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III.1
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

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III.3

 p880  (PARTE TERZA)
Notizie storiche e topografiche
delle chiese suburbane di Roma

Continuazione

Vie Prenestina e Labicana

S. Stratonico

Iuxta viam vero praenestinam iuxta aquaeductum ecclesia est s. Stratonici episcopi et martyris et s. Castuli quorum corpora longe sub terra sunt sepulta; così fu scritto da un antico postillatore del prezioso codice topografico De locis sanctis martyrum. Il Castulo di questo cimitero era zetarius, cioè cameriere nella corte di Diocleziano, dal quale fu per la sua fede condannato a morte, che egli subì nel luogo medesimo ove fu poi sepolto. Questo cimitero e la basilica del vescovo Stratonico eretta al di sopra fu sconosciuta totalmente al Bosio, ma non così al Fabretti, cui toccò la fortuna di rinvenirlo unitamente al seguente frammento di storico marmo, che ricordava il martire medesimo Castulo e il luogo ove era deposto vicino ad una scala e nel secondo piano del cimitero, CATIBATICV SECVNDV:

QVORO SVN NOMI

NAE MASIME

CATIBATICV

ISECVNDV

MARTYRE 

DOMINV

CASTVLV ISCALA

Pochi anni dopo la scoperta fattane dal Fabretti, il sito cadde novellamente nella primitiva dimenticanza; ed in questa  p881 giacque fino ai giorni nostri, in cui fortuitamente fu rinvenuto benchè in uno stato di orribile devastazione.

Dall'indicazione topografica che abbiamo addotto in principio, risulta che sul sepolcro del martire eponimo sorgeva nel secolo VII una chiesa dedicata ad un santo vescovo di nome Stratonico, e che la chiesa era presso l'acquedotto, mentre i due martiri giacevano a grande profondità nel cimitero. È chiaro che l'acquedotto doveva essere quello dell'acqua alessandrina che corre a destra della Labicana. Ora, appunto nel sito ove il Fabretti fece la scoperta, che corrisponde dentro là vigna già dei frati dei ss. Cosma e Damiano, a sinistra della Labicana, facendosi tagli per i lavori della via ferrata, si trovarono da principio le vestigia di un sepolcreto cristiano sopra terra: quello che precisamente doveva estendersi intorno la basilica di Stratonico; quindi le gallerie sotterranee del cimitero di Castulo.

Ss. Marcellino e Pietro

Al secondo miglio della via del grande cimitero dei due martiri, nel luogo detto ad duas lauros, fu eretta nel IV secolo una basilica, dalla quale si discendeva nella sottoposta cripta dei martiri e la cui fabbrica si attribuisce allo stesso Costantino, come si legge negli atti dei santi medesimi: l'area sovra il cimitero era detta in comitatu, il che indica luogo posseduto dal fisco imperiale; un mausoleo imperiale infatti sorgeva pure nel luogo medesimo, presso al quale fu l'oratorio dei due martiri innalzato, e che sebbene vicinissimo, era però distinto dal mausoleo di s. Elena. Ciò risulta dalle parole del Libro pontificale nella vita di Adriano I, ove si legge che questo papa restaurò ambedue gli edificî: Coemeterium (leggasi basilicam) beatorum Petri et Marcellini via Lavicana iuxta basilicam beatae Helenae renovavit et tectum eius id est s. Tiburtii et eorumdem sanctorum Petri et Marcellini noviter fecit. . . .

S. Tiburzio

Fra i santi sepolti nel cimitero ad duas lauros è ricordato anche s. Tiburzio martire: i topografi ci additano l'oratorio di sopra edificato, ove erano state trasferite dalla sua cripta le reliquie. Ma di questa cappellina non restano tracce di sorta.

 p882  Mausoleo di S. Elena
(Ss. Marcellino e Pietro)

È certo che questo mausoleo segna il centro del luogo in comitatu, possessione imperiale, ove fu sepolta la madre di Costantino medesimo. Chiamasi ora Tor Pignattara, essendo la sua volta formata con rottami di anfore, volgarmente appellate pignatte. Che in questo luogo Costantino edificasse il sepolcro alla sua madre lo dimostrano gli antichi martirologî, lo confermano gli itinerarî e le topografie del settimo secolo, lo comprova infine la scoperta del gigantesco sarcofago di porfido, oggi nel museo vaticano, ove si dice negli atti di quella santa che fosse difatti sepolta. Di questo medesimo mausoleo più tardi detto basilica beatae Helenae fa più volte menzione anche il Libro pontificale ricordando i molteplici donativi che in varî tempi vi fecero i romani pontefici, tra i quali Stefano V. L'edificio è rotondo avente nell'interno otto grandi nicchie. Che spetti la santa imperatrice niuno ne ha mosso verun dubbio. V'è però questione fra gli eruditi se quivi fosse sepolta la santa madre di Costantino, o non piuttosto a Costantinopoli. I più degli eruditi la credono morta fuor di Roma, ma alcuni sostengono il contrario. La questione si aggira intorno alla vera intelligenza delle parole d'Eusebio che la dicono sepolta in urbe regia; ma che debba intendersi di Roma e non di Costantinopoli è troppo manifesto, poichè nell'anno 327, quando morì s. Elena, quest'ultima città era appena edificata sull'antica Bisanzio, trovandosi nei suoi primordî indegna ancora di tal nome. D'altra parte Niceforo ed altri dicono che Elena fu extra urbem sepulta in templo rotundo ubi Constantinus Augustus in sarcophago porphiretico deposuit matrem suam; ed infatti i salisburgensi ne videro il sepolcro e ne venerarono il corpo in questo luogo: s. Helena in sua rotunda, e l'Epitome aggiunge: iuxta viam labicanam ecclesia est s. Helenae ubi ipsa dormit.

Al presente, del mausoleo rimane solo la parte infatti, essendo quella superiore tutta rovinata: dentro l'area di questa sorge la chiesa moderna dei ss. Marcellino e Pietro, oggi parrocchia urbana, filiale di s. Giovanni in Laterano. Il Bosio ricorda di aver quivi veduto avanzi di figure di santi con aureola intorno al capo ritratti in musaico: di tutto ciò oggi non resta vestigio. Nella sue pareti e negli edificî adiacenti sono state affisse modernamente una serie d'iscrizioni profane appartenenti al corpo degli equites singulares, che ebbero in questo luogo il sepolcreto comune.

 p883  S. Zotico

Al decimo miglio della via Labicana si svolge l'antico cimitero di s. Zotico, descritto ed illustrato dal ch. sig. Enrico Stevenson. Questo cimitero fu scoperto dal Boldetti nel 1715 nel luogo detto la valle dei morti presso Torre nuova.

Il nostro martire fu sepolto con altri compagni, cioè Ireneo, Giacinto ed Amanzio, come risulta dagli antichi martirologî; Zotico però fu l'eponimo del cimitero.

Questo gruppo di martiri sembra spettare all'epoca di Diocleziano e gli atti loro erano dipinti su quadretti nella chiesa di s. Sebastiano in Pallàra. Il chm̃o illustratore del cimitero ha trovato nel luogo segni evidenti di una basilica che ivi doveva sorgere e che fu ristorata dal papa Leone III, come si ricava dal Libro pontificale, ove si legge che questo papa renovavit coemeterium s. Zotici; l'edificio cadde in oblio dopo che i martiri dal cimitero furono trasferiti dal papa Pasquale I alla chiesa di s. Prassede, come si legge nell'epigrafe fatta scolpire dal medesimo Pasquale. Un'epigrafe del medio evo trovata sul posto ricorda che un Dominicus abbas restaurò il portico e la torre campanaria della basilica. Da ciò conclude lo Stevenson che un monastero ebbe nel medio evo giurisdizione nel cimitero e basilica di s. Zotico, cioè circa il nono secolo, epoca a cui rimonta l'epigrafe. Da una bolla di Pasquale II, citata dallo Stevenson, risulta che nel 1116º la chiesa di s. Zotico dipendeva dal monastero di Grottaferrata, ed allora la chiesa diceasi ss. Zotici et Amantii; da che si vede che nel secolo XII questa chiesa ancora esisteva, dopo la quale epoca se ne perde affatto ogni notizia.

SS. TRINITÀ

La tenuta Lunghezza, di proprietà Grazioli, è posta nell'agro romano, fuori la porta Maggiore circa quattordici chilometri, e vi si accede percorrendo la strada Collatina.

Nel latifondo si trovano varî fabbricati, e su di un poggio un castello di pianta quadrilatera costruito nel medio evo.

 p884  Fanno parte del Castello la chiesa parrocchiale dedicata alla ssm̃a Trinità, il palazzo baronale, varie case, magazzini, fienili, scuderie ecc. Il papa Clemente XIII onorò di sua persona il castello, e ciò viene ricordato da due lapidi, una murata sopra il portone d'ingresso al castello, ove si trova anche lo stemma pontificio, e l'altra murata nell'interno della chiesa.

La chiesa parrocchiale, quale fu trovata dal duca Grazioli, non avea sagrestia, per cui i sacerdoti dovevano prepararsi ai divini ufficî nell'interno del tempio, angustissimo, e già gremito di popolo.

Il Grazioli non volendo più tollerare codesto inconveniente, ordinò che alcuni locali esistenti in quella tenuta fossero trasformati ed aggiunti al tempio, il quale avesse così comoda sagrestia ed ampio presbiterio. Volle che la chiesa misurasse in lunghezza circa undici metri, ed avesse la porta verso il piazzale del castello. Fece restaurare il quadro dell'altare rappresentante il ss. Crocifisso, la b. Vergine, s. Girolamo e s. Ambrogio abate, ed aggiunse non pochi abbellimenti a questa divota chiesa, che non manca del fonte battesimale. I lavori per la edificazione di questo tempio cominciarono nell'autunno dell'anno 1880.

Ss. Degna ed Emerita

Nella celebre bolla di Onorio III al capitolo lateranense è ricordata una chiesa delle ss. Degna ed Emerita, il cui nome mantiene tuttora un tenimento a dieci miglia di Roma sulla via Prenestina, prima di aggiunger a Gabî. Anche in una bolla di Gregorio VII, in favore della basilica di s. Paolo, si legge: Rivus Ose per eumdem rivum usque ad pontem sanctarum Digne et Emerite.

Ss. Nicandro ed Eleuterio

Anche a questi due santi fu dedicata sulla via labicana una chiesa da papa Gelasio I, come si legge nella sua biografia nel Libro pontificale, nel luogo detto Villa Pertusa.

 p885  S. Primitivo

Sulle sponde dell'antico lago di Gabî, presso il margine della via Prenestina, restano ancora in piedi le tracce della chiesa che a questo martire era consacrata.

Il nostro santo fu compagno nel martirio di un altro s. Zotico denominato pure Getulio e più tardi confuso con lo Zotico sepolto al decimo miglio della Labicana. Nel secolo XI presso la chiesa vi era ancora un monastero, come risulta da una carta dell'anno 1030.

In quel lago, oggi disseccato, era stato gettato il martire; il suo corpo fu poi raccolto e deposto presso il luogo dal prete Esuperanzio. Sulle rovine di quella chiesa e nell'abside restano ancora languide tracce delle pitture. Il Nibby giudicò quella costruzione opera del secolo XI; ed ancora presso quell'insigne rudere cristiano sorge la sua turris campanaria.

S. Andrea

Nella vita di Sergio I si legge che questi restaurò dai fondamenti l'oratorio di s. Andrea posto in questa medesima via Labicana.

S. Cipriano

È ricordata una chiesa sacra al martire s. Cipriano sulla via Labicana nella celebre iscrizione di Eugenio notaio edita dal Bosio, che egli vide in s. Angelo in Borgo, e nella quale si ricorda il fondo eucarpiano iuxta sanctum Ciprianum via labicana.

Via Asinaria

S. Giacomo del Lago

È delineata dal Bufalini nella sua pianta sul bivio mokk dell'Appia nuova e della Tuscolana presso l'osteria Baldinotti. Quel lacus era un abbeveratoio pei cavalli, costruito da  p886 Callisto III quando perdusse la marrana in uso del palazzo lateranense, cioè nell'anno 1722: lacu etiam ad equorum usum adiecto, e che sotto Alessandro III fu ceduto con i molini a Pandolfo e ad Acheruccio cittadini romani. Esisteva nel secolo XIII, come abbiamo dal codice di Torino, ove è detto che non habet servitorem.

Via Latina

S. Epimaco

Al primo miglio della via e vicinissimo alla porta, nella vigna già Cartoni, sopra un cimitero antichissimo, nel quale erano sepolti i ss. Simplicio, Serviliano, Gordiano, Quarto, Quinto ed altri martiri, fu edificata una basilica ai ss. Gordiano ed Epimaco, della quale fanno menzione tutti i nostri topografi. Anche questa chiesa fu restaurata dal papa Adriano I, come scrive il Libro pontificale.

S. Eugenia

Sorgeva sul cimitero detto d'Aproniano, ove questa santa, come si legge ne' suoi atti, fu sepolta dalla sua madre stessa, s. Claudia. Stava la chiesa al secondo miglio della via. Il Libro pontificale narra nella vita del papa Giovanni VII che questi la restaurò, essendone caduto il tetto per soverchia vetustà; lo stesso si legge nel vita di Adriano I, il quale non solo la restaurò, ma vi fondò un monastero di sacre vergini che dotò di molte rendite. Ai tempi di Leone III la chiesa di s. Eugenia stava in piedi. Quelle sacre reliquie, rimosse di là da papa Stefano VI, furono trasferite nell'antichissima chiesa dei ss. apostoli Filippo e Giacomo, ove ancora si venerano.

S. Tertullino

Alla memoria di questo martire della persecuzione di Valeriano sorgeva sul suo cimitero un oratorio, l'ultimo della via, e le sue reliquie giacquero nel medesimo fino ai tempi  p887 del papa Pasquale che le trasferì in s. Prassede. Nessun indizio appare di quest'oratorio insegnatoci dai sacri topografi del settimo secolo: anche questo fu rinnovato dal papa Adriano I, il grande e il più antico restauratore di tutti santuarî di Roma cristiana.

S. Maria

Di un oratorio dedicato alla ss. Vergine Maria, innalzato sulla via Latina, abbiamo notizia dal topografia di Einsiedelnº che scrisse la sua guida circa il secolo VIII; le sue parole sono le seguenti: In via latina extra civitatem in sinistra oratorium s. Mariae, s. Gordiani in dextera; da che si raccoglie che era non solo alla sinistra di chi usciva dalla porta, ma vicinissimo alla medesima, perchè quasi all'altezza stessa di quello dei ss. Gordiano ed Epimaco che trovavasi a pochi passi dalla città.

S. Stefano

Si legge nel Libro pontificale che Demetria o Demetriade nobile matrona romana edificò una chiesa di s. Stefano sulla via Latina ai tempi di s. Leone il Grande, chiesa che poi fu restaurata da s. Leone III. Questo insigne monumento cristiano tornò a luce nel 1857. Demetria, che fra gli anni 460 e 461 edificò cotesta basilica, è nota nei fasti ecclesiastici di quell'età: è la stessa cui venne diretta una lettera di Pelagio riferitaci da s. Girolamo e che fu amica e discepola anche di s. Agostino. Essa aveva ereditato il fondo, nel quale edificò quella chiesa, dagli Anici, cui era legata per vincoli di parentela; ed infatti fra le epigrafi tornate a luce di quel luogo ve n'è anche una del console Sesto Anicio Paolino. Essa era figlia infatti di Sesto Anicio Ermogeniano Olibrio e di Giuliana.

Quel cristiano monumento e la sua memoria perdurò per molti secoli, cosicchè si legge che nel 1167 durante la guerra tra Federico e i comuni italiani, i romani sconfitti dai tedeschi nella battaglia di Monte Porzio furono sepolti apud s. Stephanum, come narrasi nella cronaca di Sicardo che ne riferisce pure l'epitaffio. Nella iconografia di Roma dicembre secolo XIII, che è in un codice vaticano (1960), edito dal ch. De Rossi, si trova delineata la porta latina col suo nome ed una basilica estramurana, che è certamente quella di s. Stefano, segno che  p888 in quel luogo era ancora in essere e forse in venerazione; qualche l'abbandono e la ruina del monumento è posteriore al secolo XIII. La basilica sorge al terzo miglio dell'antica via latina.

La pianta della chiesa è rettangolare, la sua lunghezza totale, compresa l'abside, è di metri 45, la lunghezza di metri 21. È divisa in tre navi sostenute da colonne, delle quali restano sul posto alcune che sono state rimesse sulle loro basi. Nel fondo della nave minore destra v'ha una traccia di battisterio.

Nella nave di mezzo, che è di livello inferiore alle laterali, restano gli avanzi del pavimento marmoreo formato di grandi lastre. Sotto il luogo dell'altare v'è ancora il sotterraneo o confessione, il cui pavimento conserva i suoi marmi; a sinistra di questa si veggono gli avanzi della schola cantorum con i sedili ricoperti di marmo ed il postergale.

Fra le epigrafi ne fu rinvenuta una assai pregevole ricordante il dono di un Lupo Gregarius, il quale offrì alla chiesa le campane ai tempi di Sergio II, cioè nella prima meta del secolo IX:

In honorem S. STEPHANI PRIMI MARTYRIS EGO LVPO GRIGARIVS (sic) E. . . CAMPANA EXPENSIS MEIS FECI TEMPORE DOMNI SERGII TER BEATISSIMI ET COANGELICI IVNIORIS PAPE AMEN.

Sembra che Leone edificasse quella sua prima basilica nel luogo di un oratorio più piccolo e più antico, del quale si ravvisano nella nave principale le tracce, e innanzi a cui si rinvenne un nobile sepolcro di forma quadrata, entro al quale fu sepolta forse la illustre fondatrice. Dagli scavi tornò in luce la storica iscrizione che ricordava l'edificazione della basilica e l'elogio di Demetriade fatto da s. Leone:

CVM MVNDVM LINQVENS DEMETRIAS AMNIA VIRGO
CLAVDERET EXTREMVM NON MORITVRA DIEM
HAEC TIBI PAPA LEO VOTORVM EXTREMA SVORVM
TRADIDIT VT SACRA SVRGERET AVLA DOMVS
MANDATI COMPLETA FIDES SED GLORIA MAIOR
INTERIVS VOTVM SOLVERE QVAM PROPALAM
INDIDERAT CVLMEN STEPHANVS QVI PRIMVS IN ORBE
RAPTVS MORTE TRVCI REGNAT IN ARCE POLI
PRAESVLIS HANC IVSSV TIGRINVS PRESBYTER AVLAM
EXCOLIT INSIGNIS MENTE LABORE VICENS.

S. Teodoro intra Velum

Il Libro pontificale nella vita di Adriano I ricorda una chiesa dedicata a s. Teodoro intra velum, che non può essere quella tuttora esistente, benchè lo faccia sospettare la denominazione,  p889 essendo noto che velum aureum per corruttela diceasi la contrada del Velabrum, poichè la chiesa è anche detta in Sabello iuxta domum cultam sulpitianam. Lo Zaccagni, il Martinelli ed altri, opinarono che fosse nel Laterano; ma mi sembra che essi sieno caduti in errore, poichè trattandosi di domus cultae, cioè di quei centri d'abitazioni che i papi dei primi stabilirono nell'agro romano per colonizzarlo, mi par che si debba riferire quell'indicazione non al Laterano, ma forse alla via Latina.

S. Faustina

Al XII miglio della via Latina presso la massa Marulis nel Fundus Capitonis sorgeva un oratorio di s. Faustina fino dall'epoca di Sergio I, come risulta da un diploma di quel papa alla chiesa di s. Susanna. Il De Rossi asserisce che questo oratorio sia la memoria in cui visse o morì o fu sepolta questa martire: il chiaro archeologo sospetta che a quello si riferisca un'abside che rimane entro la cinta del castello di Borghetto con traccia di pitture cristiane del secolo XIII.

S. Andrea a Ciampino

Fra il IX e il X miglio della via Latina, non lungi da antiche sostruzioni che il volgo chiama i Centroni, e dalla vigna appellata Ciampino, sorge una moderna chiesetta dedicata all'apostolo Andrea. Di questa si fa menzione fino dai tempi d'Innocenzo III, come da una bolla del 1204, la quale concede al monastero di Grottaferrata Centronem cum omnibus pertinentiis suis videlicet cum ecclesia s. Andreae.

In un diploma di Pasquale II (a. 1116) è chiamata la chiesa suddetta s. Andreae de nono perchè prossima al fondo detto ad pontem de nono. Il De Rossi crede che la storia di quella chiesuola sia anche più antica e vada fino ai tempi di Onorio I (a. 625‑640). Questo papa infatti fondò e dotò in Laterano il monastero di s. Andrea: Monasterium s. Andreae apostoli et Bartholomaei quod appellatur Honorii; ed egli vi assegnò come patrimonio il suddetto fondo dove era edificata la cappelletta corrispondente.

 p890  S. Eufemia

A Boville, alla destra dell'Appia, per il diverticolo che va ad Anzio, un miglio dalle Frattocchie, v'ha un fondo di proprietà del signor Sala, la cui contrada è detta s. Fumia.

Questo nome era già in uso nel secolo XII, come da un istrumento del 1165 dell'archivio di s. Alessio. Quivi era una chiesa dedicata a s. Eufemia, centro d'una colonna rustica domus culta dell'Appia. Quella chiesa è nominata nella vita del papa Dono (676‑678).

S. Maria

Fra il nono e il decimo miglio della via Latina alla destra, nel tenimento detto Morena, era una chiesa detta di s. Maria. Nell'850 è ricordata fra quelle arricchite dai sommi pontefici di doni e privilegî.

Una bolla del 1116 ce l'addita col nome di ecclesia s. Marinae. Nella vita di Leone IV (a. 847‑855) è scritto: In ecclesia s. Dei Genitricis Mariae quae ponitur in morenico fecit vestem.

S. Maria in Diaconia

Dirimpetto a Ciampino, alla destra della via, giace la Valle Laconia. Ivi era una chiesa detta s. Maria in Diaconia, come risulta da bolle pontificie del 955 e 962.

S. Pietro in Marulis

Era al XII miglio della via Latina. Ciò risulta dalla celebre bolla di Sergio I, e da donazioni fatte alla chiesa di s. Susanna, segnate nel regesto di Gregorio II. In quest'ultimo è nominata una basilica s. Petri intra massam Marulis via latina milliario ab urbe plus minus XII.

 p891  In due papiri pontificî degli anni 955 e 962 ha trovato il De Rossi che questa basilica era allora deserta, ma ne duravano ancora le mura presso la valle Merrona al decimo miglio della via Latina.

Via Appia

S. Maria in Palmis
(Domine quo vadis)

Nel bivio formato dal biforcamento delle due vie Appia ed Ardeatina, poco meno d'un chilometro dall'attuale porta di s. Sebastiano, sorge una chiesolina chiamata da molti secoli Domine quo vadis. Quel monumento fu innalzato in tempi assai antichi a ricordo della celeberrima apparizione di Nostro Signor Gesù Cristo a s. Pietro evaso dal Mamertino, come si legge negli atti dei ss. Processo e Martiniano, e che per la via Appia incamminatosi volgeva forse in mente di giungere al mare e di là tornare in Oriente. Qualunque sia il valore storico di quella prodigiosa apparizione di Gesù Cristo a Pietro, che colle parole venio Romam iterum crucifigi rispose all'apostolo che gli disse Domine quo vadis, per fargli intendere che doveva volgere di nuovo i suoi passi alla città eterna; qualunque sia, io dico, il valore storico di questo racconto, egli è certo che fino dai tempi di Origene correva per le bocche dei fedeli; lo riporta Egesippo, si legge negli atti dei ss. Processo e Martiniano, e fra i padri del quarto secolo s. Ambrogio lo teneva per genuino.

Non è a dire quanto nei secoli di mezzo quella chiesuola fosse venerata e considerata come uno dei più insigni santuarî di Roma; onde è a deplorare che giaccia ora quasi obliterata. Il Petrarca nelle sue epistole familiari accenna a questa chiesa più d'una fiata.

Ne troviamo la memoria fino dal secolo IX, come risulta da un documento del monastero di s. Alessio, dal quale si scorge che la chiesa si chiamava in origine: ubi Dominus apparuit. Nel volgere dei secoli ebbe anche altre denominazioni, massime quelle de palma, ad passus, plantarum, ad transitum, alcune delle quali si riferiscono all'apparizione storica, altre ad una pietra  p892 votiva e pagana su cui sono scolpite due impressioni di piedi, nelle quali la pietà dei pellegrini dell'età di mezzo ritrovò le orme miracolose del Salvatore. Di questa pietra non si trova però alcuna allusione se non nei secoli posteriori, e dalla quale nel secolo XIV la chiesa prese il titolo di s. Maria delle Palmedel passo, che serbò fino a tutto il secolo XVIXVII. Infatti nell'archivio dei Brevi trovo che allorquando il card. Francesco Toledo ebbe restaurata questa chiesuola, si riservò il diritto di nomina del rettore: Rectura (sic) ab ipso (Francesco Toledo) restauratae ecclesiae B. M. del Passo extra portam s. Sebastiani.

Il Galletti ricorda che nei secoli di mezzo nella piazza avanti la chiesa suddetta fullones candificant pannos. L'anno 1620, nel pontificato di Clemente VIII, fu di nuovo riedificata da un pio sacerdote Ignazio Floriani di Castelfidardo, il quale con permesso di Paolo V, posevi il facsimile della pietra, il cui origine sta in s. Sebastiano, colle orme dei piedi, conforme si è già accennato. Il card. Francesco Barberini nel 1637 ne rinnovò la facciata.

Edicola del card. Reginaldo Polo

Oltrepassato il bivio suddetto, e precisamente presso la colonna del pro chilometro della via Appia, sorge a sinistra della strada un'edicoletta di forma circolare. Questo è un monumento storico di grande importanza in ordine al personaggio che lo fece innalzare. Egli è il famoso card. Reginaldo Polo, il cui nome e la cui storia è strettamente connessa a quella dello scisma d'Inghilterra. Egli eresse quel piccolo edificio in questo luogo, che era proprietà del collegio inglese, perchè, minacciando rovina la chiesa di s. Maria in palmis, volle ne rimanesse memoria sul posto.

S. Apollinare

Presso la porta s. Sebastiano fu già una chiesa di s. Apollinare, della quale non rimane sul luogo nessun indizio. L'unica memoria che se ne abbia è in una carta di donazione della chiesa e del monastero di s. Sebastiano relativa alla chiesa di s. Maria Nuova, fatta dal card. Girolamo di s. Maria nel 1167,  p893 nella quale donazione dice che si riserva, dei beni di detta chiesa, alcune vigne poste fuori della porta Appia nel luogo detto s. Apollinare. Il Panvinio, che nel suo libro delle sette chiese riferisce questa donazione, accenna al sito di questa chiesa, che (come egli dimostra) sorgeva, non presso la porta, ma al secondo miglio dalla stessa, presso al cimitero di Pretestato. Il Mittarelli erroneamente la pone nelle vicinanze della porta e aggiunge che vi era annesso un piccolo monastero.

S. Cornelio

Circa l'anno 440, come si legge nel Libro pontificale, s. Leone il Grande edificò sopra il cimitero di s. Callisto, e forse sulla cripta dell'illustre suo predecessore e martire Cornelio, una piccola basilica. La testimonianza del Libro pontificale è avvalorata e confermata dagli antichi topografi, poichè nel libro De locis sanctis martyrum si legge che in coemeterio Callisti v'era una chiesa dedicata a questo martire, ove le sue reliquie si veneravano, e il Malmesburiense laconicamente scrive: Ibidem ecclesia sancti Cornelii et corpus. Di questa basilica ogni vestigio è perduto da immemorabile età; essa è stata demolita fino a terra; però ne possiamo indicare esattamente il sito preciso, che è in corrispondenza colla cripta sepolcrale del martire nel cimitero di Callisto. A quella basilica il ch. De Rossi attribuisce alcuni rocchi di colonne precipitate in varî punti del sotterraneo, circostante al sepolcro di quel pontefice.

S. Sotere

Sul medesimo cimitero di s. Callisto a questa illustre antenata di s. Ambrogio fu edificato e dedicato un oratorio, indicatoci da tutti i topografi sacri sul suo cimitero, che fu poi congiunto a quello medesimo di Callisto. Nella vita di Stefano II (a. 752‑57) si legge che, essendo ruinato quell'edifizio, il papa suddetto lo restaurò e ne rinnovò il tetto.

Dopo quell'epoca non se ne trovano più notizie. Un secolo dopo, il papa Sergio II trovò quella chiesa in abbandono e rovina come abbiamo dal suo biografo nel Libro pontificale e ne trasferì le reliquie a s. Martino. Ma già fino dal secolo VI  p894 quelle erano state trasferite dalla cripta sotterranea alla superiore piccola basilica a tre absidi, della quale restano ancora le vestigia, massime la parte inferiore, sulla quale poi in questi ultimi secoli fu edificato un rustico casolare.

Era quadriforme, con volta elevata, e terminante in tre absidi ancora esistenti. — Intorno a questo santuario si aggruppano le tombe del cimitero superiore.

Ss. Sisto e Cecilia

Non lungi da quella di s. Sotére sorge un'altra cella tricora di pianta quadrilatera costruita in cattiva opera laterizia. È questa la celebre basilichetta dei ss. Sisto e Cecilia, ove i topografi del secolo VII videro il sepolcro del papa Zeffirino e di Tarsicio, il celebre fanciullo acolito e martire, alla memoria del quale dedicò Damaso uno dei suoi carmi. L'edificio sorge su quella parte del cimitero di s. Callisto, la cui escavazione è contemporanea incirca al papa Fabiano (a. 236‑250), il quale nel suo pontificato multas fabricas per coemeteria fieri iussit, come di lui narra il suo biografo. Probabilmente quell'oratorio spetta a quel pontefice. Questa cella in origine non fu coperta di volta ma da semplice tetto, e la parte anteriore fu aperta senza muro di facciata, nè porta; termina in tre absidi, le quali ancora restano integre. Questa scoperta fatta dal De Rossi accresce il valore del monumento e ne conferma l'origine anteriore alla pace della Chiesa. Sembra che ai tempi di Diocleziano fosse stato demolito, poichè nell'oratorio di cui parliamo si veggono apparir tracce d'antica e quasi regolare demolizione.

Questa chiesuola nei tempi della pace fu detta ecclesia s. Sixti, ovvero ecclesia s. Caeciliae, o ad s. Caeciliam, poichè dalla medesima, per apposita scala, si discendeva alla cripta, dove riposava la celebre martire della Chiesa romana.

Questi nomi perduravano fino al secolo VIII, come abbiamo dal topografo di Einsiedeln; sotto quest'oratorio si trova anche la famosa cripta papale denominata di s. Sisto, aderente alla quale è quella di s. Cecilia. Il carme originale che Damaso fece sul sepolcro di Tarsicio è perito; ma di un altro le escavazioni hanno posto in luce tre frammenti, ove si leggono i vocaboli altaretumulum, i quali ricordano le gesta d'un martire illustre per dignità. In questo oratorio forse fu ucciso Sisto II nel 258, mentre celebrava i divini misteri insieme ai suoi diaconi Lorenzo, Felicissimo, Agapito ed altri.

 p895  Quel celeberrimo edifizio, restaurato per cura della commissione di sacra archeologia, è stato trasformato in museo cristiano del cimitero callistiano, e nelle sue pareti sono riunite le epigrafi più insigni che appartenevano ai sepolcri dell'area superiore del medesimo. Sarebbe desiderabile che venisse qui ripristinato il culto dei due celebri martiri.

L'Oratorio "ubi decollatus fvit Xistus"

Il tragico episodio di un papa (Sisto II), sorpreso dai satelliti dell'imperatore Valeriano l'anno 258, mentre seduto sulla cattedra episcopale presiedeva col suo clero una sacra adunanza entro un oratorio soprastante al cimitero di Callisto, fu cagione per cui quello venisse completo da s. Sisto e lo stesso cimitero di Callisto fosse anche da Sisto appellato.

Però sul vicino cimitero di Pretestato, a sinistra della via, un altro monumento cristiano sorgeva destinato a ricordare quel fatto, e che dai topografi che lo videro e ce ne lasciarono ricordo, era completo ubi decollatus fuit Xistus, e dove a colori era forse espresso quel martirio. Forse vi fu eretto perchè nelle cripte sottoposte erano stati sepolti alcuni dei compagni di passione al santo pontefice, insieme ai due suoi diaconi Felicissimo e Agapito, con lui sorpresi nel cimitero di Callisto.

Questa chiesa è ricordata quattro volte nel codice di Einsiedeln, e dalle parole del codice si ricava che dovea sorgere appunto a sinistra della via Appia, dirimpetto al cimitero di Callisto.

Ss. Tiburzio, Valeriano e Massimo

Anche a questi santi martiri sepolti nel cimitero di Pretestato, la cui storia è strettamente connessa con quella di s. Cecilia, colla quale i primi due erano stretti con vincoli di sangue, fu eretto un oratorio nel cimitero, il quale tuttora, benchè rudere cadente, esiste sul posto, attendendo invano da oltre a mille anni una mano pietosa che lo restituisca al pristino culto e onore.

Esso è di forma circolare a cinque absidi, e tutti i topografi ce ne hanno lasciato memoria; dal Libro pontificale nella vita di Adriano I risulta che questa basilica era contigua e quasi adiacente ad un'altra dedicata a s. Zenone. Ecco le parole di quel libro: Ecclesiam beati Tiburtii et Valeriani atque Maximi, seu basilicam s. Zenoni uno cohaerentes loco a novo renovavit.

 p896  S. Zenone

Anche l'oratorio eretto a questo martire illustre torreggia ancora fra i ruderi cristiani della via Appia, ed è quasi aderente all'altro, precisamente come scrive il Libro pontificale colla frase uno adhaerentes loco. Le reliquie di questo santo furono trasferite da Pasquale I nella chiesa di s. Prassede, ove questo papa gli eresse un oratorio che adornò di musaici.

Uno dei topografi chiama il martire Zenone frater Valentini. Presso l'oratorio suddetto, nella prima metà del secolo presente, si rinvenne la coppia d'argento adorna di simboli marini, che fu probabilmente arnese liturgico, e che si conserva ora nel museo Kircheriano al Collegio romano.

Ss. Pietro e Paolo
(S. Sebastiano)

Un'antica e splendida basilica nel luogo chiamato fino al IX secolo ad catacumbas, al terzo miglio della via Appia, ricordava la memoria degli apostoli Pietro e Paolo, ove fu deposto l'invitto milite e martire cristiano s. Sebastiano. Questa basilica fu il principale santuario dell'Appia nei secoli di mezzo dopo l'abbandono del cimitero di Callisto, e dalla medesima prese il nome la porta stessa della città, che conserva tuttora quel titolo.

La più antica memoria monumentale che al sepolcro di s. Sebastiano si riferisca, è la iscrizione votiva fatta da alcuni preti del titulus Bizantis sotto il pontificato d'Innocenzo I (a. 402‑417) che offrirono al martire un ricco dono, o più probabilmente lo restaurarono.

Eccone il testo:

TEMPORIBVS SANCTI-
INNOCENTII EPISCOPI
PROCLINVS ET VRSVS PRESBB
TITVLI BIZANTIS
SANCTO MARTYRI
SEBASTIANO EX VOTO FECERVNT

Il marmo, dopo molte vicende tolto dal suo posto, è ora affisso nelle pareti del museo epigrafico lateranense. Il Libro  p897 pontificale in Adriano I, accennando al rinnovamento della nostra basilica fatto per opera di Adriano I, scrive:

Ecclesiam apostolorum foris portam Appiam milliario tertio in loco qui appellatur catacumbas ubi corpus beati Sebastiani martyris cum aliis quiescit, in ruinis praeventam a novo restauravit. Queste parole dimostrano che principalmente la chiesa portava il titolo dei ss. apostoli Pietro e Paolo, e secondariamente quello di s. Sebastiano, come si ha nel libro De locis sanctis martyrum: Et iuxta eamdem ecclesia est s. Sebastiani martyris ubi ipse dormit sunt sepulturae apostolorum. Ed infatti la basilica in origine non fu coordinata al sepolcro del martire, il quale non ne occupa il posto principale; nè la sua confessione o sepolcro si trova nel mezzo o nel fondo della chiesa di fronte all'abside, bensì di fianco a sinistra. Anche negli atti del celebre martire s. Quirino vescovo di Siscia in Pannonia, le cui reliquie furono trasferite nella nostra chiesa ad catacumbas è ricorda col nome degli apostoli Pietro e Paolo, e non con quello di s. Sebastiano: quem via Appia milliario tertio sepelierunt in basilica apostolorum Petri et Pauli ubi aliquando iacuerunt et ubi s. Sebastianus requiescit; dalle quali parole emerge che secondaria è la denominazione ed il posto che occupa s. Sebastiano in questo luogo. Scrive il Bosio che la chiesa venne fabbricata, per quanto si può vedere, sopra le fondamenta d'un antico edificio di Gentili. E veramente negli atti della Visita d'Urbano VIII sta scritto: Parietes quibus ecclesia cingitur antiquae gentilium fabricae pertinuisse noscitur.

S. Gregorio il Grande ivi recitò la splendida omelia che è la 37a sugli evangeli. Sventuratamente perdette questa basilica il suo tipo e la forma primitiva nei restauri del card. Scipione Borghese: anteriormente a quel restauro si vedeva l'altare sotto al quale era il corpo di s. Sebastiano, opera di papa Onorio III, che l'avea dedicato nella cripta medesima, o, come dice il Bosio, in luogo profondo, al quale si discendeva per una scala di molti gradi. Era questa la cripta primitiva, ossia l'initium cryptae, come si legge negli atti del martire medesimo, in cui il suo corpo fu deposto da Lucina e che nella fabbrica della nuova basilica era stato incorporato alla medesima con una scala, senza menomante rimuovere dal posto le reliquie del martire; quella fu trasformata così in confessione dell'altare superiore. Quel luogo in corrispondenza all'altare medesimo di s. Sebastiano ancora esiste, benchè vacuo delle sue  p898 reliquie e del tutto trasformato; forma anche oggi il vestibolo dal cimitero, al cui piano si trova.

Allorquando nei secoli di mezzo, specialmente dopo il IX, la maggior parte dei cimiteri romani era caduta nell'oblio, compreso quello di Callisto, la nostra basilica raccolse quasi l'eredità di tanta gloriosa storia e di tante perdute e contraffatte tradizioni; il suo cimitero, fu reputato e chiamato di Callisto, e dai pellegrini e dai romani e dai santi visitato e venerato come tale; s. Sebastiano divenne il centro del pio pellegrinaggio ricostituito dal genio di s. Filippo Neri, e detto delle sette chiese, colonna quale egli ricondusse alle memorie ed ai santuarî dei martiri i romani del suo tempo secondo l'esempio degli antichi. Il Neri anzi, in questo cimitero da lui reputato di Callisto, fu solito per molti anni pernottare, e pregare; ed anche oggi in un cubicoletto del sottoposto ipogeo leggesi una doppia epigrafe latina e volgare posta nello scorcio del secolo XVIII a ricordo delle meditazioni fatte dal santo in quella cameretta:

IN QUESTO LUOGO S. FILIPPO NERI FONDATORE dell'ORATORIO VISITANDO PER DIECI ANNI LE SETTE CHIESE FU SOLITO TRATTENESI IN ORATIONE.

Libri indulgentiorum, le guide del medio evo, dopo i maggiori santuarî degli apostoli pongono in prima linea s. Sebastiano e il suo supposto cimitero di Callisto, ove una lunga fila di pellegrini giorno e notte s'avviava e vi facea stazione. Le ss. Brigida e Gertrude vi avevano preceduto le anime grandi di Filippo Neri, del Borromeo, di s. Pio V. Si legge infatti che s. Pio V ogni anno in tempo di carnevale visitava le sette chiese e solea trattenersi in s. Sebastiano.

Allorchè Giulio II riebbe fatto pace colla serenissima repubblica di Venezia, impose ai legati di questa che irent ad septem ecclesias, e in un documento dell'archivio vaticano leggo i nomi di quegli ambasciatori: cioè Domenico Trevisano procuratore di s. Marco, Leonardo Mocenigo, Luigi Malpiero e Girolamo Donato.

Nelle carte delle sette chiese di Roma nel giubileo di Gregorio XIII (1575) che si trova pure nello stesso archivio vaticano, si descrive: il quadro di s. Sebastiano innanzi al portico cinto di mura all'intorno e alla destra, quasi accanto al portico un pezzo di antico tondo a due ordini di porticelle tonde. La gran miniera da cui si estraevano le reliquie che, come da  p899 fonte inesauribile Roma spandeva per tutta la terra, era il cimitero di s. Sebastiano, e nell'archivio de' Brevi l'illustrissimo monsig. De Romanis mi ha indicato più di un documento che a quelle estrazioni si riferiscono relative, cioè a licenze elevandi reliquias de sancto Sebastiano.

Degli antichi monumenti, delle innumerevoli memorie epge non restano alla chiesa che pochi avanzi, benchè fra queste sia insigne il marmo damasiano coll'elogio in onore del martire Eutichio ivi sepolto ne scrisse quel pontefice:

EVTYCHIVS MARTYR CRVDELIA IVSSA TYRANNI

CARNIFICVMQVE VIA PARITER TVNC MILLE NOCENDI

VINCERE QVOD POTVIT MONSTRAVIT GLORIA CHRISTI

CARCERIS ILLVVIEM SEQVITVR NOVA POENA PER ARTVS

TESTARVM FRAGMENTA PARANT NE SOMNVS ADIRET

BISSENI TRANSIERE DIES ALIMENTA NEGANTVR

MITTITVR IN BARATRVM SANCTVS LAVAT OMNIA SANGVIS

VVLNERA QVAE TVLERAT MORTIS METVENDA POTESTAS

NOCTE SOPORIFERA TVRBANT INSOMNIA MENTEM

OSTENDITVR LATEBRA INSONTIS QVAE MEMBRA TENERET

QVAERITVR INVENTVS COLITVR FOVET OMNIA PRAESTAT

EXPRESSIT DAMASVS MERITVM VENERARE SEPVLCHRVM.

Come si è accennato, il card. Scipione Borghese, che ebbe in commenda l'annesso monastero, riedificò la chiesa quasi per intero con architettura di Flaminio Ponzio, aggiungendovi il portico attuale, la fronte ed il soffitto coi disegni del fiammingo architetto Vasanzio.

Ai monaci benedettini posti da Alessandro III, i quali poi l'abbandonarono, successero i cistercensi riformati di s. Bernardo introdottivi dal detto cardinale. All'epoca in cui la tennero i benedettini faccio risalire un frammento d'epigrafe sepolcrale d'una:

. . . ESIMA ABBATISSA . . .
. . . DE . .

marmo adoperato in costruzione nel sottoposto cimitero.

Clemente XI costruì la chiesa parrocchiale, e Gregorio XVI l'affidò ai padri Minori osservanti di s. Francesco della provincia romana. L'altare di s. Sebastiano, benchè trasferito dal piano inferiore della sottoposta sua cripta al superiore, sta a sinistra della chiesa entro la nuova cappella a lui dedicata ed è chiuso da cancelli. Ricchissimo è il monumento, opera del card. Francesco Barberini, il quale vi fece collocare al disotto una statua  p900 del martire scolpita dal Giorgietti con i disegni del Bernini: ivi il corpo del santo martire fu riposto sotto la mensa dell'altare entro la stessa conca di marmo in cui da Onorio III era stato rinchiuso, quando nel 1218 lo ricondusse qui dalla basilica vaticana ove lo aveva trasferito Gregorio IV.

La Cripta o Platonia dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo

Al disotto e intorno alla basilica di s. Sebastiano, le cui origini risalgono ai tempi costantiniani, si svolge il famoso cimitero ad catacumbas, ove fu deposto l'anno 270 il martire s. Sebastiano, che ne divenne poscia l'eponimo. A questo cimitero si riferisce la seguente rarissima epigrafe opistografa che lo ricorda:

EGO EVSEBIVS ANTIOCENO
SAN PLM LXX COMPARAVI E
GO SS VIVVS IN CATACVMBASA
LVMENAREM A FOSSORE OA
APATO STAEET AMICV
S DIII IDVS SEPT 

Nel rovescio si legge il nome:

AVRELIVS LEONTIVS.

Il marmo si conserva ora in Milano nel giardino della biblioteca ambrosiana. Quello che rende celebre questo cimitero è la famosa traslazione delle reliquie dei ss. apostoli Pietro e Paolo. Di questo insigne avvenimento abbiamo le seguenti testimonianze. Negli atti di s. Sebastiano scritti circa il V secolo, a quanto pare, da un ambrosiaste, leggesi che fu sepolto nella via Appia, iuxta vestigia apostolorum. Abbiamo in sko luogo una lettera del magno Gregorio scritta a Costantina Augusta imperatrice di Costantinopoli, la quale spedì messi imperiali al pontefice, pregandolo a volerle mandare alcune insigni reliquie, e fra queste le teste dei ss. Pietro e Paolo. L'enormezza della dimanda atterrì il papa, il quale si scusò dall'accondiscendervi, col dimostrare all'imperatrice, per mezzo d'una lettera, qualmente era volere di Dio che Roma bagnata col sangue dei due gloriose apostoli fosse prescelta a gelosamente custodirne i corpi: confermò la sua tesi colla semplice e schietta narrazione  p901 d'un fatto, che non possiamo supporre inventato da s. Gregorio per darlo a intendere a un'imperatrice, alla quale d'altra parte non potea mancare la maniera di stare al corrente del suo tempo. Riporto qui le parole del pontefice:

De corporibus vero beatorum Apostolorum quid ego dicturus sum? Dum CONSTAT quia eo tempore quo passi sunt, ex oriente fideles venerunt eorum corpora sicut civium suorum repeterent? Quae ducta usque ad secundum urbis miliarium in locum qui dicitur ad catacumbas collocata sunt. Sed dum ea exinde levare omnis eorum multitudo conveniens niteretur, ita eos vis tonitrui atque fulguris nimio metu terruit atque dispersit, ut talia denuo nullatenus attentare praesumerent. Tunc autem exeuntes Romani eorum corpora qui hoc ex Domini pietate meruerunt, levaverunt, et in locis quibus nunc sepulta posuerunt. Quis ergo nunc, serenissima Domina, adeo temerarius possit existere ut, haec sciens, eorum corpora non dico tangere, sed aliquatenus praesumat inspicere?

Oltre la lettera scritta da s. Gregorio Magno a Costantina abbiamo un carme del pontefice Damaso, il quale, più che due secoli prima di s. Gregorio, fece memoria del fatto in un'iscrizione ora perduta e fatta affiggere nelle pareti del nascondiglio dei ss. Pietro e Paolo ad catacumbas, per onorare coi suoi versi la memoria dei ss. Apostoli, i quali in quel luogo aveano riposato. Se quel marmo è perito, come è avvenuto della maggior parte dei carmi damasiani, ci è dato però leggerlo nelle antiche sillogi, specialmente del codice d'Einsiedeln, ove l'Anonimo compilatore lo trascrisse quando stava ancora al suo posto:

HIC HABITASSE PRIVS SANCTOS COGNOSCERE DEBES
NOMINA QVISQVE PETRI PARITER PAVLIQVE REQVIRIS
DISCIPVLOS ORIENS MISIT QVOD SPONTE FATEMVR
SANGVINIS OB MERITVM CHRISTVM PER ASTRA SEQVTI

AETHERIOS PETIERE SINVS REGNAQVE PIORVM

ROMA SVOS POTIVS MERVIT DEFENDERE CIVES
HAEC DAMASVS VESTRAS REFERAT NOVA SIDERA LAVDES

Il grande pontefice del secolo IV decorò il luogo, rivestendone le pareti con lastre marmoree, nel linguaggio della bassa latinità dette platoniae, dalle quali trasse il nome quel sito medesimo, che fu detto Platonia dei ss. Pietro e Paolo: alla qual platonia poi nell'anniversario della festa dei principi  p902 degli Apostolo traevano turbe d'ogni paese e nazione. Nell'inno attribuito a s. Ambrogio in onore dei ss. Pietro e Paolo, si descrive l'accorrere dei fedeli nelle tre vie santificate in varî tempi dalla presenza dei corpi dei due apostoli, cioè la Cornelia, l'Ostiense, l'Appia:

Tantae per Urbis ambitum

Stipata tendunt agmina

Trinis celebratur viis

Festum sanctorum Martyrum.

L'autore del Libro pontificale nella vita di Cornelio scrive di lui le seguenti cose:

Hic temporibus suis rogatus a quadam matrona Lucina corpora apostolorum Petri et Pauli de catacumbis levavit noctu. Il passo citato è inesplicabile se non ammettasi un'altra traslazione dei corpi apostolici fatta in epoca più tarda dai loro sepolcri nel luogo delle catacombe, giacchè lo stesso Liber Pontificalis, nelle scarse notizie che ci dà del pontefice Lino, non omette però di dire che fu sepolto iuxta corpus b. Petri in Vaticano, come eziandio fa nelle vite di Cleto, di Anacleto, Evaristo, Sisto, Telesforo ecc.

Inoltre Eusebio, riportando la famosa disputa che ebbe luogo in Roma fra Caio prete contemporaneo di Tertulliano, e Proclo capo scuola di quei famosi catafrigi che s'eran scissi fra loro in due parti, seguendo gli uni Proclo, gli altri Eschine; leggiamo che sfolgorasse la iattanza di quel superbo coll'additargli i luoghi ove eran sepolti Pietro e Paolo fondatori della romana Chiesa:

Ego autem apostolorum tropaea possum ostendere tibi, nam sive in Vaticanum, sive ad Ostiensem viam pergere velis, invenies tropaea eorum qui Ecclesiam hanc fundaverunt.

Egli è dunque necessario, se vogliamo credere al trasporto che fece Cornelio dei corpi apostolici, ammettere una seconda traslazione, la quale venne anche bellamente confortata dal famoso calendario di Furio Dionisio Filocalo scritto, come apparisce, ai tempi di papa Liberio e pubblicato dal Bucherio, ove si legge ai 29 giugno: III Kal. Iulias, Petri in Vaticano et Pauli in via Ostiense (a. 258). Ma qui sorgono gravi difficoltà; infatti, benchè non vogliasi tenere a calcolo la discrepanza cronologica fra il Libro pontificale, che fissa  p903 all'anno 254 la traslazione operata da papa Cornelio, e la data consolare del calendario filocaliano che la riporta al 258, discrepanza d'altronde di poca conseguenza, perchè la precisione delle date non è il miglior pregio che vanti l'autore del Liber Pontificalis; ciò non ostante, come spiegare la palpabile contradizione fra il libro suddetto, il quale registra la traslazione d'ambedue i corpi apostolici, e il calendario che sembra festeggiare quella d'uno solo degli apostoli medesimi? Il Bucherio, il Moretti, il Bianchini, il Pearson, e mille altri tentarono conciliare il libro pontificio col calendario, e spiegare l'oscuro e inesplicabile latercolo del calendario medesimo. Non è dell'indole di questo mio lavoro riportare le varie opinioni di quei dotti, i quali per quanto si arrovellassero, non colsero giammai nel segno. Era necessario a diradare queste tenebre la scoperta fatta in Berna di un codice del martirio geronimiano dal De Rossi, il quale trovò in quello un passo che dichiara ed emenda il calendario filocaliano. Ecco il prezioso latercolo: III Kal. Iul. Romae Natalis Petri et Pauli apostolorum, Petri in Vaticano, Pauli vero in via Ostiense; utriusque in catacumbis passi sub Nerone Tusco et Basso Consulibus. È evidente che l'inciso passi sub Nerone è spostato, e che il suo vero luogo deve riporsi appresso la parola apostolorum. Il significato di questa indicazioneº del codice di Berna è che al 29 di giugno in Roma si celebrava il natale dei santi Pietro e Paolo non solo nel Vaticano e nell'Ostiense, nei quali luoghi sotto Nerone subirono il martirio, ma eziandio nelle catacombe ove dai loro originarî sepolcri erano stati trasportati sotto il consolato di Tusco e Basso l'anno 258. Dal che nasce, che non Cornelio, ma un altro pontefice assai più tardi fece il trasporto di quei santi corpi dalle catacombe medesime al Vaticano e all'Ostiense. Assicurata in siffatta guisa questa seconda traslazione, ci è dato comprendere anche la ragione che la motivò, ove riflettiamo che l'anno 258 fu eccezionalmente terribile per la persecuzione di Valeriano, il quale, contro i diritti accordati dalle stesse leggi romane ai cimiteri, derogando barbaramente a quelle, non solo li confiscò alla Chiesa, ma divietò eziandio che vi si tenessero adunanze e vi si celebrassero i natalizî dei martiri, neanche permettendo che vi si continuasse a seppellire i morti. Ora siccome tal divieto non potea esser deluso coll'aiuto delle tenebre per riguardo al sepolcro di Pietro che non fu giammai sotterraneo ma publico e patente, perciò i cristiani risolvettero di trasportare i sacrosanti corpi nel luogo che abbiamo detto delle catacombe.

 p904  Quanto tempo quei sacri corpi rimanessero nella Platonia è ignoto; gli atti apocrifi degli apostolo Pietro e Paolo e gli itinerarî dicono quarant'anni; è certo che durante il secolo III furono ricondotti alle loro sedi primitive, come scrive il Libro pontificale, benchè erroneamente attribuisca siffatta traslazione al papa Cornelio. Interroghiamo ora il monumento e vediamo se i suoi dati corrispondono colla storia. Dietro l'abside dell'odierna basilica, si scende ad una camera, che per due terzi è sotterra e per un terzo sorge all'aperto. Essa non è cavata nella tufa, ma costruita in opera muraria. È di forma semicircolare, che in pianta descrive una mezza ellissi chiusa da una retta lunga undici metri. Nelle pareti che le girano intorno furono creati quattordici arcosolî, che ora sono ridotti a tredici, perchè il card. Scipione Borghese fece costruire nel vano d'uno di essi la scala opposta a quella per la quale attuale si discende. Negli archivî vaticani v'ha il seguente documento, relativo ai lavori del cardinale suddetto e all'autorizzazione fattagli dal papa Paolo V che gli affidò l'amministrazione del cimitero creduto di Callisto:

"Dilecto filio nostro Scipioni tituli sancti Chrisogoni presbytero cardinali Burghesio nuncupato nostro secundum carnem ex sorore germana nepoti.

Paulus pp. V.

"Dilecte fili noster salutem, etc. Ut cimiterium Calixti toto orbe celeberrimum maiori in veneratione haberi et sanctorum alla chiesa sanctarum reliquiae inibi existentes venerandae et honorificentioribus locis collocandae christifidelibus concedi, populique devotio augeri possit motu proprio et ex certa scientia nostra alla chiesa de apostolicae potestatis plenitudine tibi curam regimen et administrationem dicti cimiterii vita tua durante committimus et commendamus, dantes tibi plenam et amplam facultatem et auctoritatem gradus, muros, et parietes eiusdem cimiterii destruendi et demoliendi, alla chiesa in alio dicti cimiterio loco alios gradus, muros et parietes reaedificandi ipsumque cimiterium ad meliorem et tibi benevisam formam semel et pluries ac toties quoties tibi videbitur et placuerit nostra et Romani Pontificis pro tempore existentis seu illius vicarii licentia desuper minime requisita, reducendi sanctorum quoque et sanctarum reliquias inibi existentes de uno ad alio locum eiusdem cemeterii trasferendi,º et illarum partes etiam principaliores quibusvis  p905 ecclesiis et locis piis ac etiam particularibus personis pro tuo arbitrio etiam absque nostra et Romani Pontificiis pro tempore existentis, seu illius vicarii licentia concedendi ceteraque quae ad eiusdem cimiterii ornatum et reliquiarum praedictarum venerationem ac christifidelium devotionem in praemissis expedire indicaveris faciendi et exequendi. Non obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis ac quibusvis prohibitionis desuper factis ceterisque contrariis quibuscumque."
       "12 Iunii 1613.

"Foris — Demandatur cura coemeterii Calixti."

L'interno degli arcosolî è tutto ricoperto di elegantissimi stucchi messi a colori, opera dei più fiorenti tempi dell'impero. Uno scaglione o sedile fa corona all'altare moderno che sorge nel mezzo della cripta dedicata ai santi apostoli Pietro e Paolo. Sotto questo altare, per una cataratta larga un mezzo metro si scende ad una celletta che occupa un'area di due metri e mezzo quadrati. Nel fondo, una lastra marmorea alta poco più di un metro divide in due parti eguali quest'area; dalla sommità della lastra alla volta della cella corre un metro e mezzo d'altezza. Le interne pareti della volta sono divise in dieci spazi e mostrano avanzi di pitture di mano ed epoca diversa ma non posteriore al secolo III. Da tutto ciò risulta che questa cataratta o nascondiglio, ove furono deposti per due volte i corpi degli apostoli, presente indizî di altissima antichità, come apparisce dagli succhi degli arcosolî che hanno lo stesso gusto e squisitezza di lavoro di quelli che si veggono nei monumenti più antichi sì cristiani che gentili. Risulta infine che in quella cataratta o nascondiglio è fabbricato fino ab antiquo un luogo per riporre due cadaveri, intorno ai quali quattordici nobilissimi personaggi si procurarono il loro sepolcro. Ma gli indizî più sicuri risultano eziandio dall'analisi topografica di questo medesimo luogo. Rammenteranno i lettori come Damaso insinui nel suo carme che orientali fossero i discepoli che rapirono i sacri corpi, e che li nascosero in questo luogo, come viene confermato ancora da s. Gregorio nel suo carme. Or bene, la nostra platonia trovasi presso antichissimi cimiteri giudaici scoperti in questi ultimi anni, quali sono il cimitero della vigna Randanini, e quello della vigna del signor conte Cimarra; onde può sospettarsi che questa platonia sia stata da principio il monumento e direi quasi il mausoleo principale di quelli; tanto più che nel cimitero della vigna Randanini si ravvisano stucchi e decorazioni del genere medesimo di quelli della platonia. È adunque verosimile che un tal luogo fosse prescelto dagli  p906 orientali la prima volta per nascondervi i due santi corpi, perchè da essi reputato sicurissimo, essendo proprietà dei loro connazionali di Roma; e che venuto più tardi in mano dei cristiani, questi lo trovassero adatto per nascondervi i corpi apostolici la seconda volta. Qualunque peso diasi a tal congettura, è certo che la storia e i monumenti vanno d'accordo nel fatto della traslazione di quei corpi dai loro sepolcri alle catacombe, dalle quali al sopraggiungere della pace furono riportati là dove da quindici secoli non sono stati più rimossi.

L'altare costruito sulla cataratta è opera del secolo XVXVI. La sua predella è formata con iscrizioni tolte dai loculi e dai sepolcri del contiguo cimitero. Lo scaglione che gira intorno alla platonia, nel punto corrispondente dietro l'altare, presenta le tracce d'un sedile: ivi era situata una cattedra marmorea che, secondo una leggenda, si dicea che fosse quella stessa del pontefice s. Stefano, il cui martirio e storia fu confuso con quello del papa Sisto II, ucciso veramente sul cimitero di Callisto; presso quella sedia vedeasi un vaso di creta che si dicea contenere sangue di martiri. Quella sedia fu domandata al pontefice da Cosimo III granduca di Toscana, e a lui da Innocenzo XII fu concessa. Of si conserva nella cattedrale di Pisa. Il pavimento della platonia è lastricato da molte iscrizioni, tolte in altri tempi dal prossimo cimitero.

Riassumendo ora il prolisso discorso su quest'argomento, possiamo conchiudere essere un fatto istoricamente certo che gli apostoli s. Pietro e s. Paolo sieno stati un tempo deposti anche nel luogo detto ad catacumbas sulla via Appia. Ciò leggesi negli atti apocrifi degli apostoli, Damaso lo ricorda in uno dei suoi carmi, s. Gregorio Magno in una lettera a Costantina. Si trova anche il racconto in appendice alla leggenda Siriaca di s. Scharbil, benchè con qualche variante di tempo e di luogo, e nei secoli VIVII troviamo le testimonianze degli itinerarî. È certo che nel secolo IV i documenti ufficiali della Chiesa romana ricordano la solenne festa che si celebrava a commemorare il giorno di queste traslazioni dei corpi apostolici dalle loro sedi sull'Appia.

Abbiamo ricordato le parole del carl romano inserito nel vetusto martirio geronimiano ed è questa una testimonianza degli usi pubblici della Chiesa romana del secolo IV. Anche la Depositio martyrum nell'almanacco filocaliano, scritto  p907 fra gli anni 336 e 354, presenta nello stesso giorno 29 giugno un passo identico ma incompleto: III Kal. iul. Petri in Catacumbas et Pauli ostiense Tusco et Basso consulibus; la stazione del Vaticano è omessa, e quella della via Appia si riporta a s. Pietro solo, benchè sia certo che nel 354 il corpo di s. Pietro era stato di nuovo portato al Vaticano; la data di Tusco e Basso ci riporta al 258, anno della confisca degli cimiteri.

Il ch. prof. Duchesne crede che la prima traslazione sia un'eco di questa seconda del 258. Quest'opinione trova dei seguaci, ma io non vedo perchè si debba negare autorità alle parole di s. Gregorio, le quali sembrano anche confermate dal carme di Damaso: quindi, con tutto il rispetto all'autorità del grande maestro, preferisco fin qui quella di Gregorio il Grande, il quale nel racconto che fa a Costantino usa termini che tolgono ogni dubbiezza.

Due scale conducono alla platonia: l'una, come si disse, è dei tempi moderni, opera del card. Scipione Borghese, il quale a tale uopo dovette distruggere uno dei quattordici arcosolî che corrono in giro nelle pareti della platonia. Incontro alla scala borghesiana ve n'ha un'altra che nell'ultimo suo tratto è antica, ma nel primo non corre sull'andamento di quella. Il primo tratto del rampante demolito rimane visibilissimo sulle pareti di una stanza o antico oratorio, che si trova circa alla metà di questa seconda scala. Quest'oratorio di pianta irregolare conserva un sedile su tre dei suoi fianchi, destinato alle piccole e divote adunanze che vi si tennero per tutto il medio evo.

In mezzo, su di un cippo o pilastrino, è collocata una lastra marmorea che io credo servisse ad uso di mensa d'altare. Quella lastra, sulla quale è graffita una moltitudine di nomi dei visitatori di questi ultimi secoli, presenta alcuni avanzi di una iscrizione con data consolare, essendo stata in origine pietra sepolcrale. Eccone le parole:

. E. QVAE VIXIT SEMPER . . . .
. . . .
annos L. V. DEPOSITA IN . . . .
pace . . . . cCSS. FFLL. FESTI . . . .
et Marciani vv. cc. . . . .

L'iscrizione è dell'anno 472 o 473, come dalla nota consolare di Festo e Marciano.

Questa stanza è adorna nelle sueº pareti di pitture, le quali mi pare possano rimontare al secolo XIII. La parete di fondo,  p908 per chi scende dalla scala, ha una finestra fatta in età posteriore; essa corrisponde presso a poco nel luogo ove era in origine la porta che introduceva alla platonia. Ai lati di questa finestra vi è la figura di s. Paolo e dall'altra quella di s. Pietro, ma quest'ultima è in gran parte deperita: s. Paolo dà la destra a s. Pietro. I loro tipi sono i tradizionali e consueti. Nella parete a destra le pitture sono divise in due piani, la prima è più vicina alle scale; nel piano inferiore presenta la scena del Crocifisso nudo, sicuro indizio dell'età a cui abbiamo attribuito i dipinti. Fra quelle imagini il p. Paolino da Montecelio, minore osservante, ha scoperto recentemente anche una figura virile e barbata, a piè della quale si scorgono le lettere S. SEB(astianus) vicino a cui sembra sia il ritratto di s. Quirino vescovo di Siscia.

Due piccoli angeli involti nelle loro ali fanno corteggio al Salvatore presso la testa del medesimo. Ai suoi piedi si vedono due figure: l'una delle quali, senza dubbi, è quella della sua santissima Madre. Del Crocifisso non è discernibile che tutta la parte superiore, lo stesso dicasi della figura della Madonna. Dopo la scena della crocifissione vengono due arcangeli; l'uno colla sinistra tiene il globo, coll'altra il labaro: a questi fanno seguito sue santi personaggi, che dall'aria del volto, dalla barba, dalla foggia della mitra del capo, sembrano due santi vescovi orientali. Nel piano superiore delle pitture è rappresentata nel mezzo la Vergine riccamente vestita e seduta in trono col divino Infante in grembo: ai lati stanno ritti due arcangeli; quindi, al di qua e al di là, vi sono i busti di quattro profeti del vecchio testamento chiusi entro un circolo. L'uno dei profeti ha un volume sciolto; il nome IEREMIAS è scritto sotto uno dei busti profetici. Veniamo alla parete opposta, sulla quale si vede appoggiato il rampante primitivo. La pittura di questa parete è quasi del tutto deperita, cosicchè appena è discernibile. Si veggono dei bambini fasciati, con teste muliebri vicine; onde si può pensare che vi sia ritratta la strage degli innocenti, insieme forse alla scena del presepio. Nella volta è effigiato, entro cornice ellittica, il Salvatore sedente in cattedra col volume sulle ginocchia, ove sono scritte le parole: EGO SVM VERITAS. La cornice è sostenuta da due arcangeli. Il fondo della volta è sparso di circoli, entro i quali sono dipinte stelle ed uccelli. A destra di chi entra in quest'oratorio e sotto scala, vedesi incassato nel muro un frammento di versi posti da Damaso  p909 in questo luogo, dei quali già abbiamo pubblicato l'intiero testo. La pietra e la paleografia non è certamente opera di Damaso; ma rimonta al secolo XI e forse XII. Dell'iscrizione damasiano non sono ivi ricopiati che solo i primi tre versi.

S. Massimo

Presso la basilica di s. Sebastiano, che tuttora si vede circondata di ruderi di antichi oratorî e celle, una ne sorgeva in onore di s. Massimo. Nel sottoposto cimitero v'ha un cippo marmoreo che probabilmente era affisso sulla fronte di quell'oratorio, nel quale si legge il titolo dedicatorio:

SANCTO
MARTYRI MORTE MAXIMO

S. Quirino

Al vescovo e martire Quirino fu eretta pure presso s. Sebastiano una chiesa, della quale si ha notizia negli atti del martire suddetto, ma di cui non rimane più vestigio.

S. Urbano alla Caffarella

Non lungi dal cimitero di Pretestato, ma oltre i limiti di questo, sopra una prominenza del suolo a sinistra dell'antico diverticolo dell'Appia, detto via Appia Pignatelli, sorge un nobilissimo edifizio romano di splendida opera laterizia e dei migliori tempi dell'impero. Quest'edifizio pagano si trova nel mezzo di altre fabbriche rovinate, e non lungi dal medesimo restano gli avanzi di un nobilissimo ninfeo, dal volgo chiamato la Grotta della Ninfa Egeria. Questi ruderi sorgono entro i confini della splendida villa di Erode Attico, già maestro di Marco Aurelio, e forse l'edifizio pagano del quale si ragiona fu il tempietto da lui dedicato alla sua consorte Anna Regilla. Circa i secoli IXX fu ridotto ad uso di chiesa e dedicato a s. Urbano, appunto perchè non lungi di là entro le sotterranee gallerie del cimitero di Pretestato si venerava nella cripta magna il sepolcro del santo martire.

Nel 1634 il card. Barberini fece espugnare, dalle terre che l'avevano ricolma, la cripta di questa chiesa, e restaurare l'intero  p910 edifizio, oggi profanato di nuovo e ridotto ad uso di rustica abitazione. Ivi trovò le imagini della b. Vergine, di s. Urbano e di s. Giovanni dipinte precisamente circa il IX secolo, ai tempi forse di papa Pasquale I che dedicò l'edifizio al culto cristiano. Anche le pareti superiori sono tutte dipinte a quadri; alcuni dei quali rappresentano storie evangeliche, altri episodî tolti dagli atti di s. Cecilia o da quelli del santo eponimo, fatti restaurare da un cotal Bonizo, di cui resta ivi la memoria. Essi sono pregevolissime per la storia della pittura e per l'arte del secolo XI, giacchè Roma possiede pochissimi esemplari di quel periodo. Quel personaggio, chiamato anche Rodrigo, fu monaco e si vuole sia il medesimo che nel 1002 eresse una chiesa nella città di Borgo Sansepolcro, come si legge negli atti camaldolesi.

S. Niccolò a Capo di Bove

Nel 1299 il famoso mausoleo di Cecilia Metella fu dato da Bonifacio VIII alla famiglia de' Caetani, le cui armi ivi si veggono ancora, e che vi fece costruire il castello circondato da mura e torri merlate che domina quell'altipiano dell'Appia. Dopo Bonifacio il castello fu occupato dai Savelli, e nel 1314 era in potere di Giovanni de Sabello, siccome abbiamo dalla relazione del viaggio di Enrico VII, a cui era stato concesso in cauzione d'un debito che il Savelli aveva contratto con l'imperatore di 10,000 marche d'argento. È questo il documento più antico che ricorda il nome di Capo di Bove, come proprio di quella ròcca, nome tolto evidentemente dai bucranî che adornano la parte superiore del mausoleo. Quel castello fu preso ed incendiato dalle soldatesche di Enrico che lo consegnarono a Pietro fratello di Giovanni Savello. Dopo la morte di Enrico VII passò nelle mani de' Colonnesi, poi sembra che nel secolo XV fosse passato in mano degli Orsini. A destra del medesimo e presso il luogo della porta che introduceva nel castello, resta un'antica chiesa di architettura ogivale, spoglia però del tutto dei suoi ornamenti e priva di tetto: lo stile è proprio del secolo XIV; sembra che fosse dedicata a s. Niccolò. Nelle schede del Marini alla Vaticana si legge: Franciscus card. S. Mariae in Cosmedin in loco qui dicitur Caput Bovis construxit  p911 castrum cum ecclesia in honorem b. Nicolai in dioecesi Albanensi cui Bonifacius VIII concessit iura parochialia et patronatum sibi et suis successoribus.

S. Edistio

Una chiesolina a questo martire fu centro di una delle antiche domuscultae o borgate coloniche che si trovano fino dal secolo VIII istituite dai papi nell'ago romano. Sorgeva questa chiesa parrocchiale circa al XVI miglio della via, ed il papa Adriano I fu il precipuo restauratore della medesima: ma dopo quel tempo s ne perde ogni traccia.

S. Nicandro

Anche di una chiesa dedicata a s. Nicandro si fa menzione in una lettera del papa Innocenzo III, nella quale si confermano alcuni beni alla chiesa dei ss. Sergio e Bacco, e dal documento si rileva pure che sorgeva tra l'Appia e l'Ardeatina.

S. Marco

Sul cimitero di Balbina, il quale si svolge sotto le colline situate fra le vie Appia e Ardeatina, e quasi al principio del biforcamento delle due vie medesime, non lungi dalla chiesuola detta Domine quo vadis, sorgea quest'antica basilica, della quale restano ancora i ruderi sul posto. Il papa Marco fu ivi sepolto, come Silvestro e Giulio erano stati sepolti l'uno nel cimitero di Priscillo e l'altro in quello di Calepodio. Da quale matrona traesse il nome quel cimitero è ignotissimo. Nei primi anni dello scorso secolo in quel luogo fu rinvenuta l'iscrizione di un Faustino che comprò dal fossore Felice il sepolcro, non già sotterra, ma sotto una teglata (tettoia) nella basilica di Balbina, cioè di s. Marco.

Nella vita del papa Marco si legge: Constantinus Augustus obtulit basilicae quam coemeterium constituit via Ardeatina fundum rosarium cum omni agro campestri praestantem solidos XV. Afferma il De Rossi che quel fundus rosarius dato da Costantino  p912 al papa al cimitero, togliesse cotal nome dalle rose che in origine quella terra forniva ai sepolcri pagani, imperocchè è nota la rosatio come uno dei riti solenni degli anniversarî gentileschi in cui si coronavano di rose i convitati, e di rose si coprivano le ceneri e le olle dei morti, onde dies rosationis, ovvero violationis se ciò giaceasi colle viole, appellavansi quei giorni.

S. Maria in Palumbario

Fra l'ottavo e nono miglio dell'Appia nel 950 era un tenimento detto Palumbarium, nel quale si vedeva una ecclesia deserta in honore S. Mariae Dei Genitricis et cum monumento suo quod est crypta rotunda. Questo monumento rotondo ricorda il nome della chiesa presso il quale trovavasi.

Oratorio anonimo al X miglio della via Appia

Allorquando si fecero i lavori dell'Appia nuova nel punto che si congiunge all'osteria delle Fratocchia, dice il Riccy, si scoprirono gli avanzi di una antica chiesa; ma appena vi fu il tempo di vederli che furono rovinati.

Via Ardeatina

Ss. Marco e Marcelliano

Presso la via Ardeatina, fra l'oratorio di s. Sotere e la basilica dei ss. Nereo ed Achilleo, fu celebre una basilica detta dei ss. Marco e Marcelliano martiri del secolo III, che ivi furono deposti; questa basilica è ricordata in pressochè tutte le antiche topografie e nel Libro pontificale. Et ibi in altera ecclesia iuvenes duos diaconos et martyres Marcum et Marcellianum fratres germanos (sic) corpus quiescit sursum sub magno altare; così nell'itinerario salisburgense. Le vestigia di questa chiesa furono rinvenute a memoria nostra nella tenuta di Tor Marancia, durante le escavazioni ordinate dalla duchessa di Chablaise, che possedeva allora quelle campagne: ivi fu rinvenuto l'epitaffio di un quadrisomo comprato in basilica l'anno 391.

 p913  Basilica di S. Damaso

Dalle antiche topografie chiaramente si raccoglie che il gruppo monumentale appellato ad s. Damasum presso la via Ardeatina fu quasi contiguo alla basilica di Petronilla. In quel luogo s. Damaso edificò un mausoleo, nel quale egli depose la madre e la sorella, e dove preparò il luogo della sua sepoltura. Sotto quel mausoleo si apriva una cripta, che dal papa dei martiri prendea il nome. Un prezioso titoletto rinvenuto in quelle gallerie, e del quale non si tenne verun conto, dicea:

LOCVS TRISOMVS VICTORIS IN CRYPTA DAMASI

Damaso eresse quel mausoleo per sè e pei suoi in quel luogo, tra i due maggiori cimiteri romani, di fronte a quello papale di Callisto, presso quello di Domitilla, ove dormivano le primizie del Cristianesimo, perchè non volle che il riposo dei sepolti fosse turbato per cagion sua e represse il desiderio di giacere nella cripta degli antecessori suoi entro il cimitero di Callisto per riverenza e timore di molestare le ceneri dei santi: HIC (così è inciso in marmo nella cripta papale) FATEOR DAMASVS VOLVI MEA CONDERE MEMBRA; SED CINERES TIMVI SANCTOS VEXARE PIORVM.

Inutili sono state finora le ricerche e le più accurate indagini per rinvenire le tracce di quell'insigne monumento cristiano che fu la basilica di Damaso.

S. Maria Annunziata
(Nunziatella)

Sorge presso l'Ardeatina al terzo miglio della città. Fu consacrata il giorno 12 agosto dell'anno 1220 ad onore della Vergine e di tutti i santi, come dice la nota lapide di sua dedicazione. Molto probabile è l'opinione del Nibby, il quale crede la chiesa preesistente all'anno predetto e assai antica. I pellegrini dell'ultimo medio evo frequentarono quella chiesa che il Liber indulgentiarum dice sita in loco campestri, a proposito di una rivelazione quivi fatta dalla beata Vergine. Colà si giungeva dal santuario ad Aquas Salvias, poichè nel secolo XVI  p914 la visita ai precipui santuarî di Roma, oggi detta delle sette chiese, era appellata talvolta delle nove chiese, computandosi come uno il g delle tre chiese ad Aquas Salvas, ed uno quello di s. Maria Annunziata presso l'Ardeatina, alla quale conduce una via antichissima. Anche oggi nella prima domenica di maggio il popolo romano accorre in divoto pellegrinaggio a quel santuario; visita la quale, benchè degenerata in festa campestre, pure si rannoda forse per tradizione agli antichi pellegrinaggi cimiteriali. E infatti sono pochi anni che presso quella chiesetta è stato rinvenuto un piccolo ipogeo cristiano con un cubicolo adorno di assai antichi e notabili affreschi.

Annesso alla chiesa v'era un ospedale di ricovero per i pellegrini sorpresi da malore durante le loro visite ai santuarî romani. Al lato destro della chiesa, come si disse, v'è la lapide che ne ricorda la consacrazione sotto Onorio III. Nel 1640 venne ridotta alla forma presente dal card. Francesco Bernardino protettore della compagnia del Gonfalone, che possiede quel luogo. Ivi si raccoglieva anche una compagnia col nome di Disciplinati e raccomandati di Maria, una delle più antiche dell'età di mezzo, come dimostra il suo nome stesso. Negli antichi statuti del Gonfalone abbiamo che per conto della compagnia è stabilito che nella detta chiesa dell'Annuntiata il giorno della sua festività si debbia (sic) distribuire dal nostro camerlengo quaranta decine di pane fatto in pagnotte di un quatrino l'una almanco; la quale distribuzione costumavasi anche nella prima domenica di maggio, ed è ancora in uso. Nell'archivio vaticano ho trovato: Indulgentia ad decennium 100 dierum visitantibus devote ecclesiam B. M. Annunciatae in via Oratoria prope urbem ac hospitale pauperum eidem ecclesiae contiguum ac pias erogantibus eleemosynas pro sustentatione infirmorum in eodem nosocomio degentium.

Madonna del Divino Amore

Alla distanza di circa dodici chilometri dalla città, alla sinistra della via Ardeatina nella tenuta di Castel di Leva, sorge una divota chiesuola della ss. Vergine.

È fabbricata entro un antico castello coronato da torri merlate ora diruto, del secolo XIIIXIV.

 p915  L'origine del santuario è relativamente recente, perchè ebbe principio dal culto di una imagine della Vergine dipinta sopra le pareti del divoto castello, la quale fu tolta di là per causa di una grazia avvenuta nel 1740. Nel 1750 fu solennemente consacrato l'altare della chiesa ai 31 di maggio. Ogni anno in questo luogo si ricevono dagli innumerevoli divoti che vi accorrono grazie strepitose e mirabili prodigî per intercessione della Vergine.

S. Maria ad Magos

È il nome d'una chiesolina nella tenuta detta la falconiana oltre due miglia dal castello suddetto. Prende questo nome perchè dedicata ai ss. Magi, ed in questa fu la prima volta trasferita la imagine venerata di Castel di Leva prima della fabbrica della nuova chiesa. È assai antica, perchè ricordata fino dal secolo XIV. Probabilmente ebbe questo titolo dai pecorari della campagna romana e vi si raccoglieva forse la compagnia degli Affidati, prima che ottenessero in Roma la cappella in s. Maria della Consolazione, detta pure dei ss. Re Magi, ove si legge Universitas affidatorum. È noto che affidati si chiamano nel dialetto delle nostre campagne i padroni di grossi armenti o masserie.

Ss. Petronilla, Nereo ed Achilleo

Che nel cimitero di Domitilla fosse stata seppellita la celeberrima s. Petronilla unitamente ai martiri Nereo ed Achilleo lo dimostrano chiaro gli atti di quei santi, i quali in ciò dalle ultime scoperte sono dimostrati esattissimi; ivi infatti si legge: Eorum corpora rapuit Auspicius. . et in praedio Domitilla. . . . . sepelivit via Ardeatina a muro Urbis miliario uno et semis iuxta sepulcrum in quo sepulta fuerat Petronilla.

Sui sepolcri di questi tre personaggi fu ai giorni della pace eretta una basilica visitata dai topografi del secolo VII, i quali così scrivono: Iuxta viam Ardeatinam ecclesia est s. Petronillae; ivi quoque s. Nereus et Achilleus sunt et ipsa Petronilla sepulti. Cola quale indicazione vanno d'accordo tutti gli altri documenti. Ma non era questa la sola basilica eretta su quel cimitero: i topografi ne indicavano altre, onde questi dati non erano sufficienti a determinare quale delle varie basiliche fosse la scoperta. La basilica di cui parliamo fu rinvenuta nell'anno 1874 dentro la tenuta di Tor Marancia, precisamente  p916 sul margine della via delle Sette Chiese. Le tre navi in cui è divisa terminano in un vestibolo o portico quadrilungo, al quale si discendeva per una scala laterale, ove è da osservare che i gradini servirono anche per sepolcri. La sua lunghezza massima è di metri trenta, la larghezza di diciannove. Le navi erano sostenute da quattro colonne per ciascun lato e da due nel nartece, che erano probabilmente di marmo africano. Le costruzioni dimostrano ch'essa ha subìto varî restauri: il presbiterio fu elevato a livello più alto del piano originario, come se ne veggono le impronte nell'abside e nella nicchia della cattedra. È chiaro inoltre che l'edificio nel suo abbandono fu spogliato con regolarità di quanto era asportabile, rimanendo al loro posto soltanto le colonne. Le porte furono murate, lasciando appena due angusti passaggi per accedervi. Il pavimento della basilica si trova in un livello alquanto superiore al secondo piano del cimitero. In quello spazio è rimasta la maggior parte dei primitivi sepolcri; e qua e là si veggono le gallerie cimiteriali intercettate e chiuse dai muri della fabbrica coi loro luoghi e iscrizioni. Tra i varî sarcofagi ne sta al suo posto uno grandissimo del genere dei labra baccellato a spire e adorno di teste di leoni, che può giudicarsi lavoro del angioli.

Si ravvisano ancora due scale ostrutte pure dai muri che dal secondo conduceano alle vie cimiteriali del terzo piano. Il ritrovamento della parte destra dell'epigramma damasiano in onore dei ss. Nereo ed Achilleo, copiato dai visitatori del secolo VII, non lascia dubbio alcuno essere questa la basilica a quei santi dedicata. esso però fu seguìto da un altro notabilissimo frammento della stessa iscrizione con il principio degli ultimi quattro versi. Eccone l'intiero testo:

militiae nomen dederant saevvmqve gerebant

officivm pariter spectantes ivssa tyranni

praeceptis pvlsante metv servire parati

conversi fvgivnt dvcis impia castra relinqvvnt

proiicivnt clypeos phaleras telaq. crventa

confessi gavdent Christi portare trivmphos

credite per Damasvm possit qvid gloria Christi

Nella nave minore destra fu ritrovato un frammento di colonna; le cui dimensioni la fanno riconoscere per una delle quattro che sostennero il ciborio eretto sull'altare isolati dinanzi l'abside, secondo la forma antichissima delle basiliche, sotto al quale erano deposti i due ss. Nereo ed Achilleo. Il pregio di questa colonna è veramente singolare; giacchè sulla superficie ricurva a metà dell'altezza è rilevato in una cartella  p917 il supplizio d'un martire. Questi, vestito di tunica e pallio, colle braccia e le mani congiunte dietro le spalle, è legato ad un palo sormontato da legno orizzontale in forma del T (tau) celebre patibolo cruciforme. Sopra questa è eretta una corona trionfale, e un milite in tunica succinta e clamide, afferra colla destra il paziente e vibra al capo della vittima. Chi sia il martire ce lo dice il nome scritto sulla cartella:

Acillevs

Ognuno vede che questo è il nome d'uno dei due martiri. Questa colonna trova la sua gemella in un'altra, ove era scolpito il martirio di Nereo, della quale disgraziatamente non rimane che un frammento coi piedi del martire.

Nel fondo della nave destra è l'abside. Al fianco di questa s'apre un grandioso ingresso alle cripte del secondo piano del cimitero per uso degli antichi visitatori, nel cui fondo, dall'aperta campagna, scende la scala primitiva che conduceva a queste cripte e alla basilica. Appena entrati però in questa grandiosa apertura, a sinistra si vede l'arco che conduce alle cripte situate dietro l'abside della chiesa, ornate di pitture del secolo V, in mezzo alle i spicca la croce monogrammatica. È chiaro esser questo l'adito che i fedeli chiamavano INTROITVS AD MARTYRES come risulta da una lapide di un cotale Eusebio nella basilica di s. Paolo. Quivi doveva esservi qualche memoria i s. Petronilla che i topografi aveano venerato vicino al sepolcro dei ss. Nereo ed Achilleo. Essa era stata deposta in un sarcofago che nell'anno 755 fu trasferito al Vaticano per cura del pontefice Paolo I. Nè la espettazione fu vana: giacchè dietro quel punto dell'abside, dopo breve galleria, comparve un cubicolo del secolo IV, lavoro fatto appunto in quel tempo per ampliare lo spazio ai fedeli che ambivano di esser sepolti ad sanctos, o retro sanctos. In fondo al cubicolo è un arcosolio, la cui nicchia fu più tardi chiusa da muratura di rinforzo; e davanti fu situata un'arca sepolcrale per profitare dello spazio vicino ai santi.

Su quella muratura era dipinta una matrona velata e vestita d'ampia dalmatica, orante nel celeste giardino: e dall'epigrafe scritta presso il capo in lettere rosse si comprese esser quella la defunta giacente nell'arca sottoposta:

Venerand

da dep

vii idvs Ia

nvari

as

 p918  Le defunta apre le braccia in guisa che la sinistra sua si stende sul petto d'una giovanetta senza velo sul capo, atteggiata a colloquio verso la supplicante; ai piè della donzella è uno scrigno rotondo pieno di volumi; presso il capo è un libro aperto. All'uno e all'altro capo della donzella sono distribuite le lettere:

Petr o

nel la

mart

Il nome di Petronella (idiotismo in luogo di Petronilla) con l'aggiunto MARTyr, in siffatta pittura nel centro del cimitero, ove il sarcofago di s. Petronilla era celeberrimo, non abbisogna di commento. È chiaro che Veneranda giacque più o meno vicino alla tomba della santa. Da quanto si è detto adunque si ricava che i corpi dei ss. Nereo ed Achilleo furono situati nel centro dell'abside sotto l'altare sorretto dalle due colonne ove erano scolpiti i loro gloriosi martirî, e s. Petronilla era col suo sarcofago situata dietro l'abside, ove si accedeva o dal sopratterra, mediante la nobile scala scavata ivi vicino, o vi si penetrava per la basilica dall'adito che abbiamo veduto: forse il sarcofago era situato precisamente in una nicchia o apertura praticata nell'abside medesima e decorata di pitture, la quale, quando nel secolo VII vi fu tolto, venne riempita con un muro a sacco come si vede. Questa nicchia, ove, secondo tutte le probabilità, era situato il sarcofago di s. Petronilla, serviva anche di passaggio alle cripte situate dietro l'abside.

Il titolo di martyr poi concesso alla santa, è contradetto o almeno taciuto nel suo epitaffio originale e negli atti suoi, onde fa duopo spiegare tale contradizione o meglio novità, perchè la nostra santa morì infatti in pace e nel suo letto. Il De Rossi, su tale proposito, dice che questo non è un enigma inesplicabile, essendo ovvî gli esempî del titolo di martire indebitamente attribuito a personaggi che nol furono mai, come a Pudenziana, a Ciriaca, a Marco, Giulio, Damaso, Innocenzo, Bonifacio. È chiaro esser questo titolo nell'intenzione dell'artista sinonimo di santa.

Fra i settecento e più frammenti rinvenuti nella basilica è notevole uno che ricorda l'acquisto di un sepolcro fatto da un fedele nella nostra basilica, che si appella basilica noba.

Altri frammenti ricordano preti o chierici del titolo di Fasciola. Non lungi dall'epitaffio di un prete di nome Basilio ritrovasi quello di un lector de Fasciola:

hic requiesCIT PASCENTIUS LECTOR DE FASCiola
annos plus miNVS [ALT dell'immagine: missing ALT] XXI [ALT dell'immagine: missing ALT] DEPOSITUS . . . .
. . . . . CONS [ALT dell'immagine: missing ALT] DN [ALT dell'immagine: missing ALT] I

 p919  La sepoltura di varî membri del clero de Fasciola in questa basilica è fortissimo indizio per credere che il coemeterium Domitillae fosse affidato al titolo urbano di Fasciola o chiesa dei ss. Nereo ed Achilleo, situato sulla via nuova. Ed infatti in questo medesimo cimitero il Bosio rinvenne il celeberrimo sepolcro della Pollecla quae hordeu bendit de bia noba, e di là venne pure a luce il sepolcro del custode delle vesti nelle terme antoniniane: capsararius de Antonianas,º che erano presso quel titolo situate. In questa basilica il magno Gregorio tenne la famosa omilia, ove dipinse a tinte oscure e tetre il quadro spaventoso dei tempi in cui vivea, allorquando Roma e l'Italia erano in preda alla ferocia dei Longobardi, ai cui danni e rovine s'aggiungevano orrende catastrofi naturali, terremoti, pesti, diluvî:

Ubique luctus, ubique desolatio, undique percutimur, undique amaritudinibus replemur . . . . . . aliquando nos mundus delectatione sibi tenuit, nunc tantis plagis plenus est ut et ipse nos mundus mittat ad Deum.

Circa quegli anni medesimi un messo di Teodolina (il celebre abate Giovanni) regina di quei feroci e fedifraghi barbari, venne alla basilica, e raccolti in una sola ampolla gli oltreî dei sepolcri di Petronilla, Nereo ed Achilleo, e delle vicine basiliche di Damaso e Marco e Marcelliano, li portò alla regina.

Quell'ampolla anche oggi si conserva, con le altre dei romani cimiteri in Monza unita al suo pittacium di papiro indicanti i nomi dei santi. Fortunatamente del marmoreo recipiente di quegli oltreî sono venuti a luce fra le rovine varî notabili frammenti. Esso ha forma di un grande piatto munito d'alto bordo. Durante il settimo secolo pellegrini di tutte le nazioni accorreano numerosi a questa basilica a pregare divotamente sulle tombe di s. Petronilla e suoi compagni, e a quest'epoca rimontano gli itinerarî che ne fanno ricordo; ivi appunto si dice: Iuxta viam Ardeatinam ecclesia est s. Petronillae, ibi quoque ss. Nereus et Achilleus sunt et ipsa Petronilla sepulti.

Il papa Gregorio III (a. 715‑741) v'istituì l'annua stazione, come leggesi nel Libro pontificale, e rifornì la chiesa di arredi. Ecco però che al sopravvenire del 755, Astolfo e i suoi longobardi assediano la città e devastano orrendamente il suburbano di Roma e i cimiteri. Non appena fatta la pace, Paolo I conduce in Roma, come luogo più sicuro, i corpi dei santi, e fra questi Petronilla col suo sarcofago, che venne deposto a destra della basilica vaticana in una cappella o chiesa erettale in un antico mausoleo. I ss. Nereo ed Achilleo rimasero ancora al loro posto, nè sappiamo quando e da chi furono tradotti in  p920 città. Nell'anno 1213 furono deposti in s. Adriano al Foro Romano; se però fossero colà portate dalla via Ardeatina o dalla chiesa loro dedicata entro Roma, il De Rossi confessa d'ignorarlo. Nel secolo XVI il Baronio, divenuto titolare di questa, ottenne da Clemente VIII che quelle reliquie fossero trasportate al suo titolo.

Magnifica fu la pompa trionfale passando sotto gli archi dei Flavî imperatori per onorare la memoria dell'augusta martire Flavia Domitilla, parente di Vespasiano e di Tito. Dal secolo VIII fino a noi la storia dell'edificio è muta. Il De Rossi si propone i quesiti seguenti: quando e come fu essa abbandonata? Dall'esame del monumento risulta che essa fu regolarmente spogliata e chiusa. La porta in fondo alla nave rimase murata; dell'altare, sedili, amboni non rimane vestigio.

Nella vita di Leone III (a. 795‑816) si leggono le cose seguenti: Hic praeclarus pontifex conspiciens ecclesiam beatorum martyrum Nerei et Achillei prae nimia iam vetustate, deficere atque aquarum inundantia repleri, iuxta eandem ecclesiam noviter a fundamentis in loco superiore ecclesiam construxit mirae magnitudinis et pulcritudinis decoratam.

Il De Rossi congettura, che questo testo, fin qui creduto riferibile all'urbana, appartenga piuttosto a questa suburbana basilica dei ss. Nereo ed Achilleo. Infatti a questa del cimitero di Domitilla conviene per la sua profondità il pericolo anche oggi di essere inondata dalle acque, e noi lo abbiamo ia veduto cogli occhi nostri, e non a quella della via Nova alle terme antoniniane.

Ss. Isidoro ed Eurosia

Tra la lunghissima via delle Sette Chiese che divide la basilica di s. Paolo da quella di s. Sebastiano, ad un chilometro da s. Paolo incontrasi la chiesa rurale dei ss. Isidoro ed Eurosia. È situata nel sito detto via Paradisi, come leggesi in una lapide in marmo bianco, a lettere dipinte a minio, posta nella parte meridionale della chiesa lungo la strada tra due medaglioni in marmo bianco, ove a rilievo in uno è scolpito s. Carlo Borromeo e nell'altro s. Filippo Neri, in memoria dell'incontro avvenuto tra i due santi in una visita che ambedue facevano delle Sette Chiese; e perciò, quando in oggi qualche associazione si porta a questa divota visita, quivi fa sosta col canto delle litanie de' santi e per tre volte in tono solenne ripete: Sancte Philippe, ora pro nobis.

 p921  Venendo da s. Paolo, molto prima di giungere alla chiesa, si scorge in alto nella parte occidentale della medesima in un finestrone chiuso la seguente iscrizione in caratteri neri su striscie rosse in fondo azzurro:

OMNIA VANITAS
PRAETER AMARE DEVM
ET ILLI SOLI SERVIRE

L'esterno della chiesa è formato da un portico e da un'area a forma di triangolo, di un palmo superiore al livello stradale; nel mezzo di detta area si eleva una colonna di granito rosso sopra base di travertino e marmo bianco; la colonna è sormontata da un capitello di stile ionico, sopra il quale è un busto in marmo rappresentante la b. Vergine con corona di stelle. Il portico è a tre arcate di prospetto, una grande nel mezzo e due piccoli ai lati, e ad un'arcata di fianco. L'esterno termina a timpano sormontato dalla croce e da due vasi in travertino a fiamme. Nello specchio si legge:

DIVIS
ISIDORO ET EUROSIAE
DICATUM
RURALIS
VICINIAE
ET SANCTAS BASILICAS OBEUNTIUM COMMODITATI
NICOLAUS MARIA DE NICOLAIS FECIT ANNO MDCCCXVIII

Da questa iscrizione si conosce subito la data di fondazione e il patrono. Il fondatore dunque fu mons. Niccolò Maria Nicolai uno dei più eminenti prelati della Curia Romana al principio di questo secolo. Nel portico si ammirano tre bozzetti a rilievo in gesso, ritenuti opera del Canova: il pro rappresenta la Vergine col Bambino e s. Giovanni Battista, il secondo il Salvatore che accoglie tra le braccia i fanciulli, ed il terzo s. Giovanni Battista che battezza Gesù Cristo.

In una finestrella esistente nel portico, ed ora chiusa, è stata posta la seguente iscrizione:

SENENZE DI S. FILIPPO NERI
SARAI. . . SARAI. . . E POI?
E POI TUTTO PASSA
PARADISO! PARADISO!

Sopra il rilievo in gesso del battesimo di Cristo, a finta iscrizione lapidaria, venne scritto:

CREDO
CARNIS RESVRRECTIONEM
VITAM AETERNAM AMEN.

 p922  Ai lati poi del rilievo in gesso, in due tavole di pavonazzetto, vi sono due iscrizioni, una latina, l'altra italiana:

FIDE DEO · SAEPE PRECES · PECCARE CAVETO ·

SIS HVMILIS · PACEM DILIGE · MAGNA FVGE ·
MVLTA AVDI · DIC PAVCA · TACE SECRETA · MINORI

PARCITO · MAIORI CREDITO · FERTO PAREM ·
PROPRIA FAC · NON DIFFER OPVS · SIS AEQVVS EGENO

PACTA TVERE · PATI DISCE · MEMENTO MORÌ ·

CONFIDA IN DIO · SPESSO FA A LUI PREGHIERE ·

FUGGI IL PECCATO ASSAI PIÙ DELLE FIERE ·
UMILE SII · LA PACE A CUOR TI SIA ·

NON ABRI DI GRAN COSE FANTASIA ·
ASCOLTA TUTTO · PARLA POCO E IN PETTO

IL SECRETO RACCHIUDI · AL POVERETTO
PERDONA ED AL MAGGIOR SUBITO CEDI ·

E SOFFRI QUELLI CHE A QUESTE EGUALI VEDI ·
FA IL TUO DOVER · NON ESSER NEGLIGENTE ·

UMANO E GIUSTO SII coll'INDIGENTE ·
I PATTI OSSERVA BEN · SAPPI PATIRE ·

E TIEN FISSO IN PENSIER CHE DEVI MORIRE ·

Nella parete esterna della chiesa, al di sopra del portico, nel mezzo a traforo vi è dipinto il monogramma di Cristo con le iniziali Α  Ω, e ai lati gli stemmi di mons. Nicolai, primo patrono e del p. Generoso Calenzio dell'Oratorio ultimo patrono, che vi profuse tutto il suo particolare peculio per redimere questa chiesetta, acciocchè non venisse profanata ad usi servili; ed oltre al ristorarla, l'ha ancora arricchita di quanto può abbisognare per il culto. L'acquisto venne fatto in atti Monti del 12 giugno 1889 e la notte del santo Natale di detto anno venne riaperta al pubblico.

Nella porta d'ingresso dalla parte esterna è dipinto lo stemma di mons. Nicolai e la scritta:

CREDO
VNAM SANCTAM CATHOLICAM
ET APOSTOLICAM ECCLESIAM

Nella parte interna lo stemma del p. Generoso Calenzio colla scritta:

DOMVS MEA
DOMVS ORATIONIS VOCABITVR

Come si è passato il bussolone, si presenta la chiesa di assai vaghe forme. Ha una superficie di metri quadrati sessanta,  p923 il pavimento è a riquadri in ardesia e marmo bianco; sopra alla bussola o porta d'ingresso ha una cantoria a balaustri in legno, il soffitto è a camera-canna con lo Spirito Santo nel centro; ha quattro finestre, due delle quali senza luce, e sotto ciascuna finestra vi sono delle iscrizioni. La prima dalla parte dell'Evangelio è questa:

ANNO REPARATAE SALUTIS CIↃIↃCCCXXI IDIBUS MAI
AD GLORIAM OMNIPOTENTIS DEI
ET HONOREM SS. ISIDORI CONF. ET EVROSIAE V. M.
V. E. HANNIBAL DE GENGA CARD.
ARCHIEPISCOPUS TYRI
ET SUMMI PONTIFICIS IN URBE VICARIUS
HANC AEDEM RITU SACRAE LUSTRATIONIS
DEDICAVIT

La seconda dalla medesima parte dice:

QUAERITE ERGO PRIMUM REGNUM DEI
ET IUSTITIAM EIUS ET HAEC OMNIA
ADIICIENTUR VOBIS

MATTH. VI. XXXIII.

La prima verso l'Epistola è la seguente:

DIVIS ISIDORO SANCTITATIS RUSTICAE EXEMPLO
ET EVROSIAE VIRG.  . MARTYRI TEMPESTATUM POTENTI
HANC AEDEM IN SVO FVNDO EXTRUXIT ET INDIDEM DOTAVIT
ANNUO REDITU SC. LSSSVIII AD SARCTA TECTA ET SUPELLECTILEM
ET SACRUM PRO EXPIATIONE ANIM. SVORUM PARENT. AC PROPRIAE
DIEBUS FESTIS FACIENDUM A PRESB. MUTABILI HER. PATRON. NUTU
NICOLAUS MARIA DE NICOLAIS
HAEC PLANIUS E TABULARIO AUDENTII NOT. VIC. IV IDUS MAII
ATQUE E REGESTRIS PUBLICIS XII KAL. IUNII CIↃIↃCCCXXII

La quale rendita di dotazione e culto, per le attuali vicende, è ora perduta. La seconda, dalla parte dell'Epistola, è questa:

SI IN PRAECEPTIS MEIS AMBULAVERITIS
ET MANDATA MEA CUSTODIERITIS ET FECERITIS EA
DABO VOBIS PLUVIAS TEMPORIBUS SUIS
ET TERRA GIGNET GERMEN SUUM
ET POMIS ARBORES REPLEBUNTUR
APPENDET MESSIUM TRITURA VINDEMIAM
ET VINDEMIA OCCUPABIT SEMENTEM
ET COMEDETIS PANEM VESTRUM IN SATURITATE

LEVIT. XXVI. III. IV. V.

L'unico altare è di marmo a varî colori molto bene armonizzanti tra loro: ha due fiancate e due gradini per i candelieri;  p924 gode del privilegio perpetuo per i vivi e defunti. Il quadro in tela è opera del Camuccini. Rappresenta in alto Maria ssm̃a col Bambino in braccio attorniata da cherubini, circondata da nubi; in basso s. Benedetto abate e s. Isidoro, e dall'altro s. Eurosia. A sinistra di s. Eurosia scorgesi come in lontananza un castello percosso dal fulmine, per essere la santa protettrice contro i temporali, e nel mezzo tra s. Eurosia e ss. Isidoro e Benedetto, e proprio sotto la Madonna, anche questo come in lontananza, viene rappresentata la visione del padrone di s. Isidoro, cioè i buoi guidati dall'angelo in luogo del santo. Il quadro è di buon colorito e di eccellente panneggiamento.

All'epoca in cui il nuovo patrono p. Generoso Calenzio ne fece l'acquisto, la chiesa trovavasi ridotta a mal partito; egli, come si disse, ne compì il restauro, procurando di mantenersi fedele per quanto fosse possibile così all'antico disegno come all'antiche tinte. La chiesa è ricca di reliquie, tra le quali se ne conservano d'insigni ed avvenne un catalogo in un quadro, che venne solennemente letto dal nuovo patrono il giorno 24 aprile 1890 nella circostanza della visita fatta a questa chiesa dal Collegium Cultorum Martyrum per le Sette Chiese. Sotto la terza lapide vi è un andito per passare in sacrestia; questa è di forma trapeziale, ben corredata di tutto l'occorrente: in un angolo della quale ammirasi il busto di mons. Nicolai.

Nel sistemare il soffitto della sacrestia, per essere tutto guasto, vennero trovati parecchi mattoni bollati e due frammenti d'iscrizioni, una cristiana e l'altra pagana; e il tutto venne collocato nel locale annesso.

Ecco le iscrizioni:

VICT . D .
VI . X C . IVLIVS
MI VS . ET . GAL

Sono ancora collocati in un muro della scala dei frammenti di sarcofagi e due vecchi capitelli.

Nella sagrestia è stata testè murata un'altra iscrizione che una volta decorava la gran sala del palazzo Nicolai ivi prossimo:

IX · KALENDAS · NOVEMBRIS · CIXXXCCCXXIV ·
· SS · DN · LEO · XII · PONTIFEX · MAXIMUS ·
· REVERTENS · AB · INSPECTIS · IUSSISQUE · REFICI · TEMPLIS · AD · AQUAS · SALVIAS ·
· QUALESCUMQUE · HASCE · AEDES · SUMPTO · FRUGI · FERCULO · IN · HOC · TRICLINIO ·
· AUGUSTA · SUA · PRAESENTIA · DIGNATUS · EST ·
· NICOLAUS · M · DE · NICOLAIS · ANNONAE · PRAEFECTUS ·
· NE · TAM · BENIGNAM · ERGA · SE · OPTIMI · PRINCIPIS · VOLUNTATEM ·
· OBLIVIO · APUD · SUOS · POSTEROS · UNQUAM · DELEAT · M · P ·


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