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R. Monti (2)
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

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R. Trevi

 p192  (RIONE MONTI)

S. Pudenziana

"L'antica fama, così il De Rossi, le narrazioni divulgate sotto i nomi di Pastore e di Timoteo, le lettere di Pio I a Giusto di Vienna, il libro pontificale ci hanno tramandato che l'odierna chiesa di s. Pudenziana battezzato dagli apostoli e nominato nelle epistole di Paolo; che in quella chiesa furono celebrate frequenti adunanze dei primi cristiani, e che Pudenziana, Prassede e Timoteo, figliuoli di Pudente, fecero quivi dedicare dal papa Pio I un fonte battesimale e costituire in titolo romano le attigue terme di Novato." Egli è certo che in quella chiesa esistono monumenti che ne accennano l'esistenza fino almeno dal secolo IV. In un epitaffio sepolcrale dell'anno 384, che porta i nomi della coppia consolare Ricimere e Clearco, è nominato un Leopardo lector de Pudentiana: è la più antica memoria monumentale superstite di quel titolo. Adunque è fuori dubbio che nel 584 esisteva in Roma un titolo, il cui clero era chiamato de Pudentiana, che è manifestamente il titolo che noi chiamiamo chiesa di s. Pudenziana, epiteto dedotto dal cognome Pudens, giacchè all'appellativo de Pudentiana evidentemente va sottintesa la voce ecclesia. Infatti nell'antichissimo musaico della basilica contemporaneo al nostro lector si legge le parole DOMINUS CONSERVATOR ECCLESIAE PUDENTIANAE, dalle quali risulta che il vocabolo di s. Pudenziana attribuito alla chiesa non è antico, e che esso si dicea in origine titulus sancti Pudentis e perciò ecclesia Pudentiana: infatti i preti di quel titolo che sottoscrissero al sinodo di Simmaco nel secolo V si chiamavano: Asterius presbyter tituli sancti Pudentis — Iustinus presbyter tituli sancti Pudentis. Questa chiesa ebbe dunque tre nomi diversi, corrispondenti tutti alla tradizione delle sue origini, cioè: titulus Pudentis, titulus Pudentianae, ecclesia Pudentiana. Insomma la nostra chiesa fu appellata o di s. Pudente, ovvero Pudenziana. Come la santa di cotesto cognome dal padre derivò il suo, così il titolo da lei oggi denominato in  p193 origine ebbe altro nome e di maggiore autorità e storico valore. Nel pontificato di Siricio, essendo preti dell'ecclesia pudentiana Ilicio, Leopardo et Massimo, per cura di questi furono fatti dei nuovi lavori nella medesima. Ciò risulta da una iscrizione monumentale segata poi in varie tavole di marmo e poste in costruzione nel medio evo negli amboni di questa chiesa ristorata da Innocenzo III: lastre che dopo le demolizioni di quegli amboni furono affisse alle pareti della cappella di s. Pietro in fondo alla nave sinistra, e che in parte rimosse di là sono ora nel museo del Laterano.

L'epigrafe ricomposta dal chiarissimo De Rossi dà il seguente contesto: SALVO SIRICIO EPISCOPO ECCLESIAE SANCTAE ET ILICIO LEOPARDO ET MAXIMO PRESB ([ALT dell'immagine: missing ALT]). I lavori furono compiui da Innocenzo I e lo stesso Panvinio vide nella chiesa l'epigrafe che li ricordava.

Nell'alto della conca regna nel centro la Croce gemmata fiancheggiata ai due lati da quattro simboli degli Evangelisti. Nella zone inferiore sta Cristo seduto in trono con libro aperto in cui si legge la inserita epigrafe. Come accessorî del suo trono e trionfante con lui v'erano i 12 apostoli; ai piedi dei due primi si leggevano i nomi). La parola salvo fu propria delle epigrafi di edificî sacri e denotava che non era morto il personaggio a cui si preponeva. Ora da un'altra epigrafe copiata dal Suarez, vescovo di Vaison, uno dei più dotti clienti dei Barberini ai tempi di Urbano VIII, risulta che questi preti rifecero dalle fondamenta la chiesa di Pudente ai tempi di Onorio ed Eutichiano, i quali tennero appunto i fasci nel pontificato di Siricio.

Il più insigne mnuu della basilica è il musaico della abside, ovest il Salvatore è effigiato in mezzo ai dodici apostoli, benchè oggi se ne vedano dieci soli, poichè la conca dell'abside fu tagliata nei lavori fatti dal cardinale Enrico Gaetani circa l'anno 1588. Quest'oppure spetta, come dimostra il De Rossi, precisamente all'edificio rifatto nel 398, all'epoca di Siricio. Il Salvatore tiene in mano un libro aperto nel quale è scritto DOMINUS CONSERVATOR ECCLESIAE PUDENTIANAE, preziosa epigrafe di antico sapore, scrive il De Rossi, che manifestamente allude a conservazione dell'antica ecclesia pudentiana. Il Panvinio osservò pel primo che l'abside era adorna pulchriori musivo quod si trova in urbe. I lavori furono compiui da Innocenzo I e lo stesso Panvinio vide nella chiesa l'epigrafe che li ricordava.

Nell'alto della conca regna nel centro la Croce gemmata fiancheggiata ai due lati da quattro simboli degli Evangelisti. Nella zone inferiore sta Cristo seduto in trono con libro aperto in cui si legge la inserita epigrafe. Come accessorî del suo trono e trionfante con lui v'erano i 12 apostoli; ai piedi dei due primi si leggevano i nomi Petrus, Paulus, periti nei lavori del Caetani. Due donne ritte in piedi dietro il collegio apostolico stringono nelle destre le corone del premio sollevandole verso il Salvatore; l'una è di tipo senile, l'altra giovanile. Esse sono Pudenziana e Prassede; la scena è chiusa da un portico e da altri edificî del vico patricio; è quindi una prospettiva di  p194 Roma della fine del secolo IV. Se i preti Ilicio e Leopardo rifondarono a loro spese l'aula principale, il prete Massimo tolse sopra di sè la cura della annessa cappella appellata di s. Pietro nelle terme di Novato. Fino al secolo XVI nella cappella predetta vi rimaneva un nobilissimo musaico opera di quel prete. Ivi era ritratto s. Pietro sedente in cattedra insegnante alle pecorelle di Cristo, due delle quali gli stavano ai lati e sopra la bellissima comprn si leggeva l'epigrafe: MAXIMUS FECIT CUM SUIS. V'era pure il Salvatore fra i santi Novato e Timoteo fratelli di Pudenziana e Prassede, i quali donarono alla chiesa le terme appellate Novaziane e forse anche Timotine. Un'altra insigne epigrafe ha il De Rossi divulgato in dichiarazione della storia dell'ecclesia pudentiana, scoperta nell'Esquilino l'anno 1850, che è del tenore seguente:

OMNIA QUAE VIDENTUR

A MEMORIA SANCTI MAR

TYRIS YPPOLITI USQUE HOC

SURGERE TECTA ILICIUS

PRESB. SUMTU PROPIO FECIT.

Sulla volta dell'oratorio nelle quattro lunette vi sono i quattro evangelisti con i loro animali simbolici e le leggende:

FRONS HOMINIS PANDIT XRI COMMERCI CARNE

ALTA NIMIS SCANDIT FACIES AQUILINA

IOHANNI . . . . . .

BOANCIS (sic) SPECIES EST MUTATIO . . . ANTIS.

Resta anche parte dell'antico pavimento del suddetto oratorio, formato di tasselli bianchi e neri e d'antiche tegole romane, in una delle quali si legge il noto sigillo: C. CAPETANI FAVORIS HERMETIS. Nelle pareti della cappella di s. Pietro v'ha a mano manca la tavola in marmo che era murata nel vecchio ambone, poi distrutto colle memorie della consecrazione della chiesa rinnovata sotto s. Gregorio VII. Eccone le parole:

TEMPORE GREGORII SEPTIMI PRAESULIS ALMI

PRAESBYTER EXIMIUS PRAECLARUS VIR BENEDICTUS

MORIENS, ECCLESIAM RENOVAVIT FUNDITUS ISTAM

QUAM CONSECRAVIT SACER IDEM CARDINALIS

EIUSDEM SANE FECIT SUPER TEMPORE PAPAE

AUGUSTI MENSIS SEPTENIS NEMPE CALENDIS

NOMINE PASTORIS PRAECURSORIBUSQUE IOHANNIS.

V'ha il catalogo in versi delle reliquie poste in quel luogo dal nominato cd. L'iscrizione, per colpa dello scalpellino, è  p195 in due luoghi errata nell'ultima linea. Da questa preziosa epigrafe si conclude che dalla chiesa di s. Ippolito nel vico patrizio fino alla chiesa pudenziana il prete Ilicio eresse una serie di edificî. Infatti nel grande musaico dell'abside di s. Pudenziana, si vede dietro il consesso del Salvatore cogli apostoli e alle falde di un colle coperto di nobili edificî un lungo tetto sostenuto da costruzioni arcuate. Il Biachini riconobbe in quella fabbrica la chiesa di s. Pudenziana ristorata sotto Siricio, e nelle sovrastanti moli le nobili case del vico patricio.

L'epigrafe del prete Ilario, così il De Rossi, indicante la tecta surgentiamemoria sancti martyris Hippoliti, conferma l'interpretazione data dal Bianchini alla prospettiva effigiata nell'abside della chiesa pudentiana e ci insegna perfino l'autore preciso di quella parte del rinnovato edificio, cioè del prospetto dato alla casa pudenziana nei lavori eseguiti dal 390 al 398. Nel 1883 si scoprì nel cimitero di s. Ippolito sulla via Tiburtina un'epigrafe dell'anno 528, in cui si dimostrano le relazioni esistenti tra quel cimitero e il titolo del vico patrizio; l'epigrafe appartiene ad un lictor tituli pudentis. Nella parte postica della chiesa restano ancora antichissime costruzioni di bella opera laterizia probabilmente avanzo delle terme di Timoteo. Dietro l'abside entro il monastero v'hanno gli avanzi di un antico oratorio medievale adorno di pitture del secolo circa XII.

Nella papa di fronte del medesimo è rappresentata la ss. Vergine col bambino nel seno: essa è corteggiata di due sante adorne il capo di mitelle che le offrono corone; sono probabilmente le sante Pudenziana e Prassede.

Sulla volta v'è il mistico agnello cinto la testa di nimbo ed intorno vi si leggono le parole: AGNVS HONOR. . . .

Nella papa sinistra v'ha una scena di battesimo solenne e si veggono due personaggi immersi nel fonte e sotto la leggenda:

† AUSIT MACTAT . . . . HIC VIVO FONTE RENATOS.

Alla sinistra sono rappresentati i santi apostoli Pietro, Paolo e Pudenziana, coi loro nomi † PAULUS . . . PETRUS . . QUESTA PUDENT . . . .

Forse a quest'oratorio apparteneva l'iscrizione che fu trascritta nel secolo XVI, in cui era rappresentata la santa eponima come una delle spose della parabola delle vergini prudenti.

Sotto le imagini infatti della medesima santa e di Prassede si leggeva:

PROTEGE PRAECLARA NOS VIRGO PUDENTIANA

VIRGO PUDENTIANA CORAM STAT LAMPADE PLENA

NOS PIA PRAXEDIS PRECE. . . . . . .

 p196  Oratorio del B. Niccolò Albergati

Nella casa già Volpato in via Urbana presso s. Pudenziana eravi una cappella di rara magnificenza sotto il cui altare veneravasi il corpo di una santa martire. Quella cappella ricorda la memoria di questo santo personaggio, il quale abitò in quella casa durante la sua dimora in Roma, facendovi erigere quell'oratorio che fece adornare con pitture di stile grottesco: in una nicchia vi si vedeva la scena della crocifissione. La casa fu trasformata poi e ridotta a noviziato dei onaci cisterciensi: e quando essi abbandonarono s. Pudenziana per trasferirsi a s. Bernardo alle Terme, l'antico loro noviziato tornò a diventare abitazione di privati. Fu comprata dall'amico di Canova Giovanni Volpato, il quali ingrandì ed adornò superbamente l'oratorio del b. Niccolò, del quale in un foglio volante illustrò le memorie. Fra i benemeriti di quest'oratorio è da ricordare Emanuele Marini, il quale dimorando in quella casa non solo pensò a restaurarlo ma a celebrarvi solennemente ai 10 di maggio la festa del santo titolare con gran numero di messe e concorso di popolo. Caduta la casa in altre mani, quell'oratorio insigne fu distrutto scomparendo così quella memoria del santo porporato e diplomatico.

S. Eufemia al vico patrizio

Questa chiesa, la quale sorgeva presso il titolo di Pudente, è ricordata dal libro pontificale fino dal tempo di Leone III: pari mod fecit et in monasterio sanctorum Euphemiae et Archangeli quod ponitur intra titulum Pudentis canistrum ex argento pensantem libras quinque. Nella pianta di Roma del Bufalini viene indicata presso a poco ovest sorge il monastero del Bambin Gesù dirimpetto a s. Pudenziana. Nella tassa di Pio IV è notata fra i monasteri al tempo di Sisto IV fu dismesso, ed aggiunge che se ne vedono le vestigia nell'andare a s. Maria Maggiore. Infatti le rovine di questa chiesa erano ancora visibili nel 1643. La edificazione della medesima è anteriore al secolo IX, perchè Sergio I la risarcì. Fino al tempo  p197 di Sisto V, che la fece demolire, si vedeva nell'abside il musaico rappresentante la martire s. Eufemia riccamente vestita, orante in mezzo a due serpenti. Distrutto l'antico monastero ricordato dal biografo di Leone III, ne fu costruito in quel luogo un altro che divenne celebre nel secolo XIV.

Ivi le due compagnie dei Raccomandati cioè del Salvatore e del Gonfalone vi celebravano gli anniversarî funebri di alcune badesse di quel monastero, tra le quali l'archivio del Salvatore ricorda una madonna Lorenza delli Pescioni ed una Lorenza Boccamari.

S. Arcangelo Feruntesta

Si è detto di sopra che il papa Leone III, donò un canistrum ex argento al monastero di s. Eufemia ed Arcangelo. Questo passo ha fatto cadree alcuni in errore, il quale ha confuso in una sola le due chiese predette. Ma io seguo l'opinione dell'Adinolfi di ch. me., il quale c'insegna a distinguere le due chiese, però quasi contigue fra loro. Infatti lo stesso libro pontificale ricorda anche le due suddette basiliche, alle quali Leone III offrì vestem de stauraci.

Il Torrigio scrive che sull'area della chiesa di s. Arcangelo, all'epoca sua era stata già innalzata una casa. Il monastero, di cui si discorre, era posto fra le due chiesoline, dalle quali perciò tolse il nome. Gli avanzi della chiesa di s. Arcangelo si videro fino al secolo XVII nell'età di mezzo quella piccola basilica dal popolo si chiamava s. Angelo Feruntesta ovvero Ferintesta, dall'atteggiamento dell'arcangelo recidente colla sua lancia il capo di Satana da lui conquiso. Gregorio de Paparoni donò questa chiesa alla basilica di s. Maria Maggiore, di che si parla in alcune bolle di Celestino III ed Innocenzo IV.

S. Giovanni in dolo (sic)

Di questa chiesuola fa menzione il Martinelli, il quale cambia la oscura denominazione di questa chiesa in quella di una inaudit santa per nome s. Iudola (sic) e che dice esistesse fra s. Pudenziana e s. Vitale.

 p198  Prese il nome forse da qualche labrumdolium, vasca o sarcofago fittile, esistente nell'atrio e nelle adiacenze della chiesa. Il Terribilini sostiene invece che questa chiesuola sorgesse presso le Terme Diocleziane non lungi dall'ingresso attuale della chiesa di s. Maria degli Angeli. Non ho documenti e ragioni per favorire piuttosto l'una che l'altra delle due ipotesi.

Bambin GESÙ

È una divota e graziosa chiesolina, che sorge quasi dirimpetto al titolo di Pudente ed ha annesso un monastero di oblate, che hanno per istituzione di ammaestrare fanciulle e di prepararle a ricevere degnamente la santa Eucaristia. Ebbero origine da un convitto di zitelle istituito dal p. Cosimo Berlintoni e da Anna Morroni lucchese nel 1662. Questa chiesa fu edificata sotto il pontificato di Clemente XII con architettura di Carlo Orlandi, il quale morto nel 1700 lasciò alle convittrici di quel monastero 12000 scudi; di che rimane memoria in una iscrizione che si legge alla destra della chiesa. In un'altra epigrafe posta a sinistra della medesima si rkia che ai 9 settembre 1736 fu solennemente consacrata da monsignor de Almeida, il quale fece pure erigere a sue spese nella medesima chiesa l'altare di s. Andrea Corsini. L'interno è a croce greca e di forma rotonda con cupola a catino e tre altari. Narra il Nibby che il quadro dell'altare maggiore, rappresentante la natività di Gesù Cristo, va sotto il nome di Filippo Evangelisti cameriere del cardinal Corradini e mediocrissimo pittore, colonna quale divideva il prezzo, ritenendo però a sè la gloria del dipinto.

S. Petronilla

Non solo nel mausoleo imperiale del Vaticano ebbe fin dal secolo VIII il culto la celeberrima filia s. Petri Aurelia Petronilla, ma anche in questa contrada di Roma ai piedi dell'Esquilino nelle vicinanze del titulus Pudentis. Forse una qualche relazione storica collegò questa memoria di s. Petronilla al titolo cui la tradizione assegna un'origine apostolica e che si rannoda alla dimora di Pietro in Roma. Nel secolo XIV quell'oratorio era ancora in piedi, anzi aveva annesso un ospedale, e l'uno e l'altro si trovano ricordati nel catalogo dell'anonimo di Torino. Ivi si dice: ospitale s. Petronillae habet servitorem et  p199 unum sacerdotem. Questa chiesa si trova, nel catalogo, fra quelle di s. Lorenzo in fontana e s. Sisto in gallinariis.

S. Lorenzo in Formoso

Tutti gli autori che su quest'argomento hanno raccolto notizie convengono nell'asserire che questa denominazione sia propria dell'antichissima chiesa tuttora esistente in una delle prominenze del Viminale, detta ora s. Lorenzo in panisperna. Il Bruzio propone che fosse detta in formosa dallo splendore forse dei restauri fatto alla chiesa: ipotesi puerile, neppure degna di discussione. Più seria mi sembra quella del Martinelli che la tolse dal Grimaldi, il quale propose che dai lavori fatti a questa chiesa dal papa Formoso fosse così denominata; ma l'espressione in Formoso di legge ordinaria si riferisce piuttosto a nome di luoghi che di persone, e difatti nel secolo IX diceasai in Formoso. Checchè sia del suo oscurssimo nome, egli è certo che è una antichissima chiesa, le cui origini risalgono ai primi secoli della pace e si riferiscono ad una insigne memoria locale del celeberrimo martire di cui porta il nome. Negli atti infatti di s. Lorenzo, la cui ultima compilazione come a noi è pervenuta non può forse giudicarsi anteriore al secolo VIII, si ricorda la chiesa, che è anche mirabilmente descritta da s. Gregorio di Tours. La tradizione vuole infatti che in questo luogo il santo levita fosse stato disteso sulla graticola ardente: ubi assatusubi positus fuit in craticula. Fu una delle abbazie privilegiate di Roma; essendo fatiscente, Bonifacio VIII circa il 1300 la fece riedificare consecrandola il giorno 23 luglio di quell'anno. Leone X le concedette il titolo presbiterale nel 1517, che Sisto V confermò.Nel 1575 fu di nuovo quasi riedificata dal cardinale Guglielmo Sirleto, suo titolare sotto Gregorio XIII. Nelle schede del Galletti nella biblioteca vaticana è riportata la seguente iscrizione, una delle più antiche che faccia menzione della denominazione attuale della chiesa, cioè in panisperna, perchè la credo del secolo XIV.

† HIC IACET PRESBIT NICOLAUS
DE COLUMNA QUI STETI XIIII ANNOS
CAPPELLANUS IN SCO LAURENTIO
IN PANISPERNO
CONSTRUXIT QUODDAM HOSPITALE
PROPE S. BLASIUM DE OLIVA
PRO PAUPERES (sic).

 p200  Molte congetture sono state fatte sulla ragione di questa seconda denominazione, compresa la favolosa della dispensa del pane e prosciutto che ivi si facesse al popolo. Non è impossibile che provenga dal cognome romano dei Perpenna. Infatti in questa chiesa esisteva una epigrafe edita dal Grutero, dal Mazzocchi e da altri, del tenore seguente:

PERPENNIA . HELPIDI . CONIUGI . OPTIMAE
PIISSIMAE . SEX . AEMILIUS . MYRINUS
PERMISSU . ATHIEN
L . CLOCHIAS . P.

Forse da questo marmo casualmente portato in quella chiesa il popolino trasse motivo per chiamarla in panisperna

Il card. Iacopo Colonna la rifece dalle fondamenta dopo averla ottenuta dal card. Pietro Capoccio. Vi era annessa una badìa di benedettini, i quali l'abbandonarono, ed allora fu unita, coi beni, alla basilica lateranense. Il Colonna vi stabilì il contiguo monastero per le monache di s. Chiara. A mano destra della chiesa vi è un altare edificato sul luogo che la tradizione indica esser quello ove subì il martirio il megalo martire della Chiesa romana: a sinistra in un altro altare giacque per qualche tempo il corpo di s. Brigida, prima che fosse trasportato in Svezia. Sul primo altare si leggeva la seguente iscrizione:

[IMAGE] A . D. MCCCLXXXIII .
MENS . IULII . XXIIII . D .
H . ALTARE . EST . CONS
ECRATUM . I . HONO
RE . S . LAVRENTII . [IMAGE].

Durante la sua vita, s. Brigida si recava a questo monastero in abito di mendicante confusa fra la moltitudine dei poveri a domandar cibo per elemosina, come narrasi in una bolla di Bonifacio IX. Membri della famiglia dei Colonna e degli Orsini ebbero sepoltura nella chiesa medesima, presso la quale nel chiostro vi era una cappellina che fu fatta risarcire da un'abbadessa di quel monastero, la quale apparteneva all'illustre famiglia romana dei Prefetti, come ricordava il seguente titoletto:

HOC . OPUS . FECIT . FIERI
DOMINA . GREGORIA . DE . PRAEFECTIS (sic)
ANNO . MCCCCXX.

 p201  S. Sisto in Gallinariis

Così nel medio evo fu denominata una chiesa dedicata al santo papa e martire Sisto II, ucciso l'anno 258 nella persecuzione di Valeriano sopra il cimitero di Callisto. Fino dal secolo VI trovo che in Roma nella regione IV la chiesa suddetta era denominata ad gallinas albas, e che nel secolo duodecimo si diceva con inaudita corrutela del nome suddetto de gallis Alberit, come abbiamo nel catalogo di Cencio Camerario.

La chiesa che oggi è distrutta era diversa da quella che tuttora sorge in Roma col nome di s. Sisto vecchio quasi dirimpetto a quella dei ss. Nereo ed Achilleo. Ma quale fosse l'origine della suddetta denominazione, quale il sito preciso, nessun documento ce lo indica; suppongo tuttavia che sorgesse nelle vicinanze di s. Lorenzo in Panisperna, poichè in quelle adiacenze viene indicata nel codice di Torino, ove si legge che ecclesia s. Sixti in Gallinaris non habet servitorem et est sine muris.

S. Agata in Capite Suburrae ovvero de Caballo
(S. Agata de' Goti)

Questa celeberrima diaconia, la cui origine è assai antica, fu chiamata dei Goti, nome che tuttora ritiene, ma nel secolo VI chiamavasi degli Ariani.

Alla fine del V secolo Flavio Ricimero console occidentale ne adornò di musaici l'abside rappresentante il Salvatore fra gli Apostoli, ove pure pose una epigrafe nel modo seguente: FL . RICIMER . V . I . MAGISTER . UTRIUSQUE . MILITIAE . PATRICIUS ET . EXCONS . ORD . PRO . VOTO SUO . ADORNAVIT.

Il musaico coll'iscrizione suddetta perì barbaramente nel secolo XVI allorchè fu rinnovata la chiesa, cioè l'anno 1589, ma ve ne ha copia a colori di Francesco Penna nella biblioteca vaticana. Dello stesso Ricimere fu trovata un'altra celebre epigrafe nel chiesa, riportata dal Doni e dal Muratori.  p202 

È una lamina votiva di Roma, in cui v'ha una epigrafe in lettere d'argento niellate.

Essa è la seguente:

SALVIS . DD NON
EX PATRICIO
RECIMERE
PLUTINUS
EUSTATHIUS . V . C .
P . URB . FECIT.

Occupata Roma dai Goti, questi se ne impadronirono e la tennero siccome chiesa nazionale, professando essi nella maggior parte l'eresia ariana.

S. Gregorio Magno, tornatone in possesso, la restituì al culto cattolico, e mondolla dalle sozzure di quei nefandi preti ariani, come accenna nella sua epistola all'acolito Leone e nei suoi Dialoghi.

Nel secolo VIII v'era un monastero annesso, i cui monaci lo tennero fino al principio del secolo XIV. Allora quella diaconia diventò collegiata e tale rimase fino all'anno 1567, in cui s. Pio V vi pose gli Umilitati, che poco dopo, in seguito all'attentato contro s. Carlo Borromeo, furono soppressi. Sotto il pontificato di Alessandro VIII era uffiziata dai benedettini di Montevergine. A questi fu concessa dal card. Tolomeo titolare della chiesa nel 1579 con breve di Gregorio XIII in data 10 marzo.

Nel 1644 il tifernate Gio. Antonio Fuccioli istituì presso questa chiesa un collegio pei suoi concittadini acciocchè vi si perfezionassero nelle lettere; lo pose sotto il patronato e il titolo dei ss. Gio. e Carlo e lo volle governato dai pp. Gesuiti. Così trovo in un documento dell'archivio vaticano. Ma anche questa istituzione poi fu distrutta. Della chiesa antica non rimane oggi che il nome, e nell'attigua casa attualmente dimore il collegio irlandese. Ivi fu sepolto il celebre letterato greco Giovanni Lascari, che compose da sè il suo epitaffio.

S. Bernardino da Siena

Sta quasi dirimpetto alla porta laterale dell'anzidetta di s. Agata, e sorge sulle rovine dell'antico monastero ed oratorio di s. Veneranda. Il papa Clemente VIII vi trasferì le monache francescane che erano in s. Eufemia. L'odierna chiesa fu innalzata sugli avanzi di un'antica sala di pianta ellittica, e fu consecrata l'anno 1625. Qui fu sepolto il celebre cardinale Guglielmo  p203 Sirleto. Vicino alla chiesa era la casa di Quirino Garzonio nobile romano, che vi ospitò s. Ignazio da Loyola ed alcuni dei suoi primi compagni.

S. Salvatore ai Monti

Il Bruzio la confonde con quella che fu detta, dalla omonima torre, delle Milizie. È invece distante dalla prima e tuttora esiste nella via della Madonna de' Monti presso la chiesa di questo nome, non lungi dalla Torre de' Conti, detta nei secoli di mezzo turris secura e volgarmente torre scura.

Il Terribilini afferma che fu distrutta nel sacco di Borbone. Fu già dedicata a s. Andrea, come si raccoglie da una epigrafe che ricorda il pontificato di Clemente II nel 1046, e che era scolpita nel primo scalino dell'altar maggiore in latino, assai trascurata, riferita dal Mellini:

TEMPORIBUS DNI CLEMENTIS SECUNDI
PAPE MENSE DECEMBER DIE IIII
INDICT DECIMA DEDICATIO ISTIUS ECCLESIAE
AD HONOREM SANCTI ANDREE
RELIQUIAM OLEUM ET LAPIDEM SANCTUM
SEPULCHRUM DOMINI SANCTIQUE STEPHANI
PP. URBANI DIONISIS SOPHIE ET ALIORUM
SANCTORUM.

Il Martinelli non ne fa menzione. La chiesuola tuttora esiste benchè ridotta ad uso di oratorio. È congiunta all'ospizio dei Catecumeni eretto presso la Madonna de' Monti. Fu già parrocchiale e riedificata dopo il 1500. Arse nel sacco dato a Roma dalle soldatesche di Carlo V. Ivi ebbero le loro tombe gentilizie le famiglie Albertini, Saba, e Dello Roscio. Fu confusa colla chiesa di s. Pantaleo trium clibanorum (Madonna del Buon Consiglio) ed infatti nella iscrizione di Urbano VIII che vi si legge nella porta maggiore trovasi confermato l'equivoco: Antiqua paroecialis ecclesia — SS. Salvatoris et s. Pantaleonis — ab Urbano VIII P. M. — Hospitio Cathecumenorum concessa — vetustate fatiscens a fundamentis renovata et in elegantiorem formam redacta a. MDCCLXII, e poi sotto sul plinto della porta: Templum s. Salvatoris ad Montes.

Allato e dietro la chiesa era un orto di madonna Cornelia degli Alessi, ed ivi sorgeva la Torre SicuraSecura, da cui prese il nome anche la chiesa.

 p204  S. Giovanni in Carapullo

Il Lonigo ignorando affatto il sito preciso della chiesa, alla strana denominazione in carapullo sostituisce l'altra in crinibus plumbi meno corrotta, aggiungendo che fu chiesa parrocchiale, la quale soleva riccevere i consueti sei denari di presbiterio. Il catalogo di Torino infatti annovera la chiesa fra quelle del rione de' Monti e la pone nella seconda partita, cioè in quella dei ss. Cosma e Damiano: ecclesia s. Iohannis in Crapullo habet unum sacerdotem. Nella tassa di Pio IV si legge pure: s. Ioahnni de Carapullo nel rione delli monti: e nel catalogo di s. Pio Vº è posta non lungi della chiesa di s. Salvatore alle tre imagini.

Nel 1571 la chiesa era parrocchiale, come risulta da una scrittura di quell'anno, addì 14 marzo, in cui si venne alla nomina di un economo, vacando la parrocchia, essendo vicario del papa il cardinal Giacomo Savelli, e fu deputato ad economo il parroco della vicina chiesa dei ss. Sergio e Bacco (Madonna del Pascolo), il quale era un tal Francesco Antonisi di Civitacastellana. In un documento del 1570 leggo: la chiesa di s. Giovanni in Carapullo sta abbandonata senza rettore, confina con la chiesa di s. Salvatore.

S. Chiara

Scrive il Lonigo che "haveva questa santa un monastero di monache dedicato al suo nome nel rione monti ove è hora la chiesa della Madonna de Monti le quali furono poi condotte in s. Lorenzo in panisperna. Quel monastero fu occupato all'epoca di s. Francescoº d'Assisi."

S. Maria della Concezione ai Monti

Sulla piazza di s. Francesco di Paola sorgeva fino a pochi anni fa questa chiesa dedicata alla Vergine Immacolata, alla quale era annesso il monastero delle monache farnesiane appellate le Sepolte vive. Questo monastero era stato istituito da suor Francesca della nobma casa dei Farnesi, e la prima pietra fu posta nel 1641. La marchesa Felice Rondanini ne  p205 fece in gran parte le spese. La chiesa fu distrutta coll'attiguo monastero per il prolungamento della nuovo via Cavour. La sua facciata era rivolta a quella di s. Maria dei Monti. Sulla medesima piazza vi era un'altra chiesolina dedicata pure alla Vergine immacolatamente concetta, la quale era uffiziata dalla confraternita dei Sacconi turchini. La chiesa aveva un solo altare, e fu per la detta ragione distrutta.

S. Maria dei Monti

Questa divota chiesa parrocchiale fu cominciata ad edificare l'anno 1580 ai 23 di giugno, in cui il celebre card. Sirleto vi pose la prima pietra. Ivi era in origine un monastero di s. Chiara, edificatovi vivente ancora s. Francesco l'anno 1223. Tre anni dopo, quelle monache lo lasciarono, ponendo la loro dimora nell'altro monastero attiguo a s. Lorenzo in Panisperna, per cui quello primitivo rimase abo. Nelle pareti di una casa attigua a quell'edifizio, già diruto ed adoperato ad uso di fienile, l'anno 1579 ai 26 di aprile cominciò il popolo a rendere speciale onore e culto ad un'imagine della Vergine che era dipinta nelle pareti di quel diroccato edifizio. Si raccolsero numerose elemosine colle contribusioni dei divoti, finchè Gregorio XIII fatta togliere di là l'immagine la consegnò all'archiconfraternita dei Catecumeni insieme al prodotto di quelle oblazioni accresciuto da ricchissimi lasciti. Ai 24 di maggio di quell'anno Laura Fregosa vedova di Girolamo de Attavantis donò il fienile all'archiconfraternita suddetta, acciocchè ivi si potesse edificare, coll'elemosine raccolte da ogni parte, una chiesa in onore della Vergine. Questa fu eretta con i disegni di Giacomo della Porta ed è ricca di ornati e pitture. Sui gradini si adagiava di tanto in tanto il santo pellegrino di Amettes Giuseppe Labre, il quale morì in una casa vicina alla chiesa, raccoltovi dalla carità di un pio macellaio. Oggi il corpo del santo confessore giace in un nobile altare a lui dedicato nella chiesa medesima. Annessa a questa vi è l'ospizio dei Catecumeni, del quale brevemente parlerò.

L'anno 1540 ai 19 di febbraio per domanda di Giovanni de Sarano rettore di s. Giovanni de mercato, il papa Paolo III aveva istituito un monastero per fanciulle ed un ospedale per giudei ed altri infedeli che volevano venire alla fede, presso la chiesa suddetta di s. Giovanni de Mercato, ponendolo sotto il titolo di s. Giuseppe ed affidandolo ad una confraternita, la quale aveva per scopo la conversione degli ebrei e degli infedeli. Da  p206 quella dimora nel 1637 ai 13 di agosto fu trasferito l'ospizio presso s. Maria dei Monti, alla quale fu unita, con motu proprio di Urbano VIII, la chiesa parrocchiale attigua di s. Salvatore in Suburra. L'archiconfraternita suddetta dei Catecumeni volendo provvedere anche alla sicurezza delle ragazze neofite, istituì per queste un monastero in una casa donatale da Giulia Colonna e che possedeva in piazza Margana, il qual monastero fu fondato e posto sotto la regola di s. Domenico, l'anno 1562 ai 20 di febbraio. Ma divenendo angusta quella casa, s. Pio V l'anno 1566 ai 28 di novembre, soppressa la precettoria ospitale di s. Giovanni Gerosolimitano in s. Basilia ai Monti, colla chiesa, palazzo, orto e vigne anje la donò all'archiconfraternita dei Catecumeni e dei Neofiti. Nel 1660 la chiesa di s. Maria possedeva 9836 scudi di rendita annua, e del sacro edifizio trovo in quell'anno questa succinta descrizione: "Questa chiesa ha tre porte, una piccola e due grandi; ha la cupola tutta stuccata, indorata con diverse pitture; la volta è tutta dorata, il rimanente è ornato di voti con diversi miracoli fatti da Maria santissima: fu eretta da 80 anni incirca: ha annesso il collegio dei Neofiti e casa dei Catecumeni: ha il campanile con 3 campane, 5 cappelle, e 5 altari."

Ss. Sergio e Bacco

La chiesa dei ss. Sergio e Bacco, che il popolino apparteneva Serio e Baco, esisteva in un monastero di monaci fin dal IX secolo; nell'XI era sottoposta a quella di s. Paolo sulla via Ostiense. Fino dal secolo IX viene ricordata la Ecclesia ss. Sergii in Suburra, alla quale era annesso un monastero detto Canelicum. Nel 1413 ai monaic era sostituito un arciprete con alcuni chierici. Vi troviamo nei tempi di mezzo due cappelle: Umbria dedicata a s. Angelo e l'altra a s. Niccolò, fondata l'una dalla famiglia monticiana dei dello Ciuoto, l'altra da quel dei Pauleilli. Presso la chiesa eravi l'ospedale degli albanesi. Ecco come il Bruzio parla di questa chiesa medesima: "Fu rifatta dopo che venne distrutta quella del Campidoglio, e dal card. Antonio Barberini, cappuccino e fratello di Urbano VIII, di nuovo risarcita essendo fatiscente. Quel papa l'affidò ai Ruteni basiliani che hanno liturgia greca ma in lingua dalmatica. È assai antica e fu parrocchiale. Nel 1741 venne riedificata a spese di alcuni fedeli divoti della imagine della Madonna che  p207 si venera sull'altar maggiore della chiesa. Quella sacra imagine copiata da quella di Zirowich in Lituani, si scoperse verso il 1718 sotto l'intonaco del muto contiguo alla sagrestia: di là fu tolta d'ordine di Clemente XI e nell'anno seguente collocata dove hoggi si vede: in tale occasione la chiesa fu incominciata a chiamare la Madonna del Pascolo. L'anno 1622 da Gregorio XV fu affidata ai padri Minimi di s. Francesco di Paola che l'abbandonarono allorchè passarono alla loro chiesa presso s. Pietro in Vincoli. Nel catalogo di Torino è detta de Suburra ove si dice che habet unum sacerdotem."

S. Maria de Puteo

Cotesta chiesuola aveva annesso un ospizio di albanesi o epiroti, ed era situata nella contrada detta il Pozzo di Proba, non lungi dai ss. Sergio e Bacco. Nel catalogo delle chiese di Roma all'epoca di s. Pio V, che ho trovato nell'archivio vaticano, è ricordata, sebbene si dica in quel documento che fosse già diruta: nel rione delli monti una chiesa ruinata detta s. Maria Puteo che era degli Albanesi, pei quali era anche annesso un ospedale. Ebbe più tardi il titolo di s. Anna degli Albanesi col qual nome era conosciuta nel 1587 ed è ricordata dal Martinelli. Lo stesso autore ci assicura che fu pure denominata de ampo, in puteo, come da una bolla di Alessandro IV scritta al rettore della medesima l'anno 1257.

S. Francesco di Paola

La detta chiesa col suo annesso convento è situata presso la basilica di s. Pietro in Vincoli. Fu fondamenta da un sacerdote calabrese per i frati suoi connazionali, denominato Giovanni Pizzullo della Regina. L'anno 1623 questa fondazione fu ratificata per bolla di Gregorio XV (8 giugno) e per motu proprio di Urbano VIII (30 agosto). Nel 1662 la chiesa viene così descritta nella relazione ufficiale dello stato temporale delle chiese di Roma esistente negli archivî del Vaticano: "La chiesa ha cappelle 4, altari 5, sepolture 8, campanile con 3 campane. Ha cura d'anime che s'esercita da un parroco del medesimo ordine da deputarsi dal Generale con approvatione dell'Em̃o  p208 Vicario come per bolla di Gregorio XV, 5 gennaro 1623. La parrocchia fa case 417, famiglie 770. Possiede case, granari, e la chiesolina detta s. Salvatorello alle tre immagini, con due stanze di sopra, posta nel luogo detto la Suburra, confinante da una parte con Giacomo Propagini, dall'altra con Stefano Grilli, in faccia con la strada pubblica. Possiede vigne in Albano, in Roma, censi con una rendita di scudi 2513. Vi sono professi religiosi 34."

S. Pietro in Vincoli

Questa insigne basilica fu edificata da Eudossia figlia di Teodosio il giovane e sposa di Valentiniano per custodirvi e venerarvi le catene che sua madre pure di nome Eudossia aveva ricevuto in dono nel suo pellegrinaggio in Palestina dai fedeli di quella chiesa. Quella pia imperatrice spedì parte di quei veneratissimi ceppi a Roma alla figliuola, ed uno ne portò seco a Costantinopoli. I preziosissimo dono fu da Eudossia la giuniore, figlia della suddetta, offerto al papa s. Leone il Grande, che lo unì ad altra catena con cui in Roma era stato avvinto il s. Apostolo sotto Nerone, ed ambedue i ceppi furono deposti nella basilica che, circa gli anni 442, la pia Eudossia edificò nel sito dove tuttora sorge, e che fu detta s. Pietro in Vincoli.

Questa romana basilica che conserva le venerande catene apostoliche, benchè chiamata di s. Pietro in Vincoli, pure dal papa Sisto III fu dedicata ad ambidue gli apostoli. Lo testifica l'iscrizione registrata nel codice palatino che si leggeva in questa chiesa medesima:

CEDE PRIUS NOMEN NOVITATI CEDE VETUSTAS

REGIA LAETANTER VOTA DICARE LIBET

HAEC PETRI PAULIQ. SIMUL NUNC NOMINE SIGNO

XYSTUS APOSTOLICAE SEDIS HONORE FRUENS

UNUM QUAESO PARES UNUM DUO SUMITE MUNUS

UNUS HONOR CELEBRAT QUOS HABET UNA FIDES

PRESBYTERI TAMEN HIC LABOR EST ET CURA PHILIPPI

POSTQUAM EPHESI XPS VICIT UTROQUE POLO

PRAEMIA DISCIPULUS MERUIT VINCENTE MAGISTRO

HANC PALMAM FIDEI RETTULIT INDE SENEX.

Il Monsacrati nell'egregia dissertazione de catenis s. Petri ne espone il senso storico e la allusione al concilio Efesion, in cui il prete Filippo fu Legato della Sede Apostolica. Nel codice  p209 di Verdun quest'epigrafe è trascritta colla seguente indicazione: in occidentali parte Ecclesiae s. Petri ad Vincula; dunque il carme era posto sulla porta maggiore di detta che. Il De Rossi ha scoperto che il testo di questa epigrafe fu riprodotto in molte altre chiese, e recentemente un esemplare antichissimo è stato rinvenuto anche in una basilica della Numidia dedicata agli apostoli Pietro e Paolo, le quali chiese solevano essere consecrate con reliquie portate da Roma, massime con limature delle catene apostoliche.

La basilica fu presto costituita titolo presbiterale, benchè nei concilî romani tenuti sotto Simmaco, non si nomini alcun prete di quel titolo, la cui prima menzione è dei tempi di s. Gregorio, ove si ricorda un Andromaco prete del titolo di s. Eudossia. Fu riedificata nel secolo VIII da Adriano I, finchè nel secolo XVXVI fu di nuovo quasi del tutto trasformata dai lavori di Sisto IV e di Giulio II che l'affidò ai canonici regolari lateranensi che tuttora l'hanno in custodia. Mantiene ancora in parte il suo tipo basilicale, benchè contraffatto delle goffe linee dell'architettura del più barocco e sguaiato dei secoli, il decimosesto. È divisa in tre navi sostituite da due ordini di 22 grosse colonne baccellate, due delle quali sono di granito e le altre di marmo greco con capitelli dorici assai ben conservati e di gusto squisito. Nel mezzo del pavimento eravi un'antica epigrafe di papa Giovanni II dell'anno 532 la quale è il monumento più antico ancora esistente in ordine a questa chiesa: rimossa quella preziosa lapide dal suo posto si legge ora nel muro a sinistra sotto l'organo.

Altro monumento antichissimo della nostra basilica è una imagine in musaico del martire s. Sebastiano, che è la più vetusta di quelle che si conoscano dopo quella del secolo IV che abbiamo nella cripta di s. Cecilia nel cimitero di s. Callisto. Nel nostro musaico il santo martire è effigiato barbato con sembianze senili; è opera dell'anno 680 e fu posto sopra un altare votivo eretto in questa chiesa in occasione di una pestilenza che spopolò la città in quell'anno: stava l'altare ai piedi della nave a mano sinistra, ma nel 1576 fu rimosso di là e trasferito dove ora si trova. Molte e preziose opere d'arte e storici ricordi si hanno in questa basilica, fra i quali ricorderò le tavole del Domenichino e del Guercino, ma sopratutto il notissimo maraviglioso Mosè di Michelangelo.

La tribuna fu dipinta dal Coppi, detto Giacomo del Meglio, in cui si vede il ritratto di Giulio Clovio, il celeberrimo canonico  p210 regolare maestro nel miniare i codici. Non è poi da dimenticare il sepolcro dei due fratelli Pollaiuolo Antonio e Pietro, i celebri artisti e fonditori di bronzo del secolo XV.

È in questa chiesa che furono creati due papi, cioè Giovanni II nel 532 e Gregorio VII nel 1074. Giuliano di Sangallo edificò presso la medesima il palazzo del titolare oggi trasformato ad uso di scuola per gli ingegneri. Anche il monastero è opera del Sangallo, e si vuole che il pozzo monumentale che sta nel mezzo del chiostro sia lavoro di Michelangelo, benchè altri lo attribuisca a Simone Mosca.

Nell'aprirsi il vano dell'ipogeo sotto l'altare di questa basilica nel 1876 si trovò un sarcofago cristiano del secolo IV internamente diviso in sette loculi. Era tradizione che ivi si venerassero le reliquie dei sette fratelli Maccabei, ma aperto il sarcofago se ne trovò la conferma poichè ivi si trovarono frammenti di ossa e strati di cenere fra le quali due lamine di piombo colle seguenti iscrizioni: IN HIS SEPTEM LOCUL — CONDITA SUNT OSSA — SA ET CINERE SCOR — SEPTEM FRATRUM MACHABAEOR ET AMBOR — PARENT EOR AC INV — MERABILIU ALIOR SANCTORUM — IN HIS LOCULIS SUNT RE — SIDUA OSSIU ET CINERU — SCOR SEPTEM FRATRU — MACHABAEOR PARENTU EOR. AC INNU — MERABILIUM ALIOR — SANCTORUM.

S. Antonio Abate

È il titolo d'una piccola cappellina situata nell'avancorpo destro del convento dei Maroniti Antoniani della Congregazione Aleppina dirimpetto a s. Pietro in Vincoli. Fu benedetta da pochi anni da mons. Rinaldini di venerata memoria.

S. Maria della Concezione

È una cappella moderna architettata dal comm. Luca Carimini testè difunto; è annessa al fianco sinistro della casa di rifugio ed ospizio delle piccole suore per i poveri vecchi. L'altare fu consecrato da S. E. il card. Parocchi vicario di Roma.

S. Maria della Concezione

È pure il titolo di una chiesolina edificata da pochi anni, che occupa in parte l'area della antica sagrestia e del monastero della Purificazione nell'orto di s. Lucia nella via delle Sette Sale.

 p211  La chiesa fu benedetta dal rm̃o p. generale dei Canonici Regolari Lateranensi nel luglio del 1883. Vi si raccoglie nei dì festivi una congregazione di giovanetti istituita dal rev. don Pio Pucci C. R. L. e procuratore generale della suddetta canonica di s. Pietro in Vincoli.

S. Maria in Monasterio


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In una scrittura del secolo XVI dell'archivio di s. Pietro in Vincoli si leggono le seguenti notizie su questa antica che dell'Esquilino, oggi distrutta:

"Questa chiesa è quella che hora è ruinata in fronte al portico della nostra chiesa di s. Pietro in Vincoli, quale fu profanata da un certo mon. Antonio Scaramone da Rimini procuratore nel 1544 havendo comprato la vigna (ivi annessa). Quale chiesa fu abbattuta perchè rovinata, con consentimento della Sede Apostolica, con uno Motu proprio di Clemente VII dopo il sacco, essendo procuratore generale fra Augustino da Manthova."

Il Lonigo scrive "che era non lungi da s. Pietro in Vincoli e che qui hora è un monastero di monache di s. Chiara che si chiama della Purificazione, e che era una delle venti principali abbadie di Roma."

Dalla precisa indicazione del surriferito documento si ricava che la chiesa era dirimpetto alla facciata di s. Pietro in Vincoli sulla spianata del colle, e che per conseguenza non è da confondersi col Nibby, col Marini ed altri con la chiesa di s. Maria della Purificazione, di cui restano i ruderi non lungi dalla basilica eudossian nella vigna già dei canonici regolari lateranensi a sinistra della via delle Sette Sale, che conduce a s. Martino ai Monti. Il Terribilini afferma che la chiesa fu anche chiamata s. Maria in Vinculis. Nei regesti pontificî di Giovanni XXII è chiamata s. Maria i Monasterio de Urbe. Fino al secolo XV possedeva moltissimi fondi urbani e rustici, e d'uno di questi v'ha la notizia nelle carte di quell'archivio, ove si legge:

"Antonio del Gotto che sta a Turre secura nelli monti tiene una vigna de santa Maria in Monasterio che responde a santo Pietro ad Vincula ogni anno caballi 5 di mosto, quale vigna sta fuori della porta de santo Laurentio, in loco qui dicitur Vinarolo."

 p212  Fu già collegiata, e nei regesti di Bonifacio IX, l'anno secondo del pontificato si fa menzione d'una provvista di beneficio in favore di Paolo de Tedallinis canonico di questa chiesa. Fu concesso il monastero ai vescovi di Tuscoo per loro residenza da Onorio III. Martino V l'affidò ai monaci Girolamini di s. Pietro in Vincoli. — Il Camerario, il Signorili e il codice di Torino sono unanimi nell'attribuirgli la stessa denominazione di santa Maria in Monasterio. Quest'ultimo avverte che est capella episcopatus tusculanensis et habet sex canonicos.

Oratorio dell'Immacolata Concezione

Sul principio del clivo detto via di s. Pietro in Vincoli a mezza costa del medesimo v'ha una fabbrica moderna che è la casa di Procura e di Studio della congregazione degli Oblati di Maria Immacolata. Incorporato a questa fabbrica fondata nel 1887 vi ha un duplice oratorio: l'inferiore a tre navi è dedicato provvisoriamente a s. Francesco di Paola, perchè vi si raccoglie ora la confraternita omonima, poi quando verrà compiuto, sarà dedicato a s. giù Labre: quello superiore porta il titolo della Immacolata Concezione di Maria Vergine, ed ha cinque altari. I due oratorî sono opera dell'architetto Luca Carimini testè defunto.

S. Maria in Candiatore


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Una chiesa di questo nome detta anche in Cambiatore ovvero in Cambiatoris esisteva presso s. Pietro in Vincoli ed è ricordata nei tre cataloghi del Camerario, dell'anonimo di Torino, del Signorili. Il Terribilini nelle sue schede manoscritte ricorda che fu tra quelle soggette a s. Pietro in Vincoli, come risulta anche da un rescritto di Adriano IV. Il Garampi ricorda la contrata Cambiatorum in regione Colozei (sic) della quale cavò notizia da un documento dell'archivio di s. Maria Nuova dell'anno 1081. Fu parrocchiale e venne distrutta nel secolo XVI; l'anonimo di Torino dice che era servita al tempo suo da un sacerdote e da un chierico: habet sacerdotem et clericum.

 p213  S. Andrea in Vincoli

Di questa chiesa fa menzione il libro pontificale fino dall'epoca di Leone III. Il Martinelli crede che fosse chiamata anche s. Andrea de Monte, che per decreto della sacra visit l'anno 1564 fu unita a s. Salvatore in Suburra. Michele Lonigo nel suo catalogo scrive che fosse chiamata s. Andrea in Torre Scura la quale era situata presso la odierna chiesa di s. Maria dei Monti. Sotto il pontificato di s. Pio V era diroccata e così viene indicata nel catalogo delle chiese fatto sotto quel pontefice: una chiesa in casa di Madonna Cornelia a Torre Scura.

S. Agapito ad Vincula

Anche questa chiesa, della quale è scomparsa ogni traccia, era situata nella regione adiacente a s. Pietro in Vincoli. Il papa Leone III l'arricchì di molti doni; aveva annesso un grande monastero di cui pure non restano tracce. L'Adinolfi congettura che sorgesse nel luogo che oggi si chiama sette sale presso s. Pietro in Vincoli.

S. Maria della Purificazione

Ecco le parole del Mellini intorno a questa oggi distrutta chiesa:

"Uscendo da s. Pietro in Vincoli e svuoltando (sic) la strada che dal palazzo del Titolare tira ad Orientale si trova a mano sinistra in un portone sempre aperto per il quale si passa ad un prato dove è fabbricata la nuova chiesa di s. Maria della Purificazione. La chiesa fu eretta l'anno 1600 da Mario Ferro Orsini, cui cedettero il luogo i Certosini dove vi vennero due monache di s. Marta per istruire le nuove del monastero; questa chiesa è lunga palmi 103 larga 62."

Prosegue a dire il Mellini "che il monastero fu fondato da Felice Zacchia Rondanini in commutatione d'un legato pio lasciato dal cardinale Zacchia suo padre l'anno 1643. Quelle monache erano sotto il titolo della Concettione e che al presente ne vivono ivi 22, ritirate affatto dal mondo e date tutte alla solitudine onde hanno il loro motto pieno d'affetto: O beata solitudo. Vivono hoggi sotto la protezione del card. Francesco Barberini."

 p214  Restano ancora nel luogo indicato notabili avanzi della chiesa, cioè parte della facciata e della sagrestia, trasformata oggi di nuovo in piccolo oratorio, e non lungi da quella per una piccola scala si discende ad una cappelluccia semisotterranea adorna di pitture del secolo XV. Questa cappelluccia apparteneva al monastero dei Certosini che ivi già dimoravano, ed è ricordata dal Marangoni e dal Lubini. Testè l'ha di nuovo scoperta il rev. don Pio Arcangeli canonico regolare lateranense, il quale gentilmente me ne ha dato notizia. Durante la dominazione francese sul principio del secolo il luogo fu dissacrato e posto all'incanto: fu comprato da un genovese che demolì chiesa e monastero, e le monache si trasferirono ad altra nuova chiesuola, già dedicata all'Annunziata, posta sull'angolo delle vie Merulana e delle Sette Sale. Il luogo adiacente ora si chiama l'Orto di s. Lucia.

S. Martino in Thermis
(s. Martino ai Monti)

Sulle rovine dei sontuosi bagni che il secondo dei Flavi inalzò sulle vestigie della casa d'oro, fu eretto questo antichissimo titolo. Il libro pontificale, benchè non sempre autorevolissimo documento, nella vita di s. Silvestro narra che questo papa; fecit in urbe Roma in praedio cuiusdam presbiteri sui qui cognominabantur Equitius, iuxta thermas domitianas quam titulum romanuomo constituit et usque in hodiernum diem appellatur titulus Equitii.

La chiesa adunque nei primi secoli della pace, e la cui origine si attribuisce al papa s. Silvestro, denominavasi il Titolo di Equizio, dal possessore del luogo in cui fu eretta. Da che risulta che in origine fu destinata a sacre adunanze, titulus o parrocchia non dedicata ad alcun illustre martire o confessore, compresi i due Martini, cioè il vescovo o il papa, poichè ambedue furono posteriori all'epoca dell'edificazione della chiesa. E ciò anzi conferma l'origine antichissima di quel titolo, anteriore all'epoca in cui le chiese si cominciarono a dedicare a questo o a quel santo personaggio. Ben presto il nome di Equizio fu sostituito da quello del papa dedicante e detto titulus s. Silvestri, dove questi raccolse circa l'anno 324 un sinodo contro Ippolito, Callisto e Vittorino, al quale intervenne il prefetto della città. Fra gli antichi nomi attribuiti a questa chiesa trovo i seguenti: in Orphea, de Monteria, de Montibus.

La chiesa eretta da s. Silvestro era al livello delle terme, assai più profondo e depresso dell'attuale, e ne restano tuttora  p215 le tracce grandiose al disotto della chiesa attuale. Sopra quella, oggi divenuta sotterranea, il papa Simmaco nel secolo V edificò l'attuale, che fu dedicata ai ss. Martino vescovo di Tours e Silvestro papa, come afferma nella biografia di quel papa il libro pontificale. Fu spogliato allora dei suoi ornamenti il titulus Equitii, e rimase poi nel volgere dei secoli totalmente abbandonato e sepolto nelle ruine, finchè nel secolo decimosettimo fu inopinamente scoperto. Nel secolo XVI manteneva ancora il tipo di quell'epoca, e vi si vedevano ancora i due pulpiti ossia amboni nei quali si leggeva l'epigrafe:

SALVO DOMINO NOSTRO BEATISSIMO

SERGIO PAPA IVNIORE.

Da che risulta che vivente era quel papa allorchè furono compiuti quei lavori, il che esprimevasi nelle epigrafi di quell'epoca colla formola salvo papa, non vivente papa. Ivi pure si leggeva il distico:

SCANDITE CANTANTES DOMINO, DOMINOQUE LEGENTES

EX ALTO POPULIS VERBA SUPERNA SONENT.

Al tempo d'Innocenzo III fu restaurata quella basilica, compresi i due amboni, sui quali si aggiunsero gli altri distici seguenti per opera del cardinale Uguccione:

UGUITIO SUMENS A CARDINE NOMEN HONORIS

PRESBYTER HAEC SPONSAE DEDIT ORNAMENTA DECORIS.

TEMPUS HABES OPERIS VENIENTIS SALUATORIS

ANNUM MILLENUM PRIMUM CONIUNGE DUCENTIS.

Leone IV, il successore di Sergio, fece dipingere le pareti della basilica ed ornò di musaici l'abside, sotto ai quali si leggeva il carme seguente:

SERGIUS HANC CAEPIT PRAESUL QUAM CERNITIS AEDEM
CUI MORIENS NULLUM POTUIT CONFERRE DECOREM
SED MOX PAPA LEO QUARTUS DUM CULMINA SISTIT
ROMANAE SEDES, DIVINO TACTUS AMORE
PERFECIT SOLIO MELIUS QUAM COEPTA MANEBAT
ATQUE PIA TOTAM PICTURA ORNAVIT HONESTE
COENOBIUMQUE SACRUM STATUIT MONACOSQUE LOCAVIT
QUI DOMINO ASSIDUAS VALEANT PERSOLVERE LAUDES
TALIBUS UT DONIS CAELESTIA SCANDERE POSSIT REGNA, QUIBUS MARTINUS OVANS, SILVESTER ET ALMUS
PRAEFULGIT, GAUDETQUE SIMUL CUM PRAESULE CHRISTO
QUORUM PRO MERITIS HAEC TEMPLA DICATA CORUSCANT.

 p216  Dalle quali parole apprendiamo che Leone IV circa l'anno 760 affidò la chiesa ai monaci perchè senza interruzione ivi salmodiassero. Abbandonata nel medio evo, fu affidata ai preti la quale la possedettero fino al secolo XIII, finchè fu affidata ai Carmelitani calzati. Nel secolo XVI il cardinale Diomede Caraffa, minacciando ruina, la racconciò, e dallo zio il papa Paolo IV vi fece di nuovo restituire l'antica stazione quaresimale. Sotto Pio IV s. Carlo Borromeo ne riparò il soffitto accrescendone lo splendore. Nel 1650 incirca il generale dei carmelitani Antonio Filippini impiegò il suo avito patrimonio oltre a 70,000 scudi romani per riabbellire di nuovo quella magnifica chiesa, ed in quei lavori fu dal Filippini rinvenuto l'antico titulus Equitii, che fece sgombrare dalle macerie, restituendolo all'antica venerazione, e colà volle esser sepolto il venerabile e dottissimo cardinale Tommasi, che fu già titolare della basilica. La facciata della chiesa fu riedificata nel 1676 da un altro generale dei Carmelitani, il padre Scannapicco, finchè nell'anno 1780 fu dal titolare di quell'epoca, il cardinale Zelada, un'altra volta restaurata colla spesa di oltre 35,000 scudi. Mantiene la chiesa il suo tipo basilicale, essendo divisa in tre navi da due ordini di dodici colonne di varî marmi e di varî ordini tolte da edifizî preesistenti. Due branche di scale presso il presbiterio conducono ad un oratorio sottoposto, donde si scende all'antica chiesa. Nelle pareti delle navi minori, negli spazî degli altari si ammirano stupendi affreschi, opera alcuni del Grimaldi di Bologna ed alti del famoso Gaspare Pussino o Doughet. Nella nave minore a sinistra si veggono due affreschi rappresentanti l'uno l'interno della basilica vaticana innanzi la demolizione incominciata sotto Giulio II, e l'altro quello della basilica lateranense.

Ai tempi di Sisto IV la chiesa chiamavasi s. Martino in s. Silvestro, o s. Martinello, e perchè in epoche anteriori fu ai due santi dedicata vi furono stabilite due stazioni, l'una nel giorno dedicato a s. Silvestro, l'altra in quello di s. Martino. Durante il periodo che la tennero i monaci Benedettini, appartenne al monastero cassinese. Il pavimento di questa chiesa nel medio evo fu risarcito con iscrizioni tolte ai cimiteri cristiani, fra le quali tre frammenti di una medesima epigrafe damasiana che oggi è murata nei pilastri del museo cristiano lateranense. In quei marmi si legge il nome di Furius Dionysius Philocalus, il celebre calligrafo del papa Damaso che pel suo pontefice compose l'alfabeto adoperato negli  p217 elogî dei martiri nelle catacombe. V'era anche il seguente frammento che fu copiato dal Severano e si legge nei suoi manoscritti della Vallicelliana:

LOVUS CAUDIO . . . . .

. . . MARTYRIS LAURENtii . . . . .

. . DAMASI COMMEN . . . . .

. . . DP . IN PACE . XV . K . . . . . .

Ma la maggiore parte di quelle iscrizioni, alcune delle quali stanno ancora nel pavimento, furono trascritte dal Mellini e raccolte nei suoi manoscritti che si conservano negli archivî della Santa Sede al Vaticano. Nel secolo XIV la contrada adiacente alla chiesa chiamavasi il carnaro, come ho trovato in un documento di quell'epoca. Minacciando rovina il soffitto, si viene questo attualmente riparando e risarcendo con ingente spesa.

S. Silvestro de Tauro

La chiesolina di s. Silvestro sorgeva nel rione de' Monti non lungi da quella di s. Martino, ed era un piccolo oratorio già dal secolo XIV abbandonato; così infatti leggo nel nostro codice di Torino: Ecclesia s. Silvestri de Tauro non habet servitorem. Io credo fosse chiamata de Tauro dal Forum Tauri e dal caput Tauri che era nella contrada esquilina e si estendeva anticamente fino alle adiacenze di s. Bibiana. Ai dì nostri sono tornatein luce in quella zona molte epigrafi ricordanti la famiglia di L. Statilio Tauro e un cippo che delimitava i confini degli Horti Tauriani. Sembrami che sia la medesima che nel catalogo di Cencio Camerario è detto da tesuda (sic).

S. Lorenzo ad Taurellum

Fra le antichissime chiese dedicate a s. Lorenzo martire in Roma, una con siffatta denominazione è ricordata nel libro pontificale in Adriano I (771‑795). Ignorasi dove esistesse. Ma dopo quello che si è detto della contrada del caput Tauri circa la chiesa di s. Silvestro, rendesi dubbia la congettura del Vignoli che nelle sue note al liber pontificalis la pone nella regione terza,  p218 cioè nelle vicinanze di Montecitorio. Fu edificata forse in uno dei luoghi santificati dalla vita o dalla personal del santo levita, nella regione anzidetta.

S. Pietro e Paolo

Ai suddetti principi degli apostoli presso la chiesa di s. Martino fu pure dedicato un oratorio con annesso monastero per opera del papa Sergio III. È inutile aggiungere che del medesimo edifizio non resta vestigio.

S. Lucia in Orfea
(S. Lucia in Selci)

Questa antichissima diaconia sorge nel luogo detto in silice, in siricata, in orfea. Le due prime denominazioni si riferiscono agli avanzi dei poligoni di lava basaltina che dai tempi più antichi erano rimasti intatti nella via adiacente alla chiesa; la seconda proviene dalla reminiscenza del lacus Orfei magnifica fontana adorna della statua del poeta trace che fino dai tempi di Marziale si ammirava in quelle vicinanze. In antichi libri catastali ho trovato che la basilica eudossiana alla fine del secolo XV possedeva unum orticellum prope ecclesiam sanctae Luciae de Siricata de quo nihil recepit. Ebbe fra i cardinali titolari quel Cencio Camerario di casa Savelli che fu poi Onorio III. La diaconia è antichissima, poichè le sue origini risalgono al papa Simmaco. Fu restaurata da Onorio I, e poi da Leone III da noi spesso ricordato pel suo catalogo delle chiese di Roma. Sisto V le tolse il titolo che trasferì altrove. Negli ultimi secoli fu offiziata dai Certosini che, abbandonatala, si condussero a Santa Croce in Gerusalemme. A quei religiosi succedettero le monache agostiniane che ancora la posseggono. Da Pietro Mallio fu chiamata in capite Suburrae e da altri inter imagines.

S. Biagio in Orfea

Questa chiesuola stava presso la sopradetta di s. Lucia e fu detta in orfea per la stessa ragione che adducemmo ragionando dell'altra. Si chiamò anche iuxta palatium Trainai, perchè così nel medio evo si denominavano gli avanzi delle antiche terme di Tito e di Traiano.

 p219  S. Gioacchino alla Suburra

Si legge nella vita di suor Maria Diomira di s. Giuseppe, una delle fondatrici delle monache paolotte in Roma, quanto segue:

"Fin circa dal 1722 un tal D. Francesco Narici ricco sacerdote ebbe in animo di fondare in Roma un monastero di monache sotto la regola di s. Francesco di Paola. Però questo suo desiderio non fu mandato ad effetto se non nel cadere del 1723 o forse al principio del 1724, e ciò prendendo in affitto una casa alla Suburra. Però poco dopo quantunque avesse messo a disposizione del nascente monastero la somma di 12,000 scudi dopo alquanti mesi, forse nel 1725, così prive di mezzi furono costrette ad andare altrove, anche perchè il padrone della casa volle fabricarvi. Stettero allora per alcun tempo in un locale contiguo al convento di s. Prassede. Passarono poi quindici giorni in una casa particolare e quindi presero a pigione un quartiere dirimpetto al monastero delle Turchine. Finalmente circa il 1731 al prezzo di scudi mille dati loro da monsignor Del Zaro comprarono una casa del signor Paccichelli, casa che diversi anni dopo fu demolita per costruire l'odierno monastero e chiesa anettendovi alcune altre case comprate all'uopo."

Nel 1774 già doveva forse essere costruito almeno in parte, perchè raccogliesi da Fea quanto segue:

"Nel 1774 sfondato un grosso muro antico dietro il coro del monastero delle Paolotte sotto il monte Esquilino fu trovata una camera dove era nascosto (forse nella prima invasione dei Barbari) un tesoro in argenteria, statuetante di metallo dorato, finimenti di cavallo in argento, candelabro di cristallo di monte, sculture in marmo ecc. Fu devoluto il tutto al monastero suddetto e così dispersa una collezione di oggetti che sarebbe stata bene nel museo Vaticano specialmente per essere unica in quelle materie preziose in specie una toeletta in argento. Il ch. E. Q. Visconti ne diede relazione nell'Antologia Romana nel 1794. Poi fu scoperto che era monumento della celebre famiglia cristiana degli Aproniani."

Del ritrovamento di questo tesoro si conserva ancora viva la memoria dalle persone vecchie di quel vicinato le quali poi vi favoleggiano sopra, dicendo avere appartenuto quegli oggetti  p220 ad un re polacco che quivi abitava, e che perciò quel sito fu chiamato Monte Polacco.

Tornando ora alla nostra chiesa, è certo che nel 1777 già esisteva, perchè a sinistra dell'altare del Crocifisso si legge la seguente iscrizione:

IESU CHRISTO HUMANI GENERIS REDEMPTORI

UBI S. LEO PP. IV DRACONE PEREMPTO DIVIUM INCOLUMITATI CONSULUIT

VICTORIUS GIOVARDI UTRIUSQUE SIGNATURAE DECANUS

AREAM MARMOREAM AERE SUO DEDICAVIT

CINERIBUSQUE SUIS LOCUM CONSTITUIT

ANNO REPARATAE SALUTIS MDCCLXXVII

OBII A. D. MDCCLXXXVI

V. KAL. MAII.

In questa iscrizione, mentre si trova allusione alla leggenda del dragone ucciso da s. Leone nei presso di s. Lucia in Orphea, oggi in Selci, si potrebbe forse trarre argomento a dubitare se in principio la chiesa fosse dedicata al ssm̃o Crocifisso. Però è fuori di dubbio che nel 1780 fosse consecrata a s. Gioacchino; infatti sulla porta grande si legge quest'altra iscrizione:

TEMPLUM S. IOACHIM GENITRICIS DI

PARENTI NUNCUPATUM SOLEMNI

RITU CONSECRAVIT ILLMVS ET RMVS DNUS

IOSEPH M. CONTESINI ARCHIEPISCOPUS

ATHENARUM DOMINICA SECUNDA QUA

DRAGESIMAE DIE XX FEBRUARII

MDCCLXXX.

Le sue campane appartennero già ad un monastero fondato da due tedeschi in una villa che essi comprarono dalle monache medesime Paolotte, la quale esse stesse avevano comperata dalla casa Ruspoli quando, cominciata la fabbrica del nuovo monastero e scoraggiate per le difficoltà che trovavano nell'esecuzione, si decisero di pensare a trasferirsi in altro locale. L'istituzione di quei due tedeschi non durò e le campane furono regalate alle Paolotte come aveva predetto la fondatrice.

Che la chiesa fosse fin dal principio dedicata a s. Gioacchino, si può ricavare anche dal fatto che ad una delle campane della medesima nella benedizione fu imposto il nome di Maria Gioacchina, come ricordano le più vecchie religiose per tradizione avuta. Vi fu sepolto Francesco Tanusi ai 6 febbraio del 1755 e Maria Vittoria Spada, moglie di Carlo Cesi duca di Acquasparta, che fu insigne benefattrice di quel monastero, morta agli 8 di ottobre del 1780. La famiglia portoghese de Azevedo circa il 1776 fondò in quella chiesa una cappellania.

 p221 

S. Marcellino e Pietro

Antichissime sono le origini di questa chiesa nella via Merulana, la cui prima edificazione del Martinelli si attribuisce al papa Gregorio III, come si legge nel libro pontificale: Fecit etiam (Gregorius tertius) de novo ecclesiam sanctorum Marcellini et Petri prope Lateranum. Narra l'Ugonio che nel 1256 papa Alessandro IV la consacrò di nuovo, fino a che da Paolo IV fu un'altra volta risarcita. Senonchè, minacciando rovina ai tempi di Benedetto XIV, questi, che ne era stato il titolare, la riedificò dalle fondamenta con disegni del marchese Girolamo Theodoli.

Nei manoscritti del Terribilini alla biblioteca Casanatense, vi ha un cenno di descrizione della chiesa, in cui si dice che piccolissima era l'abside primitiva. Ma ciò che è più rimarchevole è che la chiesa antica sembra fosse situata ad un livello assai più profondo dell'attuale, perchè in quelle carte si narra che nel 1750 vi si rinvenne una piccola confessione sotterranea, fra le cui terre si trovavano alcuni frammenti d'epigrafe del tenore seguente:

. . NATAL . . . SIRICI . † PAPA . . . LESIAE . . .
. . . RIQUE . . . OR.

E in un altro marmo, di carattere diverso, si leggeva:

. . . RV . PROPRIO . FECIT . .

Ora se questi laceri frammenti d'epigrafe spettano veramente a quel cristiano monumento, chiaro ne risulterebbe che le sue originei risalirebbero all'epoca dell'immediato successore del papa Damaso, cioè a Siricio (384‑398), il quale nel giorno natalizio dei due santi, avrebbe dedicato la chiesa medesima, che altri poi più tardi sumptu proprio fecit.

Nella chiesa v'ha la memoria lapidaria della consecrazione fattane da Alessandro IV, ed in quella fra i nomi dei santi, le cui reliquie furono allora deposte sotto l'altare, v'è registrata quella di s. Cristina così: SCE XPINE VIRGINIS. È cotesta lapide una delle più belle ed accuratamente incise in Roma nel XIII secolo. Nel sinodo romano tenuto sotto il magno Gregorio si fa menzione della nostra chiesa. La piccola abside, ci dui si è fatto di sopra un cenno, non dovea probabilmente essere quella della sua tribuna, ma d'un qualche oratorio annesso alla chiesa,  p222 poichè, scrive il Mellini (pag. 28), che al suo tempo si vedevano nell'orto ivi contiguo i vestigi antichi del semicircolo della tribuna molto più grande di quello che hoggi si vede, anzi nella stessa chiesa vi manca la nave laterale a mano sinistra entrando. Clemente XIII affidò la chiesa nel 1707 ai monaci Maroniti di s. Antonio del Libano, e nell'archivio de' Brevi vi ha un breve del 1727, pro monachis monasterii nuper erecti prope ecclesiam ss. martyris Petri et Marcellini de urbe nationis Maronitarum alienandi censum. La chiesa fu collegiata con quattro canonici, e nella anzidette carte del Terribilini si nota che quei canonici tiene ciascuno 8 barili di vino solamente, e detti canonici sono altresì canonici di S. Giovanni in Laterano. Scrive inoltre che si vedono attaccate a questa chiesa ruine come di palazzo, e 32 palmi sotterra si è trovata una strada antica. Trasferiti i monaci presso s. Pietro in Vincoli, fu affidato il monastero alle Teresiane di s. Lucia dei Ginnasi. È presso quella chiesa che fu incominciato l'antichissimo ospedale del Salvatore.

S. Barbara in Suburra

Questo oratorio è distrutto da secoli, nè conosco il luogo preciso dove stesse. Si fa parola del medesimo nel vita di Stefano IV (a. 816), ove si dice che il papa in Oratorio s. Barbarae martyris in Suburra fecit vestem de fundato.

S. Bartolomeo de Suburra


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Questa chiesa col suo monastero è ricordata in una bolla di Niccolò V e sorgeva non lungi dall'altra di s. Agata. L'Adinolfi scrive che il monastero, ridotto in casa di abitazione privata, venne in proprietà della confraternita dei raccomandati per cessione fattale da Bonanno da Rieti e da Caterina dello Schiavo sua moglie. Nel monastero dimoravano monache benedettine ed era fiorente sotto Bonifacio IX. Ridotte a mal partito le monache per insufficenza di redditi, quel luogo fu abbandonato dalle medesime, onde Niccolò V lo cedette al capitolo di s. Maria Maggiore colla condizione che non l'avesse convertito ad uso profano; ma pochi anni dopo ottenne dal pontefice la licenza di trasformarlo in casa particolare vendendolo ai suddetti coniugi.

 p223  S. Salvatore delle Tre Imagini

Questa chiesa si diceva delle tre imagini, perchè sulla porta v'era un busto di marmo figurante tre teste del Salvatore tutte simili, destinate ad indicare la ss. Trinità. La contrada però si chiamava degli Olmi, perchè molte piante di quella specie ivi esistevano, delle quali rimane ancora il ricordo nella via del Boschetto. Da ciò la chiesa prse anche il nome di s. Salvatore agli Olmi. Fu parrocchiale, e in un contiguo cortiletto vi era il suo cimitero. Tra i sepolti in quello abbiamo molti delle famiglie Settepiani, Anniballi, ed Acciomanto. Il Felini dice che fu profanata l'anno 1651. I frati del vicino monastero di s. Francesco di Paola l'acquistarono per ristaurarla, ed il popolino la chiamava s. Franceschino.

Dicevasi anche s. Salvatore alla Suburra. Rimase in piedi fino a tre anni fa, ma fu demolita per i lavori della via Cavour, benchè l'odierna non fosse riedificata sul posto dell'antica, ma vicino ad essa ai piedi della cordonata di s. Pietro in Vincoli. Era filiale di s. Maria Maggiore, come risulta da una bolla di Innocenzo IV data nell'anno 1244. Gregorio XIII l'unì ai ss. Sergio e Bacco. Stefano Copo a sue spese la restaurò dug il pontificato di Alessandro VI, come si leggeva sull'architrave. È nominata nel codice del Camerario, di Torino e del Signoili con la variante de tribus ymaginibus.

S. Lorenzo in Fonte

Sta presso la chiesa distrutta di s. Ippolito nella via Urbana, benchè l'Adinolfi confonda fra loro queste due chiesoline facendone una sola. Dall'anonimo di Torino è annoverata fra quelle della seconda partita, ed è chiamata in fontana: ecclesia s. Laurentii in Fontana habet fratres sancti Marci duos, ed è immediatamente indicata dopo quella di s. Pudenziana. Vi fu annesso un monastero di benedettini che ho trovato menzionato nei regesti di non9. Vi abitarono anche un tempo delle monache, poichè nel libro degli anniversarj della compagnia del Gonfalone del 1470 si legge che in questa chiesa ve ne tenesse uno la suddetta compagnia per l'anima di madonna Pavola monaca  p224 del monastero di s. Lorenzo in Fontana. Dal secolo XIV al XV vi fiorirono queste monache, finchè prima del 1518 il monastero fu unito a quello di s. S. Agnese fuori le mura, e l'uno e l'altro finalmente incorporati a quello di s. Pietro in Vincoli dei frati di s. Ambrogio ad Nemus. Sospetto che a questa medesima chiesuola si debba attribuire la denominazione de Balneo, propria d'un antico monastero di s. Ilarione che via era contiguo. Fu riedificata l'anno 1656 dalla congregazione dei cortigiani sotto Urbano VIII.

S. Ippolito

Era una chiesetta situata non lungi dall'altra nella via che corre retta innanzi al titolo di Pudente (s. Pudenziana), via che corrisponde in parte all'antico vico patricio. La tradizione vuole che quivi fosse la casa di quell'Ippolito, che, secondo gli atti di s. Lorenzo, ebbe in sua custodia il famoso martire diacono e da lui fu convertito alla fede e battezzato. Un'insigne epigrafe cristiana scoperta nel 1850 all'Esquilino che a questa chiesa si riferisce, le dà un'importanza straordinaria per la storia e le origini della medesima: ma di questa ho dato il testo trattando della basilica di s. Pudenziana.

L'epigrafe ricorda il noto prete Ilicio, compagno dei preti Leopardo e Massimo che sotto il pontificato di Siricio ebbero grande parte nella rinnovazione di alcuni titoli della città, massime di quello di s. Pudenziana. In quella epigrafe è ricordata la nostra chiesolina col nome di Memoria sancti martyris Ippolyti, con che veniamo a conoscere, non solo la sua esistenza fino dal secolo quarto, ma la conferma in qualche guisa che la tradizione di quella negletta chiesuola fa capo ai monumenti genuini dell'età primitiva. Nel catalogo di Torino si ricorda questa chiesa, dicendosi però che era diroccata e perciò non aveva alcun chierico o sacerdote: Ecclesia s. Ypolite (sic) est destructa, non habet servitorem. La medesima di s. Ippolito era vicinissima a quella tuttora esistente di s. Lorenzo in fonte. Infatti nel codice di Torino sono ben distinte ambedue le chiese, cioè s. Lorenzo in fontana ossia in fonte, che è l'attuale nell'antico vico patrizio (via Urbana), e quella di s. Ippolito nella stessa via che l'anonimo vide diroccata e abbandonata.

 p225  S. Filippo

Presso il monastero delle Oblate dette le Filippine, nella via Sforza vicino a s. Maria Maggiore, sorge questa chiesoletta dedicata a s. Filippo Neri. Il monastero ebbe origine da un conservatorio di fanciulle abbandonate istituito da un pio uomo, morto nel 1634, di nome Rutilio Brandi. La fabbrica dell'attuale chiesa fu cominciata nell'anno 1827 e gli altari vennero consecrati il giorno 30 dicembre del 1829 dall'arcivescovo Giacomo Sinibaldi. Il card. Giacomo Brignole consecrò poi la chiesa nel 1842. Vi sono tre altari, il maggiore è dedicato a s. Filippo Neri: dietro l'abside vi è l'oratorio del monastero, che non è altro che la più antica chiesa di quel conservatorio; sull'altare vi è un quadro del Presepio.

S. Maria Annunziata detta delle Turchine

Questa chiesa con monastero di Agostiniane si trova pure nella via Sforza e venne fondata l'anno 1675 da Camilla Orsini. Nell'altar maggiore Giuseppe Ghezzi dipinse tre quadri, cioè l'Annunziazione, e nei lati quelli di s. Paola in atto di benedire i figli, e di s. Geltrude. Il titolo dato alle religiose proveniva dal colore della veste che esse indossano. Oggi la chiesa è profanata e ridotta a sala di sartoria del distretto militare di Roma.

S. Maria della Purificazione

Questa chiesolina è stata demolita circa l'anno 1874 ed era sul principio della via delle Sette Sale. Fino alla soppressione della Compagnia di Gesù appartenne a questo insigne sodalizio. Aveva annesso il convento ove si trasferirono le monache che dimoravano presso altra chiesa parimente dedicata alla Purificazione.

Sull'area di quella, che era situata alcuni metri sopra il livello stradale, onde vi si accedeva per una gradinata, si sta edificando un grandioso palazzo di proprietà del principe Brancaccio; anzi il corpo della chiesa è stato ridotto in una sala del palazzo medesimo.

 p226  S. Maria Maggiore


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Nel Libro pontificale si legge che Simplicio papa (a. 468‑483) dedicavit basilicam beati apostoli Andreae IVXTA BASILICAM S. MARIAE. Che questa basilica di s. Maria sia la liberiana è cosa certissima. Un'omelia di s. Gregorio il Grande in alcuni codici porta il titolo: (habit) in basilica s. Andreae POST PRAESEPE. Infatti è cosa notissima che la grande basilica dell'Esquilino fino dal secolo VI almeno ebbe fra le solenni sue denominazioni anche quelle ad Praesepepost Praesepe; fu pure chiamata basilica s. Mariae, basilica Liberii, e fino dal secolo IV basilica Sicinini. Ammiano Marcellino così la denomina, descrivendo i tumulti che vi accaddero, per lo scisma di Ursicino contro Damaso. Da s. Girolamo e Rufino fu detta Sicininum, sulla quale denominazione il ch. De Rossi ha fatto una scoperta di grande valore nel codice vaticano 4961, ove si conserva la raccolta autentica dei documenti spettanti allo scisma predetto. Fra questi v'ha il rescritto di Valentiniano che ordina al prefetto di Roma di restituire al legittimo pontefice la chiesa occupata dagli scismatici; rescritto che il Baronio copiò dal predetto codice stanza indicare di quale chiesa parli. Ciò spiega il titolo del documento che dice così: ubi reddetur basilica Sicinini. La storia adunque della basilica di Sicinino spetta alle origini ed ai fasti di quella del papa Liberio, che, dopo la morte di lui, fu invasa dai fautori dell'antipapa Ursicino. Quivi si venne alle mani fra i partigiani di Damaso e di Ursicino e il sangue fu sparso in copia. Riepilogando adunque le denominazioni primitive della chiesa, troviamo cronologicamente le seguenti: basilica Liberii, basilica Sicinini, basilica maior, basilica s. Mariae, ad Praesepe; poi dopo il secolo X, comparisce anche quello ad nives.

Questa insigne basilica romana, la più antica dedicata solennemente al culto della Vergine, fu dal terzo Sisto nel secolo V  p227 ricostruita e adorna a memoria dell'Efesino concilio. Ecco perchè sulla cima dell'arco trionfale e sopra l'epigrafe: XYSTVS EPISCOPVS SANCTAE PLEBI DEI, il pontefice volle che signoreggiasse come centro di tutta la vasta composizione il crucigero trono del codice divino corteggiato dagli apostoli Pietro e Paolo ed in alto dalle mistiche imagini personificanti i quattro evangelj. Ed innanzi tutto sapevamo dal papa Adriano I che Sisto III aveva ornato di musaici la basilica di s. Maria Maggiore. Quei musaici, benchè più volte restaurati, sono in gran parte i sistini del secolo V. È noto che l'eresia di Nestorio consisteva nell'ammettere in Cristo due persone colle due nature, e diceva che la Vergine non aveva da chiamarsi Genitrice di Dio, perchè aveva generato Cristo uomo, non Cristo Dio. Ora Sisto rifacendo la basilica di Liberio ad onore di Maria Madre di Dio, fece rappresentare quei soggetti evangelici che si potevano allegare in rova del domma. Essi sono l'Annunziazione dell'Angolo, la Presentazione al Tempio, l'Adorazione dei Magi, la Strage degli Innocenti, la disputa di Cristo nel tempio. È notevole in quei musaici che la testa di Erode è circondata dal consueto nimbo circolare ad indicare l'autorità regia.

La plebe di Dio alla quale Sisto dedicò la nobilissima opera sua, si vede espressa ai due piedi dell'archo nelle cue città di Gerusalemme e Betlemme, dinnanzi alle cui porte stanno gli eletti in sembiante di agnelli, che levano lo sguardo alle mistiche città, le cui mura sono decorate di pietre preziose.

Sisto III vi pose poi la seguente epigrafe:

VIRGO MARIA TIBI SIXTUS NOVA TEMPLA DICAVIT

DEGNA SALUTIFERO MUNERA VENTRE TUO

TU GENITRIX IGNARA VIRI QUESTE DENIQUE POETA

VISCERIBUS SALUIS EDITA NOSTRA SALUS

ECCE TUI TESTES VETERI SIBI PRAEMIA PORTANT

SUB PEDIBUSQUE IACET PASSIO CUIQUE SUA

FERRUM FLAMMA FERAE FLUVIUS SACRUMQUE VENENUM

TOT TAMEN HAS MORTES UNA CORONA MANET.

A Sisto appartiene pure la serie dei quadretti in musaico che adorna la parete della nave maggiore a destra e sinistra sopra la cornice sostituita dalle colonne che corre intorno, ove sono dipinte scene del vecchio testamento.

I musaici però della tribuna sono dell'epoca di Niccolò IV fatti per ordine del cardinale Iacopo Colonna: ivi si legge i nome dell'artefice, musaicista celebratissimo, Giacomo Turrita  p228 il quale vi appose la data del 1295. Non è questo da confondere col IACOBUS FRATER S. FRANCISCI, che nel 1225 compose i musaici della tribuna di s. Giovanni a Firenze. Il soggetto principale dell'abside è Maria coronata dal Redentore circondata da una gloria d'angeli: il Salvatore ha un libro in mano ove si legge: VENI ELECTA MEA ET PONAM IN QUESTE THRONU MEU; sotto il cielo vi sono le parole: MARIA VIRGO ASSUmPTA E AD ETHEREU THALAMU IN QUO REX REGUM STELLATO SEDET SOLIO. Ai due lati del trono di Maria stanno gli apostoli Pietro e Paolo, i due giorno, Francesco e Antonio da Padova. Al campo d'oro fanno cornice tralci di vite con augelli variopinti. Niccolò IV e il cardinale che avea commesso il lavoro, sono rappresentati genuflessi in piccolissime dimensioni, coll'epigrafe:º DNS IACOBVS DE COLVPNA CARDINALIS: all'angolo a sinistra si legge: IACOBUS TORRITI PICTOR H OP MOSIAC. FEC. Nel ventaglio della conca regna il monogramma. Nella zona inferiore è rappresentata la scena del mare con putti naviganti: nel centro sta il mistico monte coi quattro fiumi in mezzo ai quali sta la Gerusalemme celeste. Il grandioso musaico è opera di tanto splendore da non sembrare cosa terrena, ma celeste; è uno spettacolo incantevole che scuote l'anima esultante allorchè si trova in quel maggior tempio, monumento dei trionfi di Maria vincitrice dell'eresia.

Sotto il musaico si leggono i seguenti versi:

QUARTUS PAPA FUIT NICOLAUS VIRGINIS AEDEM

HANC LAPSAM REFCIT FITQUE VETUSTA NOVA

PETRUS APOSTOLICUM SERVET FRANCISCUS ALUMNUM

PROTEGAT OMNIPOTENS MATRE ROGANTE BEET.

Il cardinale Giacomo Colonna fece adornare di quei musaico l'abside sotto Niccolò IV non solo nella parte interna, ma anche nella esterna, lavori che furono compiuti dopo la morte del papa nel 1295. I musaici esterni furono però distrutti, ma il De Rossi ne ha trovato notizia in un codice barberiniano che crede opera di Niccolò Alemanni. Ivi era la Madonna fra le sante Agnese, Cecilia, Lucia, Caterina: vi era inoltre la scena dell'epifania.

La facciata della basilica è adorna di musaico nella parete elevata sopra il portico anteriore della medesima, costruito da Eugenio III (1145‑53). Ma quel musaico insigne fu mutilato e chiuso delle goffe arcate della grande loggia eretta per la benedizione papale da Benedetto XIV nel 1743.

 p229  Il musaico e diviso in due piani: nel superiore regna entro l'ovato del firmamento il Salvatore in trono fra quattro angeli, le lettere ΙϹ ΧϹ stanno ai due lati del nimbo, nel codice divino che ha in mano il Salvatore si legge: EGO SVM LVX MVNDI QVI; sotto questo sgabello del trono l'artefice segnò il nome: PHILIPP RVSVTI FECIT HOC OVS. Ai lati del Salvatore librano le ali su nubi di fuoco l'angelo e i tre animali simbolici; al disotto sono schierati otto santi in piedi; prima è la beata Vergine colle lettere ΜΗΡ ΘΥ, che teneva in mano un libro aperto. Segue l'apostolo Paolo sul cui volume si legge: MICHI VIVE. XC, poi san Giacomo col bordone di pellegrino, quindi s. Girolamo coll'epigrafe che diceva SCS IERONIMVS: dall'altra parte è il Battista, poi s. Pietro colla sua professione di fede scritta nel volume: TV ES CHRISTUS FILIUS DEI VIVI, poi s. Andrea, la cui epigrafe è guasta, ma dicea: INVENIM MESSIAM QD E ITP ATV XPC, poi un santo del mente rimane il buso col suo nome SCS MATTIAS, e nel volume aveva le lettere; C RESVRREXION E VITA FVTVRI SCLI. Ordinatori del nobile musaico furono i cardinali Giacomo e Pietro Colonna, le cui figure sono perite, ma l'anonimo barberianiano ne vide una coll'epigrafe: DNS IACOBVS DE COLVPNA CARDINALIS. Nel piano inferiore vi ha una serie di quadri, il primo a sinistra mutilate è chiarito dall'epigrafe: VGO M APPVIT PP LIBIO DICES FAC M ECC I MOTE SVPAGIO SIC NIX IDICAT, dalla quale si vede che il monte Esquilino era chiamato Superagio, del qual vocabolo il ch. De Rossi ritrova la parole contrafatte dalla pronuncia del popolo super aggerem, reminiscenza del famoso aggere di Servio Tullio che correva appunto innanzi a quella basilica. In quel quadro si vede Liberio dormiente cui apparisce la Vergine. Nel quadro seguente si vede una donna che veglia a piè di un letto e dietro la cortina un famiglio che dorme, e l'epigrafe dice: QUANDO EADEM NOCTE APPARUIT IOANNI PATRICIO IDEM DICENS NONIS AUGUSTI: il pontefice siede su un faldistorio ed ode il racconto di Giovanni come dice l'epigrafe: QUI IOANNES PATRITIUS IVIT AD PAPAM LIBERUM PRO VISIONE QUAM VIDERAT. Nell'ultimo quadro il Salvatore e la Vergine dal cielo fanno cader la neve sul monte Superagio ed il papa accompagnato da Giovanni e dal popolo delinea sulla neve la chiesa; nel campo è scritto: CONGREGATIO (nivis).

Nel 1295, Mino da Turrita compì il musaico nell'abside interna della basilica a spese di Giacomo Colonna, uno degli anzidetti cardinali. Tornando ora alla tribuna, ha dimostrato il  p230 ch. De Rossi che essa era di forma speciale, siccome abbiamo da un passo rimasto fin qui oscurissimo del libro pontificale nella vita di Pasquale I, concernente il presbiterio di quella basilica. Il biografo pontificio scrive che le matrone nella basilica liberiana stavano dietro la cattedra pontificale, e tanto ad essa vicine, che ascoltavano ogni parola detta dal pontefice ai suoi ministri. Come mai poteva ciò avvenire, scrive il De Rossi, se la cattedra era posta, secondo il rito solenne, nel mezzo dell'emiciclo e addossata alla parete dell'abside? Ora, la cosa è appunto evidente, se si ricordi che l'antica abside, innanzi che fosse rinnovata da Niccolò IV nel 1290, era sostituita da pilastri e da archi aperti comunicanti con un posteriore ambulacro, il quale ai tmk di Pasquale I era destinato alle matrone, matroneo, che poi fu incorporato al presbiterio ed al coro. Così era l'abside dei ss. Cosma e Damiano al Foro Romano, così quello di s. Sebastiano ad catacumbas, così a Napoli quello della basilica severiana. Nella cornice architravata che ricorre sulle colonne della nave maggiore, evvi un bel fregio di musaico, sopra al quale ricorrono quadretti di musaico, opera anch'essi di Sisto III, rappresentanti scene dei due testamenti, dei quali molti essendo periti furono suppliti con altri in pittura imitante il musaico.

Da Sisto III ad Eugenio III la chiesa subì poche modificazioni: questo pontefice ne rifece fare intiero il portico, sul quale leggevasi i versi che oggi, tolti dal posto primitivo, sono murati in un parete dell'andito presso la sacrestia:

TERTIUS EUGENIUS ROMANUS PAPA BENIGNUS

OBTULIT HOC MUNUS VIRGO MARIA TIBBI

QUAE MATER CHRISTI FIERI MERITO MERUISTI

SALUA PERPETUA VIRGINITATE TIBI

ES VIA VITA SALUS TOTIUS GLORIA MUNDI

DA VENIAM CULPIS VIRGINITATIS HONOS.

Il pavimento è d'opera cosmatesca del secolo XIII, erroneamente detta alessandrina. Nel mezzo della nave maggiore v'erano in musaico rappresentati due cavalieri, cioè Scotto e Giovanni de' Paparoni nobili romani, che colle loro offerte fecero fare il pavimento della chiesa come dicea l'epigrafe:

VIRGO SERENA TIBI SCOTUS PAVIMENTA LOCAVIT

FILIUS ATQUE PARENS SCOTUS PAPARONE IOANNIS

SANGUINE QUI CLARO TAM DURIS QUI STAT ANNIS

CONSOLE QUO TREPIDANS ROMA RGENTE STETIT

RUUIUS ET ABSUNTO FATTA CONSORTE IOHANNE

PROLE SUA CONSUL TUTA DRAGONE FUIT

IMMEMOR HAUD SUMPTAM SCOTUS PAPARONE SALUTIS

TALE PAVIMENTUM DAT TIBI VIRGO PARENS.

 p231  Il senato romano circa quei tempi volle edificare nella nave di mezzo uno degli altari sacro a s. Gregorio, mentre Giacomo Capocci e Vinia, sua moglie, ne edificarono un secondo. Dall'epoca di Niccolò IV la basilica cominciò a cambiare la forma primitiva di Liberio: i cardinali Colonna trasferirono il coro dalla basilica nel presbiterio. Si moltiplicarono le cappelle in tutti gli angoli della basilica e perfino nel mezzo delle navi. Sopra una di queste doveva essere la celeberrima opera del Masaccio descritta dal Vasari, che dice era in una cappelletta vicino alla sacrestia, ove era il ritratto di Maria, del papa Martino e di Sigismondo imperatore.

Nel secolo 14 il cardinale Estouteville aprì le due porte ai lati della tribuna, edificò altre cappelle, fece le volte della crocera e delle navi minori ed ornò con ricco ciborio l'altare papale. Alessandro VI, essendo ancora Roderico Borgia e cardinale di detta chiesa, fece il bel soffitto della nave maggiore, opera stupenda di quel secolo, già incominciata da Callisto III, e che si vuole dorato colonne primizie del prezioso metallo venuto dall'America da poco discoperta. Sisto V e Paolo V edificarono le due magnifiche cappelle laterali, monumenti d'infinita ricchezza e pietà. Gregorio XIII fece un breve, pro capitulo et ecclesia s. Mariae M. de Urbe, nel quale concede la facoltà al capitolo di costituire dei censi pro reparanda ecclesia. Benedetto XIV ristorò in modo la basilica che quasi la ebbe riedificata, deturpandone però architettonicamente la facciata. A destra di questa si alza la bellissima torre campanaria, la maggiore di Roma, riedificata da Gregorio XI dopo il suo ritorno a Roma, e restaurata da Paolo V. Testè da questa torre è stata tolta una campana assai antica che si conserva oggi nei giardini del Vaticano e sostituita da altra donata dal Santo Padre Leone XIII.

Sulla prima si legge l'epigrafe:

AD HONOREM DEI ET BEATE MARIE VIR

GINIS ISTA CAMPANA FACTA FUIT PER

ALFANUM POSTMODUM IN ANNO DOMINI

MCCLXXXIX RENOVATA † EST PER

DOMINUM PANDULFUM DE SABELLO

PRO REDEMPTIONE ANIME SUIE GUIDOC

TUS PISANUS ET ANDREA EIUS FILIUS

ME FECERUNT.

 p232  Due personaggi storici sono qui ricordati, cioè l'Alfano, camerlengo di Callisto II, ed il famoso e notissimo Pandolfo Savelli che combattè nella giornata di Tagliacozzo contro Corradino, senato di Roma nel 1279 e fratello di Onorio IV. Quella campana aveva sette secoli di storia, e forse i suoi rintocchi furono uditi dai romani allorchè venne annunziata la conclusione della pace nel primo concilio lateranense. Possa quella donata da Leone XIII fare udire al venerato pontefice non meno festosi rintocchi! Le tre navi della basilica vengono divise da trentasei colonne di marmo greco bianco con capitelli ionici. Sotto l'altare papale v'è la cappelletta o confessione di s. Mattia, splendidamente rinnovata sotto il pontificato di Pio IX dall'architetto Virginio Vespignani. A destra della nave minore Sisto V nel 1586 fece edificare la magnifica cappella a croce greca detta sistina con l'architettura del Fontana, il quale posevi nel mezzo l'antica cappelletta della sacra culla, che egli con macchine congegnate levò tutta intera dalle sue fondamenta dal luogo dove prima era. Questa celeberrima cappella si trovava lungi 70 palmi dal luogo attuale: era stata incominciata da Innocenzo III e condotta a fine da Onorio III con l'architettura del celebre Arnolfo di Lapo, il quale ivi costruì anche la tomba del suddetto papa. Ivi si veneravano le reliquie del santo presepio consistenti in tre tavole fatte venire dalla Palestina, secondo alcuni da Gregorio III, secondo altri da Teodoro. Nell'altare di questa cappella cantava messa il papa nella notte del s. Natale, poi all'alba andava a celebrar la seconda in s. Anastasia, tornando per la terza volta in questa basilica a cantar la terza sull'altare maggiore. Nel medioevo giunto in chiesa la seconda volta, il papa con una canna fornita di lume nell'estremità dava fuoco a dei fiocchi di stoppa pendenti dagli intercolunnj, ricordando ai fedeli che la seconda venuta di Cristo sarebbe accaduta non nella quiete d'un presepe, ma fra i cataclismi e l'incendio della natura. Nel fondo della nave minore a destra v'ha il deposito del cardinale Consalvo vescovo d'Albano, morto nel 1299. Il sarcofago è ornato d'opera cosmatesca e nella fronte leggesi la seguente epigrafe:

HIC DEPOSITUS FUIT QUONDAM CONSALVUS EPISCOPUS

ALBANEN. A. D. MCCLXXXXIX HOC OPUS FECIT IOHANNES

MAGISTRI COSMAE CIVIS ROMANUS.

o più accuratamente:


[image ALT: Una iscrizione monumentale di due righe in caratteri unciali, dettaglio della tomba del vescovo Gonsalvo nella basilica di S. Maria Maggiore a Roma; viene trascritta su questa pagina.]

HIC DEPOSITVS FVIT QVONDA DNS GUNSALVVS EPS [. . .

. . .] ALBANEN ANN DNI M·CC·LXXXXVIIII

HOC OP9 FEC IOHES MAGRI COSME CIVIS ROMANVS

Nella parete, in un tabernacolo di marmo, v'ha in musaico l'imagine di Maria avente da un lato l'effigie di s. Mattia con questo motto scritto in un cartello: ME TENET ARA PRIOR; e  p233 dall'altra quella di s. Girolamo colla scritta: RECVBO PRAESEPIS AD ANTRVM, segno che i corpi dei due santi erano deposti nella basilica. Dirimpetto alla cappella sistina v'ha l'altra non meno magnifica di Paolo V Borghese eretta nel 1611; sul cui altare principale si venera un'assai antica e divota imagine della Vergine. Il Baronio opina sia quella portata in processione da s. Gregorio il grande, ma non dice dove ha tolto la notizia; ella è certo una imagine non anteriore al quinto secolo, come afferma il ch. Garrucci. Presso la odierna sacrestia v'ha il magnifico battistero over era il coro dei canonici. Annesso alla basilica v'ha il palazzo dell'arciprete e della canonica eretto sull'antico in cui l'anno 1292 morì il papa Niccolò IV ai 4 di aprile e che egli stesso aveva fondato come una residenza pontificia. I documenti del secolo XIIISIV ricordano alcuni degli altari, cappelle e fondatori di queste. Così nella navata medesima v'era l'altare delle ss. reliquie fatto erigere da Iacopo di Ianni Capocci e da Lavinia sua moglie nel 1256: vi si leggeva l'epigrafe: IACOBUS IOANNIS CAPOCCI ET VINIA UXOR EIUS FECERUNT FIERI HOC OPUS PRO REDEMPTIONE ANIMARUM SUARUM ANNO DOMINI MCCLVI. L'altare era sostenuto da sei colonne, delle quali quattro di porfido. Seguiva l'altare della Madonna, creduta di s. Luca e così allora chiamata: quello era stato riedificato dal senato e dal popolo romano nel secolo XIII e vi stette finchè Paolo V pose nella sua ricchissima cappella la veneratissima imagine. Veniva poi la cappella del presepio di cui abbiamo già parlato, quindi quella del Gonfalone che era dedicata al Crocifisso, e rifatta nel 1326. Seguivano quindi, la cappella della Compagnia del ss. Salvatore che secondo il suo costume vi si conducea a celebrare i suffragi de' difunti; la cappella di s. Barbara che era del Capocci ove furono sepolti i cardinali Pietro e Niccolò Capocci, l'uno nel 1259, l'altro nel 1368; la cappella di s. Lorenzo anch'essa del Capocci, quella di s. Maria da Podio degli Arcioni, quattro cappelle della famiglia Colonna, in uno dei quali era sepolto Niccolò IV, quella dell'Assunta e di s fra, del card. Landi nel 1417, di s. Silvestro, della famiglia de' Normanni nel 1304, di s. Lucia, degli Omodei, di s. Angelo e della Croce e quella di s. Girolamo, che fu demolita da Sisto V per la sua grande cappella. L'altare ove si venerava il corpo di s. Girolamo era stato edificato circa il 1400 da Stefano de' Guaschi, ed il corpo vi era stato trasferito da altro luogo della basilica cioè dalla vicinanza di quello del presepio. Sotto Sisto V il canonico Ludovico Ceragola, temendo che il papa concedesse il corpo di s. Girolamo agli Schiavoni per la loro chiesa, lo fece nascondere  p234 nel pavimento sotto una pietra di profido nel pavimento a destra del presbiterio, donde lo ricolse il card. Pinelli ponendolo sotto la confessione con la cass d'argento che racchiudeva quelle reliquie. Quando e come a questa basilica vennero le reliquie di s. Girolamo è incerto, altri attribuiscono questa traslazione a Teodoro, altri ad epoca posteriore, cioè poco prima di Niccolò IV. Nella nave sinistra v'era la cappella della Visitazione fatta edificare nel 1424 da Niccolò Viviani vescovo di Chieti; anche quella della b. Vergine era stata eretta dai Campilo nel medesimo anno, alla quale era vicino una cappella di s. Caterina, eretta da un tal Brizio del rione Monti nel 1444. La cappella dell'Annunziata era una delle quattro detta dei Colonnesi, fondata da Oringia Colonna. Il card. d'Estouteville nel 1483 fondò anche una cappella di s. Michele Arcangelo e di s. Pietro ad Vincula. V'era anche la cappella di s. Andrea apostolo, ed un'altra detta della Madonna e dei ss. Girolamo e Bernardo edificata da Guglielmo de Pereriis ai 13 di novembre del 1501.

L'ultima delleº cappelle antiche era quella di s. Maria della Neve, la quale fu riedificata nel 1612. Il capitolo liberiano ne avea concesso il sito alla casa Patrizi che la ricostruì di pianta. Ivi un altare più antico era stato consecrato in onore dell'Assunta e della Madonna della Neve l'anno 1574; una cappella però della Neve in quella basilica si trova ricordata fin dal 1566 e forse era assai più antica, eretta cioè quando si cominciò a formare la leggenda suddetta.

Molti personaggi furono sepolti in questa basilica: tra i primi è da ricordare Onorio III, il celebre conte Everso dell'Anguillara deposto vicino al conte Dolce suo padre morto nel 1464, Andrea figlio di Angelotto de' Normanni morto nel 1383, e il card. Stefano Palosci. Si dicea pure che vi fosse deposto quel Giovanni Patrizio che secondo la leggenda della neve sarebbe stato il fondatore della basilica. Il spc infatti portante l'epigrafe seguente si leggeva presso l'avello di Clemente IX: IOHANNIS PATRITII — HUIUS BASILICAE FUNDATO — RISULTA SEPULCHRUM, stile e latinità tutt'altro che del secolo quarto. Ai 22 di febbraio del 1746 fu fatto esaminare il contenuto del sepolcro sottoposto alla lapide: vi si rinvennero alcune ossa maschili e femminili, ed avanzi di aromi, e brandelli di stoffa.

La grande basilica di Liberio nel volgere dei secoli fu testimone di due tragici avvenimenti, il primo poco dopo la sua edificazione, allora entro le sue porte accadde la strage dei seguaci di Ursicino; il secondo è meno antico, quando cioè nel Natale del 1075 il grandissimo dei papi s. Gregorio VII fu violentemente strappato dall'altare da Cencio e dai suoi congiurati.  p235 Colà poco dipoi fu il papa santo ricondotto in trionfo dal popolo, e ripigliò a dire la messa interrotta. Meraviglioso coraggio e fortezza che rivela non solo la grandezza di quell'animo, ma la fortezza e l'indole del papato!

Quattro erano i monasteri che circondavano la basilica: l'uno detto Ex aiulo, il secondo in Vespani, il terzo Massa Iuliana, il quarto ad duo furna, ossia il 1o ss. Andrea e Stefano, il 2o santi Cosma e Damiano, il 3o s. Andrea, il 4o ss. Lorenzo, Adriano, Prassede e Agnese. I due primi stavano fra s. Maria Maggiore e il castello dell'acqua alessandrina. Nel secolo XIV quello dei ss. Andrea e Stefano, convertito in ospedale, diceasi in aggerein superagio, nome che ricordava corrottamente l'antico agger di Servio presso al quale era appunto quell'edifizio. Quello dei ss. Cosma e Damiano aveva mutato nome in s. Luca, l'altro detto in Massa Iuliana era presso la villa di Mecenate: infine il nome Vespani si riferiva forse a Vipsano Agrippa. Il terzo monastero fu occupato dal chiostro di s. Antonio, il quarto da quello di santa Prassede.

S. Adriano ad duo furna

Il Libro pontificale nella biografia del papa Adriano I (a. 772‑795) ricorda un monastero dedicato ai ss. Adriano e Lorenzo situato presso la basilica della s. Vergine ad praesepe. Dalle parole di quel libro ricavasi che quel monastero abbandonato a quell'epoca, in ruinis marcescebat a priscis temporibus e fra i ruderi del medesimo dimoravano i poveri: il papa lo ristaurò, lo dotò di beni, vi pose dei monaci i quali come gli altri che dimoravano nei circonvicini monasteri dovevano Deo die noctuque canentes, solitas dicere laudes. Le nostre maggiori basiliche erano infatti uffiziate da monaci detti acemeti, cioè non dormienti, i cui monasteri sorgevano intorno alle medesime, ed uffizio di questi era di non interrompere mai le divine salmodie nè di giorno nè di notte. Così praticavasi nella vaticana, nella lateranense e nelle altre basiliche. Questa chiesa e monastero sorgeva nell'area del palazzo annesso alla basilica di s. Maria Maggiore, dal lato della cappella borghesiana. Il Martinelli crede che fosse distrutto sotto Niccolò V nella prima edificazione di quel palazzo. In un documento del 1364 viene chiamata s. Adrianello.  p236 Nella biografia di Leone III si ricorda questa memoria di s. Adriano col nome di oratorium sancti Hadriani, il che dimostra come fosse una chiesolina di poca importanza e quasi la cappella domestica del suddetto monastero. In fatti nel codice di Torino la nostra chiesuola è ricordata fra quelle della seconda partita col nome di s. Adrianello la quale habet unum sacerdotem. Questa chiesuola è ricordata pure con le denominazioni locali in Massa Iuliani, ovvero Massai, oppure s. Adriani, s. Mariae Maioris, le quali tutti ricordano la stessa chiesa, che il Lonigo nel suo catalogo ms. attribuisce ad altrettante chiese diverse.

S. Agnese ad duo furna

Presso la suddetta di s. Prassede v'era una antichissima chiesa dedicata alla celeberrima martire romana, e ai tempi di s. Pio V era ancora intatta. Infatti nel catalogo da me rinvenuto negli archivj del Vaticano trovo: s. Agnese nella piazza di s. Maria.

Le sue origini sono antichissime, poichè è ricordata nella celebre lapide del papa Pasquale I (817‑824) in s. Prassede: ivi si legge che il papa pose molte reliquie IN ORATORIO BEATAE XPI VIRGINIS AGNEITS QUOD SURSUM IN MONASTERIO SITUM EST. Nel museo lateranense si conserva il fulcro d'un altare che un abbate di quel monastero ricostruì in quell'oratorio circa il secolo XII, ove si legge l'epigrafe: ✠ DEO AD HONOREM BEATOrum Martyrum AGNETIS Virginis ALEXANDRI PP OBTULIT ARAM MARCUS ABBAS MONASTERII HUIUS SANCTE PRAXEDIS.

Anche nella biografia di Leone III è ricordato quest'oratorio ad duo furna. Io sospetto che fosse edificato nel luogo e non lungi da quello ove s. Agnese subì il suo martirio, cioè la decollazione.

All'oratorio suddetto, dopo che venne distrutto, sembra che fosse sostituita questa chiesina edificata almeno dal secolo XIV e che Niccolò V unì con bolla del 1452 alla mensa capitolare di s. Maria Maggiore.

Ss. Cosma e Damiano

Il Lonigo ricorda che fra le chiese dedicate in Roma ai due anzidetti santi, ve n'era una vicino a s. Maria ad praesepe, assai antica, poichè edificata fino dal secolo V dal papa Simmaco,  p237 presso la quale v'era un monastero, al quale, come abbiamo nella sua biografia, il papa Leone III offrì un ricco dono.

Questa chiesa esisteva ancora ai tempi di Sisto V presso la sua villa, ma fu dal papa demolita per l'abbellimento della nuova piazza, come narrano e il Bruzio e il Mellini, il primo dei quali nota che la chiesa era precisamente presso la nave destra della basilica. L'antico monastero annesso alla detta chiesa nell'età di mezzo dicevasi UspaniVespani, di che l'Adinolfi rende una non plausibile spiegazione. Nè credo probabile l'opinione dell'Adinolfi che questa sia la stessa chiesa detta da Cencio Montis Granatorum, e Celestino III unì a s. Maria Maggiore con bolla del 1191, perchè una chiesa dei ss. Cosma e Damiano de monte granato trovo in altra e più remota contrada.

S. Prassede

Sorge questa chiesa sulla cima del clivo suburano, che passa per mezzo all'Esquilie, e però poco distante da s. Maria Maggiore. Della sua prima fondazione non si hanno notizie positive. Peraltro il concilio di papa Simmaco tenuto nel 499 ci fa certi che fin da quel tempo esistesse; una lapide venuta in luce dal cimitero di s. Ippolito sulla via Tiburtina ci ricorda un PRESBYTER TITULI PRAXEDIS dell'anno 491, cioè sedente Felice III; giacchè negli atti di esso si nominano due preti di questo titolo, Celio e Pietro. Il libro pontificale nella vita di s. Leone III, che fu nel 796, ricorda la chiesa di santa Prassede, per donativi fatti alla medesima. L'autore stesso nella vita di Pasquale I, vissuto circa ventidue anni dopo s. Leone III, narra, che Pasquale, stato prete di questo titolo, assunto al papato, rinnovò la chiesa, anzi che la mutò di luogo, facendone un'altra non lungi. Talchè questo sacro tempio, come oggi si vede, è opera di Pasquale I, il quale fece ornare la tribuna e l'arco maggiore con musaici. Pasquale riedificando quella basilica vi aggiunse due oratorj, uno a destra e l'altro a sinistra; il primo dedicato a s. Zenone, il secondo a s. Giovanni Battista, e dietro l'abside edificò un monastero con oratorio dedicato a s. Agnese.

S. Carlo Borromeo, essendone titolare, fece edificare la scala e la facciata principale, vi fece la porta nuova, e dentro il palco di legno intagliato: accomodò i gradini per salire all'altare grande, e cinselo con cancellate: rinnovò i sedili del presbiterio,  p238 fece formare le incrostature di belli marmi che sono sotto il curvo della tribuna; rifece il tabernacolo sostenuto da quattro colonne di porfido, ed ornò la facciata fuori dell'archo maggiore colle statua delle sante Prassede e Pudenziana. Un cardinale di casa Pallavicini, come ne fa fede l'arme, rinnovò il piano della chiesa, che è di tavole di marmo bianco, e fece dalle bande dell'altare maggiore due cori pe' monaci vallombrosani, che hanno congiunto alla chiesa il loro convento.

Si entra alla chiesa per un antico portico ornato di due colonne di granito; prima del quale sono due branchi di scale, in cui sono de' gradini di rosso antico, rari molto per la grossezza del masso. L'altar maggiore venne rifatto al modo che si vede nel 1730 dal cardinal Luigi Pico della Mirandola, il quale l'ornò anche d'un ciborio, d'un coro e d'una balaustrata, tutto fregato in marmi finissimi, valendosi dei disegni di Francesco Ferrari. L'altare rimane isolato ed il suo tabernacolo è retto dalle quattro colonne di porfido, come si disse. Nel presbiterio tra l'arco e la tribuna veggonsi sei belle colonne di marmo bianco, sostenenti due logge, fatte erigerer dal nominato cardinal s. Carlo Borromeo: le dette colonne sono scanalate, con dei fogliami e con capitelli convenienti allo stile gotico. Nel grand'arco e nella tribuna si ammirano le antiche pitture in musaico, eseguite, conforme s'è notato, d'ordine di Pasquale I, nel IX secolo. Il musaico dell'arco rappresenta la città santa, secondo l'Apocalisse cap. VII, cogli eletti e gli angioli che ne tengon la guardia. Quindici santi sono disposti in due serie ineguali nel piano inferiore, otto a destra del Salvatore, sette a sinistra. Quei santi sono: la beata Vergine alla di Roma del Redentore, Prassede, Pietro, Paolo, il Battista, poi gli altri apostoli: alle due estremità sono due personnagi posti più in alto, forse Elia e Mosè. Nel piano inferiore è raccolta la moltitudine dei martiri amicti stolis albis. Nella faccia dell'abside si scorge il mistico agnello a cui si prostrano adorando i ventiquattro seniori; l'abside propriamente esprime il Salvatore attorniato da parecchi santi. Il fregio che gira intorno alla tribuna contiene questi versi in lettere di musaico:

EMICAT AULA PIAE VARIIS DECORATA METALLIS

PRAXEDIS DOMINO SUPER AETHRA PLACENTIS HONOR,

PONTIFICIS SUMMI STUDIO PASCHALIS ALUMNI

SEDIS APOSTOLICAE PARUM QUI CORPORA CONDENS,

PLURIMA SANCTORUM SUBTER HAEC MOENIA PONIT

FRETUS UT HIS LIMEN MEREATUR ADIRE POLORUM.

 p239 

È da notare che la imagine di Pasquale I vedesi dipinta nella tribuna, avante nella destra la chiesa da lui edificata, ed attorno la testa il nimbo quadrato, segno che ancor viveva quando l'opera fu eseguita; si vede presso di lui il suo nome composto dalle lettere d lo formano intrecciate assieme.

Sotto l'altar maggiore è una cappellina ove si custodisce il corpo di s. Prassede, e parecchie altre reliquie. La nave di mezzo fu fatta dipinger tutta da Alessandro de' Medici, che poscia fu Leone XI, il cui ingresso è nella nave destra della chiesa. Quest'oratorio è adorno dei musaici di Pasquale, il quale lo dedicò a s. Zenone, ignoto santo che, nella lapide dello stesso papa ricordante la celeberrima traslazione da lui fatta delle reliquie a questa chiesa, vien detto presbyter. Nel secolo VII l'autore dell'epitome del libro De locis sanctis martyrum, lo appella frater Valentini; ed i due martiri infatti furono sepolti in quest'oratorio. L'oratorio è quadriforme, la volta a crocier poggia su quattro colonne poste agli angoli: altrettanti nicchioni quadrilunghi con volticelle occupano i quattro lati, due dei quali ora aperti servono d'ingressi alla cappella. È tutto adorno di musaici, nella volta, nei sottarchi, nelle pareti in alto; le pareti inferiori sono coperte di lastre marmoree; il pavimento è di opus tessellatum. La porta esteriore dell'oratorio sta sulla nave minore della chiesa, è decorata di epistilio marmoreo di stile del secolo III, retto da due colonnine, sul quale è posato un gran vaso antico di marmo; la fronte sulla porta è coperta di musaici; sull'epistilio si legge il seguente titolo:

✠ PASCHALIS PRAESULIS OPUS DECORE FULGIT IN AULA

QUOD PIA OBTULIT VOTA STUDUIT REDDERE DO.

Sul musaico che sta su questa porta sono effigiate molte imagini clipeate, cioè a mezzo busto entro cerchi, attorno al vano d'una finestra. La prima serie presso la finestra ha nel sommo dell'arco la beate Vergine col bambino in grembo, e ai due lati due santi che dalle tonsure clericali apprendonsi chierici, essi sono Valentino e Zenone; poi vengono otto sante riccamente addobbate, cioè Pudenziana e Prassede, ed altre sante vergini e matrone.

La seconda serie d'imagini clipeate rappresenta il Salvatore e gli apostoli; ai piedi di questa serie entro quadretti sono effigiati  p240 due busti di pontefici con tiara cinta d'una sola corona, ma sono opera posteriore, cioè del secolo XIII.

La volta dell'oratorio tutta splendente di fondo d'oro è adorna di quattro angeli ai quattro spigoli della crocera ritti sopra celesti sfere che colle braccia alzate sostengono un disco centrale in cui regna il busto del Salvatore. Sotto la volta, nelle pareti, sono effigiate figure di santi nel celeste giardino; di fronte alla porta la beata Vergine ed il Battista; a sinistra Prassede, Pudenziana, Agnese; a destra gli apostoli Andrea, Giacomo, Giovanni; sulla porta principale vi è il trono di Cristo adorno della sua croce, fiancheggiato da Pietro e Paolo. Il musaico che adornava la lunetta di fronte alla porta è stato mutilato: rappresentava la trasfigurazione del Salvatore; la nicchia e lunetta a destra sono ora chiuse da cancellata e occupate da un padiglione in stucco, opera del secolo XVII, ad ornamento della colonna della flagellazione; ivi è l'arca marmorea che conteneva le ceneri dei ss. Zenone e Valentino, la quale fu aperta e le reliquie rimosse nel 1699. Nella lunetta su quell'arca il Ciampini vide tre imagini a mezzo busto, cioè Gesù col nimbo crucigero fra due santi tonsurati, ossia Zenone e Valentino. Di fronte alla nicchia destra ve nè una simile ora aperta nel fondo per dare ai fedeli comodo di vedere la santa colonna; quivi Pasquale pose il corpo di sua madre Teodora; nella lunetta del sottarco è effigiato l'agnello sul monte, da cui sgorgano i quattro rivi ai quali si dissetano i cervi. Al disotto si vedono quattro busti femminili, il primo col nome: THEODOra EPISCOPA, col nimbo quadrato in capo; gli altri anonimi, ma sono quelli di Maria Vergine, di Pudenziana e Prassede. Appiè del sottarco di questa nicchia è il quadretto della discesa di Gesù all'inferno; il Salvatore è accompagnato da un angelo e ne trae le anime dei patriarchi, primi dei quali sono Adamo ed Eva. Sopra l'altare di fronte alla porta è una piccola nicchia, entro la quale è effigiata a musaico la Vergine fra Pudenziana e Prassede; presso il capo di Maria si leggono le lettere MP EM (Mater Emmanuel), ma questa è opera del secolo XIIXIII.

La detta cappella altre volte si chiamava orto del paradiso, e altrimenti s. Maria libera nos a poenis inferni.

Dalla parte diritta si custodisce con molta venerazione una antica colonna di diaspro sanguigno, portata in Roma nel 1223 sotto Onorio III dal card. Giovanni Colonna, che la pigliò in Gerusalemme, a causa di una tradizione per la quale si riteneva vi fosse stato legato il Salvatore quando venne flagellato: essa è alta palmi 3, ed il luogo ove è riposta fu ornato da Ciriaco Lancetta uditore di Rota. Nel vano a sinistra  p241 presso la nominata cappella si ammira il bel sepolcro del cardinal Alano Cetive de' signori di Taillebour in Bretagna, vescovo di Sabina sotto Sisto IV, morto nel 1474, ed è una bella e pregevole opera di scultura. Di faccia alla cappella stessa vedesi il ritratto di monsignor Gio. Battista Santoni, scolpito dal Bernini, e questo fu il primo lavoro di tal genere da lui fatto, in età, come si vuole, d'anni dieci.

Nel fondo della nave sinistra v'ha una lunga tavola marmorea, sulla quale, secondo una pia leggenda, s. Prassede soleva dormire per mortificare il suo corpo. Da sette secoli i monaci di Vallombrosa posseggono questa chiesa, ai quali fu affidata da Innocenzo III. Fra le più antiche e più belle torri campanarie di Roma, è, a parer mio, da annoverarsi quella della nostra chiesa. Importante poi fra gli altri rendono il campanile suddetto antichissimi dipinti in affresco che ne decorano le interne pareti. Il primo fra i moderni ch'abbia fatto menzione di quei dipinti è il nostro Francesco Cancellieri, il quale, in quell'oceano burrascoso d'erudizione, come possono dirsi le sue opere, ne parla nel libro che ha per titolo: Le due nuove campane di Campidoglio. Ecco le sue parole:

In questo campanile (di s. Prassede), sopra i muri dell'interno, vi sono al secondo piano alcune pitture antichissime rappresentanti i fatti dell'istoria di s. Agnese. È una disgrazia che esse trovinsi in gran parte scancellate; nulladimeno vi sono ancora molte figure intiere e nel fine delle cornici vi sono varie lettere che spiegano alcuni fatti della sua vita."

Benchè il Cancellieri non esaminasse le pitture e le iscrizioni dichiarative delle medesime, asserì purtuttavia, neanche dubitando del contrario, che esse rappresentassero di cero varj episodj del martirio di quella santa. Fondò egli questo suo giudizio appoggiandosi ad un passo del libro pontificale, ove nella vita del papa Pasquale I leggesi che quel pontefice fece un orato in questo monastero dedicato a quella martire: Hic benignissimus praesul fecit in iam dicto monasterio oratorium beatae Agnetis Christi Virginis mirae pulchritudinis exornatum. Che, infatti, nell'ambito di questo monastero esistesse veramente un oratorio dedicato a sant'Agnese, lo dimostra anche l'antica iscrizione del secolo XII, oggi conservata nel museo lateranense, ove si legge che un tale Marco abbate di quel medesimo monastero dedicò un altare a quella santa. Tuttociò persuase a questi, oltre il Cancellieri, discorsero di quelle pitture esistenti nel campanile di s. Prassede, che esse rappresentassero le circostanze del martirio di s. Agnese fattevi dipingere nel secolo IX dal papa Pasquale.  p242 

Senonchè, essendomi io accinto ad un accurato esame di quei dipinti, m'avvidi con mia grande sorpresa che essi non hanno relazione veruna con s. Agnese e i suoi atti. Onde dovetti escludere del tutto l'idea che il luogo in questione sia il famoso oratorio di s. Agnese. Per lo contrario ivi sono rappresentate varie scene allusive ad altri martiri ed in guisa particolare ai santi Celso e Giuliano, Crisanto, Daria, Ilaria, Giasone e Mauro, la cui solennità è celebrata negli antichi martirologj il 9 gennaio e il 25 ottobre. Queste pitture sono divise in altrettanti quadri disposti a tre ordini, gli uni sopra gli altri, e sotto ciascun quadro corre una fascia rossa, ove con lettere bianche sono scritte le cose dichiarative dei soggetti in essi espressi. Disgraziatamente, dei quadri del prim'ordine non rimangono che laceri residui appena discernibili, mentre di quelli del secondo e del terzo ho potuto decifrare con grande fatica pressochè tutte le iscrizioni. Ora, siccome prima di me niuno, per quanto sappia, aveva potuto leggere quelle iscrizioni, perciò credo opportuno renderle ora di pubblica ragione. Comincio dalla fascia della parete di mezzo. Ivi, sotto il primo quadro, si leggono le parole:

H UBI SCS IULIANUS FUSTIBUS CEDITUR
H UBI PUER CELSIUS SCO IULIANO . . . . .
H . UBI . CELSIUS . CREDIDIT . DOMINO . SCO . IULIANO
H UBI LEO IGNEM . . . . . . ES . . . . . .

Vengono quindi le iscrizioni della parete a sinistra che sono le seguenti:

H . . . . . . . . SEPULTA EST . . . . . . . . . . . .
H UBI SCS IULIANUS IN IGNEM ASSUS EST
H UBI MARCIANUS ASSI MARTYRIS . . . . . .
H UBI . . . . . . . . CURRUNT IGNE CREMARI.

Alle scene della passione dei ss. Celso e Giuliano tengono dietro altre allusive ai martiri Crisanto e Daria, che, come narrano i loro atti, vennero sepolti sotto le macerie d'un'arenaria della via Salaria per ordine dell'imperatore Numeriano. Così infatti ricavo dalle epigrafi sottoposte che sono del tenore seguente:

H UBI NUMERIANUS IMP IUSSIT SCM CRYSANTU

IN CATASTA EX . . . . . . . . . .

H . . . . . . VA SCS CRYSANTUS ET D . . . .

H UBI NUMERIANUS IMP AREN . . . PRAECIPITAR .

H . . I STORICA DARIA SEPELIVIT IARSION (sic) ET

MAURUS FILIIS SUIS (sic)

H UBI STORICA DARIA COMPRENSA EST

H UBI SCS CRYSANTUS IN CARCERE AT . . . .

 p243  Mi sembra inoltre pregio dell'opera avvertire che le suddette iscrizioni sono tolte di peso dalle parole degli atti di questi personaggi, cosicchè l'artista le ritrasse avea sott'occhio quegli atti, quali oggi possediamo ancora noi.

Ma anche un'altra circostanza rende importante le pitture in proposito. I ss. Crisanto e Daria dal cimitero di Trasone nella via Salaria furono, come tutti gli altri martiri storici, tradotti nell'epoca dei trasferimenti dei martiri dentro Roma. Ora, circa la traslazione di questi santi v'è una qualche confusione. Imperocche la storia e i monumenti ricorderebbero due traslazioni dei medesimi dai cimiteri nell'interno della città; ciò che è inammissibile. La prima traslazione è segnata nel secolo VIII sotto il papa Paolo I (757‑767), la seconda nel secolo IX sotto Pasquale I (817‑824). La prima è ricordata in un costituto di quel pontefice e in una iscrizione pubblicata dal card. Mai, l'altra nella famosa lapide di s. Pasquale. Questa celeberrima epigrafe originale si conserva ancora nella nostra chiesa, ed è murata nel pilastro a sinistra della parte della porta nuova della detta chiesa. È scolpita sopra lunga lastra di marmo frigio. Esso porta la data del 20 luglio dell'818; ivi si ricorda che il papa dai diruti cimiteri trasferì in questa chiesa i corpi di 2300 martiri, le cui reliquie egli, propriis manibus, ripose in quella chiesa medesima e nei tre oratorî che vi fabbricò. I Bollandisti che trattarono siffatta questione non seppero decidere una tale controversia. Oggi, dopo la lettura e la scolpita di queste pitture, troviamo che un monumento contemporaneo a papa Pasquale e forse ordinato da quel pontefice in s. Prassede ci rappresenta gli episodj principali di quei martiri. Ciò mi sembra favorire la sentenza che la traslazione genuina di quei santi accadesse sotto Pasquale e non già sotto Paolo I.

S. Giuseppe, e S. Maria sotto il titolo di Lourdes

Sono due chiesuole di recente struttura, opera dell'architetto Carimini non ancora del tutto compiute. Sorgono l'una sull'altra secondo lo stile dell'architetto sullodato di ch. mem. entro il monastero delle suore di s. Giuseppe di Cluny sul principio della via Buonarroti, a destra della Merulana. La fabbrica incominciò nel 1882. La inferiore è dedicata alla Madonna di Lourdes e nella parete a destra si vede un fac-simile della prodigiosa grotta; la superiore, che non è ancora compiuta, sarà dedicata a s. Giuseppe patrono della Chiesa universale.

 p244  S. Anna nella via Merulana

Alla metà incirca della via a destra della medesima, per chi da s. Maria Maggiore si dirige al Laterano, sorge questa nuova chiesa. È ad una sola nave. Ha sette altari; quelli a sinistra sono dedicati a s. Francesco di Paola, alla Madonna di Lourdes e al Salvatore; quelli a destra a s. Francesco d'Assisi, a s. Anna e a s. Michele Archangelo. L'altare della Madonna di Lourdes è situato nel fondo di una piccola grotta al cui ingresso vi è l'imagine della Concezione e alla sinistra v'ha il getto dell'acqua benedetta della miracolosa grotta. Nel soffitto è dipinta la coronazione di Maria santissima. La chiesa fu consecrata l'anno 1885.

S. Matteo in Merulana

Scrive il Lonigo di questa chiesa distrutta nel principio del nostro secolo: "ha una sola chiesa tra S. Giovanni in Laterano e s. Maria Maggiore nel luogo che anticamente si diceva Merulana. Qui era l'hospitale dei malati della famiglia del Papa quando i pontefici habitavano in s. Giovanni."

Sorgeva sull'angolo a destra di chi entra nell'attuale via Alfieri, e fu demolita, come si disse, dal governo francese. Il ch. prof. Tomassetti, allorchè tre anni or sono fu in quel luogo riedificata una divota chiesolina dal signor Augusto Senatra in memoria dell'antichissimo titolo, raccolse e pubblicò molte preziose notizie sull'origine della chiesa demolita che io brevemente qui riassumo. Fu detta già in Merulana dall'antica via sulla quale aveva la fronte ed un portico sorretto da colonne, ma quando nel 1575 Gregorio XIII fece aprire la moderna via retta, da s. Giovanni a s. Maria Maggiore, l'ingresso della chiesa di s. Matteo che guardava l'antica Merulana rimase fuori della nuova e perciò fu modificata la pianta della chiesa. Stava nel lato opposto a quello dove sorge l'attuale edicoletta del Senatra, che è stata da poco tempo anch'essa demolita. Le sue origini risalivano al secolo IV, e nei documenti ecclesiastici di quell'età è ricordata fra i titoli urbani, segno che ivi era un luogo di adunanza dei cristiani fino dai secoli delle persecuzioni. Più tardi il titolo fu trasferito a s. Stefano  p245 nel monte Celio. Nel portico della chiesa, che fu distrutto nel secolo XVI, fu trucidato e gettato in un sepolcro Sergio gif di Cristoforo capo della fazione franca, che poi da Adriano I fu fatto onorevolmente tumulate in vaticano. Pasquale II nel 1110, ad istanza del rettore della chiesa, nominato Anastasio, la restaurò e la consacrò coll'assistenza di sette cardinali, come risulta da una antica epigrafe che oggi è scomparsa. Due gentiluomini romani chiamati Andrea e Andreotto nel 1212 di nuovo la risarcirono a loro spese insieme al contiguo ospedale. Ivi dimorarono i religiosi detti Crociferi, ordine ora estinto, e dagli atti del notaio Pietro Ferraccia risulta che la chiesa possedeva l'intiero castello di Ninfa presso Velletri, ed altri fondi, fra i quali uno sulla via Tiburtina che porta tuttora il nome di s. Matteo. Sisto IV ridusse la chiesa a commenda che diede ad un suo famigliare togliendola ai Crociferi. Rassegnata nel 1477 da cotesto titolare al pontefice, questi la dette in custodia ai pp. Agostiniani. In quel tempo, ciò nel 1480, vi fu collocata la divotissima imagine della Vergine trasferita da Creta, rubata da un mercante, e che ora si venera in s. Alfonso all'Esquilino. Leone X restituì a s. Matteo il titolo cardinalizio, che fu conferito al dotto frate Egidio da Viterbo agostiniano. Sotto Sisto V fu di nuovo ristaurata del cardinale Decio Azzolino. Sotto Innocenzo X cadde nell'abbandono, e le reliquie, fra le quali il braccio di s. Matteo, furono trasportate nella basilica liberiana. Clemente IX la dette in titolo al card. Mancini che vi stabilì due cappellanie. Alcuni tra i marmi della chiesa si trovano nel chiostro lateranense. Nell'archivio dei Brevi vi ha un documento comunicatomi dall'egregio mons. de Romanis: pro d. Card. Heolio, a cui si dà la facoltà di costituire proprium sepulchrum et alia monumenta in ecclesia s. Mattei in Merulana de Urbe.

Nella relazione della Visita Apostolica sotto Alessandro VII ho trovato una istanza rivolta nel 1660 dal p. maestro degli Eremitani di s. Agostino della provincia ibernese i quali possedevano allora la chiesa, per ottenere dal papa che non fosse loro tolta e data agli Agostiniani della Congregazione di Perugia. Ecco il principio di quella istanza: Magister fr. Iacobus Chartons Prov. Hiber. ord. Heremitarum s. Augustini Procurtor in Curia et Prior Conventus Sti Mathei de Urbe, exponit humiliter S. V. quomodo S. S. paterna commiseratione comovente, perpetuis futuris temporibus, fratribus Augustinianis  p246 hibernis concesserit Conventum s. Mathei de urbe intuitu Sanguinis quatuordecim fratrum illius Provinciae ab haereticis in odium fidei interfectorum etc. . .: modo autem (ut fertur) fratres Augustiniani Congregationis Perusiae qui pro ecclesia Dei guttam quidem Sanguinis non effuderunt, conantur avertere a suis exsulibus filiis ecclesiam ecc.

Il Bruzio scrive che l'imagine della Vergine vi fu portata nel 1495 VI kal. apriles, come risulta dal racconto che si legge in due tabelle vecchie in italiano e in latino. La chiesa era ad una sola nave con tre altari, e nel soffitto vi si vedevano le armi con gli stemmi di Clemente VII e di frà Egidio. Il pavimento era d'opera cosmatesca e interrotto poi da epigrafi sepolcrali, fra le quali una del portoghese agostiniano Cristofor de Barros, a cui Pio IV affidò molti onorevoli incarichi e che morì settuagenario nel 1590. V'era pure un'iscrizioncella in italiano che dicea: D. O. M. Margherita Bellini romana morì a dì 17 marzo 1630.

S. Bartolomeo in Merulana

In una bolla di Pasquale II, nella quale si descrivono i confini della parrocchia lateranense, è detto: S. Bartholomeus de capite merulanae, il che indica che era sul principio, caput, della via.

È nominato pure nell'inventario dei Frangipani, dal quale risulta che la chiesa confinava da un lato con i beni di quella dei ss. Quattro Coronati, dall'altro con quelli di s. Giovanni a porta Latina e dai rimanenti colle vie pubbliche.

S. Daniele de Forma

In una celebre bolla di Onorio III, fra le altre chiese della regione lateranense, è ricordato un oratorio di san Daniele: et exinde a via revolvente super ecclesiam ss. Petri et Marcellini usque ad ecclesiam s. Bartholomei de capite merulanae et exinde A SANCTO DANIELE usque ad portam urbis (Dat. Laterani pridie id. dec. pontificat. a. XIII). Il codice di Torino la pone fra quelle della seconda partita, precisamente fra s. Bartolomeo de Merulana e il celeberrimo oratorio di s. Lorenzo; nota però  p247 l'anonimo che la chiesa era profanata e diruta: ecclesia s. Danielis est destructa. Assai antica adunque credesi l'origine della chiesa per essere già abbandonata nei primi anni del secolo XIII. Era fra le pochissime e forse l'unica in Roma dedicata ai grandi santi dell'antico patto. Nè il Garampi, nè il Martinelli, nè il Bruzio fanno menzione alcuna di questa antica cristiana memoria della nostra città, la quale forse fu definitivamente distrutta nel secolo XIV. Il Lonigo la ricorda, e scrive che di essa chiesa ritrova memoria nella bolla di Pasquale II e nel bullario di s. Giovanni: dalla sua denominazione de forma risulta che era ppoggiata ai ruderi dei grandi acquedotti romani che traversano il campo lateranense.

Ss. Cosma e DAMIANO "AD ASINUM FRICTUM"

Qual fosse l'origine di così ridicola denominazione s'ignora. Il Lonigo afferma che la chiesa era sottoposta a quella di s. Erasmo sul Celio, ed appartenea all'abbadia di Subiaco, come si vede nei registri del detto monastero. Io ho forte sospetto sia quel medesimo oratorio che il libro pontificale ricorda nella biografia di Leone III come annesso all'ospedale detto TocioTucio.

S. Severino

Il monastero e la chiesa di s. Severino erano pure sulla via Merulana non lungi dalla chiesa di s. Matteo. L'oratorio fu edificato forse da quel Gennaro di cui parla s. Gregorio il grande in una delle sue epistole. Lo stesso santo pontefice domandò reliquie del s. abate Severino a Pietro suddiacono della Chiesa di apoli per riporle in quest'oratorio di Roma, il quale era stato profanato dagli Ariani. Dalle parole della suddetta epistola di s. Gregorio abbiamo che il monastero e l'oratorio di s. Severino stavano: iuxta domum Merulanam regione III.

S. Basilide

Nella stessa via Merulana vi era una chiesa di s. Basilide, della quale si fa menzione nella biografia di Leone III dal libro pontificale: Verum etiam et sarta tecta basilicae beatae Basilidis martyris, sitae in Merulana noviter restauravit.

 p248  S. Maria della Scala

Nella tassa di Pio IV imposta alle chiese della città, che erroneamente viene citata come di Leone X dal Martinelli e dagli altri, è registrata fra quelle del rione Monti s. Maria della Scala, la quale però in quell'epoca era ruinata, indizio di sa antichità. Ignoro il sito preciso della chiesa, della quale, come di tante altre, è scomparsa ogni traccia ed ogni memoria; poichè solo l'anzidetto documento ne fa menzione, in cui si dice che la chiesa era racchiusa entro il palazzo di Messer Curialo.

Oratorio della SS. Vergine Addolorata

In via Baccina fu edificato nei primi decennj di questo secolo, entro un antico granaio, un piccolo oratorio sacro alla ss. Vergine Addolorata, ove si raccoglieva la confraternita omonima. Questo sacello si deve alla pietà e allo zelo del sig. Emmanuele Marini, il quale vi fece porre l'epigrafe: In honorem B. Virginis Perdolentis.


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Pagina aggiornata: 19 set 06