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Spello (3)

Questa pagina riproduce una parte di
Spello, Bevagna, Montefalco

di
Giulio Urbini

stampato dall'Istituto Italiano d'Arti Grafiche
a Bergamo
1913

Il testo è nel pubblico dominio.
Le eventuali foto a colori sono © William P. Thayer.


Se vi trovate un errore, vi prego di farmelo sapere!

seguente:

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Spello (5)
 p34 

Spello

(4a parte di 6)


[ALT dell'immagine: [ALT dell'immagine: missing ALT]. Si tratta di un'ara romana nella chiesa S. Maria Maggiore di Spello, nell'Umbria.]

Tavola del Pintoricchio,
nella chiesa di S. Andrea Apostolo.

(Fot. Alinari)

Il Convento di S. Andrea è notato negli Annali Camaldolesi come appartenenti al loro ordine nel 1025; ma la chiesa, per quanto antica, non par di quel secolo. La facciata nel suo rimodernamento ha serbato la porta romanica con l'arco ornato d'un bassoschiacciato rilievo a treccia viminea, che se fosse, come pare, della fine del sec. VIII o de' primordi del IX, avrebbe dovuto appartenere a un edificio anteriore. La costruzione delle volte nel coro e nel punto d'intersezione della croce latina accennerebbe al duodecimo secolo; ma anche nell'architettura dell'interno si distinguono diverse età. — Per costruire la scaletta dell'organo fu tagliata a metà un'antica Cappella, ridotta poi a cimitero; e i buoni affreschi quattrocenteschi, di scuola folignate,  p35 ond'era tutta decorata, si sono rovinati, specie per l'uso che avevano i becchini d'inchiodar sui muri tibie ed altre ossa come paurosi trofei della morte. Lasciando da parte, anche in questa chiesa, molte cose minori, come nel secondo altare a sinistra, una tela del Sermei e in quello di rimpetto un affresco del 1565, che si potrebbe attribuire a Michelangelo Carducci, di Norcia, e poco più su, in una nicchia, parte d'un più grande affresco dell'sec. XIV, con alcuni caratteri senesi che però erano comuni anche agli umbri di quel tempo —, osserveremo nel parapetto del pulpito la mezza figura del Cristo risuscitato, in una tavola ridotta a sesto circolare e quasi tutta ridipinta, che assai probabilmente formava la cimasa della gran tavola del Pintoricchio, nel terzo altare a destra. Questa rappresenta la Madonna in trono fra i ss. Andrea e Ludovico di Tolosa, Francesco d'Assisi e Lorenzo, con in basso il piccolo Battista, dinanzi al quale è dipinto un panchetto con sopra due carte, dove, per bizzarria o per vanagloria, e in ogni modo come firma, il pittore ricopiò interamente  p36 una lettera, assai onorevole per lui, scrittagli da Gentile Baglioni nel 1508, nell'anno cioè in cui dipingeva questa tavola. La quale però non si deve tutta a lui; poichè da un atto senese, anteriore di due anni, risulta che esso Pintoricchio, consegnato al pittore Tommaso Corvo il suo disegno, e obbligandosi a dipingere le teste principali, commetteva la pittura di tutto il resto a Eusebio di San Giorgio, che dal canto suo si obbligò di cominciarla nell'aprile dell'anno successivo; e bisogna pure aggiungere che per gli ornamenti si fece aiutare o da Giambattista Caporali o, più probabilmente, da quei Giovanni di Francesco Ciambella, detto Fantasia, che aiutò anche il Perugino negli affreschi del Cambio a Perugia. Mirabile, al solito, la concordia dei critici; poichè secondo taluno questo quadro poco aggiungerebbe alla fama del Pintoricchio; secondo altri sarebbe bellissimo; e chi l'annovera tra le sue opere migliori, e chi, esagerando anche di più, vuole che sia addirittura la più insigne. Quanto al suddetto T. Corvo, o T. di ser Francesco di Conio, da Spello, ricordato anche in documenti notarili dal 1513 al 1532, non si può additare nessuna sua opera certa; ma doveva essere un pittore di poco pregio.

E a questo proposito noterò che Spello, così ricca d'insigni pitture, non ha dato nessun pittore degno d'essere ricordato. Di un Dondoli, che il Lanzi dice nato nel 1650 e che secondo lui sarebbe stato un assai buon pittore se avesse avuto miglior fondamento di disegno come ebbe lodevole colorito, non si può oggi additare con sicurezza nessuna delle opere che avrebbe lasciato in patria. Di Carlo Lamparelli, morto nel 1727, si potrebbero additare alcune tele nella chiesetta di S. Angelo e in S. Maria Maggiore, e nella basilica di S. Francesco in Assisi e altrove; ma non sono lodevoli nè per colorito nè per disegno nè per altro.

Tornando alle opere d'arte di S. Andrea, aggiungerò che la mensa dell'altar maggiore è sorretta da un semplice ed elegante portichetto di stile gotico; — che l'abside conserva, sotto l'intonaco, una decorazione di affreschi di scuola umbra; — che allato del vicino altare è appesa una tela quadrilunga con un Cristo morto, mal disegnato nella parte inferiore, ma bellissimo, caraccesco nella testa, d'un mirabile effetto funereo, — e che finalmente nell'ultimo altare di sinistra ci resta a vedere un grande Crocifisso, d'epoca giottesca, che anticamente doveva stare sul tramezzo della chiesa.

 p37  Nei fondi del convento può piacere agli archeologi di osservare un tratto di muro d'enormi pietroni squadrati, di cui si vedono altri resti nella casa n. 37 e altrove, fin dietro alla Rocca di piazza; a proposito de' quali noterò che nell'androne del Palazzo municipale si conserva un frammento di lapide a grandi lettere, che il Bormann con minuti raffronti ha cercato di reintegrare in una sua dissertazione, donde risulterebbe che apparteneva ad un grande edificio fatto fare o restaurare per testamento d'un nobile personaggio che, a desumerlo dai titoli, doveva essere Plinio il giovane. Ora, sapendosi che la lapide, grandissima, fu trovata a pochi passi dagli avanzi suddetti, sarebbe forse troppo arrischiata l'ipotesi che questi potessero in qualche modo appartenere all'edificio pliniano? Va poi anche notato come non resti alcun indizio del "magnifico tempio" che Costantino nel suo celebre Rescritto concesse agli spellani d'inalzare in onore della gente flavia, e che in fatti dovè esser fabbricato, poichè in una base, trovata non molto lontano dai ruderi dell'anfiteatro, è ricordato appunto un sacerdote della detta gente.

A Spello non v'è più alcun edificio civile di speciale importanza architettonica; ma restano molte tracce delle solide costruzioni medievali, riconoscibili all'esecuzione accuratissima degli archi di pietre conce, generalmente ribassati nelle finestre e prima a tutto sesto e poi quasi sempre acuti nelle porte, le une più grandi e a livello della strada, per accesso alle botteghe; le altre non, come si dice, mortuarie, ma proprio di casa, molto anguste, rialzate più o meno da terra e con la soglia ristretta, per maggior difesa, da due sporti agli stipiti. Si vedono ancora molte finestre laterizie del quattrocento, e neppur mancano resti d'eleganti decorazioni architettoniche del  p38 sec. XVI; ma dobbiamo dolerci che non esista più un graffito bellissimo in una facciatina sulla fine di Via Cavour, decorata ancora da una semplice e graziosa porta con lo stemma della famiglia Bianchi e la data 1502.

Ed eccoci in Piazza Vittorio Emanuele. La Rocca, demolita in parte e trasformata dopo i terremoti del 1832, era coronata da una merlatura guelfa, come si può anche vedere nella terza prospettiva del grande armadio della sagrestia di S. Lorenzo. Ne resta anche memoria in una lapide, ora nell'atrio del Palazzo municipale, in cui è detto che nel 1358 la fece edificare Filippo dell'Antella, vescovo di Firenze e Rettore del Ducato di Spoleto. Mentre, secondo alcuni, i Baglioni avrebbero avuto il loro  p40 palazzo su parte dell'area occupata ora dal Collegio Rosi, secondo altri, più probabilmente, avrebbero abitato in detta Rocca, della quale rimane tuttora, dalla parte di levante, un portone ogivale a grandi conci di calcare bianco, sormontato da uno stemma con le chiavi papali, fra due altri ora affatto irriconoscibili. — In capo alla Piazza grandeggia il Palazzo municipale, privo di bellezza e d'importanza architettonica per le ricostruzioni e i restauri subìti in diversi tempi. Ma nell'angolo tra mezzogiorno e ponente si riconosce bene la parte più antica, nella quale è stata chiusa una loggia ad archi acuti, forse quella che gli Statuti del sec. XIV chiamano "voltam Palatii Communis", poichè sembra che questo fosse anche allora il Palazzo del Comune,  p41 a cui era vicina la chiesa di S. Rufino sotto quella di S. Filippo, che fu riedificata con disegno del celebre architetto Giuseppe Piermarini e adesso è ridotta a magazzino: Sotto un leone in altorilievo, che tiene fra le zampe un cinghiale atterrato, è una breve scritta con la data 1270 e il nome dell'autore, Prode, che non è certo se fosse solo lo scultore del gruppo o, più probabilmente, anche l'architetto del palazzo. In alto sono stati rimessi in luce due riquadri con due stemmi: uno dei Maccarelli, che governarono e tiranneggiarono la patria con lotte civcivili, tradimenti e stragi fino al 1346; l'altro del paese, con una croce e due specchi, che derivano da una cervellotica etimologia del suo nome, per cui s'andò a tirar fuori speculum, perchè si specchiava, dicono, in un lago (forse reminiscenza properziana): "E Spello in prima fu chiamato specchio", cantava il Frezzi nel "Quadriregio". La croce bianca non proviene certo dai tempi di Costantino; ma siccome difficilmente potrebbe accettarsi l'ipotesi che fosse aggiunta dopo il 1346 per la leggenda della vecchia della croce, che racconterò più innanzi, si potrebbe supporre che rimontasse al 1095, quando molti spellani, con a capo Ercole Cacciaguerra, mossero alla prima crociata sotto Boemondo di Puglia. — La Fontana, di cui un moderno basamento ha guaste le proporzioni, fu eretta sotto il pontificato di Giulio III (1550‑5) e reca nel mezzo il suo stemma. — Nell'androne è una raccolta di lapidi nella massima parte romane  p42 (altre, importantissime, sono nel salone del primo piano): in fondo al secondo braccio si vede incastrata nel muro la fronte anteriore d'un sarcofago romano della decadenza; sopra, la fronte d'un'urna cineraria, pur della decadenza; sopra ancora, in una nicchia, un torso marmoreo di statua assai ben paludata, de' buoni tempi; sotto la scala una grand'Olla e frammenti d'elegantissimi cornicioni romani, che dovevano decorare la scena del Teatro, nella cui area furono scavati sui primi del secolo XIX. Delle cose di qualche interesse che potrebbero vedersi nel piano principale, dove sono gli uffici del Comune, l'Archivio municipale e notarile (mente comincia dal 1370), la Biblioteca, che possiede, tra l'altro, la grande raccolta dei Bollandisti con pregevole legatura francese del settecento, noterò solo, nel Gabinetto del Sindaco, un piccolo Dittico  p44 con la Crocifissione e l'Incoronazione, sotto alle quali una scritta, oggi quasi illegibile, ci dà il nome dell'autore, Cola Petruccioli d'Orvieto, e la data (1395?); nella Sala del Consiglio un alto fregio d'affreschi simbolici, del 1588, e, nella stanza attigua, un affresco nella maniera dello Spagna, staccato dalla diruta chiesetta di S. Michele Arcangelo.

Prendendo per Via della Misericordia, si va alla chiesetta omonima, che conserva ancora la sua facciata del quattrocento, con affreschi di scuola folignate, e nell'interno due nicchie, una con affreschi di scuola perugina, del 1522, l'altra con un Calvario  p45 e altri affreschi, decorativi e votivi (1562), di Michelangelo Carducci di Norcia. E salendoº si passa per l'Ospedale, ove, fra poche altre cose di minore importanza può vedersi un affresco del sec. XVI, al quale, come a quello del secolo successivo nella chiesa di S. Ventura, dette argomento una leggenda riportata dai cronisti e  p46 ancor viva nella tradizione popolare. Una vecchia, secondo questa leggenda, soffiava con male arti nel fuoco delle discordie che funestarono Spello con tradimenti e stragi e scelleraggini d'ogni fatta, specie dal 1320 al 1346; nel qual anno, mentre le fazioni stavano per azzuffarsi, due pastorelli avrebbero vista in cielo una croce di fuoco tra due angeli sopra la torre di piazza; onde si posero giù le armi e tornò la pace fra i cittadini. Dopo di che, "la vecchia della croce" (passata in proverbio come sinonimo di mettiscandali) non si sarebbe più veduta; e dell'anniversario di questa pace è ricordo anche negli Statuti del 1360, dove ai priori s'ingiungeva di stipendiare un naccherino che non mancasse mai ad alcuna festività, compresa quella dell'"Apparizione della croce". Attraversando poi la piazzetta del Collegio Rosi, nel quale potrebbe  p48 vedersi una gran nicchia d'altare dipinta nel 1580 dal Fantino di Bevagna, eccoci dinanzi alla chiesa di S. Lorenzo.


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Pagina aggiornata: 23 ago 05