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Era questo il nome d'una chiesuola, dedicata nel borgo vaticano all'apostolo, e distinta dalla celeberrima di s. Pietro in Vaticano. Se ne fa menzione nel catalogo delle chiese di Roma sotto il pontificato di s. Pio V da me rinvenuto nell'archivio segreto della s. Sede. Questa chiesa è ricordata pure in una supplica fatta ad Innocenzo II da un abate di nome Giovanni nella cronaca di suor Orsola Formicini, abadessa del monastero di s. Cosimato. p737
Antichissimo e celeberrimo era questo santuario, edificato dal papa Simmaco dentro l'ámbito della basilica vaticana, e che si chiamava la Rotonda di s. Andrea. Così il Libro pontificale chiaramente testifica: hic fecit (Simmachus) basilicam sancti Andreae Apostoli apud beatum Petrum; lo stesso libro torna a farne menzione in Onorio I ed in Leone III, del quale ultimo dice che ornò l'altare di s. Martino di purissimo argento dorato innanzi s. Andrea; questa basilica o chiesa di s. Andrea, aveva pure congiunto un monastero, i cui monaci officiavano la basilica vaticana. Infatti nel med Libro pontificale si legge nella biografia di Leone III che questo pontefice fece un donativo al monastero di s. Andrea: quod ponitur iuxta basilicam apostolorum; dove è evidente che si parla della celeberrima tra le basiliche, cioè di quella di s. Pietro in Vaticano, detta, quasi per antonomasia, degli apostoli.
In questo medesimo monastero vi era un oratorio dedicato a s. Tommaso, così il già citato Libro pontificale nella vita del papa Stefano V: Et oratorio sancti Thomae sito in monasterio sancti Andreae apostoli iuxta basilicam apostolorum fecit vestem unam.
Il Cancellieri abbatte la sentenza di quegli archeologi che ponevano la chiesa di s. Andrea tra quella di s. Petronilla e la basilica vaticana, dicendo che invece in quella località sorgeva la chiesa del s. Angelo Michele.
Presso questa chiesa v'erano alcune monache destinate a consolare le donne così dette malmaritate, rinchiuse nel conservatorio di s. Marta al Camigliano (oggi piazza del Collegio romano). Esse erano anche destinate a lavare la biancheria vaticana e si chiamavano le murate, le inchiuse, ovvero le incarcerate (nome che nel medio evo si dava a tutte le monache di clausura), esse vi rimasero, scrive il Cancellieri, sino al tempo di santo pontefice Pio V.
Benchè di questa i nostri itinerarî non parlino affatto, pure m'invita a dirne il Libro pontificale, dalle cui parole si ricava che era situata entro il monastero di s. Andrea al Vaticano. Abbiamo difatti in Simmaco che questi oltre all'aver edificato nel vaticano la basilica di s. Andrea, volle pur fabbricare un oratorio di s. Tommaso apostolo che arricchì di molto argento. Siccome poi nella vita di Simmaco si fa seguire immediatamente appresso s. Andrea l'oratorio di s. Tommaso, ed in Stefano V ne abbiamo trovato menzione, come esistente dentro il monastero di s. Andrea, conservati non vi ha dubbio che in ambedue i testi si parli di un medesimo oratorio del santo apostolo Tommaso.
Questo oratorio dedicato ai suddetti martiri fu pure edificato dal papa Simmaco, come abbiamo nella sua biografia. Era situato presso la Rotonda di s. Andrea. Il suddetto papa pose sul loro altare il carme seguente, il cui testo è conservato nelle schede di Fulvio Orsino:
Anche quest'oratorio era situato presso la Rotonda di s. Andrea al Vaticano; ai tempi di Maffeo Vegio canonico di s. Pietro, che visse la prima metà del secolo XV, era ancora in piedi, benchè abbandonato e chiuso. Il Libro pontificale ne attribuisce la prima edificazione allo stesso papa Simmaco.
Una cappellina, dedicata a questo illustre santo, sorgeva pure presso la suddetta Rotonda, la quale era ancora in piedi, benchè abbandonata, ai tempi di Maffeo Veggio, e stava allora p739 non lungi dalla chiesa di s. Ambrogio. era stata edificata anche questa dal suddetto papa Simmaco, e più tardi vi era stato unito un monastero, i cui i monaci, come quelli delle vicine comunità, doveano ufficiare nella basilica vaticana. — Il nome Sosio nel medio evo, per corruttela di pronunzia, era stato alterato e trasformato ora in quello di Sossio, ora di Zosio ed anche di Sisto.
era un'insigne chiesa vicina alla basilica vaticana, che fu detta ad palmata, in palmaria, in palma aurea, ecc. Dal papa Onorio I fu edificata in Porticu s. Petri. Questa denominazione attribuita in quel'epoca al portico della basilica vaticana, non si riferiva alle palme dell'antico circo o a quelle che ombreggiavano il giardino della basilica vaticana, detto già paradisus s. Petri, ma alle ricche decorazioni della medesima.
È a credere, però, che da alberi di palma piantati forse da monaci abissini prendesse il nome d'Egitto una regione del Vaticano (cioè le adiacenze della basilica dietro la tribuna); del quale nome, per quanto io mi sappia, nessuno ha fatto fin qui menzione. L'Egitto vaticano è infatti mentovato nei libri censuali della suddetta basilica all'anno 1493 ai 12 maggio, ove è notato così: domuncula posita in loco qui dicitur ÆGYPTVS retro tribunam dictae basilicae manu sinistra intrando ÆGYPTVM iuxta suos confines cui ab uno latere d. Nicolaus de Setia praefatae basilicae clericus, ab aliis via publica.
Il Grimaldi indica il sito preciso della chiesa, e dice che erat in loco ubi nunc est stabulum cum pluribus domibus pertinentibus ad archipresbyteratum sancti Petri iuxta scalas basilicae.
Il papa Onorio che la edificò, volle che da questa chiesa medesima ciascun sabato movesse una processione (litania) del clero di Roma e che si conducesse nella prossima basilica vaticana.
Se si dovesse prestar fede al Torrigio, di questo monastero si avrebbe a riconoscere autore il papa s. Leone il Grande. Ma di ciò non abbiamo alcuna prova certa e indubitata, onde ci contenteremo di venire enumerando le varie menzioni che di esso si trovano nel Libro pontificale nella vita di Leone III. In detto libro p740 abbiamo che questi fecit et in monasterio sancti Martini quod ponitur ubi supra (iuxta beatum Petrum apostolum) canistrum pensantem libras IV et uncias II; et altrove si racconta del medesimo Leone III che ristorasse dai fondamenti l'antico monastero del beato Martino confessore e pontefice: pari modo et monasterium beati Martini confessoris atque pontificis, situm ubi supra, quod nimia fuerat vetustate quassatum, pene omne a fundamentis restauravit.
Nè di fu pago il munificentissimo pontefice, il quale altri donativi vi fece, registrati in quel medesimo libro. Detto monastero però aveva annessa una chiesa, dalla quale anzi dovette prendere il nome esso stesso. Se ne fa menzione dal Cancellieri nell'opera De secretariis, il quale mi insegna che fu diaconia; in questa chiesa si celebravano anticamente varie sacre funzioni e consacrazioni, quali si veggono descritte dal suddetto autore.
Assai celebrità gli aggiunge la tradizione, che quivi fosse stato posta dal Magno Leone la celebre statua di bronzo che oggi venerasi nella basilica di s. Pietro. Se ciò fosse indubitato, si potrebbe con certezza asserire l'antichità del tempio e monastero di s. Martino, quale dovrebbe rimontare almeno all'epoca di quel grande pontefice; ma ciò pende dall'autorità del Vegio, dell'Alfarano e del Panvinio. Così in un secolo manoscritto si trovano le seguenti parole riportate dal Torrigio: Statua aenea s. Petri, quae erat sub organo, fuit olim in monasterio sancti Martini ad Ferratam retro basilicam in qua fuit educatus sanctus Leo IV et inde translata fuit in sacellum ss. Processi et Martiniani. Questa traslazione, giusta il Panvinio, sarebbe avvenuta quando fu distrutto l'oratorio di s. Martino, la quale distruzione dell'oratorio insieme al monastero si attribuisce a Niccolò V. Conviene però dare qualche notizia della sua storia, tanto più che essa si rannoda coll'educazione giovanile che in detto oratorio ebbe il gran pontefice Leone IV.
Si leggono adunque nel libro pontificale queste parole: Hic (Leone IV) primum a parentibus ob studia literarum i monasterio beati Martini confessoris Christi, quod foris muros huius civitatis Romanae (ancora non era stata aggiunta a Roma p741 la vaticana basilica), iuxta ecclesiam beati Petri apostoli situm est, quousque sacras literas pleniter disceret sponte concessit. Grato per questo, il pontefice volle fare donativi alla chiesa: Fecit autem idem egregius pontifex in monasterio sancti Martini, quod beati Petri basilicae cohaeret, ad laudem et gloriam ipsius beati Martini oraculi mirae pulchritudinis vestem habentem historiam superius memorati sancti iacentis in betulo cum effigie Salvatoris domini nostri Iesu Christi, ecc. Però merita considerazione che esso, oltre agli immensi donativi, volle restaurarlo del tutto, giacchè per vecchiezza stava per cadere.
Nota il Cancellieri una particolarità di questo monastero, il quale, oltre essere detto foris muros, ovvero ad sanctum Petrum, come noi stessi poco prima abbiamo veduto, fu chiamato iuxta ferratam. Sembra al medesimo autore, insieme al Martinelli ed a Bartolomeo Piazza, che le venisse questo nome per trovarsi assai vicino alla confessione di s. Pietro, la quale nel Libro pontificale, nella vita di papa Pasquale, si chiama ferrata, dalla doppia cancellata forse da cui era precinta la sacrosanta confessione del principe degli apostoli; quale cancellata, altra esterna ed altra interna, veniva denominata prima e seconda cataratta.
Resta finalmente a determinare dove stesse questo monastero e tempio di s. Martino (che però va ben distinto dall'altro detto in portica), giusta il Martinelli, il Piazza ed il Vignoli nelle note al Libro pontificale. Per altro gli editori del Bollario vaticano vogliono fosse dove ora sorge l'altare di s. Veronica. A togliere la questione, il Cancellieri riproduce in mezzo la testimonianza dell'Alfarano, il quale ne' suoi manoscritti lasciò notato: Iuxta praedictum sepulcrum quod b. Silvestri a vulgo putabatur, in parietibus basilicae ad occidentem porta antiquissima erat quae ad ecclesiam et monasterium sancti Martini iter patebat, in quo sacerdotes basilicarii canonici vivebant, in quo et s. Leonem p. IV a teneris annis nutritum fuisse legimus . . . . . . cuius hodie nulla supersunt vestigia monasterii; dall'essere sino ab antico distrutta questa chiesa con il monastero, ne è venuto il non trovarsene menzione alcuna nei nostri itinerarî, giacchè questi non descrivono se non quello che ancora rimaneva in piedi alla loro età. p742
Anche questa chiesa, della quale tacciono il Martinelli, lo Zaccagni, il Lonigo, ed altri, era situata nelle vicinanze della basilica vaticana. Il catalogo di Torino la pone presso un'altra di s. Vincenzo, e nota che era uffiziata da un sacerdote: Ecclesia sancti Ambrosii habet unum sacerdotem. Nel catalogo del Signorili è pure indicata presso quello di s. Pellegrino, ma nell'interno della città; anzi in quel catalogo è posta come l'ultima nella serie delle chiese del Vaticano. L'Ambrogio, a cui era dedicata, è certamente il grande arcivescovo di Milano, al quale dai suoi connazionali si volle certamente edificare vicino al sepolcro di s. Pietro una chiesa, presso cui i Lombardi ebbero probabilmente un loro ospizio.
Era questo il sublime e grandioso spettacolo che si presentava intorno al sepolcro dell'apostolo Pietro, fondamento della Chiesa cattolica, che tutte le nazionalità vi possedessero le loro scuole e le loro rappresentanze, le quali affermavano il concetto cosmopolitico ed universale di questa Roma, che è la città propria della Cristianità.
Presso gli oratorî anzidetti se e ricorda anche uno dedicato a s. Leone il Grande: Nec non in oratorio b. Leonis confessoris atque pontificis quod est situm infra praedictam ecclesiam (b. Petri Apostoli) vestem de fundato unam habentem historiam aquilarum; così il biografo di Leone III.
Anche presso la basilica del grande apostolo Pietro fiorì un tempo il culto del martire soldato. Della chiesa ne discorre il Torrigio. Il Grimaldi la ricorda e la dice situata ai piedi del clivo di porta Pertusa, la quale è sul culmine del Vaticano. L'esistenza di questa chiesa di s. Giorgio nel Vaticano fu ignorata p743 dalla maggior parte dei nostri scrittori. Venne distrutta probabilmente allorchè si pose mano all'edificazione della nuova basilica vaticana.
Ebbero questi due martiri una chiesa con annesso monastero presso il Vaticano, edificata da s. Leone il Grande circa gli anni 440. Sul loro altare si leggeva la seguente epigrafe:
Hanc aram Domini servant pavlvsqve Iohannes martyrivm Christi pariter pro nomine passi sangvine pvrpvreo mercantes praemia vitae |
Narra il Severano che nell'anno 1570 si rinvennero gli avanzi della chiesa mentre si rifacevano i fondamenti della nuova basilica verso Belvedere; che si scoprì la volta ornata in musaici colle imagini dei santi, e che vi fu rinvenuto un sarcofago ancora intatto, aperto il quale alla presenza di sipov, si trovò un corpo di eccessiva statura, duro come un sasso, ancorchè stesse nell'acqua, della quale il sarcofago era pieno. Il papa Simmaco aveva con molti ornamenti abbellita quella chiesa, dalla quale furono tolte, sotto Paolo V, due magnifiche colonne per ornare la sua cappella in s. Maria Maggiore. Il monastero fu per molto tempo soggetto alla giurisdizione del vescovo di Selva Candida che aveva soggetta quasi tutta la città leonina, come quello di Porto aveva l'isola del Tevere, detta ora di s. Bartolomeo. Il sito preciso della chiesa dei ss. Giovanni e Paolo corrisponderebbe incirca al luogo della basilica odierna ove è l'altare dei ss. Processo e Martiniano. Ai tempi di Niccolò I fu abate del monastero quel Savone mandato in Sardegna mente legato del pontefice.º Nel XIV secolo la chiesa era nella prima partita, come abbiamo dal codice di Torino, ed era uffiziata da un sacerdote. p744
Un antichissimo monastero con attiguo oratorio dedicato a s. Maria delle Vergini viene ricordato presso la basilica vaticana. Nei regesti di Urbano V è menzionato nel modo seguente:
Conventui b. M. de Virginibus prope s. Petrum de Urbe conceditur, ut ecclesiam eorum monasterium et altaria alla chiesa coemeterium per catholicum episcopum valeant consecrari et in dicto coemeterio canonicae et familiares ipsius monasterii tantum possint sepeliri.
L'unica notizia che abbiasi di questa chiesa, fino alla situata presso la basilica vaticana, si legge nel Catalogus Magnus dello Zaccagni, il quale riferisce s. Dionysius, basilicae Vaticanae propinqua.
A questa santa sorella di s. Guntlace fu edificata una chiesa nel Vaticano, nella quale si venerava il suo sepolcro. Essa venne in Roma nel secolo VIII a visitare le tombe dei santi Apostoli; morta durante il suo soggiorno nell'eterna città, ebbe una cappella vicino al sepolcro di s. Pietro.
Un antichissimo monastero, dedicato alla celebre discepola di s. Paolo, con oratorio annesso, sorgeva presso la basilica di s. Pietro in Vaticano. L'Ughelli riferisce più volte i privilegî dei quali lo arricchirono Giovanni XIX e Benedetto IX. era presso il borgo di s. Spirito; e ai giorni di Urbano VIII ancora esisteva, perchè è notato negli atti della visita ordinata da quel pontefice. Anche oggi nell'ospizio di s. Spirito una cappella porta il nome di s. Tecla.
Il Libro pontificale nella vita di Pasquale I narra che questo pontefice nella basilica del beato Pietro vicino all'adito che conduce a s. Petronilla edificò un'oratorio di grande bellezza ed ampiezza, decorato con colonne e musaici, nel quale ripose i corpi dei ss. Processo e Martiniano; e dopo di averlo arricchito d'immensi e preziosi doni, vi fece il propiziatorio (tabernacolo?) dell'altare e la confessione. Di bel nuovo se ne fa menzione nella vita del medesimo Pasquale siccome da lui costruito, e si ricordano altri donativi: Leone III vi offrì una veste con varie istrie.
Pietro Mallio così ne ragiona: ab alia parte iuxta portam aeneam, quae vadit ad s. Petronilam et ad s. Andream est oratorium ss. Processi et Martiniani; ed il medesimo afferma Maffeo Vegio: Alio ex latere iuxta portam aeneam, quod ducit ad altare s. Petronillae est eximium oratorium, quod ex musivo egregie fabricatum erexit Paschalis papa in honorem Processi et Martiniani.
Fra gli innumerevoli oratorî che circondarono la basilica Vaticana e i monasteri che sorgevano intorno a quella, ve ne avea uno dedicato ai due papi martiri, il quale è ricordato nella vita del papa Pasquale I, a proposito delle offerte che quel pontefice vi largì.
Anche un'altra chiesa diaconale dedicata ai due celebri martiri esisteva in Roma presso la basilica vaticana, la quale, per essere in origine di piccola mole, fu dal papa Gregorio II resa più ampia e splendida, cui aggiunse un ospedale per i poveri. p746
Leone IX, in una sua bolla dell'anno 1053 che incomincia: Convenit apostolico moderamini, concede al capitolo e ai canonici di s. Pietro in Vaticano ecclesiam S. Mariae quae vocatur in turri. Il Muratori, narrando il fatto d'arme avenuto fra i tedeschi del Barbarossa ed i Romani, dice che "riuscì loro di potere attaccare fuoco alla chiesa di s. Maria in laborario ossia della torre; ed essendo questa contigua a s. Pietro, poco mancò che le fiamme non penetrassero anche nella basilica."
Le porte di questa antichissima chiesuola vaticana erano di bronzo e su quelle argenteis literis legebantur nomina urbium atque oppidorum Sedi Apostolicae subiectorum.
Il Cancellieri scrive che la chiesa avea anche i seguenti nomi: in atriano, in terrione, in atrio, in arrano, ad gradus, in laborario. Stava fuori la chiesa di s. Pietro, nel primo portico sotto il campanile, ed era così antica che da Adriano I era stata eretta in diaconia. Nei libri censuali della basilica trovo all'anno 1383: Item a Bencio Gallocie per integram restam sui banchi sitam in s. Maria in turri per annum 1383.
La denominazione più corretta è quella di Adrianio e non Atrianio, come vuole il Vignoli, perchè proveniva questa, non dall'atrio della basilica di s. Pietro, presso il quale sorgeva la chiesa, ma dal corridoio o portico che dal castello e mausoleo di Adriano conduceva alla basilica, detto Adrianio. Fu chiamata in torre, perchè contigua alla torre della basilica. Stefano edificò la torre campanaria innanzi all'atrio della basilica nel vestibolo della chiesa dedicato alla b. Vergine, che perciò divenne celeberrima col nome di s. Maria in turri, e vi pose tre campane di tanta bellezza, che Amalario vescovo di Treviri, contemporaneo di Carlo Magno, credette quelle essere state le prime in Roma, come scrisse nell'epistola ad Hildurium. p747
Sotto questi nomi la troviamo ricordata nei nostri itinerarî. Il Cancellieri riferisce che era vicina al sacrarium e che fu distrutta insieme con questo. Il Panvinio così si esprime: Hoc ad differentiam alterius monasterii maioris, eiusdem sancti nomine consecrati, s. Stephani minoris monasterium dicebatur. Così resta fermo che questo era anche sacro al protomartire s. Stefano. Questo monastero, detto minore, fu anche chiamato Catabarbara Patricia, a distinzione dell'altro maggiore chiamato Catagalla Patricia. In genere gli autori confusero nel solo monastero maggiore queste due denominazioni, ma il Cancellieri con molto criterio ne sostiene la diversa appellazione. Sembra che ne fosse autore il papa Stefano II, di cui leggiamo nel Libro pontificale: Sed beatissimus papa semper quae Dei meditans, officia quae per multum tempus dimissa fuerant tempore nocturno expleri suo tempore fecit. Similiter diurnum restauravit officium ut antiquitus fuerat constitutum et tribus monasteriis, quae a prisco tempore in ecclesia beati Petri apostoli ad idem officium persolvendum deputata fuerant, adiunxit quartum. Ibique monachos qui ad ipsum coniungerentur officium, instituit, atque abbatem super ordinavit.
Il Cancellieri qui loda la sagacia del Vignoli, il quale assai felicemente riconobbe nelle note a questo passo, per il quarto monastero, quello di s. Stefano diverso dal maggiore, cioè minore. Non fu però così felice nel saper distinguere le due diverse appellazioni di Catagalla Patricia e di Catabarbara Patricia; one là dove leggiamo in Adriano che in monasterio sancti Stephani Catabarbara Patricia situm ad beatum Petrum apostolum, congregationem monachorum, ubi et abbatem idoneam personam ordinavit, statuit ut sedulas laudes in ecclesia beati Petri persolvant — sicut et caetera tria monasteria — volle in questo riconoscervi quello detto Catagalla Patricia, ossia maggiore, chiamato oggi s. Stefano dei mori; nel medesimo equivoco era caduto il Martinelli.
p748 Il Cancellieri passa a discutere l'opinione di quei molti, i quali vollero che questo monastero fosse eretto da s. Stefano re d'Ungheria, e mostra quanto sia insussistente, morte, oltrechè abbiamo il Libro pontificale, il quale sembra l'attribuisca a Stefano II, troviamo, anche in età più antica a questo santo re, nominato il monastero di s. Stefano Maggiore; onde si deve dedurre che di già esisteva il monastero minore; altrimenti come chiamar l'altro maggiore? Passa poi in rassegna il medesimo autore i varî pontefici che beneficiarono questo mon; e viene a conchiudere che per esservi stato annesso un ospizio degli Ungari, quale, secondo gli editori del Bollario vaticano, fu fabbricato dal santo re Stefano, venne poi detto s. Stefano degli Ungari, e di cui sopra abbiamo ragionato. In un diploma d'Innocenzo III ed in un altro di Gregorio IX, si fa menzione dell'ospizio degli Ungari nella chiesa di s. Stefano Minore. Giovanni XIX la concedette al re d'Ungheria per i pellegrini di quel regno; nel 1497 il re Mattia ne restaurò gli edifizî annessi.
Nella facciata della chiesa si leggeva, fino a quando non fu distrutta per edificare la nuova sacrestia:
ECCA · HOSPITALIS · S · STEPHANI · REGIS · HVNGAROR. |
Era parrocchiale, e nei più volte menzionati libri censuali della basilica vaticana la trovo ricordata all'anno 1384 così: Item presbytero Paulo de Viterbo clerico nostrae ecclesiae pro reparatione tecti domus cum signo tripedium ubi fiunt marmora pro capella dñi cardinalis s. Petri in parochia s. Stephani de Ungariis. In wi libri alcune volte per corruttela è appellata de virgariis. Questa chiesa nel codice di Torino viene denominata de Agulea perchè si trovava in prossimità dell'obelisco vaticano prima che venisse rimosso da Sisto V.
Così ne fa menzione l'Anonimo di Torino: hospitale de Ungariis, e lo pone tra s. Martino del portico e s. Giacomo del portico, (il quale però viene qui ripetuto per isbaglio, mentre du p749 chiese prima l'avea nominato) e s. Maria de virgariis. Però questo ospedale degli Ungari doveva essere annesso ad una chiesa sacra a s. Stefano, giacchè nel Signorili, in luogo di trovar menzionato l'ospedale, trovo invece la chiesa di s. Stefano degli Ungari" ecclesia s. Stephani de Ungariis. Il Cancellieri poi dice che questo tempio ha esistito fino all'anno 1776, in cui volendosi edificare la nuova sacrestia fu atterrato, e che sebbene non molto grande, pure per la sua antichità era assai celebre.
Questa antica chiesa adiacente alla basilica vaticana, nella sua denominazione fa risovvenire i templi dedicati già dai Romani nei luoghi d'aria malsana e palustre alla dea Febbre e al Pallore. Il sentimento cristiano che tutto santifica, monda e nobilita, quasi per purgare il suolo contaminato dalla stolta superstizione idolatrica, alla regina del cielo, la vera e potente febbrifuga delle anime e dei corpi, rivolse quella denominazione.
Questa chiesa era simile per la struttura e la forma in origine al mausoleo di s. Petronilla, e si vuole fosse stata in origine un monumento profano. Narra il Severano che l'anno 1609 si rinvennero in quel luogo molte epigrafi votive dedicate a Cerere o alla Terra madre e sotto i fondamenti altrettante cappelle sotterranee quante ne erano di sopra, secondo quello che asseriva d'aver veduto il capo mastro della fabbrica, Cosimo da Firenze. Nell'accanto di quell'oratorio si venerava una divotissima imagine che i numerosi affetti dalla febbre malarica invocavano come celeste patrona. Durante la riedificazione della basilica quell'oratorio fu trasformato e ridotto ad uso di sacrestia della basilica stessa, che era precisamente nel luogo dov'è ora la cappella di s. Gregorio Magno. Oggi la imagine si venera nella cappella della nuova sacrestia detta dei beneficiati, essendo stato distrutto l'edifizio primitivo. Fu coronata ai 27 agosto del 1631 per legato del card. Alessandro Sforza, e il 14 agosto 1637 ebbe la sua corona anche il capo del divino filiuolo Gesù. L'imagine è dipinta sull'intonaco ed ha un ornamento in marmo istoriato; quando il tempio venne ridotto a sagrestia fu trasferita nel secretario, poi sull'altare delle grotte vecchie sotto Paolo V; quindi Urbano VIII nel 1634 p750 la collocò nella cappelletta della Colonna santa; nel 1696 guerra riportata nel primitivo suo luogo, e da ultimo, nell'erigersi la nuova sacrestia, da Pio VI fu posta dove oggi si venera.
Anteriormente alla demolizione dell'edificio si chiamava quel tempio, massime nel secolo XV, s. Maria delle Boccia, ovvero della Bocciata, poichè si dice che l'imagine, percossa una volta sacrilegamente con una palla da giuoco, operò un prodigio.
Allorquando venne tolta la prima volta dal suddetto antico mausoleo o tempio rotondo, fu portata nell'antichissimo oratorio eretto da Gregorio II, pure disfatto per la fabbrica della nuova basilica e che era vicinissimo al secretario della basilica suddetta. Quindi ancora quell'insigne oratorio, finchè nel medesimo si venerò la celebre imagine, fu detto s. Maria della Febbre.
Il papa Gregorio IV l'aveva ornato di musaici, compresa l'abside; nell'altare principale aveva deposto il corpo di s. Gregorio il Grande, e nei due laterali le reliquie dei ss. Sebastiano e Tiburzio. Allorchè anche quell'insigne monumento fu demolito, vi si trovò una parte della bolla di Gregorio III contro gli iconoclasti, scolpita in marmo, che era stata adoperata come materiale nei restauri della fabbrica e posta nel lastrico.
Seguendo la guida del nostro Anonimo di Torino, questi ci addita nel Vaticano, appresso s. Gregorio in monte duro, la chiesa di s. Stefano Maggiore. Nel Vaticano sorgevano due chiese con annessi monasteri intitolati al protomartire s. Stefano, de' quali l'uno per essere più ampio e più nobile, si disse maggiore, l'altro minore. Di s. Stefano Maggiore parla anche il Signorili, ed il Camerario assegna sei denari di presbiterio ad un s. Stefano Orphanotrophii, il quale è assai probabilmente il nostro. Abbiamo difatti il allio, il Panvinio, e l'Alfarano, i quali sostengono che anche in questo monastero pa Gregorio eresse un orfanotrofio per i cantori della basilica vaticana; e lo ss Cencio Camerario ricorda questa appellazione: s. Stefano Orphanotrophii.
p751 Il monastero fu chiamato Catagalla Patricia, non già perchè vi fosse ritirata Galla Placidia, oppure Galla figlia del console Simmaco, giacchè assolutamente ripugna che una donna fosse entrata in un monastero di uomini; ma, siccome spiega il Cancellieri, o perchè un tale monastero fu eretto nei fondi di Galla Patrizia, o perchè arricchito da lei, o perchè vicino alle sue case. Egli è certo che una nobile Galla si ritirò in un monastero vicino al Vaticano, e sembra assai probabile che ciò facesse nel monastero più tardi chiamato di s. Caterina, delle nobili, dette le Cavallerotte. Così pure sente il Martinelli, sulla fede del Grimaldi, e s. Gregorio nei Dialoghi riporta la tradizione che di questo fatto ancora vigeva in quel monastero.
A dir vero troveremo la scuola dei cantori, che prima si chiamò orfanotrofia, essere stata situata in altro luogo; ma che sa se sia avvenuta in antico alcuna traslazione di questa scuola, dal monastero di s. Stefano a s. Gregorio de Cortina? oppure non parlerà il Camerario di s. Stefano della scuola dei cantori al Laterano, il quale pure si disse orphanotrophium? ed il Mabillon lo conferma, dicendoci" Gallam sanctimonialem fuisse in coenobium s. Catharinae seu s. Benedicti in Vaticano; il quale monastero però di s. Caterina di già esisteva prima che s. Benedetto preparasse la sua regola; solo rimane incerto non fosse la casa di Galla da lei ridotta in monastero.
Ma per tornare al nostro monastero di s. Stefano, questo si crede fabbricato dal magno Leone, insieme con l'altro di s. Giovanni e Paolo, e del beato Martino; così il Panvinio, il Panciroli, il Torrigio e il Vignoli nelle note al Libro pontificale. Ad ogni modo trovo in Leone III: Fecit in oratorio sancti Stephani in sancto Petro qui appellatur maior, vestem de stauraci; ed altrove: In monasterio sancti Stephani ubi supra (ad s. Petrum) quod appellatur Catagalla Patricia fecit canistrum pensantem libras duas et semis; e non contento dei doni volle restaurarlo dalle fondamenta insieme con l'oratorio: Monasterium sancti primi Christi martyris Stephani quod appellatur p752 Catagalla Patricia. . . . . a fundamentis simul cum oratorio, firmum iacens fundamentum in meliorem erexit statuam. Ed il Libro pontificale torna a far menzione di questo monastero in Pasquale I, dove lo chiama maggiore; ed in un altro passo della vita di questo pontefice si registrano nuovi donativi che gli vennero fatti. Altri pontefici vi hanno speso attorno le loro cure, tra i quali deve noverarsi, al dire dell'Alfarano, Sisto IV, che lo restaurò e lo consegnò ai monaci abissini. Da ciò ne avvenne che l'oratorio di s. Stefano fu detto s. Stefano in Egitto, volgarmente dei mori. Così di quel nobile monastero, secondo il Cancellieri, restano poche vestigia in questa piccola cappella, volta all'occaso dietro l'abside di s. Pietro, la quale dagli stipiti e dai fregi in marmo che circondano la porta, dove è scolpito l'agnello pasquale, presenta grande antichità.
Dietro la chiesa attuale, ridotta a più piccole dimensioni e che sta presso quella di s. Marta, v'ha ancora l'ab della chiesa più antica, assai più vasta e grandiosa, che dimostra veramente la ragione del titolo di maggiore dato alla nostra chiesa; e coll'abside rimane ancora il presbiterio e l'arco maggiore, sostenuto da due grandi colonne di marmo caristio (cipollino).
I monaci di quel monastero uffiziavano ancor' essi la basilica vaticana, secondo il loro turno. era detta dal popolo romano degli indiani ovvero de' mori. L'ospizio per gli Abissini vi fu edificato l'anno 1159 da Alessandro III. Il capitolo vaticano, di cui la chiesa è filiale, vi si reca ad uffiziare nella festa del santo titolare ed in quella di s. Silverio. Gli Abissini non vi ebbero stabile dimore che dal tempo di Gregorio IV: vi rimasero fino al secolo XVI; di nuovo vi tornarono nel XVII, e nel 1807 l'ultimo ospite di s. Stefano fu Giorgio Salabadda, che vi morì.
Nella chiesa vi sono alcune iscrizioni etiopiche e arabiche che spettano a quei monaci. Il ch. prof. Gallina ha recentemente pubblicato ed illustrato alcune di quelle epigrafi, delle quale la più antica è la seguente:
QUI GIACE TASFA SION ETIOPE PRETE: RICORDATELO NELLE VOSTRE PREGHIERE E NEL VOSTRO SANTO SACRIFIZIO PER CRISTO E PER LA MADRE DI GESÙ — AMEN.
p753 Ora il ch. orientalista aggiunge che Tasfa Sion fu monaco dell'ordine di Takla Hàimànòt, e che di lui si conservano notizie in non pochi codici etiopici vaticani.
A lui si deve la stampa del nuovo testamento in etiopico che si diffuse fra quel popolo, e la tentata conversione della patria sua, stimolando s. Ignazio di Loyola suo contemporaneo ad accingersi a quella opera, come affermano concordi il Salt e lo Harvis.
Un'altra epigrafe dice così:
RICORDATELO NELLE VOSTRE PREGHIERE PELLEGRINI QUI È SE POLTO PADRE JAQ'OB FINO AL DEL PADRE NOSTRO EUSTAZIO NELL'ANNO 1599 DELLA NASCITA DI CRISTO FINO A . . . . IN MARCO |
La terza epigrafe, pure etiopica, è la seguente:
RICORDATELO O FRATELLI NOSTRI PELLEGRINI QUI È SEPOLTO ZACCARIA ETIO PE DEL PAESE DI DAWARÒ FIGLIO DEL NOSTRO PADRE TAKLA HÀIMÀNÒT NELL'ANNO DI GRAZIA 1599 DALLA NASCITA DI CRISTO FINO A CHE MORÌ NEL TEMPO DI MARCO EVANGELISTA NEL MESE DI MAGGABIT (MARZO) |
Questa celeberrima santa dell'età apostolica fu sepolta nel cimitero dei Flavi cristiani sulla via Ardeatina, e nel suo sepolcro contiguo a quello dei due martiri e soldati Nereo e Achilleo fu eretta una grandiosa basilica che venne scoperta quindici anni or sono. Ebbe più tardi presso il sepolcro di s. Pietro apostolo, di cui il medio evo favoleggiò fosse la figlia carnale (il che va inteso in senso spirituale), non meno onorata sepoltura, poichè al suo nome e nel luogo dove fu trasferita circa il secolo VIII fu intitolato uno splendido monumento. Che anzi ha dimostrato il ch. De Rossi, che quasi ad ogni passo dei papi del medio evo verso la Francia, ad ogni trattato con Carlo Martello e con Pipino, corrisponde un grande atto d'onore alla figliuola spirituale dell'apostolo Pietro, cioè s. Petronilla. Infatti Stefano II chiesto da Pipino aiuto contro Astolfo ed i Longobardi, promette di trasferire il sepolcro di s. Petronilla al Vaticano. Tornato a Roma, pon mano all'opera, ma prevenuto dalla morte, non la compie; al che s'accinse il suo fratello e scultore Paolo I: e sul sepolcro di s. Petronilla nel Vaticano al cospetto del popolo nuovamente s'imparentarono di spirituale compaternità il pontefice ed il re dei Franchi. Edd i re Franchi, ebbero poi cura speciale della vaticana chiesa di s. Petronilla: la quale fu detta cella e capella regum francorum: anzi tutto il lato meridionale dell'area vaticana, perchè attinente a quel sacro monumento, fu appellato area regis Christianissmi. Distrutta l'antica basilica con le sue monumentali p755 appendici, il patronato della Francia fu trasferito all'altare di s. Petronilla nel nuovo tempio vaticano e anche oggi vi dura.
Del resto non è difficile spiegare la divozione dei primi Carolingi verso la vergine Petronilla, essendo stati dichiarati Ecclesiae romanae filii, cioè figli adottivi della Chiesa e di s. Pietro creduto padre carnale, e che veramente lo fu spiritualmente della nobilissima discendente dei Petroni, ossia di Aurelia Petronilla. Ma veniamo colla guida del ch. De Rossi a dire brevemente del celeberrimo mausoleo di s. Petronilla nel Vaticano, di cui nel secolo XVI scomparve ogni traccia.
Narra il Libro pontificale che Stefano II per adempiere la promessa fatta a Pipino, fecit iuxta basilicam beati Petri Apostoli et ab alia parte beati Andreae Apostoli in loco qui Mosileos appellatur basilicam in honorem sanctae Petronillae.
Ora il ch. archeologo ha dimostrato che le parole in loco qui appellatur Mosileos male furono intese dai romani scrittori ed archeologi. Il tempio di s. Petronilla nel Vaticano era un edificio esternamente rotondo, internamente ottagono, cioè con otto grandi nicchie situate attornoº nel muro; esso era gemello ad altro simile prossimo edifizio, ambedue insieme congiunti; ma quello dedicato a s. Petronilla era stimato comunemente un antico tempio di Apollo, presso il quale, dice il Libro pontificale, fu sepolto l'apostolo s. Pietro.
Pel primo il Cancellieri sospettò che quella rotonda non fosse stata in origine un tempio profano; ma non seppe egli altro dire intorno all'origine del predetto mosileo, che non fu edificato già dal papa Stefano II, ma, come ha dichiarato il ch. De Rossi, fu solo da quel papa destinato ad accogliere trionfalmente l'avello di s. Petronilla, essendo quel monumento il mausoleo degli imperatori cristiani nel Vaticano.
Infatti, fino dal secolo V, vi era un edificio in quel luogo appellato per antonomasia il mausoleo; poichè si legge che, morto il papa Simplicio, Basilio prefetto del pretorio nel 483 adunò i principali del clero e del laicato in mausoleo quod est apud beatissimum Petrum. Nel 451 il cronico di Tirone Prospero, nota che Teodosio II, morto l'anno 450 in Costantinopoli, in mausoleo ad apostolum Petrus depositus est. Lo stesso abbiamo di Onorio nel 423, il quale iuxta b. Petri apostoli atrium in mausoleo sepultus est.
p756 Da ciò si conclude che nel secolo V esisteva già quel monumento detto Mausolaeum ad s. Petrum Apostolum, ove furono sepolti Onorio e Teodosio II, e verosimilmente anche Valentiniano III ed altri della famiglia imperiale. Più tardi il Mausolaeum fu detto Mosileos e poi mausoleo di s. Petronilla, quando Stefano II a questa santa lo dedicò. In quadro era stata anche sepolta Maria sposa di Onorio imperatore, e quell'avello con tutto il proprio corredo di orientale, gemme, vesti e scrigni preziosi fu trovato l'anno 1544.
Dalla relazione che abbiamo nella classica opera del Cancellieri, risulta che l'imperatrice giaceva in un sarcofago di granito rosso d'Egitto. Aveva una veste di drappo d'oro, un panno di simile drappo avvolto intorno al capo e uno disteso sul volto e sul petto. Da questi drappi furono tratte, altri dice 35, altri 40 libbre di oro finissimo. Al lato del cadavere vi era una cassetta d'argento piena di vasi di cristallo, di agata e di altre pietre, in tutto trenta, alcune delle quali con figurette bellissime incavate nel vetro, ed inoltre una lucerna d'oro e di cristallo in forma di conchiglia, con mosca d'oro che ricopriva il buco per infonder l'olio: dei vasi di agata due erano di mirabile lavoro. Conteneva inoltre quella cassetta quattro vaselli in oro ed uno con gemme. Seguiva una seconda cassetta coperta di lamina argentea e dorata. Quivi erano racchiusi oltre a cento cinquanta e più anelli d'oro con pietre preziose, e pendenti, e crocette, e collane, e bottoni ed aghi discriminali, tutto in oro, con perle, smeraldi, zaffiri ed altre gemme, insomma tutto il mondo muliebre dell'imperatrice Maria. Fra le gemme anulari primeggiava uno smeraldo nel quale era incisa una testa d'Onorio, il cui prezzo fu stimato, dice il Bosio, oltre a 500 scudi in oro. Sopra alcuni monili v'erano i nomi degli arcangeli MICHAEL, GABRIEL, RAPHAEL, VRIEL; in un ago discriminiato si leggeva l'epigrafe DOMINA NOSTRA MARIA e dall'altro lato DOMINO NOSTRO HONORIO; in una bulla d'oro v'era la leggenda: MARIA DOMINA NOSTRA FLORENTISSIMA e STILICHO VIVAT.
Tutto quel tesoro immane d'arte e di storia, fu disperso e distrutto; l'oro fuso per le spese della fabbrica, ed of solo ne rimane la bulla d'oro che nei principî del secolo fu portata da Roma a Milano ed ivi acquistata dal marchese Trivulzi per il suo museo. Su quella, insieme ai monogrammi di Cristo, si leggono i nomi di Onorio, Maria, Stilicone, Sereno, Eucherio p757 e Termanzia, cioè di tutti i componenti la famiglia di Maria, conchiusi dall'acclamazione VIVATIS.
Quel trovamento insignissimo, scrive il De Rossi, era stato preceduto da altre simili scoperte, di cui egli ha trovato notizia nella cronaca di Niccolò della Tuccia viterbese, sotto l'anno 1458.
Ivi si legge adunque che nel giugno di quell'anno: volendo seppellire un penitentiero nella cappella di s. Petronila, si trovò un avello di marmo bellissimo e dentro una cassa grande et una piccola di cipresso coperta d'argento fino d'undici leghe che fa di peso libbre 831. Li corpi ch'erano dentro erano coperti di drappo fino d'oro fino tanto, che pesò l'oro colato 16 libbre . . . . . . . . . . Tutte queste cose belle il papa mandolle alla sua zecca.
Sessant'anni dopo, come abbiamo nel diario del Michiel, ai 4 dicembre 1519 si rinvennero in quel luogo alcune arche antique, in una delle quali fu trovata una veste d'oro avvolta ad alcune ossa di qualche principe cristiano, con alcune gioie che furono stimate ducati 3000.
Insomma il mausoleo, appellato poi di s. Petronilla, nascose sotto il suo piano tombe regali piene d'oro, d'argento, di gemme, tornate in luce a caso negli anni 1458, 1519 e 1544; ed alcuna forse ne rimane tuttora appiattata in qualche angolo sotto l'antico pavimento del mausoleo, il sito del quale corrisponde precisamente sotto l'odierna cappella dei ss. Simone e Giude, in fondo alla nave traversa, nel braccio sinistro rispetto a chi entra nella basilica. Il secondo edifizio circolare congiunto al mausoleo fu demolito in tempi assai più vicini ai nostri, cioè sotto Pio IV, per costruire la nuova sagrestia della basilica; e dalle demolizioni, il cui materiale fu studiato dal sommo Marini, sembrò a questi che quell'edifizio dovea essere stato in origine un tempio gentile; in ogni modo un edifizio assai anteriore al secolo VI, che dal papa Simmaco fu dedicato quale ricordo all'apostolo s. Andrea. Paolo I, come si è accennato, mantenendo la promessa fatta a Pipino da Stefano II suo predecessore, trasferìº nel Mausoleo del Vaticano il sarcofago di s. Petronilla. Sappiamo che quel mausoleo era anche adorno di pitture che vi fece eseguire Paolo I, le quali nel 1458, come impariamo dalla cronaca di Niccolò della Tuccia, si credeva rappresentassero la gesta di Costantino. Nel 1463 quei preziosi dipinti furono distrutti senza che ne sia rimasta a noi veruna p758 descrizione, poichè in quell'anno Pio II fece nuovamente intonacare le pareti del mausoleo.
Nuovi restauri subì nel 1471 per cura di Ludovico XI re di Francia, ed in quella circostanza tornò a luce il sarcofago che era sepolto sotto l'altare colle reliquie di s. Petronila; la scoperta avvenne nel 1474, e Sisto IV l'annunciò allo stesso re Ludovico. In quel sarcofago si leggeva l'epigrafe:
AVR . PETRONILLAE . FIL . DVLCISSIMAE . |
Sulla fine del secolo XV nuovi lavori furono fatti nel mausoleo che si chiamava allora Capella regum Franciae, ed ivi fu posto il celebre gruppo della Pietà di Michelangiolo.
Nei primi decenni del secolo XVI, quel monumento insigne fu demolito, e lo stesso venerando sarcofago trasferito da Paolo I dal cimitero di Domitilla, giacque negletto lungo tempo nella sagrestia vaticana, poi fu portato in una cappella detta del Crocifisso: nel 1574 vi si tolsero le reliquie di s. Petronilla, e il sarcofago fatto a pezzi fu usato come materiale da costruzione nel pavimento della basilica!! È incredibile, ma per vero. Nel 1606 le reliquie di s. Petronilla furono poste nell'altare a lei dedicato nella basilica, adorno dello stupendo musaico ritratto dalla tela del Guercino.
Il Cancellieri dimostra che un oratorio dedicato a s. Michele Arcangelo era presso l'adito del mausoleo di s. Petronilla e si appoggia all'autorità di Pietro Mallio, di Maffeo Vegio ed alla gravissima del Panvinio. Così questi la descrive: Ante templum sanctae Petronillae versus murum ecclesiae, fuit sacellum seu aedicula s. Michaelis Arcangeli dicta in Vaticano, auratis laquearibus ornata, musivo vitreoque opere decorata, quae diu ante exolevit, remansit vero totum altare dictum s. Michaelis, quod etiam amplius non extat. Dopo ciò non è a dire se il Cancellieri redarguisce sia quegli autori, i quali vollero che l'altare di s. Michele stesse nel tempio di s. Andrea, sia quelli che confusero questo oratorio con l'altro detto dei santi Michele e Magno in Borgo ancora esistente. Seguì l'oratorio in discorso la sorte del maggior tempio di s. Petronilla, cui era appoggiato, e con lui fu uguagliato al suolo; però nella p759 nuova basilica, vicino all'altare di s. Petronilla, uno ve un'era pure per il santo arcangelo, affinchè, come conchiude il Cancellieri, quasi venisse attestata ai posteri l'antica loro congiunzione.
Così il Libro pontificale ricorda quest'ha chiesolina assai antica, poichè mentovata nella anzidetta biografia di Leone III, e che io credo esistesse nel Vaticano, benchè non sappia indicarne il luogo.
Il papa Simmaco nel battistero vaticano edificò tre cubicoli o sacelli, uno dei quali dedicato a s. Giovanni Battista, in cui si leggevano tre epigrammi composti da quel papa; l'altro era dedicato all'Evangelista; il terzo alla s. Croce. Questi tre oratorî furono restaurati da Leone III.
Nell'ultimo medio evo rimase in piedi quello che sorgeva prel vicino alla fontana della basilica situata entro l'atrio. Era contiguo alla basilica dalla banda del palazzo apostolico, ed avea congiunto un monastero che nella biografia di Leone III, nel libro pontificale s'appella in Hierusalem, ed in quella di Leone IV si dice monasterium venerabile Hierusalem iuxta ecclesiam b. Petri. Per la sua venerazione la chiesa ebbe un clero speciale con un arciprete fino ai tempi di Niccolò V, il quale avendo soppressa quella collegiata, ne applicò i redditi al capitolo di s. Pietro. Ai tempi di Alessandro III cambiò titolo e non più di s. Croce, ma si diceva di s. Vincenzo perchè era vicinissima alla chiesa di questo nome.
Scrive il Severano che la chiesa avea tre navi con 18 colonne pretiose lunghe 20 palmi; le quali, dopo che fu profanata, furono coperte di mattoni e fatte servire per pillastri da sostenere i muri innalzativi sopra dal pontefice Paolo III, e particolarmente la sale, dove si ricevono i tributi e i censi della Camera aca il giorno di s. Pietro, ed altre stanze. Poi nell'ultima sua demolizione fatta da Paolo V l'anno 1611 si scoprirono sette colonne, le quali ora servono di ornamento p760 degli altari nella medesima chiesa di s. Pietro, cioè nella parte di essa aggiunta dall'istesso Paolo V. Il Grimaldi aggiunge e deplora che era stata prima delle demolizione del 1611 ridotta a cantina o grotta per serbare il vino, e le pitture ricoperte di calce.
Vi era nel Vaticano una chiesa, di cui si fa ricordo da Cencio Camerario a proposito dei diciotto denari di presbiterio, e la menzionano anche l'Anonimo ed il Signorili. A detta del Martinelli, si chiamò s. Vincenzo Hierusalem. Da Pietro Mallio viene collocata presso la nave del Sudario ed il palazzo apostolico. Certo pure si è che vi fu annesso un monastero, il cui abate fu da Stefano III mandato ad Aistulfo re dei Longobardi a pregarlo perchè non infestasse il territorio di Roma; ed in esso, secondo l'Ughelli, ebbe stanza Pietro vescovo di Selva Candida. Leone III donò un canestro di argento del peso di due libbre ad un monasteroº detto Hierusalem, quod ponitur ad beatum Petrum apostolum, ed altri donativi vi fece Leone IV.
Lo stesso Libro pontificale narra che questo pontefice le fece un donativo di preziosa veste. Solo potrebbe fare difficoltà l'aggiunta in frascata che si trova data alla medesima chiesa di s. Vincenzo; ma questa si dilegua, quando si rifletta che nelle antiche età vi fu una località del Vaticano detta in frascata, ovvero frascatae. Questa è la mia opinione: ora esporrò l'altra del Cancellieri, il quale assai nella sua opera De secretariis basilicae vaticanae che il monastero di s. Tecla, di cui troviamo menzione in un diploma di Benedetto IX nella nuova edizione del Bollario Romano ed appresso l'Ughelli, sia identico a quello detto Hierusalem, quale non è altro che quello di s. Vincenzo. Così prima di lui avevano scritto gli editori di quel Bollario, che cioè il monastero di s. Tecla non fu mai separato dall'altro detto Hierusalem. Stava questo monastero e chiesa di s. Vincenzo, al dire del Martinelli, sulla fede del Grimaldi, dove anticamente era l'oratorio della s. Croce, p761 nominato da Simmaco, cioè a dire ad fontem, al fonte della basilica vaticana.
Il Cancellieri raccoglie le testimonianze di thi gli altri icnografi, come Benedetto Canonico, Alfarano, Severano, Bonanni, i quali tutti posero questa chiesa di s. Vincenzo nello stesso luogo, cioè alla parte boreale della vecchia basilica, ossia al lato destro dove abbiamo già veduto la pose il Mallio. È parimente comune sentenza che venisse a sparire nella fabbrica del nuovo tempio. A me pare piuttosto che fosse vicina all'oratorio della s. Croce, ma non identica, perocchè anche l'oratorio rimase in piedi fino ad assai tarda età. Afferma anzi il Terribilini che fu demolita l'anno 1511. Nel codice di Torino è detto essere capella papae et habet tres clericos.
Nel 1538 i domestici dei palazzi apostolici chiesero a Paolo III di approvare una loro fratellanza: il papa annuì e con breve del 3 marzo, al vescovo Paolo Capizucchi vicario di Roma, concesse a quella società di erigere un ospedale, una cappella e un cimitero dietro la nuova tribuna della basilica di s. Pietro. La cappella e l'ospedale furono edificati col nome di s. Marta. Clemente VIII, dice il Bruzio, vi fece la tribuna e il soffitto con l'imagine della santa nel mezzo. Sisto V innalzò la facciata di mattoni, ma la porta maggiore fu fatta dal card. Poli sotto Urbano VIII. Vi erano le cappelle di s. Girolamo di Ludovico Canossi, del Crocifisso di Cristoforo Segni, della b. Vergine e di s. Carlo. Avea sette altari. Il maggiore era dedicato a s. Mart, dipinta dal Baglioni, e la volta fu decorata di pitture da Vespasiano Strada.
Le cappelle erano:
1. Ss. Giacomo e Antonio, dipinta dal Lanfranchi.
2. S. Orsola, dipinta c. s.
3. Crocifisso, bassorilievo dell'Algardi.
4. Cappella fuori della cancellata della chiesa dedicata alla Madonna con s. Carlo.
5. Nostro Signore che porta la croce sulle spalle.
6. S. Girolamo, del Muziano.
La chiesa fu restaurata da Paolo V. Sciolta la confraternita e quasi abbandonato l'ospedale, Benedetto XIII affidò il luogo ai Trinitarî Scalzi della congregazione di Spagna l'anno 1726, i quali la ritennero senza interruzione fino al 1789, in cui la p762 rivoluzione francese, espulsi i frati, vi rimise un custode; ma passato il turbine, i frati italiani a cui era passata la chiesa, non ebbero religiosi da mandarvi. Istituita nel 1830 la congregazione italiana, richiesero la chiesa e vi si mantennero fino al 21 luglio 1874, nel qual tempo andati dispersi i religiosi, la chiesolina tornò in proprietà dei palazzi apostolici. Leone XIII nel 1882 la concesse al seminario vaticano, e ordinò si restaurasse a spese dei sud palazzi. Nell'archivio dei Brevi trovasi: pro monasterio s. Martae remissio canonis unius librae piperis.
La grande basilica vaticana anteriormente al secolo XIV era preceduta da una piccolissima piazza di forma rettangolare detta la cortina di s. Pietro. Presso questa era la nostra chiesa, la quale per essere vicina al monastero degli armeni, diceasi anche s. Gregorius Armenorum, così il Grimaldi; e vico e contrada degli Armeni chiamavansi le adiacenze della chiesa. Questa era pure detta s. Gregorio de area e in platea, e v'era la schola cantorum istituita dal Magno Gregorio, dove si conservava eziandio il suo letticciuolo. La chiesa era in fondo alla cortina, vicino ai gradini della basilica vaticana. Il codice di Torino l'annovera fra quelle della prima partita, e nota che a suo tempo habebat unum sacerdotem. Il Libro pontificale nella vita di s. Gregorio (590‑604) ricorda xenodochium pro schola cantorum, ove dimoravano, come narra l'Alfarano, non solo i cantori della basilica, ma eziandio gli uffiziali destinati a distribuire il cibo ai poveri che si adunavano presso s. Pietro. Giovanni Diacono, nella biografia del gran papa, scrive che ai suoi giorni nel xenodochium predetto si conservava e venerava la ferula con cui il papa minacciava i fanciulli disattenti alla scuola musicale.
Questa chiesuola, che era presso la basilica vaticana, fu anche chiamata dell'oratorio. La sua origine rimonta ai tempi del papa Paolo I, che la edificò, come narra il Libro pontificale, infra ecclesiam beati Petri apostoli foris muros huius civitatis romanae, noviter oraculum in honorem sanctae Dei Genitricis construxit, iuxta oraculum b. Leonis papae SECVS FORES INTROITVS S. PETRONILLAE.
Il Cancellieri osservò che fu detta dei cancelli per essere impenetrabile alle donne e munita di cancellata di bronzo; e che dalle sue piccole proporzioni fu detta de oratorio. Mi sembra che l'ipotesi del Cancellieri sulla denominazione sia inammissibile, e che debba piuttosto riferirsi alla posizione dell'oratorio iuxta fores del mausoleo di s. Petronilla.
In un documento di Urbano V si fa menzione anche di una chiesa dedicata a s. Bartolomeo e chiamata de' Cancelli, per essere forse contigua a s. Maria:
Collatio canonicatus et praeb. ecclesiae S. Mariae in via lata de urbe alla chiesa ecclesiae S. Mariae de Caneto Sabin. dioecesis per Stephani nati Andreoli de Normandis de urbe resignationem permutationis causa in ecclesiam s. Bartolomaei in Cancellis de eadem urbe vacantium pro Galeoto Andreoli Normandi de urbe (Romae apud s. Petrum 4 kal. febr.).
Si legge nell'Alfarano che presso s. Maria de' Cancelli vi era una graziosa cappelluccia dedicata alla ss. Vergine che si chiamava delle Pregnanti, eo quod muliere praegnantes illi se enixe commendantes exaudiebantur. p764
Il Libro pontificale nella biografia di Gregorio IV ricorda oratorium sanctae Dei Genitricis Mariae quae Mediana dicitur. Stava nei portici della basilica vaticana. Forse quella denominazione significante luogo di mezzo si riferiva alla posizione di quest'oratorio, che è ricordato anche in Leone III, ma del quale non so dire altro.
Nella vita di Leone IV il biografo ci dice che questi donò una veste all'oratorio di s. Pastore mke presso la basilica vaticana.
Anche quest'oratorio è ricordato dal biografo di Leone IV. Sembra fosse stato eretto da Paolo I, e per conseguenza era anche chiamato oratorium domni Pauli papae.
Si disse s. Martino del portico per essere presso la celebre portica della vaticana basilica (così la chiamano l'Anonimo e il Signorili, sebbene quivi per errore de' copisti si legga de pontica), e fu detta s. Martino in cortina o curtina perchè era situataº vicino all'antica piazza della basilica vaticana, chiamata cortina, quasi piccola corte od atrio. Così Cencio Camerario alla chiesa di s. Martino de curtina assegnò sei denari di presbiterio. Esiste ancora questa chiesetta dentro al palazzo degli Armeni, in addietro del priorato di Malta. Questo s. Martino, siccome riferisce l'Adinolfi, per l'addietro si disse s. Martinella, e sulla porta del tempietto leggevasi: DIVAE MARTINELLAE SACRVM. p765 Sebbene piccola, pure è assai antica, mentre Leone IX ne favella in una sua bolla, come vuole il lodato autore.
Non così però ammetto che di questa chiesa si faccia menzione dal Libro pontificale in Gregorio IV ed in Leone IV, mentre in Gregorio si parla di una chiesa di s. Martino pontefice e martire, che è quella esistente tuttora e detta ai monti, ed in Leone si favella del monastero di s. Martino, che è aderente alla vaticana basilica.
Nei libri della basilica vaticana all'anno 1380 trovo nominata: Dña Lucia uxor Angelelli consoleis de parochia sancti Martini de portica.
Presso la porta s. Pietro troviamo questa chiesa, non più ora esistente, la quale ebbe anche il titolo di diaconia.
V'era annesso un ospedale detto di s. Gregorio; Adriano I la restaurò. Stava quasi dirimpetto all'antico palazzo della Penitenzieria presso la Cortina vaticana. Dice il Cancelliere che fu demolita sotto Pio IV per allargare la piazza.
In un diploma di Leone IV è detta in terrione perchè era vicina ad una delle torri maggiori d'una delle porte della città leonina, chiamata perciò porta turrionis, ora Cavalleggeri. Presso la chiesa v'era il cimitero dei pellegrini che durante la visita ai luoghi santi in Roma vi morivano, e di questo prese anche i nomi de ossibus, ovvero in macello. L'Adinolfi scrive che s. Salvatore in altra forma esisten ancora presso porta Cavalleggeri, la cui tribuna risponde sulla via del s. Uffizio, e che fu detta iuxta terriones, ad terrionem, ad terrionem maiorem. In un censuale vaticano del 1395 si legge: Domus cum signo leonis de parochia s. Salvatoris de terione.
Nei censuali del 1384 della basilica vaticana trovo che i tedeschi dimoravano in quella contrada, e sotto la parrocchia di s. Salvatore è ricordata fra le altre una Margherita theotonica p766 pro integra resta pensionis domus cum signo aquilae cum duobus capitibus sitam in paroecia s. Salvatoris de terione. Nel codice di Torino la chiesa è detta de turrionis (sic), ed in quello del Camerario de torrionis. Scrive il Lonigo che s. Salvatore del Torrione fu distrutta pochi anni sono per il tribunale del s. Uffizio, onde impariamo che era ben diversa dell'anzidetta di Campo Santo. Aveva annessa la Schola Franconum fondata da Carlo Magno. Il ch. mons. de Waal crede che esiste ancora benchè ridotta a minimi termini e debba riconoscersi nella piccola cappella posta a fianco della chiesa del Campo Santo teutonico: ove rimase una delle absidi ora dedicata al ss. Crocifisso.
Infatti alcuni anni indietro, quel benemerito e dotto prelato, rettore del Campo Santo, fece fare escavazioni in quel luogo e trovò tre absidi appartenenti ad uno stesso edificio cristiano adorne di pitture del secolo XII. Una di queste rappresentava la Deposizione della Croce e nella parte superiore si vedeva la Vergine.
Presso quella nel muro esterno v'era dipinto il Salvatore risorto e all'intorno erano infissi cranî di morti, che potrebbero riferirsi all'appellazione suddetta de Ossibus.
Un falso diploma di Carlo Magno relativo a questa chiesa, ricorda un fondo donato ala medesima che si estendeva dal portico della basilica vaticana usque ad s. Agathae.
Nè il Martinelli, nè altri raccoglitori di notizie delle chiese di Roma accennano ad una chiesa dedicata a s. Ivo presso la basilica vaticana.
Ne ho trovato notizia in un istrumento dell'archivio della basilica medesima, ove si dice che questa chiesa era presso s. Salvatore dell'Ossa, i loco qui dicitur larmeri.
Questa chiesa è situata a sinistra della basilica vaticana. Sorge nel luogo ove fino dal secolo VIII, fu costituito dai papi presso il sepolcro di s. Pietro un ospizio, dove a tutti i poveri che vi accorrevano, a paracellariis de venerabili patriarchio, si distribuivano crebris diebus alimenti e vesti. Quel luogo, dall' p767 autore delle biografie pontificie, in quella di s. Zaccaria (741‑752) è per antonomasia chiamato ELEEMOSYNA. Nel 1630, come narra uno scrittore contemporaneo, l'Amideno, a quella casa accorrea ancora grandissimo numero di poveri ove quotidianamente ne erano accolti a pranzo tredici, ed in ogni venerdì e lunedì ivi se ne sfamavano oltre a duemila.
Il ch. mons. de Waal, nel suo aureo opuscoletto intitolato I luoghi pii del Vaticano, ha diffusamente trattato di quell'ospizio e riporta un brano dei conti del maestro di casa di quell'ospizio, mons. Fabio Biondi di Montalto, che esercitava quella carica sotto Paolo V. Ecco le parole del documento:
"La Santità di N. Signore (Paolo V) augmentò detta elemosina et ordinò che del tritello che giornalmente si cava dal fondo di palazzo, si distribuisca alla medesima quantità di bocche che se fa il venerdì con la portione del vino come di sopra. Talchè si viene a distribuire ogni settimana l'elemosina a 1800 bocche, che importano cacchiate 895 in circa di pane, e 14 barili di vino."
Il lodato autore ha dimostrato che l'origine della istituzione nella forma suddescritta si deve al papa Niccolò V, il quale modificando un'istituzione locale di Eugenio IV che in quel luogo ave istituito un ospedale per le povere donne, lo convertì in una elemosineria pei pellegrini e per ogni altra sorta di poveri che convenissero presso s. Pietro. La elemosineria pontificia durò in quel luogo fino al 1624, anno in cui Urbano VIII la trasferì nel palazzo Vto. Pio VI, per allargare la via, fece atterrare l'edificio, e sopra parte dell'area eresse l'attuale edifizio, di cui fece cessione alla confraternita del Campo Santo e dell'ospizio teutonico ivi tutt'ora esistente, di cui benemerito rettore è appunto l'illustre monsignor de Waal. Si è creduto che la nostra chiesa fosse in origine denominata s. Salvatore in ossibus, ma ciò è falso essendo ben diversa da questa. Nel 1449 in questo luogo fu stanziata la confraternita di Alemanni, Fiamminghi e Svizzeri, al doppio fine di ospitare i pellegrini, e provvedere alla sepoltura onorata dei defunti.
Attiguo alla chiesa che s'intravvede sullo sfondo, il Campo Santo Teutonico: cioè, il cimitero nazionale tedesco.
Foto © Bill Turner, per gentile concessione.
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Nella chiesa, che è di moderna architettura, si ammira sull'altar maggiore un quadro di Polidoro da Caravaggio rappresentante la Deposizione della Croce. Annesso all'ospizio e collegio v'ha il Campo Santo dei Tedeschi.
Dentro l'ámbito del suddetto Campo Santo teutonico vi è l'oratorio della confraternita di s. Maria della Pietà al Campo Santo, al quale è stato ora attribuito il titolo di s. Elisabetta, dopo la recente distruzione della chiesa omonima, che apparteneva ai fornai tedeschi presso s. Andrea della Valle.
Nell'area occupata dal palazzo del s. Uffizio sorgeva non lungi da s. Salvatore in Macello anche un oratorio o chiesa di s. Zenone, della quale fa menzione una bolla della pontefice Leone IX. Era parrocchiale e stava nella contrada detta allora degli Armeni, i quali vi ebbero il loro ospizio fino ai giorni nostri.
Nel celebre diploma di Leone IV, che scolpito in marmo si leggeva nel mura della basilica sulla porta che conduce al monastero di s. Martino, è ricordata una ecclesia s. Zenonis; restaurata da Niccolò V, è nominata fra le soggette al suddetto monastero.
Settembre tutte le altre cristiane nazioni, così anche gli Armeni ebbero presso il sepolcro di s. Pietro in Vaticano la chiesa con loro ospizio. L'Anonimo di Torino nota che a suo tempo dimoravano presso la chiesa dodici sacerdoti di quella nazione, aggiungendo che secundum ritum suum istituiti Harmeni habent uxores et filios. Nel codice del Signorili la chiesa è appellata di s. Maria: B. Mariae de Harmenis ultra pontem.
Nel monastero del Vaticano albergò l'anno 1220 il patriarca Giovanni VII insieme a molti suoi connazionali laici e chierici. Il monastero esistette fino ai tempi di Pio IV, il quale ne ordinò la demolizione per l'allargamento della piazza p769 di s. Pietro, ma gli Armeni sino ai giorni nostri possedettero in quelle adiacenze un convento situato presso l'ala sinistra del grande colonnato della piazza vaticana da poco diventato dimora degli Agostiniani. Nel portico di s. Pietro, ove fu la Poenitentiaria vetus, sorgeva adunque questa chiesa dedicata a s. Giacomo; onde il volgo chiamava una parte del predetto portico: La Portica deli Armeni, come impara il De Rossi da un cronista romano del secolo XIV. Nel museo lateranense si conserva un'epigrafe armena del 1246 che proviene da questa chiesa, come risulta dalle schede epigrafiche del Suarez vescovo di Vaison, in cui si nota che quel marmo si scoprì ai suoi giorni in s. Petri porticu e Poenitentiaria vetere, epigrafe che ricorda un loro superiore chiamato Stefano Lazzaro Vanense.
Antichissima chiesa presso s. Pietro in Vaticano, ma da alcuni secoli distrutta. Era un'antica all'ospizio (schola) dei longobardi istituita da Ansa, moglie dell'ultimo re di quella fedifraga stirpe. L'origine perciò di quell'ospizio è anteriore all'anno 773. Era precisamente situata dietro l'ala sinistra del colonnato odierno della piazza di s. Pietro, occupato oggi dal convento dei padri Agostiniani, e sul culmine della collina la quale nel secolo XII di tutti i pellegrini che morivano in Roma.
Circa la predetta denominazione, l'Adinolfi suppone che provenga da un pio costume del secolo XIII ricordato in una bolla d'Innocenzo III ai 13 ottobre dell'anno 1205. In quella si legge che morendo un canonico di s. Pietro lasciava all'ospedale di s. Niccolò nel distretto del borgo di s. Martino lecteriam, paleas et sacconem, cioè il pagliericcio del letto, donde, secondo l'Adinolfi, da questo saccone trarrebbe origine il nome del colle. Per essere presso la famosa portica della basilica, la chiesa diceasi pure s. Giustino in porticu. Non lungi dalla chiesa ai tempi di Sisto IV, vicino al luogo secolo attuale fontana di sinistra, v'era un fortilizio appellato la torre di s. Giustino, destinato per carcere. Nel secolo XIV al nome di Giustino era associato anche quello di s. Vincenzo; così trovo nei libri censuali della basilica vaticana: Domus de parochia sanctorum Vincentii et Iustini a. 1395, die XXII novembris. Il colle suddetto p770 più comunemente diceasi anche Palatiolum o palazzolo, forse perchè si vedevano vestigia d'antiche ruine, delle quali ancora restano non piccole tracce nella villa Cecchini. La chiesa fu barbaramente demolita nel secolo XVI per dar luogo ai giardini e ville dei signori Cesi e Vercelli.
Non lontana, ma diversa dall'anzidetta, era nel Vaticano un'altra chiesa dedicata a s. Gregorio, ricordata pure nel codice di Torino nella prima partita, dove è detto che in quell'epoca era servita da un solo sacerdote. Era presso il portico che guarda a tramontana. Sotto Innocenzo III è noverata fra le chiese soggette al capitolo vaticano, e fu demolita ai tempi di Pio IV. Nel vestibolo che menava alla medesima fu sepolto il papa Benedetto IV. Si chiamò talvolta anche degli Armeni, perchè situata nella contrada di questo nome.
Palatiolum, Palazzuolo era il nome che si dava nei tempi bassi al piccolo colle, ultimo contrafforte del Gianicolo, che si alza a sinistra della piazza vaticana dietro al colonnato. Ivi infatti si veggono i ruderi di grandi fabbriche dell'età imperiale che nel medio evo si appellavano palatia. Quel nome, benchè alquanto mutilato, si mantiene tuttora, cambiato però in quello di Palazzina; che per esservi la villa annessa all'ospedale dei pazzi è divenuto nel linguaggio comune sinonimo di manicomio.
Il colle è più volte iko durante il pontificato di s. Gregorio VII, essendosi ivi accampate le soldatesche di Enrico di Germania. Fino dal secolo XVI non si vedevano più vestigia della chiesa.
I popoli dell'antica Frisia o Frisoni convertiti alla fede vollero anche essi la loro scuola rappresentanza presso il sepolcro dell'apostolo Pietro. Sorgeva sulla classica collinetta o p771 falda estrema del Gianicolo, di cui abbiamo già parlato, detta Palatiolum. Nei bollarî di Giulio II si trovano circa quel palatium lenze seguenti: Archipresbyter s. Michaelis orisonum seu Frisonum de porticu s. Petri de Urbe et clerici dicte ecclesie vendiderunt Latino Ostiensi et Vellitrensi episcopo cardinali, solum quod est prope ecclesiam s. Michaelis in quo edificatum est palatium dicti cardinalis et murum qui est secus viam publicam, iuxta quod dicitur aliquando Poza fuisse, ITEM MVRVM ANTIQVVM qui fuisse dicitur de palatio neroniano et est ex opposito campanilis dicte ecclesie ex parte australi ecc.
E veramente in quella collina sotto la villa Cecchini esistono ancora grandiose costruzioni romane che sembrano però d'indole balneare. La chiesa mantiene ancora il tipo basilicale, con portichetto in fronte e campanile del secolo XIII.
Cessata la colonia nazionale dei Frisi, passò sotto la giurisdizione di un capitolo con arciprete e chierici; diventò poi parrocchiale, quindi fu data in commenda da Eugenio IV al cardinale Roverella; finalmente fu assoggettata al capitolo vaticano, che usa della chiesa per i servizî parrocchiali.
Le origini di questa chiesa sono assai antiche: una tradizione l'attribuisce a Costantino, ma mancano documenti che provino questa antichità; sembra invece che fosse fatta edificare da Leone III, il quale dedicolla a s. Michele, e poscia, per le reliquie di s. Magno trasportatevi da Fondi, fu intitolata anche a questo santo. V'ha nella chiesa un'epigrafe che comincia colle parole: IN NOMINE DOMINI TEMPORE LEONIS IIII PAPAE CAROLO MAGNO IMPERATORE, ecc. la quale è da giudicare apocrifa, o, per dir meglio, è della fine del secolo XIII: ivi sono erroneamente dichiarati contemporanei Leone IV e Carlo Magno; fu chiamata anche s. Michele in Sassia.
In questa chiesa fu istituito un sodalizio che si dice dei Cento preti e venti chierici, eretto l'anno 1631 con autorità del card. Vicario, il cui scopo è quello di offrire per i fratelli defunti la messa secondo l'uso antichissimo attestato dalle lapidi dei ss. Cosma e Damiano, ss. Giovanni e Paolo, e s. Adriano scolpite in marmo dell'anno 984. Fu eretta sotto l'invocazione dell'Immacolata Concezione e di s. Michele Archangelo l'anno 1633.
Presso la chiesa v'è l'antica cappelletta alla quale si ascendeva per la Scala Santa in Borgo s. Spirito, oggi ridotta a sagrestia del sodalizio dei suddetti Cento preti. p772
È la chiesa, comunemente detta s. Spirito, che sorgeva presso la scuola degli Anglo-sassoni fondata dal re Ina, il quale nell'anno 728 venne a Roma, e d'accordo col papa Gregorio II eresse per i pellegrini di sua nazione un edifizio con chiesa dedicata alla Madonna. Quella schola Saxonum nel loro patrio idioma detta Burg, rapidamente fiorì; le sue possessioni, così il ch. de Waal, estendevansi dal Tevere lungo la portica di s. Pietro. Oggi ancora quel territorio è chiamato in Sassia, mentre la voce sassone burg (borgo) è divenuta il nome di tutto il rione.
La chiesa, coll'unito ospizio, fu distrutta da un incendio ai tempi di Pasquale I (817‑824), e poco dopo la riedificazione fu saccheggiata dai Saraceni. Poco prima di Innocenzo III l'ospizio fu trasformato in nosocomio col nome di s. Spirito, perchè la cura degli infermi era affidata ai frati ospitalieri di s. Spirito istituiti da Guido di Montepellier verso l'anno 1178. Innocenzo III però dette nuova e maggior ampiezza a quello spedale, facendolo ricostruire coll'opera di Marchionne d'Arezzo. I successori d'Innocenzo lo arricchirono di privilegî, e fu dichiarato ospedale pontificio, onde nei documento papali vien detto hospitale nostrum ovvero apostolicum.
Nel fianco destro della chiesa nel muro esteriore si legge la seguente lapiduccia che ricorda un eroe romano morto combattendo contro le orde barbariche di Carlo V, che invasero la città sotto Clemente VII:
D . O . M . BERNARDINO PASSERIO
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p773 La chiesa fu rinnovata à Innocenzo IV e da Paolo III, con architettura da Antonio da Sangallo; ma la fronte fu rialzata sotto Sisto V con disegno di Ottavio Mascherino.
La prima cappella a destra ha un superbo altare ornato di due colonne di alabastro agatato, ove è il quadro di Giacomo Zucca rappresentante la venuta dello Spirito Santo.
Ancora la tribuna è opera dello stesso Zucca, che visse ai tempi di Sisto V; ivi egli dipinse parecchi ritratti di letterati e di artefici illustri del suo tempo. Il ciborio, ricchissimo di marmi, è attribuito al Palladio. La prima cappella a stra colla Madonna e s. Giovanni diceasi opera di Pierin del Vaga; la Deposizione delle croce che sta in altra cappella è di Pompeo dell'Aquila, la Coronazione della Vergine nell'ultima cappella è di Cesare Nebbia.
Sul principio della via di Borgo s. Spirito, dirimpetto all'ospedale omonimo, v'ha una chiesolina dedicata alla ss. Annunziata, ove si raccoglie l'arciconfraternita di s. Spirito.
Di questa di parla l'Anonimo di Torino: Ecclesia sanctae Mariae in Traspontina. Il Signorili la dice in Turrispadina, e Cencio Camerario Traspontina ed in un altro luogo Transpadina. L'Adinolfi ha raccolto i varî vocaboli sotto i quali viene conosciuta l'antica chiesa di s. Maria in Traspontina. Egli li riduce a nove: In capite porticus, in capite pontis, traspontem, traspontina, traspadina, transpadina, in traspondina, traspondine, ed in cosmedin che vale ornata. Se però io vi aggiungo la denominazione in turrispadina datale dal Signorili, saranno non più nove, ma bensì dieci diverse denominazioni proprie di quell'antica chiesa. Ho detto dell'antica, perocchè la moderna fu fabbricata in un luogo diverso. Ecco ciò che ne scrive l'Adinolfi:
"Intorno alla sua vecchia sede più scrittori convengono nel dire che fosse vicina al castello (certo io aggiungo doveva essere molto più vicina al ponte che non è oggi, così p774 lo richiede il suo nome); quasi tutti disconvengono circa chi l'avesse rimossa di là. Alessandro Donati la vuole discostata sotto Alessandro papa VI. Pietro Martire Felini e l'Alveri da Pio papa IV, e gli annotatori del Bollario vaticano da Sisto papa V . . . . . Deggionsi ritenere per vere le due concordi opinioni del Felini e dell'Alveri, e le altre come false rigettare."
Il Torrigio afferma che stava dove sono le fosse di Castello e dice che fu gettata a terra da Pio IV ai 13 luglio del 1564 per rifare i bastioni del fortilizio. Era vicina all'antica platea Castelli, ricordata nei documenti dell'età di mezzo.
Presso la chiesa v'era il monumento che leº Mirabilia appellavano Therebintus Neronis, dove l'imperatore eletto, incontrato dal clero, movea alla coronazione, che compievasi un'antica vicina basilica vaticana. Questo therebintus, che era il rudere d'un grande sepolcro romano, era vicino ad un altro detto pure nei secoli di mezzo la Meta Romuli, sepolcro che avea la forma di piramide, come quella di Cestio sulla via Ostiense, e che il volgo credeva il sepolcro di Romolo.a
L'origine di questa chiesa edificata sulla sommità del castello di s. Angelo Mole Adriana) si rannoda alla leggendaria apparizione dell'Arcangelo s. Michele nella terribile pestilenza che afflisse Roma nel 590. La chiesa però non fu edificata nel secolo VI, bensì da un papa di nome Bonifacio creduto comunemente il quarto (a. 608‑615). La dedica della medesima è celebrata anche nel martirologio di Adone. Dalla sua elevata posizione l'oratorio venne poi chiamato inter nubes, e dagli storici del medio evo Liutprandoº e Rodolfo Glabro fu detto usque ad caelos, ovvero, inter coelos. Sebbene più vote fina, ed ora profanata, resta ancora quella chiesuola sulla sommità del castello, e da essa quel mausoleo e il ponte presero più tardi il nome
Entro il castel sant'Angelo vi era anche una cappellina detta del santo Rosario. È ricordata in un indulto di Clemente XIII l'anno 1768, ove si legge: Indultum papae circa missas celebrandas in capella sancti Rosarii siti in arce sancti Angeli pro defunctis officialibus et militibus.
Dopo che l'Anonimo di Torino ha accennato alla chiesa dell'Angelo nel castello di questo nome, segue così: ecclesia sancti Thome de castro predicto non habet servitorem da che impariamo l'esistenza di una chiesa di s. Tommaso nel castello sant'Angelo. Per quanto sconosciuta, pure trovo che Cencio Camerario le dà sei denari di presbiterio: sancto Thome de castro VI denarii. Però fin dal secolo XIII doveva essere in assai cattivo stato, mentre egli la pone nella lista delle chiese perdute od abbandonate e senza chierici.
Una chiesolina sacra al grande Antonio stava presso il castello, e si mantenea ancora in piedi fino all'epoca di Paolo IV. Allorquando sotto quel pontificato il castello fu ampliato e fortificato per la guerra di Napoli, la chiesuola fu abbattuta.
È il titolo di una cappellina situata nella via di Borgo Nuovo, chiusa da cancellata di ferro. Ivi si venera una divota imagine della Vergine col figlio morto sulle ginocchia, disegnata col carbone. Sull'edicola sovrasta lo stemma di Pio VI. L'anno 1790 in questo luogo, che era detto il vicolo della Fontanella un uomo avvinazzato gettò una buccia di melone contro quella imagine; da questo fatto atroce cominciò il popolo p776 a venerare quella imagine con maggior divozione, ed il papa Pio VI ordinò la erezione di questa divota corpi che è di proprietà dei ss. Palazzi apostolici. Su questa cappellina il notissimo abata Giannini scrisse una monografia.
Tuttora esiste la chiesa di s. Giacomo del Portico, come ben due volte la chiama l'Anonimo di Torino: ecclesia sancti Iacobi de porticu habet unum sacerdotem; però comunemente viene detta Scossacavalli, del quale nome così dà spiegazione il Nibby:
"Si racconta che l'imperatrice Elena volesse porre queste pietre (una cioè su cui credevasi Abramo avesse posto il figlio Isacco per sacrificarlo a Dio, l'altra su cui fosse stato collocato Gesù Bambino, allora quando la sua madre purissima l'ebbe presentato al tempio) nella basilica vaticana, ma che arrivato innanzi a questa chiesa il carro che le trasportava, i cavalli si fermassero ostinatamente, nè mai per percosse essendosi voluti muover d'un passo, fu forza deporle nella ridetta chiesa a cui da questo avvenimento si diede il nome di Scossacavalli."
Questa leggenda non ha alcun valore, anzi credo che la divozione imaginosa dei pellegrini del medio evo la poggiasse sull'esistenza forse di qualche frammento marmoreo di cavallo (coxa caballi) giacente su quell'area. Notisi che Nibby la dice Scossacavalli, forse per meglio convalidare la medesima leggenda.
Certo si è che prima di essere sacra a s. Giacomo s'intitolò al Salvatore, e si disse in Bordonia o de Bordonia, dai bastoni dei pellegrini che affluivano alla vaticana basilica, detti bordoni, e si chiamò s. Salvatore del portico, dalla portica della detta basilica. Anche dopo che fu sacra a s. Giacomo si continuò a dire del Portico. Era questo il celebre portico o portica che dal ponte s. Angelo si protraeva fino alla basilica vaticana, fatto per comodo dei pellegrini o dei venditori di oggetti di divozione, chiamati paternostrari.
A s. Salvatore Coxae caballi, Cencio Camerario concede sei denari. Presso la chiesa v'era un ospedale in cui l'Anonimo di Torino ricorda tres servitores. Eccone la relazione esistente nello Stato temporale del 1662:
p777 "La chiesa parrocchiale di s. Giacomo Maggiore detto Scossa Cavalli confina a mezzogiorno con la strada di Borgo Vecchio olim via Sacra. Si chiamò S. Salvatore Berdonio sì come viene denominato da Leone IX in una sua bolla, e poi Coxa Cavalli per bolla d'Urbano III 1186, e d'Urbano IV 1157º e di altri pontefici.
"La chiesa è di sito quadro e di struttura moderna, la facciata è alta palmi 130, larga p. 86, l'altezza della volta al pavimento 59 incirca, dalla volta al colmereggio 11, e dall'altar maggiore alla porta p. 86: la larghezza delle tre navate p. 69. Ha un piccolo campanile con tre campane, ha sette cappelle e 6 altari: il Santissimo si conserva in uno tabernacolo tutto di pietra mischia bellissima. Questa chiesa è parrocchia dipendente da s. Pietro da cui fu concessa alla ss. arciconfraternita del ss. Corpo di Cristo l'anno 1520 con annuo canone di sc. 7 moneta.
"Ha 323 case, 1067 anime tutte poverissime. La suddetta compagnia hebbe da un atto di pietà di alcuni buoni christiani principio, li quali del anno 1506 con ocasione che portando un giorno il curato di s. Maria Traspontina in quel tempo existente vicino Castel Sant'Angelo il ss. Sacramento ad un infermo con un solo lume, il quale per il vento si estinse, corsero subito quelli vui huomini del vicinato et accesi più lumi accompagnarono il ss. Sacramento a casa dell'infermo et alla chiesa, et così introdussero fare sempre per l'avvenire, et vi agiunse poi anco il baldachino, provedendo a torce; e concorrendo a quest'opera di pietà molte altre persone, si accrebbe il numero de' divoti a segno tale che a loro petitione gli fu concesso dalli d. padri Carmelitani le cappelle del ss. Sacramento per meglio esercitare questa et altre opere pie mantenendola di cera, oglio et altro onde l'anno 1510 supplicavano la fel. me. di Leone X per l'erettione della confr. che dal 1513 alli 21 sett. concesse il breve.
Gregorio XIII la eresse in arciconfraternita l'anno 1568 li 20 ottobre.
Un'isola pregevole di questa parrocchia è stata occupata (non si sa come) dalli pp. Carmelitani li quali con pregiuditio notabile di d. parrocchia hanno demolito tutte le case che vi erano sottoposte alla cura di d. parrocchia et fabricato con sontuosissimo designo un bellissimo convento per le quali case demolite pare il dovere che li detti padri dovevano dare il contracambio."
Nella via di Borgo Vecchio a fianco della chiesa di s. Giacomo a Scossacavalli v'ha un oratorio, la cui facciata non è compiuta: fu eretto dalla compagnia detta del ss. Corpo di Cristo l'anno 1601. Ecco la relazione che ne ho trovato nello Stato temporale dell'anno 1662:
"È un oratorio dell'arciconf. del ss. Corpo di Cristo a Scossa Cavalli. La facciata è in borgo vecchio, confina a mezzo giorno con d. strada, ad oriente li beni di d. comp. a tramontana con il vicoletto, a ponente una casa di s. Pietro.
"È di forma longa, sotto alla medesima edificato dalla compagnia nel 1602, longo p. 73, alto 38, largo 30 di facciata imperfetta et soffitto rustico. Vi è un altare con l'imagine di s. Sebastiano e dedicato a detto santo d'ordine di Clemente VIII che lo mandò a benedire. Vi è una sepoltura per li poveri. La chiesa è povera e disabitata e la cera è tanto poca che appena basta per accompagnare il ss. Sacramento agli infermi."
È diversa dalla anzidetta, come diversa era la via papae, che anche oggi chiamiamo via papale, dalla via pontificum, che corrispondeva colla via di Borgo Nuovo, e volgeva a sinistra dopo il ponte sant'Angelo, seguendo l'andamento incirca della strada attuale dell'Orso.
La nostra chiesa sorgeva nella via detta di Borgo Nuovo, che mena alla basilica di s. Pietro, già via Alessandrina, perchè iniziata da Alessandro VI e compiuta da Leone X Quella chiesuola ancora esiste, benchè abbandonata, col nome di s. Maria della Purità presso l'arco omonimo.
Nel catalogo di s. Pio V è ricordata fra quelle del Borgo, ma era deserta e ruinosa; infatti in quel catalogo si legge: San Sebastiano — ruinata.
È il bellissimo oratorio moderno nella piazza di s. Giacomo a Scossa Cavalli nel palazzo dei Convertendi. Fu edificato nel secolo XVII. Ha un solo altare. p779
È la stessa chiesolina del borgo vaticano a sinistra della via di Borgo Nuovo, anticamente via Alexandrina, della quale abbiamo già parlato sotto il titolo: S. Sebastiano in via Pontificum. La strada che vi conduce è coperta da un archetto che congiunge due vicini edifizî, e dicesi l'arco della purità; e vicolo della purità appellasi quello in fondo al quale trovasi la chiesolina fondata sotto Clemente VII. Appartiene al collegio dei caudatarî dei cardinali.
Fu tanto famosa questa chiesa che di lei, al dire dell'Adinolfi, molte bolle e pressochè tutti i vecchi cerimoniali fanno motto nello stabilire il modo da tenersi per la solenne coronazione degli imperatori. Giusta una bolla di Leone IX del 1056, che incomincia: Convenit apostolico moderamini, dat. IX kal. aprilis anno Dom. Leonis pp. IX. V, verrebbe detta anche in Turre, e dalla piazza in cui era situata, già Cortina, di disse in curtina; come de virgariis venne appellata da quelli che tenevano le verghe vicino all'altare di s. Pietro. Così il Martinelli. Ed io aggiungo che questi vergari formavano una schola, ossia classe, come si ricava da Pietro Mallio, le cui parole sono pure riferite dal Martinelli. Prese abbaglio gravissimo questo autore confondendo le due chiese di s. Maria de virgariis e di s. Gregorio, detta del portico o della cortina, e facendone una sola. Noi le troviamo distintissime, tanto nel catalogo dell'Anonimo, quanto in quello del Signorili.
Giusta i manoscritti di Michele Lonigo, s. Maria de virgariis guerra buttata a terra al tempo di Pio IV per allargare la piazza. Sappiamo infine dall'Adinolfi che nel Borgo vi furono anche le botteghe dei vergari, ossia venditori di verghe itinerarie o bordoni, a comprare le quali si affollavano i pellegrini.
Gettata a terra, le sue rendite furono trasferite all'altare della basilica di s. Marco evangelista nella basilica vaticana; le quali rendite ammontavano alla somma di scudi 460 annui.
p780 Una piazzetta adiacente alla chiesa prendeva dalla stessa il nome, e la basilica vaticana vi possedea nel 1384 una casa, cum signo trium columnarum. era una delle tre chiese situate sulla piazzetta della Cortina e quasi nel luogo over s'innalza oggi l'obelisco vaticano.
Questa chiesa è ricordata tra quelle del Borgo nei regesti di Urbano V.
Ⱥ ricordata dal Lonigo, il quale dice aver trovato nelle carte dell'ospedale di s. Giovanni memoria d'una piazza del Salvatore di Castel Sant'Angelo, dalla quale notizia si può ragionevolmente supporre che esistesse presso quella mole.
Sulla piazza della basilica vaticana molte chiesuole nei primordî del secolo XVI erano tuttora in piedi; fra queste è da ricordarne una detta s. Maria Regina Coeli. Nei libri catastali della basilica v'ha registrata all'anno 1513 sulla suddetta chiesuola la notizia seguente:
Domum sitam in burgo et in platea dictae basilicae iuxta ecclesiam S. Mariae de virgariis intra hos fines, cui ab uno latere est ecclesia S. Mariae Regina Coeli, ab alio latere sunt res dñi Bernardi de Rusticis, ante est via publica.
La chiesa è mentovata anche nella vita di Pio IV; ma nei documenti del secolo XVI fu detta de Regina Coeli.
È ricordata nel catalogo delle chiese di Roma sotto s. Pio V, ed è annoverata fra quelle del borgo vaticano. Credo sia la medesima che, per qualche confusione inserita nel suddetto catalogo, è di nuovo menzionata fra le chiese del Trastevere col nome di s. Iacomo al palazzo de Vlisco. Ignoro dove sorgesse.
Nei libri censuali della basilica vaticana, nei registri dell'anno 1380, trovo così ricordata questa chiesa: Domina Ioanna uxor Aleonti Ypoliti, dicti alias Paduani de parochia sancti Laurentii de piscibus. Benedetto Canonico la nomina fino dal secolo XII, come situata fuori del portico del b. Pietro, e da Cencio Camerario è detta ad pisces. La denominazione provenne alla chiesa dalla contrada che dicevasi già piscina, forse da un mercato del pesce che nel medio evo era situato in quell'area. La chiesa tuttora esiste ed è oggi comunemente detta s. Lorenzo in Borgo o s. Lorenzino, ed è tenuta dai padri delle Scuole Pie. Vi abitarono un tempo monache clarisse, che Leone X trasferì altrove; quindi l'ebbe una compagnia di laici della vicina chiesa di s. Spirito. Nel 1659 fu riedificata dalla famiglia Cesi dei duchi di Acquasparta.
Nel principio del secolo XVI, il mio antenato Fresco Armellini, cardinale di s. Callisto sotto Leone X, possedendo un palazzetto annesso alla chiesuola di s.oz de Piscibus, non solo restaurò la chiesa, ma la racchiuse nel palazzo medesimo da lui con aggiunta di altre case ampliato, onde fu pure comunemente detta s. Lorenzo dell'Armellini. Il Panciroli, parlando di questo cld, mal s'appose chiamandolo Tommaso e non Francesco. Egli fu camerlengo di Santa Chiesa sotto il papa Leone X ed i contemporanei lo designavano di ricchissimo censo. A precipizio si salvò nel sacco di Roma del 1527, tratto su nel Castello con una fune, e colà morì.
p782 L'ingresso della chiesa ha una facciata con doppio portico eretta sotto Clemente XII coi disegni di Domenico Navona. L'interno è diviso in tre navi da dodici colonne antiche di marmo bigio. Sull'altar maggiore vi è un quadro di Niccolò Bertoni scolare del Maratta, rappresentante lo sposalizio di Maria.
È il titolo di una piccola cappella nel vicolo del Corridoio.
L'Anonimo di Torino nomina fra le chiese del Vaticano un ospedale di s. Niccolò, il quale per me non v'ha dubbio prendesse il nome da una chiesa di s. Niccolò che le andava congiunta. Siccome poi nel Vaticano, per quanto io so, non v'era altra chiesa di s. Niccolò che quella detta delle incarcerate, dal monastero di donne penitenti che in vicinanza vi era stato edificato, così crederei di poter sostenere che questo ospedale fu vicino alla prelodata chiesa di s. Niccolò e perciò da lei denominato. Sorgeva presso il palazzo Rusticucci; nel codice suddetto si dice: hospitale s. Nicolai habet servitores quinque.
Il codice di Torino fra le chiese della prima partita nota presso l'hospitale sancti Petri un monastero che all'epoca del compilatore del catalogo contenea moniales VIII. È ricordato anche nel catalogo del Signorili e in altri documenti dell'epoca. L'Adinolfi più degli altri descrive minutamente la forma e la posizione di questa chiesa che era presso il palazzo Rusticucci nel vicolo detto del Mascherino. Il monastero per la sua vicinanza alla basilica vaticana, ebbe grande importanza nel medio evo, e il papa Bonifacio IX gli concedette il vicino luogo coll'orto detto di s. Maria delle Vergini. Fu pure denominato delle Cavalleròtte e latinamente de Cavallerottis, perchè le monache che in p783 esso si accoglievano erano figlie dei Cavallierotti, il quale nome davasi al ceto dei poplani ricchi e distinti, che nella civica milizia servivano a cavallo e partecipavano ai giuochi cavallereschi della città. In alcuni manoscritti del 1510 chiamavasi anche ad statuam, e al monastero nel 1677 fu donato un insigne aureo di Costantino trovato nel disfarsi il palazzo lateranense sotto Sisto V.
Il Cancellieri attribuisce a questo monastero origine antichissima, poichè egli dice che vi si ritirò la celebre s. Galla figlia di Simmaco; notizia che egli tolse dal Grimaldi; ed è appunto in quel claustro, come narra il Matraia nella sua storia di s. Maria in Portico, che alla moribonda Galla apparve spiet. Presso il monastero sorgeva il palazzo del card. Dandini; in un diario vaticano è ricordato il giuramento di fedeltà che l'abadessa di quel monastero, Girolama de Bocis, prestò al papa Paolo II. Dal diario d'Innocenzo VIII del Burcardo, risulta che ivi erano le cucine dei cardinali durante le vacanze della s. Sede. Nella pianta del Bufalini la chiesa è indicata sulla piazza Rusticucci. Della medesima e del suo monastero ho trovato anche le seguenti notizie:
In ecclesia sanctae Catherinae nunc existentis in platea divi Petri de Urbe tempore Innoc. VII erat monasterium monialium et vocabatur monasterium s. Catherinae de nobilibus Cavalcarottis idestº de nobilibus civibus romanis prope porticum s. Petri de urbe ord. s. Benedicti, quae moniales in magno timore quotidie vivebant propter multitudinem gentium armigerorum illic pro tempore confluentium . . . . propterea ab ipso pontifice ann. primo sui pontific. 4 idus febr. fuerunt translatae in ecclesia S. Mariae Dominae rosae suppresso primiceriatu et canonicatibus.
Questa chiesina è situata nel recinto del Vaticano a destra del Colonnato presso il quartiere delle guardie svizzere. Fu edificato da Pio V nel 1568, affinchè i soldati della detta guardia e le loro famiglie avessero il comodo di sentire la messa nei giorni festivi. La chiesa fu dedicata anche al martire s. Sebastiano.
Questa mirabile cappella tolse il nome da Sisto IV. Fu edificata con i disegni di B. Pintelli. È di forma quadrangolare ed è divisa in due parti da una cancellata, che separa il presbiterio dal luogo destinato ai canonici. I cancelli dorati sostenuti da pilastri di bronzo furono in quest'ultimi tempi rimossi, ma con saggio divisamento di mons. Ruffo Scilla, maggiordomo di Sua Santità, vi sono stati riposti. Mirabile è questa cappella per gli affreschi di cui è adorna, opera dei più celebrati maestri. Nella parete di fondo Michelangelo rappresentò quel celeberrimo Giudizio universale che basterebbe da solo a rendere eterna la fama di quel grande: prima di quest'opera senza pari Pietro Perugino v'avea dipinto l'Assunzione della Vergine con Sisto V genuflesso, ai due lati Mosè salvato dalla figlia di Faraone, e la Nascita di Cristo. Questi dipinti furono distrutti sotto Paolo III per l'opera della grande scena del Giudizio, che fu eseguita dal Buonarroti in soli venti mesi sotto il pontificato di Giulio II.
Nelle pareti laterali si veggono scene del vecchio e del nuovo testamento, nelle quali si esercitò il pennello di Luca Signorelli, di Sandro Botticelli, di Cosimo Rosselli, di Cecchino Salviati, di Matteo da Lecce, del Perugino, del Ghirlandaio, di Bartolomeo della Gatta. Anche la volta è opera del Buonarroti, che vi rappresentò la Creazione e i fatti principali del vecchio testamento. Sotto Pio IV si voleva far cancellare quell'affresco per la troppa nudità delle figure; ma, interpositi alcuni cardinali, quelle esterno decenti si fecero coprire con panneggiamenti da Daniele di Volterra, che fu perciò soprannominato braghettone; altre furono ricoperte dal Pozzi sotto Clemente XIII.
I dipinti sono alquanto anneriti dal tempo, più che dal fumo dei ceri nelle solenni funzioni papali che si celebrano in questa cappella, nella quale si fecero anche molte elezioni di pontefici.
Il pavimento è tessellato di opus sectile e marmoreo, formato cioè di porfidi e serpentini.
Presso la sala detta dei chiaroscuri v'ha la stupenda cappella fatta innalzare da Niccolò V e dedicata a s. Lorenzo.
Le sue pareti e la volta sono ricoperte di stupendi affreschi del b. Angelico da Fiesole: i dipinti sono distribuiti in due piani: nell'inferiore sono rappresentati i fatti principali degli atti di s. Lorenzo, nel superiore quelli di s. Stefano protomartire; p785 le pitture della volta rappresentano gli evangelisti: nel pavimento marmoreo è scolpito quattro volte il nome del papa che fece erigere questa cappella: NICOLAVS PP. QVINTVS. Fu restaurata da Gregorio XIII e poi nel 1712 da Clemente XI; l'altare è moderno, perchè fatto erigere da Benedetto XIII, sul quale v'è una copia della tavola di Giorgio Vasari rappresentante il Martirio di s. Stefano.
Pio VII fece dal Camuccini racconciare questi inarrivabili affreschi, che rendono questa cappella un monumento d'inestimabile importanza.
Fu fatta edificare da Paolo III presso la Sistina, coi disegni di Antonio da Sangallo in luogo di altra cappella maggiore che Niccolò V avea dedicato al ss. Sacramento, la quale fu demolita. Sull'altar maggiore vi erano due colonne di porfido, scoperte nelle terme di Traiano, sul cui fusto sono scolpiti in rilievo due imperatori che si abbracciano: Pio VI le collocò nella biblioteca vaticana. Nelle parti laterali vi sono due grandi affreschi eseguiti dal Buonarroti negli ultimi ani di sua vita. Quello a destra rappresenta con figure più grandi del naturale la Crocifissione di s. Pietro. L'altro a man sinistra esprime la Conversione di s. Paolo. Ivi si vede Cristo in cielo e una moltitudine d'angioli: al disotto è il santo caduto da cavallo. Federico Zuccari sotto Gregorio XIII ne ornò la volta e vi dipinse anche le lunette ove rappresentò la Caduta di Simon Mago e s. Pietro che battezza. Le figure di stucco situate agli angoli della cappella sono del celebre Prospero Bresciano. Benedetto XIII e poi Leone XII la destinarono a cappella parrocchiale della famiglia pontificia nel palazzo vaticano. Gr16 la fece nobilmente restaurare ed abbellire nel 1837, e nuovi ornamenti e lavori vi sono stati recentemente fatti a cura dell'illustre monsignor Ruffo Scilla, maggiordomo di Sua Santità e prefetto dei Sacri Palazzi, che viene rimettendo allo stato primitivo questo insigne monumento cristiano del Vaticano.
La celebre macchina del Bernini, fatta racconciare, si conserva integra in apposito locale presso la cappella.
È stato scoperto l'altare marmoreo che rimaneva nascosto dietro la macchina, e la mensa è stata distaccata ed isolata dalla parete. Il rustico pavimento di mattoni è stato sostituito da altro bellissimo di marmi colorati: nella parete a destra è stata aperta una cantoria, la sagrestia è stata ampliata e restaurata, e ritoccati gli stucchi del presbiterio. p786
È una chiesa oggi semiabbandonata, presso la quale v'era il cimitero degli Svizzeri del palazzo pontificio. Sta dietro che di s. Anna de' Parafrenieri nella via oggi detta della Cancellata, già si s. Pellegrino a ridosso del muraglione vaticano.
Sulla fronte della chiesa si legge la seguente epigrafe:
ECCLESIA S. PEREGRINI EPISCOPI ANTISIODORENSIS MARTYRIS QVAM S. LEO PP. III AEDIFICAVIT CIRCA ANNVM DNI DCCC VETVSTATE COLLABENTEM CAPITVLVM ET CANONICI SACROS. VATIC. BASILICAE INSTAVRARVNT ANNO MDXC
Che l'origine della divota chiesa risalga al secolo VIII, risulta dalle scoperte recentemente fatte nella chiesa suddetta dal ch. monsignor De Waal rettore del campo santo tedesco presso il Vaticano. L'illustre prelato ha scoperto sotto l'intonaco qua e colà caduto, che ricopriva le pareti della chiesa odierna, le tracce delle pitture contemporanee alla prima edificazione della chiesa medesima, il cui livello era di circa due metri più profondo dell'odierno, e la cui abside è coperta dell'altare moderno. Le pitture scoperte rappresentano Nostro Signore fra i ss. Apostoli Pietro e Paolo e due altri santi. Il Signore tiene in mano il codice dell'Evangelo, su cui si leggono le parole: EGO SVM RESVRRECTIO ET VITA.
Un'altra serie di pitture adorna la parete vicina all'abside, ma queste sono del secolo XIII e XIV di scuola e maniera giottesca. Ivi spicca la figura della Vergine venerata dagli angioli. Questa chiesa, come abbiamo dalla surriferita lapide, fu edificata da Leone III, e poi da Innocenzo III e Gregorio IX ristaurata. Nel Bollario vaticano si legge che fu restaurata anche da Bonifacio IX, e vi si dice che annesso v'era un hospitale pauperum, cioè per i poveri pellegrini che venivano a visitare i luoghi santi di Roma. È veramente deplorevole che una memoria cristiana così insigne d'arte e di pietà giaccia abbandonata e caduta. Il luogo ove fu edificata diceasi naumachia, e dominicum appellavasi l'ospedale annesso. Vi si legge anche l'epigrafe:
EAMDEM S. PEREGRINI ECCLESIAM CLEMENTIS PONT. X. HELVETICA CVSTODIA DVX OFFICIALES MILITES FORIS FACIE INTVS VARIIS ORNARVNT AN. MDCLXXI
p787 Ora questa chiesa, il cui ultimo restauro rimonta ad oltre due secoli, nobilitata dal nome di tre così grandi pontefici, ricca di tali memorie e per la sua origine tanto notevole, è d'augurarsi che venga presto nuovamente restaurata. Così la iniziativa di alcuni divoti essendo secondata da altri, non verrà condannata a perire e a fare sparire il nome del santo, come già dalla via è scomparso.
Nell'archivio de' Brevi vi è il seguente di Alessandro VII, del quale mi ha dato gentilmente notizia l'archivista monsignor Pietro De Romanis:
Eccone un brano:—
Ad futuram ecc. . . Exponi nobis nuper fecerunt dilecti filii capitulum et canonici basilicae principis Apost. de Urbe quod ipsi ecclesiam s. Peregrini de eadem urbe ad dictam basilicam legittime spectantem ab aliquot ab hinc annis utendam precario concesserint tunc et pro tempore existenti capitaneo nec non dilectis filiis officialibus et militibus helvetiis custodiae corporis nostri, qui eandem ecclesiam propriis eorum sumptibus e pessimo statu in formam decentiorem redegerunt.
Cum autem sicut eadem expositio subiungebat modernus capitaneus et aliqui officiales et milities huiusmodi ecclesiam praedictam magis in futurum ornare cupientes, illam, situmque illi adnexum a praedictis exponentibus oblata annua recognitione perpetuo concedi sibi petierint . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . nos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . piis exponentibus ut memoratae ecclesiae s. Peregrini situsque illi adnexi usum dictis moderno capitaneo aliisque officialibus et militibus helvetiis qui nunc sunt ac illis qui pro tempore ex natione helvetica erunt corporis nostri et romani pontificum successorum nostrorum respective custodes sub certa recognitione inter partes convenienda et aliis pactis . . . . . . concedere libere et licite possint et valeant, licentiam . . . . concedimus et impertimur.
Troviamo nel catalogo del XIV secolo, presso la chiesa di s. Pellegrino in Vaticano, anche quella di s. Maria Maddalena, cui era congiunto l'ospedale dell'istessa santa.
p788 Tanto della chiesa come dell'annesso ospedale null'altro saprei dire che il nome e l'ubicazione nel Vaticano. Solo trovo in una bolla di Martino papa V farsi ricordo di un convento o monastero di s. Maria Maddalena, situato nel portico del beato Pietro, tenuto da monache benedettine. Assai probabile mi sembra che a questo monastero fosse unita la chiesa di s. Maria Maddalena che troviamo nel nostro catalogo, e che forse le comunicò il nome, come lo dette anche al vicino ospedale. In ogni modo il monastero stava, per detto di Martino V, nel portico di s. Pietro, in porticu s. Petri de Urbe, e qui noto che debbe intendersi del portico propriamente detto, e non della portica di Borgo, che già era affatto andata in rovina.
È una chiesa situata nella via di porta Angelica, la quale fu edificata con disegno del figlio del Vignola. Appartiene alla confraternita dei Parafrenieri (o staffieri) del papa istituita sotto Urbano VI nel 1378. La chiesa però fu eretta sotto il pontificato di Pio IV l'anno 1565. I confratri ebbero per iscopo il culto della Madre di Maria e il suffragio dell'anime dei defunti: dalla loro chiesa prese il nome il borgo adiacente. Nel giorno di s. Anna, innanzi il 20 settembre 1870, essi faceano una solenne processione che moveva dalla chiesa più vicina alla casa del cardinal protettore della confraternita, e allorchè l'imagine di s. Anna giungeva sul ponte sant'Angelo il cannone del castello facea ripetute salve.
È ricordata da Cencio Camerario fra le moltissime che ricevevano i sei denari di presbiterio. Anche il nostro Anonimo di Torino e il Signorili la ricordano fra le chiese della regione vaticana, osservando che la chiesa habet unum sacerdotem. Il Martinelli la dice posta alla porta Angelica, avvertendo che era dipendente dalla basilica vaticana. Nei manoscritti del Terribilini ho trovato che si disse pure vicina alla porta Aurea. Ecclesia sancti Egidii iuxta portam auream. Io credo però che il Terribilini abbia mal compreso quel nome, scambiando la parola aenea in quella d'aurea; poichè non molto lungi dalla nostra chiesa s'apriva una delle porte del recinto leoniano detta aenea, ovvero s. Petri.
p789 Nel farsi alcune riparazioni a quella chiesa l'anno 1862 fu rinvenuta sotterra adoperata per architrave d'una porta la fronte d'un coperchio di sarcofago cristiano. Nel centro v'ha il cartello coll'iscrizione, ai due lati della quale sono scolpiti delfini nuotanti sulle onde marine:
SALVSTIO YPPO LITO BENE ME RENTI QVI VISI T ANVS XXXIII. M. VIII. D. VIIII IN PACE. |
Questa chiesa era anche detta ad montem Feretulum, iuxta viam Cassiam extra urbem. Fu fondata dalla religione gerosolimitana e il papa Bonifacio VIII l'unì al capitolo di s. Pietro in Vaticano.
Vi si celebrava con gran concorso la festa del santo titolare il 1o di settembre con fuochi, suoni, corse dei barberi per i borghi, come risulta da un diario di Andrea Amici beneficiato di s. Pietro che si conserva nell'archivio capitolare. La congregazione dei cappellari non avendo chiesa, fece supplica al capitolo acciocchè la concedesse loro. Il capitolo annuì e la dette ai medesimi il 24 novembre 1653. Ma pochi anni dopo, per la eccessiva distanza, essi l'abbandonarono.
Allora un'altra congregazione, detta di Gesù, Maria e Giuseppe, destinata a pregare Dio per le anime scordate (sic) la chiese e la ottenne ai 21 settembre del 1680. Ma nel 1689º anche questi fratelli l'abbandonarono e si trasferirono a s. Biagio della Fossa, ovvero de' Pettini, presso la Pace. Allora i borghigiani vi istituirono un'altra compagnia sotto l'invocazioni di s. Egidio onde pregare Dio per i poveri febbricitanti, dopo chiestane licenza al vicario di Roma card. Carpegna, da cui furono approvati gli statuti ai 5 luglio 1690.
Presso la porta Angelica v'ha una chiesa chiamata di s. Maria delle Grazie, che fu edificata nel 1588 da Albenzio Rossi, eremita calabrese della terra del Cedraro e riedificata nel 1618 dal card. Lante.
p790 Il suddetto Albenzio, venuto a Roma, trovò che molti eremiti, per mancanza di rifugio, dimoravano nelle taverne o in luogo sudici, e molti morivano per le strade. Ottenne egli da Sisto V nel 1587 un motu proprio, col quale si ordinava al card. Vicario che concedesse al medesimo frate di comprare un fondo in Roma per fabbricarvi un ospizio di rifugio per gli eremiti che venivano alla visita dei luoghi santi della città.
Egli construì in quel luogo una cappella cui dette il titolo dell'Ascensione del Signore, ma poi fu detta s. Maria delle Grazie per un'imagine assai divota e miracolosa che avea portato con sè da Terra Santa.
Nelle Acta Visitationis sotto Alessandro VII ne ho trovato la seguente relazione:
"Albentio da Cetrario in Calabria huomo timorato del Sig. Iddio essendo andato al Monte d'Ancona per ricevere da quei Padri Camaldoli di Montecorona qualche carità, gli diede il Priore un tonichino bianco dell'habito loro con il quale venne a Roma l'anno 1586 e prese l'habito di eremita di lana pura bianca sopra della nuda carne senza cappuccio, et andava scalzo, digiunava tanti li venerdì dell'anno, tutte le vigilie della Madonna e l'Advento. Il mercoldì poi non mangiava carne come nè anco il sabbato latticini, nè ova. Era uomo di grande oratione e mortificatione: andava gridando per le strade di Roma — facciamo bene adesso che havemo tempo. Vedevasi molti eremiti per le taverne di detta città e per luoghi indegni di loro, come anco molti poveri, che per non haver rifugio alcuno morivano per le strade, sì che mosso da carità ottenne da Sisto V un motu proprio sotto la data in Roma apud s. Marcum a. 1587 tertio calend. iun., nel quale si ordinava al sig. card. Vic. di quel tempo che concedesse facoltà al medesimo di poter comprare un edificio o vero un fondo in Roma et in esso fabbricarvi una casa o vero un hospitio per albergarvi così li heremiti che con patente del loro Ordinario venissero in Roma per visitarvi i luochi santi, come anco altre persone povere, ricevendole tutte nel hospitio per otto giorni o più ad arbitrio di chi aveva cura di quel governo. Esso Albentio dunque con elemosine di diverse persone fabbricò vicino a porta Angelica una cappella o chiesa piccola sotto all'invocatione dell'Ascentione del Signore, la quale invocatione perchè in progresso di tempo fu ivi portata da Gerusalemme una miracolosa imagine della b. Vergine, fu chiamataº la Madonna delle Gratie delli Eremiti.
"Oltre di ciò fabbricò il med. Albentio un convento unito a d.a chiesa, nel quale alloggiava tutti li eremiti dando loro p791 il vitto necessario per otto giorni, et alli poveri dava ogni sera da mangiare e da dormire, e se tra essi poveri vi fossero stati dell'infermi si mettevano per quella notte in alcuni letti che ivi riteneva in forma di hospitale, facendoli subito confessare e la mattina seguente ricevuto il ss. Sacramento si mandavano agli hospedali, e se talvolta erano ributtati da quegli ospitali si ritornavano nel sud.o hospitio dove con carità erano accettati et rimessi a letto sin tanto che il Sig. Iddio provvedesse al loro bisogno."
Di questa chiesa tacciono affatto l'Anonimo di Torino e il catalogo del Signorili, benchè sia vetustissima. Si vuole infatti che fosse edificata da s. Gregorio il Grande. Tuttavia quest'opinione non è affatto sostenibile, perchè la chiesa in discorso non fu in origine dedicata all'Arcangelo s. Michele, bensì a tutti gli angeli santi.
Ai tempi del papa Eugenio IV annesso alla chiesa v'era uno ospedale servito da una confraternita di laici, che diceasi hospitale Angelorum, e nel secolo XVI hospitale s. Angeli. Il titolo di s. Michele credo provenisse alla chiesa dalla vicinanza dell'anzidetta sulla sommità del castello.
Dall'epoca d'Alessandro VI fu chiamata al Corridoio perchè addossata a quel famoso ambulacro coperto, che quel papa edificò per mettere in comunicazione il castello col palazzo vaticano. In questa chiesa è il famoso sepolcro di Eugenio Notaio.
È la chiesa del conservatorio di s. Spirito. In un documento dell'ospedale omonimo trovo circa questa chiesa quanto segue: Anno iubilaei 1675 diei 23 maii illm̃us et rm̃us d. Febeus praeceptor s. Spiritus benedixit ecclesiam sub nomine sanctae Teclae monialium eiusdem ordinis s. Spiritus NOVITER FACTAM positam prope ecclesiam veterm ipsarum monialium p792 in cortile seu platea vulgo dita delle Balie. Questa chiesa fu edificata da pontefice Clemente VIII per uso delle monache e delle proiette loro affidate, come si legge nel seguente documento: Die 31 mensis augusti 1592 ssm̃us D. N. Clemens papa VIII solito cardinalium et episcoporum comitatu contulit se ad ecclesiam et hospitale s. spirito in Saxia ecc. . . . .
Cum autem animadvertisset locum ubi puellae ac moniales commorantur non esse ad monasterium aptum neque opportunum, mandavit ut eae in illas aedium partes transferantur ubi nunc fratres habitant . . . . ibique construatur ecclesia, ac in honorem s. Teclae virginis et martyris dedicetur.
In un grandioso edificio, appositamente costruito nel nuovo quartiere dei Prati di Castello in via Cola di Rienzi, fu testè aperto dalle Dame di Nazaret un educandato per convittrici, semi-convittrice ed esterne.
Il grandioso fabbricato, sullo stile del 1200, è sorto per opera del compianto prof. Vincenzo De Rossi Re, defunto in pendenza dei lavori, che vennero poi proseguiti dal figlio Corrado. La fabbrica che si estende per m. q. tremiladuecento, forma isola tra le vie Cola di Rienzo, Orazio, Plinio e Adriano, con un ingresso principale in via Cola di Rienzo ed altro che dà sul cortile annesso.
A sinistra di chi entra è un primo parlatorio, che serve ora di sagrestia alla attigua cappella provvisoria, di già ufficiata ed aperta al pubblico, dove nei dì festivi gli abitanti dei dintorni hanno la comodità della s. messa. Il soffitto della cappella è assai ben decorato dal Capranesi; nell'altare il quadro rappresentante il Crocifisso, con appiè la Madonna e s. Giovanni, è opera di Luigi Romagnoli. Al presente si sta costruendo la grande cappella stabile, che riuscirà magnifica per disegno e per decorazione, e che verrà dedicata alla Immacolata Concezione.
È il titolo della nuova chiesa da offrirsi come dono dei Cattolici al Santo Padre pel suo giubileo episcopale, e che continua ad essere in Francia l'oggetto delle più belle dimostrazioni di p793 fede e di generosità. La detta chiesa verrà costruita ai Prati di Castello in una delle grandi aree disponibili presso il ponte che metterà a piazza del Popolo.
Il rev. abate Brugidou è l'iniziatore dell'opera delle chiese nei nuovi quartieri di Roma.
Questa chiesa si dovrà innalzare ad onore di s. Luigi Gonzaga nel residuo dell'area appartenente al collegio Pio latino americano ai prati di Castello. Essa compie la superficie di tutto l'isolato, che riquadra ben 8000 metri.
Dio voglia che questo desiderio si traduca presto in ato per aiuto altresì di tante famiglie destituite in questo quartiere di soccorsi spirituali. Il santissimo nostro Padre Leone XIII, col magnifico e prezioso dono inviato parecchi mesi fa al collegio, pare abbia voluto farsi iniziatore di quest'opera, cioè di un magnifico ciborio tutto ornato di marmi preziosi, lavoro stimato più migliaia di lire e che il papa donò al collegio, pr la futura chiesa di s. Luigi.
Questa magnifica chiesa si trova nel primo piano nel collegio suddetto ed è opera dell'illustre architetto romano Temistocle Marucchi di compianta memoria. Essa ha tre navi e otto altari, e dietro parecchie stanze per la sagrestia. È dedicata all'Immacolata Concezione di Maria, e sull'altare maggiore si venera la statua di Lei circondata da una corona di angeli. La statua fu modellata dal valente faentino Giovanni Collina, successore del celebre Graziani di Faenza, e sta chiusa entro la nicchia d'un tempietto, sormontato da ricco timpano a marmi e oro ed o da colonne a lapislazzuli con capitelli contî, lavoro del cesellatore Ettore Brandizzi romano. Ma ciò che colpisce maggiormente l'occhio è il ciborio e l'altare di gran pregio, tutto di metallo dorato, cui contornano altrettanti specchi di malachita, di rosso antico, e di lapislazzuli con sovrapposti arabeschi di finissima cesellatura, opera dei continuatori della rinomata officina Vincenzo Brugo. Di qua e di là della nicchia, come su due veri arazzi, il prof. Capparoni ritrasse al vivo le imagini di s. Stanislao Kostka e s. Giovanni Berchmans.
p794 Opera del Capparoni è pure il gran quadro che campeggia nel centro della volta rappresentante la gloria di Maria corteggiata dai santi protettori del collegio e dai santi e beati che fiorirono nell'America latina o che la illustrarono colle loro fatiche apostoliche o colla loro dimora; quali furono s. Rosa da Lima, s. Turibio, s. Francesco Solano, s. Pietro Claver, s. Lodovico Bertrando, s. Filippo di Gesù; la b. Marianna de Paredes, i beati Pietro Spinola, Giovanni de Britto, Porres, Massias ed Ignazio de Azevedo coi trentanove suoi compagni. Esso è riuscito, sotto il pennello del fecondo dipintore, una vera gloria di paradiso.
È il titolo d'una chiesolina recentemente costruita nella casa delle suore Calasanziane.
Nella via Cavallini ai Prati di Castello, il giorno 19 marzo di quest'anno 1891 si aprì un oratorio dedicato al Volto Santo di Nostro Signore Gesù Cristo, per l'opera riparatrice dei due grandi delitti sociali: la bestemmia e la profanazione delle feste. Il nuovo oratorio è sorto per iniziativa e per opera dell'omonima congregazione religiosa testè stabilitasi in Roma, della quale è procuratore il rev. don Giovanni Battista Fourault.
a Secondo il Lanciani (Pagan and Christian Rome, p128) negli stessi secoli di mezzo il sepolcro di Caio Cestio presso la porta Ostiense era nominato dal volgo Meta Remi, e si deve a questi due piramidi l'esistenza della chiesa di S. Pietro in Montorio, fondata sul punto che marcava il mezzo esatto della distanza che li separava, considerato il luogo preciso della crocifissione dell'apostolo. Il Lanciani non spiega questa idea fantasiosa, ma si tratta senz'altro di una specie di calcolo ermetico: equidistante dai sepolcri dei fondatori di Roma sarebbe il posto dove morì S. Pietro, simbolico rifondatore della Città.
Immagini con bordi conducono ad informazioni: più spesso il bordo più ampie le informazioni. (Dettagli qui.) | ||||||
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