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R. Monti (3)
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Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

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R. Colonna

 p249  II. RIONE TREVI

Ss. Apostoli

Questa nobilissima basilica nel secolo XIV dava il nome alla prima partita delle chiese di Roma. Sorge presso il palazzo dei Colonnesi, nella piazza che piglia il nome dalla suddetta chiesa. È stata da pochi anni decorosamente restaurata dal defunto parroco il p. Antonio Bonelli dei Minori Conventuali. Più nulla rimane dell'antica chiesa, la quale sorgeva ad un piano assai più profondo dell'attuale; infatti negli scavi eseguiti per costruire recentemente la sotterranea confessione si rinvennero alla profondità di parecchi metri dai livello della strada alcune basi di colonne ancora al posto della chiesa primitiva. Nella seconda metà del secolo VI il papa Pelagio la dedicò ai ss. Apostoli Filippo e Giacomo, come abbiamo dal libro pontificale, dal quale pure apprendiamo che quel papa, prevenuto dalla morte, non potè compiere l'opera che fu terminata dal suo successore Giovanni III. Le origini dell'edificio si vogliono anteriori a Pelagio, se a questo si attribuiscono le parole del libro pontificale nella biografia di Giulio I (a. 337‑340), ove si legge che edificò basilicam iuliam quae est regione VIII iuxta forum divi Traiani; parole le quali lasciano però qualche dubbio sul loro significato, poichè non si comprende perchè, più che dai santi Filippi e Giacomo, prendesse l'edificio il nome del papa. Infatti nell'epistilio della porta della basilica si leggeva quest'iscrizione:

PELAGIUS COEPIT COMPLEVIT PAPA IOANNES
UNUM OPUS AMBORUM PAR MICAT PRAEMIUM.

L'antica basilica era a tre navi sostenute da due file di colonne: vi si venerava una celebre imagine del Salvatore dipinta da Melozzo da Forlì, che Clemente XI fece trasportare nella  p250 sala regia del Quirinale. Nella tribuna, secondo il rito più antico, v'era il tabernacolo dell'eucaristia. Sull'altare maggiore che sorgeva sopra la confessione s'alzava il tegurium o baldacchino sorretto da quattro colonne di porfido: nella confessione vi erano deposti molti corpi di martiri provenienti dal cimitero d'Aproniano sulla via latina. Nel corpo della chiesa vi erano le cappelle di s. Angelo, della famiglia dei Giudicini; quella dei Valentini, di s. Niccolò; una di s. Tommaso, dei Mancini; di s. Caterina, dei Papazurri, di s. Eugenia, della famiglia de' Portiis; di s. vincenzo, delli Foschi; di s. Francesco, dei Colonnesi; quella del ssm̃o Crocifisso, degli Iancolini.

Dopo il 1660 le sue dodici cappelle erano invece le seguenti: l'altar maggiore intitolato dagli Apostoli era dei signori Riario di Bologna; la 2a di s. Francesco, dei Colonnesi; la 3a di s. Tommaso Cantuariense, dei Mancini; la 4a di s. Giovanni Evangelista e di s. Sebastiano, dei Capogalli; la 5a di s. Antonio di Padova, di Stefano Capotorti la 6a della Madonna della Purificazione, dei signori Mandosii; la 7a detta della Madonnina, del signor Camillo Martelli; l'8a di s. Bonaventura, dei signori Zambeccari di Bologna; la 9a di s. Michele Arcangelo si chiamava la Immacolatella: a questa il cardinal Bessarione donò il casale della Cecchignola per lascito testamentario fatto in Venezia nella chiesa di s. Giorgio l'anno 1464 in giornio di venerdì 17 febbraio. A proposito della qual donazione in un documento dell'archivio vaticano ho trovato la seguente nota: "Questo casale però è andato nelle mani d'altri più potenti de' poveri frati, nè si sa il modo." La 10a del ssm̃o Crocifisso, della signora Faustina Inquilina; l'11a della Pietà, dei signori Muti; la 12a di s. Pietro martire, dei Tognino.

La parrocchia comprendeva nella sua giurisdizione, in quegli anni, il palazzo dei signori Florenzi, quello dei Pichi, della Molara e di monsignor Colonna, tutti nel rione de' Monti: nel rione di Trevi possedeva il palazzo dei Bonelli e quello del principe di Gallicano dove abitava il cardinal padrone. Più tardi la denominazione della chiesa si estese a tutti gli Apostoli; perciò fino dal secolo XVI venne denominata comunemente Basilica duodecim apostolorum con un oratorio speciale a s. Giacomo: s. Iacobi ibidem. Ma il nome di sancti Apostoli dato alla chiesa si trova già nella cronaca di Benedetto del Soratte. La storia più antica che se ne abbia è quella del Volaterrano, il quale attribuisce con certezza alla medesima chiesa origini costantiniane, opinione la quale non mi sembra accettabile. Nel 1873  p251 scavandosi, per ragione dei restauri anzidetti, sotto l'altare si rinvenne un possetto con capsella contenente reliquie dei due ss. Apostoli Filippo e Giacomo unite a frammenti di balsami, le quali si riconobbero essere stae deposte colà circa il secolo VII, all'epoca cioè dell'edificazione della basilica. Della chiesa medievale rimane fra le cose più notevoli uno dei leoni che sostenea una colonna, opera di uno dei più celebri maestri marmorari romani del secolo XIII, cioè Vassalletto: sulla base dove è il leone adagiato si legge infatti il suo nome preceduto da croce † Bassallectus; monumento che per mio suggerimento fu posto in luogo d'onore nell'interno del portico attuale della chiesa. Adriano I in un trattato diretto a Carlo Magno accenna alla meravigliosa ampiezza di questa chiesa, che dice adorna di musaici. I materiali furono tolti forse alle vicine e già cadenti termi imperiali di Costantino; ma è favola che fosse fatta colle spoglie del vicino Foro Traiano donate da Narsete. In alcuni fogli volanti contenenti scritture del secolo XVI, negli archivî della Santa Sede, ho trovato il seguente documento intitolato: Stima delli seguenti sassi che esistevano dentro la chiesa vecchia dei ss. Apostoli.

Le due colonne grandi di granito orientale longhe l'una palmi 27 e di diametro palmi 316 si stimano scudi 40 l'una. Le quattro colonne di breccia con li suoi capitelli base et ornati che componevano li due altari di pietre mischie, si valutano in tutto e per tutto scudi 400. Le due colonne piccole di giallo antico con tutti i suoi finimenti che componevano l'altare della cappelletta della Madonna si valutano in tutto scudi 125. Li quadri di pittura che esistevano nel corpo della navata di mezzo si valutano l'un per l'altro scudi 15 l'uno. Nello stesso documento poi leggo: La sa. me. di Sisto V l'anno 1589 donò alli frati Minori Conventuali di s. Apostoli scudi 15000 ad effetto che si comprasse il palazzo della Torre o del Vaso spettante ai signori Colonna per comodo et utilità della Religione.

Il papa Stefano V passato di vita nell'891 riedificò la chiesa presso la quale sorgeva la sua casa paterna. L'antipapa Anacleto nel 1130 spedì una bolla in favore di questa chiesa alla quale le sottoponeva quella di s. Abbaciro de Militiis, come ricorda il Volaterrano Nel terremoto del 1348 la basilica ruinò, e in quello stato si giacque poco meno d'un secolo insieme a moltissimi edificî della città fino ai giorni di Martino V, che  p252 rinnovò la basilica col palazzo di sua famiglia ivi attiguo, il quale si estendeva allora dalla piazza di s. Marcello sino al Quirinale. Una strana cerimonia, ma che corrisponde all'indole dei tempi, aveva luogo il giorno dei santi Filippi e Giacomo nella chiesa, in cui si gettavan uccelli, e dal soffitto si appendeva un porcello sospeso fin presso al pavimento, mentre si rovesciavano catinelle d'acqua sulla folla che a quello s'appressava per impadronirsene. Fra le nobili famiglie che in quella chiesa ebbero sepoltura sono da ricordare i Mazzabufali ed i Vitelleschi. Un documento attribuito al papa Giovanni IV, ma che appartiene ad età meno remota, cioè al secolo XII, determine i confini della parrocchia. Esso è prezioso per la topografia di Roma nell'età di mezzo, perchè ivi è ricordata la via ubi est calix marmoreus, cioè il gran vaso o cantaro adoperato già ad uso di fonte che esiste ora nel chiostro dei pp. conventuali annesso alla chiesa, oggi circolo militare. L'attuale portico della chiesa è opera di Giuliano della Rovere, poi Giulio II, che ampliò anche l'annesso palazzo-convento che fu dimora di papi. Dopo i restauri di Sisto IV la chiesa non subì alcun rinnovamento fino all'epoca di Clemente XI, che la riedificò dai fondamenti tranne il portico, fatto da Baccio Pintelli. La nuova fabbrica fu consacrata da Benedetto XIV l'anno 1724, benchè allora non fosse compiuta la fronte dell'edificio, che si deve alla generosità del duca Giovanni Torlonia, il quale la terminò a sue spese l'anno 1827. Ricorda il Cancellieri che il card. Stefano Borgia, avendo fatto prendere le misure del gran finestrone sulla facciata, trovò che erano identiche a quelle della porta del popolo.

S. Tommaso

Un oratorio dedicato a s. Tommaso fino dal secolo IX esisteva presso la basilica dei ss. Apostoli. Infatti il libro pontificale nella vita di Stefano V (a. 885) ricorda che il papa: oratorio s. Thomae sito in monastero s. Andreae apostoli iuxta basilicam Apostolorum fecit vestem unam.

S. Maria di Loreto al Foro Traiano

È posta nel Foro Traiano ed ufficiata dalla confraternita de' fornari, i quali nell'anno 1500, sotto Alessandro VI, avendo dato principio ad una compagnia particolare, ottennero una  p253 chiesina, nel luogo della quale tolsero ad erigere la nuova nell'anno 1507, con architettura di Antonio da san Gallo, e la compirono nel 1580. Il Milizia, parlando di questa fabbrica, così la descrive, non senza la natural sua acerbità di parole: "Ecco una chiesa di nuova forma. Un bel quadrato di fuori sostenuto da uno zoccolo. L'interiore ottagono coperto da una doppia volta ottagona al di dentro, e fuori emisferica. Questa specie di cupola doppia è un'altra novità. Fin qui va bene.

"Ma i pilastri compositi a due a due; le porte e le finestre sfigurate e con ornatacci insignificanti, e que' frontespizi orrendi sono di Sangallo? Un certo Giacomo del Duca, dscepolo di Michelangelo vi fece quella gabbia di grilli che fu il lanternino della cupola, e il medesimo vi avrà anno quelle strambalatezze".

L'altar maggiore è opera di Onorio Longhi ed ivi è una bella tavola antica in cui è dipinta la Madonna di Loreto tra i santi Giacomo e Sebastiano la quale esisteva nella chiesina demolita. La cupola è tutta rricchita di stucchi messi a oro, ed ha quattro grandi quadri a olio, eseguiti nel finire del secolo decimo settimo, i quali hanno i nomi degli autori, scrittivi da loro stessi, e tanto più son pregevoli per la storia pittoria, in quantochè poco o nulla son essi conosciuti. Quello rappresentante l'Annunziazione di Maria è di frà Giovanni Baldassarri di Candia; l'altro colla fuga in Egitto, è opera di Pietro Buccilli; il terzo, in cui si esprime la Visitazione di santa Elisabetta, venne eseguito da Pietro Rosso di Castel d'Acqua; l'ultimo, esprimente la Presentazione della Vergine santa al tempio, è lavoro di Giacinto Garroni. Sopra la porta maggiore osservasi lo sposalizio di Maria con s. Giuseppe, opera ad olio molto stimata di Giuseppe Chiari.

SS. Nome di Maria al Foro Traiano

Questa chiesa, come abbiamo accennato discorrendo di quella di s. Bernardo presso il Foro Traiano, fu edificata nel 1736 con i disegni dell'architetto francese Derizet. Appartiene alla confraternita del ss. Nome di Maria eretta per la vittoria contro i Turchi, riportata da Sobieski ai 12 settembre 1683; per celebrare la quale Innocenzo XI avea istituito una solenne festa del ss. Nome di Maria. Fin dal 1685 un tal Giuseppe Bianchi di Sabina avea raccolti intorno a sè alcuni divoti nella chiesa di s. Stefano del Cacco. E questi formarono la Congregazione del ss. Nome di Maria, che nel 1688 fu solennemente approvata.  p254 Nel 1694 i fratelli lasciando s. Stefano del Cacco ottennero la chiesa di s. Bernardo al Foro Traiano; ma l'anno seguente 1695 concepirono il pensiero di edificarsi una nuova chiesa contribuendo i fratelli alle prime spese: ma di fatto questa non cominciò a sorgere che l'anno 1736 e fu terminata nel 1741 sotto Benedetto XIV. Trent'anni or sono fu restaurata con i disegni dell'architetto Gabet. Sul'altare maggiore vi si venera una antica imagine della ss. Vergine che si conservava nell'oratorio di s. Lorenzo al Laterano e che per concessione di Eugenio IV fu trasferita nella chiesa di s. Bernardo. Nel 1703 fu solennement coronata dal capitolo vaticano, e nel 1741 fu portata nella nuova chiesa del Nome di Maria con solenne processione.

S. Romualdo

È stata da pochi anni rasa al suolo per il prolungamento della via Nazionale. Sorgeva di fianco al palazzo Torlonia fra le piazze di Venezia e dei ss. Apostoli. Dava il nome a quel tratto di via suddetta e fu eretta quadrata ai Camaldolesi venne distrutta la loro chiesolina di s. Antonio o s. Niccolò de Forbitoribus per la fabbrica del collegio romano.

Ho letto in un'antica scrittura di quella chiesa che "volendo essi fare una fabrica, scopersero gran massa di quadri di peperino e ne trovarono questa copia che venduta detta pietra, del guadagno fabricarono questa bella chiesa di s. Romualdo. ." Ivi si ammirava sull'altare maggiore il bellissimo quadro di Andrea Sacchi, rappresentante s. Romualdo, che sta oggi nella pinacoteca vaticana. Annessa alla chiesa v'era un ospizio dei monaci di s. Gregorio.

S. Marcello

La chiesa di s. Marcello è uno degli antichi titoli della città. La fronte della chiesa s'alzava nel lato opposto dell'attuale ed innanzi la medesima si apriva una piazza di cui si parla dal Fiortifiocca nella vita di Cola di Rienzo. Nel 1519, minacciando rovina, fu riedificata dai fondamenti con architettura del Sansovino. Sulla porta dell'antica chiesa, innanzi alla piazza ricordata, appiccata la sentenza contro Lodovico il Bavaro da Giovanni XXII, e ciò fece il figlio di messer Stefano della Colonna, che, montato a cavallo, si pose in salvo a Palestrina,  p255 non essendo stato raggiunto dai soldati del Bavaro. A questa chiesa si rannoda la tradizione riferita dal Libro pontificale, il quale narra che ivi era la casa di Lucina, dove poi, convertita in stalla fu posto il papa Marcello. Gregorio IV (a. 827‑844) arricchì di doni questo titolo, come abbiamo nel libro suddetto: item in ecclesia beati Marcelli confessoris atque pontificis fecit vestem de fundato. Anche Stefano V offrì ricchi doni al titolo predetto cioè: canistrum argenteum unum pensantem libras tres, crucem de auro unam vela linea sex et viginti, cortinam lineam unam simulque et historiarum librum unum, omelias s. Gregorii numero viginti. Minacciando rovina fu riedificata dal papa Adriano I, titulum s. Marcelli via Lata situm a novo restauravit. Fino all'anno 1369 fu governata da un collegio di canonici, mancando i quali, fu affidata all'ordine dei Servi di Maria, che in Roma non avevano convento. Sul principio del secolo XV vi erano le cappelle di s. Caterina, dei Branca; di s. Giovanni, del notaio Nuccio; di s. Sebastiano, dei Marcellini.

Nel 1666, come chiesa matrice, avea soggette le seguenti parrocchiali; s. Maria in Via, s. Maria in Aquiro, s. Niccolò in Arcione, s. Andrea delle Fratte, s. Susanna, ss. Vincenzo ed Anastasio; i suo parrocchiani erano in tutto 880 ed 0 una entrata annua di 2543 scudi. L'annesso convento fu edificato nel 1660, demolendosi la vecchia fabbrica. Nei restauri fatti negli anni trascorsi in s. Marcello si rinvenne sotto l'altare maggiore una lamina di piombo coll'epigrafe seguente:

† CORPUS BE
ATI MARCELLI
PP ET M
LARGI · ET · SMA
RALDI (sic) · M
ET ALI † ORUM

È un'epigrafe posteriore al secolo X, ma non al secolo XII. La ragione di tal riunione è evidente, poichè nella leggenda di cotesto papa si dice che egli stesso trasferì con Lucina matrona le reliquie di quei martiri dalla via slaria all'Ostiense. Fra i nomi dei sepolti in quella vetusta parrocchia è da ricordar Domenico degli Astalli dell'ordine dei Srvi, vicario di re Ladislao, morto nel 1414. V'ebbero sepoltura anche i Muti, i Normanni, gli Iacovacci, i Frangipane ed i Depersona.

 p256  Ss. Cosma e Damiano

Michele Lonigo, nel suo catalogo delle chiese di Roma, ricorda questa chiesolina, la quale sorgeva entro l'antico chiostro dei Serviti, presso s. Marcello. Anzi circa il dominio della medesima insorse questione tra l'antico clero di quella chiesa, e l'abbaqueste di San Sepolcro. Clemente III però giudicò in favore del clero di s. Marcello; più tardi i frati serviti la distrussero per la fabbrica del loro chiostro.

SS. Degna ed Emerita

Era l'unico oratorio consacrato a queste due martiri nell'interno della città, edificato, come l'anzidetto, entro il monastero dei padri serviti di s. Marcello, ove più tardi si raccoglieva la compagnia del ssm̃o Crocifisso.

S. Maria dell'Archetto

Questa divota cappellina fu sostituita ad un'antica imagine della Vergine che si venerava sotto un angusto arco di passaggio presso il palazzo già Savorelli, ora Balestra. Chiuso quel viottolo, il marchese Savorelli vi fece edificare una cappellina ove pose quell'imagine di Maria ssm̃a dipinta ad olio sopra un tegolone antico. La cappellina fu aparta alla pubblica divozione il giorno 21 maggio 1859. A quella festa vi concorsero i cardinali, Patrizi, Franzoni, Altieri, Roberti, Bofondi, Rirario, oltre a molti vescovi ed illustri personaggi. Il padre Facchini di venerata memoria, della Conosciuti di Gesù, a capo dei pii fratelli dell'oratorio notturno detto del Caravita, condottosi presso la cappellina, parlò al popolo accorsovi in gran folla. Nel giorno seguente vi si condusse Luigi Massimilano re di Baviera, commosso alla vista della divozione del popolo romano, il quale giorno e notte si affollava presso quella sacra imagine. La cappellina è una rara gemma d'architettura, ricca di marmi preziosi e di metalli, opera eccellente dell'architetto conte Virginio Vespignani. Il celebre gesuita ed archeologo cristiano il  p257 p. Giuseppe Marchi compose la iscrizione che si legge sulla fronte esterna della cappellina:

MARIAE DOMINAE NOSTRAE
ALEXANDER MVTIVS DE PAPPACIVRRIS MARCH.
ANTEA SAVORELLIVS COMES
CELLVLA AMPLIATA TITVLO SVPEREXTRVCTO
A FVND. REFECIT EXORNAVIT
AN. A. P. V. MDCCCLI.

Oratorio del Santissimo Crocifisso

Il giorno 23 del mese di maggio dell'anno 1509, ruinò improvvgisamente l'antichissimo titolo di S. Marcell. Fra le macerie rimase illesa una parete della chiesa, ove si venerava una imagine del ss. Crocifisso, innanzi al quale rimae sospesa ed ardente la lampada. Questo fatto commosse la pietà dei fedeli di Roma e specialmente d'ali più ferventi, i quali, ascrivendo ciò a miracolo, si raccolsero onde mantenere vivo il culto di quello divota imagine. Scoppiata poi nel 1522 una fiera epidemia in Roma, quei divoti si accinsero a promuovere delle solenni processioni in ciascuno dei reioni della città, portando la imagine del Crocifisso, alla quale s'accompagnò il cardinale titolare di s. Marcello, lo spagnuolo Raimondo di Vico, vescovo di Valenza e di Barcellona. Narra il Bruzio che un numero grandissimo di fanciulli facea coda alla processione allorchè da s. Marcello si condusse la prima volta nel Vaticano, tutti gridando ad alta voce misericordia! misericordia!

Cessato il morbo, molti cardinali, prelati e gentiluomini, uniti a quel progp di fedeli, fecero una colletta di denaro onde riedificare la chiesa di s. Marcello, la quale ben presto sorse dalle ruine più splendida assai dell'antica, benchè la fronte della nuova fosse edificata ove era il fondo della prima, cioè sulla via del Corso, trasportatane come dice il Bruzio, la facciata, mentre prima era dal lato opposto. Quella divota compagnia soleva tenere le sue pie adunanze nel piccolo oratorio detto dlle ss. Degna ed Emerita, che avea la forma di una stanza lunga a guisa di tinello o cellaro sotto il dormitorio de' frati serviti di s. Marceloo. Fra i religiosi esercizi della medesima, così il sullodato autore, ebbero quello di far lemosine ai Padri Cappuccini, di accompagnare il ss. Viatico agli  p258 infermi, far il sepolcro con ogni pompa maggiore nel giovedi santo, maritare zitelle povere, visitare gl'infermi, associare i defunti alla sepoltura, cantar l'uffizio della s. Vergine e della Croce. Senonchè, accresciuto grademente il numero di color che della pia associazione vollero far parte, divenne perciò angusto l'oratorio, onde si cercò dalla fratellanza un nuovo luogo. Narra il Bruzio che l'anno 1558, dopo che i fratelli ebbero cantato l'uffizio della Settimana Santa, stabilirono di abbandonare definitivamente l'oratorio, affidando ai deputati della medesima di cercarne uno migliore. L'anno seguente perlustrando i suddetti deputati, quali erano cotali Bagarotti e Landi, le vicinanze della chiesa, e precisamente dove è ora l'oratorio, videro una grandissimagrotta piena di fieno con muri molto grossi che sembrava un edifizio antico. Quella grotta era posseduta allora da Girolamo Muti, nobile romano, sulla quale v'era un granaio locato alla nobile matrona, di nome Diana del Bufalo, e accanto vi era una chiesa profanata di s. Niccolò in cui abitava una bizoca dell'ordine de' Servi, la quale l'avea ottenuta in vita, e accanto vi era un gran fenile parimenti de' Servi di s. Marcello che s'appigionava a scudi 24 l'anno.

Piacque questo luogo a quei due ed ai guardiani della compagnia, i quali invitarono l'architetto Giacomo della Porta a fabbricare sul quel rudere il loro oratorio, dopo che ebbero comprato il sito. Concorsero alla spesa il serenissimo duca di Parma e Piacenza, Ottavio Farnese, e il duca d'Amalfi, colle quali sovvenzioni s'incominciò il cavo delle fondamenta ai 20 di agosto dell'anno 1560. Giunta l'escavazione alla profondità di palmi 45, si scoperse una grandiosa pietra d'altare col suo piede, come si vede al presente nella cappella dell'oratorio, quale fu estratta il giovedì santo di quell'anno con grande ammirazione di tutti. La prima pietra fu deposta dal card. Ranuccio Farnese, come protettore della compagnia, nella quale circostanza furono battute 200 medaglie col nome del cardinale da un lato e il disegno della fronte dell'oratorio dall'altro, molte delle quali furono chiuse in quella pietra. La solennità ebbe luogo nella ottava della s. Croce di maggio e fu accompagnata da musiche, suono di trombe, tamburi e sparo di mortaletti. Nota pure il Bruzio che le quattro corde e parte degli arcarecci che sostenevano il tetto furono donati da una nobilissima matrona romana di casa Cenci ai 21 gennaio del 1561. Nelle recenti demolizioni fatti nell'anno 1885, presso il lato destro dell'oratorio, si rinvennero a grande profondità gli avanzi di una chiesa antica che era quella di s. Niccolò (?); e, ppochi anni prima, sotto il nuovo fabbricato del principe Sciarra che fronteggia la  p259 via dell'Umiltà, si era rinvenuto un grande cumulo di ossa e tracce di sepolture antichissime, le quali dovevano appartenere al cimitero di quella chiesa. Si scoprirono pure nel luogo adiacente all'oratorio grandiosi ruderi d'un edifizio dell'epoca romana, quale avevano appunto giudicato i due deputati della confraternita. L'oratorio fu dunque eretto con disegno del celebre Giacomo Barozzi da Vignola, e le facciate interne furono decorate di pitture da Niccolò Circignani detto dalle Pomarancie e di Cesare Nebbia. I fratelli di questa compagnia nel secolo XVI soleano andare processionalmente la notte di s. Giovanni alla basilica vaticana. Nelle vicende politiche del 1798 l'oratorio, dopo essere stato manomesso e saccheggiato, rimase abbandonato fino al 1821, in cui fu risarcito; finchè, minacciando di nuovo ruina, fu nel 1878 restaurato dall'architetto Tito Armellini, mio amatissimo genitore.

S. Maria delle Vergini

L'antica chiesa delle Vergini sorgeva sugli avanzi delle terme costantiniane, e fu fatta atterrare dal cardinale Scipione Borghese, per edificarvi in quel luogo il suo palazzo del Quirinale. Era stata edificata dal padre Pompei Paterio prete dell'oratorio di s. Filippo, cui avea dato il titolo di s. Maria del Refugio l'anno 1595 con l'annesso monastero. L'origine di questo è la seguente: nel 1593 sotto Clemente VIII tre nobili dame vollero fondare un sito per povere zitelle bisognose. Morte due di quelle dame, cioè donna Felice e donna Ortensia Colonna, restò la marchesa Rangona, che compiè l'opera istituendo questa casa incontro la chiesa di s. Silvestro a Monte Cavallo denominata delle Zitelle del Rifugio, la quale fu posta sotto la cura del suddetto padre Pateri.

Ma l'anno 1615, volendo il card. Scipione Borghese nepote di Paolo V fabbricare il suo palazzo del Quirinale che poi fu del Bentivogli, quindi del card. Giulio Mazzarino, fu distrutto chiesa e monastero ed edificata l'altra alle radici del monte Quirinale dirimpetto a quella dell'Umiltà (collegio americano degli Stati Uniti) nel palz che era stato già del cardinale Taverna. Da pochi anni il monastero è stato soppresso, le monache espulse, e il luogo trasformato in ufficio di Tesoreria. Nel fare i fondamenti di quel monastero si rinvenne una lapide scritta in caratteri del secolo XIV, ove si leggevano le  p260 parole: HIC REQVIESCIT PAVLVS DE PELLIPARIIS, ed un'altra in forma di architrave col nome di PETRI PAVLI PELLIPARII.

S. Maria dell'Umiltà

È una chiesuola che sorge ai piedi del Quirinale nella via omonima, non lungi da quella di s. Croce dei Lucchesi, che coll'annesso monastero fu edificata sulle rovine del Foro Suario da Francesca de' Baglioni di Perugia. Scrive il Bruzio che la chiesa sorge sopra grandiosi ruderi dell'antica città, poichè nei sotterranei si veggono mura antiche con stanze grandi.

La fondatrice anzidetta era la figlia di Pirro dei Baglioni e di Caterina de' Medici nipote di Clemente VII. Comprò la casa ove fondò quel monastero da un tal Francesco Mirabello, al prezzo di scudi 6500. La fabbrica incominciò l'anno 1601 ai 7 di marzo e fu compiuta l'anno 1613 ai 29 di settembre. Paolo V ordinò che tre monache del monastero di s. Maria Maddalena al Quirinale si portassero nel nuovo dell'Umiltà, onde iniziare le religiose alle regole dell'istituto. Le tre fondatrici furono Caterina dei Conti della Genga, Angela Altieri, e Angela Murari. Le monache salesiane, che vi dimorarono prima delle domenicane, dettero per qualche tempo alla chiesuola il titolo del loro santo fondatore. Nell'attiguo convento dell'Umiltà, da molto tempo soppresso, il papa Pio IX istituì il collegio americano degli Stati Uniti.

S. Niccolò in Porcilibus

La contrada in cui sorgeva questa chiesa diceasi nel medio evo in porcilibus, la qual denominazione ricordava forse l'antico Foro Suario o mercato dei porci. L'Adinolfi però crede piuttosto che quella denominazione sia contraffazione e corruttela del nome Portiis di una famiglia romana di tal gentilizio, la quale infatti possedeva poco lungi dalla chiesa la sua abitazione. Checchè sia da ciò, poichè non sappiamo se la famiglia togliesse il nome della contrada o questa dalla famiglia, egli è certo che la chiesa nel secolo XV si chiamava de Porciis ovvero in Porcilibus. Essendo poi prossima alla regione del Trivio la troviamo menzionata più anticamente con questo nome. Infatti nel catalogo di Torino si legge (ecclesia) s. Nicolai de Trivio habet sacerdotem et clericum. Il Bruzio assolutamente afferma che fosse innalzata fra i ruderi del Foro Suario, i cui avanzi, così egli, si  p261 veggono presso le chiese della ssm̃a Croce e Bonaventura dei Lucchesi, già dei pp. Cappuccini nel cui cenobio era racchiusa la suddetta chiesa di s. Niccolò. Entro questo convento dimorò s. Felice da Cantalice umile converso cappuccino.​a L'opinione del Bruzio viene sostenuta ed avvalorata dal fatto, chè veramente il Foro Suario si trovava in questa regione, come risulta dai codici topografici del secolo IV il Curiosum e la Notitia.

SSma Croce e S. Bonaventura dei Lucchesi

Fu edificata pressochè intieramente dai Lucchesi dopo che fu loro conceduta da Urbano VIII quella di s. Bonaventura, già s. Niccolò de Porcis. Fu architettata da Mattia de Rossi e dipinta dai lucchesi Giovanni Coli e Filippo Gherardi. Fu recentemente del tutto restaurata nell'interno con ricchissime decorazioni ed ornati.

S. Andrea de Biberatica

Questa chiesa è distrutta da molti secoli; prendea il nome dalla contrada Biberatica, colla quale nell'età di mezzo si denominava la falda del Quirinale cui è addossata la basilica dei ss. Apostoli fino alla via di Magnanapoli e alla salita del Grillo. Infatti nel libro delle Mirabilia urbis Romae si nota che la regione dei Monti confinava con quella della Biberatica; e nel catalogo di Torino abbiamo: Prima est regio Montium et Biberate. L'etimologio del nome deve certo ripetersi dal latino bibere, per essere la contrada sud ricchissima di sorgenti d'acqua e abbondante di pozzi per attingerla. Oggi ancora sono notissime le vene dette del Grillo ed altre, fra cui ve n'ha anche una nel recinto del monastero di s. Caterina. Anzi, fino dai più remoti tempi della storia romana, la porta del recinto delle mura di Servio, da pochi anni rinvenuta in questo luogo e oggi rinchiusa nel palazzo Antonelli, dicevasi la Porta Fontinale. Il medio evo, che conservò le tradizioni storiche e topografiche della città, chiamò perciò Biberatica questa regione, ed è appunto per questo che nelle Mirabilia si trova qui situato il lacus curtius. È quindi da rifiutare, come priva affatto di serietà, l'ipotesi proposta dal  p262 Gregorovius, il quale da qualche simulacro di vipera o di serpente ha derivato il nome suddetto, solo perchè in un documento trovasi chiamata questa regione colonna nome viperatica.

Fra i documenti dell'archivio avignonese esistente in quelli della Santa Sede ho trovato che la chiesa di s. Andrea de Beveratica appartenea a monache di s. Benedetto: Monasterium s. Andreae de Beveratica de Urbe ordinis s. Benedicti. La chiesuola era situata dietro la basilica dei ss. Apostoli sulla moderna via della Pilotta: Monasterium s. Andreae quod ponitur iuxta basilicam apostolorum. Così il Libro pontificale. Alle monache di quel monastero era affidata la cura di nutrire gli agnellini della cui lana si tessevano i pallî che il papa dà ai patriarchi ed arcivescovi. Le origini della chiesuola sono antichissime, giacchè la troviamo menzionata nel suddetto libro, nella biografia di Leone III papa, che l'arricchì di molti doni. La chiesa era anche detta de viculo, da un viottolo che le correva innanzi. Il catalogo di Torino la pone nella prima partita, e seconda dopo quella dei ss. Apostoli: Monasterium s. Andreae de biberatica habet XV moniales. Il Signorili l'appella semplicemente s. Andrea in Liberatica. Il Grimaldi e più tardi il Martinelli errarono gravemente sulla topografia di questa chiesa, confondendola coll'omonima esistente di già presso la colonna antonina. e che fu demolita da Paolo III.

S. Lorenzo de Biberatica

Era situata nell'anzidetta contrada, ed è ricordata nei cataloghi di Cencio Camerario ed in quello dell'Anonimo di Torino dei tempi incirca di Cola di Rienzo. Dopo quell'epoca non ne trovo più fatta menzione.

Ss. Ippolito e Cassiano

Di questa parrocchietta così scrive il Lonigo:

"V'era una chiesa nel rione di Trevi dedicata a questo santo e a s. Cassiano, antica parrocchia sottoposta a s. Marcello, che, essendo profanata e distrutta, vi fu fabbricata una casa posseduta dai padri di s. marcello e ad onor loro fu fabbricato un altare nella chiesa dei ss. Vincenzo ed Anastasio."  p263 Lo stesso trovo presso a poco nei manoscritti di Bruzio, il quale dice di questa chiesa che è "appresso di Trevi, hora casa si appiggiona a beneficio di questo monastero (cioè di s. Marcello)."

La chiesolina era presso i ss. Vincenzo ed Anastasio a Trevi, e vicinissimo al collegio dei Maroniti, e vi era annesso un monastero di monache. Nella Tassa di Pio IV è detta dei ss. Ippolito e Cassano (sic) nel rione di Trevi. Era compresa nella prima partita e servita da un sacerdote e da un chierico: è annoverata da Cencio Camerario fra quelle che percepivano il presbiterio.

S. Silvestro in Biberatica

Che sia questa la chiesa ancora esistente sul Quirinale in onore di s. Silvestro, e chiamata fin dal XII secolo in Biberatica ovvero in Arcionide Caballo, è evidente a chi consideri l'itinerario seguito dall'anonimo di Torino del secolo XIV il quale, lasciato s. Salvatore delle Milizie proseguendo il clivo del colle, pone immediatamente s. Silvestro in Arcione e poi s. Salvatore dei Cornuti come abbiamo già detto. Così pure il Signorili la pone tra s. Salvatore de' Cornutis. Lorenzo in Liberatica, chiese che su quella parte incirca del Quirinale si ergevano, dove anche oggi si vede quella di s. Silvestro. So bene che la contrada detta in Arcioni era o più in basso alle falde del colle Quirinale e più verso tramontana; ma non ci deve far meraviglia che dal volgo fosse estesa tale denominazione coll'andar del tempo anche verso quella parte che più propriamente si aveva a dire in Liberatica, poichè anche su quella piazzetta fino al 1400 esistevano due case degli Arcionini, dalle quali era detta Piazza degli Arcionini. Cencio Camerario, che fiorì in tempo anche più antico, ci nominò questa chiesa ponendola fra quelle che avevano sei denari di presbiterio: Sancto Silvestro in biberatica. Paolo IV la concesse ai Teatini; l'anno 1524 fu restaurata, o riedificata, correndo il primo anno del pontificato di Clemente VII, come si leggeva sulla fronte della chiesa:

S. SILVESTRO PONT. ROM. QVI CONSTANTINO CAESARI AD CHRISTI CVLTVM TRADVCTO MAIESTATEM ECCLESIASTICAM FVNDAVIT SACRVM HOC IN QVIRINALI SVB CLEMENTE VII PONT. OPT. MAX. SAPIENTISSIME ERECTVM MDXXIV.

 p264  Nell'annesso convento dimorò per alcun tempo s. Andrea Avellino, nonchè il piissimo autore del Combattimento spirituale, Lorenzo Scupoli. La occuparono per qualche tempo anche i pp. domenicani.

Nei recenti lavori del livellamento del suolo stradale, il piano della chiesa è rimasto di parecchi metri superiore a quello; quindi vi si accede per un'alta gradinata interna, dopo essere stata addossata alla chiesa suddetta una nuova facciata con finta porta a livello della strada ttu. Nella casa annessa risiedono oggi i signori della missione. Nell'antica chiesa ebbero sepoltura molti membri della famiglia degli Arcioni; fra questi l'Adinolfi ricorda Buccio di Oddone, Lunarda sua moglie, Ggentilesca e Migno Arcioni. V'è anche quella di Prospero Farinaccio, l'avvocato difensore di Beatrice Cenci. Negli ultimi anni dell'età di mezzo la famiglia Sforza Cesarini ebbe il patronato della chiesa. Da questa usciva comunemente la processione dei cardinali allorchè, dopo i novendiali, si andavano a rinchiudere in conclave nel prossimo palazzo del Quirinale, per la elezione del nuovo pontefice.

S. Salvatore degli Arcioni

Ne fa menzione anche il catalogo di Pio V, ed era nella parte settentrionale della contrada suddetta che mantiene ancora il nome degli Arcioni, rispondente oggi alla via del Tritone. L'Adinolfi afferma che questa chiesa sorgeva nell'area di un casamento odnno di questa strada, contrassegnato col numero civico 83. Infatti sull'angolo di questa casa si vede un'antica imagine del Salvatore in musaico, opera del secolo XIV; ed è la medesima forse che ammiravasi sulla porta della chiesa, dalla quale rimossa, ricorda quest'antica chiesa del Salvatore nell'infima età.

S. Stefano de Caballo

Questa denominazione fu comune ad alcune chiese della contrada, per trovarsi prossima alle terme di Costantino, nella fronte delle quali sorgevano quei due colossali gruppi marmorei, creduti opera di Fidia e di Prassitele, che ancora oggi sulla piazza del Quirinale si ammirano. Perciò tutta quell'area che  p265 si estende sul monte Quirinale, incominciando dal palazzo Rospigliosi fin su verso la chiesa di sant'Andrea del Noviziato, fu detta nell'età di mezzo dei cavalli marmorei. Indicazione più precisa della ubicazione della chiesa non saprei dare; solo posso avvertire che l'anonimo di Torino, il quale la dice de caballis, la fa immediatamente seguire a s. Salvatore de Cornutis, di cui sopra abbiamo precisato il sito; che il Signorili (il quale la chiama de equo marmoreo) la pone pure nella sezione dietro ss. XII Apostoli, e che Cencio Camerario, chiamandola de Caballo, la annovera fra quelle che avevano sei denari di presbiterio.

S. Lorenzo degli Arcioni

In questa medesima contrada troviamo anche una chiesa di s. Lorenzo che è ricordata in tutti gli antichi cataloghi dal Camerario al Signorili con qualche varietà insignificante. Era fra quelle ammesse a ricevere i sei denari di presbiterio; ma di essa oggi è perita ogni traccia.

S. Niccolò degli Arcioni

Circa al vocabolo di questa chiesa, il Nibby dice, che alcuni pretendono che essa pigliasse il nome che ha, da un antico foro su cui è edificata, chiamato Archemonio, ove i mercatanti greci si adunavano per vendere le mercanzie. Altri però credono che la denominazione le venisse dalla famiglia degli Arcionidegli Arcionini che ebbe la sua casa in questo tratto di via, e lo derivò dagli archi dell'acqua Vergine, che presso di essa sotto la contrada di Capo le Case cominciarono ad apparire. E così prima del Nibby aveva scroil Martinelli. Il Canina erra adunque allorchè parla di questo Foro Archemonio, che crede probabilissimo qui esistesse, fondandosi principalmente sulla denominazione di s. Niccolò in arcione. Quindi credo assai più probabile si comunicasse tale nome dalla famiglia Arcioni: e non dalla contrada; lieve prova me ne dà Cencio Camerario, il quale dice chiaramente: sancto Nicolao Arsionum VI denarii (tribuuntur). L'anonimo la chiama in Archionibus, il Signorili de Arcionibus. Fu anche detta s. Niccolò  p266 a Capo le Case. Nella cronaca di suor Orsola Formicini uno Stefano Arcione è notato come testimonio di una donazione fatta nel 1244 al monastero di s. Cosmato. Nella Tassa di Pio IV è detta s. Niccola a Capo le Case nel rione di Trevi e in un codice vallicelliano è chiamata: super gensulam Trivii. La ragione della denominazione ad capita domorum ce la fornisce il Bruzio il quale afferma che fino al Giulio II colla chiesa anzidetta terminava il caseggiato da questa parte della città. Questa chiesa fu restaurata dal proprio parroco nel pontificato d'Innocenzo XI. Pio II la dette ai Serviti, i quali vi dimorarono fino al 1478. Questi religiosi la restaurarono, ed architetto dei lavori fu il marchese Girolamo Theodoli. Ai pp. Serviti succedette poi la confraternita di Gesù Giuseppe e monaca delle anime purganti. In questa chiesa riposana le ceneri di due illustri archeologi: Famiano Nardini e Lorenzo Re. Ai tempi del Bruzio nell'ámbito della parrocchia si annoveravano 4000 anime e un quartiere di soldati. Anche in questa chiesa vi furono sepolti molti della famiglia Arcione, di quella dei Missore, dei Calcagni, dei Savelli.

S. Stefano degli Arcioni

Anche di questa chiesa di s. Stefano sappiamo soltanto che era nella contrada degli Arcioni, e che non doveva essere troppo discosta da s. Niccolò, trovandosi posta innanzi ad essa nel catalogo del Signorili. Cencio Camerario, chiamandola parimente Arsionum, le assegna sei denari di presbiterio. Sotto il nome delli Arcioni la trovo rammemorata in una bolla di Celestino III, per le monache di Campo Marzio, inserita nel Martinelli. Questi, a mio parere, non intese l'identità del nome con Arcioni, nel che io trovo una nuova conferma che la contrada non prese punto il suo nome dal Foro Archemonio; ma piuttosto dalla famiglia degli Arcioni, la quale a sua volta lo tolse dai nmerosi ed ingenti archi dell'acqua Vergine che su quel terreno si ergevano; seppure non vogliamo che da tali archi quella falda del Quirinale prendesse la denominazione senza derivarlo dalla detta famiglia. Nel codice di Torino è detto che s. Stefano de Archionibus habet unum sacerdotem.

 p267  S. Taziana nel Monte Nola

Di questa chiesa è scomparsa ogni traccia, ma era certo antichissima, perchè viene registrata nella Notitia ecclesiarum circa urbem Romam, inserita nella storia di Villelmo di Malmesbury, che fu compilata circa i secoli VII ed VIII. Ora, nel codice accennato, fra le chiese intra urbem v'è la seguente: Et in monte Nola s. Taciana pausat. Non so per quale ragione la salma di s. Taziana fosse trasferita in quel luogo ed ivi eretta in suo onore una chiesa. D'un monte detto Nola in Roma, tranne l'autorevole compilatore di detta topografia, niuno fa menzione; ma è certo che quel nome apparteneva al Quirinale. Infatti, che questo sia il monte Nola del Malmesburiense, si ha dal codice di Torino, che appunto sul Quirinale pone una chiesa di s. Taziana presso s. Susanna: Ecclesia s. Tatianae habet unum sacerdotem.

Cappella Paolina nel Palazzo Apostolico al Quirinale

Questa cappella fu eretta da Paolo V costruiti disegni di carlo Maderno. È assai grande ed ha la volta ricca di stucchi dorati, opera dell'Algardi. Clemente XIII vi fece innalzare l'altare, ricco di nobilissimi marmi, costruiti disegni di Paolo Sanese. Pio VII ne fece dipingere le pareti dolle imagini dei dodici apostoli, già coloriti sopra i cartoni da Raffaello nella chiesa de' ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane. Otto colonne di porta santa formano il pronao o portico della cappella.

B. Niccolò de Rupe

Cappellina oggi dissacata, che esisteva nei piani terreni del palazzo apostolico del Quirinale e precisamente ove risideva la guardia svizzera pontificia.

S. Valentino al Quirinale

Di questa chiesa dedicata ad un santo martire Valentino parla il Martinelli: e soggiunge che vi era annesso un convento di monaci di s. Giustina. Anche il Fanucci ne fa menzione; ma è disparsa, come tante altre, da lunga età.  p268 

S. Susanna

La chiesa di S. Susanna, assai antica ed illustre, sebbene riedificata dai fondamenti, ancora sussiste. Se si avesse a prestar fede agli atti di s. Susanna, la chiesa sorgerebbe nella propria casa di s. Gabinio, padre della santa, presso la quale si vuole ne fosse un'altra di s. Caio papa, fratello del detto Gabinio, anche essa commutata in chiesa, e per questo chiamata ad duas domos, cioè alle due case. Certa soltanto è la denominazione ad duas domos, molto più antica del secolo VII, per la menzione che he bamo in Sergio I nel Libro pontificale. Nel secolo XVI si vedevano in questa chiesa sei lunghe liste di frammenti marmorei appartenenti ad una grande epigrafe, e quivi si leggevano molti nomi di fondi con indicazione dei loro siti e delle loro rendite. Erano frantumi d'un disteso atto di donazione fatto alla chiesa medesima di s. Susanna. Quei marmi perirono nella ricostruzione della chiesa fatta dal card. Rusticucci nel 1693. Ma ne tennero copia il Panvinio, l'Aldo giuniore, il Doni ed altri. Fortunatamente il principio di quella preziosa epigrafe fu rinvenuto nel 1743ncdi s. Vitale, ove era stato adoperato nella costruzione d'un altare, ed oggi è infisso nella parete sinistra della galleria lapidaria vaticana. Il ch. De Rossi ha riunito al testo delle iscrizioni perite di s. Susanna l'attuale esistente nel museo vaticano, ed ha così risarcito la serie di tutto il pregevole documento. Da questo si ricava che quell'epigrafe ricordava una donazione fatta dal papa Sergio I, che restiutisce perciò ai regesti pontificî una bolla di non lieve importanza pel diritto canonico, per la storia ed amministrazione dei beni ecclesiastici, per la topografia di Roma e del suo suburbio, su che rimando il lettore alla dissertazione del chiarissimo letterato. Il titolo di s. Susanna in questo prezioso documento è detto essere in regione quarta ad duas domos; denominazione che risale almeno fino al secolo IV, come si legge in un codice di Berna del martirologio geronimiano sotto gli 11 di agosto: ad duas domos iuxta duodeinas natale s. Susannae, il quale vocabolo duodecinas è corruttela della parola dicoletianas (thermas). Questa denominazione è dichiarata dagli atti di s. Susanna, ove si legge che Caii episcopi domus beati Gabinii domui iuncta erat.

 p269  Sergio I fu già prete di quell'antichissimo titolo, come abbiamo dal Libro pontificale, e divenuto papa, molto ebbe a cura le basiliche ed i monasteri cristiani. Nel concilio di Simmaco dell'anno 497 si trovano sottoscritti un Asello ed un Agatone preti del titolo di s. Gabinio e Susanna. Adriano I rifece il tetto della chiesa, e nell'800 Leone III suo successore la rinnovò quasi per intiero, e Sisto V nel 147un fece altrettanto. Recentemente a spese del defunto cardinale Davanzo già titolare di questa chiesa furono fatti scavi, e sotto la confessione al piano incirca dell'antico titolo si trovarono tracce di un'antica casa romana del secolo III con resti di opera tessellata e di pitture: questa scoperta è preziosa per la tradizione della denominazione ad duas domos di Gabinio e Susanna; benchè nel libro pontificale al nome di duas domos sia sostituito quello inter duas lauros. Ai tempi dell'Ugonio esisteva ancora nella tribuna l'antico musaico di Leone III, e sotto al medesimo si leggeva la seguente epigrafe:

DVDVM HAEC BEATAE SVSANNAE MARTYRIS AVLA COANGVSTO ET TETRO EXISTENS LOCO MARMORATO QVAM DOMINVS LEO PAPA TERTIVS A FVNDAMENTIS ERIGENS ET CONDENS CORPVS BEATAE FELICITATIS MARTYRIS COMPTE AEDIFICANS ORNAVIT ATQVE DEDICAVIT

Il Ciampini riporta la copia del musaico che adornava la suddetta tribuna. Ivi si vedevano a sinistra l'imagine di Leone III con il modello della basilica da lui riedificata, ed a destra Carlo magno con laº mano destra accennante al papa. Le teste dei due personaggi erano chiuse dal nimbo quadrato, ad indicare che i due personaggi erano ancora viventi quando fu compiuta quell'opera.

Camilla Peretti, sorella di Sisto V, vi eresse una cappella dedicata a s. Lorenzo. Sisto IV affidò la chiesa e il contiguo monastero alle monache di s. Bernardo, dopo che l'ebbero abbandonato gli Agostiniani di s. Maria del Popolo. La primitiva chiesa era a tre navi con tribuna assai grande e tutto il corpo dell'edifizio giaceva lungi dalla strada, la quale modernamente fu dirizzata.

S. Maria della Vittoria

Fu edificata nell'area e nel luogo di un'antica edicola dedicata a s. Paolo. Il Bruzio scrive che annessa alla chiesina v'era una casuccia per abitazione d'un eremita custode di quella,  p270 che serviva di rifugio in quei luoghi allora deserti ai viandanti sorpresi dal cattivo tempo. Sotto Paolo V la chiesuola di s. Paolo fu demolita e vi fu eretto un altro edificio più ampio che fu pure dedicato all'apostolo Paolo. Il Lonigo scrive: "S. Paolo alla fontana felice era molto antica, fu distrutta pochi anni sono e in quel luogo fabbricata la Vittoria." La chiesa di Paolo V era anch'essa di piccole proporzioni con i disegni del tifernate Bartolomeo Breccioli; solo vi fu aggiunto un collegio di catecumeni diretto dai pp. Carmelitani scalzi. Pochi anni dopo, allorquando il ven. p. Domenico di Gesù e monaca carmelitano pose in questa chiesa la divota imagine che vi si venera ancora, portata di Germania dopo la vittoria di Massimiliano duca di Baviera contro gli eretici, la chiesa fu detta della Vittoria; può quindi considerarsi come un monumento storico della guerra detta dei Trent'anni. L'attuale imagine però, la quale era ricca di doni preziosissimi d'orientale e gemme in gran parte offerti dagl'imperatori austriaci, non è la primitiva; essa scomparve in un terribile incendio che distrusse lalk nella notte del 29 giugno 1833. Perita quella imagine nelle fiamme, vi fu sostituita la presente, la quale pure custodivasi in un oratorio dell'annesso convento, anch'essa portata di Germania dal ven. p. Domenico. Il fuoco guastò anche gli affreschi della volta dell'altare, opera di Domenico Perugino. In questa chiesa si ammira pure il capolavoro in scultura del Bernini, cioè il deliquio di s. Teresa innanzi all'angelo che le ha ferito il cuore con un dardo di amor divino. Nel vicino convento si conservano alcuni vessilli tolti dal duca Massimiliano agli eretici, e contro i Turchi. La chiesa fu allora modificata, e la divotissima imagine fu collocata nell'altare maggiore che di nuovo dalla munificenza del compianto principe D. Alessandro Torlonia è stato riccamente adorno di marmi preziosi: nell'abside poi vi è stato bellamente rappresentato il trionfo delle armi cattoliche contro i luterani. Nello scavarsi le fondamenta della chiesa vi si rinvenne la famosa statua dell'ermafrodito, che nelle vicende del principio del secolo passò da Roma a Parigi, dove nel museo del Louvre tuttora si ammira. Avendo i pp. Carmelitani donato quell'insigne monumento al card. Scipione Borghese, questi a sue spese fece erigere la barocca facciata attuale con architettura del Soria. La decorazione della parte interna della chiesa spetta al Maderno che ne sovraccaricò di stucchi la volta e le pareti, secondo il pravo gusto di quell'epoca. In questa chiesa è sepolto il valoroso Giovanni Giustiniani, morto all'assedio della  p271 Rocella espugnata da Carlo IX l'anno 1638: dirimpetto vi ha il monumento eretto da Silvano Giustiniani al famoso guerriero Enrico di Montmorency connestabile di Francia.

S. Giovanni Berchmans

È la prima che sorge in Roma dedicata al santo giovanetto fiammingo, il perfetto esemplare di s. Luigi Gonzaga. È congiunta al palazzo Costanzi, oggi sede del Collegio Germanico presso s. Niccolò da Tolentino. Il grazioso edifizio di architettura tedesca ha la fronte sulla via del Falcone ed è stato architettato con i disegni di stile tedesco sotto la direzione dell'architetto Pio Piacentini.

S. Niccolò da Tolentino

Fu eretta dagli agostiniani scalzi dopo che Clemente VIII ebbe approvato nel 1599 il loro ordine, o per dir meglio una riforma del medesimo fatta dal p. Gregorio Petrochino creato cardinale da Sisto V. I primi religiosi di quella riforma dimorarono prima presso s. Stefano Rotondo, poi a s. Paolino alla Regola. La chiesa fu riedificata nel 1614 a spese dei principi Pamphili con i disegni di Francesco Buzio milanese. L'altar maggiore è opera dell'Algardi ed è un capolavoro di stravaganze seicentistiche. La cappella dei Gavotti sacra alla madonna di Savona è opera di Pietro da Cortona, e le volte dipinte a fresco sono ultimo lavoro di quel grande maestro. Nell'annesso convento, dopo gli agostiniani scalzi, vi dimorarono le monache dette battistine; oggi vi risiede il collegio armeno.

S. Basilio

È una piccola chiesina nella via dello stesso nome che dall'antica piazza Grimana, oggi dei Barberini, sale verso la porta Salaria. Fu fatta edificare dall'abate Apolemone Agreste, il cui stemma si vede sugli archi della chiesolina stessa. Vi è annesso un ospizio del collegio italo-greco dei monaci basiliani di Grottaferrata che la fecero restaurare nel 1682, come si legge nella iscrizione sulla porta della medesima chiesa: S. BASILIA MAGNO — ANNO MDCLXXXII. Nell'interno della chiesuola vi sono alcune iscrizioni che ricordano monaci e prelati di quel collegio,  p272 i quali illustrarono la chiesa colla loro virtù e la loro sapienza. Fra queste ricorderemo quelle del famoso Bessarione abate comendatario del monastero di Grottaferrata e creato cardinale da Eugenio IV nel 1439. Seguono poi quelle del vescovo Arcadio Stanila, morto in quel collegio l'anno 1697; di Basilio Matranga, anch'esso monaco del collegio e poi vescovo, morto ai 9 aprile del 1748, dopo aver trascorso papa della sua vita nelle issioni; di Filoteo Zassi, anch'esso missionario e poi vescovo nel 1700, morto nel 1727; e Nilo Catalani messinese anch'esso nominato vescovo da Innocenzo XII, e di altri.

S. Andrea degli Scozzesi

Questa chiesa restaurata recentemente sorge coll'annesso collegio nella via delle Quattro Fontane. Durante il regione della regina Maria, vittima della gelosia di Elisabetta, si costituì per la seconda volta in Roma un ospizio di Scozzesi mercè le cure di Alessandro Siton. La chiesa fu edificata sotto Clemente VIII ad onore di s. Andrea e di s. Margherita regina, il quale papa, comprato il palazzo di un Cosmo nobile fiorentino, l'anno 1600, vi fondò il collegio che Paolo V pose sotto la cura dei pp. Gesuiti.

S. Giovanni della Ficozza

Così chiamavasi questa chiesolina fin dall'anno 1199, nome tolto dalla via che le correva innanzi. L'Adinolfi crede, seguendo l'opinione del Lonigo, che il nome le provenisse da una famiglia della Ficozza. Ed infa il Galletti ripota un istromento del 1409 in cui si nomina un Ceccus de Ficocia, e prima di lui, nel 1224, sono ricordati in una carta dell'archivio del Salvatore gli eredi di Angelo di Ficocia. Il luogo preciso della chiesa è da fissare al principio della via dei Maroniti, perchè presso quella chiesa nel 1584 Gregorio XIII fondò il collegio per gli ecclesiastici di quella nazione, il quale fu chiuso nella prima invasione francese e la chiesa convertita in uso profano sotto Napoleone I. Dallo Stato temporale delle chiese di Roma nel 1662 esistente negli archivî della Santa Sede ricavo la seguente testuale relazione, che si riferisce al collegio dei Maroniti e alla chiesa di s. Giovanni della Ficoccia, scritta dal p. Girolamo Santi della Compagnia di Gesù, rettor allora di quel collegio.  p273 "Il collegio dei Maroniti di spedale et hospitio che era anticamente della natione loro fu da Gregorio XIII nel 1558 (sic) alli 5 di luglio tramutato in seminario di giovani nationali per mantenere la fede nel Monte Libano nella Persia et Soria. È situato nel rione di Trevi con una piazzetta in fronte verso ponente. Nel lato di mezzogiorno confina col collegio dei signori Mattei; a tramontana col palazzo dei signori Buratti, a levante con casipole d'un quartiero di soldati e d'altra poveraglia. La chiesa è lateralmente congiunta al collegio: fino ab antico è parrocchiale, et il volgo gli diceva s. Giovanni della Ficoccia. Il papa suddetto ne trasferì la cura a s. Andrea delle Fratte. Non vi è che un altare con il quadro del santo titolare, due come sepolture, una campana. Il collegio è fatto di due cameroni per otto alunni ciascuno."

Questo antico collegio in via dei Maroniti fu ricomprato da Pio IX, che nel 1864 vi stabilì un nuovo seminario polacco e slavo. Nella cappella, sostituita all'antica chiesa di s. Giovanni, nel luogo medesimo si vede ancora la tomba dei celebri Assemani e sotto una statua della Madonna la seguente iscrizione che ricorda i Maroniti: Veni de Libano sponsa mea et coronaberis.

S. Giovanni Canzio

È il nome del piccolo oratorio annesso al collegio polacco presso la via della Panetteria, il quale sorge nel sito medesimo dell'antica chiesa di s. Giovanni della Ficoccia, di cui si è parlato sopra.

S. Teresa

Così s'intitola un piccolo oratorio sulla via dello Scalone presso quella della Panetteria. Fu edificato nel 1860 per uso della casa generalizia dei Carmelitani scalzi. Ha un solo altare dedicato alla Madonna del Carmine e ai santi Teresa e Giovanni della Croce.

S. Angelo Custode

Questa chiesa dà il nome alla via che le corre innanzi, benchè recentemente le sia stato tolto e sos da quello di via del Tritone Nuovo. Fu edificata, per cura della confraternita omonima che la ufficia, con architettura di Felice della Greca, meno la facciata, che è opera di Mattia De Rossi. La  p274 chiesolina è di forma rotonda e l'altar maggiore, ricco di colonne di marmo, fu eretto l'anno 1681 a spese di monisgnor Giorgio Bolognetti.

S. Maria dei Foglianti

Chiesuola eretta dai Cistercensi Riformati della congregazione francese l'anno 1629 in via Rasella presso s. Niccolò in Arcione. Ivi edificarono una piccola cappella con un solo altare ove si venerava unº imagine della ss. Vergine col Bambino che sostiene il globo. Nella casa annessa risiedeva il procuratore di s. Bernardo di Parigi.

B. Vergine e S. Giuseppe

Sulla piazza Poli sorge questa chiesolina, che è l'oratorio della confraternita del ssm̃o Sacramento in s. Maria in Via. Fu innalzata nel 1576 e poi restaurata sotto Benedetto XIV. Il card. Pietro Ottoboni ne consacrò l'altare e donò il quadro che vi si vede, rappresentante una sacra famiglia, opera non disprezzabile del Trevisani. Finalmente, sotto il pontificato di Pio IX, fu di nuovo restaurata e decorata sotto la direzione dell'architetto romano Tito Armellini, mio defunto e compianto genitore.

S. Maria in Via

L'origine della chiesa è assai più antica di quello che comunemente si tiene. Poichè qti ne hanno fin qui discorso hanno ripetuto che essa rimonti all'anno 1256 sotto il pontificato di Alessandro IV; ma in un istromento di vendita dell'anno 1165 si trova già ricordata la chiesa di s. Maria in Via. La denominazione sua proviene facilmente dalla vicinissima via Flaminia, la quale, benchè avesse cambiato il primitivo livello, conservò sempre l'antica celebrità e potè chiamarsi per antonomasia la via in una epoca nella quale i dintorni della chiesa erano pressochè aperta campagna, siccome ce l'attestano i nomi storici di alcune contrade fabbricate di poi; tanto più  p275 che la chiesa nel secolo XIV prospettava direttamente sulla Flaminia, come è avvenuto di nuovo in questi giorni per le demolizioni dei caseggiati interposti fra la chiesa e la via. Il prof. Orazio Marucchi osservò or sono alcuni anni, in un cavo aperto nei fondamenti della casa attigua alla chiesa, alla destra di questa, un tratto di antica strada romana selciata con i consueti poligoni di lava basaltina alla profondità di circa 6 metri sotto il lv del piano stradale. Quella via ava una direzione quasi normale all'asse dell'attuale di s. Maria; il livello poi cova con quello della Flaminia (Corso), la quale, come è notissimo, teneva presso a poco l'andamento della moderna via del Corso, di cui alcuni tratti si rinvennero alla stessa profondità sotto il muro divisorio dei palazzi Ferrajoli e Pericoli. Era quella dunque una via laterale alla Flaminia e che si dirigeva verso la pendice del monte Pincio. Ora appunto, come osserva il ch. prof., in continuazione di quell'allineamento e poco lungi dietro il palazzo Poli, rimane ancora in piedi l'arco monumentale dell'acquedotto della Vergine, con la epigrafe di Claudio; quell'arco è in gran parte interrato ed indica sicuramente il passaggio di un'antica strada che dal colle degli orti scendeva verso la via, onde è a credere che questa fosse precisamente quella rinvenuta presso la chiesa; per curiosa combinazione il nuovo tratto o prolungamento della via del Tritone presso alla Flaminia (Corso) va a correre sull'andamento in ci di quell'antica strada.

Alla storia di questa chiesa si rannoda un avvenimento miracoloso, il quale sarebbe avvenuto appunto l'anno 1256. Si narra dunque che sedendo in quell'anno Alessandro IV, le acque di un posso che era in una stalla presso il vicino palazzo del card. Pietro Capocci portassero a galla una imagine della Vergine dipinta in lapide silicea. Maravigliato di quel miracolo il pio Cardinale, segue la tradizione a narrare, che avse fatto edificare in quel luogo la nostra chiesa. Ma essendo questa assai più antica del 1256 e volendo conciliare questa divota tradizione col fatto della edificazione impresa dal card. Capocci, è a credere che questi, all'antica chiesuola di s. Maria in Via, forse fatiscente, ne sostituisse una assai più ampia e decorosa, nella quale facesse trasferire quella prodigiosa imagine della Vergine. Nella erezione della chiesa restò compreso il pozzo, in cui era tradizione, fino ai tempi di Alessandro VII, che vi si trovasse una pietra del pozzo della Samaritana. Io trovo fra i nomi attribuiti anticamente alla chiesa, oltre quello di s. Maria in claustro,  p276 anche l'altro di s. Maria in vinea, come ho da un documento del Galletti, ove si ricorda: domum positam Romae in regione columnae antoninae in loco qui vocatur vinea prope sanctam Mariam in via. Non mi sembra troppo ardita l'ipotesi che la denominazione attuale provenisse anche dall'altra più antica vinea. Allorchè fu distrutta la vicina chiesa di s. Andrea in columna la cappellania fu trasportata a s. Maria. La chiesa fu parrocchiale sino all'anno 1452, come abbiamo ne documenti di quell'archivio, dei quali mi fornì notizia il padre Testa, generale dei padri Serviti, da poco tempo defunto. Sotto Innocenzo VIII nel 1491 fu riedificata, mantenendo tuttavia la storica denominazione, finchè nel 1513, affidata da Leone X ai padri Serviti, questi la rialzarono dai fondamenti nel 1549.

Monsignor Canobio vi fabbricò la cappella della Vergine; nel 1604 il card. Bellarmino suo titolare vi fece la tribuna ed il coro. Nel convento si conserva ancora la sedia del ven. card. Bellarmino, il principe dei controversisti cattolici.

Nella chiesa v'erano i sepolcri di nobilissime famiglie, tra le quali ricorderò quelle dei Fontana, dei Saraceni, dei Sarra, degli Orsini, dei Baronibus, dei Canobio, dei Capocci ecc.

Sotto il pontificato di Alessandro VII la Visita Apostolica vi annotò le seguenti cappelle gentilizie:

1a a mano destra dell'altare maggiore una cappella di s. Carlo dell'abate Giuliano Marucelli.

2a idem, cappella dei ss. Girolamo e Giuseppe fondata da Ortensia del Bufalo, passata poi a Lelio Barigiani.

3a idem, cappella dell'Assunta, fondata da Porzia dell'Anguillara.

4a idem, cappella di s. Andrea apostolo, della famiglia del Bufalo.

Dall'altro lato all'ingresso della chiesa:

1a è la cappella della miracolosa imagine eretta da monisgnor Canobio.

2a cappella di s. Filippo Benizi, di Licinia della Porta.

3a cappella della ssm̃a Annunziata, di Pietro Aldobrandini.

4a cappella della ssm̃a Trinità, di Carlo Lombardi,

Fra le iscrizioni sepolcrali notate dalla suddetta Visita si ricorda quella di Donna Dionisia Matule Natural de Quenca-Criada di don Francesco de Bardo Conde de Borthudi admirante de Scozia.  p277 

S. Maria in Synodo

Questa chiesolina, oggi conosciuta sotto il nome di s. Maria in Trivio, ha una origine storica di grande importanza, poichè si collega al nome di Belisario, uno dei più grandi e gloriosi personaggi del secolo VI. Flavio Belisario, se fu ornato della dignità consolare, e come console ordinario dette il nome agli anni in cui tenne i fasci, di fatto però fu assai più che console, perchè, dopo liberata l'Italia dalla dominazione dei Goti, la resse con potestà imperatoria; ed è per questo che in un'epigrafe di Roma dell'anno 537, non solo è ricordato come console, ma chiamato, con singolare esempio, virum excellentissimum et patricium. In quell'epigrafe, proveniente dalla basilica e dal cimitero di s. Pancrazio, la data consolare è segnata nel modo seguente: PERCHÈ VILISARII VIRI EXcellentissiMI CONS ADQVE (sic) PATRICII: egli non è detto vir clarissimus ma excellentissimus. Tanta fu la sua dignità nella città, tanta la sua autorità, da considerarsi simile alla potestà rgia.

Ora, il libro pontificale, nella biografia del papa Vigilio, ricorda che Belisario fabricò due ospizî o refugi di poveri pellegrini ed ammalati, uno nella via Lata e l'altro nella via Flaminia: Fecit autem idem Belisarius xenodochium in via Lata et aliud in via Flaminia. Del xenodochium della via Flaminia è perduta affatto ogni traccia; non così di quello della via Lata.

La via Lata era il nome speciale del primo tratto della Flaminia che avea principio dalla porta Ratumena di Servio Tullio, e di tutta quella regione della città che era la settima fra quelle di Augusto; Regio VII via Lata, la quale regione si estendeva anche alla destra del suddetto primo tratto. Ora, il xenodochium che Belisario edificò in via Lata, dovea trovarsi o nel primo tratto della via Flaminia, o nella regione a destra della medesima. Nessun documento accenna che esistesse nel primo tratto della via suddetta, ma più d'un indizio ci persaude a cercarlo nella regione limitrofa alla strada ed a riconoscerlo precisamente nel luogo ove ancora sorge la chiesa di s. Maria in Trivio. Il libro pontificale non dice che, al xenodochium, Belisario aggiungesse un oratorio; ma egli è certo che in quel luogo medesimo fino dal secolo VIII sorgeva una chiesa di s. Maria,  p278 la quale era fatiscente per la vecchiezza e che fu restaurata dal papa Leone III: pariter (Leo III) et ecclesiam Sanctae Dei genitricis semperque virginis Mariae Dominae nostrae sitam in Fonticana ec. . . . . Altri codici, in luogo di fonticana, pongono fornicata, altri in arcora; vocaboli che ricordano i fornici o gli archi dell'acqua Vergine, presso i quali era la suddetta chiesa ed ospedale di s. Maria.

Questa però, se era nel secolo VIII indicata come esistente nella Fonticana, non avea ancora perduto fino al secolo XIV la denominazione che ricordava l'ospizio primitivo di Belisario presso cui era stata edificata: poichè nel codice o catalogo delle chiese di Roma del secolo XIV, esistente nella biblioteca dell'università di Torino, è ricorda con la denominazione primitiva, benchè alquanto corrotta in quella del Sinodochio: Ecclesia sancte Marie in sinodochio habet sacerdotem et clericum.

Nel lato destro della chiesolina attuale è murata una lunga lista di marmo, sulla quale, in lettere del secolo XI o XII, si leggono i seguenti distici, che dall'indole del metro, dalla rima leoniana, dalla paleografia, si riconoscono essere appunto dell'epoca detta:

HANC VIR PATRCIVS VILISARIVS VRBIS AMICVS
OB CVLPAE VENIAM CONDIDIT ECCLESIAM
HANC HIC CIRCO PEDEM SACRAM QVI PONIS IN AEDEM
VT MISERETVR EVM SAEPE PRECARE DEVM IANVA HAEC EST TEMPLI DOMINO DEFENSA POTENTI.

Dal contesto del carme rilevasi che l'epigrafe era posta in origine sulla porta principale della chiesa primitiva di s. Maria in Sinodochio. L'anonimo autore del carme non accenna al xenodochium di Belisario, di cui era già sparito ogni vestigio nell'epoca in cui fu composta l'epigrafe, ma attribuisce unicamente a Belisario l'edificazione della chiesuola.

Che la chiesa attuale sorga nel sito e sugli avanzi medesimi del xenodochio di Belisario viene confermato da inaspettate scoperte recentissime, delle quali niun conto si è fatto; scoperte però di capitale interesse anche per la storia della topografia romana. Negli ultimi mesi dell'anno 1890 aprendosi un cavo nel suolo lungo il fianco destro della chiesa nella via Poli, per la posa dei tubi di ghisa onde immettervi nel tratto urbano l'acqua Vergine, si giunse col cavo al livello o piano antico della via Lata: ed ivi si scoprirono i ruderi di un portico, che correva parallellamente al muro odierno della chiesa, costruito  p279 in opera laterizia, che ottimamente conviene al secolo V e VI dell'èra nostra; quel muraglione, in cui apparivano due archi, fu nel luglio 1890 del tutto demolito, sparendo così l'ultimo vestigio dell'unico monumento urbano del celeberrimo milite bizantino che liberò l'Italia dai barbari.

Di questa scoperta di cui non si tenne conto, prese però gli appunti opportuni l'illustre l'arch. romano comm. Andrea Busiri che me ne fornì cortesemente particolareggiate notizie insieme ad uno schizzo di pianta che ho sotto gli occhi.

Nel secolo XIV, al nome storico in xenodochio, si venne costituendo quello della piazzetta ove era la chiesa di s. Maria la quale piazzetta per concorrervi tre vie, diceasi il Trivio, quindi la chiesolina fu chiamata inter Trivium e corrottamente inter Treio. Questa era vôlta ad occidentale, e scaturiva nella fonte che Niccolò V avea fatto ristaurare da Leone Battista Alberti, la quale si versava per tre grandi bocche in una gran conca di marmo, sul'alto della quale v'era l'epigrafe adorna degli stemmi del senato e del pontefice.

Nella nostra chiesa di s. Maria inter Trivium fece erigere una cappella Pietro di Giuliano in cui fu pure sepolto, e vi ebbero anche le loro sepolture Pietro Piezocarne, Amortto delli Mascioni, Iuliano dello Setnovo, Stefano di Nardo de romano, Francesca di Biasio de lo Nero, Niccolò dello Schiavo de Tedallino, i Corso, i Natoli e molte altre illustri e nobili famiglie del medio evo, oggi del tutto estinte. Era infatti chiesa parrocchiale ed avea annesso un cimitero.

Il Bruzio, come ricavo dai suoi manoscritti esistenti negli archivî vaticani, vide e trascrisse in quella chiesa alcune epigrafi sepolcri di alcuna di queste famiglie, tra le quali una dei Moratti che aveano le loro case in una via prossima alla chiesa che ne mantiene anche oggi il nome, sebbene corrotto in quel di Muratte:

LUCRETIA ET ALII DE FAMILIA
DE MORATTA HOC MONUMENTUM
SIBI POSTERIS SUIS FIERI FECIT
ANNO DOMINI MCCCCLXXXV.

 p280  V'era anche la seguente epigrafe scritta in antico e scorretto olandese che può tradursi come appresso:

DIE DOOT FEL IS MET DEV LYT SNEL'

PASSERVDE IN IGHELICKE NERE

VERSLVIT DIE CREATVEREN EYSGELYCHE

SIYN DESE TWEE SWERELTS SCHYN

MIVEREVDE EN DOEN VERGHM

ALT GENE IN ENEVSCHEN BEGHAER

DIE GOLT BENIIVL

IT LEVEN SWICK DVYZENSAL.

La crudele morte ed il rapido tempo passano — Ogni ora divora delle creature — Ambo fanno aspro governo delle esistenze mondane — E raccolgono in sè ciò che forma il desiderio degli uomini — Chiunque ama Dio ha la vita eterna.

Presso il celebre xenodochio di Belisario fu edificata dunque la chiesa di s. Maria in Sinodochio, la quale rimase in piedi fino al pontificato di Gregorio III; ma sotto quel pontefice fu ricostruita dall'ordine dei Crociferi, ora estinto, che ebbe origine sotto Celestino III nel 1197. Questi frati portavano continuamente una piccola croce in mano come insegna del loro ordine, e favoleggiavano d'essere stati istituiti dal papa Cleto, terzo successore dopo s. Pietro, seppur non sia lo stesso che Anencleto.º Da Alessandro VII soppresso l'ordine, la chiesuola fu data ai pp. Ministri degli Infermi.

Negli atti della Visita sotto Alessandro VII l'anno 1662, negli archivî della Santa Sede, trovo la seguente descrizione della chiesa ed annesso convento in quell'anno:

"La chiesa della SS. Concettione detta Novitiato de Chierici Regolari Ministri de gli infermi a Fontana di Trevi fu fondata da Belisario come apparisce dall'antico epitaffio di marmo in lettere gotiche riposta nella parte esteriore dopo la porticella. È stata ristorata circa l'anno 1570 dal signor card. Cornaro Camerlengo di S. Chiesa insieme col monastero, habitato già da pp. Crociferi di s. Cleto religione al presente stinta et adesso è stato comprato da suddetti pp. per lor novitiato per prezzo di scudi 14220, come per chirografo di N. S. Alessandro VII, e ricevuta fatta dal sig. card. Farnese già maggiordomo di N. S. come per atti di Palutio not. 6 e 7 settembre 1657. La suddetta chiesa è stata dai pp. restaurata et abbellita. Ha il choro, sagrestia, campanile e campane due, ha cappelle n. 7, ha sepolture n. 10. Il monastero  p281 ha claustro, cortile, un orto con arbori di merangoli, un pozzo, una fontana, ha tre dormitorj, ha celle n. 24, ha infermarie, refettorio, cucina, cantina, oratorio e guardaroba: l'entrata delli religiosi somma a scudi 4484,60."

A ricordare la generosità di papa Alessandro, i Ministri degli infermi posero nella chiesa la seguente epigrafe, che è murata nella parete a destra presso la porta maggiore:

ALEXANDRO VII PONT. MAX.
OB TEMPLVM CONCEPTIONIS DEIPARAE SACRVM
VNA CVM COENOBIO OLIM CRVCIFERORVM
CLERICIS REGVLARIBVS CRVCEM QVOQVE PRO SIGNO GESTANTIBVS
INFIRMORVM MINISTRIS TRADITVM AD INSTRVENDOS TYRONES
OB PRIVILEGIA EISDEM RESTITVTA ET AVCTA
ORDO VNIVESVS ET SANCTES CACCIMANVS PRAEFECTVS GEN.
BENEFICIORVM MEMORES PARENTI OPTIMO POS.
ANNO MDCLVII
IVLIO S. R. E. CARD. SACCHETTO EPISC. SABIN. PROTECTORI

Nella parete opposta e dirimpetto alla prima si legge quest'altra epigrafe:

AEDEM HANC IN ONOREM IMMACVLATAE DEIPARAE VIRGINIS
A BELLISARIO BELLI DVCI
PRIMVM EXCITATAM
VETVSTATE DEINDE FATISCENTEM
ALIORVM MVNIFICENTIA AC PIETATE RESTAVRATAM
DEMVM AB ORDINE MINISTRANTIVM INFIRMIS
NOVO IN ABSIDE COELATVRAE OPERE AC PIETATE PICTVRARVM ELEGANTIA
DECORATAM NEC NON MVLTIPLICI ORNAMENTORVM GENERE
IN HANC SPLENDIDIOREM SPECIEM REDACTAM
AC RESTITVTAM
EMS AC RVS DOM. FR. VINCENTIVS MARIA VRSINVS ROMANVS
ORDINIS PRAEDICATORVM
S. R. E. TIT. S. XYSTI PREBR.º CARD. S. XYSTI NVNCVPATVS
ARCHIEPVS SIPONTINVS
ANNO IVBILEI MDCLXXV DIE XXV. MARTII FESTO ANNVNC. B. M. V. AC INCARN. DOM.
SOLEMNI RITV CONSECRAVIT
ASSIGNATA PRO ANNIVERSARIA DEDICATIONIS FESTIVITATE
PRIAM DOMINICA POST FESTVM EXALTATIONIS S. CRVCIS
SOLITISQ. INDVLGENTIIS CENTVM DIERVM CONCESSIS.

I pp. Crociferi, per riedificare di pianta l'antica chiesa, servironsi all'uopo dell'architettura di uno scolaro di Michelangelo, Giacomo del Duca, cui appartiene anche la facciata di travertino, alquanto bizzarra ma non inelegante. Nell'interno ha una sola nave con quattro cappelline laterali e l'altar maggiore.

È una delle più antiche chiese dedicate in Roma alla Immacolata Concezione di Maria Vergine, come risulta dalla suddetta epigrafe: e infatti narra il Bruzio che a' suoi giorni sull'altare maggiore vedeasi rappresentata su tavola di legno l'imagine della Vergine immacolatamente concetta, stante in  p282 piedi coronata dagli angeli, colla luna sotto i piedi e circondata di dodici stelle, ornata però nel margine delle insegne dei pp. Crociferi. Sull'arco dell'altar maggiore era dipinta in affresco una gloria d'angeli adoranti il Sacramento, opera stimata del Palma, anche giovine, ma che perì quando l'altare fu murato del Gherardi.

Segue il Bruzio a dire che in uno degli altari v'ha una tela del Bassano che rappresenta il martirio di s. Cleto; però questo quadro si attribuiva comunemente ad uno scolaro del Palma, il p. Cosimo da Bassano dei Cappuccini, il quale condusse pure gli affreschi colle storie della Passione che sono interno all'altare, sopra il quale in alto era rappresentata la croce, alla cui base si leggeva in lettere dorate HOC SIGNVM ERIT IN CEOLO. Questa tela non si trova più al suo posto, ma vedesi nel fondo della parte destra della chiesa.

Un secondo altare era dedicato al Battista, e lo rappresenta mentre battezza Gesù Cristo nel Giordano. Il quadro è d'uno scolaro del Palma, a cui pure appartengono i piccoli quadretti coloriti ai lai e quelli dell'arco relativi alla vita del Battista. Quest'altare è adorno di due preziose colonne di verde antico, marmo divenuto oggi rarissimo. Questa cappella fu eretta dal card. Luigi Cornelio, il quale fu sepolto in questa chiesa, e sul cui tomba si legge il seguente epitaffio:

ALOYSIO CORNELIO VEN. TIT. S. MARCI PRESBITERIO. CARDINALI
S. R. E. CAMERARIO
VIXIT ANN. LXVII. MENS. II
DIES XXVIII OBIIT VI IDV MAII
MDLXXXIV.

Un terzo altare era sacro a s. Maria Maddalena rappresentata in atto di essere comunicata da mano angelica del pane eucaristico, opera del perugino Luigi Scaramuccia.

Presso questo sacello si leggeva l'epigrafe che sta adesso al suo posto nel pavimento sotto un confessionale, a sinistra entrando:

D. O. M.
NICOLAO CIVI ROMANO NOBILI TEDALLINORUM FAMILIA
NATO FIDE OFFICIO AC
LIBERALITATE ANIMOQUE PRE
STANTI IMMATURA MOR
TE PREVENTO LUDO
VICUS ET BRIGIDA PAR
ENTES MOESTIS POS
ANNO SALUTIS MDLVI KALENDIS
FEBRIIS VIXIT ANNIS XXXII MENSIBUS IV

 p283  Un'altra cappella era dedicata al Crocifisso, ed avea ai lati le imagini di s. Niccolò di Bari e di s. Francesco d'Assisi: era stata eretta dal duca di Cesi, le cui insegne vi si vedeano nelle decorazioni.

Un sacello prossimo era dedicato alla Natività di Maria Vergine, ove veneravasi in antichissima tavola di stile greco-bizantino un'imagine di Maria sedente col bambino. Quest'imagine sta oggi dentro una cornice sull'altar maggiore della chiesa, e venne solennemente coronata dal capitolo di s. Pietro ai 24 maggio del 1677. Al di sopra vi si leggevano le parole: QUI ILLUMINANT ME VITAM AETERNAM HABEBUNT. V'erano anche le imagini dei due Giovanni come del Battista e dell'Evangelista: presso questo era il leone di s. Marco col motto: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEVS.

In altro scaello era pur dipinto il Crocifisso avente ai piedi la Vergine, s. Giovanni e la Maddalena, opera di Giov. Francesco da Bologna, di cui pure sono i quadretti laterali ad olio colle storie di Maria Vergine. Il quadro è ora tolto dal posto e situato in fondo alla parete destra.

Presso l'altare si leggeva l'epigrafe, che ora sta a destra della porta maggiore entrando:

VINCENTIVS DE SVRDIS ROMANIS
CAPELLAM HANC CONSTRV
XIT ET DOTAVIT
IN SCVTIS QVADRAGINTA ONERE CELEBRANDI
QVOLIBET DIE VNAM MISSAM PRO DEFVNCTIS ET PRIMA LVNA
CVIVSLIBET MENSIS VNVM ANNIVERSARIVM OBIIT DIE IX
MARTII MDLXXXVIII.

Sull'altra parte della porta maggiore vi è la seguente:

RODVLPHVS BONEIOLVS SEN. BON
AC GREGORII XIII THESAVR. GEN.
EIVS GENER ET HERES PONI ET EXEQVI CVRAVIT
ANNO SALVTIS MDLXXXIX.

Nel pavimento si leggeva anche la seguente che ora è perduta:

HANCE AEDEM MARIAE VIRGINIS
OLIM A BELISARIO EXTRVCTAM
VETVSTATE COLLABENTEM
ORDO CRVCIFERORVM
INSTAVRANDAM CVRAVIT
ANNO SALVTIS MDLXXV

 p284  Restano pure nel pavimento a destra, benchè coperte da un confessionale, le seguenti:

LAP · HVC · CHRISTOF ·
BRVSCVS · DE GALLIAE
CISALP · REGIO · IOA
ANT · BRVSCO · BNME
ET · PATRVO · ANNO
LXXXXVI · AGENTI
MDLXVI · XXI MEN
DECEMB · DEFVNCTO
SIBIQ · ET · VXORI
IOANAE · V · P · ANNO
DNI · MDLXXVI
HIC IACET INDIGNVS
SERVVS BEATAE MA
RIAE VIRGINIS
ORATE PRO EO
HORATIAE MARCHETTAE NOB. FAMILI
A PRVDENTIA ET FORMA INSIGNI QVAE
LONGA CVM VIRO SINE QVAERELA
AETATE DVCTA SINGVLARIVE PIETATE
MANV IN PAVPERES EX TESTAMENTO POST
MIRA IN DIVTVRNA AEGRITVDINE PATIENTIA
MORTALEM MORTALIS LVCIS VSVRA
SOMNVM EXCEPIT EXV . . . .
IACOBVS MASTELLI FLORENTINVS CON . ET
FR . AVGVSTINVS CRVCIFER FR CVM
LACRIMIS POS . VIXIT ANN . LXVI AB
ANNO SALVTIS MDLXXXVII BR
VIII MAI

Questa epigrafe è segata per metà, e la parte superstite appena si riconosce, perchè le lettere sono corrose dall'attrito dei piedi. Ma ne ho trovata copia nella raccolta del Bruzio insieme alle seguenti:

ANTONIVS DE MARCHIS
CIRNENSIS
PAGO VORIANA
VIVENS FECIT
SIBI POSTERIS SVIS
ANNO SALVTIS MDLXXXXIII
REGI CVI OMNIA VIVVNT
MARGARITVS AEGIDIVS RIVERIVS
ET PORTIA MARCHISANA
PARENTES FILIOLAE SVAVISSIMAE
DELICIIS SVIS POST EXACTVM
XIII MENSEM OBIVNTEM
ET . . . . . ISQVE
POSTERISQ . . . . CESVER
ANNO
MDLXXXIII

 p285 

GENVS VANDEN VLICTE ALIAS RIVIERA

MECLINENSIS

MARIO GALLIPIO ROMANO

AROMATARIO QVI OBIIT IX SEPT . MDLXXXV

VIRGINIA BILACQVA

VIRO BENEMERENTI POS .

Sulla facciata si leggono poi le seguenti epigrafi:

A ECCLESIAM HANC
BEATAM MARIAE
VIRGINIS OLIM A
BELISARIO CON
STRVCTAM VETV
STATE COLLAP
SAM
ORDO CRVCIFE
RORVM A FVNDA
MENTIS EREXIT
ANNO IVBILEI M
D LXXV SEDENTE
GREGORIO XIII
PONT MAX

La volta della chiesa costruiti suoi quadrucci è ricca di stucchi messi ad oro ed ornati di importanti piture rappresentanti i fatti principali della vita della b. Vergine, opera di Antonio Gherardi da Rieti alunno di Pietro Berrettini da Cortona.

Per la storia dell'arte questi dipinti sono pregevolissimi anche per la rarità somma dell'opere del Gherardi che fu scolaro del Mola e di memoria piuttosto lombarda, avendo il suo autore viaggiato tutta Italia onde perfezionarsi nel colorito. Nè meno belle sono le figure di giovanetti disposte a due a due in varie movenze nei peducci della volta fra le finestre, che pel colorito e disegno sembrano di stile raffaellesco. I sommi maestri della pittura che Roma e l'Italia venera nell'età presente, cioè il Minardi, il Podesti, il Mariani hanno tenuto e tengono in gran conto questi dipinti della nostra chiesuola di s. Maria. Il Minardi ne avea così grande stima, che più volte parlavane ai suoi discepoli, ed il Mariani scrivendone in proposito ad un suo collega, dice testè che per l'arditezza e la novità dei concetti, benchè non di capitale importanza, tuttavia sono un bell'esempio dello stile dell'arte nel secolo XVIII in Roma; concludendo che di tali monumenti dovremmo essere gelosissimi, perchè sono veri capi saldi della storia dell'arte nel nostro paese. Annessa alla sacrestia v'ha una camera ornata di stucchi, nella cui volta entro una cornice ovale evvi una tela del Gherardi, rappresentante s. Camillo che guarisce un moribondo di casa Crescenzi.

Ivi si conserva un antico tabernacolo marmoreo dell'eucaristia, lavoro del secolo XV: esso si compone nella parte inferiore  p286 di due corni d'abbondanza che sostengono un plinto negli angoli e si riuniscono colle loro estremità; in mezzo vi è lo stemma del donatore nel quale si vedono due spade incrociate. Nel plinto si leggono le parole dell'inno di s. Tommaso: TANTVM CVNCTI SACRAMENTVM VENEREMVR CERNVI, ove è notevole il cuncti sostituito all'ergo.

Questa chiesa fu parrocchia fino a Leone XII che la soppresse con altre molte della città. Dopo i Ministri degli Infermi la ebbero i Chierici Minori di s. Francesco Caracciolo che la tennero fin dall'anno 1854, in cui fu ceduta dal papa Pio IX alla congregazione del Preziosissimo Sangue. A Roma sono ancora famigliari i nomi di uomini venerandi per santità e per dottrina civi hanno esercitato il sacro loro ministero, fra i quali debbo ricordare alcuni fra i primi discepoli del santo missionario romano Gaspare del Bufalo, cioè don Giovanni Merlini, il vescovo Guglielmo Sillani e don Enrico Rizzoli. Sarebbe veramente sventura che questa chiesolina avesse a subire la sorte di tante altre, perchè con la medesima sparirebbe un glorioso ricordo della storia d'Italia, un monumento d'arte cristiana ed uno dei più divoti e frequentati santuarî di Roma.

S. Saturnino de Caballo

Questa piccola chiesa è distrutta da lunga pezza: comunemente si chiamava de Caballo, ma anche de Trivio. Sorgeva sopra parte dell'area dell'odierno palazzo della Consulta, e precisamente sull'angolo del palazzo che è rivolto alla piazza di Monte Cavallo. Fu demolita sotto Paolo V ai 14 di maggio del 1515 per ampliare la piazza del Quirinale. Sisto IV l'avea restaurata perchè fatiscente e sulla porta vi si leggeva la seguente epigrafe:

SACRAS AEDICULAS PARVIS ORNATAS MUNERIBUS ASPICIS
WTA RELIGIONE DECORAS HOSPES AUDI
SIXTUS IV PONT. MAX. COLLAPSUM PENE SACELLUM
OB LOCI SANCTITATEM RESTITUIT.
BIS ET SEX CAPTIVOS TURCAS CARD. NEAPOLITANIS
SACRO BAPTISMATE HIC CHRISTO INITIAVIT.
PLURIMAS SANCTORUM RELIQUIAS PRISCI HIC
CONDIDERE QUAS NOSTRI VENERANTUR.
DIXI — INTRA —

Il cardinale Neapolitano, che qui ribattezzò i prigioneri turchi, è Oliviero Caraffa, che ebbe il suo palazzo vicino a questa chiesa.

 p287  Congiunto alla medesima era un monastero di Benedettini ai quali fu concesso da Giulio II. Ivi ebbero le loro sepolture le famiglie dei Marcellini nobili romani, le cui case erano nella contrada del Caballo. Quanto alle origini della chiesa, che l'anonimo di Torino chiama de Trivio, ed il Camerario de Caballo, sono ignotissime. Forse fu dedicata al celebre martire Saturnino, sepolto nel cimitero di Trasone sulla via Salaria nuova.

Il ch. Corvisieri riporta un brano del manoscritto di Giovanni Cavallino de Cerroni, nel quale c'indica in summo montis Quirinalis super domos Metelli pontificis Maximi romani ecclesia s. Saturnni sub ymaginibus Caballai marmorei. Nel Galletti, da un documento dell'anno 1060 del monastero dei ss. Ciriaco e Niccolò, trovo la menzione di questa chiesa in regione equi marmorei, presso la quale si vedea a primo latere paries antiqua.

Nel secolo XIV era servita da un sacerdote e da un chierico, poi vi dimorarono i monaci di s. Girolamo.

S. Anastasio de Trivio
(SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi)

Era annoverata nel secolo XIV fra quelle della prima partita ed avea un sacerdote ed un chierico. Dalla vicinanza della piazza e regione del Trivio prese la denominazione che tuttora mantiene. Era solamente conosciuta da principio col nome di s. Anastasio, al quale fu più tardi aggiunto l'altro di s. Vincenzo. è ricordata anche nel catalogo del Camerario fra quelle ammesse a ricevere il presbiterio. Paolo V la concedette nel 1612 ai frati di s. Girolamo che possedevano la chiesa a Monte Cavallo prima dedicata al ss. Salvatore e quindi a s. Girolamo, e la quale fu gettata a terra coll'annesso convento. Quei frati, che erano stati istituiti da Carlo Romano conte di Monte Granello, furono soppressi da Clemente IX l'anno 1668 ai 14 di dicembre. Allora la chiesa di s. Anastasio passò ai chierici minori di s. Lorenzo in Lucina; ai quale subentrarono poscia i pp. Crociferi che, soppressi ala lor volta, dtro il luogo ai pp. Ministri deginfermi che tuttora la posseggono. Questa  p288 parrocchia comprendendo il palazzo pontificio del Quirinale, ebbe perciò il nome di Parrocchia Pontificia, titolo però tolto da Leone XII. Clemente XII accordò l'indulgenza pel giorno dei Morti ai soli parrocchiani. Qui pure è sepolto il mio avo materno Vincenzo Poggioli, tipografo assai rinomato che stampò segretamente la scomunica lanciata da Pio VII contro Napoleone I.

Nella chiesa antica ebbero sepoltura le famiglie dei Capoccia, dei Paluzzo, dei Roscio e dei Montanaro. Fu riedificata dalle fondamenta per opera del card. Giulio Mazzarini che nel 1650º fecevi costruire la facciata costruiti disegni di Martino Longhi il giovane, il quale vi pose tante colonne che giustamente fu soprannominata dal volgo il canneto di Martino Longhi.

S. Giacomo delle Muratte

La chiesa è perita, ma resta il nome alla vai ps cui sorgeva, la quale dal Corso conduce alla piazza della fontana di Trevi. Fu edificata, scrive l'Adinolfi, da un Renzo figlio di Paolo Mugnani, soprannominato l'Amoratto, il quale edificò anche un ospedale verso lo Treio, sotto il nome dei ss. Giacomo e Lorenzo martiri. Era presso la gran fontana di Trevi e sulla porta della chiesa si leggeva: ECCLESIA S. IACOBI DE MORATTIS. Talvolta la trovo chiamata de Marottis. V'era un monastero di Clarisse. Che dalla famiglia anzidetta avesse origine la nostra chiesa e non dalle monache murate, ricavasi da un'antica lapide sepolcrale, esistente già nella non lontana chiesuola di s. Maria in Trivio, ove alcuni di quella famiglia ebbero sepoltura. Il Galletti scrive che la chiesa fu nelle case dei Muratti, ove pure fu eretto un ospedale in cui dimoravano venti bizzoche, alle quali dalla famiglia suddetta si provvedeva il sostentamento.

S. Elisabetta delle Muratte

Anche quest'oratorio è disparso. Doveva trovarsi non lungi dalla chiesa di s. Giacomo ed aveva annesso un monastero di monache. Il Martinelli erra, confondendolo con quello celeberrimo del Campo Marzio.

 p289  S. Matteo

È il nome d'una piccola cappelletta dedicata a questo santo evangelista entro ilplo dei Sabini nella via delle Muratte.

S. Maria del Carmine

Sorge questa divota chiesolina nella piazzetta omonima presso la via delle Tre Cannelle. Fu edificata per cura del card. Odoardo Farnese protettore dell'arciconfraternita del Carmine, la quale, non avendo chiesa propria, si raccoglieva in quella troppo rimota di s. Martino ai Monti. Nel 1605 ai 24 ottobre fu incominciata la fabbrica di questa chiesa alle Tre Cannelle. Ivi erano alcuni fienili di proprietà dell'abbazia di Grottaferrata, i quali, per decreto di Gregorio XV con breve spedito ai 3 febbraio 1623, vennero smembrati dalla suddetta abbazia. La piccola facciata fu fatta costruiti disegni di Angelo Specchi. Il quadro dell'altare maggiore è una delle migliori opere di Gaspare Celio.

S. Maria in Cannella

Il luogo detto in Cannella nel medio evo, risponde all'odierna piazzetta che si apre innanzi all'oratorio del ssm̃o Crocifisso in via dell'Umiltà. Forse provenne questa denominazione da una fontana dell'acqua Vergine che ivi doveva esistere. La nostra chiesa dunque sorgeva presso quella piazzetta; ciò risulta anche dalla pianta di Roma del Bufalini, ove in quel sito vedesi segnata una chiesa. Michele Lonigo scrive che s. Maria in Cannella fu membro della chiesa di s. Marcello, a cui fu concessa da Eugenio III nel 1145, e confermata da Gregorio IX, e da altri papi. Era edificata sopra la strada che va dal Corso a Monte Cavallo (via dei Tre Ladroni), e fu buttata a terra, nel tempo di Paolo V, per fare la strada che va da quella di Monte Cavallo alla strada delle Muratte. L'Adinolfi ha trovato che vi era una cappella di s. Caterina e che vi ebbero sepoltura le famiglie dei Tasca e dei Petitti, le quali possedevano nelle vicinanze le loro case. Questa chiesa doveva essere antichissima, poichè è ricordata  p290 dal Camerario e dal codice di Torino. Il Martinelli la confuse con quella di s. Maria in Trivio. È ricordata nella tassa delle chiese di Pio IV col nome di s. Maria in Carella.

S. Maria Maddalena

Anche questa sorgeva presso la regione del Caballo, come apprendiamo dal codice di Torino e da quello del Signorili; ma ignoro affatto il sito preciso della medesima e quanto si riferisce alla sua origine ed alla sua storia.

S. Maria Mater Dei

Una chiesolina dedicata alla beatissima Vergine sotto il titolo glorioso di Madre di Dio era stata eretta nel secolo XVI nella piazzetta del Trivio. Il Lonigo però ricorda che fu distrutta pochi anni dopo che era stata fabbricata.

S. Guglielmo

Non si ha altra notizia di questa chiesa che in un catalogo manoscritto di Michele Lonigo, ove si legge: Ha questo santo una chiesa nel rione Trevi. Non ne ho trovato altrove notizia, nè so quando fosse edificata e quando distrutta.

S. Biagio de Curtis

Risulta dal catalogo del Signorili che la suddetta chiesa appellata de Curtis era situata nella regione del Trivio; ed infatti in quella dell'anonimo di Torino segue immediatamente a quella di s. Maria in Cannella. Dovea essere antica ed importante, perchè nel registro di Cencio Camerario le vengono assegnati sei denari di presbiterio. Nei libri censuali dell'archivio della basilica vaticana viene ricordata in una nota colla data dell'anno 1395: Domus cum signo s. Petri de parochia s. Blasii de Curtibus.


Nota di Thayer:

a Si veda anche l'articolo migliore e più esteso, in inglese però, nella Catholic Encyclopedia.


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