

All'altar maggiore si ascendea per sette gradini. Al di sotto v'era l'ipogeo della confessione. Venivano poi gli oratorî della confessione cogli altari seguenti:

Altare dei ss. Sisto e Fabiano ad ferratam colle reliquie di Sisto II.

Altare dei ss. Pietro e Paolo.

Oratorio di s. Leone il Grande. — Quivi erano i corpi dei due santi Leoni.

Oratorio di s. Adriano col corpo di Adriano I.

Altare dei XII apostoli.

Oratorio della b. Vergine di Paolo I, ove era il sepolcro del detto papa.

Un altare coll'imagine di s. Alessio.

Oratorio dei ss. Processo e Martiniano fatto dal papa Pasquale I.

Oratorio di s. Maurizio.

Altare di s. Silvestro.

Altare di s. Bartolomeo.

Altare di s. Lucia.

Oratorio della s. Croce.

Il Battisterio di Damaso.

Oratorio della ss. Vergine, fatto da Gregorio III.
 p727  Altare di s. Pietro detto del pastore.

Altare dei ss. Simone e Giuda.

Il sacello di Bonifazio VIII.

Il sepolcro e altare di Leone IX.

Altare di s. Egidio.

Altare di s. Marziale.

Altare di s. Tridenzio.

Altare di s. Antonino martire.

Altare di s. Ambrogio.

Oratorio di s. Vincenzo.

Oratorio di s. Maria ad Praesepe di Giovanni VII.

Oratorio della Veronica.

Atrio colla fonte e la piazza.

Sulla porta il musaico di Giotto, rappresentante Pietro che cammina sulle acque.

Le porte erano:

Santa.

Guidonea.

Romana, per la quale entravano le donne.

Argentea.

Ravegnana.

Del Giudizio.

Nella porta di bronzo erano scritte a lettere d'argento i nomi delle città che Carlo Magno avea donato alla Sede Apostolica.

Anche la facciata della chiesa era tutta messa a musaici, opera di Gregorio IV, che poi fu restaurata da Gregorio IX. Il tetto stesso dell'immensa basilica era monumentale, poichè Onorio I nel 638 lo aveva fatto coprire con tegole di bronzo, e, scrive il Severano, che alcune di quelle tegole si sono conservate insino ai tempi nostri e si sono viste quando è stato demolito sotto Paolo V insieme ad altre nelle quali si leggevano i nomi di Alessandro III, di Innocenzo II, di Celestino III, di Benedetto XII. In altre si leggevano i dischi di re Teodorico: REGNANTE D. N. THEODORICO FELIX ROMA, ovvero BONO ROMAE, essendo noto che quel re, benchè eretico, fu divotissimo di s. Pietro, la cui basilica ed il cui sepolcro arricchì di ornamenti.

Nella demolizione della chiesa, che non si potrà mai bastantemente deplorare, si rinvennero perfino i travi d'abete delle selve di Calabria lunghi 133 palmi dei tempi di Gregorio il Grande e di Sergio.

 p727  La storia della Cristianità a cifre monumentali era scritta in quell'insigne monumento, che in un modo grandioso rappresentava il concetto dell'universalità della Chiesa. Ivi infatti presso il corpo di s. Pietro dormivano i suoi primi successori, e si veneravano le reliquie dei principi della Chiesa; tutte le nazioni chiamate alla luce del Vangelo presso quella basilica avevano le loro scuole ed ospedali, e un numero sterminato di oratorî, di basiliche, di monasteri e di chiese facevano corona a Pietro, fondamento della Chiesa, madre dei santi. Ricorderemo fra i corpi dei papi quelli degli immediati successori di Pietro, da Lino a Vittore, e dei santi pontefici Leone I, II, III, IV e IX, di Bonifacio IV, dei santi apostoli Simone e Giuda, di s. Gregorio il Grande, dei ss. Processo e Martiniano, di s. Petronilla, di s. Giovanni Crisostomo, di s. Gregorio Nazianzeno, di s. Alessio e di una turba infinita di martiri.

Nel portico poi v'erano i sepolcri di parecchi imperatori e principi reali fino a quello di Ottone II di Germania, di Cedualla e d'Offa re degli anglo-sassoni; giacchè per la riverenza a s. Pietro, siccome spiega il Grisostomo, i re si credevano onorati di essere quasi gli ianitores o custodi delle sue porte: quod enim imperatoribus sunt in aulis ianitores, hoc in sepulchro Piscatoris sunt imperatores.

Dopo undici secoli di una storia così gloriosa, Niccolò V concepì il pensiero di rinnovare la basilica, Paolo II s'accinse all'opera, Giulio II la incominciò, e fu proseguita da Leone X, Clemente VII, Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo V, fino agli altri successori.

Imponente, chi lo nega, è la cupola vaticana; splendida la basilica attuale, forse l'arte vi avrà guadagnato, non però la storia, che vide irreparabilmente perire sotto il piccone degli artisti paganeggianti del secolo XVI i tesori d'arte e di religione che tutte le generazioni cristiane per undici secoli avevano ivi senza interruzione accumulato!

Negli avvisi a stampa nell'archivio vaticano si leggono sulle demolizioni della biblioteca basilica le seguenti notizie:

"1606 di Roma li 8 febbraio. — Hiermattina fu dato principio ad atterrare il tetto della vecchia fabrica di s. Pietro con non poco spavento di quei muratori, uno de quali cadde a basso restando tutto fracassato et poco sopravisse, potendosi credere che per la indulgenzia plenaria con la remissione dei peccati concessa a tutti quelli che ivi lavorando muoiono, possa esser andato in luogo di salvatione.
 p729  "4 ottobre 1606. — Par che sia stato risoluto dalla Congregazione della fabrica di s. Pietro di chiuderla conforme al disegno detto con un'altra tribuna senza fondare altre cappelle, sendo stato trovato, che sarà più espediente in vece delle due cappelle rimovere l'altare grande dal mezzo della tribuna et portarlo avanti verso la sede pontificale, il che non solo verrà a darle la proporzione, ma sarà molto maggiore commodità, et in questa guisa renderà maggiore vaghezza, sendo anche state portate tutte le sepolture delli papi nella chiesa sotterranea et ivi accomodate per ordine lasciando in arbitrio di particolari che voglione far maggiore spesa et collocarle nella fabrica nuova."

Il monumento del fatto dogmatico della venuta di Pietro a Roma, la basilica costantiniana avrebbe per sè solo tolto ogni lena ai nemici di Pietro che s'arrabbattano a negarlo.

La colpa non è degli uomini, ma dei tempi; e sieno sempre grazie a Dio che il monumento più prezioso resta ancora in quel luogo, cioè le gloriose ed intatte ceneri di Pietro, come sull'opposta sponda del Tevere stanno, nel suo sarcofago, quelle di Paolo.

Nei regesti di Clemente V si trova notizia dei restauri ordinati dal papa alla basilica nei termini seguenti:

Clemens V committit episcopo Viterbiensi et aliis ut reparetur basilica s. Petri de Urbe in qua vultus Redemptoris nostri imago et corpus aetherei iaculatoris et innumerabilium martyrum aliorumque sanctorum reliquiae divina clementia collocavit. Ea quae sunt reparanda ibi exprimantur inter caetera in eadem basilica reparetur logia versus locum qui dicitur S. Mariae Pregnantis unde itur ad canonicam.

Ed in quella di Benedetto XII:

Mandat Ioanni Piscis quatenus ad urbem se personaliter conferens se informet de structura et reparatione basilicae principis apostolorum de dicta urbe in qua s. corpus ipsius celebri memoria requiescit, nec non de reparatione Palatiorum Apostolicorum urbis praefatae ad de pecuniis per Ioannem XXII propter hoc illuc missis et de proventibus majoris altaris eiusdem basilicae ad cameram Apostolicam spectantibus, prout etiam de nemoribus unde poterunt haberi lignamina pro praemissis et postmodum rediens plene et distincte referat. Si vero aliqua adea ruinosa essent quod non possent plenam reparationem expectare illa interim sartari faciat et fulciri.

 p730  Notte e giorno il sepolcro dell'apostolo, senza interruzione era visitato da turbe di pellegrini i quali soleano per divozione accendere ceri in tutti gli angoli della chiesa, sicchè non solo ne ardeano in ciascun altare, ma nei portici, nell'atrio e infine nelle scale esteriori. Innocenzo III concedette ai canonici della basilica l'entrata che esso ed i predecessori suoi aveano delle imagini di s. Pietro e s. Paolo che si fondevano in piombo o in stagno per darle ai pellegrini, i quali le riportavano nelle loro patrie come ricordo del compiuto pellegrinaggio; ed Onorio III confermò lo stesso privilegio:

Archipresbytero et canonicis basilicae principis apostolorum confirmat privilegium de redditu qui provenit ex signis plumbeis sive stagneis apostolorum Petri et Pauli imaginem proferentibus, quibus eorum limina visitantes se ipsos insigniunt cum auctoritate et fundendi aeque fusoribus concedendi et locandi.

Le offerte poi in denaro erano così copiose che superavano i trentamila e quattrocento fiorini d'oro l'anno. Nei regesti di Giovanni XXII su queste elemosine trovo il seguente cenno:

Concedit in subsidium quotidianarum distributionem, oblationes et vota quae fiunt imaginibus constitutis in media facie pilastri basilicae principis apostolorum de urbe in qua b. Petri corpus cum innumeris sanctorum corporibus requiescit et vultus redemptoris imago, quae vulgo Veronica appellatur. . ..

Oltre l'atrio o cortile nei quattro lati chiuso da portici, era al di qua una grande area da cui discendeasi nella sottoposta piazza appellata cortina, alla quale faceva capo un portico coperto che incominciava dalla mole adriana e che nel medio evo si diceva il portico maggiore, ovest la portica di s. Pietro.

Nè questo lungo portico era speciale alla nostra basilica, poichè sappiamo che un altro per la basilica di s. Lorenzo sulla via tiburtina, che incominciava pure dalla porta della città. Antichissima è l'origine di questi portici, sotto ai quali un'incessante processione di pellegrini s'aggirava, e dove pure dimoravano i venditori di religiosi oggetti che i Romani del secolo XVI chiamavano paternostrari; ultima reminiscenza dei quali si ha in una delle vie che mena alla basilica vaticana, voglio dire la via dei Coronari.

Nè solo sotto la portica stanziavano i paternostrari ed i pictoresvenditores Veronicarum, ma sulle scale, nella cortina,  p731 nell'atrio, nel paradiso ed in tutte le adiacenze della basilica. Intorno a che molte e preziose notizie si trovano nei libri censuali dell'archivio della basilica medesima.

Trovo, per esempio, che Leone X l'anno 1515 confirmat ususfructum et utile dominium claustri, porticus, scalarum, basilicae, et totius adiacentis plateae quod vulgo platea s. Petri nuncupatur quae stipendiarii ad custodiam apothecarum deputati violenta usurpatione exigebant pretium stationis a venundantibus et machinas et pulpita arripiebant vi et armis.

Nel paradiso, per es., della basilica, vi erano botteghe, banchi e posti (loca) di venditori appellati paliatores, e nella piazza erano situati i campsores, i mezzo ai quali v'erano anche venditori di commestibili. Così nel censuale del 1384 trovo ricordati loca vendentium ficus in paradiso e vicino a quelli loca aurificum existentium in paradiso.

Nell'anno medesimo e nel medesimo documento sono nominati:

Loca vendentium pannos bombicinos

Loca vendentium margaritas cipressinas

Loca ciabattariorum et extrahentium dentes super scalas.

Loca Trabactariorum

Loca vendentium olera et panes et fructus et pisces salatos super scalas et circa eas nec non et certas alias truffas.

Insomma la vita pubblica, il commercio, il movimento cittadino svolgevasi intorno la basilica di s. Pietro che era così il centro non solo del movimento religioso, ma anche civile. Nè gli ebrei erano estranei a questo commercio; leggo infatti nello stesso censuale:

Item a Lello Petropauli de Paulileonibus pro quodam bancho ubi stat iudaeus ad vendendas bursias siricatas et alias res de sirico sub domo ymaginis Salvatoris in platea sancti Petri.

paternostrari poi erano situati nella parrocchia di santa Maria in Traspontina, nella contrada detta delle incarcerate.

A questo proposito trovo pure le seguenti notizie sugli abusi che commetteano i marescalchi della corte capitolina:

Mandat Raymundo Epo. Reatino et Abb. Monasterii s. Blasii in Cantusecuto ac archipb. eccl. s. Vincentii de Urbe quatenus marescalcos Curiae Capitolinae d. urbis appellatione postposita compellant  p732 ad cessandum et devitandum omnino ab indebitis exactionibus violentiis et enormitatibus quas exercent contra priorem et capitulum basilicae Vat. occasione qua iidem marescalci tempore maioris ebdomadae propter multitudinem peregrinorum ad d. basilicam confluentium ad obviandum scandalis et periculo imminentibus per altararium eiusd. basilicae ac dictos priorem et capitulum assumuntur pro custodia: cuius custodia praetextu provisione victus soluta non contenti sibi iurisdictionem vindicant. Tallias imponunt et quod nefandius est multas in honestatem mulierum turpitudines perpetrant impudenter in platea Scalis et Paradiso ac per totam Porticam basilicae.

Nei regesti di Giovanni XXII trovo anche una concessione di pensione quas debent campsores et vendentes mercimonia seu alia quaecumque a ianuis iu quas est cimiterium canonicorum usque in pede plateae contiguae gradibus dictae basilicae factae in subsidium quotidianarum distributionum. Ma il documento più importante in ordine a questi venditori è il seguente compromesso, o composizione fatta sotto lo stesso pontificato di Giovanni XXII, fra il capitolo di s. Pietro et providos et discretos viros nel documento nominati, praetextu et occasione anchorum plateae basilicae memoratae, documento che io debbo alla cortesia del rev. e benemerito don Pietro Wenzel, custode degli archivî segreti della s. Sede.

È registrato negli istrumenti autentici del notaio Ludovico Cecio:

In nomine Domini amen. Nos Paulus de Comite praepositus Nivellen. vicarius rev. patris et domini Neapoleonis sancti Adrianis cardinalis ac archipresbyteri basilicae principi apostolorum de Urbe arbiter ac arbitrator et amicabilis compositor et comunis amicus inter priorem canonicos et capitulum basilicae principis apostolorum de urbe nomine ipsius basilicae ex parte una et providos et discretos viros Petrum philippini Petrum lombardi, Iohannem mattei cinagnia, Lellum Cicci cimini Petrum Iacobi ppazuri Thebaldis Petrutium Scangia elemosinam Iaquintellum phylippini Nicolaum Bartholomei Iudicis Petrutium Scangia elemosinam Iohanne Sclara Paulum Cinagna et Lutium Cirini ac quemlibet eorumdem ex altera omnes de Urbe. Pretextu et occasione banchorum plateae basilicae memoratae per praedictos omnes priorem canonicos et capitulum ac praedictos omnes nominatos Cansores et quemlibet eorumdem libere ac alte et basse compromissio inter nos  p733 ut apparet manu Iohannis Notarii infrascripti. Viso itaque compromisso praedicto inter nos facto per partes praedictas, visis discussisque sententiis latis et pronuntiatis pro d. basilica contra praedictos cansores et ipsorum quemlibet. Visis expensis assignatis per procuratorem d. basilicae coram nobis omnibusque meritis coram nobis productis dictis et allegatis, habitoque super hiis consilio sapientium habitaque nobiscum deliberatione solemni. In his scriptis pro bono pacis et concordiae viam amicabilis compositoris tenentes Christi nomine invocato pronuntiamus declaramus praecipimus mandamus et sententiamus sub poena in compromissio apposita ut praedicti cansores et quilibet ipsorum debeant recognoscere et tenere in praesentia prioris et capituli ipsas banchas fuisse quest esse d. basilicae ac retinere ab ipsa basilica et nomine ipsius basilicae. Et quod renuntient omnibus controversiis litibus et quistionibus quas habuerunt habent et habere possunt cum d. priore et capitulo nomine basilicae praedictae occasione bancharum ipsarum. Item quod facta dicta recognitione et confessione dictorum cansorum prior et capitulum teneantur et debeant locare praedictis cansoribus et cuilibet ipsorum dictas banchas et quamlibet ipsarum usque ad decem annos incipientes a festo b. Virginis Annuntiationis videlicet de mense martii proxime praeterito praedicti anni in antea. Item quod quaelibet bancha erit quatuor palmorum et longa sex palmorum ad mensuram senatus. Item quod unusquisque cansor qui retinet bancham in locationem et retinebit solvat pro bancha, pro censu et redditu annis singulis in dicto festo Annuntiationis b. Virginis sollidos X provisinorum pro locatione banchae. Item quod omnes cansores omnium bancharum et universitas ipsorum vel alii bancas tenentes teneantur dare capitulo anno quolibet usque ad tempus praedictum decem annorum tres libras croci in festo praedicto. Item quod omnes expensas factas in ipso litigio, quae sunt numero CC librae vel CLXXX praedicti cansores teneantur dare et restituere ipsi basilicae hinc ad tres annos quolibet anno in quadragesima tertiam partem dictae summae. Tertiam partem vero in festo resurrectionis Domini anni XXVIII. Residuum vero tertiam partem in alio tertio festo sequentis anni XXIX et inter banchas remanebunt certae viae prout nobis videbitur expediens et haberi facilis possit accessus ad basilicam per Christi fideles. Item volumus et mandamus quod praesens nostrum arbitrium laudum sententia pronuntiatio declaratio seu amicabilis compositio per utramque partium praedictarum sub poena in compromisso contenta debeat inviolabiliter observari.

 p734  Lectum latum et pronuntiatum fuit dictum laudum arbitrium compositio amicabilis sententia pronuntiatio declaratio seu quocunque nomine melius censeri et dici potest per supradictum dominum Paulum arbitrum et arbitratorem et amicabilem compositorem inter partes praedictas. Sub anno domini millesimo trecentesimo vigesimo septimo. Pontificatus domini Ioannis papae XXII anno XI indictione decima mense martii in dicta basilica ubi ipse dominus Paulus inhabitat praesentibus providis viris Iohanni domini Orlandonis de Zanchato de placentia familiaribus domini Pauli praefati testibus ad haec vocatis specialiter et rogatis.

La semplicità di quei tempi e di quei costumi, tanto diversi dalle nostre abitudini moderne, non meno si mostra in ordine ad alcuni usi e festività religiose nell'interno della basilica. Nella solennità di Pentecoste, durante l'uffiziatura solenne, si facevano volare per la chiesa trenta tortorelle, la cui spesa è segnata nei la basilici capitolari. Infatti nel libro delle spese del capitolo dell'anno 1403 trovo le seguenti note: Solvimus pro triginta turturibus in festo Pentecostes ecc. E nella stessa solennità si mostrava anche un gallo vivo, che dovea ricordare la predizione fatta a s. Pietro della sua negazione e nel tempo stesso la sua prima predica in Gerusalemme:

Eodem die solvimus pro uno gallo pro dicto festo ut moris est — n. VIII; e più sotto è notata la spesa dello spago per legare il gallo: Item solvimus pro spaco pro ligando gallum in dicto festo ut moris est ecc.

Nella stessa festa di Pentecoste, mentre il papa processionalmente incedeva, gli si faceva cadere sul capo della stoppa accesa, il che anche si praticava nella solennità di Pasqua, e al kirie si spargevano per la chiesa flores et nebulas ad declarandum adventum Spiritus Sancti, uso che si manteneva anche in s. Maria Rotonda, dal cui tetto mittebantur rosae in figura eiusdem Spiritus Sancti, come si pratica anche nella basilica liberiana, dai cui lucernarî si fa cadere una pioggia di gelsomini il giorno della festa di s. Maria della Neve.

Non sparei con certezza determinare che cosa significhino queste nebulae che si gettavano da tutti gli angoli della basilica vaticana. Trovo per esempio ricordato negli antichi statuti dei canonici di s. Quintino, che nel mezzo di alcune solennità ad postmeridiem dabat praepositus nebulas et oblatas et moretum  p735 et vinum, ligna et sal. Ma qui non cade dubbio che con quel nome si indichino alcuni dolci sottilissimi della forma d'ostie rotonde e di color rossiccio, usate ancora nella città di Piacenza e che si chiamano appunto dal popolo nevole. Però le nebulae della basilica vaticana non sembrano cose mangerecce, poichè nei libri della medesima così se ne parla: Solvimus ad impacandum nebulas ad domum dominae Bartholmeae cum illis qui em adiuvarunt ecc.; ed altrove: Die eodem solvimus pro XXIIII milliariis nebularum pro praedicto festo Pentecostes, videlicet pro duobus in festo s. Petronillae ecc.; da che risulta che queste nebule erano un oggetto leggerissimo e vagolante per l'ambiente della basilica come le rose, i fiori e la stoffa ardente. Infatti nell'Ordinario manoscritto ecclesiae rotomagensis si legge che come in Roma, così in quella chiesa s'usava nel giorno di Pentecoste dum incipitur Veni Creator proicere ante chorum folia quercuum, nebulas et stupas ardentes in mana quanittae; ond'io credo che le nebulae della basilica vaticana non fossero altro che piccoli e sottilissimi fiocchi di lana, poichè si dice che durante il canto del Gloria, emittunt volare versus chorum aves parvos et mediocres cum nebulis ligatis ad tibiam in competenti numero.

Di queste semplici e graziose usanze ne rimane una ancora nella basilica Vaticana, ed è quella di sospendere alla porta maggiore esterna della medesima nel giorno festivo di s. Pietro una specie di grosso pallone di foglie di busso, del quale s'ignorava ili significato. In un framentoº di lapide cimiteriale credo d'aver trovato la spiegazione di quell'arnese che è un simbolo affatto pescatorio e che si adopera ancora dai nostri pescatori delle rive romane del Mediterraneo per conservare il pesce vivo nell'acqua dopo tolto dalla rete.

Dietro la tribuna della basilica, v'era un luogo che si chiamava Egitto, forse perchè vi erano piantate delle palme, o perchè non lungi vi era la chiesa di s. Stefano Maggiore detto degli Abissini. Nei censuali, in data 12 maggio 1493, trovo ricordata una domuncula posita in loco qui dicitur Egiptus (sic) retro tribunam dictae basilicae manu sinistra intrando Egiptum ecc. Al modo stesso Ierusalem appellavasi un monastero presso la basilica i cui monaci la uffiziavano come quelli di molti altri atgi monasteri; il nostro era dedicato a s. Vincenzo e ne parleremo a suo luogo.

Ai tempi di Innocenzo III la basilica avea soggette come filiali le seguenti chiese: s. Maria in Palazzolo, s. Salvatore iuxta turriones, s. Giustino, s. Pellegrino, s. Maria de' Vergari, s. Salvatore de coxa caballi, s. Giorgio, s. Zenone, s. Gregorio  p736 de palatio, s. Gregorio de cortina, s. Martino del portico, s. Lorenzo de piscibus, s. Giacomo in septimiano, s. Leonardo ibidem, s. Michele, s. Maria in Saxia, s. Maria in Tras pontina, s. Stefano minore.

Presso la basilica v'era un ospedale detto Ospitale di s. Pietromente del quale fa menzione l'Anonimo di Torino, e la cui edificazione risale ai tempi di Leone III, come abbiamo dalla sua biografia nel Libro pontificale. Età vicinissimo a quello di s. Pellegrino in Naumachia; e il Vignoli, nelle note al passo di quel libro, suppone che l'ospedale suddetto fosse situato dietro l'abside della basilica, giacchè egli dice che in quel luogo si vedeva nell'edificazione del nuovo tempio un avanzo di mura che si attribuiva a quest'ospedale.

Fra le pietre poste anticamente in opera nel lastrico della cappella sistina v'hanno alcuni frammenti d'iscrizioni cristiane tolte certamente ai monumenti della vicina basilica. Fra queste ve ne ha una del tenore seguente: . .TI . SCS TH. . .

Sospetto provenga dall'oratorio di s. Tommaso, che fu edificato dal papa Simmaco.

In un documento dell'archivio de' Brevi di cui mi ha dato notizia il ch. mons. Pietro de Romanis, si trova che nella fabbrica della basilica furono adoperate anche moltissime pietre e materiali estratti dagli scavi d'Ostia l'anno 1593. Ecco le parole in proposito: Pro fabrica s. Petri de Urbe licentia deputatis extrahendi lapides marmoreas extra civitatem ostiensem.

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