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Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

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R. S. Angelo

 p497  RIONE CAMPITELLI

Ss. Quattro Coronati

La storia ed i nomi dei cosidetti santi Quattro Coronati sono stati fino a poco tempo fa uno dei punti più oscuri e difficili della cristiana agiografia; ma oggi, dopo gli studî del ch. De Rossi, la luce è fatta, il problema risolto. Gli atti dei santi surriferiti, il cui fondo è storico, ricordano due gruppi di martiri: l'uno, composto di cinque lapicidi e scultori cristiani nelle cave di Pannonia ai tempi di Diocleziano, benchè si debba sostituire al nome di quest'imperatore quello di Galerio; l'altro, di quattro corniculari romani. I primi cinque scultori ebbero nome Claudio, Castorio, Sinforiano, Nicostrato e Simplicio e furono martirizzati nel fiume Sava, perchè si erano rifiutati di scolpire la statua d'Esculapio; pur tuttavia poco prima avevano condotto a termine un simulacro del Sole in quadriga reggente i cavalli. Questa circostanza, come ha dimostrato il De Rossi, accresce il valore della narrazione degli atti, poichè è in perfetta armonia con il senso pratico della morale cristiana, la quale sapeva ben distinguere le opere d'arte che erano considerate come ornamentum simplex da quelle che ad idololatriae causam pertinebant, giusta la distinzione di Tertulliano. Nella seconda parte di quel racconto entrano in scena i quattro soldati romani che furono uccisi in Roma per avere negato di adorare un idolo d'Esculapio; martirio confuso più tardi con quello dei lapidicidi pannoni, ma che difatti é del tutto independente per il luogo dove si svolse e per l'epoca, giacchè accadde anteriormente ai tempi di Diocleziano. Essendo rimasti ignoti i nomi dei suddetti soldati furono poi confusi nei martirologî con altri martiri sepolti in Albano, cioè, Severo, Severino, Carpoforo e Vittorino. La confusione fra i martiri pannonici e i corniculari accadde quando quei primi furono  p498 trasferiti in Roma e sepolti in un cimitero della via labicana nel luogo detto ad duas lauros, e poi dei ss. Pietro e Marcellino, nel luogo stesso ove furono sepolti i corniculari. Si accrebbe questa quando i due gruppi furono portati alla vetusta chiesa, che sorge ancora sul Celio, per cura del papa Leone IV (a. 847‑855), dei quali già era stata decretata comune la commemorazione dal papa Milziade.

La chiesa fu adunque dedicata ai quattro anonimi corniculari, detti coronati dalla simbolica corona del loro martirio, e che nel secolo VII furono confusi col terzo gruppo dei sunnominati martiri d'Albano. Di questo titolo celimontano si fa menzione fino del tempo di Gregorio Magno i un sinodo romano, tenuto in quei tempi, benchè la chiesa sia anche più antica, risalga cioè al secolo V, in cui fu eretta nella contrada Caput Africae sulle ruine d'un edificio romano.

Onorio I la rinnovò dalle fondamenta, ma l'Ugonio propone che il papa Milziade ne sia stato il primo fondatore, e che sorgesse nel luogo ove furono gettati i corpi dei quattro corniculari suddetti. L'edificio originale di Onorio sventuratamente sparve in mezzo ai ripetuti restauri; però le mura medievali della bella chiesa torreggiano oggidì a foggia di quelle d'una rocca, e danno a quella contrada dal Celio un pittoresco aspetto. Leone IV, che ne fu cardinale, la ricostruì, e dei suoi lavori resta ancora l'ambulacro dietro la tribuna e l'epigrafe in marmo in cui sono nominati i santi che egli vi depose.

Nell'assedio e presa di Roma per opera del Guiscardo la chiesa cadde incendiata insieme a tutto il quartiere che si estendeva dal Laterano al Colosseo. Dopo quell'incendio, avvenuto circa il 1080, Pasquale II, nel duodecimo anno del suo pontificato, rialzò dalle fondamenta il sacro tempio, che poscia sotto Martino V fu di nuovo restaurato dal card. Alfonso Carillo spagnuolo, dal quale fu posta l'epigrafe seguente che ivi si legge:

HAEC QVAECVMQVE VIDES VETERI PROSTRATA RVINA
OBRVTA VERBENIS HEDERIS DVMISQVE IACEBANT
NON TVLIT HISPANVS CARILLO ALPHONSVS HONORE
CARDINEO FVLGENS, SED OPVS LICET OCCVPAT INGENS
SIC ANIMVS MAGNO REPARATQVE PALATIA SVMPTV
DVM SEDET EXTINCTO MARTINVS SCHISMATE QVINTVS.

In quella chiesa furono eletti papi Leone IV e Stefano VI.

Nei tempi più vicini ai nostri, Pio IV la riabbellì di nuovo, ed il monastero annesso, ove a lungo aveano dimorato i Camaldolesi, donollo nel 1560 alle povere orfane tolte dal loro  p499 monastero dell'isola tiberina: è il più antico dei conservatorî destinati a zitelle orfane di padre e madre.

La chiesa è divisa in tre navi sorrette da otto colonne di granito, sopra le quali i muri che si alzano a guisa di logge sono ornate di colonne simili, ma più piccole. Le navi laterali sono a volta, il soffitto di legno fu fatto fare nel 1580 dal card. Enrico, che poi fu re di Portogallo; il pavimento è d'opera cosmatesca. La tribuna di Pasquale II fu più tardi restaurata dal cardinal Millini. Sotto l'altare di s. Sebastiano, per due rampe di scale, si scende ad una cappellina sotterranea, ove si custodiscono le reliquie dei santi titolari e del martire Sebastiano.

Nel 1882, scavandosi sotto l'abside della chiesa, gli operai trassero in luce due frammenti di lapide monumentale, opera di san Damaso, nei quali si leggeva il residuo del vocabolo martyrium pASSI, indizio certissimo di elogio storico dei martiri. Questa scoperta fa congetturare al De Rossi che all'epoca di s. Damaso sorgesse già in questo luogo un oratorio in onore di questi santi, ove quel papa pose quell'elogio. Pasquale II nel 1112, come dice la lapide depostavi da quel papa, IVSSIT CAVARE SVB ALTARE QVOD PRIVS COMBVSTVM ET CONFRACTVM FVERAT ET INVENIT DVAS CONCAS VNAM PORPHIRETICAM ET ALIAM EX PROCONESSO IN QVIBVS ERANT RECONDITA SACRA CORPORA.

Quel papa ridusse la chiesa a proporzioni minori dell'altra distrutta dal Guiscardo. Si vede tuttora l'antica nave destra, adattata ad uso di refettorio dell'annesso monastero, con colonne assai più alte di quelle dell'odierna, e convenienti alle grandiose proporzioni d'alcune colonne superstiti nel secondo dei due grandi atrî della basilica.

Nei lavori del cardinal Millino nel 1624, che fece distruggere gli affreschi di Pasquale II, si rinvennero le reliquie depostevi del papa Leone IV, nominate nella lapide di Pasquale II; scoperta alla quale fu presente il celebre Antonio Bosio, che in luogo più profondo ne scoprì altre che Pasquale non avea veduto. Il capo del martire s. Sebastiano fu trovato entro bellissimo vaso d'argento smaltato e distinto da epigrafe votiva d'uno degli antecessori di Leone, Gregorio IV. Leone IV deponendovi quel suo tesoro, lo collocò in una delle cappelle  p500 delle reliquie, e vi fece scrivere le parole: † EGO · LEO · FECI †.

Molti oratorî e sacri edifizî circondavano quell'insigne monumento cristiano: d'uno di questi, scoperto in Roma nel secolo decimoquinto, ai tempi di Sante Bartoli, troviamo la seguente notizia nel Fea:

"Nello stradone del Coliseo per andare a s. Giovanni alla mano diritta in un orto disotto ai ss. Quattro fu trovato fra le altre ruine antiche una stufa di bellissima disposizione, quale si conosceva essere dagli antichi cristiani ridotta in forma di chiesa, per alcune vergini sacre che vi erano dipinte, le quali dalle barbarie dei cavatori furono di subito scassate."

Oratorio di S. Silvestro

Presso il portico della chiesa dei ss. Quattro v'ha la celebre cappella di s. Silvestro, presso a poco ancora intatta, appartenente alla confraternita degli scultori e scalpellini. Nelle papi vi sono pitture tolte dalle Acta Silvestri che si riferiscono alla vita leggendaria di Costantino. Questi affreschi sono del secolo XIII: il D'Agincourt infatti vi lesse un'epigrafe, ora coperta o caduta, colla data seguente: A · D · MCCXLVIII HOC OPVS DIVITIA FIERI FECIT. Vi si leggeva anche il nome del pittore Petrolinus vissuto ai giorni di Pasquale II. La cappella fu dedicata nel 1246 dal card. Rinaldo Conti vescovo d'Ostia: ivi rimane ancora la iscrizione commemorative di quella consecrazione che è la seguente:

† AD LAVDEM DI OIPIS 7 HONOREM BI SILVRI
PAPE 7 CONFESSORIS · DEDICATA EST HEC CAPELLA PER DOMINVM
RAYNALDVM OSTIENSEM EPISCOPVM · AD PRECES DOMINI
STEPHANI · TITVLI · SANCTE · MARIE TRANSTIBERERIM PRESBITERI CARD
QVI CAPELLAM 7 DOMOS EDIFICARI FECIT
† IN NOMINE DOMINI AMEN · ANNO DOOMINI · M · CC .
PALMAS · TEMPORE DOMNI INNOCENTII QVA
RTI · PAPE · ANNO IIII · HEE SVNT RELI
QVIE SANCTORVM · DE LIGNO CRVVIS
SANCTI NOIFATII · PAPE · 7 MARTYRIS · SANCTI IANV
ARII QVI FVIT SVBDIACONIS SIXTI · PAPE · MARTYRIS . .

 p501 

S. Barbara

Era il titolo d'un oratorio costruito entro il monastero dei ss. Quattro, del quale parla il biografo di Leone IV nella biografia di questo pontefice: quod constructum est supra ecclesiam ss. Quatuor Coronatorum. Ne tacciono il Martinelli, lo Zaccagni ed altri, ma non sfuggì alle ricerche del Lonigo.

S. Niccolò de Formis

Scrive l'Anonimo predetto che quella chiesa al suo tempo non habet servitorem, segno che era piccola, abbandonata e cadente.

Sorgeva nel Celio presso gli archi (forma) dell'acquedotto neroniano, d'onde prese il nome. Il Terribilini cita, a proposito di questa chiesa, una bolla d'Innocenzo III del 1203, ove si fa menzione della medesima. Stava nella via che dalla chiesa dei ss. Giovanni e Paolo conduce al Laterano, strada costeggiata dalla suddetta forma. Il Signorili chiama la chiesa in Coelio dal colle ove sorgeva.

S. Maria in Domnica

È l'unica che abbia mantenuto, lungo il volgere di tanti secoli, l'antica denominazione precostantiniana dominicum. È tradizione non dispregevole che ivi fosse stata la casa di s. Ciriaca. Volgarmente la chiesa fu chiamata della navicella, da una piccola nave di marmo eretta già sulla propinqua piazza, e che Leone X fece toglier via ponendone un'altra in sua vece, copiata assai male dall'antica, quel si vede anche al presente. Il Severano, parlando dell'antica navicella, fa supporre che fosse qui posta dal capitolo di s. Pietro in Vaticano, quasi come segnale di dominio, imperocchè esso capitolo possedeva questa parte del Celio, e particolarmente la chiesa di s. Tommaso in Formis. Il Martinelli poi dice che la navicella suddetta fu posta in questo luogo a causa di un voto. Comunque sia, certo  p502 è che non s'incontrano documenti anteriori al secolo XVI, i quali chiamino la contrada col nome della Navicella. In una bolla di Onorio IV il colle in cui sorge questa chiesa è detto Mons Maior, nei regesti di Urbano V la chiesa è corrottamente appellata de dopnea.

La chiesa di cui si parla, fu la prima tra le Diaconie, e però ivi risiedeva l'arcidiacono. Il Libro pontificale nella vita di Pasquale la dice olim costructam; soggiunge poi, che il medesimo pontefice, vedendola presso a ruinare, la riedificò dalle fondamenta, ampliandola ed ornandola, fra le altre cose, con un bel musaico nell'abside che fu compiuto nell'817. Leone X, quando ancora era cardinale, cioè nel 1500, la rifabbricò co' disegni di Raffaello, e forse con quelli di Bramante: il portico però, tutto di travertini, venne eseguito in appresso con architettura di Michelangelo, secondo si stima dagl'intendenti.

Per tre porte entrasi nel tempio, le quali rispondono alle tre navi da cui è formato, divise da diciotto colonne di granito, pregevoli molto per la bellezza e rarità loro: ai lati però dell'abside o tribuna, veggonsi due colonne di porfido. La nave di mezzo ha un palco, o soffitto, costruito per comandamento del cardinale Ferdinando de' Medici, nel pontificato di Sisto V: esso è adorno di buoni intagli, ed ha nel mezzo questa iscrizione: FERDINANDVS MEDICES CARD. TEMPLI ORNAMENTO MEMORIAEQ. LEONIS X RENOVANDAE FECIT. PII V ANNO I: il cardinale stesso rinnovò ed ornò il pavimento. Le navi laterali sono a volta, così avendo ordinato il suddetto Leone X. Il fregio che ricorre attorno alla nave maggiore viene attribuito da molti a Giulio Romano, aiutato da Pierin del Vaga, ma sonovi di quelli che nella esecuzione riconoscono la mano di quest'ultimo pittore, e però pensano che il primo non avesse parte che alla invenzione dell'opera. Per cinque gradini si ascende al presbiterio, ovest'è l'altare, rivolto verso la navata grande, e quivi si veggono degli avanzi d'opera cosmatesca nel pavimento: il ricordato presbiterio ha nel mezzo un seggio sopra tre gradini, ed all'intorno sonovi i sedili. Nel catino della tribuna si osserva il musaico fatto eseguire da Pasquale I, fra l'817 e l'821. L'abside è opera di Pasquale I che restaurò la chiesa fatiscente. Il corpo dell'edificio è rimasto quale fu ricostruito nel nono secolo fra l'817 e l'821. Nel sott'arco è il nome monogrammatico PASCHALIS. Prima di Pasquale, la chiesa era dedicata alla Vergine, avea nome Domnica ed era diaconia, come si legge in Leone III.  p503 La sua origine è oscura, ma si è detto esser tradizione che qui avesse la sua casa s. Ciriaca, il che si legge anche negli atti di s. Lorenzo, ed era luogo di convegno dei cristiani. Ivi presso era la stazione della coorte V dei vigili. Giovanni dei Medici, poi Leone X, la restaurò.

Nella fascia quadrilunga sull'arco si vede il Salvatore seduto sull'empireo tra due arcangeli, corteggiato dai dodici apostoli; s. Pietro ha le chiavi d'oro, Paolo le divine scritture, nei due fianchi un profeta per ciascuno lato stende la destra verso la prima scena dell'abside: nel centro di questa regna la beata Vergine col divin Figliuolo sulle ginocchia, corteggiata da schiere infinite di angeli. Un bianco manipolo pende alla sinistra della Vergine, segno d'onore, senza il quale i ministri non poteano accostarsi all'altare; lavoro che somiglia incirca a quello che si osserva in s. Cecilia, ed è dell'epoca stessa, cioè del nono secolo; esso fu ristorato d'ordine di Clemente XI. Nella fascia inferiore si leggono questi versi:

ISTITVITA DOMVS PRIDEM FVERAT CONFRACTA RVINIS
NVNC RVTILAT IVGITER VARIIS DECORATA METALLIS
ET DEVX ECCE SVVS SPLENDET CEV PHOEBVS IN ORBE
QVI POST FVRVA FVGANS TETRAE VELAMINA NOCTIS
VIRGO MARIA TIBI PASCHALIS PRAESVL HONESTVS
CONDIDIT HANC AVLAM LAETVS PER SAECLA MANENDAM.

La chiesa fu anche collegiata: ma Clemente XII, nel 1734, la diede ai monaci greci-melchiti della congregazione soarita che si dividono in Baladiti ed Aleppini. Nel pontificato di Pio VII il card. Raffaele Riario Sforza titolare fece molti lavori di restauro in questo tempio. Il titolare defunto da pochi anni, card. Consolini, la fece tutta restaurare nel modo come si vede.

S. Isidoro

Dentro la moderna villa Mattei al Celio, dietro s. Maria in Domnica, giaceva una chiesa di s. Isidoro di cui si fa parola in una bolla di Innocenzo III:: ecclesiam s. Isidori et totum montem maiorem post absidem et in claustrum ecclesiae b. Mariae in Domnica. Di questa chiesa non rimane più alcun vestigio.

 p504 

S. Osanna

Non so rendermi ragione di questa denominazione, ma il Martinelli afferma che sul Celio era stata edificata da Callisto II una chiesa in onore di un santo di questo nome.

S. Stefano ad Caput Africae

Non lungi dalla basilica di s. Clemente, nella celeberrima e nota contrada dell'antica Roma chiamata Caput Africae, v'era una chiesina sacra a s. Stefano. Nel codice di Torino si legge: s. Stephanus Caprafice (sic) habet unum sacerdotem: nel codice del Signorili è detta in capite libico. Alcuni confusero questa chiesa con l'altra celimontana chiamata oggi s. Stefano Rotondo.

S. Agata ad Caput Africae

Era il titolo d'un oratorio e di un annesso monastero di cui non v'ha più traccia.

Fin dal tempo di Onorio III il luogo era così fatiscente che il papa in una sua epistola ricorda come le monache di quel monastero non possent ibi commode remanere et iubet ut ipsae transferrantarº in monasterium s. Xysti et in monasterium s. Bibianae.

S. Tommaso in Formis

Sorge ancora sul Celio presso il fornice di Silano e Dolabella. Fu già una delle venti abbazie privilegiate di Roma. Dal papa Innocenzo III fu concessa al beato Giovanni de Matha, il corpo del quale fu venerato in quel luogo fino all'interregno di Innocenzo X, così il Bruzio, nel quale tempo si dice fosse tolto da alcuni dell'ordine dei Trinitari, altri dicono di no, ma certo fu tolto e condotto in Ispagna.

 p505  Nella nota bolla d'Onorio III, diretta a questa chiesa nel 1217, si concede alla medesima: portam integram quae libera sive latina dicitur cum omni portatico suo et redditum qui a transeuntibus solet dari. Urbano VIII la tolse ai padri Trinitarî della Redenzione, secondo quel che afferma il Terribilini, per aver essi mandato secretamente in Spagna il corpo di s. Giovanni de Matha.

La chiesa fu chiamata anche dei ss. Michele Arcangelo e Tommaso e venne ricostruita nell'anno 1663 dal capitolo vaticano.

Ebbe un tempo anche annesso un grande ospedale pei poveri. Fu, dopo l'abbandono dei padri del Riscatto, eretta in commenda cardinalizia, e ultimo commendatore ne fu il card. Napoleoncello Orsini, il quale, essendo morto Bonifacio IX nel 1395, la unì al capitolo di s. Pietro in Vaticano, che in essa prese ad uffiziare il 21 dicembre, giorno festivo di s. Tommaso.

Questa chiesa sembra venisse eretta almeno nel secolo XI e fu restaurata da Bonifacio VIII, Urbano VI ed Alessandro VII. Da ciò risulta che le notizie del Bruzio e del Terribilini in ordine al tempo del traslocamento del corpo di s. Giovanni de Matha e della espulsone dei Trinitarî dal luogo sono, o del tutto o in parte, prive di fondamento storico. Presso la chiesa, a sinistra, restano gli avanzi del gran monastero che fu culla dell'ordine dei Trinitarî della Redenzione e si vede la porta monumentale del medesimo convento e ospedale, dei tempi d'Innocenzo III, sulla quale v'ha in musaico il Salvatore seduto con due schiavi, l'uno negro e l'altro bianco, ai lati, sciolti dai loro ceppi. Sull'arco della porta si legge l'epigrafe:

† MAGISTER IACOBVS CVM FILIO SVO COSMATE FEC. HOC OPVS.

Nella cornice del musaico, in lettere d'oro, sta scritto:

† SIGNVM CRVCIS SANCTAE TRINITATIS REDEMPTIONIS CAPTIVORVM.

Quèsti fu capo della scuola detta appunto dei Cosmati marmorari romani, fondata nel secolo XII, chiamati in solenne epigrafe di quel tempo magistri doctissimi romani e che lavorarono specialmente nelle chiese e cattedrali dell'Italia meridionale. Dietro l'altare attuale v'ha ancora l'antica abside che dovette  p506 essere certamente ricoperta di pitture, ma che fu posteriormente ricoperta di calce.

Sul fornice di Dolabella si venera una celletta nella quale dimorò il santo fondatore dell'ordine dei Trinitarî.

Ss. Giovanni e Paolo

È l'antichissimo titolo che sorge sulla sommità del Celio, a sinistra dell'antico clivo di Scauro. Nei secoli VIVII era assai frequentato dai pii romei, e gli autori anonimi degli itinerarî dei cimiteri romani sono tutti unanimi nel ricordarsi i martiri Giovanni e Paolo riposanti in quella basilica. Negli atti dei due martiri si legge che essi furono uccisi nella persecuzione dell'Apostata e nascostamente sepolti nella loro casa paterna, la quale poi fu trasformata in chiesa; presso quelle sacre reliquie fu più tardi deposto un gruppo di altri santi, cioè Crispo, Crispiniano e Benda.

Se la compilazione di quegli atti non ci è pervenuta nella forma primitiva e genuina, ma è lavoro di tempo assai posteriori, tuttavia non si doveva con leggerezza rifiutare quanto essi riferivano sulle circostanze principali del martirio, sulla casa dei due santi, e sull'origine del titolo.

Come si è infatti accennato, fino dal secolo VI, per sincere testimonianze, risulta che si veneravano in quella basilica i corpi dei suddetti santi. Ora, poichè le grandi traslazioni dei corpi dei martiri dai cimiteri alle basiliche e chiese interne della città, non erano ancora in quell'epoca incominciate, e i sepolcri dei martiri rimanevano ancora chiusi nelle catacombe; egli è perciò a credere che veramente i nostri martiri nella loro basilica si ritrovassero per le cagioni surriferite dagli atti loro. Ecco le parole precise dell'itinerario Salisburgense: Intra urbem in monte Coelio sunt martyres Iohannes et Paulus in sua domo quae facta est ecclesia post eorum martyrium, et Crispinus et Crispinianus et s. Benedicta. Nell'itinerario Salisburgense si dice che i corpi dei predetti santi quiescunt in basilica mana et valde formosa.

Alla fine del secolo IV è da attribuire la trasformazione della chiesa e l'erezione del titolo per opera di Bisanzio e Pammachio suo figlio, onde fu detta titulus Pamachiititulus Bizantis, ricordato in uno dei sinodi romani sotto il papa Simmaco. Ma il Panvinio accolse l'opinione che questo titolo appartenesse già alla chiesa di s. Sabina, il Bosio invece lo attribuisce a questo detto pure di Pammachio o dei ss. Giovanni e Paolo al Celio.

 p507  Ai giorni del papa Innocenzo I (a. 402‑417) due preti, l'uno chiamato Proclinus e l'altro Ursus del titolo di Bizante, offrirono un voto all'altare del martire s. Sebastiano. Rimane ancora l'iscrizione fatta scolpire da loro che si custodisce oggi nel museo cristiano lateranense; l'epigrafe è la seguente:

TEMPORIBUS SANCTI INNOCENTII
EPISCOPI PROCLINUS
ET URSUS PRESB
TITULI BIZANTIS
SANCTO MARTYRI
SEBASTIANO EX VOTO FECERUNT.

Il sommo archeologo cristiano del secolo XVI, cioè il Bosio, ha proposto, come dicemmo, che il titolo di Bizante fosse il medesimo che il titolo di Pammachio sul Celio. Infatti negli atti dei ss. Giovanni e Paolo si legge espressamente che quel titolo, già casa dei santi martiri suddetti, fu costituito da Bizanzio seniore, padre di Pammachio. Tuttavia, lo stesso timidamente accenna che il titulus Bizantis potesse spettare alla chiesa di s. Susanna o di Gabinio, poichè due preti sottoscrittori del secondo concilio niceno, AselloAgatone, in alcuni codici si dicono preti di s. Susanna, in altri del titolo di Bizante.

Questi è il pio senatore romano, l'amico di s. Girolamo, che eresse pure a sue spese in Porto un grande xenodochio per i pellegrini, come abbiamo dalle lettere di s. Girolamo, dalle quali si raccoglie che la fondazione ne avvenne circa l'anno 398. Fu quello uno dei primi ospedali di pellegrini e di ammalati istituiti nel nostro Lazio, le cui vestigia sono state discoperte da non molti ani dal principe Torlonia presso il porto Traiano (lago Traianello) insieme ad arredi di suppellettile domestica d'argento, cioè cucchiari, piatti ecc. che oggi si conservano nel museo cristiano della biblioteca vaticana.

Adriano I e Leone III restaurarono successivamente il titolo di Pammachio e secondo il generoso stile dei pontefici romani lo arricchirono di doni.

Nella chiesa si conserva, in due tavole di marmo affisse alle pareti in fondo alla nave destra, un antichissimo diploma pontificio di molta importanza anche per lo studio dell'agro romano, poichè v'è designato cogli antichi nomi un novero di fondi donati a quella basilica. Il diploma è diretto Deusdedit cardinali et Iohanni archipresbytero tituli ss. Iohannis et Pauli. In quel diploma sono  p508 nominati due personaggi, un Constantinus servus servorum Dei ed un Gregorio papa che confermò quella dote.

Era opinione comune fino ad alcuni anni indietro che il Gregorio sunnominato, autore del diploma, fosse il magno, e che il papa Costantino avesse confermata quella donazione (a. 708‑715). Ora, dal novero dei papi è da escludere il Constantinus predetto, poichè non premette il titolo di episcopus alla formola accennata, la quale e prima e dopo s. Gregorio, per alcun tempo, fu adoperata da persone d'ogni classe e condizione. Il ch. De Rossi ricorda l'epigrafe d'un orefice del secolo X, il quale al titolo di sua professione Aurifes (sic) aggiunge la formola predetta. Il Costantino adunque dell'epigrafe celimontana è persona ignota vissuta fra i secoli VIIVIII, poichè dei due marmi celimontani il più antico è quello segnato dal nome di Costantino predetto contenente la noticia fundorum tituli huius. Il Gregorio papa che quel censo confermò è assai probabilmente il settimo, come ricavasi anche dalle forme e formole paleografiche dell'altra epigrafe.

Nell'orto annesso al monastero v'ha un antico sarcofago romano colle solite baccellature a spira. Quell'urna fu nel medio evo adoperata per uso di sepolcro ed un cadavere vi giacque per molti secoli; anzi nella cartella centrale, che era rimasta in origine priva d'epigrafe, fu scolpito l'elogio del defunto ivi sepolto; ma aperta poi negli ultimi secoli l'urna e disperse forse le ossa, il sarcofago, rimosso dal posto, servì ad altri usi e barbaramente anzi fu segato in mezzo, cosicchè dell'epigrafe si legge ora l'ultima metà, che è la seguente:

.   .   .   .   .   .   .   .   .    .   .   .   .   .   .   .   .   .    .   .   .   .   .   .   .   .   .    LUS CECO (sic) CLAUDO P. ES. VIA SPES MISERIS
UT (sic) VOLUIT DEUS HUC MUNDI FINIRE LABORES
SUSTULIT AD SE ANIMAM CREDIDIT OSSA MIHI.

Uno elogio così amplio, benchè pecchi dell'esagerazione del secolo XIII, ai cui tempi rimonta l'epigrafe, dovea certamente riferirsi ad un personaggio di singolare merito e di cospicua dignità. Infatti egli è appunto così.

Il Bruzio riporta tutta intiera l'iscrizione di quel sarcofago che, al suo tempo, si trovava in primo coenobii peristilio,  p509 avente per base due leoni marmorei. L'epigrafe intiera è questa:

HIC DORMIT LUCAS AGATENSIS GENTIS ALUMNUS
FUNCTUS IN HAC AULA CARDINIS OFFICIO
IUSTITIAE FONS MUNDITIAE VAS LEX PIETATIS
LUS CECO CLAUDO P. ES. VIA SPES MISERIS
UT VOLUIT DEUS HUC MUNDI FINIRE LABORES
SUSTULIT AD SE ANIMAM CREDIDIT OSSA MIHI.

Come risulta dal contesto di quest'epigrafe, il defunto fu cardinale titolare dei ss. Giovanni e Paolo; ebbe parte nel concilio di Clermont e fu amico e devoto di s. Bernardo, il quale, nell'epistola 144, di lui fa menzione assai onorata.

Prima dei restauri di Leone III, la chiesa fu rinnovata da Simmaco nel V secolo. Il papa Niccolò V l'affidò ai padri della congregazione del b. Colombini da Siena, detti i Gesuati; soppresso quell'ordine, fu da Clemente X affidata ai Domenicani ibernesi, i quali vi rimasero fino al pontificato di Innocenzo XII, e finalmente Clemente XI vi chiamò i pp. Passionisti. La chiesa ha nell'interno perduto il suo tipo primitivo basilicale, ma nelle mura esterne, specialmente verso il lato della salita di Scauro, restano costruzioni del secolo IV, dell'epoca cioè dei ss. Giovanni e Paolo ed anche anteriori.

Nell'archivio vaticano ho trovato le seguenti notizie relative all'epoca in cui la possedeano i Gesuati:

"La chiesa è sostenuta da 21 colonne che in tre navi la dividono, e 2 altre colonne assai belle sostengono il coro modernamente fabricatovi dall'Illm̃o Laus mentre era di questa chiesa titolare: il pavimento della nave di mezzo è in vari luoghi di maghi lavori intarsiato. L'altar maggiore tutto guarnito di marmo verde, ha sotto la confessione; di sopra il tabernacolo come anche altre chiese antiche sostenuto da 4 colonne. La tribuna è nella parte più bassa incrostata di tavole di marmo distinte con fregi di pietre di fini colori, et alquanto più sopra una cornice pur di marmo che gira tutto il semicircolo, e poco più sopra un ordine di colonnette che similmente va interno. La cavità della tribuna è ornata di figure moderne. Il resto della chiesa è tutto imbiancato, quella porta che è a mano dritta dell'altar grande vi fu da principio e per esservi la salita difficile papa Simmaco vi fece le scale. Nella nave principale sono incontro all'altro due altari di vaghe pietre e colonne ornati. Spatio di marmo chiuso  p510 per le cappelle de' cantori. Guglielmo Hencourt card. thodesco titolare di questa chiesa la restaurò come mostrano l'arme nella facciata della chiesa sotto quella di Adriano e finalmente Laus l'ha ridotta in quella forma che oggi si vede.

"Tengono questa chiesa oggi li frati Gesuati li quali non prendono ordini sacri, ma con le fatiche delle sue mani servono a Dio et si sostentano, e qui in Roma si occupano in stillare acque de diversi fiori et herbe così per medicina, come per odore."

Innanzi alla chiesa v'ha un antico portico, sostenuto da otto colonne, sul cui architrave si legge l'epigrafe:

PRESBYTER ECCLESIAE ROMANAE RITE IOANNES
HAEC ANIMI VOTO DONA VOVENDO DEDIT
MARTYRIBUS CHRISTI PAULO PARITERQUE IOHANNI
PASSION QUOS EADEM CONTULI ESSE PARES.

Il pavimento è del secolo XIII, d'opera cosmatesca; alla destra della nave principale si scorge una pietra che serve ad indicare il luogo ove, secondo la trad, furono trucidati i santi germani eponimi del luogo.

Nel secolo XVI, in una delle pietre di quel pavimento si leggeva la seguente epigrafe:

.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   
HOCCE PUELLAE IACET TUMULO CORPUS ELISABETH
QUOD MANETIN SANCTA AULA NUNC BAPTE IOHIS
ILDEBRANDUS EIUS GENITOR THEODORAQUE MAMMA
ORTA PUELLA IDEO FUIT ARDUA STEMMATE ROMAE
BIS ANNOS HABUIT SENIS ET MENSIBUS DECEM
DUCTA IOHS VESTRA PAULIQUE IURE SUB ALMA
UT SIBI DET REQUIEM SANCTAM POST FUNERA SEMPER
TUMULUS AD REQUIEM SUBIACEAT NEXU DUM VIVIT
IN ORBE ANATHEMA.

DEP. V. KAL. SEPPURE.   .   .   .   .   .  IND .   .   .  V.   .

L'epigrafe l'ho tolta dai manoscritti del Bruzio e mi sembra assai importante, poichè si riferisce alla gente ardua stemmate Romae, cioè d'Ildebrando e di Teodora.

L'anno 1658, scavandosi nell'orto vicino alla chiesa, si trovarono segni di lastricato di bagni con luoghi che dimostrano vi si facesse il fuoco. Si trovò pure una platea fabbricata dim marmi fini et una quantità di capitelli di colonne d'un  p511 palmo e mezzo di diametro, e molti altri marmi e condotti di piombo con lettere che diceano:

DOMITIAN . CAES . AUG . SUB . CURA
. . . CINI CLEMENTIS

DOMITIAN . CAES . AUG . GERM .
POSTUMIUS AMERINUS FE
AMERINUS FE .

Così il Bruzio nel citato suo manoscritto degli archivî della S. Sede. Questi avanzi appartennero certamente alla casa dei ss. Giovanni e Paolo.

Che in questa chiesa i marmorari romani della scuola e della famiglia di Cosma esercitassero la loro nobilissima arte lo possiamo supporre dalla seguente epigrafe sepolcrale di Giacomo figlio d'Angelo di Niccolò e forse padre di Cosmato, di cui nel Celio medesimo, presso s. Tommaso in formis, resta altro insigne monumento. L'epigrafe dicea:

HIC REQUIESCIT MAGR IACOBUS
FILIUS OLIM ANGELI NICOLAI
SCRIPTOR DOMINI PAPAE ET CLERICUS
HUIUS ECCLESIAE.

Dietro l'altare del sacramento, in fondo allaº nave sinistra, il p. Germano poscia ha trovato sotto l'intonaco gli affreschi che adornavano le pareti, rappresentanti le imagini del Salvatore e degli apostoli e di altri santi: sono pitture del secolo XII.

Tutti conoscono le insigni scoperte fatte testè sotto quella basilica dal ch. p. Germano passionista. Egli ha ritrovato la casa stessa abitata dai ss. Giovanni e Paolo, e il luogo ove furono uccisi, con gli avanzi degli oratorî che nel medio evo vi furono costruiti. L'umile e dotto religioso ha restituito così a Roma cristiana una delle sue più insigni memorie che si credevano assolutamente perdute, ed insieme ha dimostrato che non sono leggenda, ma storia, la persecuzione di Giuliano e gli atti dei due martiri. La casa si trovò sotto il pavimento dell'attuale basilica, le cui camere, dall'ignoranza degli ultimi secoli, erano state ride a sepolture, e le pareti, già adorne di affreschi, ricoperte di calce.

Di questa preziosa abitazione, che fu teatro dell'eccidio dei proprietarî l'anno 362, rimane soltanto nel pavimento della chiesa una lapide del secolo XVI, sulla quale si legge:

LOCUS MARTYRII SS. IOANNIS ET PAULI IN AEDIBUS PROPRIIS.

 p512  Era l'ultimo ricordo sopravvissuto all'abbandono di quella celeberrima casa di martiri. Posto dunque mano agli scavi, il ch. p. Germano ritrovò parecchie stanze adorne di affreschi del secolo quarto ove comparivano, con eccezione unica fin qui, figure ed imagini che si erano solamente vedute nei cimiteri romani, cioè la Orante, il Mosè, ecc. Era quello il Tablinum della casa: a poca distanza del medesimo, ad un piano superiore, si scoprì una piccola camera che si riconobbe per il locus martyrii. Il fondo di questa piccola camera era stato chiuso da un muro, nella cui parete era stata aperta la fenestella confessionis, e ai lati di quella parete sono dipinte due scene: l'una della cattura dei martiri, l'altra della esecuzione; ivi si vedono tre martiri inginocchiati e bendati intanto che gli apparitores stanno per troncare ai medesimi il capo. Sotto la finestrella si vede uno dei due martiri eponimi (l'altra imagine è perita); intorno al martire germogliano rose e palme, e due fedeli prostrati ai suoi piedi umilmente glie li baciano: è una scena d'adoratio. Il gruppo laterale rappresenta il supplizio dei santi Crispo, Crispino e Benda che furono uccisi dopo i santi Giovanni e Paolo come narrano i loro atti. Le camere che corrono sulla linea dell'edifizio che guarda il lato sinistro del Clivo di Scauro appartengono alla parte postìca della casa: anzi il p. Germano ha trovato che di quel lato rimane intera la facciata, coi suoi due piani e le finestre, che fu lasciata intera allorchè venne edificata la basilica.

Alcune di quelle camere furono lasciate ornate di pitture nel medio evo: fra quelle v'ha un gruppo d'imagini rappresentante il Salvatore fra gli angeli Michele e Gabriele e i ss. Giovanni e Paolo accompagnati dalle loro epigrafi. Recentemente vi si sono trovati anche affreschi ritraenti scene della vita del Salvatore, fra le quali primeggia quella della Passione. Il Crocifisso è vestito di colobio; sulle braccia della croce si vedono i busti di quattro angeli; ai piedi della medesima è il soldato che lo ferisce colla lancia; dalla ferita spicciano goccie di sangue, di cui è cosperso tutto lo spazio e cadono anche sul capo del soldato. Vi si vede la Vergine, Maria Salome e un altro soldato: in basso a destra si vedono i busti di tre soldati che gettano le sorti sulla tunica del Salvatore, ivi si legge l'epigrafe: SVPER BESTEM MEA MISERVNT SORTE. È la più completa scena di questo genere fin qui scoperta e anteriore, a mio credere, al mille.

Poi sono venute in luce anche le stoviglie domestiche usate dai santi ed alcune anfore vinarie contrassegnate col monogramma di Cristo secondo l'uso dei fedeli del secolo quarto. Una delle stanze presenta decorazioni anteriori alla conversione dei due  p513 proprietarî, o almeno dell'epoca in cui l'edificio appartenne a possessori pagani: ciò dimostrasi dallo stile di qualche musaico rappresentante una danza di eroti.

Dopo le grandi memorie trovate in questo scorcio di secolo nella Roma sotterranea, le scoperte del p. Germano tengono naturalmente il primo luogo, e Roma cristiana deve esser grata all'illustre religioso per l'importante riacquisto ch'egli ha fatto d'uno dei suoi più celebri santuarî.

Oratorio del papa Formoso

Sotto le sostruzioni del Celio, sulle quali innalzavasi il gran tempio di Claudio, in una delle absidi del muraglione destinato a sostener la grande piattaforma del lato meridionale del colle, si trovarono tracce di pitture cristiane, certamente quelle di cui pubblicò un disegno il Paciaudi. In quelle pitture ora scomparse, era la immagine del papa Formoso, studiatamente cancellata, e ciò ricorda la condanna delle memorie di lui, fatta dal successore. Credo che quell'edificio fosse un oratorio dedicato a s. Lorenzo, del quale vi si venerava l'imagine con quella di s. Ippolito a lato del Salvatore e degli apostoli Pietro e Paolo, e fosse era la ecclesia s. Laurentii supra s. Clementem, restaurata dal papa Stefano II.

Gli avanzi di quest'oratorio e le tracce delle sue pitture furono da me riconosciute nel 1881. V'era nel mezzo il Salvatore dritto in piedi col capo nimbato fra gli apostoli Pietro e Paolo col loro nome sul capo: SCS PETRVS SCS PAVLVS.

A destra storica Salvatore genuflesso era un principe, forse mi re de' Bulgari, a sinistra Formoso col suo nome FORMOSV: il Salvatore è in atto di porgere a Paolo il volume su cui si leggeva: DNS leGEM dat.

Alla sinistra di s. Paolo v'era s. Ippolito col suo nome † SCS IPOLITVS; alla destra di s. Pietro, s. Lorenzo col codice della scrittura e la croce astata: SCS LAVRENTIVS.

Queste pitture furono scoperte dal Ciampini nel settembre del 1689. Il dipinto è a noi prezioso per la storia delle relazioni di papa Formoso col re dei Bulgari.

S. Gregorio

Era presso il clivus Scauri, che l'amanuense del codice di Torino chiama clavus Tauri: nel suddetto codice si legge che nell'annesso monastero abitavano nel secolo XIV un abate e  p514 quattro monaci: habet abbatem et quatuor monachos residentes. Si chiamò anche s. Gregorio in Andrea da un'edicola del santo apostolo prossima e congiunta alla chiesa.

Un'antica tradizione pone in questo luogo la casa paterna del magno Gregorio, ove poi edificò un monastero, in cui menò molti anni della sua vita, e dove eresse una chiesa in onore di s. Andrea apostolo. Dopo la morte di lui il monastero giacque deserto fino ai giorni di Gregorio II, che vi rimise i monaci e vi eresse un'altra chiesa in onore del grande suo predecessore. Questa mutò totalmente aspetto nel 1633 quando il card. Scipione Borghese ne riedificò la facciata e l'atrio: in cui pure nuovi lavori intrapresero i monaci nel 1725. Fu data ai monaci di Camaldoli ad istanza dell'abate commendatario di quell'abbazia Girolamo Conti, da Gregorio XIII, con breve del 20 settembre 1573. La chiesa avea nel secolo XVI il suo cimitero con cappella fattavi erigere dal card. Antonio Maria Salvati. Gregorio, questo atleta del romano pontificato destinato a sorreggere la Chiesa quando l'impero si sfasciava, fondò adunque quel convento nella casa degli Anici, da cui esso disendeva. Nell'atrio di quel monastero vi fece dipingere una serie d'imagini che ci descrive Giovanni Diacono. Vi era s. Pietro seduto su di un trono e innanzi a lui il padre di Gregorio che stringevagli la destra: un altro quadro presentava il ritratto della madre di Gregorio, cioè Silvia che tenea nelle mani un libro aperto ove si leggevano le parole: Vivet anima mea et laudabit te et iudicia tua adiuvabunt te. Giovanni Diacono mirava con venerazione l'imagine di quella matrona e confessava che neppure l'età senile avea cancellato i tratti di una bellezza antica. In una piccola abside era anche dipinto Gregorio, il cui capo era circondato di cartella quadra, ad indicare che era ancor vivente quando quei dipinti erano stati compiuti.

Molti ed insigni monumenti della vita di s. Gregorio e delle innumerevoli leggende che su quelli furono raccolte, esistevano nell'antica chiesa, ma nessuno ve n'era relativo alla famosa leggenda di Traiano.

Nella cappella Salviati rimane un ciborio di squisito lavoro dell'anno 1469 in cui è istoriata la processione delle litanie maggiori istituita da s. Gregorio e la favolosa apparizione dell'angelo sul mausoleo di Adriano. Nella cappella di s. Gregorio v'è un rilievo dello stesso tempo, in cui si rappresenta Gregorio che prega per le anime del purgatorio.

 p515  Nel portico odierno Niccolò delle Pomarancie rappresentò alcune storie del santo, e si veggono alcuni dipinti che appartenevano alla vecchia chiesa.

Nell'interno la chiesa, riedificata nel 1725, ha tre navi con sedici colonne di granito. La cappella Salviati, fatta erigere dal celebre card. Antonio Maria, è architettata da Francesco da Volterra e da Carlo Maderno. Ivi era il celebre dipinto del Caracci, opera preziosa rubata dai Francesi nel secolo scorso.

S. Leone

Presso al monastero di s. Andrea al clivo di Scauro, vicino a s. Gregorio al monte Celio, v'era una chiesa antichissima dedicata a s. Leone il d, la quale, per privilegio di s. Gregorio VII, fu concessa ai monaci di s. Paolo sulla via ostiense. Fu già delle principali di Roma, poichè nel catalogo di Cencio Camerario è annoverata fra quelle cui nel censo toccavano, non sei, ma diciotto denari di presbiterio. Nel catalogo di Torino è ricordata fra quelle della seconda partita, precisamente vicino a s. Gregorio, nella maniera seguente: Ecclesia sancti Leonis habet quinque clericos sed nullus servit.

Nei regesti di Urbano V si legge: mandat epo tiburtino quatenus gratiam canonicatus sub expectatione praebendae in basilica ad Sancta Sanctorum de urbe faciat Petro nato Theoli Petri canonico ecclesiae s. Leonis de urbe qui canonicatum et praebendam dictae ecclesiae s. Leonis de urbe tenebatur (sic).

S. Andrea, S. Silvia e S. Barbara

Il card. Cesare Baronio, l'insigne annalista che era stato altre volte commendatario della chiesa e monastero di s. Gregorio, fondava presso la medesima, dell'orto attiguo, tre cappelle dedicate a questi personaggi.

La prima sorgeva nel luogo medesimo ed era destinata a ricordare quella che qui avea dedicato lo stesso a s. Gregorio all'apostolo Andrea: le sue pareti sono adorne di pitture del Domenichino e di Guido Reni, ma quegli affinchè sono ormai del tutto sbiaditi. Si vuole che ivi fosse sepolta s. Silvia e le zie del santo Tarzilla ed Emiliana: pare che la vecchia chiesa venisse incendiata da Roberto Guiscardo e fosse poi riedificata da Pasquale II.

 p516  In quella di S. Silvia si osserva una statua della santa, opera di Niccolò Cordieri; nella tribuna v'ha un effigie del Padre eterno in mezzo ad un coro d'angioli, opera bellissima di Guido. In quella poi di s. Barbara è la statua di s. Gregorio sedente, fattavi porre dal Baronio: in mezzo alla cappella v'è una tavola marmorea, che si dice sia quella nella quale il santo apprestava il convito a dodici poveri in ciascun giorno, servendoli personalmente, ove accadde il noto miracolo dell'angelo e per cui il santo aggiunse ai dodici un tredicesimo povero. Da ciò ebbe origine il costume dei tredici pellegrini, che fino al 1870 il papa serviva di propria mano nel giovedì santo. Sublime spettacolo, soppresso per le dolorose vicende de' tempi da 21 anni! Recentemente in quell'area, che appartiene al capitolo liberiano, santo stati fatti degli scavi, e si scoprono preziosi avanzi delle memorie che abbiamo descritte.

S. Lucia in Septisolio

Quest'antichissima diaconia, distrutta da Sisto V, era presso l'angolo meridionale del Palatino, ove Settimio Severo fabbricò il suo rinomatissimo Settizonio, da cui tolse la chiesa la più o meno corrotta denominazione.

Quel monumento, durato in uno stato di sufficiente conservazione fino ai tempi di Sisto V, fu con poca saggezza demolito. La forma e la decorazione architettonica del settizonio di Severo ci viene in gran parte presentata dai disegni anteriori alla sua demolizione; dai quali apparisce che la porzione superstite si componeva di tre piani, ornato ciascuno da un ordine di colonne.

Si vuole che questo edifizio potesse essere destinato a simboleggiare le sette zone o atmosfere del cielo, e ciò si fece a imitazione forse di quella specie di piramidi a sette gradini che col medesimo intendimento sappiamo costruite in Alessandria. Nel medio evo fu chiamato variamente: septizonium, septem solium, septum solis, sedes solis, ed anche septem viaeseptem vias.

Il Libro pontificale fa menzione della vetustissima diaconia, che era quasi contiguo al suddetto edificio romano, nella biografia di Leone III ed in Gregorio IV.

La chiesa era assai vasta e ricchissimamente decorata, e si vuole che ai tempi di Pietro Mallio si chiamasse s. Lucia in circo iuxta septum solis.

 p517 

S. Callisto

In una contrada del Celio, che non saprei determinare; vi era una chiesolina dedicata al grande papa successore di Zeffirino. Se ne fa menzione fino all'anno 1587, come ricorda il nostro Martinelli. Questa chiesolina dovea stare non lungi dalla piscina publica, e ricordava forse il luogo in cui Callisto subì oltraggio dagli Ebrei, come narra il libro dei Filosofumeni.

S. Cesario in Palatio

Il ch. prof. ab. Duchesne ha dimostrato che la chiesa s. Caesarii in Palatio è stata confusa da molti con quella del medesimo martire sull'Appia, o con un oratorio nel palazzo lateranense. Questa chiesa avea annesso anche un monastero di monaci greci, come quella dell'Appia.

Esisteva ai tempi di Foca (a. 603) ed era, quasi diremmo, la cappella cristiana imperiale del Palatino, nella quale si ponevano le imagini dei principi inviate da Costantinopoli.

L'illustre professore asserisce che questa chiesa era detta s. Caesario Graecorum, nome che tutti hanno attribuito a s. Cesario dell'Appia: trovo che nel secolo XIV ancora esisteva, come risulta dal codice di Torino, il quale la distingue dall'altra della via Appia, che era detta in Turrim: Ecclesia s. Caesarii de Palatio ordinis saccitarum (sic) habet unum sacerdotem: quivi fu ospitato s. Saba giuniore monaco basiliano, quando venne a Roma (a. 989‑991) mandato dal patrizio di Amalfi ad Ottone III. Ai suoi funerali in questa chiesa assistè l'imperatrice Teofania moglie di Ottone III e figlio dell'imperatrice di Costantinopoli. I Saccitae, di cui parla l'Anonimo, doveano esser i monaci greci, così chiamati forse dalle vesti ampie o sacchi grossolani che indossavano.

Fu dedicata a s. Cesario diacono e martire d'Africa, ucciso a Terracina: il monastero fu restaurato da Leone IV. Vi fiorì il rito greco del secolo X al XV con ogni libertà, cosicchè Anselmo di Avelbury,º legato apostolico a Costantinopoli, attesta che i greci apud Caesarium, non solo consecravano in fermentato,  p518 ma sine scandalo R. Pontificis seu etiam latinorum inter quos habitant et quibus communicantibus ibi communicant: il che dimostra quanto falsa sia l'accusa d'intolleranza apposta alla Chiesa romana in ordine ai riti greci e orientali, mentre da questo documento è dimostrato che i fedeli di Roma si comunicavano dai greci in pane, non azimo, ma fermentato.

S. Sisto in Piscina o S. Maria in Tempore detta Monasterium Corsarum
(S. Sisto vecchio)

Quest'antichissima chiesa fu così detta, perchè era situata nel cuore della regione chiamata la Piscina pubblica, lungo la via Appia. Ignota è la storia e l'origine di quest'antichissimo titolo, che sembra edificato da una pia donna di nome Tigride da cui prese il nome.

Fino dall'anno 499 compariscono nei concilî a Simmaco tenuti in Roma, fra i sottoscrittori, i preti di questo titolo, l'uno di nome Romano, l'altra Redento.

Nel libro IV del Registro di s. Gregorio v'è notato un Basso, prete del titolo medesimo, e lo stesso santo papa fa menzione di questa chiesa nel quarto de' suoi Dialoghi, ove discorre d'un avvocato il quale era morto in Roma da due anni prima, ed innanzi di morire chiese al servo le vesti per portarsi a questa chiesa medesima.

Da quel tempo, fino ad Innocenzo III, non più se ne trova nei documenti storici notizia; quel papa infatti la riedificò perchè ruinosa.

Onorio III, dopo aver confermato l'ordine di s. Domenico, donò a questo e ai suoi frati la chiesa suddetta con l'annesso monastero; ed infatti questo era ancora fiorente nel secolo XIV, benchè allora vi si fossero trasferite le monache dello stesso ordine: e dal catalogo di Torino risulta che in quel monastero dimoravano oltre a settanta monache e sedici religiose: Monasterium s. Sixti habet moniales LXX et fratres praedicatores XVI. Queste vi si condussero dopo che s. Domenico si trasferì con i suoi frati alla vicina chiesa di s. Sabina; e vi rimasero fino ai tempi di s. Pio V, il quale, fattele di là rimuovere, le pose nel monastero dei ss. Domenico e Sisto al Quirinale. Per tal modo la chiesa tornò ai Domenicani, i quali ancora la posseggono.

Ai tempi di Sisto IV, il card. titolare Pietro Ferrici spagnuolo la restaurò circa il 1488, ma alla forma odierna fu ridotta dal card. Filippo Boncompagni.

 p519  In questa chiesa riposano i corpi dei ss. Zeffirino Anterote, Lucio e Felice papi, e di molti vescovi e martiri. Presso l'antico e primitivo convento dell'ordine domenicano, del quale resta ancora un'ala intera costruita in opera saracinesca e ridotta oggi ad uso profano, v'ha una nobile cappellina dedicata a s. Domenico, ove alcune nobilissime pitture ricordano due insigni prodigî operati dal santo allorchè dimorava in questo luogo.

Le monache vi si condussero l'anno 1219 ai 24 di febbraio, avendo abbandonato un altro monastero annesso alla chiesa di s. Maria in Torre in Trastevere, e con loro menarono una divota e antica imagine della ss. Vergine, che oggi si venera nella loro chiesa di s. Domenico al Quirinale.

Il Martinelli riporta il seguente frammento d'iscrizione sepolcrale d'una priora di quel monastero, che egli vide IN INGRESSV CONVENTVS: HIS REQVIESCIT CORPVS VEN. DOM. SORORIS CATHERINAE IACOBINAE PRIORISSAE HVIVS MONASTERII SANCTI. . . . AN. DOM. 1350 DIE. . . . MENSIS FEBRVARII CVIVS ANIMA REQVIESCAT IN PACE.

Vicino alla chiesa, prima che s. Domenico di Gusman vi stabilisse il suo, vi era l'antichissimo monasterium Corsarum, di cui più volte fa menzione il Libro pontificale, specialmente nella vita di Leone IV. Al nuovo monastero il papa Onorio III concesse anche una porzione dei redditi della Chiesa d'Inghilterra.

L'annesso monastero fu detto anche Monasterium Tempuli. Nel codice di Torino si legge: Ecclesia s. Mariae in Tempore est destructa, non habet servitorem. Contiguo adunque alla chiesa ed al monastero di s. Sisto sulla via Appia era l'antichissimo monastero detto Tempuli, fino dal secolo XIV distrutto ed abbandonato. Quindi ben si appone il Torrigio, il quale precisamente nel sito medesimo afferma essere stata già quella chiesa ed il suo monastero.

Infatti il Libro pontificale, nella vita di Leone III, pone il monastero presso l'oratorio di s. Cesario, dicendo: Simulque et in oratorio s. Agathae quod ponitur in monasterio Tempuli fecit ecc. et in oratorio s. Caesarii quod ponitur in monasterio de Corsas ecc. Lo stesso Torrigio cita un documento del secolo XV in cui si dice: "Tomaso Todesco tiene una vigna nostra posta in s. Sisto vegio nella quale è lo campanile e rovine di s. Sisto vegio, alias detto di s. Maria in Tempulo ecc."

 p520  Onorio III, di cui si è detto di sopra, dopo aver deplorato l'abbandono della chiesa e del monastero di s. Maria in Tempulo, ne tolse le monache, che parte allogò nel vicino monastero di s. Sisto e parte in quello di s. Bibiana.

Il Libro pontificale, in Leone IV, dice che il papa obtulit in ecclesia b. Dei Genitricis semperque Virginis Mariae Dominae Nostrae, quae ponitur intra praefatum monasterium, vestem de fundato unam. Il Martinelli attribuisce tale denominazione alla famiglia dei Corsi, ma è più probabile che provenga dalla nazionalità delle sacre vergini rinchiuse nel monastero.

S. Giovanni a Porta Latina

Questa insigne basilica situata presso la porta Latina, e al di qua della medesima, fu eretta da Gelasio I (492‑496) e riedificata da Adriano I nel 772. Leone II la riunì a S. Giovanni in Laterano; unione che, confermata nel lasso dei secoli da altri pontefici, perdura anche oggi. Celestino III nel 1190 consacrò nuovamente la chiesa, come rilevasi da un'antica epigrafe. Ebbe soggette molte chiese, fra le quali s. Stefano a Capo d'Africa, s. Lorenzo al portico di s. Pietro, s. Anastasio e s. Lucia in Colonna.

Soppressa l'antica collegiata, i pingui redditi della nostra basilica furono incorporati alla mensa capitolare della basilica lateranense.

Il luogo dove sorge vuolsi sia quello in cui s. Giovanni subì la prova dell'olio bollente, dopo la quale fu relegato a Patmos. La chiesa fu anticamente servita da una collegiata sotto un arciprete particolare, ma nel secolo XV sembra che più nol fosse. Leone X la fece titolo di cardinale; da Lucio II fino a Bonifacio VIII ebbe annesso un convento di monache benedettine. Poi il capitolo lateranense l'affidò ai padri Trinitarî Scalzi della Mercede; oggi, dopo molti anni d'abbandono, è stata assegnata ai padri Francescani francesi delle missioni d'Africa.

La chiesa è divisa in tre navi sostenute da dieci colonne di marmi diversi. Presso la medesima, nell'orto adiacente, v'ha ancora l'antico puteale dell'atrio, oggi distrutto, monumento del secolo X, sul quale, in lettere dello stesso tempo scritte in giro,  p521 si leggono le parole d'Isaia: OMNES SITIENTES VENITE AD AQVAS, precedute dalle altre EGO STEPHANVS † IN NOMINE PAT. ET FILII ESP. . . . .I.

L'Anonimo di Torino annovera la chiesa fra quelle della seconda partita e scrive in quel tempo aveva fratres paupertatis XV. Presso la basilica, dall'altra parte della Latina, ai piedi d'una piccola altura sovrastante alla porta e nei secoli di mezzo detta Monte Calvarello e poi Monte d'oro, v'è una cappella bramantesca detta s. Giovanni in oleo, che si crede esser propriamente il luogo ove il santo Evangelista fu posto nella caldaia. Questa cappella fu riedificata sotto Giulio II nel 1509, a spese del prelato francese Adam, che sull'architrave della porta pose lo stemma di sua famiglia col motto: AV PLAISIR DE DIEV.

S. Salvatore de Arcu de Trasi

Da questa denominazione, che troviamo attribuita alla nostra chiesa nel catalogo di Torino, impariamo che nei secoli XIIIXIV l'arco di Costantino si chiamava l'arco de' Trasi, il quale vocabolo può riferirsi o al transito sotto a' suoi fornici rimasto libero in quell'arco, o piuttosto alle statue de' Traci che ne adornano l'attico. Presso quell'arco adunque, e forse al medesimo addossata, era una chiesolina dedicata al s. Salvatore, della quale è inutile dire che da un pezzo è scomparsa ogni traccia. È annoverata nella seconda partita, ed era servita da un solo sacerdote. Nel codice del Signorili è chiamata ad arcum Trasi.

S. Salvatore de Insula

Era vicina, ma distinta affatto da quella chiesuola pur dedicata al Salvatore e detta de Trasi.

Sembra che fosse addossata all'anfiteatro, e tracce infatti di costruzione del medio evo restano ancora presso uno degli archi del medesimo, dal canto della via che conduce alla basilica lateranense. Il Camerario la nota nel suo catalogo coi due nomi anzidetti, ma nel codice di Torino viene semplicemente detta de insula: Ecclesia sancti Salvatoris de insula habet unum sacerdotem. È inutile accennare che, tranne i due suddetti codici, in nessun altro documento è fatta menzione della nostra chiesa.

 p522  S. Salvatore de Rota Colisei (sic)

Anche questa chiesolina dedicata al santo Salvatore era presso all'anfiteatro, e il nome de rota mi fa sospettare che sorgesse nella piazza dell'anfiteatro sul principio della via Sacra e forse presso la mèta sudante, appellata probabilmente, dalla forma circolare, rota. Quindi è che tre chiese dedicate al Salvatore erano in quella contrada, l'una vicino all'altra, cioè quella detta de coliseo, la nostra de rota, ed una terza all'arco di Costantino, cioè de trasi, vicinissima a quella dei ss. Abdon e Sennen. Il nome de rota colisei lo trovo nel Camerario, ma nel codice di Torino la chiesa è semplicemente detta de rota, la quale, come l'altra, era servita da un sacerdote: Ecclesia s. Salvatoris de rota habet unum sacerdotem. Se la mia ipotesi sul valore della denominazione è giusta, avremmo da questa chiesa scoperto come si chiamasse nel medio evo la celeberrima fontana presso l'arco di Costantino. Queste tre chiesoline compaiono, affatto distinte le une dalle altre, nel codice di Torino.

S. Maria de Metrio

L'Anonimo di Torino, fra le chiese della seconda partita, così ricorda la nostra: Ecclesia sanctae Mariae de Metrio habet unum sacerdotem. In una bolla d'Urbano V, con leggera variante, è detta s. Maria de Metrii

Nessuno ha saputo indicare il sito preciso di questa chiesa, che da alcuni topografi è stata situata lontanissimo dal luogo ove veramente stava. Ma dal suddetto codice di Torino risulta abbastanza chiaramente che essa sorgeva presso l'arco di Costantino, d'onde rimane pure chiarita l'origine dell'oscura denominazione de Metrio, la quale, probabilmente, è corruttela della parola de meta, la famosa fontana meta sudans, vicinissimo alla quale doveva sorgere questa divota chiesuola, a cui il Camerario assegna i consueti denari di presbiterio.

 p523  S. Maria della Pietà al Colosseo

Il Bruzio nel suo Theatrum osserva che v'ha un'edicola detta di s. Maria sotto uno dei fornici dell'anfiteatro Flavio (Colosseo). Era destinata in origine a guardaroba della compagnia che soleva rappresentare nell'arena dell'anfiteatro il gran dramma della Passione di G. Cristo, uso che si mantenne fino ai tempi di Paolo IV. Scrive a questo proposito il citato autore che sotto Clemente "un tale volendo restaurare il Colosseo e havendo riportate le sedie lignee per farvi di nuovo gli spettacoli delle fiere e fattivi i lavori necessari, non appena lo seppe il papa che lo vietò. Allora il sodalizio del Gonfalone acquistò quella edicola e la restaurò affidandone l'incarico ad un eremita."

Ss. Abdon e Sennen

Tra le chiese del rione Monti nel catalogo fatto per ordine di s. Pio V, che io ho trovato negli archivî segreti del Vaticano, v'è notata la chiesa dei ss. Abdon e Sennen al Colosseo.

Poichè l'estensore del catalogo suddetto esattamente nota lo stato materiale di ciascuna chiesa, e di questa nulla egli osserva, dobbiamo inferirne che durante il pontificato di Pio V, questa chiesa, non solo era intatta, ma riscoteva il suo culto. È quindi a credere che alla fine del secolo XVI o sui primi del XVII fosse abbattuta.

Nel secolo XIV, nel catalogo di Torino, è notata fra quelle della seconda partita: Ecclesia sanctorum Abdon et Sennen habet I sacerdotem. Il luogo dove fu edificata ha stretta relazione col racconto degli atti dei due celeberrimi subreguli persiani che subirono il martirio nella persecuzione di Decio. Nei loro atti si legge che i loro cadaveri furono gettati ante simulacrum Solis; così nel secolo III chiamavasi difatti il famoso colosso di Nerone. Come abbiamo da Svetonio, è stato eretto dall'imperatore omonimo sul vestibolo della sua domus aurea, che Adriano trasportò presso l'anfiteatro, a destra del suo tempio di Venere e Roma, fra questo e il Colosseo, dove resta ancora il nucleo del grandioso basamento, costrutto d'opera laterizia. Recentemente, nelle sostruzioni del tempio suddetto,  p524 presso il luogo dove sorge- quella chiesuola, si trovarono accumulate fra la terra moltissime ossa umane, le quali forse furono deposte in quel luogo, trasformato già in uso di cimitero per quell'oratorio.

Ss. TRINITÀ PRESSO IL Palatino

Di quest'antichissima chiesuola che era dedicata alla Trinità ed indicata dal codice di Torino non lungi dal clivo di Scauro fra s. Gregorio e la basilica dei ss. Giovanni e Paolo, è disparsa da molti secoli ogni traccia; pur dal detto codice risulta che nel secolo XIV era abbandonata e forse rovinosa. Infatti in quel registro leggo: ecclesia ss. Trinitatis non habet servitorem. Nel Bullario Cassinese viene indicata una chiesa della ss. Trinità in palatio, laonde sospetto che sorgesse alle falde del colle suddetto, dal lato di s. Gregorio.

S. Maria in Pallara (S. Sebastiano alla Polveriera)

È chiesa assai antica, ma modernamente restaurata: sta su quell'angolo del Palatino che è volto verso l'anfiteatro e propriamente di fianco al tempio di Venere e Roma, da cui è diviso per la sacra via. Non è inverosimile che le origini di quest'oratorio cristiano risalgano all'èra costantiniana, benchè le notizie storiche pervenuteci siano della fine del secolo decimo e degli esordî dell'undicesimo. Nei secoli di mezzo presso questa chiesa venne edificato un monastero che fu posseduto dall'abbazia di Monte Cassino, ed in quello fu eletto pontefice nel 1118 Gelasio II; nel 1352 fu la residenza del grande abate di Monte Cassino detto per antonomasia l'abate degli abati. La chiesa, nel medio evo, fu variamente appellata di s. Maria o deis ss. Sebastiano e Zotico, perchè a questi due martiri dedicata, e specialmente al primo, essendo eretta nel sito dove egli sofferse il martirio.

Con varie denominazioni di origine classica fu denominata in Pallado, Palladio, Pallara, nomi che non sembrano provenienti  p525 da Palatium, ma probabilmente si riferiscono al palladium palatinum, ed al tempio di Elagabalo. Delle antiche decorazioni del medio evo sussistono ancora quelle dell'abside ed alcuni avanzi nell'arco maggiore.

Il Baronio c'insegna che ai suoi giorni in. . . . parietibus. . . . (Zotici) martyrii historia depicta cernitur. Michele Lonigo, nel codice vallicelliano che più volte ho ricordato, afferma che prima di Urbano VIII la chiesa "era mezzo ruinata dall'antichità," ed era usata come rustico casolare della vigna Barberini. Quel papa la restaurò, ma deletis aliis omnibus sanctorum picturis che ne adornavano le pareti, volle che si conservassero solo quelle della tribuna. Nella conca dell'abside è rappresentato il Salvatore in mezzo a quattro santi, aventi ciascuno il nome accanto: i due più lontani sono Lorenzo e Stefano, i più vicini vestono secondo l'uso degli ufficiali delle milizie palatine del secolo V; i loro nomi sono quelli di Sebastiano e Zotico. Sotto la conca della tribuna corre una larga epigrafe, in cui si ricorda che l'autore di quel dipinto fu un Petrus illustris medicus, il quale consacrò quell'opera alla Vergine ed ai ss. Zotico e Sebastiano, per ottenere coelestia regna. Il medesimo personaggio era dipinto nel lato sinistro dell'arco maggiore in atto di offerire la chiesa a s. Sebastiano, dall'altro lato v'era la sua consorte, di nome Giovanna, che offriva anch'essa doni a Zotico, i martiri eponimi della piccola basilica. Le figure, ora cadute coll'intonaco, furono viste ed i nome letti dal Lonigo. Il Zotico qui venerato ed accoppiato a Sebastiano sembra fosse martire dell'epoca di Diocleziano e deposto nel cimitero che da lui prese il nome al decimo miglio della via Labicana. Degli affreschi, che nel restauro della chiesa furono distrutti, esiste la copia (delineata nel 1630 da un tale Antonio Eclissi) nella biblioteca barberiniana, donde passarono poi alla Vaticana: con saggio pensiero il signor duca don Carlo Barberini ne ha fatto trarre delle copie e porre nelle pareti della chiesa.

Nella parte inferiore dell'abside sono effigiate alcune figure, sotto alle quali si legge l'epigrafe:

EGO BENEDICTVS PBR ET MonaCHVS PINGERE Feci

 p526 

Quest'affresco è d'epoca inferiore all'altro, e risale circa al secolo XI, epoca in cui i Cassinesi possedettero la chiesa. Nel codice vaticano latino 378 v'era un martirologio che fu proprio della chiesa e del monastero in Pallaria, e in esso, di mano diversa, fra le altre postille, fu inserita la seguente: Obiit Petrus laudabilis medicus qui de sua ope construxit monasterium istud; ed è ragionevole il sospetto che sia quegli di cui si legge il nome nell'epigrafe della tribuna. Gli atti di s. Zotico erano dipinti in varî quadretti lungo le pareti della chiesa insieme a quelli di s. Sebastiano, ma dalle pitture e copie dell'Eclissi poco o nulla se ne può ricavare per discutere seriamente il valore storico di quella narrazione, e ritrovare il bandolo dei due intricatissimi documenti degli atti di Sebastiano e di Zotico. In ogni modo questa chiesa ricorda il sito dove l'invitto Sebastiano sofferse come martirio. Sotto il pontificato di Urbano V ne era rettore un tal Angelo di Giovanni Riccardelli. Nel 1624 fu di nuovo riedificata dal prefetto di Roma Taddeo Barberini e da Urbano VIII, e perciò è di giuspatronato di questa nobile famiglia, entro la cui vigna è situata. Sulla porta del cortile, che sta innanzi alla chiesa, sotto l'imagine di s. Sebastiano si legge:

MDCXXXVI

SANCTO MARTYRI SEBASTIANO

ECCLESIAE DEFENSORI

IN HIPPODROMO PALATII

FUSTIBUS AD NECEM USQUE CAES

S.

S. Sebastiano in Pallara (v. S. Maria in Pallara)

S. Bonaventura alla Polveriera

Presso le rovine della casa d'Augusto sul Palatino v'è una chiesolina, con annesso convento dei pp. Francescani della riforma di s. Pietro d'Alcantara.

L'edificio devesi alla pietà del card. Francesco Barberini, che lo eresse nel 1625; ai tempi nostri fu restaurato per cura del card. Tosti. Sull'altare maggiore avvi un quadro della  p527 Concezione, opera di Filippo Micheli di Camerino: sotto l'altare riposa il corpo di s. Leonardo da Porto Maurizio. La strada che mena a questa chiesa, nell'ultimo tratto, è fiancheggiata dalle edicole delle sacre stazioni della via dolorosa, le cui scene sono dipinte da Antonio Bicchierai.

S. Maria de Guinizo

Il nome di questa chiesa si legge unicamente nei nostri antichi cataloghi, dai quali appare che stava nelle adiacenze del Foro Romano. Il Lonigo si contenta di dire che eran'antica parrocchietta. Ricorda il nome di un nobile Sassone.

S. Niccolò

Trovo ricordato fino dal tempo di Leone III un oratorio di s. Niccolò, il quale (benchè non se ne accenni il sito) suppongo fosse nella regione oggi detta di Campitelli. Lucio Mauro, nella sua Roma antica, ricorda una chiesolina dedicata a s. Niccolò, che ai suoi giorni si vedea sul Palatino.

S. Silvestro in Lacu (v. S. Maria Liberatrice)

S. Maria Liberatrice

L'antica chiesa sulla quale fu edificata l'odierna, detta s. Maria Liberatrice, è ancora esistente, ad un livello assai più profondo di questa, cioè a quello del Foro Romano, sul quale fu eretta quando questo non era ancora stato coperto e sepolto dalle rovine. Una leggenda narra che ivi fosse ucciso o reso innocuo al papa Silvestro un dracone che vi s'annidava, come si legge pure di s. Lucia in Orphea. Accenna il chiarissimo De Rossi che questa leggenda ha un senso storico preciso, allude cioè alla cessazione del culto di Vesta, e del dracone effigiato con lei, cui le Vestali offrivano quinquennas epulas, ricordate i un poemetto del secolo IV. Anticamente la chiesa fu detta, dal  p528 luogo profondo in cui giaceva, come risulta dai vestigî veduti nel secolo XVI, de inferno, ovvero in inferno, denominazione che ha pure qualche relazione coll'altra leggenda del lago di Curzio, apertosi presso al sito della chiesa medesima; ed è per questo ancora che fu appellata ancora s. Silvestro in lacu.

Alcuni anni sono in un'aula antica del Palatino e delle fabbriche antiche quivi ora dissepolte, furono rinvenute pitture cristiane del secolo XI, che la dimostravano adattata nel medio evo? ad uso sacro. Nella parete di fondo fu aperto un cunicolo di comunicazione tra quest'aula e l'edificio sotterraneo posto immediatamente dietro l'odierna chiesa di s. Maria Liberatrice. Quivi appunto nel principio del passato secolo fu vista l'antica chiesa al livello primitivo del Foro con pitture del tempo di Paolo I (757‑767). L'aula ora dissepolta fu ridotta a cappella laterale ed annessa alla chiesa di s. Maria de inferno. Nel predetto cunicolo si vedono lacere imagini dipinte circa il secolo XI; rappresentano da un lato alcuni santi, fra i quali primeggiano gli orientali: SCS · BLASIVS · SCS · BASILIVS; poscia. . . LAVREntius. . . CRISTOFANVS. Nell'altra papa santi probabilmente dell'occidentale, fra i quali si discerne il nome di SCS BENEDICTVS.

Nota il ch. De Rossi che coteste imagini in siffatto luogo sono il ricordo del culto dei due grandi patriarchi dei monaci dell'Orientale e dell'Occidentale, Basilio e Benedetto, e dei monasteri d'ambi i riti sul Palatino. Forse anche perciò venne la chiesa chiamata e dedicata a s. Antonio, come si legge nel libretto delle Mirabilia: Palatium Catilinae, ubi fuit ecclesia s. Antonii iuxta quam est locus qui dicitur infernus.

Che un monastero di benedettini, e poscia di religiose benedettine, esistesse presso quella chiesa, risulta da esplicita testimonianza del Bruzio, il quale scrive che presso la chiesa, nelle case annesse, dimorò nel monastero delle benedettine Santuccia Terrebotti di Gubbio, della quale si discorse lungamente nell'articolo di s. Maria in Iulia.

Tornando ora alla chiesa, nelle carte del Galletti alla biblioteca vaticana trovai la seguente notizia: "Scavando i muratori dietro la chiesa di s. Maria Liberatrice in Campo Vaccino discoprirono una chiesa sotterranea, e da frammenti di pitture rimaste si venne in cognizione essere ivi una cappella antica fabbricata da Paolo I. Le pitture erano un Cristo  p529 con quattro chiodi uno per piede, come fu dipinto nella primitiva chiesa, ed altre figure di santi e sante, sotto le quali erano le lettere gotiche e vi furono trovate alcune monete antiche di Roma e una testa del Salvatore. Volea Sua Santità risarcirla e rifargli la vôlta, ma per essere assai sotterranea come di danno alle vicine fabbriche se ne astenne."

Un cenno più diffuso ne abbiamo anche un Cancellieri, notizia rimasta dimenticata a dal ch. prof. Nardoni nuovamente posta in evidenza. La chiesa attuale fu poi denominata s. Maria libera nos a poenis inferni, evidentemente per reminiscenza della denominazione antica de inferno, benchè con diverso e spirituale significato adoperata. L'anonimo di Torino annovera la chiesa fra quelle della seconda partita, ma al suo tempo era già abbandonata, poichè egli dice s. Maria de inferno non habet servitorem. Abbandonato il monastero dalle benedettine, Giulio III, nel 1550, lo concedette alle oblate di Tor de' Specchi che tuttora ne hanno il governo e ne provvedono l'ufficiatura. Nel 1617 il card. Marcello Lante la restaurò nel modo che si vede. Nel pavimento, ai tempi del Bruzio, leggevasi la seguente memoria: D. O. M. QVI GIACE LORENZO DE MONTE DE BONA DI SAVOIA. VISSE ANNI 72, MESI 9, GIORNI 12, MORSE IL 2 NOVEMBRE 1587. EMILIA DE MONTE NEPOTE BENEMERITA L'HA FATTO FARE L'ISTESSO MESE ET ANNO.

Sarebbe certamente desiderabile, nell'interesse dell'arte e della religione, che la chiesa antica così ricca di storiche e pregevoli pitture, senza anno dell'attuale, venisse disotterrata.

S. Lorenzo in Nicolanaso

L'origine di questa stranissima denominazione, sotto un nome contraffatto, nasconde forse un'indicazione locale; era situata, secondo quello che scrive il Torrigio, a' piedi della rupe capitolina e precisamente nell'area medesima dove oggi è la corsia dell'ospedale di s. Maria della Consolazione, destinata al ricovero delle inferme. Era antichissima, come risulta da un'epigrafe ricordata dal Martinelli dell'anno 1251, e veniva pure denominata de capitolio, ovvero in Minerva.

 p530  Il Lonigo scrive, nel suo catalogo, che la chiesa a' suoi giorni si vedeva profanata, precisamente nel luogo indicato dal Torrigio, cioè sotto la rupe tarpea. Il Camerario la chiama Nicolai Nasonis.

S. Maria Cannaparia

Fu più comunemente detta in Cannapara, dal nome della contrada ovest era la chiesa, della quale niun cenno fa il Martinelli. Il p. Casimiro dell'Aracoeli la pone alle pendici del monte capitolino presso l'ospedale della Consolazione, dove fino a pochi anni indietro v'erano dei fienili. Nel secolo XIII era in quel luogo il carcere, mentre il tribunale ed i giudici risiedevano presso s. Martino; la strada attuale di s. Teodoro diceasi forse della Cannapara. L'esistenza del carcere e del luogo della giustizia alle falde del monte Tarpeo, ancora nel secolo XIII, dimostra come fino all'ultimo medievale fossero rimaste vive la antiche tradizioni dell'antica città.

Probabilmente dalla vicinanza del Cannaparo, la non lontana chiesa di s. Nicolò ebbe il suo nome in carcere, che poi anche più erroneamente fu detto tulliano.

Il Signorili fa menzione di questa chiesa, ora totalmente disparsa, che troviamo pure nell'elenco del Camerario, fra quelle del presbiterio; così nel codice di Torino è ricordata nella seconda partita: Ecclesia sanctae Mariae in Cannapara habet unum sacerdotem. Non è improbabile che la denominazione Cannapara provenisse dalle piantagioni della canapa o da depositi di questa fatti in quel luogo, che ancora giace deserto e campagnoso.

S. Teodoro

Questa antichissima chiesa di forma circolare fu riedificata da Niccolò V, come si legge nel diario di Stefano dell'Infessura:

"Fece di nuovo la chiesa di s. Theodoro distrutti volte, la prima acconciò la vecchia, la quale acconcia che fu, cascò dai fondamenti, et lui la rifece un poco più in là e poco minore che non era."

Di questa chiesa si trova menzione nella biografia di Leone III: fu diaconia fino a Sisto V; nè sembra sia un antico  p531 edifizio romano. Il popolino di Roma comunemente appellava la chiesa col nome di santo Toto, e a questa si portavano dalle madri i bambini infermi onde ottenerne guarigione dal santo.

Incerto è il tempo della sua edificazione, ma certamente è di origine assai antica, poichè se ne fa menzione fino dai tempi di s. Gregorio il grande come di diaconia.

Fu dedicata al santo milite morto sotto Massimiano in Amasea nel Ponto, che riscosse un tempo culto pari a quello di Sebastiano e di Giorgio.

È inutile confutare l'opinione degli antichi topografi che in questo antico edificio cristiano vollero riconoscere un tempio di Romolo,​a poichè quella sentenza è destituita affatto di serio fondamento. Non è precisato abbastanza il tempo cui possono appartenere i musaici esistenti ancora nella tribuna della chiesa. Il Gregorovius scrive, che l'ordine artistico di quelle figure rammenta il gruppo di quelle della tribuna della vicina chiesa dei ss. Cosma e Damiano. Cristo siede sul globo seminato di stelle, la destra solleva in atto di benedire, nella sinistra sostiene la croce astata; alla sua diritta è s. Paolo che porta in manu un libro, a manca s. Pietro colla chiave e a lui dappresso Teodoro vestito di clamide trapunta d'oro, colla corona fra le mani; presso s. Paolo sta una figura che tiene parimente la corona: questi è s. Cleonico, di cui si fa menzione negli atti del nostro santo. L'imagine di Teodoro è opera posteriore, ed è forse del tempo di Niccolò V, che fece restaurare quella rotonda, ma non fece demolire la tribuna antica.

Nel secolo decimosesto ivi esisteva la celebre lupa di bronzo che è oggi in Campidoglio. Nel 1674 il card. Barberini, essendo la chiesa ridotta in condizioni deplorevoli, la restaurò, finchè Clemente XI, per liberarla dalle acque e dalle terre che colmavano la depressione del suolo in cui giace, fece aprire innanzi alla chiesa una piccola area. Anticamente la chiesa fu collegiata, ed oggi è affidata alle cure d'una divota confraternita istituita sotto l'invocazione del sacro Cuore di Gesù, detta comunemente dei Sacconi.

Il Terribilini ricorda nelle sue schede che a questa chiesa era annesso un archivio assai antico, il quale, dopo il sacco di Carlo V, fu tutto disperso. Il codice di Torino la annovera fra le chiese della seconda partita e scrive: Ecclesia s. Theodori diaconia cardinalis habet quatuor canonicos. Il Signorili, nel catalogo  p532 delle reliquie esistenti nelle chiese di Roma, ricorda che la nostra, oltre quelle dei martiri Giorgio ed Agata, possedea anche unum ferrum lanceae.

S. Maria de Curia

(v. s. Maria de Curte)

S. Anastasia

Di questa martire v'ha una sola celeberrima chiesa in Roma alle radici del Palatino, antichissimo titolo cardinalizio, della quale s'ignora l'origine. I suoi preti già compariscono come sottoscrittori nel sinodo tenuto in Roma sotto il papa Gelasio l'anno 492, ove la chiesa è denominata, dalla sua posizione topografica, sub Palatio. Di nuovo sono ricordati nel concilio romano tenuto sotto Simmaco l'anno 499. Circa la tradizione che s. Girolamo fosse prete di questo titolo, mi pare sia destituita affatto di argomenti serî. Alcuni autori però dicono che in quelle vicinanze s. Girolamo avesse la sua dimora: ivi si espone alla venerazione un calice di smalto, con cui, si pretende, avrebbe celebrato il santo.

Alla chiesa si saliva per alta gradinata ed aveva cinque porte. Si dice che fosse eretta nella casa di Publio, marito di Anastasia, e di Pretestato suo padre. S. Leone Magno, nell'aurora del Natale, vi recitò nella messa un'omelia contro Eutiche. Nel Libro pontificale è più volte ricordata, massime in Leone III ed in Gregorio IV. La santa titolare fu assai venerata in Roma, in cui nome anche oggi è portato comunemente da moltissime popolane, ma anticamente questa sua chiesa era in maggior culto e venerazione.

Pietro Sabino, raccoglitore di lapidi, verso la fine del secolo XV vide nella medesima un importantissimo monumento per la storia del Palatino nei secoli bizantini. Era l'epitaffio di Platone vir illustris morto nel 686 e dettato dal figliuolo di lui, che fu poi il papa Giovanni VII. Da quel carme risulta che il prisco palazzo fu risarcito per le cure di Platone e ne fu rifatta la scala da quel personaggio, che ebbe l'ufficio di cura palatii.

 p533  Il papa vi celebrava una delle tre messe all'aurora nel giorno politurgico del Natale del Signore. Nel giorno delle Ceneri qui si riuniva la colletta per la stazione di s. Sabina. Innocenzo III l'anno 1210 la restaurò notabilmente, come si leggeva in un marmo che facea parte degli amboni, veduto dall'Ugonio: ANNO DOMINI MCCX PONTIFICATVS DOMINI INNOCENTII TERTII PAPAE ANNO EIVS DECIMOTERTIO INDICTIONE QVARTA. Sisto IV la restaurò di nuovo nel 1745. Fino al 1636 si conservò nello stato primitivo, ma in quell'anno, da turbine danneggiata, il papa Urbano VIII ne fece ricostruire la facciata, finchè nel 1722 il cardinale portoghese Nuño da Cunha ridusse l'interno alla forma attuale. Era anticamente divisa in tre navi da trenta colonne, delle quali due di verde antico sostenevano l'arco maggiore, ed il pavimento era d'opera cosmatesca. Negli atti della Visita fatta alle chiese di Roma sotto Alessandro VII, e che esistono nell'archivio segreto della S. Sede al Vaticano, si riferisce che nel suo archivio si trovò una notarella con altre scritture, dalle quali risulta che avea soggette le chiese di s. Gregorio a ponte quattro capi, s. Maria in Vincis a Monte Caprino, s. Maria in Trofella, s. Lorenzolo della Genzola, presso il fiume, s. Stefano Rotondo o delle Carrozze, s. Maria Egiziaca, ed una chiesa profanata presso un granaio del signor Portalone, tenuto dai Caffarelli che se ne servivano per uso di fenile.

In un altro documento dell'epoca trovo che avea sei canonici, che tirano 60 ducati l'anno: e che il locho (sic) della chiesa era assai superiore al suolo circostante, poichè vi si sale per venti gradi che vi sono sempre alcuni banchi da riposarsi ed uno spazioso in cima. Dagli atti della Visita sotto Urbano VIII, nel 1628, risulta che nella tribuna rimaneano tracce delle antiche pitture, benchè magna ex parte consumptae. Nel secolo XVI si credeva che vi fossero stato un tempio di Nettuno. Nel suo archivio si conservava copia di un istromento di locazione d'un pezzo di terra, concesso dai canonici l'anno 1375 ad un tal Giacomo Congonini. I Savelli vi ebbero diritto di patronato. L'anno 1615, nell'altare della s. Croce, fu eretta la confraternita della Croce e di s. Anastasia, composta di sarti e giubbonari. Gli altari erano dedicati alla Natività di Nostro Signore, alla santissima Vergine, a s. Anastasia, a s. Girolamo, e presso questo si leggevano le parole: IN ISTO LOCO PROMISSIO VERA EST ET PECCATORVM REMISSIO.

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S. Maria de' Cerchi

Quest'oratorio è addossato ai ruderi del Circo Massimo, oggi via de' Cerchi, sotto il Palatino. Ivi si trovava una miracolosa imagine di monaca santissima, la quale fu oltraggiata da alcuni ebrei che ivi giocavano, e percossa, dicono, ne sgorgasse vivo sangue; così narra il Crescimbeni. Da pochi anni, col pretesto della passeggiata archeologica, quell'oratorio fu dolorosamente dissacrato e ridotto ad officina di mascalcia. Alcuni divoti nel secolo XVII eressero questa cappellina, che fu poi giuspatronato dei Cenci. In essa si leggevano le seguenti iscrizioni: SEDENTE CLEMENTE PAPA XIV — IOSEPH MARIA CONTESINI ARCHIEPS — ATHENARVM HOC PVBLICVM SACELLVM S. MARIAE VVLGO DE CERCHI NVNCVPATVM — RITV SOLEMNI BENEDIXIT — DIE II MENSIS IANVARII A. MDCCLXXIV.

PIVS PP. VI — ALTARE PRIVILEGIATVM CONCESSIT — DIE VII DECEMBRIS MDCCLXXXI — PONTIFICATVS SVI ANNO VII.

Nel 1880 alcuni giovani si raccolsero in pia congregazione con lo scopo di onorare quella imagine, ed ottennero dal proprietario della cappella, il marchese Sampieri, il permesso di ufficiarla: quella congregazione fu chiamata Della madonna de' Cerchi e Gesù Nazareno. La divota imagine della Vergine, che vi si venerava, staccata e trasferita nella chiesina di s. Maria in Vincis all'arco de' Saponari, fu donata alla detta congregazione dal sullodato marchese. A sinistra dell'altare v'era una statua di Gesù caduto sotto il peso della Croce.

S. Michele in Statera

Sorgeva alle radici del monte capitolino presso la piazza della Consolazione. Era coperta da una piccola cupola, e si disse in Statera, o perchè nelle sue braccia l'arcangelo sosteneva la bilancia per simbolizzare il peso delle opere dei trapassati, o dall'erario di Saturno.

S. Salvatore in Aerario

Questa antica chiesuola dedicata al Salvatore, sorgeva presso le radici del Campidoglio, poco lungi dalla chiesa di s. Maria della Consolazione. La denominazione della chiesa ricorda  p535 la sua antichissima origine, poichè si riferisce evidentemente al tempio di Giunone Moneta sul cardinale, ove era l'antica zecca ed erario di Roma.

Il Lonigo scrive che questa chiesa, detta pure in statera, era incontro all'ospedale di s. Maria in Portico dove fu il tempio di Saturno, di cui restano ancora nel clivo capitolino le otto magnifiche colonne ioniche.

Se nei tempi di Roma antichissimi la zecca fu sul Campidoglio nel tempio di Giunone Moneta, negli ultimi della repubblica e nell'impero, il tesoro pubblico (aerarium) fu posto presso al tempio suddetto di Saturno. Alcune iscrizioni ricordano infatti i questores viatores ab aerario Saturni, e i negotiatores ab area Saturni, i quali aveano le loro botteghe sul prospetto di quel tempio.

Ora, la tradizione del tempio e dell'erario rimase viva sul posto fino agli ultimi secoli per la nostra chiesuola, detta perciò in aerario o in statera, che stava presso s. Maria in portico, e che fu unita a quella di s. Maria della Consolazione.

Dal Fulvio si dichiara l'esistenza di tale edicola con queste parole: extat adhuc ibi parvum alla chiesa ruinosum sacellum sub rupe prorupta titolo nunc s. Salvatoris in aerario. Quanto al nome statera, anch'esso è di reminiscenza classica, poichè ricorda la statera o bilancia colla quale nei primi tempi si pesava la moneta, e che si conservava nell'aerarium sanctius, cioè nella camera più interna del tesoro pubblico. Nota il Fabricio che presso quella chiesuola sorgeva ai suoi tempi una torre semidiruta. Pare che sulle rovine della chiesa di s. Salvatore fosse poi edificata quella detta oggi di s. Omobono de' Sarti, concessa questa compagnia nel 1573 dall'ospedale della Consolazione. Fu un tempo filiale dell'antica diaconia dei s. Sergio e Bacco, che sorgeva presso l'arco di Settimio Severo, come risulta da un'epistola di papa Innocenzo III. Ebbe anche il nome di s. Salvatore in portico. Fu riedificata dai sarti, che la dedicarono al loro s. Omobono: sull'altar maggiore v'ha un quadro di merito di Carlo Maratta e nella sagrestia un altro del Boccaccio. È stata restaurata da poco tempo a cura della medesima confraternita.

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S. Maria della Consolazione

Così narra il Bruzio l'origine di questa chiesa: "Su quella strada corrispondente all'antico vico iugario v'erano i granari dei Mattei patrizi romani. Nel portico di quelli v'era un'immagine della s. Vergine, alla quale raccomandandosi una pia madre il cui figlio innocente era stato carcerato e condannato a morte per malefizi, la Vergine gli disse, consolandola, che il figlio non sarebbe morto, ma miracolosamente salvo dalle force. Dopo ciò i fedeli offrivano spesso doni a quest'immagine e ne fu data la cura alla confraternita di s. Maria in Portico. Presso quei granari v'era pure un piccolo ospedale, vicino al quale fu poi fabbricata la chiesa alla Vergine della Consolazione. Questi fatti accaddero poco prima del 1460." Fi qui il Bruzio. La chiesa fu consecrata ai 3 novembre del 1470, come riferisce Stefano Infessura nel suo diario. Alessandro VII la unì al vicino ospedale di s. Maria delle Grazie, a cui fu poi congiunto quello di s. Maria in Portico. . Il Bruzio lesse nell'orto adiacente all'ospedale, in un'urna che serve di fontana, la seguente epigrafe pagana:

D. M. IVLIVS ITALVS ET IVLIA
PHILETE IVLIO DECIANO LIBERTO BENEM
ERENTI. — D. M. CVRTIAE LEVCIPPE MATRI.

Egli è però da osservare che la divota imagine suddetta si venerava in una piccolissima e deforme chiesolina addossata ai ricordati granai dei signori Mattei. L'ospedale della Consolazione, colla chiesa suddetta, fu edificato sotto Callisto III.

S. Maria delle Grazie

È stata da pochi lustri trasformata in corsia nell'ospedale della Consolazione. Anticamente era detta s. Maria de Cannapara, ed ivi all'epoca di Paolo v'era una chiesolina semiabbandonata, giacente in luogo basso ed umilissimo. Ai tempi del suddetto papa, Pier Giovanni Florenzio Patrizi abate perugino, che Paolo V elevò al vescovato di Nocera, migliorò quella chiesa che prese il nome delle grazie e che fu incorporata all'ospedale.

 p537  Dinanzi alla medesima, precisamente sull'angolo della basilica Giulia, vi era il cimitero dello spedale; ed è per questa ragione che scavandosi in quel luogo alcuni anni fa vi si rinvennero moltissimi avanzi di cadaveri. Nell'archivio vaticano ho trovato un transumptum della bolla di s. Pio V ubi concedit iubilaeum porrigentibus manus adiutrices pro ecclesia s. Mariae della gratia in platea Pontis (?) de urbe annexa ospitali Consolationis a. 1586, 14 aug.

S. Maria in Foro

Anche questa chiesa è ricordata dall'antico catalogo: sorgeva essa nel mezzo del Foro, e la sua origine, benchè a noi ignota, la dobbiamo pure supporre antichissima, perchè edificata al fianco del Foro e della basilica Giulia, allorchè questa non era ancora del tutto distrutta e sepolta nelle sue rovine, il che avvenne verso il secolo ottavo o nono.

Ne riconobbi le tracce nell'interno della basilica Giulia e precisamente nella navata traversa sotto la Consolazione, dove poi gli ultimi scavi hanno rimesso in luce alcune rozze costruzioni di opere laterizie e due piccole colonne di uno stile che benissimo conviene agli anzidetti secoli. A quella trasformazione religiosa fatta nei portici della basilica Giulia dobbiamo anzi la conservazione di quell'angolo dell'insigne monumento romano, sui cui pilastri restano tuttora tracce dell'intonaco e delle pitture cristiane che adornavano le pareti di quella vetusta chiesuola. Ne ho trattato diffusamente allorchè ne fissai la posizione e ne riconobbi gli avanzi.

Fra le ruine del Foro rinvenni anche una capsella marmorea adorna nel suo fondo di croce equilatera e che io credo destinata a custodire le reliquie venerate in quella chiesuola: trovai anche un frammento d'epigrafe cristiana del secolo VI, in cui si leggevano le parole: LEO DE TRIBV IVDA — RADIX DAVID; alla chiesa medesima spettano i molti frammenti di pilastri, di mensole, di capitelli e colonne cristiane adorne di croci, che facevano parte delle decorazioni e che ancora giacciono qua e là fra i ruderi della basilica Giulia.

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Ss. Sergio e Bacco

Ecco le parole colle quali il Lonigo, nel suo noto catalogo, discorre di questa chiesa: "Haveano una chiesa vicino alla Consolazione accanto il Campidoglio, molti ani sono distrutta e le reliquie dei ss. Felicissimo e Agapito con il capo di s. Vincenzo che quivi stavano portati alla Consolazione."

Era addossata all'arco di Settimio Severo e il piccolo campanile fu edificato sull'attico dell'arco medesimo.

Il libro pontificale scrive che s. Gregorio III la fabbricò trasformando a tal uopo un piccolo oratorio che ivi esisteva.

Adriano I restaurò la chiesa e le dette ancora maggiori proporzioni. Anche Innocenzo III vi fece grandi lavori e vi fabbricò in facciata un portico sostenuto da molte colonne. Il cardinale Arcien (?) al tempo di Sisto IV tornò a restaurarla. Fu atterrata d'ordine di Paolo III per rendere più magnifica la passeggiata trionfale di Carlo V nel 1536. Veramente ne valeva la pena! Dell'abside rimasero gli avanzi fino al 1812; aveva dinanzi a sè il cimitero, i sepolti furono ritrovati nelle escavazione del Foro fatte in questo secolo. Era governata da un arciprete e da parecchi chierici, come abbiamo da una epistola d'Innocenzo III.

La ufficiava un capitolo al tempo d'Innocenzo VI, poichè in un istromento del 1360, sesto di quel pontefice, si leggono queste parole: Quoddam casalenum quod dicitur Cameliana positum retro dictam ecclesiam cui ab uno latere est palatium Capitolii, ab alio latere tenet D. Francisca Iohannis Testae, ab alio est domus dictae ecclesiae, ab alio est via publica quae dicitur Fava Tosta. Dal quale documento si cava che la via, la quale correva innanzi alla chiesa, diceasi nel secolo XIV: Fava Tosta; via che coincide incirca con quella che dalla chiesa di s. Martina conduce alla Consolazione, tra l'arco di Settimio Severo e il tempio della Concordia.

Sul portico si leggeva la seguente epigrafe, postavi da Innocenzo III:

PENE RVI, QVASI NVLLA FVI, SED ME RELEVAVIT LOTHARIVS. . . . . .
PRIVS POSTQVAM RENOVAVIT. DEQVE MEO PREMIO SVMPTVS PATER VRBIS
ET ORBIS. HOC TAMEN EX PROPRIO FECIT MIHI SIC RENOVOR BIS

Pio IV finì d'atterrarla, e i redditi della chiesa furono trasformati in prebenda di un canonicato semplice di ottanta scudi, nella cappella di detti santi, eretta nella vicina chiesa di s. Adriano.

 p539  S. Pietro in Carcere

L'origine di questo divoto e celeberrimo oratorio è antichissima e risale ai primi secoli della pace della Chiesa. A questo uso fu trasformato una cella del famoso carcere mamertino e tulliano, ove, secondo tradizioni non dispregevoli e certo assai antiche, furono rinchiusi gli apostoli Pietro e Paolo.

La più antica memoria storica dell'avvenimento suddetto lo c'abbiamo negli atti dei ss. Processo e Martiniano, i quali ci dicono nella chiesa in quel carcere furono rinchiusi sotto Nerone i due principi degli apostoli; e benchè quel documento sia mutilo e corrotto, e ci si presenti nella sua compilazione non genuina, tuttavia non è da giudicarsi posteriore al secolo IV o V. Quell'oratorio fu infatti il principale santuario cristiano del Foro Romano, ed il libro pontificale, nella biografia di Gregorio III, ne fa menzione a proposito della antica chiesa ora demolita dei ss. Sergio e Bacco, della quale dicesi che era contigua ad beatum Petrum Apostolum, e nell'antichissimo itinerario di Einsiedeln, documento di certo non posteriore al'ottavo secolo, si annovera nel Foro la Fons s. Petri ubi est carcer eius.

Il luogo, insomma, deve credersi venerato pubblicamente fino dal secolo IV, e a quell'epoca è da attribuire la sua trasformazione in oratorio. Nel secolo XVI sopra di quello fu edificata una chiesa per cura della università dei falegnami, che custodisce ed ufficia l'oratorio, divenuto sotterraneo per l'innalzamento del suolo circostante. La chiesa sovrastante fu edificata l'anno 1539, nel pontificato di Paolo III, con architettura di Giacomo della Porta, e venne dedicata al patriarca s. Giuseppe; da poco tempo è stata con opportuni restauri resa più splendida e magnifica.

Da una divotissima imagine di N. S. Crocifisso, scolpita in legno, che in quell'oratorio si venera, viene questo comunemente appellato col nome del ss. Crocifisso di Campo Vaccino.

S. Giuseppe de' Falegnami

È la chiesa sovrastante all'oratorio del ss. Crocifisso sul carcere mamertino, del quale si è già dato un cenno a proposito di s. Pietro in Carcere. Fu rinnovata a spese di Maria Anna  p540 Ludovisi, monaca di Torre de' Specchi. V'ha un quadro del Maratta che rappresenta la nascita di Gesù Cristo. V'è annesso l'oratorio dei falegnami, sul cui altare si veggono quattro belle colonne di diaspro.

S. Maria d'Aracoeli

L'antica e solenne denominazione di questa celeberrima chiesa è quella di s. Maria in Capitolio. Così viene ricordata nel più antico catalogo del Camerario; poi, nel secolo XIV, perduta quella prima denominazione, la cambiò in quella d'Aracoeli, che tuttora mantiene. Sorge sulla più alta sommità del più piccolo ma più celebrato fra i sette colli di Roma, il Campidoglio, che dal vertice del Tarpeo è diviso da un piccolo valloncello. È oggimai dimostrato dall'erudite elucubrazioni di dotti topografici romani che il tempio di Giove sorgeva, non sulla sommità occupata dalla chiesa di s. Maria d'Aracoeli, ma in quella opposta, precisamente nell'area occupata dal palazzo Caffarelli, mentre la sommità occupata dalla chiesa di s. Maria corrisponde all'arx propriamente detta, cioè all'acropoli o cittadella di Roma. Fino dall'anno 882 si menziona in quel luogo il monastero di s. Maria in Capitolio. Teuzo Abb. ven. monasterii s. Mariae Dei genitricis Virg. in Capitolio. Nelle cronache benedettine dicesi che questa chiesa venne fondata da s. Gregorio il Grande nel 590.

È notissima la leggenda che dette origine al nome di Aracoeli, la quale è raccontata dai romanzetti popolari del medio evo le Mirabilia e la Graphia. Ivi si dice che un giorno l'imperatore Ottaviano, mentre consultava la Sibilla tiburtina, udì una voce che dicea: Haec est Ara Primogeniti Dei, ed allora Ottaviano fece erigere sul Campidoglio un altare; sul quale poi fu edificata una chiesolina, che fino dal secolo XII chiamavasi ancheº ubi est ara filii Dei, onde più tardi sarebbe derivata laº dizione di aracoeli. La leggenda, però, è anteriore di molto al secolo XIV e viene di Grecia, perchè si trova in Suida, è registrata da Niceforo, e la riferisce eziandio un'antica cronaca latina edita dal Mai; quindi potrebbe risalire fino al secolo VII od VIII, eppur forse della fondazione della chiesa. Evidentemente sotto il velo della leggenda e della visione di Augusto  p541 si nasconde il concetto della prima e solenne consecrazione cristiana dell'antico Campidoglio romano, sui cui ruderi, ove appariva forse alcuna memoria d'Augusto, sorse la prima volta la bella chiesa dedicata alla Vergine, l'unico monumento cristiano che tuttora sta su quello storico colle. È chiaro pure che la leggenda ha qualche relazione e nesso colle notissime parole di Virgilio nella sua quarta egloga. Egli è certo che la chiesa di s. Maria riunì in sè tutta la celebrità del Campidoglio medievale, cosicchè il monastero era comunemente detto Monasterium Capitolii; anzi un abate di questo, nel 1015, si sottoscrive: Ego Dominicus abbas Capitolii." A ricordo della suddetta leggenda, v'ha una grossolana scultura posta sull'altare della cappella di s. Elena, in cui è rappresentata la visione ed accompagnata dai seguenti versi:

LVMINIS HANC ALMAM MATRIS QVI SCANDIS AD AVLAM

CVNCATRVM PRIMA QVAE FVIT ORBE SITA

NOXAS QVOD CAESAR TVNC STRVXIT OCTAVIANVS

HANC ARA COELI SACRA PROLES CVM PATET EI

Nel catalogo delle Abbazie romane di Pietro Mallio e di Giovanni Diacono, che è della fine del secolo XII, si dice: sancta Maria in Capitolio ubi est ara Filii Dei. Il Niebuhr ed il Becker credono che l'appellazione in Aracoeli provenga dal vocabolo in Arce; il Gregorovius propone che venga anzi da aurocoelo, siccome furono chiamate altre chiese, di cui una a Pavia. A me non dispiace l'ipotesi del Becker. Tutto il Campidoglio fu donato altre volte al suo monastero e lo stesso antipapa Anacleto II confermò nel sua celebre bolla del 1130 quel possedimento. L'anno 1250 Innocenzo IV concesse ai Francescani il convento antico di s. Maria in Aracoeli, donde vennero rimossi i Benedettini che vi aveano fino allora dimorato. Nell'aula di questa veneranda chiesa i rappresentanti della città di Roma nel medio evo, componenti il maggiore ed il minore consiglio, teneano talvolta le loro solenni adunanze, consecrate così dalla religione, secondo il nobilissimo sentimento da cui i popoli erano animati in quell'epoca tanto calunniata. I Patres conscripti della repubblica medievale, i Colonna, i Pierleoni, i Capocci, i Frangipane, i Savelli, gli Orsini, fossero guelfi o ghibellini, aristocratici  p542 o demagoghi, faceano spesso risonare in quei secoli di ferro la loro fiera e disadorna facondia nelle pareti del tempio di ma. Quella chiesa, insomma, fino al secolo XV fu l'arena dei dibattimenti parlamentari di Roma, donde poi uscivano le proposte che il senatore bandiva in forma di leggi. Era divenuta, nell'età di mezzo, la consulta del popolo romano, siccome l'ebbe poi confermato il papa Eugenio IV nell'anno 1445. Ed è in quella monumentale chiesa, il Campidoglio cristiano, che i magnati dell'antica Roma volevano la loro sepoltura. Ivi trovansi le arche dei Savelli, ove questa nobilissima famiglia ave edificato nel secolo XIII una cappella, sotto le cui volte in una tomba giace Onorio IV e la sua madre Vana Aldobrandeschi; in un'altra alcuni dei più illustri senatori di quella famiglia, ciò Luca padre d'Onorio, il celebre Pandolfo con Andrea sua figlia, Mabilia Savelli ed altri. Pure in aracoeli giace frà Moriale, il priore dei Gioanniti, assassinato dal tribuno romano dell'età di mezzo; ma nessuna memoria locale ricorda quell'uomo e quella storia.

L'arte dei Cosmati, scrive il Gregorovius, s'accommiata colla tomba che fu pure eretta in Aracoeli a Matteo d'Acquasparta, generale dei Francescani, morto nel 1302. Tornando del resto all'origine della chiesa, essere, come si è detto, rimane ancora oscurissima; poichè altri, col Vaddingo, l'attribuisce a Costantino, altri a s. Gregorio il Grande nel 591, fra i quali il Fauno, il Panciroli, il Gamucci. Fino al secolo XIII fu detta s. Maria in Capitolio, poi in Aurocelio, Laurocelio, Aracelio e finalmente Aracoeli. Ignorasi pure quando la prima volta l'occupassero i monaci di s. Benedetto.

Appena i Frati Minori furono messi in Aracoeli, tosto posero mano a ristora la chiesa e fecero ornare di musaici la tribuna con opera di Pietro Cavallini romano, che poi fu demolita sotto Pio IV per edificare il coro. Egli v'avea istoriato anche la leggenda d'Ottaviano e della Sibilla. Scoppiata la famosa pestilenza in Italia, descritta dal Boccaccio nel Decamerone, Roma ne fu appena tocca, di guis che i Romani, come monumento di loro pietà, costruirono la grande scalinata che mena alla basilica, alla quale, sino allora, si accedeva per un suolo tutto scosceso. Furono adoperati i marmi creduti del tempio di Quirino, donati dal Senato, e fu commessa l'opera a Simeone Andreozzi colla spesa di 5000 fiorini. A ricordo del grandioso lavoro,  p543 presso la porta maggiore della basilica, resta la seguente iscrizione, di cui pubblico qui il testo, sciolto dai nessi:

† MAGISTER LAVRENTIVS SIMEONI ANDREOTII KAROLI FABRICATOR DE ROMA DE REGIONE COLVMPNE FVNDAVIT PROSECVTVS EST ET CONSVMAVIT VT PRINCIPALIS MAGISTER HOC OPVS SCALARVM INCEPTVM ANO DOMINI ANN. CCCXLVIII DIE XXV OCTOBRIS.

Fu cominciata anche ad ornare di musaici la fronte del tempio: opera magnificentissima e che avrebbe aggiunto al Campidoglio singolare bellezza e maestà, se fosse stata compiuta, ma che rimase imperfetta, e di cui restano poche tracce verso il cornicione e nel lato sinistro della chiesa. Egli sarebbe certamente cosa degna di Roma che il lavoro iniziato dagli antichi fosse compiuto dai moderni!

Circa il 1464 il cardinal Caraffa rifabbricò gran parte della chiesa, e nel 1564 venne aperta la nuova porta di fianco, alla quale si accede dalla piazza del Campidoglio; su quella porticina Alessandro Mattei fece porre un antico musaico rappresentante la Vergine venerata dagli angeli. Pio IV fece sgombrare la chiesa dagli innumerevoli sepolcri e togliere il coro dalla nave di mezzo. Seguìta la battaglia di Lepanto, il Senato romano, per gratitudine alla Vergine, fece ricostruire il ricco soffitto della chiesa, del che fa testimonianza la monumentale epigrafe che si legge sulla porta maggiore nella parete interna del'edificato. La facciata della chiesa, destinata, come si disse, ad essere coperta di musaici, è in mattoni rustici, e sull'alto avea un orologio di cui non rimane che il foro per la mostra. Uno speciale ufficio era istituito in Roma fino dal secolo XVI per la manutenzione di quell'orologio, e nell'archivio dei Brevi l'esimio mon. Pietro de Romanis, benemerito archivista del medesimo, ha trovato che nel 1601, il papa confermò in questo ufficio i fratelli Domenico e Fabio della Pedacchia, i quali nella sottoposta strada, che da loro piglia ancora il nome, aveano la casa che testè fu barbaramente distrutta. Il breve pontificio è intitolato: Pro Dominio et Fabio fratribus de la Pedacchia confirmatio officii moderatoris horologii super ecclesiam domus Aracoeli. La chiesa è divisa in tre navi di ventidue colonne di marmo, sopra l'imoscapo d'una delle quali, a grandiose lettere, si legge l'epigrafe: A CVBICVLO AVGVSTORVM, epigrafe che forse non fu estranea all'origine della ricordata leggenda d'Augusto.

 p544  Nella prima cappella a destra della chiesa vi sono pregevolissimi dipinti del Pinturicchio, in cui, fra varie storie relative alla vita di S. Bernardino di Siena, v'è quella della pace da questi fatta conchiudere fra le due famiglie rivali di Perugia, i Bufalini ed i Baglioni. Ivi è sepolto il celebre Pietro della Valle. In altra cappella v'ha il deposito di Michele Antonio Saluzzo, il procuratore generale di Francesco I, morto nel 1529 in Arezzo, mentre veniva in soccorso di Clemente VII, assediato in Castello. Non lungi da quella v'ha il sepolcro degli Astalli e dei Margani, che nella sottoposta contrada ebbero le loro case. Di fronte all'altare maggiore restano gli amboni adorni in musaico d'opera cosmatesca, lavoro del secolo XIII, ed a sinistra del suddetto altare v'ha il sepolcro di Caterina regina di Bosnia, morta nel 1478. Nel mezzo della crociera havvi un'edicola monumentale, detta Cappella Santa o di s. Elena. Questa edicola segna il posto dell'antica chiesa di s. Maria, e da quella ebbe origine la suddetta leggenda. L'altare e il ciborio antico rimase fino al secolo XVII, allorchè fu sostituito dal moderno, fatto nel 1602 da Girolamo Centelles, nobile romano e vescovo di Cavaillon, il quale si fece cedere 'altare dalla compagnia del Gonfalone, a cui appartenea. Nella sottoposta urna di porfido, si crede fossero posti i corpi di s. Elena e dei martiri Abbondio ed Abbondanzio. Nel 1798 quel piccolo e sontuoso tempietto fu di nuovo demolito e l'odierno rialzato a spese della nominata arciconfraternita. Sotto la crociera vedesi il sepolcro di Felice de Freddi, colui che scoprì il famoso gruppo del Laocoonte; in fondo alla medesima è il sepolcro del card. Matteo d'Acquasparta, di cui abbiamo già dato un cenno, e al mente Dante allude nei versi del XII del Paradiso. Nella cappella della Vergine, nella nave a sinistra, v'ha in terra il deposito di Giovanni Crivelli arcidiacono d'Aquileia, scolpito dal Donatello, il cui nome si legge scritto: Opus Donatelli Florentini. Il pavimento, in vario tempo risarcito e coperto da memorie sepolcrali, fu nel secolo XIII ornato di quell'opera detta cosmatesca di porfido e serpentino, della quale qua e là restano tracce. L'ampio convento annesso fu edificato da Paolo III, il quale, dimorando nel vicino palazzo di s. Marco, oggi detto di Venezia, lo congiunse a questo per mezzo di corridoi coperti che traversano le vie della Pedacchia e della Ripresa. Giulio III e Pio IV soleano qui dimorare nella calda stagione, finchè Sisto V lo concedette per intiero ai religiosi.

Oggi il monastero è stato in parte distrutto, la gran torre di Paolo III abbattuta, per dar luogo ad un monumento civile dietro al quale rimarrà nascosta la gemma del dissacrato Campidoglio.​b

 p545  Nella relazione inserita nello Stato temporale delle chiese di Roma, di s. Maria d'Aracoeli dicesi: "Essendosi divisa la religione dei Minori in Conventuali ed Osservanti, Eugenio la concesse alli Osservanti come per Bolla nonis iunii 1445 anno 15: ma senza le appendici le quali fino al presente (a. 1660) sono possedute da diversi padroni, molti de' quali hanno fatto grotte molto indentro con pregiuditio delli muri maestri del convento.

"Ha circa 90 sepolture, ma molte sono senza padroni per essere estinte le casate.

"Le cappelle sono le seguenti:

  1. Di s. Francesca, si chiamava prima di s. Angelo, e fu fondata dalli sigg. Astalli.
  2. Della Purificazione, fu fondata dalli sigg. Velli romani.
  3. Di s. Francesco, fu fondata dalli sigg. Savelli.
  4. Del b. Pasquale, fu fondata dalli signori Capodiferro sotto la invocatione di s. Giovanni.
  5. Di s. Diego, fu fondata dalli sigg. Cenci, con l'invocazione di s. Lorenzo.
  6. Di s. Pietro d'Alcantara, anticamente di s. Stefano, dei sigg. Capranica, Margani e Benzoni.
  7. Di s. Matteo, delli sigg. Mattei.
  8. Del s. Crocifisso, avea il titolo di s. Bonaventura, delli sigg. Corti.
  9. Di s. Geronimo, fu fondata dalli sigg. Delfini.
  10. Del s. Sepolcro, fu fondata dalla signora Lucia Colonna Mattei.
  11. Di s. Bernardino, fu fondata dalli sigg. Bufalini.
  12. Dell'Immacolata Concezione, fu fondata dali signori Serlupi.
  13. Della Trasfiguratione, fu fondata dalli sig. Lupi Armentieri.
  14. Di. s. Antonio di Padova, è stata sempre delli sigg. Paluzzi Albertoni.
  15. Della ss. Annuntiata, è dei sigg. Cesarini.
  16. Di s. Paolo, fu fondata dai sigg. Della Valle.
  17. dell'Ascensione, fu fondata dalla signora Vittoria Tolfi Orsini.
  18. Di s. Giacomo Apostolo, fondata dalli sigg. Lucci Mancini.
  19. Di s. Bartolomeo, delli sigg. Rossi romani.
  20. Della Madonna di Loreto, si chiamava prima di s. Bastiano, è del sig. Barone Mantica.
  21. Di s. Gregorio, è delli sigg. Cavalieri.
  22. Di s. Elena, detta anticamente del Presepio, è il luogo dell'Ara; nel 1130 fu ornata da Anacleto antipapa.

"Nel convento vi si alimentano al presente sacerdoti 73, studenti 12, conversi 52, tertiarii serventi 3: in tutto sacerdoti 89, chierici 17, laici 58, tertiarii 9, serventi 3."

Cappella del Campidoglio

Nel palazzo detto dei Conservatori del Popolo Romano in Campidoglio v'ha una cappella ricca d'insigni pitture. Il quadro dell'altare è opera di Avanzino Nucci. Il Romanelli v'eseguì le  p546 imagini dei quattro santi romani: s. Eustachio, s. Cecilia, s. Alessio e la b. Ludovica Albertoni. Michelangiolo da Caravaggio vi dipinse le imagini dei quattro evangelisti; sotto quella di s. Cecilia si legge l'epigrafe:

S. CAECILIAE
VIRGINI ET MARTYRI
S. P. Q. R.
MDCXLVIII.

B. Rita (v. S. Biagio de Mercatello)

S. Biagio de Mercatello o in Campitello

Oggi è denominata della b. Rita da Cascia, presso la scala dell'Aracoeli nella via della Pedacchia, chiesa forse destinata a scomparire. È antichissima, come risulta dal catalogo del Camerario, e dalle iscrizioni della famiglia dei Buccabella che la edificò, alcune delle quali dell'anno 1004. Il Muratori pubblicò il seguente epitaffio d'un prete di questa chiesa, ove è notevole che nella lastra evvi scolpito il candelabro giudaico epitalicno: . . .prETE DELLA DICTA ECHIESIA (sic).

Fu già filiale della basilica di s. Marco. Sotto Alessandro VII mons. Giuseppe Cruciano da Cascia, parroco di questa chiesa, la ottenne pel sodalizio dei suoi concittadini. Il Bruzio ricorda l'epigrafe seguente che spetta ad un rettore di s. Biagio, morto nell'anno 1328:

NICOLAVS DE IVSTINIS HVIVS ECCLESIAE RECTOR QVI
OBIIT ANNO DNI MCCCXXVIII IVLII DIE XXIV
CVIS ANIMA REQVIESCAT IN PACE.

Fu detta de mercatode mercatello, perchè nel secolo XI la piazza del mercato di Roma distendeasi dalla collina del Campidoglio fino a questa e a quella vicina di s. Giovanni, oggi s. Venanzio de' Camerinesi.

Fra le iscrizioni dell'Aracoeli, edite dal p. Casimiro nella sua storia di quella chiesa e convento, ve ne ha una di Giovanni Buccabella di mercato. Il Soresino, nella prefazione del suo  p547 libro del Sancta Sanctorum, scrive appunto che la chiesa fu fabbricata da quell'antica famiglia romana. Cencio Camerario la ricorda fra quelle che avevano sei denari di presbiterio e dodici nella festa di s. Marco. Sappiamo dal Baglioni che anche verso la metà del secolo XVII seguitava ad esser denominata sotto il titolo del medesimo santo. Poichè narra che Michele Castello di 48 anni alli 26 agosto del 1637 morì sotto Urbano VIII e nella parrocchia di s. Biagio in Campitello fu sepolto. Nel catalogo di s. Pio V è detta s. Biagio alle scale d'Aracoeli. Nel diario del Terribilini nell'archivio vaticano leggo le seguenti cose da lui notate: Ho inteso dal p. Casimiro (dell'Aracoeli) che entrandosi dalla b. Rita da alcuni ed in specie da un guardiano dell'Aracoeli giunsero fin sotto la cappella di s. Antonio d'Aracoeli, e videro degli archi antichi con un pavimento di musaico. Fu fondata dalla famiglia Buccabella: su uno dei monumenti della chiesa leggevasi questa epigrafe:

HOC OPVS FIERI FECIT LAVRENTIVS IORDANELLI DE
BVCCABELLIS ANNO DNI MCCCLXXXIV.

Sopra uno dei sepolcri, quest'altra:

HIC REQUIESCIT CORPUS NOBILIS VIRI PETRI DE BUCCABELLIS
QUI OBIIT ANNO DNI MCCCCXXVIII.

E in una lapide, sormontata dallo stemma gentilizio di quella famiglia, si leggeva:

SUB ISTITUITO SACSCO ALTARI REQUIESCUNT
RELIQUIE SS. IULIANI M . S. ALEXANDRI M.
S. BONIFATII . M. S. CELSI EPI ET .
S. EUNUFRI CONF. S. PRISCE V. ET . M .
ET ALIORUM SOCRUM MM NOIA
. . . .US SCR . . AD HONOREM S. IULIANI . M.
. . . . SUB . ANNO DNI MCCCC XX . MENSIS . . . .

Nel 1658 in questa chiesa fu eretta una confraternita sotto la denominazione della Corona di spine di Nostro Signore Gesù Cristo. Nell'archivio de' Brevi vi è la copia dell'istanza ad hoc diretta al papa, che è del tenore seguente:

"Beatissimo Padre — Giuseppe Cruciani maestro di casa della S. V. humilmente la supplica perfetionare le gratie concesse  p548 alla Natione di Cascia sua patria col erigere detta natione in confraternita nella chiesa di s. Biagio in Campitelli in Roma dalla S. V. con tanta benignità concessali sotto l'invocatione della Corona spinea di N. S. G. Cristo che le facoltà solite, et anco di potere ascrivere in essa, non solo li nationali del uno e l'altro sesso, ma anco tutti li devoti di essa, concedendoli le solite indulgenze, honorar l'oratore come fondatore di essa confraternita, e sempre si pregarà il Signore Dio per la lunga e felice vita della Santità Vocatur e per ogni prosperità della eccellentissima casa Chigi ecc."

Nel pavimento della chiesa esistono ancora alcune iscrizioni antiche e frammenti di sculture della foggia uguale fino al secolo XVI, cioè i ritratti dei defunti scolpiti in marmo con l'epigrafe intorno. In una lapiduccia si legge:

HOC EST SEPULCHRUM IACOBI ET HOMODEI BUCCABELLA ET HEREDUM SUORUM.

S. Venanzio dei Camerinesi (v. S. Giovanni in Mercatello)

S. Giovanni in Mercatello

La chiesa esiste ancora: ma ha cambiato l'antica denominazione in quella di s. Venanzio: sta presso la piazza d'Aracoeli. Fu detta in mercatello dal mercato che si facea nel Campidoglio fino al 1477, nel quale anno Sisto IV lo stabilì a piazza Navona, donde ai giorni nostri è stato rimosso e trasferito in piazza dei Cerchi. Paolo III, nel 1542, consegnò la chiesa al nobile collegio di signori cui era affidata la cura dei catecumeni, i quali la ebbero finchè la sede di quel pio istituto fu stabilita presso quello di s. Maria dei Monti. Allora la chiesolina passò alle cure dei monaci Basiliani di Grottaferrata, che alla loro volta la consegnarono al sodalizio dei Piceni, i quali posseggono ancora molte case nelle adiacenze della chiesa. Ma Clemente IX, avendo dato nuova sede a quel collegio presso s. Salvatore in Lauro, fu data la chiesa ai Camerinesi residenti in Roma, che le mutarono il titolo in quello di s. Venanzio loro protettore. Pio IX soppresse la corporazione dei Camerinesi e dette in perpetuo l'uso della chiesa e delle case annesse alla pia unione del s. Cuor di Maria.

La chiesa era parrocchiale e filiale di s. Marco. Le sue origini sono assai. antiche. Il Bruzio vi lesse parecchi epitaffi,  p549 uno dei quali, scritto nello stile del secolo decimo sesto, merita di essere riferito:

D. O. M.
MAESTRO ANTONIO DE TREDA MVRATORE. QVESTA È LA SEPVLTVRA DE SVA MOGLIERA E DE SVA FIGLIA
CATHERINA DISGRATIATA (sic) E QVESTA SEPVLTVRA PROPRIA ISTÀ LI COGNATI DE DETTO MASTRO ANTONIO
DE TRADITO. A. MDLXXXVI.

In un altro marmo si leggeva:

LELLO ROSCIO FALEGNAM

Ed in altro:

D. O. M. HIC IACET ALEXANDRI GVERRIERI
NEOPHITI C. XXII APRILIS MDLXXXIV.

In un altro assai più antico:

HIC IACET CORPVS STEPHANELLI CRAPOLI ET FAMILIE
SVE CVIVS ANIMA REQVIESCAT IN PACE.

La chiesa è anteriore al secolo XIII, e fu appellata pure s. Giovanni in Campitelli.

Infatti vi si leggeva la seguente epigrafe dell'anno 1264:

HIC REEQVIESCIT COLA ALEXI DE PLANELLARI
SVB ANNO DNI MCCLXIIII MENSE AVGVSTI.

Nel 1624, come traggo da un documento di quell'epoca, la parrocchia avea 50 famiglie, componenti 815 anime. La chiesolina è una delle più divote e frequentate di Roma, il che devesi allo zelo del suo piissimo rettore, il canonico don Raffaele Ferroy. Anche nel secolo XIV, come adesso, era ufficiata da un solo sacerdote.

Nel febbraio 1791 era chiamata s. Vincenzo, ed era ancora parrocchia governata da un tale abate Mariotti. Nella via di s. Venanzio esiste ancora l'antica porticina laterale (ora chiusa) colla sua cornice in marmo, sormontata dallo stemma di Camerino, circondato da una corona, ai cui lati è scritto NATIONIS CAMERTIVM. Si conserva internamente una piccola custodia degli olî santi, opera di stile e lavoro cosmatesco.

 p550  S. Maria del Carmine e S. Antonio

Era il titolo di una piccola ma divotissima cappellina posta in via della Pedacchia, ora demolito per la fabbrica del monumento a V. E., che si sta erigendo con danno irreparabile di quel classico colle.

V'era nell'interno un elegante altare, sul quale veneravasi un'imagine in tela rappresentante la Vergine del Carmine: al disotto, in altro piccolo quadro, erano dipinti i ss. Antonio e Filomena. Questa edicola era proprietà dei signori fratelli Lugari, presso i quali si conservano ora quelle sacre imagini.

S. Gregorio Taumaturgo

Quest'oratorio, che era pure in via della Pedacchia, è ora profanato e ridotto a taverna dell'infimo grado. La porta mantiene ancora il suo carattere sacro, avente ai lati le due finestrine sagomate. Il ricordo del medesimo è conservato in un editto scolpito in marmo e affisso nell'angolo del palazzo opposto, ora dei signori Lezzani, che è del tenore seguente:

D'ordine di monsignore Illm̃o et Rm̃o Presidente delle strade si proibisce a qualsivoglia persona il gittare immondizie di qualsivoglia specie in questo sito ed anche più in mezzo a tutta questa strada nè in qualunque altro modo fare immondezzaro nella piazzetta che và dall'oratorio di s. Gregorio Taumaturgho si stende e và alla Pedacchia e specialmente trà il palazzo del sig. baron Circi ed il casamento del sig. Barigioni, sotto le pene contenute nell'editto pubblicato da monsig. Ill.o Presidente p. li atti dell'Orsini Notaro delle strade sotto il dì 22 marzo 1758.

Il detto oratorio è tuttora proprietà della confraternita di detto santo titolare, la quale vi risiedette fino a che non si trasportò in s. Chiara, dove rimase fino alla caduta di questa chiesa. Di là si trasferì nuovamente nella chiesa de' miracoli al Popolo. Partita da quell'oratorio la sua confraternita, vi risiedette per alcun tempo la compagnia del Sacramento, della basilica di s. Marco, sotto il titolo de' ss. Marco evangelista e Marco papa.

 p551 

S. Stefano de Baganda

Questa denominazione è di origine araba;​c onde la radice dei vocaboli, bagarino, bazar e simili, che accennano evidentemente ad un luogo di mercato e commercio nel medio evo. E infatti questa chiesolina con il suo monastero era situata nei pressi del mercato di Roma che si teneva sulle piazzette del Campidoglio e dell'Aracoeli, dette perciò il mercatello, onde trassero il nome le chiese vicine. Era antichissima, e sorgeva presso a s. Lorenzo de Pallacine, a cui dal papa Adriano fu ordinato che i monaci dei due monasteri officiassero nella chiesa di s. Marco.

S. NICCOLÒ DE FUNARIIS
(S. Orsola a Tor de' Specchi).

Questa chiesuola tuttora esiste nella via di Torre de' Specchi, benchè abbia cambiato il suo nome in quello di s. Orsola. È filiale di s. Marco, e quel capitolo l'ha recentemente restaurata, ridonandole il titolo primitivo di s. Niccolò.

Scrive il Bruzio che il giorno di s. Maria Maddalena l'anno 1599 (xi kal. sextiles) "G. B. Boschetti romano, Andrea Altieri siciliano, Arsenio Rossetti piceno, Fulvio Sacchi piemontese ed altri loro amici istituirono una confraternita col titolo di s. Orsola, ed impetrata la cappella di s. Caterina nella chiesa della Pietà a piazza Colonna la dedicarono alle ss. Caterina et Orsola." Dal manicomio, annesso a quella chiesa, fu detta s. Orsola de' pazzarelli.

Ma l'anno 1607, comprata un'area in piazza del Popolo, quel sodalizio vi eresse una chiesa in onore di detta santa, che Alessandro VII affidò poi ai Francescani francesi del Terz'Ordine dando alla confraternita la chiesuola di s. Niccolò de Funariis, detta anche in Vincis, l'anno 1663, in cui assunse il titolo delle ss. Orsola e Caterina, e poi di s. Orsola. La confraternita fu poscia estinta sotto Pio VI, il quale concedette la chiesa e la casa annessa ala congregazione dei preti secolari chiamata del sussidio ecclesiastico.

 p552  La chiesa è antichissima, e vi si legge un'epigrafe dell'anno 1180 in cui si ricorda la consacrazione d'un altare di s. Niccolò sotto Alessandro III. Fra le pietre sepolcrali ve ne ha una del 1313 così concepita:

HIC REQUIESCIT PRESBYTER FRANCISCUS RECTOR
ECCLESIAE S. NICOLAI DE FUNARIIS CUIUS ANIMA
REQUIESCAT IN PACE . ANNO DNI MCCCXIII MENSE
MAII . DIE XIX . XIII . INDICTIONE.

Il Camerario la chiama s. Nicolaus funariorum e il codice di Torino de funariis, ricordando che era servita da un prete: habet unum sacerdotem.

Sulla porta della chiesa si legge ancora l'epigrafe:

ELXANDRO VII PONT . OPT . MAX .
QUOD
ECCLESIA OLIM PAROCHIALIS S. NICOLAI DE FUNARIIS
BASILICAE S. MARCI SUA MUNIFICENTIA UNITA
UT ARCHIFRATERNIATI S. URSULAE ET CATHARINAE
IN USUM PERPETUUM CONCEDERETUR
AD BENEFICIA PROPENSIOR ANNUERIT
ILLMUS REVMUS DNUS ORATIUS MATTEIUS PRIMICERIUS

Ss. Annunziata a Torre de' Specchi (v. S. Maria de Curte)

S. Maria in Campitelli

Era una piccola e fatiscente chiesuola, eretta nell'area dell'odierna, che serba tuttora il nome antico, benchè riedificata sotto Alessandro VII, presso la quale nell'anno 1618 fu innalzata la casa dei Chierici regolari della Madre di Dio, con l'obbligo che demolissero la chiesa vecchia e vi edificassero la nuova, come difatti avvenne; ove poscia, per esservi trasportata l'imagine di s. Maria in Portico dalla vicina chiesa, anche questa prese quel nome, rimanendo all'altra il titolo di s. Galla.

 p553  Il papa Onorio III, l'anno 1217, la consacrò, come risulta da questa lapide che fu trascritta dai padri della s. Visita apostolica nel 1564:

IN NOMINE DNI AMEN ANNO DNI
MCCXVIII PONTIFICATUS DNI HONORII PAPE
ANNO EIUS II DIE V MENSIS APRILIS
INDICT. VI CONSECRATA EST ECCLESIA HEC
AD EODEM SUMMO PONTIFICE ET UNIVERSALI
PAPA PER EIUS SANCTAS MANUS RECONDITE
SUNT IN HOC ALTARI BEATE MARIE
VIRGINIS MULTE RELIQUIE SANCTORUM
ET SANCTARUM

V'era sull'altare un antico ciborio gotico, simile a quello delle altre nostre basiliche, sostenuto da quattro colonne, sotto il quale s'alzava l'altare isolato. Era stato eretto dalla famiglia dei Capizucchi, come indicavano i quattro stemmi gentilizi in musaico sotto la fenestella confessionis. Vi si leggeva il nome del noto artefice e marmorario romano, il maestro Adeodato: MAGISTER ADEODATVS FECIT HOC OPVS. S. Pier Damiani narra un miracolo avvenuto a suo tempo in questa chiesa. Si leggevano nel suo pavimento molte iscrizioni sopra i sepolcri di uomini assai illustri del medio evo, le imagini dei quali si vedeano scolpite su quelle pietre. Fra queste ricorderò alcune degli albertoni e dei Capizucchi del secolo XV. Nell'archivio de' Brevi si conserva quello: pro Liccino Capisucco romano; donatio fructuum capellae s. Pauli in parrocchia de Campitello de urbe quae de iure patronatus de Capisucchis existit a die obitus cardinalis Capisucchi usque in diem confirmatae concordiae decursorum et sequestratorum ad summam 2700 scutorum ascendentium; qui ex ordinatione Vicarii Urbis in tot loca montium non vacabilium convertentur pro dote Portiae D. Liciniae filiae et successive pro aliis duabus eius filiis, et in eventum quod omnes filiae praedictae non nubant vel sine filiis decedant praedicta convertantur in emptione bonorum stabilium pro ipsa capella.

HIC REQUIESCIT NOBILIS VIR PETRUS METHEUS IACOBUCII IUDICIS
ANGELI DE ALBERTONIBUS QUI OBIIT ANNO DNI MCCCLXXXV
MENSE OCTOBRIS DIE V CUIUS ANIMA REQUIESCAT IN PACE
AMEN. STEPHANO PETRO MATHEO BONANNO DE PALUTIO. PETRO MATHEO
 p554  HOC ALBERTONIUS TUMULO IACET OSSA PHILIPPUS
QUI DOMUI ET PATRIAE GLORIA MAGNA FUIT
VIRTUTUM MORESQUE DECUS SERVATOR ET AEQUI
QUO MELIOR NEMO RELIGIONE FIDE MCCCLXII
GREGORIE DE CAPIZUCCHIS HONESTISSIME ET GENEROSE
ROMANE ANTONIUS ALBERTONIUS SUE PRECLARISSIME
UXORI BENEMERENTI POSUIT . VIXIT ANNOS XVI OBIIT
MCCCCLXIII OMNIBUS CARA.

Scrive il Bruzio che v'erano sette altari, i quali dalla s. Visita nel 1564 furono ridi a cinque, demolendosi quello degli Albertoni dedicato all'Annunziata, e l'altro di s. Andrea del cardinale Pelagio, morto sotto Innocenzo III, perchè minacciavano rovina. Essendo la chiesa semicadente ai tempi di Clemente VIII, questi la concedette ai Chierici regolari della congregazione della Madre di Dio, i quali la tennero fino al 1659. In quell'anno (regnante papa Alessandro VII), trovandosi la città travagliata da un morbo pestilenziale, il popolo romano il dì 8 dicembre fece cotesto pubblico di porre in quell'onorevole luogo la divotissima imagine di s. Maria in Portico, che è dipinta in plasma di smeraldo. Per edificare la chiesa furono demolite le case degli Albertoni, dove da Pier Matteo di quella famiglia e da Lucrezia Tebalda era venuta in luce la b. Ludovica Albertoni, che fu poi moglie di Giacomo della Citara, nobile romano. È noto che dagli Albertoni trae origine la odierna famiglia degli Altieri, quando l'ultimo rampollo di questa, cioè la nepote di Clemente X fu sposata a Paluzzo de Albertonibus, figlio di D. Angelo Paluzio e che assunse il nome degli Altieri. Non lungi dalla chiesa era la torre chiamata de' Merangoli, di cui resta tuttavia la parte inferiore presso piazza Margana. La nuova chiesa riuscì maggiore della prima; fu compiuta l'anno 1642 e la facciata nel 1667.

S. Maria de Curte
(Ss. Annunziata a Tor de' Specchi)

Il Bruzio, nei brevissimi cenni che di questa chiesa si porge, così scrive: "S. Maria de Curte, ovvero l'Annunziata a Torre de' Specchi. Ivi erano le case e la torre della nobilissima famiglia  p555 dei Specchi dove prima era un'altra torre detta del Melangolo, come asseriscono le più vecchie madri del luogo. Ivi era s. Maria de Curte, anzi la chiesa suddetta delle monache entro il monastero è situata sopra l'antica di s. Maria de Curte, che era degli antichi Curiali e che dipendeva da s. Marco."

Che fosse antichissima non può dubitarsene, poichè se ne fa menzione nei regesti di Clemente VI. Colonna Bruzio conviene perfettamente il Lonigo, che nel suo catalogo manoscritto scrive: "S. Maria in Corte nel rione Campitelli fu data pochi anni sono alle monache di Tor de' Specchi per ampliare la clausura." Clemente VIII soppresse la giurisdizione parrocchiale della chiesa. L'Anonimo di Torino l'annovera fra quelle della terza partita, scrivendo che habet sacerdotem et clericum. Essa è certamente distinta da quella detta in curte domnae Micinae, e da altra pur detta in curte, della quale si fa parola nel titolo seguente.

S. Andrea in Vincis

Questa chiesolina esiste tuttora nella via di Tor de' Specchi, incontro al monastero di questo nome, quasi dirimpetto alla strada che conduce alla piazza di Campitelli. Ebbe varî nomi, poichè fu detta de' Funari, in Mentuccia, o Mentuza, o Matuta, ed ancora ebbe il titolo di s. Salvatore in Mentuza, ricordato dal Nardini. Oggi appartiene alla compagnia degli scalpellini e marmorari.

Questa confraternita si adunava già nella chiesa dei ss. Quattro Coronati. Nel 1596 si condusse in un oratorio dedicato a s. Leonardo presso piazza Giudea, tenuto dai chierici regolari minori. Ma distrutte le casette di quell'area dai marchesi Patrizi, fu demolita ancora la chiesa di s. Leonardo, la quale occupava parte dell'area dove sorge oggi il palazzo Costaguti. Allora la società si trasferì nella chiesolina di cui parliamo, cioè a s. Andrea in Matutain Vincis, dedicata pure a s. Lorenzo.

Ebbe la denominazione de' funaride vincis perchè in questa contrada si torcevano le funi; quella di mentuza, o mentuccia, o matuta, è più oscura; ma forse proviene dal tempio della madre Matuta che sorgeva in questa vicinanza e che Livio dice fosse arso l'anno 559 di Roma e poi riedificato l'anno  p556 successivo. Quel tempio infatti sorgeva non lungi dalla porta Carmentale.

Nell'archivio degli scalpellini, annesso alla chiesa, v'hanno pregevoli documenti sulla medesima e circa alcune scoperte avvenute in essa nel secolo XVIII. Da quei documenti ricavo che l'antica chiesa avea la stessa larghezza dell'odierna. La compagnia degli scultori e scalpellini la ottenne da Gregorio XV ai 13 aprile 1662 ed allora fu soppressa la parrocchia e distribuita la cura delle anime per le parrocchie limitrofe.º La compagnia ne prese possesso il 14 luglio 1623, e alla chiesa fu dato il nome dei ss. Andrea e Leonardo.

Era stata più volte restaurata, anzi riedificata di pianta da Vittorio Festo di Aspra in Sabina già rettore della medesima, morto nel 1572. L'antica era ad un livello assai più profondo; infatti, in qualche carta si dice che il pavimento della moderna chiesa potrebbe dirsi in oggi la soffitta della chiesa vecchia.

Nel 1762 essendo stati intrapresi dei lavori, sotto l'altare apertosi per caso, si trovò alla profondità di undici palmi una camera sotterranea adorna di pitture assai antiche. All'annunzio di questa scoperta Benedetto Passionei, allora visitatore apostolico e poi cardinale, scrisse al celebre Giuseppe Bianchini perchè esaminasse la cosa. Ora, fra le carte dell'archivio suddetto, ho trovato la lettera autografa dell'illustre letterato, nella quale egli dà relazione della importante scoperta al visitatore apostolico. Credo pregio dell'opera pubblicare per intiero il bellissimo documento:

"Em̃o e Rm̃o Principe,

Essendosi trovati ultimamente tre cadaveri nell'antichissima chiesa di s. Andrea de' Funari, fui da monsig. Conti condotto ad osservarli, e unitamente con monsig. Benedetto Passionei (visitatore apostolico di quella chiesa uffiziata dalla compagnia de' santi Quattro della Università degli scultori e scarpellini) venni incaricato di mettere in iscritto il mio debole sentimento. In esecuzione adunque dei venerati comandi dei sud due eruditi Prelati, ci ho fatto quelle ricerche più esatte, che ho creduto di dover fare, e che erano necessarie. La santità dei tre corpi non si potrà da veruno recare in dubbio. Di questo ardisco assicurarne V. Em̃za, anche avanti di dare il mio voto in scriptis, che dovrà poi recarsi secondo il concertato nell'udienza che ebbe monsig. Conti al sacro tavolino del Santo Padre. Anche del loro  p557 martirio abbiamo le prove evidenti, a mio giudizio. E Gio. Battista Pauliano che scrisse de iubilaeo nel 1550 a carte 299 dice della chiesa di s. Andrea alle falde della Rupe Tarpeia (cioè di quella appunto, nella quale si sono trovati li tre corpi) queste precise parole: Et ubi ex voto Victoriae partae de Sabinis, Iovi Statori a Romulo fuit aedificatum Fanum. Sanctum Andreae nomine aliud est, cum multis martyrum cadaveribus qui primo fide Christi valide certarunt. Per ora avanzo solo all'Em̃za Va che dentro del chiusino dei tre corpi, v'era l'ampolla del sangue ingessata, fin dal tempo della prima deposizione, in una delle gran tavole di mattone, che hanno degli indizi e delle marche dei tempi di Domiziano. In vicinanza del sudo chiusino si è ritrovato un pezzo di mattone antico con la iscrizione SALEX . . . . Forse uno dei tre santi martiri sarà stato un s. Alessandro. In altro mattone, fuori però del chiusino, io trovai inciso RDPRID. Se tal mattone forse una porzione dell'altro, potrebbe essere la finale del nome di Alessandro. AlexandeR Depositus prid. . . pridie. . . . Ma i caratteri dell'uno a me sembrano diversi da quelli dell'altro. Vero è che ho risaputo cinque giorni fa, che il signor curato di s. Simone Profeta (cioè il sig. don Gerardo Maria Caroluce) uomo di molta erudizione, ha certi documenti, che possono dar del lume, per ritrovare i nomi dei tre santi.

Che però supplico istantissimamente V. Em̃za di scrivergli un biglietto acciò voglia comunicarmi i detti documenti. Vengo assicurato che lo farà di buon grado, trattandosi della gloria di Dio, e di quella dei suoi santi. Egli ha fatta La Storia dei Vicari di Roma, come saprà da gran tempo V. Em̃za; e con tale occasione ha pescato molto nelle antiche carte. Non è bene che io dia a Monsig. Conti le notizie che ho ripescato fino a tanto che dal suddo sig. curato non mi si comunichino le notizie ulteriori, cioè la nomenclatura (se l'ha) dei santi ritrovati. Egli non è lontano dal darmi quello che ha, ma per sollecitarlo supplico V. Em̃za di scrivergli, che lo prega di comunicarmi quelle notizie che avesse intorno all'antica chiesa di s. Andrea de' Funari, e intorno alle reliquie di essa. Assicuro V. Em̃za che io, con le sottosegnate due righe, avrò subito quanto ha nelle sue schede notato il sig. curato di s. Simone, circa la chiesa di s. Andrea, e allora sono a tiro colla scrittura. Io ho veduto tutte le carte della Ven. Comp. degli scarpellini ed ho ricavato da esse chiaramente, che sotto alla nova chiesa (dove appunto sono stati ritrovati i corpi santi) v'era una stanza tutta dipinta ab antiquo di pitture sacre, ed in essa vari indizi di  p558 luogo sacro. Tal luogo a parer io era l'oratorio dei santi e martiri, annesso all'antichissima chiesa di s. Andrea, ora tutta sepolta sotto la nuova, come ho veduto io stesso coi miei occhi. Accanto al chiusino che conteneva i sacri corpi io vidi delle pitture antiche e il pavimento dell'altare dei santi fatto a pietruzze di mosaico; come anche vidi il pavimento antico della sepolta chiesa fatto di lavoro saracinesco, cioè a costa di piccole mattonelle.

Ma vedo che mi abuso della bontà e degnazione di V. Em̃za.

Che però con profondissimo inchino, implorando le sude due righe, resto al bacio della sacra porpora ossequente.

Chiesa Nuova, il dì di s. Ambrogio 1762.

Di V. Em̃za

Um̃o Dm̃o ed Obbm̃o Servitore

Giuseppe Bianchini."

S. Maria in Vincis

Di questa chiesa, che tuttora esiste pressoº il clivo del Campidoglio, nel luogo detto l'arco de' Saponari vicino a piazza Montanara, il Lonigo scrive "che una chiesa assai antica, alcuni la chiamano s. Andrea in Vincis, parrocchiale antica, la cui cura è unita a s. Nicola in Carcere."

Il Bruzio dice che "Clemente VIII nel 1604 riunì in un corpo i saponari dando loro un certo statuto. Impetrarono questi l'anno 1607 la chiesuola di s. Maria in Vincis dipendente da s. Niccolò in Carcere e situata alla radice del monte Caprino dove riguarda piazza Montanara e il teatro di Marcello. Era quasi ruinosa ed abbandonata e dai saponari fu restaurata dipingendo s. Giovanni immerso nella caldaia dell'olio bollente."

Nel pavimento della chiesuola si leggono tuttora le due seguenti epigrafi:

† HIC REQVIESCIT RAYNALDVS CLERICVS ISTIVS
ECCLESIE QVI OBIIT ANNO DOMINI MCCCNONO
TEMPORE DOMINI CLEMENTIS PAPE QVARTI NR MENSIS FEBBRARII DIE XVI QVI RELIQVIT.
DICTE ECCLESIE OES VINEAS QVAS
HABET DICTA ECCLESIA CVIVS ANIMA
REQVIESCAT IN PACE · AMEN.

 p559  Nel mezzo della pietra sepolcrale v'ha graffita l'imagine del defunto colle vesti clericali, sul secolo XIV incipiente.

Presso la prima v'ha il seguente mutilo frammento:

HIC REQVIESCIT BVCIVS PAVLI
IOHANNES GREGORII DE REGIONE
SANCTI ANGELI . . . . . . .
. . REQVIESCAT IN PACE AMEN.

Il Nibby, il Martinelli ed altri tacciono affatto di questa chiesa così importante, della cui denominazione abbiamo ragionato a proposito della vicina chiesuola di s. Andrea in Vincis, confusa dal Lonigo colla nostra.

S. Salvatore de Maximis

Questa chiesina fu distrutta nella seconda metà del secolo XVI, e precisamente nel 1587. Stava sulla pendice del Campidoglio che oggi dicesi Salita delle tre pile. Ai tempi del Camerario diceasi Maximinorum, poi si chiamò de Maximis.

S. Maria in Peregrino

Solamente il Signorili, nel suo catalogo, fa menzione di questa chiesa che era nel rione di Campitelli, della quale tuttavia non so precisare il sito.

S. Giovanni de' Bertoni

Si nomina nella tassa di Pio IV. Il nome è del secolo XVI, e proviene forse da un personaggio di questa famiglia che probabilmente restaurò la chiesa; ma non saprei, per mancanza di documenti, stabilire a quale delle antiche e note chiese di s. Giovanni fosse aggiunta questa denominazione.

Potrebbe essere forse l'antichissima ricordata dal Mabillon in foro piscario, cioè non lungi da s. Angelo in Pescheria; poichè è noto che in quelle adiacenze, dove ora è s. Maria in Campitelli, sorgeva la casa degli Albertoni, detti anche Bertoni. Infatti agli Albertoni apparteneva il palazzo Pacca, oggi dei marchesi Spinola, nella piazza Campitelli.


Note di Thayer:

un tempio di Romolo: O secondo altri studiosi della Rinascenza, un tempio di Vesta.

un monumento civile: Per coloro che non conobbero Roma, si parla qui del Monumento a Vittorio Emanuele: per nostro autore, archivista nel Vaticano, aggiunge al suo gigantismo e al difetto di eradicare le vestigia del passato sul Capitolio, quello di commemorare la nascita di uno stato italiano non sottomesso al Papa.

origine araba: Si veda l'etimologia molto diversa del Hülsen, che si burla particolarmente dell'Armellini su questo punto.

Pagina aggiornata: 11 Mar 21