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Le congregazioni
delle arti

Questa pagina riproduce una parte di

Curiosità storiche trevane

di
Tommaso Valenti

pubblicato da F. Campitelli, editore,
Foligno, 1922

Il testo è nel pubblico dominio.

Questa pagina è stata attentamente riletta
e la credo senza errori.
Ciò nonostante, se vi trovate un errore, vi prego di farmelo sapere!

seguente:

[ALT dell'immagine: (collegamento alla parte seguente)]
La Chiesa
di S. Francesco

 p115  Oliveti ed olive

[ da La Torre di Trevi,
Anno II N. 1 del 14 Gennaio, N. 2 del 28 Gennaio, e N. 3 del 12 Febbraio 1899 ]

Il tema è sempre d'attualità per noi Trevani, che tra gli olivi nascemmo e viviamo.

Mi sembra, quindi, far cosa grata ai miei lettori riassumendo la storia di questa coltivazione, che per il nostro territorio rappresenta, ora come sempre, la principale, se non anche l'unica risorsa economica.

La coltura dell'olivo nella parte montana del nostro Comune rimonta ad epoche remotissime. La più antica memoria che se ne abbia risale al 1491. Infatti il Mugnoni narra in quell'anno "essersi gelati insino i fiumi, in specie l'Arno di Fiorenza, sopra cui camminavasi ed il fiume di Cascia, intorno al molino, che per macinare vi si doveva rompere il ghiaccio". Con tutto ciò, a dire dello stesso Autore, i nostri oliveti non ebbero a soffrire gravi danni.

Poco più tardi, però, e ciò nel 1513, non  p116 sfuggirono alla strage che di essi fecero gli Spoletini che saccheggiarono e devastarono completamente il nostro territorio. Troviamo, infatti, in un cod del nostro Archivio, una dettagliata enumerazione, con la relativa stima, di tutti gli oliveti danneggiati, insieme al resto della campagna dagli Spoletini invasori.

Ma nemmeno questa sciagura bastò per avvilire la coltivazione dell'olivo nel nostro territorio; che anzi in breve questi risorsero e furono piantati anche in maggior quantità; donde nacque il motto:

"Lo Spoletino dalle mani sante

Taglia una pianta e ne fa sorger tante".

E quando i nuovi geli vennero a danneggiare i "piantoni" come da noi si chiamano gli olivi, non per questo i Trevani si scoraggiarono, ma più attivamente ne curarono la cultura.

Nel 1585 un terribile gelo seccò quasi tutti i fusti degli olivi; ma poco dopo tornarono a nuovo vigore. E questo fatto fu così cantato in versi da un tal Andrea Vitellozzi, da Trevi, nelle sue "Cose Memorabili e Poesie Diverse".

"Nel millecinquecento come io scrivo,

Sia con ottantacinque ognor conjunto,

D'inverno un tempo fu molto cattivo,

 p117  Che fece un danno grande e senza conto.

Seccò nel basso gli arbor degli olivi,

Che pochi ne rimaser quasi appunto.

Seccati i fusti i ceppi ricacchiorno,

Così per tutto poi moltiplicorno".

Ai tempi di Durastante Natalucci, cioè nella seconda metà del secolo passato, gli olivi situati nella parte più bassa dei colli Trevani erano piccoli e giovani ripiantati di fresco o di nuovo germogliati dopo i geli del gennaio 1709 e 1716. E fu in seguito a questi che il Consiglio deliberava nella seduta dell'11 giugno 1716 di proibire l'accesso a qualunque bestia negli oliveti, per cinque anni; sotto pena di "uno scudo" per le bestie grosse e di "tre giulii" per le piccole.

Il valore degli olivi ha subìto nei diversi secoli numerose variazioni. Ed è curioso notare come il prezzo delle piante sia aumentato, quando è anche aumentato il numero di esse. Infatti il Mugnoni, alla fine del '400, scriveva: "Sono moltiplicate le chiuse delle olive, che valiva la pianta delle olive uno bajocco et al più uno bolognino; ora vale bolognini quattro alla pianta".

E quando nel 1513 si fece la stima dei danni recati dagli Spoletini, un "piantone" si stimava un "fiorino", ed anche meno.

 p118  Nel 1600 gli olivi valevano "venticinque denari" o più; ed un "piantone" da frutto "uno scudo". La terra olivata, come risulta dagli antichi catasti, si stimava, "venticinque" o "trenta fiorini" lo staro. E questo valore aumentò poco dopo fino a "quaranta" o "cinquanta fiorini".

I Magistrati di Trevi ed il Consiglio si occuparono sempre, e con somma cura, di questa pianta e del suo prezioso frutto. È per ciò che nelle "Riformanze" dei diversi secoli troviamo numerose deliberazioni relative a questa materia. Il Comune stabiliva il modo di misurare le olive, sorvegliava che non venissero rubate e regolava l'esportazione dell'olio.

E curiose ed interessanti notizie troviamo nel nostro Archivio relative alla coglitura delle olive, alle mercedi degli operai: a mille cose, insomma, che hanno rapporto con tale vitalissimo interesse trevano.

La raccolta delle olive, che oggi rappresenta una vera provvidenza per i bisognosi, che trovano in questo lavoro un'occupazione proficua, veniva in antico fatta da forestieri, giacchè i Trevani, anche contadini, non se ne occupavano. Gli operai venivano specialmente da Nocera Umbra e da Camerino, e qui li chiamavano "i montanari".

La loro mercede variò secondo i tempi. Prima  p119 si pagavano in ragione di "dodici denari" la "coppa" (circa 80 litri). Dopo si rilasciava ad essi un sesto od un settimo dell'olive raccolte, ed avevano anche il vitto. E la mercede aumentò notevolmente nel secolo XVII quando i "montanari" che coglievano le olive, avevano diritto ad un terzo o ad un quarto della raccolta. Infatti il Vitellozzi, che ho poco sopra citato, narra che nel 1616 le olive caddero in terra in seguito ai venti ed alle nevi; cosicchè la raccolta di esse costò più cara. Ecco come esso racconta il fatto:

"Sappi, lettor, nel sesto decim' anno

Dopo il Milleseicento, il primo giorno

Di San Bastiano con molto e gran danno

Fur neve e venti grandi, che batterno

Le olive in terra; e così poi in tal'anno

Al terzo, al quarto a coglier date furno".

Finita la raccolta delle olive, si dava permesso ai poveri, come ora, di andare per le chiuse a raccattare quel poco che ne rimaneva in terra; lavoro, che con parola nuova e semi-barbara, fu detto "baghetare", ringentilita poi nel moderno, non meno barbaro, "vaclutare". Però questo permesso non si dava che dopo finita completamente la raccolta. Infatti una Riformanza del 1563 imponeva una multa di  p120 "dieci scudi" a chi andava a "baghetare" avanti il 1o marzo. E questa disposizione fu confermata negli anni successivi 1584 e 1585. La contravvenzione veniva liquidata dall'ufficio del "Danno dato". E il 1595 si deliberò che la metà delle multe andasse a vantaggio di quello ufficio, e l'altra metà alla Compagnia del Sagramento.

Il Comune si preoccupò più volte dei frequenti furti delle olive; e per rimediare in qualche modo a questo grave inconveniente, dispose che non si trasportasse l'oliva fuori del territorio trevano, senza uno speciale "Bollettino" sotto pena di "dieci Scudi" e della perdita della oliva. E questo "Bollettino" doveva anche presentarsi ai molinari che prendevano a macinare l'oliva; i quali, contravvenendo, erano soggetti alla stessa multa, un quarto della quale era devoluto alla Compagnia della Misericordia. E di più era vietato ai molinari di comprare l'oliva da chi non possedeva "piantoni".

La misura dell'oliva venivano determinata dal Comune. E dal 1542 al 1598 troviamo parecchie deliberazioni consiliari su tale oggetto. In generale esse stabilivano che l'oliva dovesse misurarsi dai venditori e non già dai compratori. Nè i molinari che compravano l'oliva potevano far altro che colmare le misure ove loro non sembrassero giuste; ma per far ciò dovevano  p121 versare l'oliva nel recipiente inclinando la pala, e non già facendo cadere questa per piano sulla bocca della misura: pena 25 Scudi. La misura doveva essere uguale a quella del grano e non doveva colmarsi; a meno che non si usasse la "mezzenghetta", costruita appositamente, di bocca stretta, in modo che ognuna di esse colma, corrispondesse alla "mezzenga" rasa del grano.

Sembra, però, che frequenti fossero le trasgressioni a questi ordini comunali, perchè si dovè ricorrere a multe forti e sempre crescenti, contro chi misurava in altro modo. E la multa che nel 1542 era di un "Ducato", fu nel 1543 portata a "due Scudi"; a tre nel 1545; a 25 nel 1554; e finalmente a 100 scudi nel 1566, più la scomunica!

Per controllare le misure in uso presso i privati esistevano in Comune in campioni delle "mezzenghe"; e non era permesso usare misure non bollate dal Comune.

Questo si occupava ancora del prezzo della oliva, e veniva determinato il giorno di Santo Emiliano dai Magistrati coll'intervento del Governatore; i quali, per stabilire questo prezzo si basavano sulle quantità di olio che le olive avevano reso nel corso della raccolta fino a quel giorno.

Il commercio dell'olio, quantunque fiaccamente esercitato, è stato sempre una delle vitali  p122 risorse del nostro territorio; "per essere — come dice Durastante Natalucci — il frutto di dette olive di gran sollievo alla patria, costituendogli la migliore entrata, specialmente quando l'olio oltrepassa gli "Scudi due" al "caldarello"; "come il 1716 arrivò a "Scudi tre e cinquanta", "nonostante alle volte, come prima della mancanza delli "piantoni", sia stato a circa "uno Scudo" al "caldarello", come il 1725 che l'olive tornarono abbondanti". Il "caldarello" corrisponde a 20 chili.

Ma l'utile che il Paese poteva trarre da questa produzione era grandemente diminuito per i tanti ostacoli che si frapponevano alla esportazione dell'olio dal territorio. Per poter esportare olio da Trevi era necessario munirsi di un "Bollettino" e, per volere del Papa, era obbligo mandare l'olio esclusivamente verso Roma. Oltre di che il Papa pretendeva che i Trevani vendessero a lui il loro olio "come per forza" — dice il Natalucci" e a prezzo ancora inferiore".

Giustamente, quindi si preoccuparono di questo stato di cose coloro che governavano il nostro Comune.

E fino dal 1575 si pensò di mandare un oratore a Perugia presso il Legato pontificio e Governatore dell'Umbria, affinchè si liberasse da tante pastoie il commercio oleario di Trevi.  p123 Ed in pari tempo si mandò a Roma un altro oratore affinchè, con l'intercessione di Mons. Monte Valenti, cercasse ottenere dal Papa la revoca delle disposizioni allora vigenti.

Ma sembra che queste pratiche riuscissero infruttuose; giacchè poco dopo, e cioè il 16 febbraio 1578, il Consiglio nuovamente deliberava di incaricare un tal Gio: Battista Gemma per il medesimo affare. Ma non si ottenne nemmeno allora il desiderato intento. E così il Consiglio fu costretto il 1583 ad obbligare nuovamente il Comune a far pratiche presso il Legato di Perugia e presso il Papa, perchè si permettesse l'esportazione dell'olio anche verso altre città, oltre che a Roma.

E in appoggio di questo desiderio del Paese si affermava che era necessario trovare altre vie di uscita all'olio di Trevi "perchè è olio grasso, tristo e poco buon a mangiare". Circostanza questa che sembrerebbe inverosimile stante le ottime qualità degli attuali olii trevani!

A queste ragioni il Consiglio ne aggiungeva delle altre non meno gravi, tra cui quella della mancanza dei mezzi di trasporto necessari per portare l'olio fino a Roma; poichè in quei tempi non vi erano nè uomini, nè bestie, nè "pelli" in quantità sufficiente.

Tre anni dopo, in vista dell'ostinazione del  p124 Governo, che non voleva ascoltare le giuste preghiere dei Trevani, questi tornarono alla carica. E il 9 marzo 1596 si deliberò nuovamente di ripetere le solite istanze, facendo osservare che gli olii erano "grassi et buoni per saponi et panni"; e perciò di difficile smercio. E di più il trasporto da Trevi a Roma costava troppo caro, per la lamentata mancanza di vetturali, i quali dovevano farsi venire da fuori, e specialmente dal Comune di Collescipoli, presso Terni.

Ma il Papa tenne duro; e gli olii di Trevi fino alla metà del Settecento, non potevano mandarsi che verso Roma. Soltanto a titolo di grazia speciale si ottenne da Roma nel 1673 il permesso di spedire altrove 200 "caldarelli" di olio, di proprietà dei "montanari" venuti per la raccolta delle olive; a patto però che si pagasse una tassa di "due Scudi" per "soma", a vantaggio dei Segretari della Reverenda Camera Apostolica!

Non saprei precisare l'epoca in cui il commercio dell'olio di Trevi venne liberato da tante fastidiose e dannose legaccie. Certo si è che questo prezioso liquido è stato sempre una fonte indiscutibile di ricchezza per il nostro Paese. Tantochè il Lalli, poeta giocoso di Norcia, nelle sue "Poesie nove" ebbe a scrivere a proposito di Trevi:

 p125  "Han qui d'olio e di vino una fiumara,

Che a poco a poco si converte in oro,

E doppioni ne cavano a migliara".

Ed auguriamoci che sia sempre così per il bene di tutti!


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Pagina aggiornata: 27 mar 16