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Cap. IV
(1a Parte)

Questa pagina riproduce una parte di
Aquila

pubblicato nella Serie "Italia artistica"
Bergamo, 1929

Il testo è nel pubblico dominio.

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seguente:

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Cap. IV
(3a Parte)

p127 (IV, seguito)

La Pittura. — Su qualunque manifestazione legata alla vita della città — cioè pitture murali o ospitate nelle chiese — si appunti l'attenzione, non si può constatare  p128 che povertà di intenti e di mezzi. Basta, per saggio, ricordare qualche artista e qualche opera. Così la schiera dei Bedeschini (XVI‑XVII): Giulio Cesare e i di lui figliuoli Giovanni Battista e Francesco, Carlo Antonio, nato da quest'ultimo, Cesare (dipinti in S. Bernardino, 4o altare a sinistra, in S. Maria del Suffragio, in S. Marciano, 1o altare a destra), in S. Pietro di Coppito, in S. Silvestro.

Migliore non fu Carlo Berrettini da Cortona che nel 1635 affrescò con aiuti un salone nel Palazzo Alfieri (Piazzetta Alfieri, 14), e la terza cappella a destra in S. Margherita. Certo interessamento può destare il fiorentino Baccio Ciarpi, nato a Barga nel 1578, morte circa nel 1644 a Roma, ove si hanno opere sue, perchè banditore della tendenza caravaggesca nel Battesimo di Costantino in S. Silvestro (cappellone a sinistra); segnato: Baccius Ciarpus Bargaesis faciebat Rome 1612 e più nella Presentazione al Tempio sul terzo altare a sinistra in Duomo, intesa entro un mezzo crepuscolare, oltre che in alcuni dipinti conservati in Municipio. Nella chiesa di S. Giusta son da notare due quadri del Ciarpi e una debole Lapidazione di S. Stefano con la scritta Ioseph Caesar fecit 1615.

Pel Seicento le opere migliori sono quelle di Giacomo Farelli (nato a Roma nel 1624, morto a Napoli nel 1706), che appartiene alla scuola napoletana, segnatamente gli affreschi firmati nella seconda cappella a destra in S. Filippo.

Interessante riesce Carlo Ruther, imitatore di Rubens e felice animalista: si osservino tra i quadri da lui dipinti per le pareti di S. Maria di Collemaggio il primo e il quarto a destra, oltre a qualche tela del Palazzo Municipale. Nelle tele di Collemaggio  p129 è notevole il sentimento del paese, con masse boscose, animati movimenti di colline che accompagnano l'occhio ai monti lontani, sorrisi da ampi cieli invasi da nuvole lievi, il senso della vita animale, specie negli snelli levrieri dal manto chiaro e luminoso; la nobiltà e l'intensità di vita del Santo in solitudine (il futuro Celestino V), la finezza dei risalti luminosi.


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Chiesa di S. Maria di Collemaggio — L'Eremita del Morrone, di Carlo Ruther

(Fot. Alinari)

La cupola in prospettiva dipinta su tela nel Duomo si attribuisce a Andrea Pozzo (1642‑1709), il macchinoso e scenografico decoratore della vôlta del Gesù a Roma: è cosa mediocre, non avvivata da effetti illusionistici.

Il secolo XVI non arrecò messe più rigogliosa. Si ha una pleiade di pittori maldestri: Donato Teodoro da Chieti, cui si devono i due quadri (1730) con fatti della vita di S. Massimo nel coro del Duomo; il Ciferri che nel 1741 dipinse la S. Cecilia sul secondo altare a destra in Duomo e nelle due tele della crociera di S. Maria del Suffragio (Discesa dello Spirito SantoMartirio di S. Lucia) s'industriò a plasmare un singolare organismo coloristico; Michelangelo Buonacore (1733), Deliquio di S. Domenico in S. Pietro di Sassa; Natività della Vergine (1736) nella cappella a destra del coro in S. Silvestro; l'anonimo autore della Pietà nella Congregazione dei Nobili.

In alcune opere appar notevole Gerolamo Cenatempo: così nei quadri inspirati a Luca Giordano del soffitto di S. Bernardino (1732) — ben costruiti, varî, armoniosi nella colorazione, con certo fervore di affetti — così nel gran quadro del Coro del Duomo (Vergine, S. Massimo e S. Giorgio, 1733); mentre in altre opere (freschi in S. Margherita, 1709; quadro nella prima cappella a destra della crociera di S. Bernardino, 1733; freschi nella cappella del Santo in questa chiesa con influsso del Domenichino), si tradisce debole e trascurato.

 p130  Sensibilmente superiore a tutti costoro emerge Vincenzo Damini, benchè neppur egli possa ritenersi figura rappresentativa. Era veneziano, ma poichè soggiornò nell'Aquila e molte chiese aquilane vantano sue opere, convien considerarlo nel gruppo di artisti che contribuirono alla fisionomia della pittura barocca della città. Non sappiamo se fosse stretto da vincoli di parentela ai fratelli Pietro e Giorgio Damini, anch'essi pittori e che molto a Venezia e nel Veneto operarono durante i primi decenni del secolo XVII. Si ha notizia di un suo soggiorno a Londra, circa tra il 1720‑30, ed è agevole ammetterlo, chè la metropoli londinese molti artisti veneti sollecitò in questo tempo. La sua tavolozza lo fa derivare essenzialmente dal Piazzetta e da G. B. Pittoni. Richiama anche il Magnasco. Al Pittoni si accosta segnatamente nel vago riquadro del soffitto di S. Antonio Nardis (La Vergine appare a S. Antonio), per la chiarità dei toni della veste di Maria color fragola, cui è sovrapposto un manto azzurro, per il panneggiare, per lo sfumato dei nubi (cfr. con l'Annunciazione nella Galleria di Venezia); mentre nell'accentuato gioco degli sbattimenti, nelle intense ombre marrone, nel predominio delle tonalità marrone è evocato il Piazzetta (si osservino i Contadini nella Galleria di Venezia, e si tengano presenti anche le altre opere del Damini). Di consueto i suoi dipinti, pervasi dell'artificiosità che fu propria al secolo, richiamano per il vivo effetto scenografico, ottenuto con i contrapposti delle masse d'ombra e di luce, e il carattere della tavolozza dominata dal rossiccio dell'incarnato, modificato da ombre marrone e luci verdastre, e staccata sul fondo di grigi o azzurro-grigi rilevata da qualche nota in giallo e in rosso.

Ricordiamo alcune delle molte tele sparse nelle chiese, quasi tutte firmate e datate: nel coro e nella seconda cappella a sinistra di S. Margherita (1740), sul primo  p131 altare a destra in S. Silvestro (1740), rappresentante il Battesimo di Gesù, alquanto lezioso, ma notevole per i contrapposti ritmici delle figure, la vaghezza del paese, la levità della gloria angelica, nella terza cappella a sinistra e a destra in S. Agostino (1741), in S. Pietro di Sassa (Carlo II d'Angiò innanzi alla Vergine e a S. Domenico) (1741), nella terza cappella a sinistra in S. Maria di Paganica.

L'Intaglio. — La scultura non ha in questo periodo testimonianze degne, benchè un ricordo meriti il S. Antonio sulla fronte della Cappella dei Nardis.

Quasi in compenso risaltano alcuni lavori d'intaglio eseguiti segnatamente nel secolo XVIII. Anzitutto, quelli che costituiscono uno de' maggiori titoli di distinzione dell'Oratorio Nardis, nella cui architettura mirabilmente s'inquadrano, moltiplicandone e colorendone il significato. La nave è signoreggiata da un soffitto in legno verde chiaro  p132 in cui si svolgono, riscintillanti nell'oro, motivi ornamentali, leggeri, franchi, concatenati con grazia. Più sontuoso è l'organo, in grigio, oro e e rosso, ma non molto snello e non sempre eletto nella copiosa decorazione. Il parapetto della cantoria in legno giallo, troppo sviluppato e tardo nel movimento, si fregia di superbi motivi resi con magistrale senso plastico. La macchina dell'organo ricorda quella della Cappella del Sacramento (1582) nella Basilica Vaticana, in ispecial modo pei mezzi di animazione e la forma delle colonne, e più quella della Badia Morronese presso Sulmona lavorata dal milanese Battista del Frate nel 1631.


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Oratorio di S. Antonio di Nardis — Soffitto

(Fot. Carli)


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Oratorio di S. Antonio di Nardis — Cantoria

(Fot. Carli)

Notevoli sono anche il soffitto e l'orchestra in S. Bernardino, opere non spoglie di pregi, ma non fini, con rapporti numerosi a quelle della chiesa dei Nardis, non tali pertanto da confortare l'assegnazione degli scrittori locali ad un unico artista: Bernardino Mosca da Pescocostanzo.


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Chiesa di S. Bernardino — Soffitto

(Fot. Carli)

Van menzionati, infine, la Cantoria di S. Marciano, gli organi e i coretti aurati nella chiesa di S. Filippo; la Cantoria di Collemaggio con bassorilievi della Passione; gli stalli del coro in S. Bernardino; gli stalli nel coro e i dorsali nella sacrestia del Duomo; gli stalli del refettorio nel Convitto; la macchina dorata sull'altar maggiore di S. Giusta.


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S. Maria di Rojo — Altare maggiore

(Fot. Carli)


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