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R. Ponte
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

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R. Regola

 p373  VI. RIONE PARIONE

S. Lorenzo in Damaso

Questa insigne basilica fu innalzata in Roma ala memoria del gran martire Lorenzo dal papa s. Damaso, presso il teatro di Pompeo. Nulla di più certo che sia tale l'origine della nostra chiesa, in cui si conservano anche le reliquie del celeberrimo papa che fu l'amico e il cultore esimio dei martiri. Infatti nell'emiciclo dell'abside primitiva, sino secolo VIII, si leggevano i seguenti versi:

HAEC DAMASVS TIBI CHRISTE DEVS NOVA TECTA DICAVI
LAVRENTII SAEPTVS MARTYRIS AVXILIO.

Nell'ingresso poi della medesima leggevasi:

HINC PATER TEXCEPTOR LECTOR LEVITA SACERDOS
CREVERAT HINC MERITIS QVONIAM MELIORIBVS ACTIS
HINC MIHI PROVECTO CHRISTVS CVI SVMMA POTESTAS
SEDIS APOSTOLICAE VOLVIT CONDERE HONOREM
ARCHIBIS FATEOR VOLVI NOVA CONDERE TECTA
ADDERE PRAETEREA DEXTRA LAEVAQVE COLVMNAS
QVAE DAMASI TENEANT PROPRIVM PER SAECVLA NOMEN

Anche di questo insigne carme v'ha la copia nelle antiche sillogi epigrafiche, ma l'originale è perduto. Il ch. De Rossi riconobbe pel primo che nell'epigrafe si alludeva agli archivî della Chiesa romana, i quali adunque erano stabiliti, sotto Damaso, non già nel Laterano, ma presso il teatro di Pompeo, nel luogo dove fu edificata la basilica laurenziana da Damaso stesso. Questi ne  p374 insegna inoltre nel suo carme che il suo genitore percorse tutti i gradi della milizia ecclesiastica, dall'infimo di tachigrafonotaio della Chiesa, sino a quello di levitasacerdote, gradi che Damaso percorse anche egli; pervenendone anzi all'apice, salendo sulla cattedra papale.

Ma, per tornare alla storia del nostro monumento, dopo le dotte diquisizioni dell'illustre De Rossi sul carme suddetto, parmi cosa da non mettere in dubbio quanto dal chiaro archeologo si afferma, che cioè gli archivî della Chiesa romana, innanzi all'età di Damaso, e prima della costituzione dello scrinium sanctum fatta da Giulio nel Laterano, esistessero nel luogo indicato.

Diamo ora un cenno della basilica. Questa, innanzi all'anno 1486, in cui Raffaelle Riario prese ad edificare il nuovo palazzo, era colla sua fronte rivolta verso la via del Pellegrino ad occidente. Innanzi la facciata vi era un duplice porticato, e l'interno era distributio nelle consuete tre navi, sostenute da due ali di colonne. Ma ciò che rendeva caratteristica e degna di rilevanza la distribuzione architettonica interiore dell'aula, era la posizione della nave così detta traversa, la quale non correva innanzi all'abside, come in tutte le altre basiliche, ma dietro alla medesima a modo di portico postìco, cosicchè tutto l'edificio era cinto ed abbracciato da portici. Ora è precisamente a la distribuzione ed architettura che Damaso descrive brevemente nel suo carme, e che fu opera sua; ed è in quei portici che si conservavano gli scritti della Chiesa, cosicchè la chiesa era nel mezzo, e nei portici anteriore e posteriore la biblioteca. Fra gli antichi nomi della basilica, trovo eziandio quello in Prasino, sotto il quale si nasconde forse qualche reminiscenza del vecchio teatro pompeiano. Adriano I e Leone III la restaurarono, ma non mutò la sua forma se non all'epoca del card. Riario, come dicemmo, che fattala atterrare, eresse la odierna lungi dalla prima. La basilica di Riario è stata da pochi anni, con ricchissimi restauri, messa tutta a nuovo. Nei secoli di mezzo fu arricchita di privilegî grandissimi, e specialmente favorita da Urbano III, che con bolla data ai 14 febbraio del 1186, recepit sub protectione beati Petri ecclesiam sancti Laurentii in Damaso e pone sotto la sua giurisdizione sessantasei chiese delle limitrofe regioni, molte delle quali sono oggi distrutte. Urbano VIII nel 1624, come ricavo dagli atti delle visite esistenti negli archivî della Santa Sede, confermò un motu proprio di s. Pio V in favore della chiesa medesima, con cui, secondo il costume romano rimasto in vigore sino alla fine del secolo passato, la chiesa di s. Lorenzo godeva, siccome matrice, il privilegio del fonte, al quale dovevano accorrere le parrocchiali  p375 alla stessa soggette e che ne erano prive. In quel documento ho trovato pure che nel 1617 la parrocchia avea tremila quattrocentodieci anime.

Ed ora ecco la relazione, che si legge in un manoscritto dell'archivio vaticano dell'anno 1660, dello stato della chiesa e della parrocchia nell'anno medesimo:

"Notitia e stato temporale della chiesa collegiata e parrocchia e perpetua vicaria di s. Lorenzo in Damaso dato da me Pietro Ansovino Claudio, Curato e Vicario di essa l'anno 1660 a Mons. Maso Secr. della Sacra Visita Apostolica.

Fu edificata da s. Damaso a s. Lorenzo. Pio V la eresse in vicaria perpetua l'anno 1571 con Motu proprio 5 Nov. l'anno sud. 6 del suo pontificato, che fu anco nel Bollario impresso nel quale in diverse chiese di Roma si ritrovano erette dodici vicarie e tquale quelle questa di s. Lorenzo in Damaso, al Vic. della quale volse che appartennesse la cure dell'anime. A questo Vic. la S. Sua assegnò Scudi 100 l'anno et gli emolumenti incerti. L'anno 1652 avendo Innocenzo X soppressa la parrocchia di s. Agnese la incorporò a s. Lorenzo in Damaso, quale unione seguì nel mese di Giugno dell'anno sud. come si ha per gli atti del Cesio. Al Vicario l'università della Natione Aragonese deve dare scudi sedici e 8.75 l'anno per ragione d'un annuo censo in compenso d'una casa che essa università pigliò in servitio della fabrica di Monserrato, qual casa era all'hora della chiesa di s. Andrea Nazareth che essendo parrocchiale fu l'anno 1592 soppressa. A questa Vicaria di s. Lorenzo sono come a chiesa matrice soggette 21 Parocchie filiali, li bambini delle quali devono per ricevere il sacro battesimo venire a questo fonte (benchè in buon numero vadino e siano portati altrove).

"Sono li nomi delle filiali le seguenti:

S. Biagio della Fossa — s. Benedetto in Clausura — s. Catarina della Rota — s. Maria in Publicolis — s. Maria Grotta Pinta — s. Maria del Pianto — s. Maria in Monterone — s. Maria in Monticelli — s. Gio. in Ayna — s. Nicolò delli Lucarneti — s. Nicolò de Cesarini — s. Salvatore in Campo — ss. Simone e Giuda — s. Simeone — s. Salvatore in Primicerio — s. Stefano in Pescivola — s. Tomasso in Parione — s. Tomasso ai Cenci — ss. Vincenzio ed Anastasio alla Regola — s. Carlo ai Catinari — s. Salvatore in Unda.

 p376  Le case di tutta la parrocchia no. 420 Famiglie 889 Preti 71 Maschi 3078 Femine 1182 Atti alla Comm. 4096 Non atti 904 Tutto insieme 4963

Questa basilica è titolo di Cardinale, fu data alcune volte in commenda et in specie al Card. Rafaele Reario del titolo di s. Giorgio, il quale fece demolire la chiesa antica e l'edificò di nuovo nella forma ch'oggi si vede unitamente col Palazzo. Il Card. Alessandro Farnese abbellì la nave di mezzo col soffitto e col quadro dell'altare grande e colle pitture nelle pareti d'essa nave, ultimamente il Card. Francesco Barberini V. Cancell. rifacendo con grande spesa la tribuna, ha insieme con le fenestre apertevi a ponente resa luminosa l'istessa nave et aggiuntovi di nuovo la volta sotterranea con la confessione dove ha eretto un bell'altare di marmo. Questa chiesa è volta a Oriente: ha una porta quadra di trevertinoº disegno del Vignola larga 15 palmi: è composta di 4 navi sopra archi e pilastri: una per traverso all'entrata. Nella nave traversa v'ha una cappella che fu concessa sono circa 160 anni all'Archiconfr. del ss. Sagr. e cinque piaghe. In faccia vi è l'altro di s. Niccolò fatto già dalla Comp. de mercanti fiammenghi: ha un quadro a olio di s. Nicolò vescovo, dipinto dallo Spadario con la seguente epigrafe:

DIVO NICOLAO PONTIFICI PATAREO AD VOTA SVPPLICVM FACILLIMO, BELGICI MERCATORES AVDITI SVBINDE FORTVNISQVE AVCTI HOC SACRVM PIETATIS ET GRATITVDINIS ERGO DICARVNT.
ANNO SALVTIS MDVII IVL. PONT. MAX.

Nel fonte battesimale v'è un quadro a olio rappresentante la Vergine con s. Gio. Batt. e s. Matteo del Cav. Federico Zuccaro. Nel mezzo del soffitto della nave grande che è ornato di bassirilievi messi a oro in campo torchino vi è un quadro grande con la figura di s. Lorenzo e alla testa due armi del Card. Farnese coll'epigrafe:

ALEX. FARNESIVS CARD. VICECANC.
DEO ET S. MARTYRI LAVRENTIO DEDICAVIT.

 p377  Intorno alle armi vi sono altri quattro quadri con l'istoria del santo. Nelle pareti della nave vi sono l'istoria del santo, opera del Cav. Giuseppe d'arpino, ed altre opere del Pomarancia vecchio, e di Giovanni de Vecchi dal Borgo di s. Sepolcro. La gran tribuna fu alzata dal Card. Franc. Barberini col disegno del Cav. Lorenzo Bernini.

Nella nave collaterale, cioè in quella a sinistra contigua al cortile v'hanno le cappellette seguenti 1a con un'imagine della Vergine con Cristo in braccio e con angeli. Questa cappella fu trasportata da s. Cecilia a Monte Giordano. 2a Cappelletta col quadro di s. Domenico che risana un putto del Ciampelli, anche questa trasferita da s. Cecilia. Li presso è la memoria del Card. Ippolito De Medici. Viene la Cappella dell'Arciconfraternita della Concezione fondata l'anno 1465; la volta è dipinta a fresco da Pietro da Cortona. L'Altare ha un antichissimo quadro della Vergine dentro una custodia d'argento coperta da un'altra di rame, attorno vi è la seguente memoria intagliata rozzamente:

IN HAC IMAGINE RECONDITAE SVNT
RELIQVAE SANCTORVM QVADRAGINTA
MARTYRVM ET FELICIS PAPAE ET
SANCTORVM MARCI ET MARCELLIANI

Questa imagine fu un tempo da Sisto IV trasportata dalla chiesa di s. Maria Grotta Pinta, e dalle lettere si può dire che sia molto antica e si crede che sia del secolo IX. La nave destra ha una cappella grande che serve per il coro d'inverno, ha nell'altare un crocefisso antico di rilievo di cui è fama che parlasse a s. Brigida. Vi è una cappelletta con la statua di s. Carlo, opera di Stefano Maderno: in capo alla nave è un altare il cui quadro è di mezzo rilievo con s. Michele Arcangelo e s. Andrea: a lato sono dipinti a fresco s. Mauro e s. Buono, pitture di Matteo di Colantonio: si crede che i loro corpi sono sotto questo altare. Sopra nel semicircolo vi è la coronazione della Vergine con s. Pietro e s. Paolo, opera di Pietro Perugino. A piedi dell'altare è scolpita la seguente:

LVCENTIVS COSS. SVBD. APOST.
TEMPLIQVE HVNC ANTISTES CANON
D. MICH. ARCH. ET AVDIT. APOST.
S. T. DOTAV. INSTRVX. DICAVIT
AN. S. MDII.

In una stanza appresso la sacrestia sono nascosti due depositi di marmo, uno del Card. Ludovico Mezzaruota, l'altro  p378 di anno Goddi Vicentino. L'archivio del Capitolo fu abruggiato nel sacco di Roma del 1527. L'entrata della mensa capitolare somma a scudi 4931,76; detratte le spese restano netti sc. 4617."

In questa chiesa predicò al popolo di Roma più volte s. Francesco Saveri.

Illustri personaggi furono qui sepolti, tra i quali sono da ricordare Annibal Caro, il card. Sadoleto, il famoso segretario di Leone X, il pittore Caccianiga, il generale Caprara capitano delle armi papali sotto Pio VI e Pellegrino Rossi ministro di Pio IX ucciso a tradimento sulle scale del prossimo palazzo. Sotto la dominazione francese fu ridotta a sala di tribunali o corte di giustizia, ed il capitolo fu trasferito in s. Andrea della Valle. Fu riaperta dopo il ritorno di Pio VII e restaurata dal Valadier. Vi è la celebre statua fac-simile di quella di s. Ippolito trovata nel cimitero omonimo sulla via Tiburtina fino dal secolo XVI, che si conserva ora nel museo lateranense.

La chiesa è stata da pochi anni splendidamente restaurata, senza economie di stucchi d'oro e dipinti.

S. Pantaleo de preta Caroli
(S. Pantaleo a Pasquino)

L'Adinolfi scrive che questa strana denominazione proviene alla chiesa da una famiglia appellata dei Preta, a cui appartenne un messer Carlo, che vi fu sepolto. A me parrebbe piuttosto che si rannodi ad alcun prete di nome Carlo che dovette legare non so per quale ragione storica il suo nome alla chiesa stessa, chiamato dal volgo per la sua celebrità il prete Carolo. Avendola restaurata la famiglia Muti, si chiamò anche S. Pantaleo de Muti. Le origini di questa chiesa si attribuiscono ad Onorio III; ma ciò è impossibile, perchè la troviamo nel catalogo del Camerario, che divenne poi il papa di quel nome. Nel 1418 fu restaurata da Alessandro Savelli, il cui palazzo in una viuzza omonima fu testè demolito per l'allargamento della via papale. Fu già collegiata, e poi tenuta da preti inglesi. Nel 1621 fu restaurata dai padri delle Scuole Pie di s. Giuseppe Calasanzio, ai quali venne data la chiesa e l'annessa abitazione; ma la facciata fu eretta nel 1808 dal duca don Giovanni Torlonia con i disegni dell'architetto Valadier.

Sotto l'altar maggiore, entro una preziosissima urna di porfido, si custodisce il corpo di s. Giuseppe Calasanzio. Nell'attiguo  p379 convento sono le camere abitate dal Calasanzio, ove si conservano parecchi oggetti a lui appartenenti: nella porteria del medesimo v'ha un pozzo, le cui acque furono benedette colle reliquie di s. Pantaleo, onde nel giorno festivo del santo i fedeli bevono per loro divozione di quell'acqua.

Fra le memorie sepolcri della chiesa è da ricordare quella di Laudomia, figlia di Giovanni Brancaleone romano, uno dei campioni della sfida di Barletta. Qui fu anche sepolto nel 1680 il celebre matematico e medico Alfonso Borelli, morto poverissimo fra gli Scolopî nell'annessa casa, ove si ritirò, dopo essere stato derubato di tutto il suo avere da un suo domestico.

Oratorio del Ss. Sacramento e delle Cinque Piaghe

Quest'oratorio sorge nella via dei Baulari ed è ufficiato dall'arciconfraternita del ss. Sacramento e delle Cinque Piaghe di N. S. G. C. eretta in s. Lorenzo in Damaso. L'edifizio è di struttura moderna nè presenta alcuna importanza. Quel pio sodalizio fu istituito sotto Giulio II ed ebbe incremento dalle pie largizioni di una nobil donna spagnuola, Teresa Eniriquez,º che donò all'associazione cento ducatoniquattro canne di broccato d'oro.

Nel 1611 ai 3 d'agosto la confraternita affidò all'architetto Giulio Rainaldo l'incarico di edificare l'oratorio dirimpetto alla porta di s. Lorenzo in Damaso. Nel 1617 ai 18 settembre incominciò la fabbrica dell'oratorio suddetto, la cui facciata sorgeva nella piazzetta dell'Aquila. Nel 1863 fu restaurata coi disegni di Luigi Tedeschi, e ne fu voltata la fronte sulla via dei Baulari.

S. Filippo Neri nel Palazzo Massimi

Nel secondo piano del celeberrimo palazzo Massimi, architettato da Baldassarre Peruzzi, v'è la elma cappella dedicata a s. Filippo Neri in memoria del miracolo operato da quel santo il giorno 16 marzo 1584, che vi risuscitò il giovinetto Paolo Massimi. Questa insigne cappella, che ha tre altari, è ricca di marmi e di pitture pregevoli, e nel giorno suddetto vi accorre in folla il popolo a venerarvi le memoria del suo apostolo.

NATIVITÀ DI GESÙ Cristo
(Agonizzanti)

Sulla piazza detta di Pasquino è questa chiesina, ufficiata dall'arciconfraternita degli Agonizzanti. Il pio sodalizio fu istituito nel 1616 nella chiesa di s. Agostino sotto il titolo della Natività  p380 di Gesù Cristo; di là passò alla chiesa di S. Maria Maddalena. Ebbe per istituto di raccomandare al Signore le anime degli agonissanti e di esporre a tal uopo solennemente il ss. Sacramento. Dalla chiesa della Maddalena venne a quella di s. Vernardo al Foro Traiano, quindi a s. Maria a Campo Carleo, poi a s. Salvatore in Primicerio, quindi a s. Lucia della Tinta, e a s. Girolamo degli Schiavoni, ove rimase fino all'epoca in cui potè edificarsi questa chiesa. Nell'archivio de' Brevi vi è quello del papa Innocenzo XII con cui si accorda alla suddetta confraternita la licenza di costruire ed aprire il suo oratorio.

La chiesa fu edificata nell'area occupata già dalle case della famiglia Gottifredi. Il quadro dell'altar maggiore è del Melchiorri, scolaro del Mariotti.

S. Giacomo degli Spagnuoli

Fu eretta questa chiesa presso lo stadio di Severo Alessandro (piazza Navona), fino dal secolo XII, dall'infante don Enrico, figlio del re s. Ferdinando III. L'anno 1450 don Alfonso de Paradinas, canonico dignità della cattedrale di Siviglia, ampliò a sue spese l'edificio, di cui fu nominato governatore; poi vu eletto vescovo di Ciudad Rodrigo: egli morì nel 1485 e lasciò tutto il suo ricco patrimonio a questa chiesa. Alessandro VI intraprese nuovi lavori nella medesima, allargandola e aprendovi una piccola piazza innanzi, e facendovi anche una facciata nella sua parte postìca sulla piazza Navona. Appresso alla chiesa vi furono trasferiti i due ospedali che l'infante Enrico avea eretto: l'uno per le donne, che stava presso la chiesa della b. Rita ai piedi del Campidoglio, l'altro per gli uomini nella via oggi di s. Chiara. Ebbe questa chiesa rendite doviziose per molteplici legati fatti da generosi spagnuoli. Avea quattordici altari, sei a destra e sette a sinistra, oltre il maggiore; la sua facciata era rivolta sulla via odierna della Sapienza.

Il 1o altare, a destra entrando, era dedicato all'Assunta: fu eretto nel 1551 da monsignor Costantino del Castillo con architettura di Francesco di Città di Castello; le pitture della volta furono eseguite da Pierin del Vaga.

Il 2o altare era sacro alla Risurrezione di N. S. e fu eretto da Antonio de Fonseca nel 1584; Cesare Nebbia lo arricchì di affreschi ed eseguì il quadro principale. Questa cappella era già dedicata ai ss. Cosma e Damiano; la volta fu colorita da Baldassarre Croce di Bologna.

 p381  Il 3o altare era sacro all'Immacolata Concezione di Maria Vergine, ed era stato fondato nel 1485 da Francesco di Valladolid.

Seguiva quindi la porta della sagrestia sormontata da una cantoria, opera stupenda del rinascimento, fatta fare a spese del maggiordomo di Alessandro VI, don Diego Valdes vescovo di Samora: ai lati di questa porta v'era il monumento di Pietro Ciaconio e di Pietro Foix de Montoy, con ornati del Bernini.

Il 4o altare era sacro al Battista, e la cappella era stata edificata da Gonzalo Martinez de la Peña nel 1618.

Il 5o era pur sacro alla ss. Concezione e a s. Anna, ove si vedeva un bellissimo gruppo in marmo delle due imagini; era stato eretto nel 1543 da don Pietro de Velasco.

Il 6o era dedicato ai ss. Pietro e Paolo, opera di Giulio Piacentino, eretto da Alonso Ramirez de Avellano nel 1571.

L'altar maggiore stava dove ora è ora la porta maggiore della chiesa che dà sulla piazza Navona. Quivi era un Crocifisso, pittura ad olio di Girolamo Sermoneta, e presso all'altare v'era il sepolcro del Paradinas, e quelli di cardinali Merino, e Juan de Mella, morto nel 1467.

Il primo altare a sinistra era sacro al ss. Crocifisso, ai ss. Pietro e Paolo, Sebastiano, Lorenzo e Rocco, scolpiti in marmo, opera del 1463. Era stato eretto da Martino De Rotonda, cameriere segreto di Niccolò V.

Il secondo era dedicato a s. Michele Arcangelo fino dal 1469, poi a s. Diego, per cura di Giovanni Enriquez de Herrera nel 1602. Questa cappella era insigne per le pitture di Flaminio Ponzio e per gli stucchi di Ambrogio Milanesi: il quadro principale era opera di Annibale Caracci.

Il terzo era sacro a s. Idelfonso, eretto da Diego Melendez Valdez, vescovo di Samora, nel 1501. Qui fu sepolto il cardinale Saens de aguirre, che lasciò il suo ricco patrimonio alla chiesa.

Il quarto a s. Giacomo, e la cappella era stata dedicata da Antonio di s. Gallo: è la gemma di questa chiesa. La statua in marmo, era del Sansovino; gli affreschi dei lati, di Pellegrino da Modena, scolaro di Raffaello: vi fu sepolto il card. Alborense Giacomo Serra, che l'avea fatta edificare.

Il quinto era sacro alla Natività di N. S., eretto da Garzia de Gibraleon nel 1495.

Il sesto, dedicato all'Annunziata, venne fondato nel 1532 da Diego Diez.

Il settimo, dei ss. Cosma e Damiano, fu edificato da Antonio Fonseca.

 p382 Sembra impossibile come la nobile nazione spagnuola abbia venduto cotanto insigne monumento, vero tesoro di storia e d'arte. Lo possiede ora la congregazione francese di Nostra Signora del sacro Cuore.

Presso questa chiesa, nel vicino ospizio, dimorarono celebri personaggi, tra i quali s. Ignazio di Loyola e s. Giuseppe Calasanzio. Infatti in quell'ospizio i pellegrini spagnuoli aveano diritto all'alloggio gratuito per tre giorni, compreso ili vitto.

Nel Diario di Roma del principio del secolo passato, si fa spesso menzione di questa chiesa, e specialmente delle sue loggieringhiere, dalle quali i grandi personnagi assistevano al bello spettacolo dell'allagamento della piazza Navona che avea luogo nelle domeniche d'agosto; magnifico spettacolo soppresso poco prima dell'occupazione piemontese di Roma nel 1870. Ricordo il Valesio che ai 7 agosto del 1729 nella loggia di s. Giacomo degli Spagnoli era stato preparato un baldacchino per la Regina d'Inghilterra che non vi andò, ma bensì i figliuoli, il maggiore de' quali gettava nell'acqua alla presenza dell'ajo, de mezzi bajocchi, a raccogliere i quali vi andavano i ragazzi.

S. Maria di Grottapinta

Piccola chiesa del Parione, posta sulla piazza dello stesso nome, chiamata anticamente de Satiri, stata altre volte parrocchia. Non si ha memoria certa del tempo preciso in che venne edificata. Sappiamo, però, essere opinione degli scrittori del medio evo, che si chiamasse s. Salvatore in Arco, nome preso forse dall'arco vicino che mette sulla piazza detta del Biscione, già delle Carrette, il quale arco, per essere stato in altr'epoche dipinto, potè dare il nome di grotta pinta alla chiesa ed alla piazza. Alcuni cataloghi la dicono in crypta ed altri ad arcum. Si vuole ancora che la denominazione stessa pigli origine dall'imagine di Maria che ivi si venera, la quale fu trovata in una propinqua grotta che era probabilmente un avanzo del teatro di Pompeo, e poscia venne portata in loxda nel 1465. Quello che di certo si può asserire è, che la chiesa dovette esistere prima ancora del 1343, epoca in cui fu essa consacrata e dedicata alla santissima Concezione: ciò che si ricava da una iscrizione trovata nel 1569, quando si rifece l'altar maggiore, come narra il Parodi. Tre altari vi si  p383 veggono. Sul maggiore evvi una effigie di Maria, opera d'autore incognito; in quello a sinistra si osserva un Crocifisso di Giovanni Antonio Valtellina, e nell'ho a destra v'è dipinta da Francesco Alessandrini un s. Gio. Battista. Questa chiesetta è di giuspatronato degli Orsini, per essere prossima al palazzo Pio, in altri tempi Orsini. Oggi è dell'ospizio detto di Tata Giovanni, che ha comprato l'attiguo palazzo.

Nella relazione dello Stato temporale delle chiese di Roma nel 1662, che ho più volte menzionata, è detto essere di struttura moderna e restaurata dalla bo. me. del sig. Don Virginio Orsini Duca di Bracciano come si legge in una lapide posta in detta chiesa: È longa palmi 65 larga palmi 28 alta palmi 44 con una navata suffittata. Ha il campanile con due campane mediocre: non ha cappella, ha solo due altari, sepolture 4, non ha cemeterio. Ha annessa la cura delle anime che si esercita da un rettore perpetuo nominato dal Princ. di Bracciano proprietario della Chiesa. Le case e famiglie sono 139 e la rendita è di scudi 481.

Madonna del Latte

È il titolo di una imagine che si venera sotto l'archetto della piazza del Biscione, entro una cappelletta presso s. Maria di Grottapinta. Questa effigie e questa cappellina ebbero la loro origine nei primi anni del secolo passato.

S. Salvatore in Arco (v. S. Maria di Grottapinta)

S. Agnese in Agone

Quest'antichissima chiesa sorge sui ruderi dello stadio di Severo Alessandro, (piazza Navona). Secondo una tradizione romana, confermata dalla esistenza di questo sacro edifizio, quivi la vergine Agnese avrebbe sofferto il martirio del lupanare, come narrano i suoi atti, ove accadde il prodigio dei capelli, narrato anche da s. Damaso nella epigrafe monumentale che a questa martire dedicò: Nudaque profusum crinem per membra dedisse; a ricordo del qual prodigio v'ha nel sotterraneo una cappella.

Il papa Callisto II ampliò notabilmente questa chiesuola, che, nel catalogo di Torino, fa parte di quelle della prima  p384 partita, s. Agnetis de Agone, e le quali erano uffiziate da un solo prete. Il papa suddetto dedicò la piccola basilica, da lui rinnovata, l'anno 1123. La fronte dell'antica chiesa era dal lato oppo dell'attuale, sulla via che anticamente si disse di s. Agnese, benchè avesse una porticella anche sulla piazza. Il papa Urbano III, in una celebre bolla spedita da Verona l'anno 1186, in cui conferma tutti i privilegî della basilica di s. Lorenzo in Damaso, novera fra le filiali di questa la nostra di s. Agnese, che ivi è detta de cryptis agonis; il che dimostra come in gran parte fossero allora scoperti e visibili i ruderi dello stadio, detti criptae agonis. Nella festa dei turiboli e degli archi la chiesa aveva di presbiterio sei denari.

Nel 1652 la chiesa perdette affatto la sua forma, poichè venne riedificata dal papa Innocenzo X. Nel sotterraneo della medesima si veggono i ruderi delle precinzioni dello stadio, ove, secondo favoleggia il volgo, v'ha un ambulacro che giunge sino al cimitero di s. Agnese sulla via Nomentana. In questa chiesuola nel 1384 fu battezzata Francesca Bussa, poi divenuta s. Francesca romana, la cui casa era situata dirimpetto a quella che era allora parrocchia.

S. Tommaso in Parione

Antichissima è questa chiesa, tornata testè al primitivo splendore pei restauri diretti dall'illustre architetto Lenti. È detta in Parione, dalla contrada omonima in mezzo alla quale sorge. La parola parione roviene forse dal latino paries e vale lo stesso che grande parete. È probabilissimo che dalla vicinanza di un qualche antico e grandioso muraglione prendesse cotal nome la contrada, dalla quale poi lo desumesse la nostra chiesa, forse perchè contigua e vicina al rudere suddetto. Ora nella vita di s. Filippo si legge, che nel cavare la terra nel posto che egli aveva detto a Matteo da Castello, vi trovò un muro antico largo dieci palmi e lungo più che non è tutta la chiesa presente di s. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova), sul quale si edificò tutto il muro della chiesa dal lato del Vangelo, dove è l'imagine della Visitazione dipinta dal Barozzi. sarebbe forse quello lo storico parione che dette il nome alla regione? In ogni modo la denominazione in ovvero de parione, è assai antica e comparisce fino dal jx11, come risulta dal catalogo del Camerario: s. Thomae de Parione.

 p385  Nel 1639 fu consacrata da Innocenzo II e poi nel 1517 nel pontificato di Leone X fu innalzata al grado di titolo cardinalizio. Nel 1582 venne con molta spesa restaurata da Mario e Camillo Cerrini nobili romani. Nei restauri recenti, dei quali ho già fatto cenno, nella parete sinistra della chiesa si rinvennero degli affreschi dell'epoca d'Innocenzo II, ricoperti di posteriore costruzione a sacco, uno dei quali rappresentava s. Martino a cavallo in atto di tagliare colla spada la sua clamide per farne parte ad un povero.

In questo luogo s. Filippo Neri, in età di trntasei anni, ricevette la tonsura ecclesiastica e gli altri ordini, tranne il diaconato fra i titolari della medesima va ricordato il b. card. Gregorio Barbarigo. Annesso alla chiesa era il collegio Nardini, fondato nel 1484 dal card. Stefano, che dopo molto tempo rimase soppresso. Questo illustre prelato, patrizio di Forlì e poi arcivescovo di Milano, edificò fino dal 1473 quel collegio nel suo palazzo, ordinando che per sette anni vi si mantenessero ventiquattro chierici per gli studî di legge, filosofia e teologia. Qui si raccoglieva pure la congregazione degli scrittori (copisti) di Roma sotto l'invocazione della ss. Annunziata, s. Giovanni Evangelista e s. Niccolò vescovo; la quale dai papi fu arricchita di varî privilegî, compreso quello che i suo membri erano esenti di andare in tempo di guerra, peste e sede vacante, alle porte delle città e ronde di notte. Così trovo in un documento esistente negli atti delle Visite sotto Alessandro VII. Il codice di Torino nota che la chiesa habet unum sacerdotem.

Eccone la descrizione che trovo nel Libro delle visite sotto Alessandro VII:

"È titolo oggi del signor cardinale Camponeo. Le anime della parrocchia ascendono a circa 1200. Nell'ingresso della chiesa a sinistra vi è una lapide marmorea contenente i nomi delle reliquie che ivi si conservano. Dalla lapide suddetta costa che la chiesa fu consacrata al tempo d'Innocenzo II il giorno di s. Tommaso. A capo della nave destra v'è l'altare dell'Annunziata e di s. Giov. Evang. e Nicola. Ivi è eretta la società dei copisti come per bolla di Pio IV apostolo. s. Marcum 1561 non. aug. Questa società possede solo un luogo del Monte della Fede di 5 scudi annui. A capo della nave sinistra v'è la cappella di s. Maria Maddalena che era della famiglia Tibaldesca, non si sa ora a chi spetti. Vi sono 5 sepolture due per gli uomini, una per le donne, le altre pei fanciuli. La chiesa ha tre navi, due a volta, la media ha il solo tetto coperto di tegole. In ogni mese vi si fa la disputa dei casi di coscienza. haº un reddito di sc. 237. È filiale di s. Lorenzo in Damaso.º

 p386  "Inconfessi, publice peccatores aut usurarii divina favente gratia nulli in parochia sunt. Nel 1574, come dalla visita fatta venerdì 2 luglio, rettore era don Stefano Luigi di Terni. Avea in quell'anno un reddito di 93 scudi e 17 bolognini annui. Il rettore era Tiburzio Vallocchia de Castro s. Angeli di Civita Ducale. Avea 60 famiglie. Il campanile minacciava. Quanto alla Compagnia degli Scrittori e Copisti suddetti essa è assai antica: Nicolò V nel suo motu proprio Dat. Romae anno 1449 id. april. confermato da Giulio III dà loro i seguente. privilegii: cioè 3 giubilei l'anno nelle feste dei ss. loro tutelari come l'Annunziata, s. Giov. Evangelista, e s. Nicolò vescovo, e tre volte in vita si possono eleggere un confessore che li possa assolvere dai peccati riservati anche alla S. S. eccetto da quelli riservati in bolla in Coena Domini. Li esentò da andare in tempo di guerra o peste alle porte e ronde di notte, dalla tassa di strade etc. in riguardo delle fatiche pel servitio della Corte Romana."

S. Caterina de Cryptis Agonis (v. S. Niccolò in Agone)

S. Mamiato?

Così nel catalogo del Camerario. Sembra fosse situata nella regione del Parione: ma è certo che è questa una denominazione corrotta da pronuncia popolo romano, sotto la quale si nasconde il nome di un santo a noi ignoto.

S. Leone

Sulla fine della via del Pellegrino è ricordato dal Martinelli un oratorio sacro a s. Leone VI, ma non ne ho trovato notizia in altri documenti.

S. Maria dell'Anima

Ebbe il suo principio nel secolo XV sotto il pontificato di Eugenio IV, e fu fondata un tal Giovanni Di Pietro, fiammingo, il quale, unitamente a sua moglie Caterina, donò a tal uopo molto danaro e tre case per fabbricar la chiesa insieme ad un ospizio per i poveri della sua nazione. L'architettura interna del tempio da alcuni è creduta opera del Bramante: da altri, di un ignoto architetto tedesco: la facciata esterna  p387 assai semplice con tre porte ornate di ricchi marmi, si vuole eretta co' disegni di Giuliano da Sangallo nel pontificato di Adriano VI. Venne dedicata a s. Maria dell'Anima, perchè in questo sito si trovò un'antica imagine della Vergine santissima, sedente tra due figure genuflesse rappresentanti simbolicamente due anime di fedeli, una copia della quale scolpita in marmo scorgesi sopra la porta maggiore.

Il cappellone maggiore fu rinnovato co' disegni di Paolo Posi. La volta è tutta ornata di stucchi messi a oro, con due pitture a fresco eseguite da Lodovico Stern ai lati delle fine sopra l'altare. Il quadro di esso altare (adorno politamente di marmi fini) rappresenta una Sacra Famiglia, ed è una de' celebrati lavori di Giulio Romano; ma avendo sofferto molto per le inondazioni del Tevere, venne ritoccato dal Saraceni, quantunque in seguito ci sia stato bisogno di ristorarlo con maggior diligenza. Ai lati del cappellone sono due depositi nobilissimi. Il primo, che il Milizia dice osservabilissimo, è quello del pontefice Adriano VI d'Utrecht, eretto col disegno di Baldassarre Peruzzi. È tutto di marmo, e fu scolpito da Michelangiolo Senese e da Niccolò Tribolo fiorentino. Consiste in quattro colonnette corintie disugualmente spaziate. Nell'intercolunnio maggiore ch'è nel mezzo, evvi un arco sotto cui giace il papa disteso sopra un'urna fra varî ornamenti di sculture. Negli intercolunnî minori sono nicchiette profonde, come camerine, e avanti sonovi statuette alludenti a virtù. L'opera finisce piramidalmente con una statuetta sulla cima. L'altro situato dirimpetto, è quello innalzato al duca di Cleves, in cui veggonsi molte sculture non di cattivo gusto, opera di Egidio da Riviera fiammingo, e di Niccolò d'Arras; il bassorilievo che rimaneva di sopra rappresentante Gregorio XIII che dà al duca il cappello e lo stocco, fu tolto dal suo umbro, e venne posto nell'andito che mette alla sacrestia. Vicino alla porta di questa incontrasi il deposito di Luca Ostenio olandese, celebre letterato e geografo insigne nel secolo XVI, canonico di s. Pietro e custode della biblioteca vaticana: il cardinal Barberini vice cancelliere eressegli questo monumento. Dall'oppo lato ove ora è una memoria sepolcro, eravi dipinto a fresco un s. Cristoforo di optto braccia, buonissima figura, ed in quest'oppure si vedeva anche un romito dentro una grotta con una lanterna, lavori di Gio. Francesco Penni, detto il Fattore, scolaro di Raffaello, conforme asserisce il Borghini: è ben da dolersi che questa pittura d'un tanto artefice sia stata distrutta.

 p388  La chiesa è ufficiata da un collegio di cappellani tedeschi, cui è congiunto un ospizio pei poveri della nazione ed un collegio di cantori. Nell'archivio vaticano ho trovato in una filza di carte una Memoria di quanto accadde nel pontificato di Clemente XI in occasione di aver voluto far la visita nella chiesa dell'Anima.

"Avendo l'anno 1706 il papa suddetto aperte le S. Visite alle chiese di Roma, accadde che le chiese nazionali di Roma si opponessero a subirla, massime dei Francesi, Tedeschi e Portoghesi. I Tedeschi dell'Anima chiusero le porte delle loro rispettive chiese. Di qui ebbe origine un incarto diplomatico fra l'uditore di Rota mons. de Staunitz, l'ambasciatore Cesareo a Roma e la Corte di Vienna. Da quel carteggio risulta che la chiesa suddetta fu visitata nel 1573 e nel 1625. Ivi vi hanno notizie storiche sulla detta chiesa. — Il manoscritto di Gio. Antonio Bruzio accenna che nel Vaticano vi era anche l'oratorio della nazione tedesca e poi dice che fu prontamente edificata un'altra chiesa nel rione di Ponte vicino a piazza Navona.

L'epoca di questa seconda è incerta, perchè il Fanucci dice che fu edificata nel 1500: un compendio manoscritto delle antiche chiese di Roma vuole fosse edificata nel 1400 sotto Bonifacio IX e consacrata nel 1433 sotto Eugenio IV et ornata nel 1512. L'Hamaideno l'attribuisce ai tempi di Clemente VI l'anno 1350, il Panciroli nel 1400. Uno dei suoi più insigni benefattori fu Teodoro Hiern di Paderbone, canonico di Mastore, che le donò 7 case; e poi il card. Guglielmo Abenchervoirbº detto il card. Dertusense, che nel 1514 getò a terra il piccolo tempio di prima, e con l'architettura del famoso Bramante Lazzeri fece fabbricare questa nuova chiesa, istituendo erede l'ospedale del suo palazzo e delle altre case adiacenti."

S. Niccolò in Agone
(S. Niccolò de' Lorenesi)

Era chiamato anche de cryptis agonis, de agonibus, in agone, in angonia, tutte varinti dello stesso nome agone dato nei secoli del medio evo al grande stadio di Severo Alessandro, oggi circo agonale, o piazza Navona. Ivi sorgeva in antico una chiesuola sacra a s. Caterina e detta de cryptis agonis. Sorgeva sui ruderi o fornici (cripte) della suddetta strada; ed ancora esiste, benchè da più secoli abbia cambiato e forma e denominazione. Era parrocchiale e filiale di s. Lorenzo in Damaso, ma  p389 nel 1621 fu soppressa ed affidata alla nazione dei Lorenesi; si chiama perciò s. Niccolò de' Lorenesi, e colle rendite della parrocchia soppressa furono istituiti due canonicati in s. Lorenzo.

Ⱥ posta quasi dirimpetto alla chiesa di s. Maria dell'Anima. I travertini della facciata furono trovati nello scavare le fondamenta della nuova chiesa. Il codice di Torino annovera la chiesa, fra quelle della prima partita, e dice che habet sacerdotem et clericum. Nel Camerario è detta semplicemente agonis a proposito del presbiterio, e dal Signorili fu chiamata di agone. Presso questa chiesa v'era il Monte di Pietà, come scrive il Lodi:

Fra la strada di Tor Sanguigna v'è una casa grande chiamata el Monte della Pietà la quale è governata da una Congregazione di gentiluomini che imprestano li denari alli poveri con interesse di cinque per cento, i quali fanno una bella processione alla quale interviene il Senato romano. Anche oggi un'epigrafe sulla porta di quella casa al principio della via dei Coronari ricordo il sito di quel primitivo Monte.

Allorchè nel 1622 la confraternita de' Lorenesi si ritirò da s. Luigi de' Francesi, ove sotto Sisto V avea eretto la magnifica cappella di s. Niccolò, ottenne da Gregorio XV con bolla data in Tusculo ai 5 ottobre 1622 questa chiesa di s. Niccolò: ai 13 luglio dell'anno seguente ne presero il possesso gli ufficiali della confraternita. Minacciando rovina, fu riedificata col materiale del vicino stadio nel 1625 e fu terminata nel 1636: sull'architrave nella facciata fu posta l'epigrafe:

IN HONOREM D. NICOLAI NATIO LOTHARINGIORVM P.

I suoi tre altari sono dedicati a s. Niccolò, a s. Caterina e alla Visitazione: quest'ultimo nel 1730 fu consacrato al b. Pietro Jourien de Mattaincourt, quadro tolto nel 1800, poi rimesso nel 1841.

La chiesa e l'annessa casa è ora residenza dei pp. Missionarî d'Africa istituiti dal card. Lavigerie. Nei primi anni del nostro secolo l'ebbe in custodia l'abate Giannini morto nel 1829, celebre per la sua aurea semplicità non meno che pel suo zelo sacerdotale e per alcune semplici monografi intorno a diversi santuarî di Roma.

S. Caterina (v. S. Niccolò in Agone)

 p390 

S. Maria in Vallicella
(Chiesa Nuova)

Questa chiesa che il popolo romano dai giorni di s. Filippo chiama la chiesa nuova, prima che dall'amabilissimo santo fosse riedificata, era un parrocchietta posta nella contrada di Parione, in un luogo basso e avvallato, detto perciò la Vallicella. Ai giorni di s. Filippo n'era rettore un tale Antonio d'Ajuti da Messina, il quale abitava in una casuccia annessa a quella chiesolina, mezzo rovinosa e cadente. La contrada si chiamava anche pozzo bianco, da un pozzo esistente nella vicina piazza Sora, ma più comune e più antico era il nome di Vallicella, poichè fino dal secolo XIV era così chiamata. Infatti in un censuale di s. Pietro del 1380 trovo ricordato un Mutius Jacobelli Bonacorte de regione Parionis et parochia s. Mariae in Vallicella. Gregorio XIII donò la chiesa a s. Filippo per la congregazione del suo oratorio, il quale colle largizioni dei fratelli Donato ed Angelo Cesi, l'uno cardinale e l'altro vescovo, la edificò nella forma presente. Il card. Alessandro de' Medici, poi Leone XI, ne gettò la prima pietra nel 1575. Ricorda il Roisecco che nello scavarsi le fondamenta fu trovato dieci palmi sotterra un larghissimo muro antico, lungo più assai della vecchia chiesa di s. Maria in Vallicella, sul quale fu alzato tutto il lato sinistro del nuovo tempio.

Da quell'antico rudere o grande parete, paries, allorchè non era del tutto disfatto e sotterraneo, forse tutta la regione prese il nome, siccome ho già detto, che ancora mantiene, di parione, ossia parietone.

La chiesa, benchè ormai fatiscente e abbisognosa di restauro, è una delle più ornate della città e assai ricca d'opere d'arte. In una ricchissima cappella, a sinistra dell'altar maggiore, riposa il corpo di s. Filippo, la cui memoria e il cui nome riscuote ancora in Roma una grandissima venerazione.

Principale architetto dell'edifizio fu Gio. Matteo da Città di Castello; Martino Longhi il vecchio eresse l'interno, che venne ornato costruiti disegni del Borromino. La volta della nave maggiore fu dipinta da Pietro da Cortona. Gli angeli che sostengono l'antica imagine della Vergine sul quadro dell'altar maggiore e i due quadri ai lati sono opera di Rubens. Nel presbiterio vi sono sepolti i due celebri cardinali discepoli di s. Filippo, Cesare Baronio e Tarugi. Nella sacrestia v'ha la celebre statua di s. Filippo scolpita dall'Algardi e dal medesimo santo vaticinata. Dietro l'altare di s. Filippo vi è un'elegante  p391 cappellina che fu fatta ornare da Giulio Donati, avvocato concistoriale. Presso questa v'ha una scala a chiocciola che mette alle camere dette di s. Filippo, ove sono ancora molti oggetti appartenuti al santo. Fra gli illustri sepolti nella chiesa è da ricordare il cardinale Maury francese d'Avignone, il quale prese parte agli Stati Generali in cui sostenne il diritto della Santa Sede sopra Avignone. Pio VI lo fece cardinale. Salito Napoleone all'impero, ne divenne ligio, accettando dal medesimo l'arcivescovato di Parigi sebbene non eletto con istituzione canonica. Caduto Napoleone, abbandonò Parigi e venne a Roma, ove per ordine del Pacca fu chiuso in castello: ma, reduce il Gonsalvi da Vienna, fu librato: nessuna memoria si legge sulla sua tomba.

Oratorio di s. Filippo

Accanto alla Chiesa Nuova e congiunto alla medesima v'è il grandioso oratorio di s. Filippo, cui è annesso il convento o casa già dei pp. Filippini, ed era dedicato a s. Cecilia.

Francesco Borromino fu il bizzarro architetto di questa fabbrica bizzarra.

La volta dell'oratorio era ornata dalla Incoronazione in cielo di Maria, opera del Romanelli; il quadro dell'altare coll'Assunta e s. Cecilia fu dipinto dal Vanni: nella parete destra v'ha una statua di s. Filippo in stucco opera di Michele Maglia borgognone. Dirimpetto v'era il pulpito e vicino l'orchestra in cui si eseguiva la musica istromentale secondo il gusto di s. Filippo, dopo che da quel pulpito ava parlato un fanciullino, e poi un padre dell'oratorio. Questo grazioso trattenimento è sparito colla vecchia Roma, e quella sala santificata da uomini illustri è ora ridotta a Corte d'Assise!

Le grandi memorie di Filippo Neri che si legano alla storia di questo luogo colla riforma dei costumi da lui compiuta nella Roma del secolo XVI, mi suggeriscono l'idea di aggiungere a quest'articolo sull'oratorio il catalogo dei primi compagni di Filippo Neri e delle attribuzioni di ciascuno, che in un rendiconto autentico di quegli anni ho trovato nell'archivio vaticano.

Il Padre Ms.
Filippo Neri Fiorentino, Preposto
"
Alfonso Visconti
"
Gio. Franc. Bordini, Dottore, Confessa et Predica
"
Biagio Messia Spagnuolo, Theologo, Confessa et Predica
"
 p392  Alessandro Fideli, Dottore, Confessa
"
Cesare barone, Dottore, Confessa et p
"
Angelo Velli Confessa, et ragiona all'oratorio
"
Antonio Talpa, Dottore, Confessa et ragiona all'oratorio
"
Germanico Fideli, letterato, ragiona all'oratorio
"
Niccolò Giglio Francese, molto dotto, Confessa il monasterio di Torre di Specchi
"
Camillo Severino, Dottore, p
"
Thomasso Bozzio, Dottore, ragiona all'oratorio
"
Iuli Savioli, Nobile Padovano, Curato confessore et ragiona all'oratorio
"
Pietro Boffoli, Dottore
"
Pompeo Pateris — Don Alvero di Lugo Spagnuolo all'Heremitorio Confessa, Assente
"
Pietro Parracchione, Confessore
"
Franc. Soto Spagnolo, Cantore di Cappella, Legge, et governa l'oratorio
"
Franc. Maria Tarugi, ragiona all'oratorio
"
Carlo Novarese, nobile et homo di lettere et molta edificatione
Assente
"
Gio. Ant. Lucci, Dottore, Confessa
Assente
"
Luigi Ponte, Nobile Padovano, Confessa
"
Leonardo Pagoli, Theologo, Confessa
In minori gradi.
Il signor
Fabbritio Mezzabarba, Diacono
"
Paul Camillo Sfondrato, Convittore Mons. Tiberio Ricciardelli giovane nobile, studia
"
Antonio Gallonio Romano, giovine letterato, legge filosofia
"
Gio. Battista Novarese, clerico, fa il corso della filosofia
"
Gaudentio Novarese, diacono
"
Gio. Maria da Camerino, Clerico, Studente
"
Francesco Spatone Bolognese, clerico, fa il corso della filosofia
"
Antonio Sala, Bolognese, ha il governo di tutte le cose
 p393  Franc. et Pietro Bozzi d'Agubbio giovinetti studenti.
Paulo cherico
Lionardo cherico
Francesco cherico
Pietro spenditore
Pietro cuoco

S. Stefano de Piscina

Con questa denominazione ci comparisce nel catalogo di Torino, il quale la annovera fra quelle che habent unum sacerdotem. Fu demolita pochi anni prima del 1870: era vicinissima a s. Lucia del Gonfalone e all'edificio medievale che nelle Mirabilia si appellava Palacium Chromacii. Dal Signorili, nel suo catalogo, è chiamata in Piscinula: narra il Fea che nel 1741 sotto la chiesa si trovò una antica fabbrica romana di curiosa struttura che gli antiquari credettero essere stata una privata piscina da cui ebbe il nome la chiesa; ivi si trovarono colonne di verde antico bellissime. Nel medio evo, nei pressi della chiesa, v'era un mercato di pesce; onde il nome de piscibus.

In alcune carte dell'archivio vaticano ho trovato notizia d'una locatio in perpetuum casaleni in regione Pontis in contrata La Pergola facta per D. Petrum Paulum della Zecca cappellanum cappellae ecclesiae s. Stephani regionis Parionis ad respondendum quolibet anno duos ducatus de camera die 19 Septembris 1467.

Nel 1750 fu riedificata a spese di don Filippo Pioselli parroco della medesima: nel luogo circa ove sorgeva fu sostituita all'angolo della casa posta dirimpetto a s. Lucia, a ricordo della chiesa distrutta, un'imagine del santo proto­martire. Sull'altar maggiore vi era l'imagine di s. Stefano dipinta da Pietro Labruzzi; nell'altare del Crocifisso v'erano pitture del Pavesi e di Costantino Borti; in quello della Concezione, del Sottino. La chiesa era filiale di s. Lorenzo in Damaso.

 p394 

S. Cecilia de Turre Campi

Ebbe questa chiesa, da più secoli distrutta, molte e curiose denominazioni; ricorderò le principali che sono le seguenti: De saxo, de saffo, de scaffa, de turre campi, in campo torre, Stephani de Petro, de lupo pacho, de taffo, Nicolai Marescalci ecc. L'Adinolfi scrive che era dietro alla piazza attuale dell'Orologio presso la Chiesa Nuova, sul suolo ora occupato da una fabbrica presso Monte Giordano. Era parrocchia soggetta già a s. Maria de schola saxonum (s. Spirito), e una demolita sotto il pontificato del papa Gregorio XV, l'anno 1629, per l'ampliamento di quella fabbrica, cioè dell'oratorio dei pp. Filippini colla condizione che l'altare dell'oratorio dei pp. Filippini fosse dedicato ai santi Filippo Neri e Cecilia. Il Signorili la ricorda fra le chiese della terza partita col titolo de campo, ma più comunemente nel secolo XIV era detta de turre campi; così trovo infatti nei libri della basilica vaticana dell'anno 1394: Domus cum signo mulieris de parochia sanctae Ceciliae de turre campi. Il signum mulieris era l'insegna della casa suddetta spettante alla basilica, secondo l'uso dell'età di mezzo, in cui mancando la numerazione civica, ed essendo le singole strade prive di nomenclatura quale attribuivasi alle contrade, a queste insegne si ricorreva per gli usi censuali. Non di rado da queste provenicva la denominazione alle contrade e alle vie stesse, uso che risale ai tempo dell'antica Roma e al quale si riferiscono le dni p. es., ad unum pileatum, a quinque pernis, a septem Caesaribus, ecc. Michele Lonigo nel suo manoscritto afferma: che è stata profanata ultimamente per dovere essere rinchiuso quel sito nel luogo dei pp. della Vallicella.

Il Torrigio, in un ms. vallicelliano, ricorda che nel 20 luglio 1629, vi copiò l'iscrizione in marmo ricordante la consacrazione dell'altare di quella chiesa fatta sotto Callisto II nel 1123, iscrizione che si conserva oggi nella casa dei Filippini.

ANNO MILLESIMO CENTESIMO DOMINICE INCARNATIONIS XXIIII
ANNO V. PONTIFICATVS DOMNI CALIXTI II. PP. INDIC. I
MENSIS MAI D. VIII DEDICATVM EST HOC ALTARE
PER MANVS CINTII EPISCOPI IARINI RECONDIVITQVE IN EO
RELIQVIAS SANCTORVM SANCTARVMQVE COSME AC
DAMIANI TRIFONIS ET RESPITII MAMILIANI EPISCOPI
AGAPITI M ARTEMIE. V. NIMPHE QVIRIACE
VIDVE RELIQVIE SANCTORVM.

 p395  Il nome dato alla torre, presso alla quale sorgeva la chiesa cioè di Stefano di Pietro, ricorda quello Stefano prefetto urbano, padre del famoso Cencio, che fu il gran nemico di Gregorio VII.

Inacettabile è l'interpretazione che dànno alcuni scrittori del secolo XVI per spiegare l'origine degli altri nomi della contrada in cui era la chiesa, massime del Torrigio, il quale opina che fosse detta de saxo, e in campo; perchè quivi era un campo o piazza dove s. Cecilia alle volte soleva predicare, salendo sopra un sasso o colonna. È veramente ammirabile la ingenua semplicità di questi scrittori, ai quali non può certamente farsi il rimprovero che meritano i nostri contemporanei; perchè se queglino peccavano per difetto di critica, i nostri cadono nel difetto opposto. In un antico rgistro di Visite dell'archivio della Santa Sede trovo che nella chiesa v'erano tre cappelle; l'una de' Cardelli, l'altra di s. Michele, ma in questione pel giuspatronato; la terza della Concezione, della famiglia de Rusticis.

S. Elisabetta a Pozzo bianco

Così chiamossi una chiesuola vicino a s. Maria in Vallicella, alla quale era annesso un piccolo monastero di Clarisse. Essendo quasi abbandonata e fatiscente, la chiesa e il monastero furono posti in vendita allorchè viveva s. Filippo Neri, d'ordine del vicario del papa il cardinale Jacopo Savelli.

Il card. Donato Cesi, amicissimo di Filippo, comprò il luogo e lo donò al Neri per la fabbrica della casa della sua congregazione. Il nome pozzo bianco era speciale d'una contrada vicina alla chiesa, e specialmente corrispondeva al sito ove era la piazza Sora, in cui sorge l'omonimo palazzo, testè riedificato per l'allargamento della via Nazionale; quel palazzo era stato fabbricato da Urbano Fieschi conte di Lavagna, proto­notario di Sisto IV, e vicino eravi la cisterna che dette il nome alla regione.

S. Maria a Pozzo bianco (v. S. Maria in Vallicella)


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