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ed olive

Questa pagina riproduce una parte di

Curiosità storiche trevane

di
Tommaso Valenti

pubblicato da F. Campitelli, editore,
Foligno, 1922

Il testo è nel pubblico dominio.

Questa pagina è stata attentamente riletta
e la credo senza errori.
Ciò nonostante, se vi trovate un errore, vi prego di farmelo sapere!

seguente:

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Armi
ed armati

 p127  La Chiesa di S. Francesco

[ da La Torre di Trevi,
Anno II N. 4 del 26 Febbraio, N. 5 dell' 11 Marzo, e N. 6 del 25 Marzo 1899 ]

Questo monumento, benchè deturpato dal seicentume e danneggiato dal tempo, è uno dei più importanti della nostra Città. Non si può stabilire con precisione l'epoca in cui sul luogo dove sorge la Chiesa attuale, fu costruito il tempio primitivo. Il Jacobilli, benemerito storico Folignate del secolo XVI, nelle "Vite dei Santi dell'Umbria" dice che era dedicato alla Madonna. Però da documenti che ho potuto riscontrare, risulta che si chiamava anche di San Ventura o del Beato Ventura.

Era questi un Eremita di Pissignano che abitava in una grotta, detta "di S. Marco". Visse venerato come uomo di vita esemplare e dotato di spirito profetico. Morì l'11 luglio del 1310 e fu sepolto nel luogo dove sorge ora la Chiesa di S. Francesco.

Sembra che il primitivo tempio dedicato a  p128 questo Beato, si trovasse ad un livello più basso di quello dell'attuale Chiesa. Infatti Durastante Natalucci riferisce​a che nell'interno delle sepolture di esse si vedevano delle pitture. Non mi è riuscito, però, di poter constatare la verità di tale asserzione del nostro storico. Sulle pareti delle sepolture che mi è stato possibile esaminare non ho trovato tracce di pitture.

Il tempio quale ora si vede, almeno all'esterno, fu incominciato a fabbricare nel 1354. Infatti il 28 agosto di quell'anno il Consiglio imponeva l'obbligo a tutti i popolani di Trevi di portare una "soma" di legna ai frati Conventuali, per la fornace della calce, da servire all'ampliamento della Chiesa di S. Ventura, che allora si ricostruiva: "quae noviter aedificatur". I frati avevano fatta domanda al Comune per avere quelle legna; e il Consiglio condiscese alla loro richiesta completamente: tanto che impose anche la multa di "5 soldi" a chi non avesse obbedito.

Col progredire della fabbrica i frati ebbero bisogno di pietra, e si volsero nuovamente al Comune. E questi, il 17 giugno 1358, sotto la stessa multa obbligava tutti gli abitanti di Matigge che avevano bestie da soma "actas ad salmam portandam" di portare ai frati, in termine di dieci giorni, una soma di pietra per  p129 ciascun proprietario di bestie. La pietra doveva cavarsi dal Colle Paterno, presso Matigge.

E così la fabbrica progredì rapidamente; ma non fu completata che molto più tardi. Infatti nel 1448 il Mugnoni nei suoi "Annali" narra che la Chiesa di S. Francesco "fu cresciuta et magnificata".

Nel secolo successivo il Comune fece costruire a sue spese una cappella, dedicata a S. Sebastiano, per ottenere la protezione di questo Santo contro la peste: "meritis et precibus cuius, periculum atrocissimae pestis evadere valeamus", come dice una Riformanza del 1477. Dal quale documento risulta anche che la nuova Chiesa si chiamava già di S. Francesco, e non più di S. Ventura.

La rigida ed elegante architettura del secolo XIV fu però nell'interno della Chiesa malamente deturpata nel Seicento e nel Settecento, dalle goffe e barrocchissime sovrapposizioni di numerosi altari, uno più deplorevole dell'altro e ciò sia detto con buona pace del nostro Durastante che, parlando dell'altare maggiore, lo qualificava:​b "egregiamente adorno con rilievi, statue e colonne di stucco".

La Chiesa all'interno era tutta, o quasi tutta, ricoperta di affreschi pregevoli, se non per altro, per la loro importanza storica. Ma anche qui, come in Santa Chiara di Assisi ed altrove,  p130 l'ignoranza ed il gusto corrotto divennero addirittura vandalismo; giacchè tutte le pitture furono ricoperte di calce, dopo averne in qualche tratto, fatto scempio a colpi di martello, perchè l'intonaco facesse presa più forte!

Negli ultimi anni sono state rimesse in luce alcune di queste pitture; ma poche sono quelle che si sono conservate in buono stato. Si è però potuto constatare, che su alcune pareti sotto all'intonaco dipinto ve ne era un altro, ancor esso dipinto; forse perchè non c'era più nella Chiesa una parete disponibile alla pietà dei fedeli; poichè quasi tutte quelle pitture sono "votive" e rappresentano ripetute le effigie della Madonna, e di alcuni Santi.

Degli altari che adornano la nostra Chiesa, i più antichi e i più pregevoli sono quelli ai lati dell'altare maggiore. Quello a sinistra è, più che un altare, una cappella sepolcrale della famiglia Valenti, con un monumento del 1357; del quale però fu rimossa della parete di fondo la lastra tombale — messa poi al lato destro — per costruire in fondo un altare, con grave deturpamento di tutta la cappella.

Quello di sinistra contiene il corpo del Beato Ventura. Le pareti sono coperte di affreschi e nella parte di fronte è stata collocata una pietra a decorazioni geometriche: avanzo, forse, di qualche altro altare o di qualche sepolcro.

 p131  L'altare maggiore fu eretto nel 1595 da Cristoforo e Pomponio De Angelis a loro spese; e così alcuni degli altri altari minori. Ma tutto ciò a scapito della bellezza primitiva del tempio.

Nel 1620 un Alessandro Valenti eresse l'altare della Madonna del Carmine e Filippo Palazzi, medico, nel 1613 quello dello Spirito Santo "con quadro di buona mano", come dice il Natalucci.​c Camillo e Lucido Celi dedicarono un altro altare all'Angelo Custode nel 1620, come nel 1617 Francesco Luzi ne aveva inalzato un altro alla Madonna del Soccorso. E finalmente Grifone Petroni fece a sue spese costruire gli altari di S. Francesco, "con quadro di fina pittura", dice benevolmente il Natalucci,​d e quello di Sant'Antonio con la statua di detto Santo.

Fino dalla metà del Cinquecento esisteva nella Chiesa un organo, ma, deperito col tempo, fu sostituito con quello che attualmente si vede. Per questo istrumento il Comune deliberò da principio un sussidio di "10 Fiorini" (12 aprile 1587); ed in seguito, cioè il 13 aprile 1594, nominava una Commissione di cittadini che si incaricassero di fare una colletta per i restauri dell'organo. Ma visto che il vecchio non poteva essere convenientemente riparato, si decise di farne uno nuovo, come si è detto. E le somme raccolte furono depositati in mano del benemerito cittadino Muzio Petroni, per deliberazione  p132 consiliare del 14 agosto 1600. Più tardi (1614) il Comune contribuì con altri "25 Scudi".

In pari tempo s'era introdotta la consuetudine che il Comune concorresse nella spesa dell'organista. E fino dal 1526 troviamo le relative deliberazioni consiliari, con le quali si fissava la somma da destinarsi a tale uso, che variò dai "25 Fiorini" ai "5 Scudi". Siccome però tale elemosina veniva fatta dal Comune spontaneamente — stante paupertate ecclesiae S. Francisci — si volle prevenire il possibile caso di qualche pretesa da parte dei frati che avessero voluto invocare a loro favore l'acquisizione di un diritto. E così il 1623, ai 7 di maggio, si deliberava l'elemosina di "10 Fiorini" per l'organista; ma a patto "che non si possa mai per lunghezza di tempo pretendere consuetudine o prescrizione".

Ho voluto trattenermi su questi dettagli, che potrebbero sembrare, a prima vista, insignificanti; ma che, invece, ben considerati, hanno la loro importanza storica, perchè ci dànno un'idea ben netta della serenità d'intendimenti con la quale, i nostri vecchi attendevano alle cose pubbliche. Essi, devoti e credenti fino allo scrupolo, si credevano in dovere ed in diritto di sovvenire del pubblico denaro le opere e le cose di Chiesa; ma non dimenticavano mai la dignità del Comune, e, pur prevalendosi  p133 della legislazione allora vigente, e dei sentimenti predominanti nella maggioranza del popolo, non volevano in modo alcuno vincolare con estranei l'amministrazione alla quale "pro tempore" erano stati chiamati.

Esternamente la Chiesa presente l'aspetto di una magnifica solennità e di una solidità di costruzione mirabile. La facciata principale, cioè quella di fronte all'altare maggiore, è rivolta verso il sud; ma la porta d'ingresso è ad est; la porta principale è di elegante stile gotico, con fasci di colonnine, pur troppo non ben conservate. Sopra la porta si vede un affresco del '300, abbastanza in buono stato.

Non tutti gli scrittori che si sono occupati di questa Chiesa sono d'accordo nello stabilirne l'epoca della costruzione. Io mi sono attenuto a quanto ne scrisse il Natalucci;​e ma anche le altre ipotesi di una più antica origine della Chiesa devono essere prese in considerazione; specialmente ove si osservino le decorazioni — non visibili dal basso — della facciata che sovrasta il tetto del Collegio Lucarini. Ma su tale questione spero poter più esattamente riferire, quando potrò, con più ampiezza, trattare della parte artistica di questo importante monumento trevano.

Unito alla Chiesa trovasi il Convento dei Frati Francescani Conventuali.

 p134  L'epoca della sua fondazione è incerta, e le due opinioni predominanti, l'una delle quali lo vorrebbe eretto nel 1213, e l'altra qualche anno dopo, sono basate su due miracolose leggende, che vale la pena di raccontare.

Bartolomeo Pisani nella sua opera "Conformitates S. Francisci" (Milano, 1510) narra che un giorno S. Francesco d'Assisi predicava a Trevi in una piazza, nel luogo, cioè, dove sorge ora il Convento. Ma la predica del Santo venne disturbata da un asino che, indomito e infuriato, spaventò il popolo scorrazzando qua e là per la piazza. Nessuno dei presenti potè afferrare la bestia; ma S. Francesco rivolse a questa la parola, dicendole: Fratello asino, sta quieto e lasciami predicare al popolo. E l'asino, subito, piegò la testa tra le gambe e si quietò. "Frater asine — dice l'autore — sta in quiete et dimette me praedicare populo. Et statim asinus caput posuit intra crura, et in silentio magno stetit".​f

Fu, dunque, in memoria di questo fatto che dicono fosse stabilita su quel posto la costruzione del Convento; che, secondo il Jacobilli, rimonterebbe al 1213. Ma, secondo altri, il Convento fu fabbricato più tardi, in seguito ad un altro miracolo, operato dal Beato Leone, uno dei primi compagni di S. Francesco.

Per ordine del Duca di Spoleto trovavasi  p135 detenuto nelle nostre carceri un trevano, il quale pregò in ispirito il Beato Leone di liberarlo. E il Beato, che allora viveva alla Porziuncola, gli apparve miracolosamente e lo liberò. Così narra il citato Pisani nei suoi "Annali dei minori".

Comunque stiano le cose, è certo che il Convento esisteva fino dal 1258; poichè sotto questa data, il Papa Alessandro IV indirizzava ai frati di esso Convento un breve, che Durastante Natalucci​g trovò nell'Archivio di S. Francesco, ora, purtroppo, disperso.

Il Comune contribuì all'erezione della fabbrica; e, più tardi, il 12 novembre 1377, concesse ai frati il diritto di farsi un condotto — aptum et bene preparatum ad aquam ducendam — mediante il quale si portasse al Convento l'acqua che avanzava dall'antica fontana di Piazza, della quale altra volta ho fatto parola; e che ora, trasformata, si vede in fondo alla Piazza Garibaldi, o del Mercato.

La cisterna pubblica, anche adesso esistente nei pressi del Convento, fu fatta il 1478, per deliberazione consiliare del 13 gennaio, in vista della penuria d'acqua che, fino da allora, si lamentava a Trevi.

I frati ebbero in seguito l'orto sotto le mura castellane.

Ma è da credere che l'antico Convento fosse troppo modesto e insufficiente per i frati che  p136 l'avrebbero dovuto abitare. Tanto più che, essendo essi "Conventuali" non si adattavano, come i "Minori" alle strettezze di abitazioni misere e senza appariscente decoro; proto­tipo il sontuoso Convento di S. Francesco in Assisi. Quindi è che il Convento che attualmente esiste, rimonta ad un'epoca più recente, e, cioè, agli anni dal 1640 al 1650.

Il Comune contribuì, come sempre. E per rendere più efficace l'opera sua, il Consiglio il 16 gennaio 1649 nominava una Commissione per raccogliere le offerte per la nuova fabbrica. Presidente di questa Commissione era il Governatore; e di essa facevano parte Gio: Battista Petroni, Anton Maria Valenti, Giuseppe Gentili e Leonangelo Approvati. Il Comune contribuì con "16 Scudi", mentre ne aveva dati altri 20 fino dal 1640.

I due edifici — la Chiesa e il Convento — furono sempre a cuore degli amministratori di Trevi. A prova di ciò, ecco una nota di alcuni sussidi municipali ai frati di S. Francesco.

1478 (13 gennaio) — "25 Fiorini pro amore Dei" per rifare una campana.

1543 (30 maggio) — Una "coppa" di grano ed una "soma" di vino, per una volta tanto in occasione del capitolo provinciale.

1563 (4 luglio) — 10 Fiorini per rimettere un trave al tetto della Chiesa.

 p137  1567 (2 novembre) — 25 Fiorini per restauri al tetto, ma con l'obbligo ai frati di dire per otto giorni l'Uffizio "pro bono pacis et contra hereticos".

1569 (30 luglio) — 10 Scudi per la facciata della Chiesa, che minacciava rovina.

1578 (25 aprile) — Una qualche somma per il pulpito.

1599 (19 settembre) — Una soma di vino, a patto che servisse per la tavola dei frati!

1610 (21 marzo) — 12 Scudi per restauri al tetto della Chiesa.

1637 (29 marzo) — 16 Scudi per la fabbrica del Convento.

1640 (30 novembre) — Altri 20 Scudi come sopra.

A queste elemosine straordinarie si devono aggiungere quelle che il Comune faceva ai frati di S. Francesco, come a quelli di tutti gli altri Conventi. Infatti fino dal 1534 davano loro una "coppa" di grano ogni due mesi; 25 denari all'anno per il vestiario; 40 soldi nelle feste della Madonna di marzo e di agosto; nei giorni di Pasqua e di Natale, per la carne. Per la festa del Beato Ventura si davano ai frati 4 libbre di cera. E di più si cedevano ad essi tutti gli spurghi del palazzo del Podestà, per concimare l'orto.

 p138  Nel 1700 il Comune dava ai frati tre rubbia di grano.

Oltre a queste elemosine i frati disponevano di rendite di beni stabili e di censi, che erano sufficienti per sei sacerdoti e tre laici. Il Provinciale, che ordinariamente risiedeva in Trevi doveva pagare per il suo mantenimento.

Soppressa in seguito la comunità religiosa, il Convento passò in proprietà della Congregazione di Carità, che in tempi non lontani lo cedette in enfiteusi ai Padri Salesiani, che attualmente dirigono il Convitto Lucarini, che in esso Convento, opportunamente ampliato e restaurato, ha la sua sede.


Note di Thayer:

a Durastante Natalucci, Historia universale. . ., p175 del manoscritto (nell'edizione stampata a cura di Carlo Zenobi, p133):

. . . per essere anticamente più piccola e sotterranea riconoscendosi fino ad ora dentro le sepolture le sue pitture ed imagini, . . .

b Ib., p176 (p134).

c Ib., p178 (p134).

d Ib., p178 (p135).

e Ib., p175 (p133):

E non ravvivasi se venisse fondata da Minori quando vi fu fatto il convento o se esistesse anche prima, dicendo il Iacobilli (Vite de' Santi del'Umbria, tom. 2, f. 103 et 104 et tom. 3, f. 60 in fine) ed il detto not. Ant. Lelij (Rog. ubi supra) che era dedicata alla Madonna e chiamavasi la Chiesa di S. Maria. Conforme altresì restò cognominata di S. Ventura e del B. Ventura dal corpo suo quivi sepolto (Arch. Conventus S. Franc. ad an. 1409, n.32 et canc. com. in riff. an. 1354, f.14 et 1358, 26 Junij).

f La stessa storia viene detta di S. Antonio di Padova e un mulo; e un'altra alquanto relazionata di S. Domenico e un cavallo.

g Durastante Natalucci, Historia universale. . ., pp181‑182 del manoscritto (nell'edizione stampata a cura di Carlo Zenobi, p137):

. . . oltre di quelle [Compagnie] de Terziari e delle Monache professe, in honore di detto Santo e della Madonna che fin del 1258 vi esisteva (Arch. pref. S. Franc. in brevi Alex.4 p182de an. pontific., n.5) . . .


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