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Una strana consuetudine

Questa pagina riproduce una parte di

Curiosità storiche trevane

di
Tommaso Valenti

pubblicato da F. Campitelli, editore,
Foligno, 1922

Il testo è nel pubblico dominio.

Questa pagina è stata attentamente riletta
e la credo senza errori.
Ciò nonostante, se vi trovate un errore, vi prego di farmelo sapere!

seguente:

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La dote e il corredo delle spose

 p53  La festa di Sant'Emiliano

[ da La Torre di Trevi, Anno I N. 3 del 28 Gennaio 1898 ]

La devozione a Santo Miliano, come lo chiamavano i nostri vecchi, è antica, si può dire, quanto Trevi. Della sua festa, del suo culto troviamo memorie nelle più antiche scritture del Comune.

I Trevani, teneramente devoti di questo Santo, che li aveva, dopo S. Feliciano, istruiti nella fede di Cristo, cominciarono dall'innalzargli una chiesa nel sito più alto della Città, sulle rovine, credesi, di un tempio pagano, dedicato a Diana. L'antichissima Chiesa di cui non si sa con precisione l'epoca della costruzione (forse il secolo XII), fu restaurata e rimessa a nuovo nel secolo XV. La fabbrica cominciata nel 1465 fu terminata circa venti anni dopo, e fu consacrata più tardi, ai 25 di aprile nel 1522 da Natale Vescovo di Veglia,​1  p54 quello stesso che, come dissi più sopra, benedisse e battezzò la Campana della Torre. Dopo una serie di vicende, la Chiesa venne ridotta, pochi anni fa, allo stato attuale su disegno dell'architetto Carimini, autore, tra altro, anche del palazzo Brancaccio in Roma. Qui non è mia intenzione occuparmi della Chiesa, ma solo del modo col quale nei tempi andati, si celebrava la festa di Sant'Emiliano.

Dalle antichissime carte del nostro Archivio si rivela come il Comune prendesse parte attivissima a questa solennità. Lo stesso Statuto trevano in varie sue Rubriche ne parla diffusamente. E, nella prima di queste, impone al Podestà ed ai Priori l'obbligo di celebrare questa festa, anche nella Cappella privata del Comune, sotto pena di 25 libre di danaro a testa. Essi dovevano pure intervenire alla processione, portando due ceri di sei libbre l'uno.

Nelle Riformanze, dal 1355 in poi, si trovano ogni anno disposizioni relative alla festa di Sant'Emiliano. E la maggior parte di esse si riferiscono alla spesa che il Comune doveva  p55 sostenere in tale occasione, ed alle misure di precauzione che si dovevano prendere, per tutelare l'ordine pubblico in quei giorni; e queste misure consistevano specialmente nel nominare delle guardie, tante per Rione, chiamate zelatores pacis et concordiae. Le spese che il Comune sosteneva erano assai rilevanti, tanto che nel 1395 si dovettero limitare e si ridussero a 100 libre di danaro, somma assai importante per quei tempi.

Il segnale delle feste sacre e profane si dava otto giorni avanti, esponendo sulla Piazza "la Statua della Mora armata di scudo e di sciabola, volgarmente detta l'Inquintana"º come scrive Durastante Natalucci.​a Però bisogna notare che questo era nello stesso tempo il segnale delle feste carnevalesche. D'allora in poi, fino alla Quaresima, era lecito darsi ad ogni sorta di scherzi, fra cui era preferito quello di tingersi il viso e di tingerlo agli altri, senza timore d'incorrere in alcuna pena.

Per rendere maggiormente allegra la festa si facevano venire di fuori "suonatori di trombetti, tamburi, timpani, ciaramelle, chitarre e cetere" e ciò fino dal 1356. Sembra però che quest'uso non fosse senza inconvenienti, perchè il 19 gennaio 1600, il Consiglio deliberava "che non si ricevessero altri trombetti che i convicini".

 p56  Un altro divertimento riservato a questa occasione era il Palio con l'anello, che era, credo, così detto perchè il premio assegnato al vincitore era appunto un anello, quasi certamente d'oro. Di più al vincitore si dava un premio di due Scudi e, più tardi, una posata d'argento. Le spese di questa festa erano a carica dei pochi Ebrei dimoranti a Trevi. Essi dovevano mettere l'anello per la corsa, ed era prescritto che esso dovesse valere 50 Bolognini, e si doveva pagare il 1o gennaio. Così fu stabilito nel 1476. Due anni dopo, però, questa disposizione fu modificata nel senso che gli Ebrei dovessero fare l'anello di sei once, una volta per sempre, e pagare ogni anno 60 Bolognini in contanti, pel vincitore. Questo divertimento del Palio doveva essere gradito assai ai nostri antichi. Infatti nel 1600 essi, che pure erano tanto devoti, stabilirono di non dar più cera a Sant'Emiliano, come di consueto, ma d'impiegare il denaro corrispondente per fare un Palio, ossia stendardo, pel vincitore della corsa dell'anello, dipingendo sulla stoffa lo stemma del Comune e quello del Podestà.

E finalmente, altro emozionante divertimento di questi giorni era la caccia del bove. E questa doveva farsi a cura e spesa dell'appaltatore del pubblico macello, sotto pena di Scudi sei, e si faceva nella Piazza. E l'usanza ha  p57 durato fino ad una cinquantina d'anni fa. Ma in ultimo la caccia del bove si faceva per Natale.

Ma lo spettacolo più serio e al quale prendeva parte tutta la Città, era l'"Illuminata", cioè la Processione che si faceva, come ora, la sera della vigilia di Sant'Emiliano. A questa, come ho detto, dovevano intervenire il Podestà ed i Priori. Anche tutti i Sacerdoti e i Chierici della Città erano obbligati ad andarvi, sotto pena di uno Scudo di multa per i primi e di 5 Giulii per gli altri. I curati della campagna, che forse trovavano poco comoda per loro questa funzione sacra, riuscirono ad ottenere dalla Congregazione del Concilio, verso la metà del secolo XVIII, di essere dispensati dall'intervenire alla Processione. Dovevano andarvi anche i Frati di tutti i Conventi; e, se si fossero rifiutati, perdevano il diritto di essere nominati predicatori a Trevi, quando fosse stato il loro turno; giacchè il Comune nominava anno per anno, il predicatore della Quaresima, scegliendolo ogni volta in un Convento diverso. Però "quelle Religioni che non verranno alle Processioni generali (cioè di Sant'Emiliano e del Corpus Domini) non entrino in giro". — Così stabilì il Consiglio il 12 febbraio 1658.

I più recalcitranti erano i Monaci Olivetani di S. Pietro di Bovara. Per questi il Comune  p58 dovette scrivere "alli Signori Superiori, con fare istanza che il Monastero si debba dare in governo ad altra nazione, oltre alla Perugina" metterlo, cioè, sotto la sorveglianza e la giurisdizione di più autorità, per renderli più obbedienti (12 novembre 1623).

Le Confraternite, le Compagnie di Città e di campagna con stendardi, il Magistrato, i Consiglieri, gli Ufficiali o Impiegati della Comunità, gli Artigiani con un capo per arte e col cero, i Medici e i Notari: tutti dovevano andare in Processione; pena uno Scudo ai mancanti. (Statuto Trevano, Rubrica 46‑47).

Non sappiamo quale Imagine del Santo si portasse in Processione nei secoli anteriori al XVII, non essendoci in quei tempi alcuna statua, nè alcuna Reliquia di Sant'Emiliano. fu soltanto nel 1613 ai 21 ottobre che il Consiglio deliberò "che si faccia l'Imagine di Sant'Emiliano di legno, ma che la spesa non passi 25 Scudi, con farvi l'arme della Comunità e che la spesa si faccia con licentia dei Signori Superiori". — Questa somma però non fu sufficiente, e l'anno seguente, 1614, al 23 di settembre, il medesimo Consiglio, in seguito ad istanza deliberava "che si diano al Capitolo di Sant'Emiliano, Scudi dieci, con licentia dei Superiori per compire l'Imagine di Sant'Emiliano, con conditione che si faccia l'arme  p59 della Città". La statua di cui si parla fu compiuta nel 1615, forse a Foligno, e "condotta in Trevi con straordinaria allegrezza e sparo d'artiglieria". — Artisticamente è opera di nessun pregio. Ha soltanto di notevole che quantunque opera del tempo in cui il seicentume cominciava ad imperare, pure è condotta con una certa parsimonia di stile. Però, a osservarla bene, si vede chiaramente che l'autore ha voluto, poco felicemente, imitare, sia nella rigidezza della figura che nella semplicità della sedia, il S. Pietro di bronzo, che si venera nella Basilica Vaticana.

Nel 1660 un avvenimento di gran consolazione, per i devoti Trevani, fu il ritrovamento degli reliquie di Sant'Emiliano. Mentre a Spoleto si restaurava la Chiesa di Santa Maria "due incogniti pellegrini" indicarono agli operai il luogo dove erano sepolte le Reliquie del Santo. E ivi, infatti, furono trovati il teschio e parte delle altre ossa, insieme ad un'ampolla di vetro con il sangue coagulato, nonchè due graffi di ferro, macchiati di sangue. Queste reliquie furono poi portate a Trevi, e negli anni successivi recate in Processione.

Però i fedeli non erano contenti dell'antica Statua, poco confacente, anche per il suo stile modesto, alla pompa solenne della cerimonia cui doveva servire. È perciò che nel 1751 si  p60 dava commissione di un'altra Statua, a Pietro Epifani da Foligno. Sembra però, che questi incaricasse dell'esecuzione di quel lavoro un artista tedesco, allora residente in quella Città. In ogni modo, però, l'Epifani fu quello che stipulò il contratto, e che appose il suo nome nella parte posteriore della sedia, presso lo stemma del Comune. Questa Statua è pregevolissima opera di stile barocco, ed in essa l'artista ha saputo molto felicemente ottenere un insieme svelto ed elegante nonostante la pesantezza dello stile.

La Statua ordinata nel 1751 fu compiuta nel 1753. Essa costò più di 500 Scudi, la maggior parte dei quali pagati dal Comune. Fu con gran solennità condotta processionalmente da Foligno a Trevi. Il Capitolo di Sant'Emiliano andò ad incontrarla sulla Piazza del Mercato, in mezzo ad una moltitudine di popolo, al suono di tutte le campane ed allo sparo dei mortari, come troviamo nelle antiche memorie.

Ed affinchè la Statua non deperisse, l'11 febbraio 1853 il Consiglio deliberò di fare il credenzone per tenervela custodita, a patto che una delle chiavi di questo rimanesse in mano dell'Autorità municipale.


Nota dell'autore:

1 Veglia, città di circa 3000 abitanti, è capoluogo dell'isola dello stesso nome, situata nel Golfo di Quarnero. È anche oggi sede vescovile. Della Torre fu deposta dalla sua diocesi, anche a richiesta dei fedeli.

Si può leggere un'eccellente schizzo biografico nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani. Il nome attuale della città croata di Veglia è Krk.

Nota di Thayer:

a Durastante Natalucci, Historia universale. . ., p141 del manoscritto (nell'edizione stampata a cura di Carlo Zenobi, p111):

Dandone il segno, da tempo immemorabile, 8 giorni avanti con esporre nella piazza la statua della Mora armata di scudo e di sciabla, volgarmente detta l'Inquitana;º la quale, i tempi antichi, non tanto esponevasi in segno della franchigia, come ogni giorno, quanto per manifesto della libertà [che] conseguiva la gioventù rilasciandosi a cose carnevalesche, al'uso di tingersi e di poter tingere l'altrui faccia come per gioco, senza altra pena. . .


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Pagina aggiornata: 30 mar 16