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Il Foro Romano — Storia e Monumenti

da Christian Hülsen

pubblicato da Ermanno Loescher & Co
Editori di S. M. la Regina d'Italia
1905

Il testo, le piante e le immagini in bianco e nero sono nel pubblico dominio.
Le foto a colori sono © William P. Thayer.

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 p22  II. Il Foro Romano nel medio evo.


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Fig. 5. Mattone con bollo di Teodorico, trovato nel tempio di Vesta.

Sette anni dopo la caduta dell'Impero occidentale, Teodorico, re degli Ostrogoti, vinto Odoacre, occupò l'Italia (483‑526). Le iscrizioni impresse sulle sue tegole, delle quali non poche furono trovate anche nelle rovine del Foro, aggiungono al nome di lui l'epiteto: "nato per il bene di Roma". Ed infatti, dopo le terribili catastrofi del secolo quinto, il regno di Teodorico segnava un periodo di calma e di relativo benessere per la città. Il Senato, ridotto ad un'ombra già sul finire dell'Impero occidentale, fu da lui conservato; ed è degno di nota che Teodorico amava designare la Curia col nome di Atrium libertatis, ma la massima parte dei senatori che si radunavano nella Curia non erano romani, bensì seguaci del re Goto. Il Comizio aveva allora perduto l'antico e glorioso suo nome: la piazza soleva appellarsi  p23 ad tria Fata, da un gruppo delle tre Parche ivi esistente. Prossimo alle tria Fata sorgeva ancora l'antico tempietto di Giano ed era chiuso non già perchè regnasse la pace, ma perchè il culto pagano era abolito. Quando nel 537 Belisario, col suo esercito, si avvicinò a Roma, il tempio fu per l'ultima volta aperto da alcuni seguaci del paganesimo, desiderosi di far risorgere la costumanza antichissima. Molti altri monumenti del Foro erano, a quanto pare, ancora in piedi, nè a Teodorico e a' suoi successori mancava la buona volontà di restaurare quelli che minacciavano di cadere. Dei metodi impiegati per restaurarli, che a noi possono sembrare alquanto strani, fa testimonianza un documento del regno di Teodato (535‑536). Il prefetto della città, Onorio, aveva riferito al Re, che sulla Sacra Via, "sulla quale i pagani avevano lasciati molti monumenti della loro superstizione", alcuni elefanti di bronzo, — probabilmente della quadriga di un arco trionfale — erano danneggiati e minacciavano rovina. Il rescritto del re, nel quale il segretario Cassiodoro fa pompa di un'erudizione assai singolare sulla storia naturale degli elefanti (Var. X, 30) — prescrive che le membra rotte degli animali si debbano ricongiungere mediante spranghe di ferro, e sotto il loro ventre si costruiscano pilastri di mattoni, "affinchè venga conservata la vera effigie di tali animali maravigliosi".

Dopo la caduta del regno Gotico, quando Roma era ridotta quasi una città di provincia sotto gli esarchi bizantini di Ravenna, non tutti i monumenti antichi perirono, poichè in gran parte furono trasformati in chiese cristiane; ma lungo tempo trascorse prima che questa trasformazione avesse luogo. I templi del Foro infatti erano chiusi fino dalla promulgazione degli editti di Costanzo (346) e di Graziano (383), mentre la prima chiesa cristiana di data certa nel Foro è Ss. Cosma e Damiano, consecrata da papa Felice IV (526‑529) in una sala (forse  p24 una biblioteca) attigua al Forum Pacis. Contemporanei probabilmente ad essa erano: l'oratorio di S. Maria Antiqua nella biblioteca del tempio di Augusto, e l'oratorio dei Ss. Sergio e Bacco sui Rostri.

La fine del sesto e il principio del settimo secolo segnano per Roma un periodo di profonda decadenza; ce ne porge un'idea il carteggio del papa S. Gregorio Magno. In condizioni assai tristi infatti doveva essere ridotta l'antica capitale del mondo romano, se il gran pontefice salutava con espressioni infinitamente lusinghiere l'avvenimento al trono di un usurpatore come Foca. La colonna di Foca (n. XIV) costruita sulla base di un monumento più antico con materiali presi altrove, è l'ultima memoria di un imperatore bizantino sul Foro (608). Più tardi, la Curia fu transformata nella chiesa di S. Adriano, il Secretarium Senatus in quella di S. Martina e il piccolo oratorio situato nella biblioteca del tempio di Augusto in una grande chiesa, la quale, sotto papa Martino I (649‑654), fu per la seconda volta decorata con pitture a fresco (v. n. XXIX). Nell'atrio di Vesta e nel deserto palazzo imperiale (Domus Tiberiana) sul Palatino presero stanza gl'impiegati della corte bizantina e dei papi: la medesima sorte toccò, probabilmente già prima del secolo ottavo, alla Regia e alla basilica Emilia. In altre parti delle basiliche furono costruite piccole chiese (S. Maria in Cannapara, S. Maria in Foro); e l'oratorio dei Ss. Sergio e Bacco, situato dove sorgevano i Rostri, sotto Gregorio III (731‑741), fu transformato in una magnifica basilica.

L'ultimo comizio popolare sul Foro, di cui abbiamo notizia, fu tenuto nei torbidi giorni che seguirono la morte di papa Paolo I. Il primicerio Cristoforo convocò in tribus Fatis, cioè dinanzi S. Adriano (v. p. 23) il clero, la milizia, i loro capi, i notabili con tutto il popolo e fece acclamare pontefice il presbitero Stefano (1o agosto 768).

 p25  Nel medesimo tempo, un pellegrino di cui non si conosce il nome, proveniente dal monastero Reichenau sul lago di Costanza, passò per la città eterna. Le sue note, conservateci per un caso felice (ora si trovano nella biblioteca del monastero di Einsiedeln) rappresentano per noi la più antica guida di Roma nel medio evo. Egli vide ancora in piedi le facciate dei templi di Vespasiano e della Concordia; e vicino alla Curia un gran monumento (forse un arco) eretto a Marco Aurelio per le guerre germaniche; e nel mezzo della piazza la base della statua equestre di Costantino, con la sua iscrizione, mentre la statua stessa, come tanti altri monumenti di bronzo, era stata distrutta. Dal suo itinerario si rileva che in quel tempo l'arco di Settimio Severo era ancora il centro ove le vie che univano S. Pietro al Laterano e S. Maria Maggiore s'incrociavano con quelle che dal Quirinale e dal Pincio facevano capo ai quartieri meridionali.

Non molto dopo Carlomagno, molti edifizi scomparvero, parte per incuria, parte perchè voluti distruggere. Un passo importante della biografia di papa Adriano I (772‑795) indica quali sistemi erano adoperati per la distruzione dei monumenti. Adriano I voleva riedificare la chiesa di S. Maria in Cosmedin: però "un grande monumento di tufo e di travertino" (probabilmente le carceri del Circo Massimo) sovrastava alla basilica, minacciando di rovinarla. Allora il papa "chiamò in aiuto il popolo, fece portare una gran quantità di legna appiè del muro, e vi pose il fuoco; ripetutasi l'operazione per un anno continuo, il vecchio muro crollò" e le macerie servirono per la costruzione della nuova chiesa. Demolizioni simili devono essere avvenute anche nel Foro, ma le brevissime cronache di quei tempi non ne raccontano i particolari. Però nella basilica di S. Maria Antiqua, le mura stesse parlano abbastanza chiaramente: verso la metà del  p26 secolo nono, le parti del palazzo imperiale sovrastanti alla chiesa furono tanto danneggiate, che minacciarono la rovina della basilica stessa; e il papa Leone IV (847‑855), abbandonatala completamente, ne costruì un'altra sulle rovine del tempio di Venere e Roma, alla quale perciò fu imposto il nome di S. Maria Nova. Gravissima fu anche la devastazione che tutta la parte meridionale della città ebbe a patire dal saccheggio dei Normanni condotti da Roberto Guiscardo (nel maggio del 1084) e presumibilmente anche il Foro ne rimase assai danneggiato.

Alla metà del secolo dodicesimo appartiene un documento pregevole, l'ordine delle processioni inserite nel Liber polipticus del canonico Benedetto (1143). Gli itinerari segnativi dimostrano che in quel tempo il centro del Foro era completamente impraticabile, poichè i ruderi delle basiliche crollate rendevano impossibile il passaggio; presso il tempio di Faustina, che era diventato intorno il mille la chiesa di S. Lorenzo in Miranda, si ergevano fortezze appartenenti ai Frangipani e ad altre famiglie baronali. Per andare dall'arco di Severo a quello di Tito, le processioni dovevano fare un gran giro attraverso i Fori di Nerva, di Augusto e di Vespasiano. Sull'area del Foro si elevavano, sopra gli avanzi dei monumenti antichi, case e casupole isolate, costruite con mattoni e con tetti di legno, circondate da orti e vigne. Molte di queste case appartenevano alla basilica di S. Maria Nova, e l'archivio di questa chiesa contiene una lunga serie di documenti relativi a vendite ed affitti di queste case e di questi terreni.

Verso il medesimo tempo, un ecclesiastico romano si accinse a descrivere e ad illustrare ai suoi contemporanei le maraviglie dell'antica Roma. Era il periodo degli imperatori Svevi, quando Arnaldo da Brescia ridestò la coscienza nazionale di fronte ai Cesari transalpini. Nel medesimo tempo il comune di Roma, dopo  p27 essere stato quasi annullato per molti secoli, si costituì di nuovo, stabilendo la residenza del suo capo, il palazzo del Senatore, sopra le rovine del Tabulario Capitolino. Un siffatto momento storico si prestava moltissimo a ridestare negli animi l'interesse per gli antichi e muti testimoni della grandezza romana; ma quali mezzi possedeva l'archeologo romano, per effettuare questa sua impresa? Alcuni compendi di storia, i regionari del tempo di Costantino e il Martirologio de Fastis di Ovidio; ma la maggior parte delle sue interpretazioni provenivano dalla sua fantasia. Ne risultò il libro curioso intitolato Mirabilia Urbis Romae, il quale per più di tre secoli è stato la fonte principale per gli studi della topografia di Roma antica. Nel capitolo 24, il Foro viene descritto come segue:

Dinanzi la privata Mamertini [il Carcere] era il tempio di Marte, ove ora giace il suo simulacro [Marforio, ora nel cortile del museo Capitolino]; accanto era il tempio del Fato [templum fatale] ora S. Martina, e il tempio del Refugio, ora S. Adriano. Vicino vi era un altro tempio del Fato [oscuro ricordo delle tria Fata]. Accanto alla prigione di Stato era il tempio dei Fabi. Dietro S. Sergio il tempio della Concordia, dinanzi l'arco trionfale di Severo attraverso al quale si saliva al Capitolio; contiguo era l'erario pubblico cioè il tempio di Saturno. dall'altra parte era un arco intarsiato di marmi meravigliosi sul quale era scolpita la storia di alcuni soldati, che ricevevano i loro donativi dal Senato, e il tesoriere incaricato di siffatto ufficio, che prima di dispensarli ai soldati, pesava ogni cosa nella stadera; quel luogo perciò si chiama S. Salvator de statera. Nella Cannapara [Basilica Giulia]​a era il tempio Cereris et Telluris, con due atrî, ossia sale e dintorno adornato con portici a colonne, di maniera che chiunque ivi sedeva per giudicare era veduto da tutte le parti. Accanto era il palazzo di Catilina, ove fu la chiesa di S. Antonio, presso la quale è il luogo chiamato Infernus, perchè in antico buttava fuoco con grave danno di Roma; dove un nobile cavaliere per liberare la città, secondo il responso dei suo dei, armato si gettò dentro, e la terra si chiuse e la città fu liberata. Ivi è il tempio di Vesta sotto il quale dicesi che giaccia un drago, come si legge nella vita si S. Silvestro. Ivi è pure il tempio di Pallade, il Foro di Cesare e il tempio di Giano,  p28 che prevede l'anno nel principio e nella fine, come dice Ovidio nei Fasti, ma ora chiamasi la torre di Cencio Frangipani. Contiguo è il tempio di Minerva con un arco, ora chiamato S. Lorenzo de Miranda. Accanto è la chiesa di S. Cosma che era il tempio dell'Asilo. Dietro era il tempio della Pace e di Latona e sopra era il tempio di Romolo. Dietro a S. Maria Nuova erano due templi, della Concordia e della Pietà. Accanto all'arco delle Sette Lucerne il tempio di Esculapio, il quale si chiama Cartularium, perchè vi era costì una biblioteca pubblica, una delle ventotto che esistevano in Roma.

Questo passo porge un'idea dello strano miscuglio di cose veramente vedute e di invenzioni fantastiche, che formano il libro dei Mirabilia. Ma l'autore dà le sue spiegazioni con tanta precisione ed interpreta tutti i monumenti della romana grandezza così compiutamente, che al suo libro derivò un'autorità grandissima nei tempi posteriori. Frattanto la rovina dei monumenti e l'interramento dell'area del Foro progredivano ogni giorno di più. Verso il dodicesimo secolo il piano della basilica di S. Adriano dovette essere innalzato di circa quattro metri per farlo corrispondere al livello delle strade vicine. Altre chiese medievali scomparvero, specialmente durante la residenza dei papi in Avignone, quando Roma si trovò un'altra volta ridotta in istato di estremo deperimento. Sulla piazza del Foro stesso, le greggi della campagna riposavano; "Campo vaccino" era chiamato allora il Foro Romano. Fra quei ruderi passeggiava nel principio del secolo decimoquarto Cola di Rienzo; "tutta la die", dice il suo biografo, "se speculava negl'intagli de marmo, li quali iaccio intorno a Roma. Non era altro che esso che sapesse lejere li antichi pataffi. Tutte scritture antiche vulgarizzava; queste fiure di marmo justamente interpretava". Ma nella collezione epigrafica di Cola, tramandataci nel libro del segretario del Senato romano Nicolò Signorili de excellentis Urbis Romae (cr. 1423) non troviamo più menzionato alcuno dei monumenti  p29 veduti dal pellegrino di Einsiedeln, tranne l'arco di Severo e i templi di Saturno e di Faustina.

Dopo il ritorno di papa Urbano V in Roma (1367) ricominciarono giorni migliori per la città, ma la crescente attività edilizia riuscì dannosa e non poco agli antichi monumenti. Urbano stesso prese materiali dal tempio di Faustina e dalla basilica Emilia per ristaurare il palazzo Lateranense. Sessant'anni più tardi, Giovanni Poggio nel libro De varietate fortunae si lagna che una gran parte della cella del tempio di Saturno, che ancora sussisteva al suo arrivo in Roma (1402), venisse poi distrutta e convertita in calce da speculatori. Ma in quest'epoca in cui per opera dell'umanismo la letteratura classica e storica dei Romani ed in parte anche dei Greci, tornò visibilmente in onore, ebbe principio anche uno studio serio e metodico degli avanzi monumentali di Roma. Venti anni soli dopo la comparsa del libro del Signorili, tutto avvolto ancora nella tradizione "mirabiliana", Flavio Biondo scrisse la sua Roma instaurata che è il primo tentativo di una topografia sistematica fondata sopra testimonianze antiche. Alle leggende medievali Flavio Biondo sostituì nuovi concetti, spesso ancora erronei, ma indipendenti dalla tradizione fantastica, e buoni a guidare gli studiosi sulla retta strada.


Nota di Thayer:

Nella Cannapara [Basilica Giulia]: Vent'anni dopo, scrivendo Le Chiese di Roma nel Medio Evo (1927), avrà cambiato idee sull'identità della contrada della Cannapara e la Basilica Giulia: si veda la sua scheda sulla chiesa di S. Maria de Cannapara.


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Pagina aggiornata: 22 giu 07