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Di questa chiesa e monastero, di cui non rimane più alcuna traccia da molti secoli, trovo menzione nel bollario cassinese. Il Martinelli ne tace affatto, come il Lonigo e la massima parte degli scrittori delle memorie cristiane di Roma.
Il Grutero pubblica un'iscrizione sacra alla Fortuna, che egli dice trascritta dalle schede dell'Orsino, il quale la copiò dall'originale che dice esistente Romae in s. Firmina. Nessun altro autore ha mai fatto cenno di questa chiesa, della quale sembra incredibile che sia disparsa ogni traccia, in guisa che, tranne la suddetta indicazione gruteriana, non v'abbia altrove notizia veruna della supposta chiesa di s. Firmina. Tutto ciò mi fa ragionevolmente sospettare che andasse errato il Grutero in quell'indicazione, e che al nome di s. Firmina debba sostituirsi quello di alcun'altra delle chiese conosciute.
Si nomina dal Martinelli che egli dice fosse una chiesa assai vasta e che crede distrutta l'anno 1587. È probabilmente quella che viene ricordata ai tempi di Innocenzo IV in una p828 delle epistole di questo pontefice. È superfluo aggiungere che ignoro il sito ove fosse situata, quale fosse la sua origine e la ragione di quella denominazione, la quale però la dimostra assai antica.
Il Martinelli dice che vi fu una chiesa edificata in Roma in onore di questa santa da una pia donna di nome Sofia, della quale il Lippomano ricorda la vita. Io però non ne ho trovato notizia in nessun altro scrittore.
Fu un'antichissima chiesa e monastero, del quale si fa menzione dal Libro pontificale nella vita di Leone III: Sed et in monasterio sancti Isidori simili modo fecit canistrum ex argento pensantem libras II. un è però noto dove questa così vetusta memoria di s. Isidoro sorgesse e quando fosse distrutta.
Perchè questa chiesolina fosse nel secolo XIII appellata dall'occhio di bove non so dirlo. Il Camerario nel suo registro la annovera fra le ignotae et sine clericis, benchè le spettassero sei denari di presbiterio. Al Martinelli fu ignota: poche e vaghissime notizie ne dà il Lonigo nel suo catalogo manoscritto.
Tace affatto di questa chiesa il Martinelli, ma non il Lonigo, il quale con leggiera variante la chiama in Sinessa, e dice che era già parrocchia. Il Camerario la annovera fra quelle che ricevevano il consueto presbiterio nella solennità dei turiboli.
Non so veramente trovare l'etimologia della oscurissima ma corrotta denominazione, nè altre notizie su questa chiesuola, del quale, tranne dai suddetti autori, non è da alcun secolo affatto ricordata, poichè neppure è recensita nel codice di Torino.
Di questa chiesa, che alla fine del secolo XVI era ancora in venerazione, non ho trovato alcuna menzione in nessuno degli autori che delle chiese di Roma più di proposito hanno trattato.
Nell'archivio de' Brevi trovo all'anno 1598 che fu data pro rectore ecclesiae S. Mariae in Pineis de urbe licentia constituendi censum super bonis dictae ecclesiae per summam centum scutorum.
Anche di questa chiesa non so affatto assegnare il luogo ove sorgesse; ignore pure se sia stata distrutta o se abbia mutato il suo nome in altro.
L'unica notizia di questa chiesa, così oscuramente denominata, l'ho trovata in un frammento d'un censuale della basilica di s. Pietro, nell'archivio segreto della s. Sede. In quel foglio, che è dell'anno 1454, si legge così: In parochia S. Mariae in Sottarcho (sic) est domus cum signo hominis cum duobus coloribus locata Gaudentio Galganis de regione s. Angeli. In un codice urbinate è registrata una chiesa detta s. Maria in Suriario; non è improbabile che avesse anche questo nome e che di questa accenni l'Anonimo urbinate.
Scrive il Lonigo: "S. Maria in Maiurenta era una antica chiesa, il clero della quale riceveva i sei denari consueti di presbiterio e che credo fosse fabbricata da qualcheduno di quelli officiali del palazzo apostolico che si chiamavano Maiurenti."
Ne tace l'Anonimo di Torino e il Signorili, ma non il Camerario, benchè allora già abbandonata e distrutta; egli l'annovera fra le chiama quae sunt ignotae et sine clericis.
Dove fosse quest'ospedale più volte ricordato nell'anzidetta biografia lo ignoro. Sappiamo che v'era annessa la chiesuola che dall'ospedale suddetto prendeva il suo nome.
Il Lonigo, nel suo manoscritto della Vallicelliana, ricorda semplicemente questa chiesa, che egli dice assai antica e parrocchiale, e che è pure annoverata dal Camerario. Ignoro il sito dove sorgesse.
Di questa chiesolina danno un cenno il Camerario e il Lonigo, dai quali apprendo solamente che fu chiesa parrocchiale, il cui clero riceveva i sei consueti denari di presbiterio nella festa degli archi e dei turiboli.
Di questo antichissimo titolo, del quale si ignora l'origine e il sito, e che non è da confondere colla chiesa omonima che sorgeva nel cimitero del medesimo santo nella via Nomentana, rimane in Roma una memoria epigrafica. La chiesa parrocchiale urbana è ricordata anche nelle soscrizioni al concilio romano sotto il papa Simmaco. L'epitaffio, edito per la prima volta dal ch. De Rossi, è il seguente:
Dalla forma dei caratteri e dello stile, l'iscrizione non risulta posteriore al secolo V, in cui morì quel Vittore titolare di s. Nicomede: l'epigrafe è infissa nella parte posteriore dell'ambone del vangelo in s. Lorenzo fuori le mura, ed è incisa sopra una lastra marmorea segata ed intagliata, innestativi circoli e triangoli di marmi colorati e fascie di musaico per ornamento del predetto pulpito. Il Nicomede, di cui il nostro titolo urbano portava il nome fino dal secolo IV, è il medesimo prete che viene ricordato negli atti dei ss. Nereo ed Achilleo e Domitilla, dei quali fu contemporaneo, e che fu sepolto nell'orto di Giusto iuxta muros via Nomentana Alcuni anni fa nella villa dei marchesi Patrizi, fuori la porta Pia, fu ritrovata la scala di quell'ipogeo e le tracce della basilica cimiteriale. È assai probabile che il p831 titolo urbano fosse la casa abitata da quell'insigne martire dell'età apostolica in Roma, o quella in cui tennero i cristiani fino da quell'epoca le loro adunanze.
L'Adinolfi gratuitamente afferma che il Titulus Aemiliane fosse pro della basilica di s. Croce in Gerusalemme; il che non mi sembra punto probabile. Del resto i documento non ci danno indizî per conoscere ove fossero questo titolo. Il Libro pontificale lo ricorda nella vita di Gregorio IV e ne fa menzione anche in Leone III, il quale in titulo Aemilianae pari modo fecit coronam de argento pensantem libras IIII. Il Vignoli opina che questo titolo prendesse il nome dal Vicus Aemilianusa che è ricordato da Svetonio nella vita di Claudio.
È ricordato fino dal secolo V sotto il pontificato del papa Simmaco fra i vetusti della città. Il Libro pontificale non ne fa parola, nè è possibile determinare ove sorgesse, nè a quale personaggio si riferisca il nome del medesimo: forse è il martire illustre di questo nome celebrato da Prudenzio, al cui martirio assistette la madre sua che ne raccolse il sangue et caro applicavit pector.
Anche questa chiesa è ricordata nel catalogo del Camerario, ma ne tacciono affatto tutti gli altri documenti, compresi quelli di Torino, del Signorili e la bolla di Urbano III.
È nel catalogo del Camerario: forse prese questo nome dalla familia omonima che ivi possedeva le sue case. Si potrebbe sospettare che sia il titolo più antico di quella degli Ingelis. (Vedi Ss. Trinità e S. Tommaso di Cantorbery).
Di questa chiesa è scomparsa ogni traccia; solo una vaga notizia ne troviamo del catalogo del Camerario, ma è molto probabile che quel nome sia una corruttela di codice, e che forse sotto il medesimo si nasconda quello di Silvestro, o altro simile.
Anche di una chiesa così denominazione v'ha memoria in Cencio Camerario, e sembra che fosse assai importante, perchè nelle solennità del presbiterio riceveva non sei ma dodici denari. Non so se fosse la stessa che ebbe il nome di Reginae, come trovo in un documento del secolo XI. In ogni modo l'uno e l'altro vocabolo sono per me di oscurissimo significato.
Di questa chiesa e monastero si trova menzione nel Libro pontificale e fino dal secolo VIII nella biografia di Leone III, il quale offrì al medesimo ricchi doni in argento.
Questa chiesa, della quale fa menzione lo Zaccagni nel suo Magnus Catalogus, è notata presso il vico lateritio; nome evidentemente corrotto, dacchè il codice da cui lo Zaccagni trasse notizia di questa chiesa è in più luoghi mutilo e guasto.
Vicus Aemilianus: Nel passo di Svetonio non si legge vicus, ma soltanto Cum Aemiliana pertinacius arderent; e Hülsen, s. v. Quattuor Coronatorum, dà un'altra spiegazione — tentativa — della denominazione di questa chiesa scomparsa.
Immagini con bordi conducono ad informazioni: più spesso il bordo più ampie le informazioni. (Dettagli qui.) | ||||||
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