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R. Trevi
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

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R. Campomarzio

 p291  III. RIONE COLONNA

S. Lorenzo in Lucina

Le origini di quest'antichissima basilica ci sono ignote; forse si collegano ad alcune delle celebri matrone cristiane del secolo IIIIV che ebbero il nome di Lucina e che ivi possedettero una casa ove si adunavano i fedeli. Nel secolo VI era già chiesa stazionale; ed anche oggi fra i titoli è il primo dell'ordine dei Preti. Circa il 685 Benedetto II la restaurò, più tardi nuovi lavori vi fecero Adriano I nel 780 e finalmente Celestinoº III che la consacrò di nuovo ai 26 maggio dell'anno 1196.

In quella circostanza furono poste nell'altare maggiore molte reliquie insigni, delle quali resta un ricordo in questa lapide:

† Anno Dominice Incarnationis · millesimo · C · XCVI · pontificatvs Dni Celestini tertii Pape · anno eivs · VI · indictione · XIIII · mense Madii · die · XXVI ·

dedicata fvit hec eclesia per manvs eivsdem Celestini · cvm qvo interfvervnt archiepiscopi Eboracensis Accervntinvs · Sipontinvs · episcopi ·

alº · Albanensis · Octavianvs · Hostiensis · Petrvs Portvensis · Iohannes Biterbiensis · Nicolavs · Sinforoniensis · Pavlvs · Ortanvs · Sabariscivs

Batoniensis · Capvaqvensis · a · Reatinvs · b · Narniensis · Iacobvs · Ameliensis · et tota cvria cardinalivm · presidente

hvic eclesie Cinthio Cardinali · facta est avtem hec dedicatio ad honorem Dei et beati Lavrentii martiris cvm

devotione totivs popvli Romani et adiacentivm popvlorvm cvm tanta sollepnitate et gloria qvanta hactenvs nec reco

gnita nec visa fvit · hee svnt reliqvie · qve svnt recondite in altari maiori · ii · ampvlle cvm adipe et sangvine beati Lavrentii · et vas plenvm de

cremata carne beati Lavrentii · gavsapae qvo angelvs tersit corpvs eivs · craticvla svper qva assatvs fvit · et corpora beatorvm · martyrvm · Alexandri Pape ·

Eventii · Theodoli · Severine · Pontiani · Evsebi · Vincentii · et Peregrini · Gordiani · et Felicvle virginis et martiris · Simpronii · et vestis · s · Si

sti et · iiii · dentes apostolorvm Philippi · et · Iacobi · de ligno crvcis Xpristi · de Petra sepvlcri · et reliqvie sanctorvm Cesarii · Martini · Pape · Adriani · Ivliani martyrvm

Marcellini · et Petri · Marci et Marcelliani · Romani · Epifanii · Martini · Nemesii · Olimpii · Theodoli · Lvcille · et Svperie · Agrippine · Abdon

et Sennes · et octo brachia sanctorvm · Ypoliti · Ivstini presbiteri · Qvirini presbiteri · Felicis · et Avdacti Simphorose · Ivstini · et · Evgenii · martirvm ·

 p292  Conserva ancora nella fronte il suo tipo basilicale, essendo preceduta da un portico sostenuto da colonne; l'interno però non ritiene più nulla dell'antico, perchè nel principio del secolo XVII fu di nuovo tutta rinnovata. In quel portico si legge la seguente interessante epigrafe del medio evo, cioè un'iscrizione dell'antipapa Anacleto II del 1130.

† anno Dni · M · C · XXX ·

anno · vero · Dopmniº ·

Anacleti · SECvndi · pape

primo · indictione · VIII ·

mense Madio die XX

qvinta · dedicata est

HÆC eclesia Beati Lavrentii ·

et in maiori altari

per manvs eivsdem

pontificis recondi

ta svnt corpora sanctorvm

martyrvm · Alexandri · Pape ·

Eventii · Theodoli · et

Severine · et vestis

Sancti Xisti martiris

atq · pontificis ·

et dve ampvlle vi

tree cvm sangvi

ne et adipe · bea

tissimi atqve

gloriosissimi

martiris Lav

rentii ·

† fvrcvla · crati

cvle · ferrvm · cvm

compede ivncta ·

gavsape · pingve

do · svnt hoc in

domate cvncta

Al nostro titolo è stato da alcuni erroneamente applicato il passo del libro pontificale in Sisto III, fecit quoque basilicam alteram beato Laurentio,​JJJ il quale si riferisce alla basilica maggiore dell'agro Verano; e in tale errore è caduto anche il Gregorovius.​JJJ

La sua antichità risulta anche dall'essere notata fra le chiese presbiteriali col nome di Titulus Lucinae fino dal secolo V, come abbiamo nel concilio di Simmaco.

Nel luglio del 1872 furono scoperti presso la chiesa alcuni sepolcri del secolo ottavo in occasione di lavori fatti sotto il palazzo Fiano. Quei sepolcri spettavano certamente ai portici ed alle esedre della contigua basilica. Uno degli epitaffi è del  p293 tempo di Adriano I e del 783; appartiene ad un diacono di nome Paolo che sottoscrisse al sinodo romano di quell'anno. Si rinvenne pure in quegli scavi un frammento di epigrafe damasiana, il cui testo non è fra quelli trascritti negli antichi codici da coloro che li videro prima della loro devastazione.​JJJ

Nella chiesa si venera il ferreo letto sul quale fu disteso il santo levita, e dove sopportò invittamente l'orribile martirio: le dimensioni di quello strumento sembrano in vero poco proporzionate alla lunghezza d'un corpo umano; ma checchè sia di ciò, fu creduto che per questa ragione fosse la chiesa appellata s. Lorenzo della Craticola; il che, come ottimamente dimostra il Martinelli, è falso: v'era una chiesa in Roma dedicata a s. Lorenzo e detta della Craticola, dove forse si conservò sino alla sua distruzione quel sacro cimelio che veneriamo oggi nel titolo di Lucina. Sull'altare maggiore v'ha il celebre Crocifisso di Guido Reni. Quivi ai tempi nostri si raccoglieva la congregazione detta della Buona Fama, posta sotto la protezione di s. Giovanni Nepomuceno, la quale fu eretta in Roma ai 13 maggio 1737 e fu riprstinata nel maggio del 1883.

Paolo V affidò la chiesa ai chierici regolari minori i quali la restaurarono nel 1650. È ad una sola nave con quattro cappelle per lato. Fra i monumenti di uomini illustri che ivi si conservano, è da ricordare quello di Niccolò Poussin eretto dal visconte di Chateaubriand.

S. Lucia della Colonna
(S. Maria Maddalena delle Convertite)

Sorgeva quasi dirimpetto agli odierni palazzi Theodoli e Verospi. Le sue origini sono assai antiche ed attribuite ad Onorio II, di cui nella sua biografia si dice: fecit ecclesiam beatae Luciae in urbe Roma iuxta S. Silvestrum quam dedicavit et dona multa optuli. Le due cappelle laterali erano dedicate l'una a s. Agata, l'altra a s. Alessio. Alla prima lasciò una ricca rendita, nel 1396, Paolo di Mascio Scarpetta de Tedallini nobile romano e speziale. L'altra venne fondata da Battista de Miccinis rettore della chiesa nel 1472.​JJJ Più tardi fu sacra a s. Maria Maddalena, perchè vi fu aggiunto un monastero di donne ravvedute dette le convertite, nome che tuttora mantiene la strada ove la chiesa e il monastero esistevano.  p294 Quelle religiose erano chiamate le sorelle della penitenza ed osservavano la regola di s. Agostino. La chiesa di s. Lucia fu incorporata al suddetto monastero architettato da Carlo Maderno nel 1585. Tutti gli antichi catalogo ne fanno menzione. Il Crescimbeni riporta la bolla di Leone X in data 19 maggio 1520, nella quale si concede che la chiesa lasci il nome di s. Lucia e prenda quello di s. Maria Maddalena.​JJJ

Il Bruzio crede che ivi fosse l'antichissimo monastero detto delle ArminisseRenati: egli vi lesse in una pietra sepolcrale il nome di uno della famiglia dei Cacciabue, nome che tuttora mantiene una strada prossima, detta via di Cacciabove. In questa chiesa stava il celebre quadro del Guercino rappresentante la Maddalena, che si vede oggi nella Pinacoteca Vaticana. La chiesa fu distrutta ala fine del secolo passato nella prima invasione francese.

S. Giovanni in Capite

Fra le chiese della prima partita l'anonimo torinese pone vicino a s. Silvestro una chiesa di s. Giovanni, infra ambitum dicti monasterii, della quale dice che non habet servitorem. Anche nel codice del Signorili la chiesa suddetta è indicata nel medesimo luogo presso s. Silvestro, ed è chiamata s. Giovanni in capite. La chiesa di s. Giovanni che, per essere ei piccole dimensioni, dal popolo dicevasi s. Giovannino, era incorporata al monastero di s. Silvestro, oggi Posta centrale, dal quale rimase divisa allorchè si aprì la strada detta il vicolo del Moretto fra le vie della Mercede e l'altra che gli corre parallela della Vite.

In origine però fu dedicata al ssm̃o Salvatore ed ebbe aggiunto l'epiteto tolto dal nome della strada attigua che, per essere in pendio, dicesi il clivio plumbeo. Infatti Cencio Camerario la mette nel suo catalogo col nome di s. Giovanni cribi plumbei. Nella sua tribuna erano rappresentati tre personaggi seduti ad una mensa a figurare il mistero della ssm̃a Trinità.

Era a tre navi sostenute da colonne di granito. Nel 1586 era abbandonata, cosicchè serviva di trastullo ai fanciulli che nell'interno della medesima facevano i loro giuochi. Sparsasi la fama nel maggio del 1586 che lla Vergine ivi avesse operato un prodigio, la chiesa fu di nuovo restaurata e consacrata al culto: anzi ivi fu eretta una compagnia detta della Dottrina cristiana che in quel luogo insegnava il catechismo ai poveri  p295 tre volte la settimana. Paolo V nel 1600 l'affidò ai Riformati dell'ordine della Mercede, onde ebbe origine il nome della via attigua e che tuttora ritiene. Fra le pitture v'erano due figure delle Sibille di Andrea Lilio d'Ancona, e un s. Martino a cavallo di Giovanni Baglioni romano. Nella sacrestia si leggeva l'epitaffio seguente, ricco però di scorrezioni:

Juan de Santos presbitero de la ciudad de Guadalayara diocesis de Toldeo — Decano della cappella pontificia — Rexò una memoria en esto convento de missas sexanda toda annos por su alma, ybis de sus parientes y la dotò de la Reyta necessaria — Murio a 27 d'agosto de 1650 de età de 90 annos.

Sull'architrave della facciata era posta quest'altra:

ECCLESIA S. MARIAE IN S. IOHANNINO
ET HOSPITIUM EXCALCEATORUM B.
MARIAE DE MERCEDE REDEMPTIONIS
CAPTIVORUM PROVINCIAE HISPANIARUM
SUB PROTECTIONE REGIS CATHOLICI.​JJJ

È veramente deplorevole che una sì cara memoria, dopo tanto volgere di anni abbandonata, sia ora totalmente scomparsa. Il Sodo, scrive che fu restaurata dal card. conte Guido de' Pepoli, mentre fu tesoriere di papa Sisto V. Nell'archivio dei Brevi ve n'è uno del suddetto pontefice in data 15 ottobre 1586, pel quale si concede media uncia aquae fontis Trivii ai frati minori di s. Francesco dell'osservanza in ecclesia s. Mariae s. Iohannini nuncupata. La chiesolina, che si è creduta distrutta, tuttora esiste, benchè dissacrata e trasformata recentemente in una sala dell'esattoria comunale. Mantiene ancora la sua forma di piccola basilica, la cui vôlta è sostenuta da antiche colonne di granito, ed è situata precisamente all'angolo delle vie della Mercede e del Moretto, opposto al palazzo delle Poste.

Il Terribilini dice che, a suo tempo, era per vecchiezza abbandonata, e d'allora dicevasi anche la Madonna delle Fratte.

Era uffiziata da monaci greci, i quali vi portarono il capo di s. Giovanni, da cui prese pure il nome la vicina chiesa di ss. Dionisio e Silvestro e l'attigua piazza. Ai giorni del Terribilini, come egli narra, si vedevano ancora le cellette dei greci mansionarî della chiesa, le cui finestre, così egli, si sono scoperte nella occasione di accomodare la strada. "Abbandonata servì di fenile al card. Savelli, attorno vi era un foro nella  p296 muraglia, quale vi entravano et uscivano li ragazzi giocando a boccetta vicino alle 23 hore ed una boccetta entrando per la porta vecchia et per il buco fu cagione che si accorgessero d'una imagine della Vergine che vi era, onde fu ridotta al culto dalli padri spagnoli della Mercede". Il Terribilini ricorda pure la seguente epigrafe dell'anno 1331 che appartiene a s. Prassede. L'epigrafe accenna ad una cappella fatta edificare in quella chiesa da un tal Cecco de Petesce per l'anima sua, che dotò di duecento libbre di provvisini e di alcuni fondi, fra i quali una casa posta dicontro a quella del nostro s. Giovanni in Capite:

HIC IACET CECCHUS DE PETESCE
QUI FECIT FIERI HANC CAPPELLA
ET RELIQT DICTE CAPELLE
PRO ANIMA SUA CC LIBR PROVISINORUM
ET UNAM DOMUM CUM ORTO POSITUM
IN OPPOSITU SALVATORIS
SCI IOHANNIS IN CLIVO PLUMBEO
POST MORTEM LELLE FILIE SUE
QUORUM ANIMA REQUIESCANT IN PACE AMEN
AN. DNI MCCCXXXI MENSE IAN. DIE OCTAVO.

S. Salvatore in Clivo plumbeo (v. S. Giovanni in Capite)

S. Silvestro inter duos hortos, o Cata Pauli
(S. Silvestro in Capite)

Il libro pontificale in Paolo I (757‑767) scrive che questi edificò nella propria casa un monastero in onore dei ss. Silvestro e Stefano papi, e nella parte superiore di quello dedicò un oratorio: oraculum in superioribus quidem monasterii moeniis aedificavit,​JJJ ove con grande onore depose i due corpi dei due santi papi. Nè di ciò paga la sua divozione, entro l'ámbito del monastero costruì una chiesa, mirabile per ricchezza di marmi ed opera di musaico, ove pure depose le moltissime reliquie dei santi martiri che dagli abbandonati cimiteri avea estratte. Questa chiesa fu anche sacra alla memoria di s. Dionisio, e, come nota il suddetto libro, vi si accedeva per molti gradi.​JJJ Sembra anzi che la fabbrica anzidetta della chiesa di s. Dionisio fosse stata incominciata dal fratello ed antecessore di papa Paolo,  p297 cioè Stefano II, come leggesi negli atti delle santa Degna ed Emerita.​JJJ Il Mallio lo afferma scrivendo: intra urbem est abbatia s. Silvestri inter duos hortos quam aedificare coepit Stephanus papa sed Paulus papa explevit.​JJJ Aveva forse quel papa eretto così bella memoria al gran santo dei Franchi, onde mostrare anche la sua gratitudine verso quella nazione e verso il re Pipino; il quale, quando il papa dimorò in Francia, lo aveva ospitato nel monastero di s. Dionisio. Già Paolo I, al monastero di Roma avea unito l'altro di s. Silvestro sul monte Soratte, che avea ricevuto in dono da Pipino. Il nostro codice di Torino nessuna menzione fa di questa chiesa di s. Dionisio, che egli nella prima partita ricorda nel modo seguente: Monasterium sancti Silvestri de capite ordinis s. Clare, habet XXXVI moniales et II fratres, presso al quale nota che vi era un ospedale, il quale habet I sacerdotem. È a credere che la chiesa di s. Dionisio perdesse il suo primitivo nome quando, per le vicende dei tempi, perito l'oratorio del monastero, le reliquie dei santi Stefano e Silvestro furono nella chiesa trasferite, la quale principalmente a s. Silvestro fu dal popolo intitolata, nome che tuttora ritiene. Si disse poi inter duos hortos dalle vicine ortaglie da cui la contrada era occupata nell'età di mezzo, e si nominò anche in capite, nome che oggi ritiene, perchè già nella vicina chiesuola, detta san Giovannino, si venerava il capo creduto del Battista. Fu pure qui trasportata una delle imagini venerate in Orientale col nome di acheropite, di Edessa, per opera dei prodi Colonnesi dopo la presa di Costantinopoli. — Dell'ospedale annesso nessuna menzione ha fatto il Carletti nella sua storia della chiesa di san Silvestro, ma non è a meravigliare, poichè poverissimo è il lavoro del suddetto, il quale pretese tuttavia d'emendare e correggere la storia del Giacchetti.

Ma la denominazione più antica, benchè meno frequente, e che probabilmente è contemporanea a quella della sua fondazione, è cata Pauli:​JJJ mescolanza di due voci, greca e latina, colla quale si alludeva alla vicinanza della casa di Paolo, come fu detta cata Valilacata Galla quella di s. Andrea all'Esquilino, e come l'altra celeberrima nella via Appia. — Niccolò I, come abbiamo del libro pontificale, arricchì di preziosi doni la basilica. — Innocenzo III nel XII secolo fece risarcire la chiesa che era cadente e deserta.

 p298  Al monastero, fino dall'anno 955, era stato riconfermato dal papa Agapito II il possesso della prossima colonna antonina, e sette anni più tardi Giovanni XII rinnovava il diploma; saggio provvedimento col quale in quei tempi di orribili devastazioni, ponendoli sotto la tutela religiosa, poterono i papi salvare i grandi monumenti romani. Nel portico della chiesa si legge ancora la seguente epigrafe dell'anno 1119 sul possesso del colonna:

✠ CVM COLVPNA ANTONINI
IVRIS MONASTERII SCI SILVESTRI ET
ECCLESIA S. ANDREAE QVAM
CIRCA EAM SITA EST CVM
OBLATIONIBVS Q. IN
SVPERIORI ALTARI ET
INFERIORI A PEREGRINIS
TRIBVVNTVR LONGO IAM TEMPORE
LOCATIONE A NOSTRA FVIT ALIENATA
MONASTERIO NE IDEM CONTINGAT
AVCTORITATE PETRI APOSTOLORVM PRINCIPIS
ET STEPHANI ET DIONYSI ET CONFESSORIS
SILVESTRI MALEDICIMVS ET VINCVLO
LIGAMVS ANATHEMATIS ABBATEM ET
MONACHOS QVOSCVMQVE COLVPNAM ET ECCLESIAM
LOCARE VEL BENEFICIO DARE PRESVMPSERINT
SI QVIS EX HOMINIBVS COLVPNAM
PER VIOLENTIAM A NOSTRO MONASTERIO
SVBTRAXERIT PERPETVO MALEDICTIONIS
SICVTI SACRILEGVS ET RAPITOR ET SANCTORVM
RERVM INVASOR SVBIACEAT ET ANATHEMATIS
VINCVLO PERPETVO TENEATVR
HOC ACTVM EST AVCTORITATE EPISCOPORVM ET
CARDINALIVM ET MVLTORVM CLERICORVM
ATQVE LAICORVM QVI INTERFVERVNT PER PETRVS DEI GRATIA HVMILIS ABBAS
HVIVS SANCTI CENOBII CVM FRATRIBVS SVIS
FECIT ET CONFIRMAVIT ANNO DOMINI
MIL. CXVIIII INDICT. XII.

Nota di Thayer: la trascrizione data qui dall'Armellini non è buona. Vedere la mia foto qui sotto, sfortunatamente soltante parziale, con una trascrizione corretta.

I monachi, prima greci poi benedettini, dell'annesso monastero, vi dimorarono fino all'anno 1277. Circa quel tempo si concedette il monastero ad alcune donzelle della regola di s. Chiara raccolte dalla beata Margherita Colonna, alla quale successero molte nobili abbadesse, fra le quali nel 1321 è ricorda una palestrinese chiamata Perna. Sotto Clemente VII, minacciando rovina, fu ridotta alla forma attuale. Nel 1290 vi fu dedicato un altare a s. Pastore per testamento di Pietro della Colonna, cappellano di Niccolò IV. Dell'epoca di Innocenzo resta ancora il campanile.

 p299  Ma la chiesa, che è antichissimo titolo cardinalizio, fu in gran parte trasformata almeno nella facciata sotto il pontificato di Clemente XI; è tuttavia preceduta dal solito atrio e portichetto proprio delle antiche basiliche. Nella sagrestia vi sono degli affreschi staccati recentemente dalle pareti del monastero e posti colà per cura del governo italiano, i quali appartengono al secolo XV.

Il monastero è stato recentemente soppresso, e l'opera grandioso di Stefano e Paolo da pochi anni è stata sostituita da un fabbricato di orribile architettura, destinato ad ufficio delle Poste. Nel portico sono collocate alcune antiche iscrizioni contenenti la NOTICIA NATALICIORUM SANCTORUM HIC REQUIESCENTIUM, ricordanti le traslazioni di alcuni corpi di martiri fatte dal papa Paolo I dai cimiteri suburbani a questa chiesa. Ed ultimamente ivi si rinvenne pure il seguente frammento d'epigrafe cristiana con data consolare, proveniente dai cimiteri sotterranei, adoperata forse come lastrico nella chiesa:

HIC QUIESCIT
FICIT CUM marito
. . . .ANO . AUG . II. . . . .

Da alcuni anni, in una piccola parte dell'antico monastero, dimorano i padri pallottini inglesi, cui è stata affidata la cura di così nobile chiesa, che viene da essi mantenuta, servita ed ufficiata con quell'accuratezza e quella precisione, le quali sono un privilegio di quella nobilissima nazione.

S. Andrea inter hortos
(S. Andrea delle Fratte)

Tutta la regione situata a destra tra questa chiesa e le pendici del collis hortorum o del Pincio, si dicea nel medio evo inter hortos, ovvero infra ortos. Di qui la denominazione di una antica chiesa di s. Andrea, corrispondente circa al sito ove ancora oggi ne sorge altra, denominata s. Andrea inter hortos e talvolta anche in Pinciis.​JJJ Era già antica all'epoca del Camerlengo, cioè di Cencio Camerario, che l'annoverò fra quelle ammesse al presbiterio nella solennità dei turiboli. Nel secolo XV cominciò a chiamarsi della Fratta, come risulta dal diario dell'Infessura. Prima dello scisma di Arrigo VIII era posseduta dalla nazione scozzese; poi, dopo essere stata demolita, fu nell'area dell'antica chiesa eretta la odierna di s. Andrea delle Fratte.  p300 Innanzi però che la possedessero gli Scozzesi vi fu un monastero di monache agostiniane, di cui ho trovato menzione nei regesti di Urbano V; il quale stabilì che il cardinale di s. Maria Nuova e i suoi successori fossero in perpetuo protectores et defensores abbatissae et conventus monasterii monilaium s. Andreae deº Fractis de eodem urbe ordinis s. Augustini. Nel secolo XV si dicea ancora la chiesa ad caput domorum, denominazione rimasta alla vicina contrada di Capo le Case.

Fino all'anno 1574 fu governata da una confraternita in seguito all'abbandono fattone dagli Scozzesi. Ebbe anche attiguo un ospedale, che nel secolo XVI si chiamava per antonomasia L'ospedale, dove albergavano gratuitamente i poveri. Ora appartiene all'ordine dei frati minimi, per concessione di Sisto V con bolla 7 agosto 1585, e possedeva una rendita di 1602 scudi annui.​JJJ Fu riedificata nell'anno 1612 dal marchese Ottavio Cancellieri del Bufalo, che avea vicino alla chiesa il suo palazzo.

La nuova fabbrica rimase però in alcune parti imperfetta; così il suo campanile non fu mai intonacato, e la parte superiore della facciata venne compiuta nell'anno 1826 col danaro lasciato in testamento dal card. Consalvi. L'architettura della chiesa fu il padre Gio. Battista Guerra dell'oratorio; ma, rimasta incompiuta, fu terminata dal Borromini.

Le due statue di angeli che si vedono negli angoli dell'altar maggiore sono opera del Bernini, e furono fatte pel ponte s. Angelo; ma Clemente IX non volea che fossero poste su quella balaustrata, onde il card. padrone nepote del papa le fece porre in questa chiesa. Quivi è sepolto il celebre archeologo Gregorio Zoega, morto nel 1809; e vi pure sepolto un re del Marocco,​b convertito alla fede nel 1733 e morto in Roma nel 1739. Il secondo altare, a sinistra di chi entra, è sacro alla Vergine Immacolata e ricorda la celeberrima apparizione di Maria avvenuta nel giorno 20 gennaio 1842 all'ebreo Ratisbonne di Strasburgo. A memoria di quel prodigio vi furono poste due iscrizioncelle che ricordano il fatto.​c

Oratorio di s. Andrea e di Francesco di Paola

Dirimpetto alla chiesa esisteva fino a pochi anni fa un divoto oratorio dedicato allo stesso santo apostolo, e che sorgeva nel sito medesimo ove ra l'ospedale nazionale degli Scozzesi  p301 prima della Riforma. La confraternita che la possedeva da circa dieci anni, lo vendette e fu ridotto a privato edifizio; il pio sodalizio fu incorporato a quello detto del Divino Amore, prendendo il titolo sud insieme a quello di s. Andrea apostolo.

Ss. Re Magi

È il titolo cui è dedicata la chiesa del Collegio Urbano di Propaganda Fide e che fu edificata costruiti disegni del Borromino. Vi sono in essa cinque altari, e venne consacrata il giorno 18 aprile 1729 dal cardinal Petra del titolo di s. Onofrio prefetto della suddetta s. Congregazione. Dopo che nel 1843 il p. Marchi di venerata memoria scoprì nel cimitero il sepolcro ancora integro del martire Giacinto, qui furono trasferite quelle reliquie insieme alla epigrafe originale del venerato sepolcro, che è murata nel secondo altare a destra di chi entra. Su quel marmo si legge: DP · III · IDVS SEPTEBR — YACINTVS — MARTYR.

S. Giuseppe a Capo le Case

Questa chiesa con l'annesso monastero di Teresiane fu edificata l'anno 1598 dall'oratoriano spagnuolo Francesco Soto, coadiuvato dalla nobile e pia signora romana Fulvia Sforza. La contrada diceasi nel secolo XIV caput domorum, che è tuttora la denominazione di questa chiesa. Essendo fatiscente, fu riedificata dal cardinal Marcello Lante nel 1628. Le pitture sono opera della monaca suor Maria Eufrasia benedettina, religiosa di questo monastero: vengono lodate dal Titi.​d

Il suddetto padre Soto, avendo adunate alcune povere fanciulle in Roma in una casa col fine di collocarle nei varî monasteri della città, pensò di porle sotto la regola di s. Teresa. A tal effetto comprò varie case nel luogo suddetto che trasformò in monastero. Nel 1597 ne ottenne il breve da Clemente VIII colla facoltà di poterlo governare: a dì 14 agosto 1598 fu fatta la dedica della piccola chiesina sotto il titolo di s. Giuseppe ed entrarono nel monastero 10 monache. Per cura del fondatore, quella comunità fu posta sotto la protezione della congregazione preposta al governo di s. Giacomo degli Spagnuoli. Sulla porta della chiesa v'è un affresco di Tommaso Lucini rappresentante la fuga in Egitto.

 p302  S. Maria Riparatrice

È il titolo d'una cappella eretta circa il 1869 in via degli Artisti; è annessa alla casa delle religiose belghe di s. Maria Riparatrice.

S. Isidoro a Capo le Case

La chiesa, con l'annesso collegio di s. Isidoro a Capo le Case, fu fondata da Ottaviano Vestri di Barbiano, come apparisce da una bolla di Urbano VIII datata Tusculi anno 1625 XIII kal. nov. e diretta ai pp. Ibernesi minori osservanti riformati. Dallo Stato temporale di questa chiesa nel 1662 risulta che in quell'anno aveva sette cappelle e un'altra in sacrestia, sepolture sette, e dieci di persone particolari con le sue pietre coperte; c'è un'altra cappella di devotione nel'horto. Ebbe origine dalla canonizzazione fatta da Gregorio XV nel 1622 di cinque santi, fra i quali lo spagnuolo Isidoro. In quell'anno vennero dalla Spagna in Roma alcuni padri riformati scalzi di s. Francesco per fondarvi un ospizio pei frati loro conazionali. Infatti colle limosine del suddetto benefattore edificarono dai fondamenti questa chiesa che dedicarono a s. Isidoro. Dopo due anni però, quei frati l'abbandonarono e l'ospizio fu concesso al padre Luca Waddingo per erigervi il collegio dei frati osservanti della nazione irlandese, il quale vi fiorisce tuttora. Il disegno della facciata è di Carlo Bizzaccheri, l'interno è magnificamente adorno e vi si ammirano quadri del Maratta, ed uno del Sacchi, rappresentante s. Isidoro.

S. Maria della Concezione

Il convento annesso a questa chiesa, ove dimorano i Cappuccini, si trova nella contrada di Capo le Case. Nello Stato temporale delle chiese di Roma nel 1662 trovo la seguente relazione firmata dal cappuccino frà Giuseppe da Milano provinciale della provincia romana. "A dì 12 febbraio 1626 con Breve di Urbano VIII, da monsig. Vulpio fu dato il possesso del loco deto di s. Antonio di Padova a frati cappuccini essendo stati estinti li padri Reformati Conventuali che prima vi abitavano e pigliatone il possesso dalla Sede Apostolica, come appare con Breve spedito sotto li 10 del  p303 medesimo. A dì 16 marzo il signor Cardinal s. Onofrio cappuccino colle solite ceremonie gettò la prima pietra per la nuova fabbrica del convento che fu poi finito di edificare a spese del medemo eminentissimo. A dì 4 ottobre dell'anno medemo, papa Urbano VIII venne in persona a gettare la prima pietra della chiesa che dedicò sotto il titolo dell'Immacolata Concettione, come appare per l'indulgentia plenaria insolita che S. S. concedè in quel giorno affissa in diverse parti della Città. Indulgentia plenaria e remissione di tutti li peccati concessa dalla Santità di Nostro Signore papa Urbano VIII a chi si trovarà presente al gettare della prima pietra alla nuova chiesa della Immaculata Concettione del muo convento de Cappuccini di Roma nel dì di s. Francesco, domenica che sarrà li 4 ottobre. In Roma nella stamparia Camerale 1626.

"Nell'altare del choro detta chiesa v'ha il corpo creduto di s. Giustino filosofo e martire, donato dal medesimo sommo pontefice. Ha un campanile semplice con una sola campana chiamata Urbana da monsignor Laudi vescovo di Fossombrone, dal quale fu benedetta per ordine del medesimo pontefice. A piè degli gradini del cancello maggiore sotto di una lapide semplicissima vi sta sepolto il corpo del suddetto eminentissimo signor cardinal s. Onofrio con questa iscrizione: HIC IACET PVLVIS CINIS ET NIHIL. La chiesa vive di elemosine una sola delle quali è certa, di libbre 50 di cera per l'altare, che suol dare ogni anno la compagnia della ssm̃a Trinità di Ponte Sisto in virtù di un legato pio fatto da un nostro benefattore."

La chiesa fu edificata dal cardinale Antonio Barberini, frate cappuccino e fratello di papa Urbano VIII, il quale traslocò i suoi correligionarî in questo nuovo convento, dall'antico situato alle falde del Quirinale, presso la chiesa che oggi si chiama Santa Croce dei Lucchesi. Architetti del vasto fabbricato furono Antonio Casoni e un cappuccino di nome frà Michele. Nella prima cappella a sinistra v'ha il celebre quadro di Pietro da Cortona rappresentante la conversione di s. Paolo. Nella cappella seguente riposa il corpo di s. Felice da Cantalice. Presso l'altare maggiore v'ha il sepolcro di Alessandro Sobieski, figlio del prode re di Polonia Giovanni III, liberatore di Vienna, morto in Roma l'anno 1714. In altra cappella il Domenichino dipinse in modo mirabile l'estasi di s. Francesco. Finalmente si ammira pure in questa chiesa lo stupendo quadro di Guido Reni rappresentante il notissimo s. Michele. Nella sacrestia v'ha un ritratto di frate Elia che si attribuisce a Giunta da Pisa.

 p304  S. Giuseppe Calasanzio

È questo il titolo di una nuova chiesa che si sta costruendo dai padri delle Scuole Pie in via Sicilia nei nuovi quartieri di villa Ludovisi. Ha annesso un vasto collegio per novizî e studenti del suddetto benemerito ordine.

S. Camillo de Lellis

Al santo fondatore dei Ministri degl'infermi è dedicato quest'oratorio moderno in via Veneto nei quartieri Ludovisi. Fu aperto il giorno della Pentecoste del 1890 e benedetto dal rm̃o mons. Lenti vicegerente di Roma. Nell'oratorio vi sono due altari: il maggiore è dedicato a s. Camillo ed il minore alla ss. Vergine.

S. Francesca Romana in via Sistina

Questa chiesolina fu eretta nel 1614 dai pp. Trinitarî della redenzione degli schiavi a cura del frate Antonio Cardeto portoghese, procuratore generale dell'ordine, i cui frate dimoravano presso s. Stefano del Trullo. Presso l'altare maggiore fu posta da quei religiosi l'epigrafe:

D. O. M.
ET DIVAE FRANCISCAE
FAMILIA FRATRVM SS. TRINIT.
REDEMPTIONIS CAPTIVORVM
QVAE IN ORTV IPSO ORDINIS
A SS. ANACHORETIS IOANNE ET FELICE
DIVINO MONITV INSTITVTI
ET ADº INNOCENTIO III CONFIRMATI
AD DIVI THOMAE IN FORMIS
DEINDE PIO V PONTIFICE
AD DIVI STEPHANI IN TRVLLO CONSEDIT
DEMVM ANNVENTE PAVLO V PONT. MAX.
IN SALVBRIOREM HVNC COMMODIOREMQVE LOCVM
TRASLATA POSVIT DICAVITQVE MDCXIV
OCTAVIO CARDINALE BANDINO ORDINIS PROTECTORE.

Sotto Innocenzo XI fu restaurata con architettura di Mattia de Rossi. Il quadro della Vergine è una delle opere migliori di Francesco Cozza. Nell'annessa casa vi fu un conservatorio di povere zitelle detto della ss. Trinità. Ora la chiesa è stata restaurata e dedicata anche a s. Giovanni Nepomuceno, perchè affidata al collegio Boemo testè istituito, che ha dimora nel'attiguo convento.

 p305  S. Ildefonso e S. Tommaso di Villanova

Questa chiesolina è situata quasi dirimpetto a quella di s. Francesca romana. L'ospizio annesso fu edificato nel 1619 dai padri eremitani scalzi di Spagna e delle Indie dell'ordine di s. Agostino. Da principio era un piccolo oratorio eretto nel 1657, che fu riedificato poi più ampio dalle fondamenta con architettura del domenicano frà Giuseppe Palla. La ragione della fabbrica di detta chiesa ed ospizio fu che i sud padri di Spagna non aveano casa in Roma nè monastero nè procuratore. L'altar maggiore è dedicato alla ss. Vergine di Capracavana il cui originale è nel Perù, la copia che esiste in questa chiesa fu dipinta da Placido Siculo: alla collocazione di quell'imagine, celebrata con molta festa, concorse anche Giulo Rospigliosi, poi divenuto Clemente IX. La prima pietra fu messa il 20 settembre del 1667 da mons. Emilio Alfieri. L'altare al lato del Vangelo è dedicato ai santi titolari della chiesa: Tommaso ed Ildefonso. L'altare di fronte è sacro ai ss. Agostino e Monica. Il secondo altare, dal lato dell'Evangelio, e è consecrato alla Madonna di Guadalupe del Messico, della quale scrive il Bombelli, che questa fu la prima copia collocata in Roma, e che fu dipinta da Giovanni Correa di Murcia; l'altare opposto è dedicato alla nascita di N. S. La chiesa è ricca di stucchi. Nel 1653 in questo luogo fu eretta una congregazione di sudditi spagnuoli sotto il titolo e la protezione di Maria Vergine e di s. Filippo Neri, intitolata La Scuola di Gesù Cristo. Innocenzo XI l'approvò, ma per l'inconstanza degli uomini cessò di esistere. Nel 1809 i religiosi furono espulsi; ma vennero restituiti per istanza dell'ambasciatore spagnuolo D. Antonio Vargas, con decreto di Pio VII 2 luglio 1814. Vi dimorarono molti illustri religiosi per scienza e santità; fra questi ricorderemo p. fr. Juan de s. Jeronimo poi vescovo di Cuba, p. fr. Gabriele della Concezione, e il p. fr. Rodrigo di s. Michele. Il procuratore attuale p. Enrico Perez della s. Famiglia è degno rappresentante dell'Ordine per il suo zelo della gloria di Dio non meno che per l'amore alla sua cattolica nazione.

S. Maria dell'Idria detta di Costantinopoli

Nello Stato temporale delle chiese di Roma, l'anno 1660 di questa chiesa si registrano le cose seguenti: "Fu fondata da nationali siciliani come appare per bolla di papa Clemente VIII a 5 febbraro 1594. La chiesa ha il choro,  p306 sacrestia, campanile con due campane: ha cappelle n. 5, sepolture n. 2. La chiesa ha peso di alloghiare li pellegrini nationali per tre sere. Le cappelle sono sotto l'invocatione di s. Corrado, di s. Rosalia, di s. Francesco Saverio, e di s. Leone papa. Ha un frutto annuo di scudi 289."

Prende il nome da una imagine della ssm̃a Vergine che si dice trasportata da Costantinopoli. La confraternita dei siciliani la condusse a compimento con le elemosine di Filippo II re di Spagna. Annesso alla chiesa vi è l'oratorio della confraternita, nella cui volta è dipinta s. Rosalia, opera del pittore palermitano Gaetano Sottino.

CHIESA IGNOTA PRESSO LA VIA DEI DUE MACELLI

Nel principio della via dei Due Macelli dal lato del Tritone, sotto il nuovo casamento Ruspoli, si scoprirono nel 1889 vestigia d'una piccola chiesa od oratorio cristiano. Il ch. prof. Orazio Marucchi suppose che tali avanzi appartennessero ad una chiesa di s. Ippolito annoverata nel codice di Torino in un gruppo topografia che può convenire al luogo predetto.​JJJ Ma questa chiesa era presso s. Giovanni della Ficoccia in via de' Maroniti, quindi non può convenire a quegli avanzi la denominazione suddetta, che devesi escludere come propria di quest'oratorio di cui è perduto affatto il nome. Tra le rovine del piccolo sacello, si trovò un capitello ionico ricavato da un'antica scultura egizia ritraente un Faraone seduto in trono.

Ss. Claudio e Andrea de' Borgognoni

Sorge nella piazza omonima, fu eretta nel secolo passato dai Borgognoni in luogo di altra che essi possedevano nel medesimo fino dal secolo XVII e dedicata ai santi loro protettori s. Claudio e s. Andrea. La nuova chiesa fu riedificata con architettura del francese Derisetz, il quale architettò pure l'annesso ospizio dei suddetti Borgognoni, fondamenta a sue spese da Francesco Henry nel 1662. Nella facciata della chiesa lateralmente alla porta vi sono le statue di s. Andrea e di s. Claudio. La prima è opera del Bretton, l'altra del Grand-Jacquet. La chiesa da pochi anni è officiata dai padri dell'adorazione perpetua del ssm̃o Sacramento.

 p307 

S. Andrea de Urso

Questa chiesa fu denominata anche dell'Orsadegli Orsi, della quale, secondo Michele Lonigo nel suo manoscritto, altro non si trova se non che era nella regione di Colonna e nella festa dei turiboli riceveva sei denari di presbiterio; di che fa testimonianza il Camerario: sancto Andreae de Vrsa VI denarii (dantur). L'anonimo la chiama de Urso: de Ursa il Signorili.

Il Martinelli aggiunge qualche cosa di più, poichè dice che era unita coll'ospedale dei pazzi, il quale sappiamo prima essere stato in una casa posta in piazza Colonna vicino a santa Maria della Pietà nella piazza medesima;​JJJ chiesa detta pure san Bartolomeo de' Bergamaschi per avervi questi trasferito il loro oratorio, dopo abbandonato san Macuto. Il medesimo Martinelli crede che questa chiesa di sant'Andrea de Ursis sia quella che a' suoi giorni si diceva s. Orsola dell'ospedale.

Prese il nome, come la vicina contrada, dalla famiglia de' Boccacci di Orso, i quali dimoravano presso la chiesa.

S. Maria della PIETÀ

È il titolo della chiesuola che sorge sulla magnifica piazza Collocata a fianco del palazzo dei signori Ferrajoli; fu chiamata della Pietà perchè era congiunta all'ospedale detto dei pazzarelli, fondato in Roma l'anno 1548 dallo spagnuolo D. Ferrante Ruiz. Quell'ospedale vi rimase fino ai tempi di Benedetto XIII, il quale ne fece edificare uno assai più vasto presso porta s. Spirito sul principio della via detta Lungara.

La fronte dell'antica cappella non guardava in origine la piazza Colonna, bensì quella vicina detta di Pietra. Rimosso l'ospedale, il suddetto papa concesse alla compagnia dei Bergamaschi esercenti in Roma la mercatura, la chiesetta e l'annesso edifizio. Quella lasciò allora la chiesuola di s. Macuto, ove si radunava sotto il patronato dei ss. Vincenzo ed Alessandro. I Bergamaschi riedificarono la chiesuola e trasformarono l'antico manicomio in ospedale per gl'infermi della loro nazione diviso in tre vaste sale o corsie. Da quell'epoca la chiesa cominciò a chiamarsi dei santi Vincenzo, Alessandro e Bartolomeo, ma ora è più comunemente conosciuta col nome della Pietà, dalla ima della Vergine che ivi si venera per la quale il popolo romano ha una speciale devzione. Questa imagine fu  p308 portata da Subiaco e la possedeva una pia vedova assai stimata per le sue virtù da s. Leonardo da Porto Maurizio. Ivi era una cappella dedicata alle sante Caterina ed Orsola ottenuta da una confraternita erettavi nel 1599, che prese il nome dalle dette sante e che si chiamava anche la confraternita di s. Orsola dei pazzarelli. Avea prossime le chiese di s. Andrea de Ursis e di s. Paolo della Colonna. Qui è sepolto il celebre cardinale archeologo Alessandro Furietti.

S. Stefano del Trullo

Dovette essere questa chiesa sormontata da una volta sferica a forma di cupola, nella bassa latinità chiamata trullus, da cui prese il nome; ed infatti è così chiamata dall'anonimo e dal Signorili. Il manoscritto del Sodo (pag. 324), riportato dal Terribilini, dice che stava vicino al portico supposto di Antonino Pio (Poseidonio) in piazza di Pietra; ebbe pure il titolo di s. Giuliano, giacchè il manoscritto chigiano afferma che questa chiesa fu gai detta s. Giuliano del Truglio, e ritenne questo nome fino all'anno 1614. Certo si è che ai tempi del Martinelli esisteva in piazza di Pietra una chiesa di s. Stefano del Trullo, allora detta comunemente s. Giuliano.​JJJ Scrive il Bruzio che stava presso il portico di Antonino (tempio di Nettuno) e che era dei padri Trinitarî della Redenzione degli schiavi. L'anno 1624 l'università degli albergatori di Roma ai 15 di luglio la comprò dai frati di s. Francesco di Paola a cui era passta al prezzo di scudi 1614, come da istromento del Pacichello notaio capitolino. Quell'università vi rifece l'altare di s. Giuliano, le scale, il soffitto spendendovi oltre a scudi 450. La detta università ne condivise l'uso con quella degli osti colla quale poi ebbe litigî nel 1638. Questa fu obbligata a pagare alla prima scudi 1000 con parte dei quali furono fatti due quadri per la chiesa rappresentanti la santa Vergine fra i ss. Martino e Giuliano, ed un altro colle imagini dei ss. Stefano e Carlo. Fu demolita ai tempi di Alessandro VII.

L'Adinolfi dice che questa chiesa sorgeva nel sito medesimo ove è ora quella dei ss. Bartolomeo ed Alessandro dei Bergamaschi.​JJJ Ebbe la sua facciata sulla piazza suddetta ed era lunga 34 palmi e larga 60. È ricordata fin dal tempo di Cencio fra quelle che ricevevano i sei denari nella festa dei turiboli. Da s. Pio V fu unita nel dritto parrocchiale a s. Maria in Aquiro, e con quella di s. Andrea dell'Orso all'ospedale di  p309 s. Maria dei poveri forestieri e pazzi. Il Suarez​JJJ dice che al suo tempo si chiamava di s. Giuliano e che vi era il sepolcro del Baroncelli, secondo tribuno dopo Cola di Rienzo, colla sua effigie in abito senatorio e con questa epigrafe:

CONTINET HAEC OSSA FRANCISCI CONDITA FOSSA
STIRPE BARONCELLI VRBISQVE SCRIBA SENATVS
RECTOR ROMANORVMQVE CONSVL TRIBVNVSQVE SECVNDVS
PAPA CONFIRMAVIT OPVS POPVLVSQVE CREAVIT
ANNIS MILLENIS TRECENTIS BISQVE VICENIS
QVINDECIM A XRO MVNDO MIGRAVIT AB ISTO
APRILIS MENSE FVIT ISTA CONDITVS AEDE
VLTIMO TRANSACTO SANCTO SIC FINE PERACTO.

Il marmo, poi spezzato, fu adoperato nel restauro di un altare della chiesa medesima. Il Galletti​JJJ narra che ai 22 luglio del 1414 Domenico Palozi, ucciso nella vicina piazza Colonna, sepultus est in ecclesia s. Stephani del Trullo con modico honore. Quivi era la sepoltura gentilizia della nobile famiglia romana de Iacobatis, e fra molte epigrafi si leggeva la seguente:

HIC REQVIESCIT STRENVVS DVCTOR EQVIRVM NOBILIS
NICOLAVS GAYFVDII BONTII IACOBACCI OLIM
DE AVINNIS PATER DNI LVCII VIXIT
ANNOS LXV OBIIT ANNO MCCCI MENSIS NOV
EMBRIS.

La casa degli Iacobacci era congiunta alla chiesa medesima. V'era anche il sepolcro d'una Andreozza della non meno nobile famiglia de' Normanni, oggi estinta:

HIC IACET NOBILIS DONNA ANDREOTIA
DE NORMANDIS VXOR NOBILIS DNI
DOMINI LAVRENTII IACOBACCI DE
FRANCISCHIS VIXIT ANNOS LI OBIIT
NON. SEPTEMBRIS ANNO DNI MCCCXXV.

Vi fu anche sepolto Veneraniero de' Veneranieri, sulla tomba del quale si leggeva l'epitaffio:

HIC IACET CORPUS NOBILIS VIRI
VENERANIERI DE VENERANIERIS ET
UXORIS EIUS DOMINE THEDALINE DE
THEDALINIS AC FILIORUM SUORUM
QUI OBIIT ANNO DOMINI MCCCCLXXVII

 p310  Nel codice di Torino è notato che la nostra chiesa habet sacerdotem et clericum. Nel catalogo di Pio V è detta s. Stefano del Trullo in rione di Colonna. Era parrocchiale e dipendente dalla collegiata di s. Marcello.

Ss. Martino e Giuliano (v. S. Stefano del Trullo)

S. Niccolò de Forbitoribus o de Servitoriis

Questa chiesa era presso la piazza attuale di s. Ignazio e fu dedicata anche a s. Antonio. Fu detta de forbitoribus o perchè in quella contrada erano le botteghe di color che esercitavano quel mestiere, o perchè una fratellanza di questi vi teneva i suoi pii esercizî. L'anno 1566, sotto Pio V, fu affidata ai monaci camaldolesi che vi vennero in quell'anno. Quei religiosi la restaurarono dalle fondamenta e la dedicarono a s. Antonio abate. In un manoscritto dell'archivio secreto della S. Sede in Vaticano ho trovato su questa chiesolina le seguenti non dispregevoli notizie:​JJJ

"Li detti camaldolesi la ristorarono e la dedicarono a s. Antonio lassando però ivi un altare di s. Niccolò e vi faceano festa con indulgentia plenaria nei giorni di s. Niccolò, di s. Antonio e di s. Romualdo e vi erano delle reliquie di s. Antonina vergine e martire.

"Havea rivolta la facciata che era di mattoni con alcune colonne piane di travertino verso la piazza della Rotonda, con le effigie dipinte di qua e di là della porta (che era una sola e vi si salivano quattro scalini) di s. Niccolò vescovo da man destra, e di s. Antonio abate da sinistra, e sopra la porta l'arme di marmo di Gregorio XIII. Non era molto ampla; havea una sola campana e vicino era la sagrestia e l'habitatione per li monaci, che son di quelli di s. Gregorio al monte Celio, assai comoda; e vicino alla porta era nel muro l'imagine di Maria Vergine e di s. Romualdo. Nel 1631 a dì 16 di marzo fu gettata tutta a terra per cagione della fabrica dei gesuiti (Collegio Romano) et essi monaci andarono ad habitare in una habitatione nel vicolo del Piombo tra la piazza di s. Marco e di ss. Apostoli fabricandovi una chiesa et ospizio in honore di s. Romualdo nel 1632.

 p311  Il sito di questa chiesa era dove è adesso la cantonata dove è l'imagine della Madonna, di s. Ignazio e Francesco Saverio per andare all'oratorio della compagnia di Gesù di detto s. Francesco Saverio. Vi fu sepolto nell'anno 1362 Angelotto con questo epitaffio da me copito nel 1625:

† HIC IACET ANGELOTTUS VIR PRUDENS ET DOCTUS
QUI ON DEFENSIONEM REPUBLICAE APUD PONTEM
SALARIUM A BRETONIBUS FUIT MORTUUS ANNO D.
MCCCXXVIII DIE XVI MENSIS IULII INDICTIONE
PRIMA CUIUS ANIMA REQUIESCAT IN PACE AMEN."

Questi è il famoso Angelotto che combattè contro i cavalieri Brettoni a porta Salaraº per sostenere l'antipapa Clemente VII. Il Galletti ricorda un altro epitaffio di quella chiesa di un tal Rogerus de Tosetis de regione Columnae sepultus in ecclesia s. Nicolai de forbitoribus ai 10 di decembre dell'anno 1409.

Il Sodo dice che la chiesuola era vicina alle guglia di s. Macuto; e il Mittarelli afferma che nel 1632 i Camaldolesi celebrarono la loro dieta in monasterio s. Nicolai de Forbitoribus, che egli dice situato precisamente ove era la spezieria del Collegio romano.

In un documento del tempo di Urbano V è chiamata s. Niccolò de Servitoriis: Concessio pro Ioanne Tutii Butii Petri Pauli rectore parroch. eccl. s. Nicolai de Servitoriis de urbe quod collectio sibi facta per Iacobum episc. Aretinum de eadem ecclesia valeat non obstante quod litere apostolice super commissione tradita eodem episc. conferendi sibi dictam ecclesiam expedite non estitissent.​JJJ

L'Adinolfi pone questa chiesetta dirimpetto all'oratorio del Caravita,​JJJ e dice che si chiamò anche del Fervitore o Ianitoris.

La chiesa esisteva fino dall'epoca del Camerario; come le altre fu parrocchiale e nel suo cimitero furono sepolti molti di famiglie illustri: il citato scrittore vi ricorda alcuni degli Albertini, dei Normanni, dei Marcellini, dei Coppoli ecc. Accanto alla chiesa era il campanile che venne fulminato nel 1o di settembre del 1405, come ricorda l'Infessura.

 p312 

S. Andrea della Colonna

Dalla celeberrima colonna coclide di Marco Aurelio ebbe il nome nel medio evo tutta una contrada o regione della città adiacente alla medesima, da non confondersi col rione omonimo. La odierna piazza Colonna nel secolo XV diceasi però piazza de' Cancellieri del Bufalo, dalla nobilissima famiglia che ivi avea il suo palazzo.​JJJ Non lontano dalla colonna suddetta sorgeva una grande chiesa dedicata a s. Andrea apostolo e che fu fatta demolire da Sisto V per dare alla piazza una forma più regolare. Di questa chiesasi fa menzione fino dall'anno 956, perchè Agapito II con sua bolla confermò il possesso della medesima insieme a quello della Colonna al monastero di s. Silvestro in capite. Avea nel secolo XV tre altari: il maggiore era dedicato all'apostolo titolare, dei due laterali uno a s. Giovanni apostolo, l'altro alla Concezione Immacolata della Vergine.​JJJ Vi furono sepolti molti di casa Cancellieri del Bufalo.

Il Giacchetti ricorda che l'anno 1623 presso la colonna furono trovate le ossa dei morti che erano stati sepolti nel cimitero annesso alla chiesa. Allorchè Sisto V fece demolire la chiesa, ordinò che in s. Maria in Via fosse dato ai Cancellieri del Bufalo un luogo per una cappella dedicata allo stesso s. Andrea in sostituzione di questa e del loro patronato sopra la chiesa.

S. Paolo della Colonna

Una chiesolina dedicata all'apostolo delle genti fu eretta nel 1596 dai pp. Barnabiti presso la colonna antonina. Il cardinale Aldobrandini ebbe in animo di riedificarla con più vaste proporzioni.​JJJ Ma un incendio la distrusse del tutto nel 1617.​JJJ Poco dopo fu riedificata, finchè fu distrutta per la fabbrica del palazzo Chigi. In quella chiesa tenne le sue prime adunanze un'associazione formatasi nel secolo XVI, composta di distinti cittadini. Questi vi si raccoglievano nei giorni festivi, e dopo recitato l'ufficio ed ascoltata la messa, si occupavano di ascoltar  p313 vedove, pupilli, minori, orfani sopra gli aggravi che potessero ricevere dai ricchi e dai prepotenti.

Quest'associazione nel 1616 era di già eretta in confraternita composta di persone dabbene d'ambo i sessi sotto l'invocazione dell'Immacolata Concezione di M. V. e di s. Ivo. Nel 1659, trasferiti i Barnabiti da questa chiesuola a s. Biagio dell'anello, vi si trasferì colà la detta confraternita, cui fu concesso l'uso libero ed assoluto dell'oratorio entro il convento dei suddetti padri.

S. Croce a Montecitorio

La piazza oggi detta Monte Citorio, ove è il palazzo della Curia Innocenziana, nell'ultimo medio evo diceasi Acceptabilis, Monte Acceptoro, Monte Acceptolo. Ai tempi d'Innocenzo VIII il luogo si chiamava Mons Acetoris, o Mons Aceeptorum, Mons-Citatorius e all'epoca del Camerario Citellus. È una collina artificiale formata da ruine d'antichi edifizî, sui quali i Colonnesi edificarono uno dei loro fortilizî.

In un diario inedito del Terribilini, che ho pubblicato testè nella mia Cronachetta,​JJJ leggo le seguenti notizie sulla chiesa di S. Croce: "Ho saputo che dove ora è il cortile de' Paperozzi presso mci nella strada de' Notari, passata la Guardiola dei birri e quella dei Cursori, a destra al primo portone, ivi era il claustro del monastero delle monache di s. Croce trasferite a s. Bernardino sotto Innocenzo XII che vi pose i notari." In altro documento dell'archivio vaticano che contiene notizie dell'anno 1632 addì 30 febbraio in giorno di sabato, è notato: Il papa ordina che sia licenza a Maria Paleologa di nazione greca di poter entrare nel monastero di s. Croce di Monte Citorio, vestendo con abito di saia beretina conforme all'uso delle monache, mentre promette e si obliga di starci sempre et vivere con quella modestia che si conviene et faccia al monastero donatione che ha offerto di cinquecento scuti.

Quella chiesa fu restaurata dal papa s. Pio V. Il Terribilini ricorda che vi abitavano monache poverissime dette le Perugine, le quali erano francescane e che piccolissima era la loro chiesa.​JJJ Di questa chiesa si veggono ancora gli avanzi entro la casa di proprietà Sarmiento nella strada degli Ufficî del Vicario.

 p314  S. Biagio de Monte ovvero de Hortis

Tale è l'appellazione che l'anonimo di Torino dà ad una chiesa di s. Biagio: Ecclesia sancti Blasii de monte, e che questo monte sia il Citorio, risulta dalla vicinanza delle chiese di quel luogo fra le quali è annoverata la nostra. Anche il Signorili, benchè assai corrottamente, la ricorda col nome "de monte octeto". A quell'epoca dovea essere quasi abbandonata, giacchè egli la pone nel catalogo delle chiese quasi deserte "ignotae et sine clericis." Poi rifiorì ai tempi di Michele Lonigo e di Martinelli, nei quali esisteva ancora nel Monte Citorio, affidata ai paddri Somaschi. Sembra che fosse pure appellata degli orti, i quali dovevano coprire quella collina nell'età di mezzo. Così trovo nel manoscritto del Sodo riferito dal Terribilini nei suoi appunti: La chiesa di s. Biagio degli orti è una chiesa parrocchiale al monte Citorio. La chiesa era precisamente nell'area del cortile della Curia innocenziana, oggi aula parlamentare. Fu data in enfiteusi perpetua ai chierici regolari Somaschi della compagnia dei ss. Ambrogio e Carlo come per gli atti del notaio Curti rogati i 26 maggio del 1573. Innanzi alla chiesolina, che fu demolita nel 1695, era situato il palazzo del card. Gaddi. La famiglia Ciampone vi possedè una cappella.​JJJ La chiesa, nel 1660, viene così descritta in un documento degli archivî della Santa Sede: "Ha un coretto di sopra con organo, ha cinque altari, campanile con due campane, tre sepolture con cimitero. Ha annessa la cura d'anime, in tutto contiene case 66 e detta parrocchia fu data nell'istessa concessione della chiesa: possiede una rendita annua di scudi 1165,19."

SANTISSIMA TRINITÀ

Nella relazione della visita apostolica sotto Alessandro VII l'anno 1660,​JJJ di questa chiesa e del'annessa casa dei Signori della Missione si legge: "a congregazione della Missione fu nell'anno 1624 eretta in Parigi con autorità di quell'arcivescovo: nel 1632 fu approvata dalla Sede Apostolica con bolla di Urbano VIII, e nel 1655 è stata confermata da Alessandro VII. Questa casa di Roma è composta di 16 soggetti,  p315 10 sacerdoti, 2 diaconi e 4 fratelli laici. Per suo mantenimento prende da Francia con lettera di cambio 390 scudi ogni tre mesi che sono 1560 scudi l'anno, dei quali paga 212 scudi ogni anno per l'interessi di scudi 5400 che li rimangono a pagare per la compra della casa che comprò li anni adietro dal signor cardinale De Bagni."

Annessa alla relazione suddetta vi è una supplica di un tal marchese Palombara, la quale, per la sua curiosità, merita di essere riferita: "Il marchese Palombara prostrato ai piedi della Santità Vostra con nove figlioli li espone come da un mese e mezzo fa li fu proibito dal cardinale Ginnetti che non si giuocasse più a boccia in un suo pallottolaio ad istanza dei Preti della Missione, e perchè in detto giuoco sono da 15 anni incirca che vi si è giuocato del continuo, et fu fabbricato a questo effetto con spesa di 600 scudi si supplica la Santità Vostra che con la solita sua pietà si compiaccia di compatire il povero oratore che con il peso di 9 figlioli patisce privo di quest'entrata, tanto più che detti Preti sono da 7 mesi che sono venuti ad habitare vicino a detto gioco il quale gli era molto ben noto,​e che se lo vogliono per la medema pigione che l'oratore l'affitta di presente, è disposto a darcelo."

La chiesa fu edificata insieme al convento circa il 1642 da Maria de Vignerod duchessa di Aiguillon.​f Nel principio del secolo XVIII fu riedificata; ed il card. Lanfredini, che all'uopo sopperì il denaro, nel 1741 vi fu sepolto. Il disegno è del Della Torre, sacerdote di quella congregazione. Fu consacrata il 14 luglio 1743 da Ferdinando Maria de Rossi arcivescovo di Tarso, vicegerente. Vi abitarono un tempo le monache di s. Chiara.

S. Salvatore in Aquiro

È una chiesa antichissima nominata nel catalogo del Camerario. Il Martinelli la pone presso quella di s. Maria di simile denominazione; ma ne è perito ogni vestigio.

S. Maria in Aquiro

Questa nobile chiesa è posta nella piazza Capranica. Il Libro pontificale ricorda la diaconia di s. Maria in Aquiro, che allora dicevasi in Cyro, come abbiamo in Gregorio III: Item basilicam sanctae Dei Genitricis quae in Cyro dicitur, in qua antea diaconia et arvum oratorium fuit: a fundamentis longiorem et latiorem construxit atque depinxit; ed in Leone III: Et diaconia sanctae Mariae in Cyro fecit coronam ex argento pensantem libras  p316 VIII; ed in Gregorio IV: Immo et diaconia quae vocatur Cyro simili modo obtulit vestem de fundato. L'etimologio però di questo vocabolo è oscurissima; alcuni attribuiscono l'edificazione della chiesa al papa Anastasio I (a. 398‑402).​JJJ Il Terribilini crede che la chiesa fosse anche sacra a s. Elisabetta.

Ebbe forma basilicale con tre navi sostenute da due file di colonne, e mantenne il suo tipo fino alla riedificazione fattane nell'anno 1590 dal card. Salviati, benchè l'antica fosse assai più piccola dell'odierna. Il suo raciprete, nel secolo XI, ebbe molti privilegî; fra questi è da ricordare quello di offrire al papa, appena smontato dalla mula nel campo lateranense il sabato in albis, una corona ed un gallo. Vi ebbero sepoltura gli Acorari, i Marcellini, i de Celle, i de Aquila ed altri. La chiesa fu restaurata sotto Pio IX. La facciata venne innalzata nel secolo passato costruiti disegni di Pietro Camporese.

CAPPELLA DI S. AGNESE NELL'ALMO COLLEGIO CAPRANICA

Il card. Domenico Capranica (1400‑1457) nelle sue costituzioni del collegio, che dalla sua famiglia s'intitola, così si esprime sul culto che vuole sia prestato dai suoi alunni alla vergine e martire s. Agnese: Volumus et mandamus ut cappella, quam sub invocatione s. Agnetis v. et m. quondam, ut asseritur, primo in Urbe constructam . . . . in eisdem (domibus nostris, in quibus habitamus) domibus reparari et ordinari fecimus . . . manens cappella si trova dicti collegii ecc. V'era dunque fino dal tempo del card. Capranica tradizione che la cappella esistente nella torre del suo palazzo, nel pianterreno del fabbricato tra la piazza Capranica e il vicolo omonimo, dedicata già a s. Agnese, fosse il primo oratorio innalzato alla santa martire in Roma. Qual sia la ragione dell'essere stato eretto in tal luogo quell'oratorio puossi arguire dalla tradizione non dispregevole che in quell'area sorgesse la casa patrizia della santa, la quale sarebbe stata nel Campo Marzio, non molto lontana dal luogo d'infamia ove fu condotta la verginella.

S. Maria Rusticellae

Così chiamavasi una cappelluccia presso piazza di Pietra nel luogo detto ad aculea Sammaut, nome col quale alcuni documenti del secolo XIV appellavano l'obelisco (guglia) di s. Macuto.

 p317 

S. Maria della Concezione

Afferma il Terribilini che vicino a Montecitorio sorgeva nel secolo XVI una chiesolina col titolo di s. Maria della Concezione, alla quale era pure annesso un monastero.

S. Maria delle Vergini

Un'altra chiesolina dedicata alla ssm̃a Vergine sorgeva nella piazza di Pietra, a cui era annesso un monastero detto delle vergini, ove ebbe origine l'ospizio degli organi.​JJJ Forse è quello il monastero che chiamavasi della Presentazione, eretto nel 1650 a spese di Dorotea Bonfiglioli. Il monastero suddetto sorgeva fra le ruine del tempio di Nettuno, di cui rimane nell'odierna piazza di Pietra il portico del lato destro. La fondatrice lo dotò con 10,000 scudi, ma vi pose per condizione che non vi potessero entrare se non zitelle dei Santi Quattro.

S. Macuto

Questa antichissima chiesolina sorge tuttora, benchè più volte riedificata presso la piazza di s. Ignazio. Nella piazzetta che le si apriva innanzi, su rozza base sorgeva il piccolo obelisco che Clemente XI pose nella piazza della Rotonda sulla monumentale fontana che vi costruì. Sosteneva nel suo piramidion un globo che il volgo diceva contenesse le ceneri di Giulio Cesare e che corrottamente chiamava, mutilando il nome della chiesa, la guglia di mammautte. La chiesolina è ricordata fin dall'epoca del Camerario e si trova nei cataloghi di Torino e in quello del Signorili. Era a tre navi ed aveva la sua tribuna nel fondo, dietro la quale si apriva un piccolo cimitero. Fu parrocchiale, e vi furono sepolti alcuni delle famiglie dei Simio, degli Alzatelli, dei Marroni, della Ronca, del Giudice. Leone X dette la chiesa, che era sotto la giurisdizione di s. Marcello, al capitolo vaticano; questo la concesse nel 1538 alla confraternita dei Bergamaschi. Fu riedificata nel principio del secolo XVII con architettura di Onorio Longhi; è annessa all'antico palazzo Borromeo, oggi Università Gregoriana dei pp. Gesuiti.

 p318  S. Maria Maddalena
(Maddalena)

È la più antica chiesa che sorga in Roma, dedicata a questa santa. Il sacro edifizio già esisteva nel 1403 e dava il nome fin da quell'epoca alla vicina contrada che allora, come oggi, diceasi della Maddalena. Le sorgeva vicino l'arco della Pietà, contiguo alla casa di Andreozzo de Grattoli; quel'arco era un antico fornice creduto di Traiano, detto forse della Pietà perchè situato a poca distanza dal primitivo Monte dei pegni. Alla chiesa era annesso un ospedale detto dei Battensi. Nel secolo XVI era piccola e rovinosa, e fu concessa a s. Camillo de Lellalla chiesa dall'arciconfraternita del Gonfalone che se ne supponeva proprietaria con rogito di Evangelista Ceccarelli, notaio della medesima arciconfraternita, dei 22 dicembre 1586. Gregorio XV dismembrò la chiesa dall'arciconfraternita, liberandola da ogni peso con pagare alla medesima scudi 1400. La chiesa fu riedificata di pianta dai pp. Ministri degli Infermi, i quali, a proprie spese, rifecero la piazza che le si apre innanzi. Venne incominciata ad edificare dall'architetto Antonio de Rossi e compiuta sotto Innocenzo XII da Carlo Quadrio. Giuseppe Sardi eresse la bizzarrissima facciata. Ivi riposa il corpo di s. Camillo de Lellis, di cui nel vicino convento dei pp. Ministri degli Infermi si venera la stanza, trasformata in divotissima cappella.


Note di Thayer:

epigrafe dell'anno 1119 sul possesso del colonna: Trovo fra le mie foto una da cui si può estrarre una lettura parziale dell'iscrizione. Basta per far vedere che la trascrizione dell'epigrafe è molto poco accurata:


[ALT dell'immagine: Una targa rettangolare con visibili nove righe di lettere maiuscole. L'iscrizione è trascritta e tradotta nel testo della pagina.]

✠ QVAM COLVMPNA ANTONINI

IVRIS MONASTERII SANCTI SILVESTRI ET

ECCLESIA S. ANDREE Q CIRCA EAM

SITA EST CVM OBLATIONIBVS Q.

IN SVPERIORI ALTARI ET INFE

RIORI A PEREGRINIS TRIBVVN

TVR LONGO IAM TEMPORE LOCATIONE

A NOSTRO FVIT ALIENATA

MONASTERIO NE IDEM CONTINGAT AVCTORITATE

. . .

Sospetto che l'Armellini abbia preso la sua trascrizione da qualche altro scrittore; non soltanto in questo caso, ma anche in molti altri.

re del Marocco: Sbaglia probabilmente l'Armellini, ma negli imbrogli della casa reale marocchina dopo la morte del gran Moulay Ismael, la cosa è facilissima: si tratta di Moulay abd-er‑Rahman, che mai fu re del Marocco, ma soltanto nipote di un re. Da 1727 (o 1728, o 1729) alla sua morte nel 1759, il re, o per dir meglio, il sultano, era Moulay Abdallah, che però fu deposto da quattro a sei volte secondo i pareri.

22 marzo 1727 Morte di Moulay Ismael dopo un regno di 55 anni.
1727 Moulay Ahmed ed‑Dhahabi, l'erede legitimo, divenne re. (Invece, si data talvolta dal 1727 il regno di Moulay Abdallah, qui sotto.)
1727 Moulay Ahmed ed‑Dhahabi deposto dal fratellastro Moulay Abd‑el‑Malik.
1728 Moulay Abd-el‑Malik deposto; Moulay Ahmed ed‑Dhahabi divenne re di nuovo.
1729 Morte di Moulay Ahmed ed‑Dhahabi; il fratellastro Moulay Abdallah divenne re.
1735 Moulay Abdallah deposto dal fratellastro Moulay Ali el‑Araj.
1736 Moulay Ali el‑Araj deposto; Moulay Abdallah divenne re di nuovo.
1736 Moulay Abdallah deposto dal fratellastro Sidi Mohammed.
1738 Sidi Mohammed deposto; Moulay Abdallah divenne re di nuovo.
1740 Moulay Abdallah deposto dal fratellastro Moulay el‑Moustadi.
1745 Moulay el‑Moustadi deposto; Moulay Abdallah divenne re di nuovo.
1745 Moulay Abdallah deposto dal fratellastro Moulay Zein el‑Abdin.
1745 Moulay Zein el‑Abdin deposto; Moulay Abdallah divenne re di nuovo.
1757 Morte di Moulay Abdallah.

Non conosco ancora più oltre i dettagli di tutte queste rivoluzioni di palazzo, ma se veramente fosse re, nostro Moulay abd‑er-Rahman non potrebb'essere altro che Moulay Abd-el‑Malik sotto un'altro nome: in quel caso sarebbe stato sultano del Marocco per alcuni mesi, cioè una specie di antipapa; è logico che venisse a Roma . . .

Checchè sia di ciò, Moulay abd‑er-Rahman fu battezzato, sotto il nome di Lorenzo Bartolomeo, dal nipote di papa Clemente XII. La sua tomba si vede tuttora nella chiesa.

apparizione di Maria all'ebreo Ratisbonne di Strasburgo: di nome Alphonse. Il fratello Théodore Ratisbonne lo aveva preceduto nella conversione al cattolicesimo; fondò la Congregazione di Nostra Signora di Sion, che tuttora esiste (si veda loro sito).

vengono lodate dal Titi: Nell'ultima edizione del Titi, rivista da Giovanni Bottari nel 1763, non esattamente. . . . S.v. s. Giuseppe a Capo alle Case, il testo introduce così la sua descrizione delle pitture: "vi sono pitture, non tanto da considerarsi per la loro bontà, quanto da ammirarsi per averle fatte suor Maria Eufrasia Benedetti, monaca pittrice." La scheda del Titi è in Rete qui.

e Il passo mi ha rammentato immediatamente i liti a proposito dell'aeroporto di Chicago la mia città: pure sapendo che gli aerei fanno rumore, tanta gente è venuta abitare accanto all'aeroporto di O'Hare perchè era comodo — e ora si rimpiange che . . . ci sia rumore di aerei . . . .

Maria de Vignerod duchessa di Aiguillon: L'Armellini ha VignardAuguillon, semplici errori di stampa. Si tratta di Marie-Madeleine de Vignerod de Combalet, duchessa di Aiguillon (1604‑1675), devotissima nipote del cardinale Richelieu, che portò aiuto a molte fondazioni religiose, tanto a Roma quanto a Marsiglia, nel Canada, ecc. Ciò detto, aveva un certo senso dell'umore: si veda questo passo dei Mémoires della Grande Mademoiselle.


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