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Le Chiese di Roma nel Medio Evo

di Christian Hülsen

pubblicato da Leo S. Olschki
Firenze
MCMXXVII

Il testo è nel pubblico dominio.

seguente:

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avanti

 p408  — S. PACERAE DE MILITIIS v. S. Abbacyri de Militiis.

— Titulus PAMMACHII v. S. Johannis et Pauli.

 p409  I Na

P1. S. PANCRATII (via Aurelia)

Cenc. 58 (monasterium S. P.): sol. II — Paris. 346 Taur. 402 (monasterium S. P.): habet XXXV moniales ordinis Cistercien(sium) — Sign. 358, rel. 99.

Antichissima basilica, fondata da papa Simmaco (498‑514; LP. LIII c. 8), restaurata da Onorio I (625‑638), come attestava una iscrizione, ora perduta, nell'abside ( Muratori Thes. Inscr. 1886 n. 4; De Rossi IChr. II, 1 p. 24 n. 156). Il monastero fu costituito nel 594 da Gregorio Magno (epist. IV, 18; Jaffé-Ewald n. 1290): esso viene chiamato monasterium S. Victoris apud S. Pancratium (LP. XCVII, Adriano I, 772‑795, c. 73; XCVIII, Leone III, 795‑814, c. 77) oppure S. Victoris et Pancratii (documento del 18. febbraio 1018 presso Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 450 n. 8) è ricordato fra le venti abbazie di Roma (sopra p. 128). Nel 1255, il monastero venne assegnato alle mulieres poenitentes. . . . sub habitu et observantia Cisterciensium (bolla di Alessandro IV del 1. dicembre, Bourel de la Roncière p. 265 n. 895; v. sopra p. 346 s.v. S. Mariae in Minerva). La basilica esiste tuttora sulla Via Aurelia.

Del Sodo Vallicell. f. 69 v., Vatic. p. 292; Ugonio Stazioni 317; Panciroli 1 640 2 568; Lonigo Barb. f. 45, Vallicell. f. 65 v.; Martinelli 265; Lubin 341; Paulinus a S. Bartholomaeo de basilica S. Pancrati (Romae 1803); Nibby 569; Forcella XI p. 371‑382; Armellini 1 766 2 951; Kehr IP. I p. 176; Angeli 438; Calvi Bibliografia 104; Marucchi 2 495.

 p2 

P2. S. PANCRATII IN LATERANO

Paris. 347.

Antichissimo monastero, menzionato già da S. Gregorio Magno (dial. lib. II, prooem.; cf. Duchesne LP. II p. 43 not. 80), e più volte nelle biografie dei papi dei sec. VII e IX (LP. XCII, Gregor. III, 731‑741 c. 10: S. Iohannis Evangelistae, S. Iohannis Baptistae et S. Pancratii; XCVII, Adriano I, 772‑795, c. 68; XCVIII, Leone III, 795‑814, c. 56: monasterium S. P. situm post basilicum Salvatoris quae appellatur Costantiniana; c. 76: monasterium S. P. qui ponitur iuxta basilicam Salvatoris, cf. sopra p. 8 n. 72; CLXIIII, Onorio II, 1124‑1130, dopo la menzione della basilica beati Iohannis: aeclesia quae Sancti Pancratii dicitur). Nella bolla di Benedetto IX del 1033 per Silva Candida (Ughelli Italia Sacra I p. 104; Kehr IP. II p. 26 n. 5) si ricorda una terra posseduta dal monastero nei pressi della basilica e del palazzo Lateranense. Secondo Giovanni  p410 Diacono (Mabillon Museum Ital. II.560 sg.; Migne PL. CXCIV p. 1543 sg.), papa Innocenzo II (1130‑1143) consacrò un altare ai SS. Crisanto e Daria in ecclesia S. Mariae et S. Pancratii, quae est in dextro latere basilicae. Il Grimaldi (presso Martinelli), il Severano ed altri affermano che il sito corrisponde all'antica sagrestia della basilica Lateranense. Infra ecclesiam Sancti Pangratii Lateran. è scritto un istrumento del 16. novembre 1227, riferito dal Crescimbeni S. Gio. avanti Porta Latina p. 301. Questa è l'ultima menzione che ne ho trovata; non si conosce l'epoca della distruzione: forse crollò nel grande incendio del Laterano l'a. 1308.

Lonigo Barb. f. 45, Vallicell. f. 65 v.; Severano Sette Chiese 530 sg.; Cancellieri de secretariis II p. 1599 sg.; Armellini 1 495 2 106; Duchesne LP. II p. 43 not. 80; Kehr IP. I p. 32.

 p3 

P3. S. PANTALEONIS (extra portam Portuensem)

Taur. 236: non habet servitorem.

Questa chiesuola, annoverata fra S. Laurentii de Porta (Portuensi) e SS. Cyri et Johannis (S. Passera, v. sopra p. 246 n. 32), si dovrebbe cercare presso la località tuttora chiamata Pozzo Pantaleo (Tomassetti Arch. soc. romana XXII, 1899, p. 458 sg.), ma nulla si sa di preciso sul sito e sulle sue vicende. Può essere che un luogo della bolla di Callisto II del 7. giugno 1123 per S. Maria in Trastevere (Kehr IP. p. 179 n. 4; sopra p. 135), ove si annoverano fra le pedicae terrae concedute alla basilica una apud S. Pantaleonem, una in Rosaro, stia in relazione con essa (v. Tomassetti l.c.).

I II Ge

P4. S. PANTALEONIS IUXTA FLUMEN

Taur. 323: habet I servitorem. — Sign. 3 (senza cognome).

Chiesuola annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 14: S. P. affinem). Invece, una bolla di Onorio III (che ne cita una precedente d'Innocenzo III) del 21. maggio 1218 (Adinolfi Canale di Ponte p. 78 sg.; Pressutti I p. 216 n. 308) la sottopone alla chiesa di S. Celso e Giuliano. L'Adinolfi p. 61 asserisce che "in un'antica lapide (della chiesa) stava scritto: Thomas abbas et frater eius Andreas fecerunt | fieri hanc ecclesiam sub anno | domini MCCCXLIIII", ciò che sarebbe da intendere di un restauro. Leone X, con bolla del 29 gennaio 1519, la concedette alla Compagnia della Pietà  p411 dei Fiorentini, la quale fece abbattere la vecchia chiesa e costruire in suo luogo la splendida basilica di S. Giovanni dei Fiorentini. — Se il presbyter Ioantha S. Pantaleonis, che apparisce in una bolla di Lucio III (1181‑1185) fra i rectores Romanae fraternitatis (Kehr IP. I p. 14 n. 25), appartenga a questa chiesa, oppure ad una dedicata allo stesso santo patrono, non saprei dire.

Del Sodo Vallicell. f. 113 v., Vatic. p. 122 (s. Gio. Battista de' Fiorentini, già S. Pantaleone); Panciroli 1‑2493; Lonigo Barb. f. 45 v., Vallicell. f. 66; Martinelli 384; Ciampini de Vicecancellario p. 187; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 304 sg.; Adinolfi Canale di Ponte 60; Armellini 1 498 2 354; Spezi Bull. arch. comunale 1906, 270‑287.

II Hh

P5. S. PANTALEONIS DE PARIONE ovvero DE PRETECAROLIS

Cenc. 256 (senza cognome): den. VI — Paris. 240 (de Parione) — Taur. 134 (de Parione): habet sacerdotem et clericum — Sign. 93 (de Parionis), rel. 64 (de Parione).

Chiesa annoverata fra le filiali du S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 42) sotto il nome S. Pantaleonis de Pretecarolis, del quale non saprei spiegare l'origine: mi pare che la prima parte equivalga piuttosto a pietra (cf. nomi come pretadelipesci) che a prete. Restaurata più volte nei sec. XV, XVII e XIX esiste tuttora sul Corso Vittorio-Emanuele. Si noti che le due iscrizioni presso Forcella IV p. 545 n. 1311 e 546 n. 1312, dalle quali l'editore conchiude che la nostra Chiesa esisteva già nel 1113 e fu restaurata nel 1201 dalla nobile matrona Aldruda, in verità appartengono alla chiesa di S. Pantaleo trium clibanorum (v. l'articolo seguente). L'asserto ch'essa fu fondata da Onorio III nel 1216, ripetuto sull'autorità del Panciroli da parecchi scrittori, proviene da una erronea interpretazione della bolla di quel papa citata sopra per S. Pantaleo iuxta flumen. Una contesa fra S. Lorenzo in Damaso e S. Eustachio, relativa a questa chiesa, fu decisa da Gregorio IX con bolla del 9. aprile 1231 (Potthast 8702; Auvray I p. 406 n. 635). Se la chiesa annoverata da Cencio sia questa o S. Pantaleonis iuxta flumen, non lo decido.

Del Sodo Vallicell. f. 98, Vatic. p. 293 (S. P. a Pasquino), Panciroli 1 646, 2 787; Lonigo Barb. f. 45 v., Vallicell. f. 66 v.; Martinelli 267; Ciampini de Vicecancellario 188; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 358; Nibby 572; Adinolfi Via Sacra 26‑33; Forcella IV 541‑552, XIII p. 368‑373; Armellini 1 498 2 378; Spezi bull. comun. 1906 p. 298‑307; Angeli 440; Calvi Bibliografia 104. • Titi 134‑135.

 p412  II Ko

P6. S. PANTALEONIS TRIUM CLIBANORUM ovvero TRIUM FORNORUM

Cenc. 139 (trium clibanorum: den. VI — Paris. 291 (trium fornorum) — Taur. 201 (senza cognome): habet I sacerdotem — Sign. 280 (senza cognome).

Chiesuola già esistente nel 1113, come dimostra una iscrizione tuttora visibile diet l'altare maggiore (Martinelli p. 268; Forcella XI p. 177 n. 704; Adinolfi p. 70; Armellini 144), secondo la quale il giorno 1. marzo di quell'anno fu dedicato un altare in honorem dni. nri Iesu Xi. et b. Mariae semper virginis et b. Petri et S. Iohis. Bapte. atque Evangelistae et omnium apostolorum et sanctorum martyrum Sebastiani et Pantaleonis. In un'altra epigrafe ora perduta, ma di cui si conserva l'apografo di Benedetto Mellini (cod. Vat. lat. 11905 f. 119; Armellini 2 145), Alessandro III il 23. dicembre 1260 conferma la dedica fatta dal suo predecessore Pasquale II "propriis manibus" ed aggiunge nuovi privleg. In questa epigrafe la chiesa sarebbe detta S. Pantaleonis in tribus foris; ma siccome il Mellini nota che il testa era "in lettere pessimamente abbreviate", è facile la congettura che sulla lapide fosse scritto invece in tribus fornis. Nei Liber Anniversariorum e nei cataloghi dei sec. XV e XVI viene chiamata o S. P. in Montibus, nelli mti (p. 59 n. 71, p. 68 n. 37, p. 85 n. 175, p. 95 n. 253, p. 107 n. 22), oppure semplicemente S. Pantaleo (p. 53 n. 11, p. 70 n. 47, p. 97 n. 39). Il Bufalini (fogl. NO) appone il nome erroneamente alla chiesa di SS. Sergio e Bacco in Callinico. Nel 1748 la chiesa fu concessa da papa Benedetto XIV all'Arciconfraternita della Beata Vergine del Buon Consiglio: e con questo nome esiste tuttora nei pressi della Via Cavour, là dove comincia la salita di s. Pietro in Vincoli.

Del Sodo Vallicell. f. 98, Vatic. p. 293 (S. Pantaleone ai Monti); Panciroli 1 644 2 191; Lonigo Barb. f. 45 v.; Vallicell. f. 66 v.; Benedetto Mellini Vat. 11905 f. 118‑120; Martinelli 267; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 427‑430 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 302‑303 (lat.), vol. 6 (to. V) f. 56‑59 (= lib. VII c. 13); Adinolfi II p. 69‑71; Forcella XI p. 473‑480; Armellini 1 495 2 143. • Titi 233.

I Lq

P7. S. PASTORIS

Paris. 332 Taur. 182: habet I sacerdotem — Sign. 249.

Chiesa che, secondo l'ordine topografico dei cataloghi, si deve cercare nei pressi di S. Clemente. La medesima località pare sia indicata  p413 già in un documento del 20. giugno 1011 dell'archivio di S. Gregorio ad clivum Scauri (Mittarelli Ann. Camaldulens. I app. p. 196 n. 84), che si riferisce alla conductio domus posita Romae regione tertia in locum qui vocatur Sancto Pastore, sive arcum pietatis. Nell'inventario dei beni di S. Giovanni in Laterano, compilato da Niccolò Francipani sotto Bonifacio VIII (Crescimbeni S. Gio. avanti Porta Latina p. 204 cf. 169) è ricordata una domus ante ecclesiam S. Pastoris, quam nunc tenet Iohannes Andrea de Via Maiori. Nel catasto del Salvatore, citato dall'Adinolfi, sotto l'anno 1462 si menziona la ecclesia S. Pastoris prope S. Clementem, de qua non restat nisi pars tribunae. Il catalogo di S. Pio V (sopra p. 98 n. 85) registra: S. Pastore dentro S. Clemente. Ora non ne resta più traccia. Quanto al santo patrono, si osservi che l'oratorium b. Pastoris in S. Pietro non era altro che una cappella dedicata al principe degli apostoli (v. Duchesne LP. II p. 136 not. 31).

Ugonio Stazioni 165; Martinelli 384; Adinolfi Via Maggiore 112, Roma II p. 317; Gatti Annali dell'Istituto 1882 p. 203; Armellini 1 501 2 135.

II Kk

P8. S. PATERMUTI

Cenc. 187 (S. Patrimot'): den. VI — Paris. 341 (S. Patris Muthi) — Taur. 352 (S. Patermutii): habet I sacerdotem — Sign. 39 (S. Patrimoti).

Questa chiesuola era dedicata ai santi greci Muzio Coppete ed Alessandro (AA. SS. Iul. 9 vol. II p701); ma generalmente fu chiamata soltanto col nome del primo, sancti Patris Mutti. È annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 32: il nome è corrotto in S. Patermiverii). L'Armellini accenna a parecchi documenti degli anni 1306‑1308, esistiti nell'archivio di S. Anna (S. Mariae in Iulia) citati dal Garampi (schede dell'Archivio Vaticano), ove si ricorda un Petrus Simeon S. Patremotii Romanae fraternitatis rector; e cita pure un censuale della basilica Vaticana del 1393, in cui la chiesa si dice Sanctus Patremotius. È ricordata pure nei Liber Anniversariorum (sopra p. 57 n. 125: S. Patris et Mutii; p. 66 n. 122: S. Patre et Mutio in mercatiello), nel catalogo del 1492 p. 75 n. 180: S. Patrimodis), nella Tassa di Pio IV (sopra p. 92 n. 163: San Muti et Cupi) e dall'Anonimo Spagnuolo (p. 108 n. 86: S. Mutio y Cuppi). Nel sec. XV era di giuspadronato della famiglia Boccapaduli, della mente parecchi membri furono ivi sepelliti (Bicci Famiglia Boccapaduli 37. 39. 48. 69. 81). Nel testamento di Giannantonio Boccapaduli del 24. luglio 1454 (Bicci p. 611) è detta ecclesia sanctorum Patris moti; in un atto di  p414 vendita del 13. marzo 1456 (ivi p. 615) sanctorum patris mutii; un atto di locazione del 13. luglio 1542 (ivi p. 655) è stipulato da Iohannes Gabriel de Plano. . . . rector ecclesiae sanctorum Mutii et Copis regionis Sancti Angeli in loco mercatello. Un documento del 4. luglio 1532 citato dal Lanciani Stor. degli scavi IV p. 18 (dagli atti del notaro d'Amboys) menziona duas domos simul iunctas sitas in platea vulgariter appellata Piazza Mercatello prope ecclesiam vulgariter appellatam Santo Patremutio et Copse. Finalmente anche l'iscrizione di una campana della chiesa, fatta nel 1538 (Bicci p. 22) la chiama ecclesia Sanctorum Patrismutii et Copis in Foro Mercatelli. La pianta di Bartolomeo dei Rocchi (Uffizj 4206) dimostra che il "Mercatello" corrisponde alla "Piazza delle Scuole" di tempo più recenti. Secondo alcune note manoscritte dell'archivio di S. Lorenzo in Damaso citate dal Fonseca, sarebbe stata situata in ingressu regionis Hebraeorum prope portam vergentem ad plateam Iudaeorum. La chiesa fu distrutta nel 1558, quando per ordine di Paolo IV fu fatto il nuovo serraglio degli Ebrei, come attestano i Collectane de ecclesiis Urbis già nell'Archivio Vaticano (Misc. arm. VI vol. 72, ora cod. Vat. lat. 11910 f. 94): la cura fu trasferita alla vicina chiesa di S. Angelo in Pescheria (cf. il catalogo di Pio V sopra p. 103 n. 239: S. Pre. Mutio, la qual cura sta in S. Angelo).

Lonigo Barb. f. 46, Vallicell. f. 66 v. (da Cencio); Martinelli 377; Ciampini de Vicecancellario p. 188; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 342; Bicci Notizie della famiglia Boccapaduli (Roma 1762) 21‑23; Armellini 1 466 2 571.

II Kh

P9. S. PAULI DE ARENULA

Cenc. 282 (de Areola) den. VI, id. lit. 48 (cappella S. Pauli de Areola): den. VI — Paris. 119 (Aureule) — Taur. 345: habet I sacerdotem — Sign. 27.

Chiesuola annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 25: de Arenula). Viene ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 56 n. 84: de Arenula p. 61 n. 73, p. 65 n. 88: della Regola), nei cataloghi del 1492 (p. 75 n. 184: in acie), del 1555 (sopra p. 85 n. 178) e d S. Pio V (sopra p. 101 n. 177). La Tassa di Pio IV (sopra p. 93 n. 184) la chiama S. Paulo et Cesareo nel rione della Regola. La vicina chiesa di S. Cesareo (v. sopra p. 230 n. 9) fu unita ad essa circa quei tempi (nel 1572 secondo il Martinelli). Anche la lapide del 1096 ora murata nell'altare maggiore (Forcella IV p. 517 n. 1265), probabilmente fu allora  p415 trasportata da quell'ultima. Esiste tuttora sotto il nome di S. Paolino alla Regola. Non so quale autorità abbia il nome S. Pauli sub patarinis che l'Armellini cita dal Torrigio (Grotte Vaticane p. 353).

Del Sodo Vallicell. f. 122, Vatic. p. 291; Panciroli 1 661 2 749; Lonigo Barb. f. 46, Vallicell. f. 67; Martinelli 270. 384; Ciampini de Vicecancellario p. 190; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 330; Nibby 576; Forcella IV p. 513‑527; Armellini 1 499 2 397; Angeli 440; Calvi Bibliografia 102. • Titi 99‑100.

 p10 

P10. S. PAULI IUXTA S. BIBIANAM

Il biografo di Leone II (682‑684; LP. LXXXII c. 5) racconta che quel papa fecit ecclesiam iuxta Sanctam Vibianam ubi et corpora sanctorum Simplicii, Faustini, Beatricis atque aliorum martyrum condidit, atque ad nomen beati Pauli dedicavit sub die XXII mens. Februar. Il Bosio (Roma sotterranea lib. II c. 20) nota che accanto alla stessa basilica di S. Bibiana si vedevano le rovine di una chiesa, ed in queste rovine si leggeva una iscrizione (ora perduta che cominciava: Anno dni. . . . mense Octobris | dedicationem huius ecclesiae scorum. martyrum | Simplicii Faustini et Beatricis ad cimiterium | Ursi Pileati iuxta formam Claudii ante portam | Taurinam quod primus Leo papa max. devoti|one. . . . fecit. (cf. lib. III c. 66 p. 85 e l'iscrizione del sec. XIII Forcella XI n. 113 n. 228). Sulle medesime rovine e l'iscrizione ragiona pure Benedetto Mellini (Antichità di Roma, Vatic. lat. 11905 p. 176‑178 pubblicato dall'Armellini 2 804). Pare che sia stata distrutta prima del sec. XII.

Lonigo Barb. f. 46, Vallicell. f. 66 (dal Lib. Pont.); Martinelli 384; Adinolfi I p. 286; Armellini 1 298 2 807; Duchesne al LP. I p. 361 n. 9.

P11. S. PAULI (via Ostiensi)

Paris. 118 (maior) — Taur. 318: est patriarchalis, habet abbatem I, monachos XL, computatis qui sunt in castris — Sign. 349, rel. 3.

Già nel sec. terzo, al primo miglio della Via Ostiense, sorgeva una chiesuola come memoria dell'apostolo ivi sepolto: essa aveva la fronte verso la via Ostiense (Stevenson Nuovo Bull. crist. 1897 p. 319 sg.). In suo luogo, Costantino eresse una basilica (LP. XXXIIII vita Silvestri c. 21), la quale poi da Valentiniano III (Coll. Avellana p. 46 ed. Guenther), Onorio e Teodosio fu trasformata in quell'edificio monumentale  p416 che ha la fronte verso il fiume. — Sul castrum (S. Pauli) v. sopra p. 325 n. 30.

Panvinius de septem ecclesiis p. 67 sg.; Ugonio stazioni f. 227 sg.; Del Sodo Vallicell. f. 21 v.-35 v., Vatic. p. 283‑291; Panciroli 1 652 2 653; Lonigo Barb. f. 46, Vallicell. f. 67; Severano Sette Chiese 385; Martinelli 270; Lubin 341; Nicolai della basilica di S. Paolo (Roma 1815); Nibby 577 sg.; Forcella XII p. 1‑33; Armellini 1 744 2 928; Calvi 442 sg.; Kehr IP. I p. 164 sg.; Calvi Bibliografia 105‑108; Marucchi 2 135; Wilpert Mosaiken und Malereien II p. 548‑630. • Titi 65 Lanciani, Pagan and Christian Rome 150.

II Kf

P12. S. PEREGRINI

Cenc. 69: den. VI — Paris. 320 Taur. 102: habet I sacerdotem — Sign. 203.

Le origini di questa chiesuola rimontano al sec. VIII: ciò si rileva tanto da parecchi passi del Liber Pontificalis (XCVIII, Leo III c. 80. 81: oratorium S. P. quod ponitur in hospitale domestico ad naumachiam; ivi Che. Paschalis I, 817‑824 c. 18: hospitale S. P. positum ad beatum Petrum apostolum in loco qui Naumachia vocatur) quanto dai resti monumentali portati alla luce dai recenti scavi eseguiti da Mons. de Waal di ch. m. (Römische Quartalschrift 1889, 386‑390). Fu concessa da Pasquale I al monastero di S. Cecilia in Trastevere, da Leone IX al monastero di S. Stefano maggiore (bolla del 24. marzo 1053, Bullar. Vatic. I p. 29; Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 467 n. 17; Kehr IP. I p. 147 n. 6). Un documento del 1030 nell'archivio di S. Maria in Via Lata (Hartmann Tabularium p. 69 n. 55) ricorda un terreno foris portam b. Petri apostoli non longe a muris civitatis Leonianae supra ecclesiam S. Peregrini. Dal sec. XIII in poi appartenne al Capitolo Vaticano, che la restaurò nel 1590: ed in questa forma esiste tuttora nella Via della Cancellata, sotto i muraglioni vaticani.

Panciroli 1 698 2 515; Severano Sette Chiese 11; Lonigo Barb. f. 46, Vallicell. f. 67 v.; Martinelli 279; Alveri Roma in ogni stato II p. 121; Cancellieri de secretariis II p. 933 sg.; Nibby 586; Forcella VI p. 247‑261; Armellini 1 501 2 786; Duchesne al LP. II p. 47; Huelsen Dissert. dell'Accademia Pontificia Ser. II vol. 7 p. 375; Kehr IP. I p. 153; A. Naef Anzeiger für schweizer. Altertumskunde NF. XIII, 191, fasc. 2.

P13. S. PETRI IN (H)ORREA

Cenc. 147 (de orrea): den. VI — Paris. 117.

Chiesuola con annesso monastero già mentovata nel sec. X. Una carta del 25. aprile 901 nel Regestum Sublacense (p. 179 n. 129 ed.  p417 Allodi e Levi) ricorda un Benedictus humilis presbyter et monachus. . . . venerabilis monasterii S. Dei genetricis Mariae et beati Petri apostolorum principis atque Martini et Benedicti situm in loco qui vocatur orrea. Nella seconda metà del se. X come nei sec. XI e XII appartenne al monastero di S. Gregorio ad Clivum Scauri, nelle cui carte viene più vote ricordato. Una donatio casalis Sex columnas via Appia lapide ab Urbe VI vel VII vel VIII (v. Tomassetti Campagna Romana II, 1910, p. 96) . Una carta di enfiteusi del 6. maggio 1025 (ivi p. 271 n. 120) descrive certe il 20. aprile 961 (Mittarelli Annales Camaldulenses I app. p. 64 n. 24) ricorda il venerabile monasterium Sanctorum Petri apostoli et Martini confessoris situm Romae in regione secunda sub Aventino in loco qui vocatur Orrea. Una carta di enfiteusi del 6. maggio 1025 (ivi p. 271 n. 120) descrive certe terrae positae Romae regione. . . . in loco qui dicitur Orrea iuxta Aventinum inter affines: a primo latere parietes orti venerabilis ecclesiae Sancti Petri, quae est proprietas suprascripti monasterii. . . . a tertio introitus communalis et terra praedicit monasterii, in qua est domus solarata constructa de quodam viro Otto nomine, sicuti per parietem antiquum maiorem inter se dividere videtur. Anche nella carta di enfiteusi del 1. settembre 1025 (ivi p. 273 n. 121), la quale si riferisce ad una terra vacua ad domum faciendam posita Romae regione prima, que appellatur Orrea, inter affines: a primo latere tenet Roman. . . . a secunda pariete antiqua maiore a tertio cella vestri monasterii (di S. Gregorio), a quarta via publica iuris vestri monasterii, la cella non sarà altro che il monastero di S. Pietro e Martino. La menzione ripetuta di un paries antiquus maior fa credere che stasse vicino alle rovine dell'Emporio antico. Pare che sia scomparso già prima della fine del sec. XIII: la bolla di Bonifacio VIII del 16. giugno 1299, che conferma le possessioni del monastero di S. Gregorio (Mittarelli V p. 342 n. 202) ricorda la chiesa S. Iacobi in horrea, ma non quella di S. Pietro.

Lonigo Barb. f. 47, Vallicell. f. 68 (S. Petri inde, da Cencio); Martinelli 385; Armellini 1 555º 2 610.

I EFab II Lf

P14. S. PETRI MAIORIS

Cenc. 1 (senza cognome): sol. VIII, id. lit. 1 (senza cognome): sol. XX — Paris. 113 Taur. 321: est patriarchalis et habet canonicos XXX, benefitiatos XXXIII et clericos chori XX — Sign. 75, rel. 2 (senza cognome).

Della basilica vaticana non è qui il luogo di ripetere, anche per sommi capi, la storia e neppure di proporre una bibliografia. Si noti soltanto  p418 che nei cataloghi il nome regolarmente è S. Petri Maioris, oppure S. Petri semplicemente, e non S. Petri in Vaticano.

Panvinius de rebus antiquis basilicae S. Petri lib. VII ed. Mai, Spicilegium Romanum IX, 1843, p. 194‑382, de praecipuis urbis Romae basilicis 33 sg.; Ugonio stazioni f. 85; Del Sodo Vallicell. f. 6‑21 v., Vatic. p. 247‑276; Panciroli 1 675 2 519; Lonigo Barb. f. 46 v., Vallicell. f. 67; Severano Sette Chiese 1‑292; Martinelli 281 sg.; Alveri II 157‑217; Nibby 593 sg; Forcella VI p. 1‑246. 525‑541; Armellini 1 508 2 695; Schiaparelli Le carte antiche dell'archivio capitolare di S. Pietro in Vaticano, Arch. della società romana XXIV, 1901, 393‑484, XXV, 1902, 273‑354; Kehr IP. I 132 sg.; Calvi Bibliografia 110‑120; Marucchi 2 110 sg.; Cerrati, Tiberii Alpharani de basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, Roma 1914 (Studi e testi vol. 26); Wilpert Mosaiken und Malereien I p. 358‑411. • Titi 1‑23.

P14a. Hospitale S. PETRI

Taur. 108: habet II servitores.

Secondo l'ordine topografico del catalogo torinese, questo ospedale si deve cercare vicino alla basilica Vaticana, dalla parte settentrionale. Se sia identico con l'hospitale domesticum ad Naumachiam ricordato più volte nel sec. IX (v. p. 416 n. 12 s.v. S. Peregrini) mi resta incerto.

I Mf

P15. S. PETRI MONTIS AUREI

Paris. 116 (Montorio) — Taur. 401: habet fratres ordinis S. Petri de Morrone VIII.

Chiesolina con annesso monastero, il quale a torto si crede già rego fra le venti badie (sopra p. 129) sotto il nome di S. Maria in castro aureo, nome che invece addita la regione del Circo Flaminio (v. sopra p. 331 n. 39). Esiste ancora sulla vetta del Gianicolo in quella forma che le fu data, come si crede, da Baccio Pontelli nel 1502.

Del Sodo Vallicell. f. 63 v. 64, Vatic. p. 276; Panciroli 1 667 2 565; Lonigo Barb. f. 46 v., Vallicell. f. 67 v.; Martinelli 281; Nibby 587 sg. Forcella V. p. 243‑288, XIII p. 468‑470; Armellini 1 551 2 660; Calvi Bibliografia 109 sg.; Marucchi 2 460.

Nota di Thayer: La chiesa viene anche menzionata nel Libro pontificale di Ravenna (Vita di S. Apollinare, I) sotto il nome "monasterium beati Petri quod vocatur ad Ianuculum".

I II Kp

P16. S. PETRI AD VINCULA

Cenc. 9: sol. II — Paris. 114 Taur. 177: titulus presbyteri cardinalis, habet VIII clericos — Sign. 244, rel. 13.

Basilica antichissima, esistente già nel principio del sec. quinto, chiamata allora basilica Apostolorum: un presbyter Philippus, legato del papa al concilio di Efeso nel 431, sottoscrive agli atti con quel titolo (Harduinus  p419 Coll. Concil. I p. 1483). Sotto Sisto III (432‑440) fu ricostruita col concorso dell'imperatrice Eudossia, consorte di Valentiniano III, e perciò chiamata titulus Eudoxiae. L'iscrizione monumentale sulla facciata della basilica (De Rossi IChr. II, 1 p. 112 n. 134) diceva:

Haec Petri Paulique simul nunc nomine signo

Xystus apostolicae sedis honore fruens

ed il nome degli apostoli rimase anche nei secoli seguenti. Come titulus Apostolorum comparisce fra le sottoscrizioni dei concili romani del 499 e del 595 (sopra p. 124. 125) ed ancora nelle biografie di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 75: titulum Apostolorum qui appellatur Eudoxiae ad vincula . . . restauravit) e di Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 17: ecclesia Apostolorum ad Vincula). Il nome di basilica a vinculis S. Petri si trova già nella biografia di Simmaco (498‑514; LP. LIII c. 5: presbyter a vinculis S. Petri) e nell'iscrizione tuttora esistente (Marucchi p. 313) posta nel 532 da un prete Severo beato Petro ap(ostolo) patrono suo a vinculis eius. Nel 544 il diacono Arator lesse la sua versione poetica degli Atti degli Apostoli (migne PL. LXVIII p. 81 sg.) in ecclesia S. Petri quae vocatur ad vincula. Il catalogo salisburgense (sopra p. 3 n. 11) registrata la basilica quae appellatur vincula Petri. Questo nome dopo il mille diviene il più usuale, si riscontra in tutti i cataloghi dei secoli XV e XVI, ed è oggi il solo conosciuto.

Ugonio Stazioni f. 50; Del Sodo Vallicell. f. 98 v.-99 v., Vatic. p. 275‑282; Panciroli 1 685 2 208; Lonigo Barb. f. 46 v., Vallicell. f. 68; Martinelli 284; Ben. Mellini Vat. lat. 11905 f. 125‑141; Lubin p. 342; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 337‑398 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 268 v.‑279 (lat.), vol. 6 (to. V) f. 119‑143 (= l. VII c. 20); Nibby 663 sg.; Forcella IV p. 75‑97, XIII p. 423‑425; Adinolfi II, 108‑113; Armellini 1 553 2 208; Kehr IP. I p. 47; Calvi Bibliografia 120; Marucchi 2 311‑319. • Titi 239‑242.

Nota di Thayer: Per l'iscrizione di Teodosio e di Eudossia già nella chiesa, si veda Bury, History of the Later Roman Empire, t. I cap. 7 con le fonti nella nota.

I Ms

P17. SS. PETRI ET MARCELLINI (iuxta Lateranum)

Cenc. 27: sol. II — Paris. 115 Taur. 295: titulus presbiteri cardinalis, habet IIII clericos.

Questa chiesa, dedicata a S. Marcellino prete e S. Pietro esorcista, martiri ambedue nella persecuzione di Diocleziano (Damasus epigr. 29 ed. Ihn) e seppelliti nel cimitero ad duas laurusº sulla Via Labicana, comparisce fra le sottoscrizioni del concilio romano del 595 (sopra p. 125) col titolo SS. Marcellini et Petri. Fu restaurata da Gregorio III (731‑742), come attesta il suo biografo nel LP. XCII c. 14: fecit a novo ecclesiam  p420 S. Marcellini et Petri iuxta Lateranis. Fu nuovamente restaurata da Alessandro III e dedicata il 10. aprile del 1256, come dichiara una iscrizione tuttora esistente nella chiesa (Forcella XI p. 397 n. 609): anche in questa il nome è SS. Marcellini et Petri. Nota però il Panciroli (2 177) che "mentre nell'oratione dell'uffitio divino per la festa loro si metta prima, come si deve, S. Marcellino, e così in tutti i Martirologi si legge, per un error del volgo, a cui pare più degno il nome di Pietro che di Marcellino" i due nomi soglionsi porre in ordine inverso. Che questo error fu comune già nei sec. XII-XV, lo provano i cataloghi, i quali tutti danno il nome SS. Petri et Marcellini. — Alla chiesa primitiva appartenevano forse gli avanzi scavati nel 1750, quando la chiesa fu riedificata nella presente forma (Giuseppe Bianchini sched. Vallicell. A, 13 f. 72. 81. 82. 217. 278 presso Adinolfi; Terribilini codice. Casanat. 2185 [to. IX] f. 112 sg.); dalla ricomposizione di sei piccoli frammenti di una iscrizione allora ritrovati si è voluto conchiudere che la chiesa esistesse già al tempo di papa Siricio (384‑398), ma questa congettura è poco fondata. Della riedificazione di Gregorio III forse rimanevano avanzi nel sec. XVII; narra Benedetto Mellini (f. 46. 46v.) che "hoggi giorno nell'orto ivi contiguo si vedono i vestigi antichi del semicircolo della tribuna molto più grande di quello che hoggi si vede, anzi nell'istessa chiesa vi manca la nave laterale a mano sinistra intrando".

Ugonio Stazioni f. 148; Del Sodo Vallicell. f. 173, Vatic. p. 292; Panciroli 1 698 2 173; Lonigo Barb. f. 47 v., Vallicell. f. 69; Martinelli 286; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 214‑221 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 157‑163 (lat.), vol. 4 (to. III) f. 267‑276 (= lib. III c. 21); Ben. Mellini Vat. 11905 f. 44‑46; Nibby 586 sg.; Forcella XI p. 393‑400; Adinolfi II, 80‑86 (confuso con SS. Petri et Marcellini de Subura); Armellini 1 325 2 221; Duchesne al LP. II p. 43 not. 7, Mélanges de l'École franç. VII p. 228. • Titi 230.

 p18 

P18. SS. PETRI ET MARCELLINI DE SUBURA

Cenc. 86 (Sebura): den. VI — Taur. 172: habet I sacerdotem — Signor. 239 (in Sebura).

Chiesuola scomparsa dopo il sec. XV, la quale, secondo l'ordine topografico dei cataloghi, si deve cercare presso quelle di S. Salvatore de Subura e dei SS. Sergio e Bacco de Subura. Per a situazione è importante un documento del 26. gennaio 1338 nell'archivio del Salvatore, pubblicato dall'Adinolfi, Laterano e Via Maggiore p. 131 sg., che contiene una resignatio ecclesiae et parocchiae SS. Petri et Marcellini fatta a presbitero Ioanne de Tuderto eiusdem rectore in favorem presbiteri Martini  p421 rectoris ecclesiae SS. Sergii et Bacchi. Secondo questo documento, la chiesa in quell'anno era assai ridotta: il rettore considerans quod ecclesia SS. Petri et Marcellini de Subura in spiritualibus et divinis officiis fraudabatur cum domibus suis que minabantur ruinam. . . . nec posse resarciri sine gravissimis sumptibus et expensis la concesse al suo collega per cambiarla in ospizio: per ipsum Martinum preparandam et exercendam ad usum pauperum et infirmorum et peregrinorum, ut ibidem hospitalitas perpetua observatur. La posizione poi viene descritta in questi termini: que ecclesia posita est in contrata Subure, cuius fines ecclesie et domorum sunt hii: a duobus lateribus tenet dnus. Matheus Novelli et filii et heredes dni. Iacobi Novelli et dnus. Pandulfus Novelli, ab alio latere est proprietas ecclesiae in qua est vinea. . . ., ante est platea ecclesie. L'ospedale esistette sino alla seconda metà del sec. XV: l'Adinolfi cita (Laterano p. 117) dall'archivio del Salvatore (arm. IV mazzo VIII n. 23) una ratifica di donazione fatta nel 1383 "guardianis custodibus et officialibus antepositis societatis Raccomandatorum imaginis Salvatoris ad Sancta Sanctorum alla chiesa pauperum hospitalis S. Angeli et hospitalis S. Iacobi et hospitalis SS. Petri et Marcellini; e (Roma 86) dal catasto del Salvatore a. 1419 p. 65 una domina Agnes hospitalaria SS. Petri et Marcellinis. Il Liber Anniversariorum S. Salvatore (sopra p. 53 n. 8) ricorda la ecclesia Sanctorum Petri et Marcellini de Secura aliter l'ospedaletto. Il catalogo del 1492 e quelli del sec. XVI non la ricordano più, ma resta incerto tanto l'anno della distruzione quanto il sito esatto. L'Adinolfi e l'Armellini confondono in modo straordinario le notizie relative a questa chiesuola con quelle dei SS. Pietro e Marcellino presso il Laterano.

Lonigo Barb. f. 47 v., val 69; Martinelli 386; Adinolfi II p. 81‑86; Armellini 1 326 2 221.

II Km

P19. SS. PETRI ET PAULI IN CARCERE

Sign. 305.

Il nome di questa chiesuola o cappelletta nel catalogo Signoriliano sta dopo S. Nicola in Carcere e non presso i SS. Sergio e Bacco e le altre chiese del Foro. Nondimeno crederei che si tratti del celebre santuario istituito nel Tullianum del Carcere Mamertino, le cui origini sono ancora oscure. La tradizione che il Tullianum fosse convertito in oratorio già nel sec. IV viene rifiutata dal hao che esso servi come carcere ancora nel 368 (Ammian. Marcellin. XXVIII.1.57); il fons S. Petri ubi est carcer eius dell'Itinerario di Einsiedeln (Lanciani Monumenti dei Lincei  p422 I, 481; Huelsen Dissert. dell'Acc. Pontif. Ser. II vol. IX p. 404) deve essere stato sul Gianicolo oppure sul Vaticano. Il santuario forense manca nei cataloghi dei sec. XII-XIV; invece si trova menzionato nei Libri Indulgentiarum della seconda metà del sec. XIV (sopra p. 153) sotto la denominazione ecclesia quae dicitur Custodia, in qua incarcerati fuerunt b. Petrus et Paulus, ovvero ecclesia S. Petri apostoli que dicitur custodia Martiniani (sic).

Del Sodo Vallicell. f. 162 v., Vatic. p. 277; Panciroli 1 662 2 74; Lonigo Barb. f. 46 v., Vallicell. f. 68; Martinelli 280; Armellini 1 552 2 539; Duchesne Le Forum chrétien (1899) p. 19‑32; Grisar Rom beim Ausgange der antiken Welt I 1998 sg.; Calvi Bibliografia 108; Marucchi 2 236.

 p20 

P20. SS. PETRI ET PAULI IN VIA SACRA

Chiesa situata sulla Velia, presso la basilica di Costantino e la chiesa dei SS. Cosma e Damiano, segnata nell'Itinerario Einsidlense (sopra p. 5). Il biografo di Paolo I (757‑767; LP. XCV c. 6) riferisce: hic fecit noviter ecclesiam . . . . . . in via Sacra iuxta templum Romae in honorem SS. apostolorum Petri et Pauli. . . . ubi ipsi. . . . propria genua flectere visi sunt. La chiesa, mentovata pure nella biografia di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 76), deve essere scomparsa presto; manca già nel catalogo di Leone III (sopra p. 6 sg.). Il durissimus silex, in quo (apostolorum) genua noscuntur designata, che stava in essa secondo il biografo di Paolo I l.c., oggi si mostra nella chiesa di S. Francesca Romana.

Lonigo Barb. f. 47, Vallicell. f. 68 v.; Martinelli 385; Bruti vol. 4 (to. III) f. 70 v.-92 (= lib. IIII c. 4); Armellini 1 549 2 148; Duchesne LP. I. p. 466 not. 9, Le Forum chrétien (1899) p. 15‑19.

 p21 

P21. S. PETRONILLAE in Vaticano

Narra il biografo di Stefano II (752‑757; LP. XCIV v52): fecit iuxta basilicam beati Petri apostoli et ab alia parte beati Andreae apostoli in loco qui Mosileos appellabatur basilicam in honorem sanctae Petronillae. Il mosileos non è altro che la rotonda a mezzodì della vecchia basilica di S. Pietro, destinata alla sepoltura della famiglia imperiale del sec. V, nella quale fu scavato, nel 1544, il sarcofago di Maria figlia di Stilicone e sposa di Onorio imperatore. Il musileum beatae Petronillae quod ponitur ad beatum Petrum apostolum è ricordato pure nella biografia di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 72. 86. 101). Il santuario, dal sec. VIII in poi, fu sotto la speciale cura dei re di Francia, e detto perciò, non di rado, cella  p423 ovvero cappella regis Francorum. Fu disfatto circa il 1520 per la costruzione dellaº nuova basilica: il sito corrispondeva all'odierna tribuna dei SS. Simone e Giuda nella nave sinistra (Grimaldi pr. Cancellieri p. 975).

Lonigo Barb. f. 47 v., Vallicell. f. 69 v.; Martinelli 384; Cancellieri de secretariis II p. 957‑105; De Rossi bull. arch. crist. 1878 p. 140‑146; Armellini 1 502 2 754; Alpharanus ed. Cerrati (1914) p. 133‑135. • Lanciani, Pagan and Christian Rome 201‑205; Platner-Ashby 481.

 p22 

P22. Hospitale S. PETRONILLAE in Esquiliis

Secondo l'ordine del catalogo, questo spedale non deve essere stato lontano da S. Pudenziana; ma nulla si può stabilire sul sito preciso.

Armellini 1 508 2 198.

 p23 

P23. S. PRAXEDIS

Cenc. 11: sol. II — Paris. 373 Taur. 155 (monasterium S. P.): titulus presbyteri cardinalis, habet abbatem et VI monachos. — Sign. 219, rel. 5.

Il più antico monumento di questa insigne basilica è un epitafio dell'anno 491, nel quale si ricordano i presbyteri tituli Praxedis (De Rossi Bull. arch. crist. 1882, 64); i preti di esso compariscono fra i sottoscrittori del concilio romano del 499 (sopra p. 124). Fu restaurato da Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 78) e da Pasquale I (817‑824: LP. C c. 87), il quale, al 20. luglio 817, vi consecrò un altare con innumerevoli reliquie, come certifica una iscrizione tuttora esistente (Marucchi p. 325. 326; cf. Kehr IP. I p. 50 n. 1). Il medesimo Pasquale vi fondò un monastero di monaci greci (LP. Che c. 9), che viene mentovato pure nelle biografie di Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 29) e di Leone IV (847‑855; LP. CV c. 15). Anastasio IV (1153‑54) concedette la chiesa ai frati di S. Maria de Reno di Bologna, ai quali venne tolta da Celestino III con bolla del 28. febbraio 1197 (Fedele p. 77 n. 43: Kehr p. 52 n. 16). Nell'anno seguente, Innocenzo III diede il monastero ai frati di Vallombrosa, i quali ancora lo posseggono.

Panvinius de septem ecclesiis p. 258; Ugonio Stazioni f. 298; Del Sodo Vallicell. f. 104‑106, Vatic. p. 297‑302; Panciroli 1 701 2 228; Lonigo Barb. f. 48, Vallicell. f. 69 v.; Severano Sette Chiese 679; Martinelli 286; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 316‑342 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 235 v.-253 (lat.), vol. 6 (to. V) f. 272‑309 (= l. VII c. 28); Lubin p. 342; Davanzati Notizie della basilica di S. Prassede (Roma 1725); Nibby 670; Forcella II p. 489‑524; Adinolfi II p. 129‑143; Armellini 1 555 2 237; Angeli 510 sg.; Fedele Arch. soc. romana XXVII, 1904, 27‑78, XXVII, 1905, 41‑114; Kehr IP. I p. 49‑53; Calvi Bibliogr. 121; Marucchi 323; Kirsch, Die römischen Titelkirchen p. 52‑54; Muñoz Dissert. Acc. Pont. Ser. II vol. 13, 1918, p. 126 sg. • Titi 245‑248.

 p424   p24 

P24. S. PRISCAE

Cenc. 19: sol. II — Paris. 374 Taur. 266: titulus presbyteri cardinalis, habet monachos nigros tres — Sign. 338.

Il più antico ricordo di questa insigne basilica è un titolo cimiteriale di un Adeodatus praesb. tit. Priscae tuttora visibile nel chiostro di S. Paolo fuori (Margarini Inscriptiones basilicae S. Pauli p. 12 n. 165; Marchi Monumenti primitivi p. 26), il quale appartiene al sec. quinto. I preti di S. Prisca sono fra i sottoscrittori dei sinodi romani del 499 e del 595 (sopra p. 124. 125). Il biografo di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 51) racconta: tectum tituli b. Priscae quod iam casurum erat. . . . noviter fecit. Leone III, nell'806, l'arricchì di doni: in quest'occasione viene chiamato titulus beatis(simorum Aquile et Prisce (LP. XCVIII c. 10, cf. sopra p. 7 n. 30). Alla basilica era annesso un monastero, abitato dapprincipio da monaci greci, poi da benedettini: esso nel sec. XI dipendeva da quello di S. Paolo fuori le mura (bolla di Alessandro II del 1. luglio 1066, Jaffé-Loewenfeld 4594; bolla di Gregorio VII, 10731085, presso Margarini, Bullarium Casinense II p. 107 n. 112; Migne CXLVIII p. 722 n. 78; Coppi Diss. Acc. pontif. XV, 1864, p. 214; Kehr IP. I p. 168 n. 16), e viene annoverato fra le venti abbazie della città (sopra p. 128: scorum. Prisce et Aquile). Ai benedettini succedettero i Francescani nel 1414, e più tardi gli Agostiniani. — Nel giardino attiguo alla chiesa fu trovato, nel sec. XVIII, un antichissimo oratorio cristiano con pitture del quarto secolo, creduto l'oratorio domestico dei santi Agquila e Prisca dell'epoca apostolica (De Rossi Bull. crist. 1867 p. 46 sg.); a questa pia tradizione accenna anche l'iscrizione veduta da Pietro Sabino (De Rossi IChr. II, 1 p. 443 n. 165) che comincia: Haec domus est Aquile seu Priscae virginis almae.

Ugonio Stazioni f. 303; Del Sodo Vallicell. f. 132, Vatic. p. 294; Panciroli 1 707 2 683; Lonigo Barb. f. 48 v., Vallicell. f. 70 v.; Severano Sette Chiese 376; Martinelli 288; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 114‑122 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 86‑93 (lat.); Lubin 343; Nibby 675; Forcella XI p. 167‑174; Armellini 1 560 2 577; Angeli 516; Kehr IP. I p. 117; Calvi Bibliografia 121 sg.; Marucchi 2 180; Kirsch, Die römischen Titelkirchen p. 101‑104. • Titi 73.

 p25 

P25. S. PUDENTIANAE

Cenc. 13 (S. Potentiane): sol. II — Paris. 369 (S. Pudentiana) — Taur. 161: titulus presbiteri cardinalis, habet V clericos. — Sign. 228, rel. 14 (S. Potentianae).

La leggenda fa risalire l'origine di questa chiesa già al secondo secolo:  p425 nella biografia di Pio I (140‑155; LP. XI c. 5) si trova, nei codici recentiori, il passo: hic ex rogatu b. Praxedis dedicavit aecclesiam thermas Novati in vico Patricii in honori sororis suae S. Potentianae. Ma questo passo, come osserva il Duchesne l.c. p. 133 not. 8, fu interpolato nel sec. XI dagli Atti di SS. Pudenziana e Prassede (AASS. Mai. vol. IV p. 299). Il primo monumento sicuro è l'epitafio di un Leopardus lector de Pudentiana del 384 (De Rossi IChr. I 347). La chiesa fu ricostruita già sotto i pontificati di Siricio (384‑398) ed Innocentio I (401‑417), come attestano le iscrizioni monumentali ricomposte dal De Rossi. Ai sinodi romani del 499 e del 595 sottoscrivono i preti tituli Pudentis (sopra p. 124. 125). Fu restaurata un'altra volta da Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 76): in questa occasione viene chiamata titulus Pudentis (id est sanctae Pudentianae). Di un terzo restauro eseguito dal cardinale titolare Benedetto sotto il pontificato di Gregorio VII (1073‑1085) fa testimonianza una iscrizione tuttora esistente (Forcella XI p. 138 n. 262). Questa iscrizione dice che fu consecrata nomine Pastoris, precursorisque Iohannis.

Panvinius 265; Ugonio Stazioni f. 160 v.; Del Sodo Vallicell. f. 101 v., Vatic. p. 295; Panciroli 1 710 2 264; Lonigo Barb. f. 48 v., Vallicell. f.º 72; Martinelli 288; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 403 v.-420 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 284 v.-297 (lat.), vol. 8 (to. VII) f. 110‑131 (= lib. X c. 11); Davanzati Notizie della basilica di S. Pudenziana (Roma 1725); Nibby 627; De Rossi bull. crist. V (1867) p. 49‑60 1891, 153 sg.; Forcella XI p. 133‑146; Adinolfi II, 240‑244; Armellini 1 565 2 192; Kehr IP. I p. 58; Calvi Bibliografia 122; Marucchi 2 364; Kirsch, Die römischen Titelkirchen p. 61‑67. • Titi 267‑268.

Per un riassunto storico-artistico e fotografico, si veda il mio sito.


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