URL breve per questa pagina:
bit.ly/SERAQL3C


[ALT dell'immagine: Molto del mio sito è inutile se tenete escluse le immagini!]
e‑mail:
William Thayer

[Image ALT: Click here for a help page in English.]
English

[Link to a series of help pages]
Aiuto
[Collegamento al livello immediatamente superiore]
A monte
[Link to my homepage]
Home
precedente:

[ALT dell'immagine: (collegamento alla parte precedente)]
Cap. III
(2a Parte)

Questa pagina riproduce una parte di
Aquila

pubblicato nella Serie "Italia artistica"
Bergamo, 1929

Il testo è nel pubblico dominio.

Questa pagina è stata attentamente riletta
e la credo senza errori.
Ciò nonostante, se vi trovate un errore,
vi prego di farmelo sapere!

seguente:

[ALT dell'immagine: (collegamento alla parte seguente)]
Cap. III
(4a Parte)

 p70  (III, seguito)

La Scultura. — Le opere scultorie di questo periodo che l'Aquila conserva son tali da non poter essere trascurate quando si voglia seguire il corso della scultura italiana del Rinascimento. Poichè, oltre la Pala di Andrea della Robbia e aiuti — opera degna del maestro di cui reca il nome e della scuola gloriosa — si han le interessanti manifestazioni di due artisti indigeni, Andrea e Silvestro, al quale ultimo si ricongiunge, fra gli altri, Saturnino de' Gatti. Soltanto è da notare che questi maestri non espressero un loro particolare ideale artistico. Essi assimilarono largamente insegnamenti di sommi artefici fiorentini, e nella personalità della traduzione di un'arte non propria è da riscontrare la loro virtù. Napoli stessa, però, non vanta saggi superiori. E vano sarebbe cercarne nell'Abruzzo che tutto s'illumina durante la Rinascita della gloria di Silvestro.

Convien ricordare anzitutto, benchè fuggevolmente, un piccolo gruppo di opere che stanno in mezzo tra l'arte gotica e quella del Rinascimento. In queste l'ossatura architettonica è inspirata allo stile acuto, mentre le figure son penetrate della vita del Quattrocento. Van compresi nella serie i due rilievi all'esterno di S. Marco. L'uno, quello sottostante al coronamento della fronte, rappresenta la Vergine col Bambino; l'altro, murato sulla porta del fianco sinistro, esprime la Vergine col Bambino, l'Arcangelo Michele e il donatore, oltre l'Eterno nella cuspide. Sono entrambi lavori mediocri, senza caratteri stilistici spiccati, eseguiti verso la metà circa del secolo XV. Allo stesso marmorario si deve ascrivere un altro frammento, raffigurante il Redentore, esposto nel secondo cortile del Museo Civico. Probabilmente tutti e tre dovevano contribuire a formare un tabernacolo, forse nella chiesa di S. Marco.

Senza importanza considerevole è anche la statua di S. Massimo (fine del secolo XV) già mentovata​a — nell'andito tra il coro e il convento di S. Maria di Collemaggio  p72 — dal viso segnato con certa cura ma dal panneggio grave, recante un modello di città.


[image ALT: missingALT]

S. Maria di Collemaggio
— Statua di S. Massimo

(Fot. Carli)

Rozza è la lunetta di S. Maria di Roio (metà del sec. XV c.), adorna dalle figure a mezzo busto della Vergine col Bambino fra S. Pietro e S. Pier Celestino.

Nulla è conservato nell'Aquila di quel Paolo Aquilano che incise il nome e la data 1475 sotto una Vergine mediocre nella chiesa di Civitaquana.

L'opera di Andrea dell'Aquila richiede attenzione più ponderata. Andrea fu scolaro di Donatello, come riferisce una nota lettera di Niccolò Severini, oratore della Repubblica di Siena, in data 18 giugno 1458. Il Severini riporta che era "singolare pittore", "maestro di scultura" e che si allevò nella casa di Cosimo de' Medici in Firenze. Lavorò a Napoli nel grande Arco trionfale dedicato ad Alfonso I d'Aragona: lo attestano documenti dal 1455 al 1458 soprattutto. Nell'altare l'azione di Donatello si avverte chiara, specie nel folleggiare dei putti, nel loro tipo vigoroso, nella modellatura  p73 a stiacciato. Gli insegnamenti del maestro fiorentino non furono largiti invano. L'organismo costruttivo è sovraccarico, ma si giova delle proporzioni slanciate, benchè non perfettamente armoniose, e del gioco policromo in azzurro, oro e bianco. Le figure son modellate con qualche stento e deficienza. Han grazia, pertanto, di tipo e di atti. Segnatamente notevole è la figurazione nella lunetta e la Vergine Annunciata.

Più personale fu Silvestro dall'Aquila. Se egli non ebbe una visione artistica propria, d'altra parte non si limitò a seguire le orme di un caposcuola. In un momento in cui si ergevano grandi individualità, era difficile pronunciare una parola nuova, ma egli riuscì ad accogliere con animo pronto impressioni varie e tra le più squisite, a fonderle senza asprezza, tormentandosi nell'aspirazione costante verso un ideale di bellezza. Gli va anche riconosciuto il merito non piccolo di aver resistito alle inclinazioni decorative e graziose proprie della scultura fiorentina coeva, per mirare alla monumentalità, all'opera complessa, per preoccuparsi di cogliere la vitalità interiore,  p74 il gesto espressivo e tipico; così di essersi serbato corretto e sobrio sempre, pur nell'ansiosa ricerca di soluzioni e particolari nuovi. Arcaico non fu, come spesso è da rilevare negli imitatori. Le sue Madonne, che sembrano concepite da un artista diverso da quello del Monumento Pereyra Camponeschi, riflettono la tradizione chiesastica che fissava all'artista i modi dell'espressione, sancendoli negli strumenti notarili cui, in questi casi, bisognava tener fede.

La data della nascita, ad Arischia presso l'Aquila, è ignota. La Numerazione dei Fuochi fissa quella della morte: 1504. La prima notizia che di lui s'abbia risale al 1471 e ricorda come egli tenesse bottega all'Aquila insieme allo scultore Giovanni Biasucci, di lui più avanti negli anni, e del quale non si conoscono che due gruppi della Vergine col Bambino nelle chiese omonime di S. Maria dei Lumi a Campli e a Civitella del Tronto. Non appar verosimile ch'egli sia da identificare con quel Silvestro dall'Aquila, che, secondo documenti del 1439‑40 editi dal Muntz, operò a Firenze in qualità di orafo alle dipendenze di Eugenio IV. I suoi lavori finora conosciuti, compresi tra il 1476‑1504, non presentano segno alcuno di stanchezza, qual sarebbe presumibile se Silvestro nel 1476 avesse toccato circa l'undecimo lustro.

La fonte madre della sua educazione artistica fu Firenze, benchè vi si distinguano anche elementi romani e napoletani. La maggior parte e la più nobile delle sue opere si trova all'Aquila. Il Monumento sepolcrale del Cardinale Amico Agnifili ne apre la serie. Esso fu cominciato nel 1476 e terminato nel 1480. Reca la segnatura: opus Silvestri Aquilani MCCCCLXXX. Sorgeva nella cappella a destra dell'altare maggiore che il munifico cardinale aveva adattata a Battistero. Il terremoto del 1703 gli arrecò gravi danni. Nel 1887 lo si riordinò alla meglio in una nicchia a destra dell'ingresso principale, elevandolo sopra un nuovo zoccolo e riducendolo all'urna col defunto. Dal contratto si ricava suo organamento. Si aveva una nicchia arcuata  p75 su pilastri a nicchie che ospitavano le statue di S. Giorgio e di S. Massimo, mentre nella lunetta risaltava la Vergine col Bambino e nel vano sottostante la cassa sorretta da basamenti sovrapposti. È il tipo del monumento fiorentino qual fu determinato da Bernardo Rossellino nella tomba Bruni e perfezionato da Desiderio in quella Marsuppini. Però vi si innesta il motivo adottato dai marmorarî romani fin dalla metà del secolo — per es. Sepolcro Lebretto di A. Bregno all'Aracoeli — dei pilastri con statue in nicchie. Copiosi riferimenti si avvertono al Monumento Marsuppini: la coltre drappeggiata fuori del letto, la struttura di questo, il profilo dell'urna, la sua ornamentazione, il punto delle zampe leonine che la sorreggono, la postura della targa declaratoria, il sottobasamento che in origine doveva esser staccato dell'urna. Al Sepolcro Lebretto è invece inspirata l'imagine del defunto, supina, solenne, seccamente modellata, con panneggio ancor gotico, mentre Desiderio la dispone incline verso  p76 l'osservatore, serenamente dormente. Non crediamo appartenesse al monumento — come qualcuno ha suggerito — la statua di S. Massimo presso la porta della sagrestia, opera posteriore e senza carattere. In questa tomba Silvestro afferma, traverso una leggiadra ingenuità di esordiente, la impressionabilità delicata del suo temperamento, la virtù di armonizzare elementi molteplici con distinzione.


[image ALT: missingALT]

Duomo — Statua di S. Massimo

(Fot. Carli)


[image ALT: missingALT]

Duomo — Monumento Agnifili

(Fot. Alinari)

Intanto si volgeva ad un lavoro forse più arduo. Nel 1478, come i regesti dell'Agnifili informano, promise di eseguire per la chiesa di S. M. del Soccorso una statua in legno di S. Sebastiano, in apposito tabernacolo adorno di storie. Questo più non esiste; la figura del Santo è nel Museo Civico. Vi si legge: hoc opus fecit Dominicus Antonii de (Caprinis) de Aquila 1478. La notazione cerea dell'incarnato, rossiccia dei capelli, riesce spiacevole e v'ha qualcosa di forzato, di provinciale che menoma l'opera. Ma la figura è eletta di forme, slanciata, sintetica, modellata con plasticità conscia della struttura delle forme, fervida nella vita espressiva. Proto­tipo è il S. Sebastiano della Pieve di Empoli, modellato non molto dopo il 1457 da Antonio Rossellino. L'interpretazione non è senza libertà, malgrado che i richiami siano precisi e numerosi. L'affinità è palese in ispecial modo nell'atleticità del tipo, nell'appoggiarsi della figura, benchè all'opera aquilana manchi il tronco d'albero adoperato dal Rossellino, nella linea e nel movimento del corpo, che Silvestro inclina, però, tutto da una parte, mentre il Rossellino vi accenna certa contrapposizione del busto alle gambe. Inoltre, nell'impostazione delle gambe e nell'angolo da esse formato, nel piegar delle braccia (il Rossellino flette con più vivace nervosità il braccio destro), nell'atteggiamento estatico della testa. Il Rossellino è sempre più fine: si noti la definizione del perizoma.


[image ALT: missingALT]

Museo Civico — S. Sebastiano,
di Silvestro dall'Aquila

(Fot. Alinari)

Il monumento eretto nel 1496 a Maria Pereyra e alla figliuola Beatrice Camponeschi in S. Bernardino segna il sommo dell'arte di Silvestro. Il compromesso tra il monumento funerario romano e quello fiorentino si fa qui più evidente. Motivi consueti alle botteghe dell'Urbe sono il sottarco a cassettoni e l'ornamentazione delle urne. La decorazione a festoni richiama specialmente il Sepolcro Riario in S. Apostoli, del Bregno, e altre opere della scuola. Del Bregno è anche evocato il Cenotafio Lebretto per la forma delle nicchie nei pilastri e le loro proporzioni rispetto alle statue che ospitano, oltre che per il panneggio del S. Francesco che trova riscontro in quello del Santo omonimo. Invece la ghirlanda incoronante l'arco, il coperchio a scaglie della piccola urna, il motivo delle candeliere sul coronamento e quello del  p77 libro che Maria Pereyra preme al seno fan pensare alla Tomba Marsuppini. Infine, si ha qualche ricordo di Antonio Rossellino nei putti fiancheggianti l'urna specie per il tipo e lo spirito dell'atteggiamento (Monumenti al Cardinale di Portogallo e a Maria d'Aragona); nella collocazione della defunta maggiore, il cui volto piegato lievemente verso l'osservatore attenua l'irrigidimento delle linee. Silvestro si vale con personalità delle belle opere studiate, ma nel recar mutamenti alle più nobili ne sminuisce il puro ritmo, la grazia armoniosa. Il basamento è alquanto massiccio e troppo sviluppato in relazione ai pilastri, benchè questi appaiano amplificati dalle statue; la soluzione di appoggiare l'urnetta su esso se non è comune, non è nemmeno felice. L'eliminazione dei festoni d'incoronamento introdotti da Desiderio attenua l'unità e fa sembrare le candeliere come isolate. La soppressione della figurazione nella lunetta e l'uniformità appena rialzata dalla policromia della parete di sfondo rende freddo e muto il corpo superiore, mentre, in contrasto, piuttosto carica è la camera mortuaria, a causa dell'immagine della bambina incassata sotto l'urna della madre e dei due putti, che Desiderio aveva elevati alle estremità dello zoccolo per imprimere alla massa slancio e leggerezza.


[image ALT: missingALT]

Chiesa di S. Bernardino
— Monumento Maria Pereyra-Camponeschi

(Fot. Alinari)

Tuttavia il Sepolcro Pereyra-Camponeschi è da annoverare tra le più vaghe derivazioni dalla scultura fiorentina. Con gentile mano son segnati gli ornati. Nelle figure è la ricerca della intensità espressiva: S. Francesco par che offra la dolorante ferita in olocausto, con lo sguardo vago, le labbra staccate, quasi immobile nel rapimento. La Madonna ha la grazia raccolta delle Vergini di Silvestro. Il Battista prelude alla visione che di lui ebbe Alessandro Vittoria. Freschezza infantile spira dai putti, per quanto determinati con certa durezza. Finemente modellata nelle carni floride, nel tondo viso, nella leggera camiciuola è la "dolce infante". Ma su tutte deliziosa è l'immagine di Maria Pereyra, soavemente composta nel sonno, mentre le mani delicatissime premono ancora le pagine allettatrici. La gentile sua bellezza non sfiorisce ma si spiritualizza. Il sentimento paganeggiante della Rinascita che sostituisce allo sfiguramento ascetico la "greca eutanasia" ha in lei una stupenda affermazione.


[image ALT: missingALT]

Chiesa di S. Bernardino
— Monumento Maria Pereyra-Camponeschi (particolari)

(Fot. Alinari)


[image ALT: missingALT]

[image ALT: missingALT]

Chiesa di S. Bernardino — Monumento Maria Pereyra-Camponeschi (particolari)

(Fot. Alinari)

Circa tra il 1499‑1500 cade l'esecuzione del gruppo in terracotta rappresentante la Vergine col Bambino sull'altare della terza cappella a destra in S. Bernardino. Per esso si ha notizia dall'Agnifili di tre pagamenti nel 1494, 1499, 1500. Sembra probabile che il primo rappresenti un anticipo, mentre i due posteriori attesterebbero la esecuzione dell'incarico. Questo gruppo è ora assai malandato. Maria è atteggiata in adorazione a mani giunte pel suo Nato, che reggeva nel grembo, ora scomparso. Grandioso e nobile è il tipo della Vergine, profondamente raccolta, spirante bontà.

Strette affinità legano questo gruppo ad un altro sull'altare a destra  p80 nella crociera in S. Maria di Collemaggio. Gli angeli che librano sul capo della Donna la corona son posteriori. Il volto della Vergine nel tipo, nell'atto di reclinarsi, nel raccoglimento richiama la Madonna dell'Annunciazione scolpita da Benedetto da Majano per la chiesa di Monte Oliveto a Napoli. La fattura meno facile rispetto al gruppo di S. Bernardino lo fa ritenere anteriore a questo.

Di Silvestro è anche il gruppo in legno della Vergine col Bambino (1490) nella chiesa di Ancarano, eseguito, per prescrizione contrattuale, a simiglianza di uno di Giovanni Biasucci. Di un imitatore — Giovan Francesco Gagliardelli — sono invece i gruppi, anch'essi in legno, di S. Maria Mater Domini a Chieti — dalle proporzioni assai allungate, dalla espressione meno raccolta — e quello di S. Maria delle Grazie a Teramo, di esecuzione più sciolta e penetrata di senso umano. Certamente non a Silvestro si possono assegnare le statue di S. Francesco e di S. Bernardino dominanti sull'altare  p81 di S. Bernardino, come vuole il Massonio e come ammette perfino il Burckhardt. Non suo sembra un gruppo della Madonna col Bambino acefalo nel Museo, per eccesso di rigore ieratico.


[image ALT: missingALT]

Museo Civico
— Madonna col Bambino

(Fot. Carli)

A Silvestro si può dare la lunetta murata nel fianco destro della chiesa di S. Marciano, che va ritenuta, verosimilmente, parte del monumento Agnifili. Essa presenta vive assonanze con la lunetta del Ciborio di Andrea dall'Aquila — specie nella forma del trono e nell'atteggiamento della Vergine — perciò va compresa nel suo periodo giovanile, come afferma anche un che di affaticato e grave nella modellazione. La composizione, nel gioco di chiaroscuro nel senso ornamentale con ci è trattato il panneggio, discende dal bassorilievo di Donatello sul fronte della Tomba Brancacci in S. Angelo a Nilo di Napoli e dalla Natività di Antonio Rossellino nella chiesa di  p82 Monte Oliveto a Napoli, come da un bassorilievo di questo artista nel Museo Federico a Berlino. È notevole la sobrietà, l'animazione, la grazia, la vaghezza decorativa.


[image ALT: missingALT]

Chiesa di S. Marciano — Lunetta, di Silvestro dall'Aquila

(Fot. Alinari)


[image ALT: missingALT]
		
[image ALT: missingALT]

Chiesa di S. Maria del Soccorso

— Ciborio di Andrea dall'Aquila

(Fot. Alinari)

— Particolare del Ciborio di Andrea dall'Aquilaº


[image ALT: missingALT]

Chiesa di S. Maria del Soccorso
— Particolare del Ciborio di Andrea dall'Aquilaº


[image ALT: missingALT]

Chiesa di S. Maria del Soccorso — Particolare del Ciborio di Andrea dall'Aquilaº


Nota di Thayer:

a Sbaglia l'autore; non è stata menzionata.


[ALT dell'immagine: HTML 4.01 valido.]

Pagina aggiornata: 2 gen 11