URL breve per questa pagina:
bit.ly/2ARMCHIEsquilino


[ALT dell'immagine: Una gran parte del mio sito è inutile se tenete escluse le immagini!]
mail: William Thayer [Link to an English help page]
English

[ALT dell'immagine: Link ad un'altra pagina di questo sito]
Aiuto
[Collegamento al livello immediatamente superiore]
A monte

[ALT dell'immagine: Link alla pagina principale del sito]
Home
indietro:

[ALT dell'immagine: (link alla precedente sezione)]
R. Borgo (2)
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

[ALT dell'immagine: (link alla seguente sezione)]
Appendice

 p795  RIONE ESQUILINO

S. Croce in Gerusalemme

Ad Elena Augusta, madre di Costantino, si deve la edificazione della basilica di s. Croce in Gerusalemme. Restano ancora presso la basilica le rovine del Palatium Sessorianum che fu certamente una proprietà imperiale e da cui la vicina porta, oggi chiamata Maggiore, fu appellata nei secoli più antichi porta Sessoriana. Il nome di s. Croce fu aggiunto alla chiesa dopo il secolo IV, poichè in quel secolo diceasi Sancta Hierusalem. Fino da tempi assai antichi, nella domenica quadragesimale detta Laetare, v'era la stazione, nel qual giorno il papa, fra le cerimonie prescritte, teneva nelle mani la rosa d'oro, colla quale si voleva simboleggiare le gioie del celeste giardino nella mistica Gerusalemme.

Fra le monumentali epigrafi di quella basilica che da più secoli sono perdute, è da ricordare quella postavi nel 425 da Placidia con Valentiniano III ed Onoria suoi figliuoli, che terminava con le parole VOTVM SOLVERVNT; simile a quella che la medesima Placidia, a nome suo e dei figliuoli, dedicò in Ravenna a s. Giovanni Evangelista, chiudendola colla formola VOTVM SOLVIT. S. Elena presso il palazzo imperiale, chiamato forse dalle concistoriali adunanze Sessorium, edificò una cappella nella quale depose papa della s. Croce da lei rinvenuta nel luogo del Calvario; perciò nell'anno 433, ai tempi di Sisto III, era appellata Basilica Heleniana.

 p796  E veramente due monumentali iscrizioni trovate presso la basilica ricordano la madre di Costantino; la prima mutila fu scoperta fra i ruderi esistenti nella vigna adiacente alla basilica, ed oggi si legge nella sala a crocegreca del museo vaticano, benchè malamente risarcita e supplita.

Il testo dell'epigrafe è il seguente:

D . N . ELENA . . VIA . . . VG . MAT . . .
AVIA . . . BEATIS . . . . . . . . . . . . . .
THERM . . . . . . . . . . . . . . ESTRV . .

L'altra epigrafe è scolpita in una base che sosteneva la statua della augusta imperatrice, presso la cappella inferiore detta di s. Elena:

DOMINAE NOSTRAE FL . IVL
HELENAE PISSINAE . AVG
GENETRICI . D . N . COSTANº
TINI . MAXIMI . VICTORIS
CLEMENTISSIMI . SEMPER
AVGVSTI . AVIAE CONSTAN
TINI . ET CONSTANTI . BEATIS
SIMORVM . AC . FLORENTIS
SIMORVM MAXIMILIANVS . V . C . COMES
PIETATI EIVS SEMPER DICATIS.

Questo monumento non sembra posteriore all'anno 327 allorchè Costantino, morto Crispo, si allontanò da Roma, che è l'anno medesimo in cui s. Elena, andata a venerare i luoghi santi onde trovare un sollievo alla morte del suo nipote ingiustamente spento dal padre e da lei compianto, scoprì la chiama di Gesù Cristo.

Il magno Gregorio dichiarò la basilica titolo presbiterale in luogo di quello distrutto di s. Nicomede. L'anno 720, essendone caduto il tetto, fu di nuovo risarcita dal papa Gregorio II, come narra il Libro pontificale. Benedetto VII alla fine del secolo X, cioè nel 975, costrusse presso la chiesa il monastero, come abbiamo da un'iscrizione esistente ancora nella medesima. Leone IX, circa l'anno 1050, diè il monastero a Richerio abate di Monte Cassino; ma poco dopo, nel 1062 Alessandro II sostituì a quei monaci i canonici regolari della congregazione di s. Frediano di Lucca, trasportando i Benedettini nel grande monastero in Pallara sul Palatino.

 p797  I monaci suddetti dimorarono nel monastero di s. Croce per 270 anni, godendo il privilegio di scegliere dalla loro congregazione il titolare della basilica. Lucio II intraprese grandi opere di restauro alla medesima, che furono compiute dal suo successore Eugenio III. Il grande Innocenzo III, come ricorda il Martinelli, si condusse processionalmente a questa basilica dal vicino Laterano a piedi nudi, affine di implorare da Dio la vittoria contro i Saraceni. Durante la dimora dei papi in Avignone, il luogo giacque deserto e quasi rovinoso, sorte toccata alla maggior parte dei grandi edificî di Roma; onde Urbano V, circa l'anno 1370, rivolse a favore del luogo la somma di 3000 fiorini aurei che avevano lasciato Niccolò da Nola e Napoleone Orsino, i quali volevano con quella edificare un monastero entro le mura delle terme di Diocleziano per collocarvi i Certosini, che così vennero ad abitare a s. Croce e vi rimasero fino al pontificato di Pio IV. Questo papa, avendo per quei padri edificato nelle terme suddette il monastero di s. Maria degli Angeli, l'anno 1560 pose a s. Croce i monaci cistercensi della congregazione di Lombardia già dimoranti a s. Saba, i quali tuttora la ritengono.

Notevoli lavori alla basilica fece il titolare Ubaldo Caccianemico della famiglia di Lucio II, che riedificò coll'opera dei maestri marmorari romani Giovanni e i fratelli Sassone, Angelo e Gian Paolo, il ciborio, opera dell'anno 1148.

L'epigrafe dice:

✠ TEGMENTVM ISTVD VBALDVS FECIT FIERI CARDIQVENALIS VIR PRVDENS CLEMENS DISCERTVS ET SPIRITVALIS ✠ IOHANNES DE PAVLO CVM FRATRIBVS SVIS ANGELO ET SASSO HVIVS OPERIS MAGESTRI FECERVNT ROME.

Anche un secolo celeberrimo marmorario romano ebbe parte nei lavori della chiesa, come risulta da recentissima scoperta fatta da pochi anni per cagione di lavori ordinati dall'illustre card. Lucido Maria Parocchi, vicario del s. Padre Leone XIII, allorchè ne era titolare. L'insigne porporato, volendo con sapiente divisamento rimuovere dal pavimento della basilica quei marmi tolti a monumenti profani e cristiani, coi quali barbaramente per tutto il medio evo si soleano lastricare le antiche chiese, scoprì un frammento di lastra marmorea posta a rovescio, sulla quale si leggeva il nome del noto marmorario Vassalletto, di cui ho ragionato a proposito della basilica dei ss. Apostoli.  p798 Quella pietra spettava probabilmente alla cattedrale episcopale situata in fondo all'abside della basilica, e vi si legge il nome del marmorario così: BasSALLECTVS ME FECIT, che lavorava nel 1263.

L'importante monumento con altre pietre provenienti dalle catacombe romane è stato murato presso il vestibolo della chiesa.

L'anno 1492, il card. Condisalvo Mendoza, in occasione di nuovi restauri fatti alla basilica, scoprì la reliquia del titolo della Croce che era nascosta nel mezzo dell'arco della tribuna.

Mantenne l'edifizio la sua forma primitiva fino ai tempi di Benedetto XIV, il quale, distrutta l'antica fronte e il portico basilicale primitivo nel 1744, vi sostituì la odierna facciata e vi rifece il portico con architettura del Passalacqua e del Gregorini. Nell'interno del portico sono quattro colonne di granito, e due di bigio lumachellate. La volta della chiesa fu dipinta dal Giaquinto, e l'abside si vuole colorita dal Perugino o dal Pinturicchio. L'altare è coperto da un baldacchino retto da quattro colonne, due di breccia corallina, e due di porta santa; sotto la mensa trovasi un solio di basalte con i corpi dei ss. Cesareo ed Anastasio. Dalle stampe tuttora esistenti, ritraenti la icnografia esterna della chiesa di s. Croce in Gerusalemme innanzi ai lavori di Benedetto XIV, risulta che fino a quell'epoca si conservarono delli avanzi del Palatium Sessorianum, e il portico e la fronte della basilica che aveano qualche analogia con quelli di s. Lorenzo sulla via tiburtina.

Il monumento più antico che vi rimanga è la volta della cappella nella chiesa inferiore, dedicata a s. Elena, la quale è ricoperta di musaici, la cui origine si attribuisce a Valentiniano III, ma che in più epoche risarciti e rinnovati, massime nel secolo XVI, poco o nulla più conservano del tipo primitivo.

Presso l'ingresso dellaº medesima si legge:

IN HANC CAPELLAM SAnCTAM

HIERVSALEM NON POSSVNT

INTRARE MVLIERES SVB PENA

EXCOMMVNICATIONIS NISI

SEMEL IN ANNO SCILICET IN

DIE DEDICATIONIS EIVSDEM

QVE EST XX MARTII

Altro monumento importante è la pietra sepolcrale di Benedetto VII (974‑83), ove si allude ai misfatti dell'antipapa Bonifacio VII, soprannominato Francone, il quale, invasa la Sede Apostolica nell'anno 974, fece strangolare sacrilegamente il papa Benedetto VI e rubò i tesori della basilica vaticana.

 p799  Il marmo è affisso a destra della porta maggiore entrando:

HOC BENEDICTI PP. QVIESCVNT MEMBRA SEPVLCRHO
SEPTIMVS EXISTENS ORDINE QVIPPE PATRVM
HIC PRIMVS REPPVLIT FRANCONIS SPVRCA SVPERBI
CVLMINA QVI INVASIT SEDIS APOSTOLICAE
QVI DOMINVMQVE SVVM CAPTVM IN CASTRO HABEBAT
CARCERIS INTEREA VINCLIS CONSTRICTVS IN IMO
STRANGVLATVS VIII EXCVERT HOMINEM
CVMQVE PATER MVLTVM CERTARET DOGMATE SCO
EXPVLIT A SEDE INIQVVS NAMQVE INVASOR
HIC QVOQVE PRAEDONES SCORVM FALCE SVBEGIT
ROMANAE ECCLESIAE IVDICIISQVE PATRVM GAVDET AMANS PASTOR AGMINA CVNCTA SIMVL
HICQVE MONASTERIVM STATVIT MONACHOSQVE LOCAVIT
QVI LAVDAS DNO NOCETE DIEQVE CANANT
CONFOVENS VIDVAS NEC NON ET INOPESQVE PVPILLOS
VT NATOS PROPRIOS ASSIDVE REFOVENS
INSPECTOR TVMVLI COMPVNCTO DICITO CORDE
CVM XPO REGNES O BENEDICTE DEO
D. X. IV. IN APL SEDE RESIDENS. VIIII ANN. OBIIT
AD XPM INDIC. XIII

Il papa Benedetto XIV non solo restaurò la basilica di s. Croce, ma fece spianare la collina situata presso la medesima che si chiamava il monte cipollaro, corrisponde al prato di s. Croce lungo il tratto presso le mura della città fra la basilica lateranense e la nostra chiesa.

Quel colle che toglieva in parte la vista della chiesa dalla banda del Laterano e che rendeva da quella parte difficile l'accesso alla medesima diceasi cipollaro, perchè ivi in antico si coltivavano agli e cipolle in occasione della festa di s. Giovanni, bulbo che anche oggi il popolino in quella solennità agita festosamente nelle mani ma del colle cipollario torneremo a parlare a proposito della chiesuolina che sulla sommità del medesimo si innalzava, cioè s. Maria de' Spazolaria.

Venendo ora alle memorie sepolcrali della chiesa, oltre le predette, il Mellini note che in faccia alla quarta colonna a mano destra si leggeva il seguente frammento, che oggi benchè ne abbia fatte molte ricerche, mi sembra perduto.

Eccone il testo:

.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .

IVVENIS CLAVDITVR EXIMIVS

DIVITIIS POLLENS VVLTV FORMOSVS ET ACTV

ELOQVIO BLANDVS MITIS ET INGENIO

TE MORIENTE NIMIS FLEVIT ROMANA IVVENTVS

VIVERE NVNC CHRISTO LECTOR DEPOSCE IOHANNES

ET OBIT . M . NOV . I . IN .   .   .   .  

DICIT CIMVL CVNCTI MISERERE FAMVLI TVI .   .   .  

. .  PO SE BENACVS HOC FECERVNT

REQVIESCANT IN PACE AMEN

 p800  Disgraziatamente il principio dell'epigrafe è perito e non ci è dato conoscere la famiglia del giovanetto Giovanni di cui si deplora la perdita, che fu divitiis pollens, e sulla cui tomba pianse tutta la gioventù romana.

Ladin assai, ma non ne adduce ragione, che questa chiesa sia forse l'antico titolo d'Emiliana.

Nello Stato temporale delle chiese di Roma nel 1662 si legge che il monastero non si sa da chi fosse fondato, e che già viene ricordato nell'epigrafe di Benedetto VII.

Nei regesti di Urbano V si legge:

Ad perp. rei memoriam. Statuit et ordinat quatenus quaedam legata ac pecunia destinatae per q. Napoleonem de Ursinis comitem Mompelli in suo ultimo testamento pro constructione et aedificatione ac dotatione unius Cartusiae in eo loco urbis qui Termae Diocletiani vocatur assignari possint et debeant pro constructione et dotatione eiusdem Cartusiae quem nob. vir Nicolaus de Ursinis comes Nolanus saniori consilio coeperat suis sumptibus aedificare in loco s. Cruci de Ierusalem de eadem urbe.

Il ch. De Rossi ha scoperto in appendice al celeberrimo codice di Einsiedeln una descrizione delle funzioni che nel secolo VIII il papa celebrava in questa basilica nella settimana santa. È importantissima quella del venerdì santo, dalla quale risulta che Domnus Apostolicus, cioè il papa, a piè scalzi con il clero portava dal Laterano processionalmente le reliquie della croce ad ecclesiam Hierusalem ove dopo averla adorata e baciata, la facea baciare al popolo. Poi recitate alcune lezioni e letta la passione, e fatte le preci ritornava al Laterano, e si soggiunge: Attamen Apostolicus ibi non communicat nec diaconi, qui vero communicare voluerit communicat de capsis de sacrificio quod V feria servatum est. Et qui noluerit ibi communicare vadit per alias ecclesias Romae seu per titulos et communicat.

S. Maria del Buon Aiuto

È una piccola chiesetta fra l'anfiteatro Castrense e le mura urbane al fianco destro di chi guarda il monastero di s. Croce in Gerusalemme. Fu eretta dal pontefice Sisto IV nell'anno 1476  p801 come lo dice l'iscrizione esistente sulla porta e le armi di quel pontefice poste sulle due porticine interne e nel mezzo del soffitto:

SISTVS IV FVNDAVIT MCCCCLXXVI

Vi si venera un'antica immagine di Maria ssm̃a dipinta a fresco, dicesi, dal medesimo autore che dipinse il Crocifisso esistente al'ingresso di s. Croce. Questa imagine trovavasi in una edicoletta a guisa di tettoia in quei pressi. Secondo le notizie conservate nell'archivio dei monaci cistercensi si riferisce che quel pontefice un giorno andando a piedi da s. Giovanni a trattenersi coi monaci di s. Croce fu sorpreso da un terribile temporale con scariche di fulmini, a riparare il quale corse a rifugiarsi sotto quella edicola dove invocò l'aiuto della Madonna ssm̃a: scampato il pericolo, ordinò che quella imagine fosse tolta di là e le fosse edificata la chiesetta presente col titolo del Buon Aiuto. Infatti l'imagine si trova sopra un blocco di muro segato all'intorno ed incastrato in una cornice. I monaci cistercensi l'ebbero in cura, ed a sostenere le spese della manutenzione ebbero fino all'invasione francese la proprietà del grande prato che le stava dinanzi. Vi si raccolsero sempre delle pie unioni di campagnuoli. Per un tempo vi risiedette la compagnia dei cappellari, fino a che questi non si trasferirono alla Navicella; i monaci poi vi eressero la confraternita odierna col titolo medesimo di Maria ssm̃a del Buon Aiuto dipendente assolutamente da loro, tanto che l'abate pro tempore ne è il priore nato. Due restauri fattine nel 1836 ed ultimamente nel 1880 sono ricordati da due analoghe iscrizioni.

S. Margherita

Il Bruzio parla di questa chiesa: "V'è una chiesa nelle muraglie presso s. Giovanni in Laterano intitolata le prigioni di s. Margherita, con imagini tutte antichissime e di gran devozione et indulgenze concesse dalla felice memoria di N. S. Clemente IX."

Quest'edicola, benchè oggi abbandonata, si vede tuttora in una delle torri delle mura presso la porta s. Giovanni, nella via che mena a s. Croce.

 p802 

S. Maria de Spazolaria, o de Collepapi o de Oblationario

º

Questa cappella era posta in mezzo al prato interposto fra le due basiliche di s. Croce in Gerusalemme e s. Giovanni in Laterano, ora deformato da pessime fabbriche: avea due fronti con due porte, l'una volta alla basilica lateranense, l'altra a fianco della basilica di s. Croce, sull'architrave delle quali porte si leggeva un'iscrizione. Avea un solo altare, sul quale v'era un quadro addossato alla parete, rappresentante la ss. Vergine fra gli apostoli Pietro e Paolo.

Demolita sotto Sisto IV, questi la riedificato addossandola all'anfiteatro castrense presso il monastero di s. Croce, chiamandola s. Maria del Buon Aiuto. La chiesa demolita sorgeva ai piedi della collinetta, che diceasi il colle cipollaro, che fu spianato dal papa Benedetto XIV. Era mantenuta dalle oblazioni dei fedeli onde diceasi de oblationario, ma il popolino preferiva chiamarla de spazolaria, o de spazzellaria, scherzando forse sul custode della medesima che ogni sera raccoglieva o sia spazzava le elemosini che i fedeli deponevano sui gradini o sul pavimento della medesima. era assai antica, come dimostrano il Crescimbeni ed il Panvinio.

Credo si chiamasse ancora de Collepapi, che il Lonigo dice prossima a s. Daniele e filiale di s. Giovanni a cui fu confermata da Adriano II. Forse Collepape si chiamava anticamente il cipollaro perchè contiguo al patriarchio. V'era annesso un ospedale dello stesso nome.

S. Niccolò de Hospitale

Era il titolo di una chiesa con un piccolo ospedale annesso esistente ancora nel secolo XIV: hospitale s. Nicolai de hospitale habet unum servitorem, così il codice di Torino. Fino al 1228 chiamossi Venerabile Ptochium Lateranense e stava presso agli alti fornici dell'acqua Claudia nella villa ora Wolkonski. Coloro che in quell'ospedale morivano erano sepolti nel cimitero della vicina chiesa di s. Maria de Spazolaria, ovvero de  p803 oblationario, che sul culmine del monte cipollaro le sorgeva quasi dirimpetto.

Il Terribilini scrive che l'origine di questa chiesa risaliva fino al secolo VIII, e che fu da Lucio II concessa alla vicina basilica. Pasquale II la restaurò, ed Onorio II la pose sotto la protezione della Sede Apostolica. Fu quello l'ospedale più antico che, non solo in Roma, ma in Europa, sorgesse dopo la caduta dell'impero romano; ed è ricordato col nome greco di Ptochium fino dal tempo di Carlo Magno. La chiesa è ricordata anche nella celebre bolla di Onorio III al capitolo lateranense.

S. Teodoro a Porta Maggiore

Il Galletti riporta unaº donazione (a. 952) facta per Ursum abbatem monasterii s. Viti ex praecepto Leonis VI, ove si legge: Maria quae Maroza vocatur de monasterio s. Mariae et s. Gregorii in Campo Martio de domo in quo est oratorium s. Theodori cum orto vineato posito inter affines, ab uno latere domus iuris monasterii s. Andreae Ap. quod appellatur Renati et exinde usque in forma veteri iuris monasterii s. Viti.

Quest'oratorio di s. Teodoro era nella regione terza iuxta portam maiorem; ed infatti scrive il ch. Corvisieri che fra i beni confermati al monastero di Subiaco dal papa Giovanni VII si trova appunto una chiesa di s. Teodoro entro la porta Maggiore.

S. Barnaba

Di questa tacciono tutti i cataloghi più antichi, tranne quello del secolo XIV di Torino. Da questo apprendiamo che stava presso la porta Maggiore e perciò era detta s. Barnaba de porta; era servita da un solo prete.

 p804  S. Antonio di Padova

è una grandiosa chiesa eretta modernamente sulla via Merulana a sinistra della medesima, ed annessa ad un convento monumentale eretto per il collegio internazionale dei Minori Osservanti.

Tranne la grandiosità e la facciata, l'interno della chiesa non è certamente il capolavoro del Carimini che architettò ambedue gli edifizî, cioè la chiesa e il grandissimo convento annesso.

È dedicata a s. Antonio di Padova: la decorazione interna non è stata ancora compiuta, ma vi sta ponendo mano un valente artista dell'Ordine, il p. Bonaventura Lofredo. Fu consecrata il giorno 18 dicembre del 1888 da nove vescovi. Sotto la chiesa principale ve ne ha un'altra non ancora compiuta.

S. Bibiana

Questa vetustissima, ma oggi semiabbandonata chiesa, fu edificata nel secolo V dal papa Simplicio presso la villa e il ninfeo di Licinio. Il vicus ove fu eretta era chiamato Ursus pileatus, probabilmente da qualche ridicola insegna rappresentante un orso colla testa coperta di cappello.

Circa il 682 il papa Leone II trasferì nella chiesa di s. Bibiana, dal cimitero di Generosa ad sextum Philippi (Magliana) ove erano stati sepolti, i corpi dei martiri Simplicio, Faustino e Viatrice. In un codice chigiano v'è trascritta un'epigrafe metrica che si leggeva anche nel secolo XVI e spettava ad un Benedetto presule, ove sono invocate s. Eufrosia, s. Bibiana, s. Simplicio, il primo dei tre martiri ivi deposti da Leone II:

QVID SIMVLAE LETA TIBI CVM SINT TRISTIA VITA

MORTIS TARTAREO SVBDITA SERVITIO

PRESVL CVI XPS DVM VIXERAT EN BENEDICTVS

VITA FVIT VIRGO CLAVDITVR HOC TVMVLO

EGER ENI MEBRIS SVA CONTVLIT OMNIA SCIS

HIC QVIBVS ASSIDVVS EXTITERAT FAMVLVS

COPATIENS INOPVM PATER EXTITIT ET VIDVARVM

DANS PIA CONSILIA OMNIBVS VTILIA

CVIVS PRAE TVMBAM SOROR OPTANS ESSE SEPVLTA

ABBATISSA GEMIT SPE SIBI QVAE PERIIT

HOS NVNC SIMPLICII CAPIANT VT GAVDIA CAELI

ET BIBIANA PII . . . ANGELICI CVNEI

OBIIT M . IVNII . D . V . INDIC . VIII .

 p805  Nel palazzo canonicale di s. Maria Maggiore v'ha l'arca marmorea ove furono deposte quelle reliquie, arca che da s. Bibiana è passata poi alla basilica liberiana. In quella leggesi la seguente epigrafe, scritta in pessime lettere:

MARTYRES SIMPLICIVS ET FAVSTINVS

QVI PASS SVNT IN FLVMEN TIBERE ET POSI

TI SVNT IN CIMITERIVM GENEROSES SVPER

PHILIPPI.

Si attribuisce la prima origine della chiesa ad Olimpina Flaviana, matrona cristiana del secolo IV, ma veramente quest'asserzione non è abbastanza dimostrata; è certo, come abbiamo detto e come pure risulta dal Libro pontificale, che Simplicio papa nel 467 la dedicò. Da Onorio III, nell'anno 1220, fu edificato o riedificato presso quella chiesa un monastero, del quale però non rimangono più tracce. Un'abadessa del medesimo nel secolo XIII adornò l'altare del martire Simplicio, sul quale pose a ricordo l'epigrafe seguente:

AD HONOREM S. SIMPLICII EGO EVFROSINA HVMILIS

ABBATISSA HOC OPVS FIERI IVSSI.

Questo marmo vedevasi giù nel pavimento della chiesa over era stato messo in opera posteriormente, ma oggi è perito, con molte altre memorie preziose, forse nei restauri ordinati da Urbano VIII che rinnovò tutta la chiesa. Nel muro esteriore della medesima, a sinistra, restano tracce di pitture assai antiche, fra la quale vedesi il ritratto di un pontefice. Io credo sia l'imagine del suddetto Onorio III, sotto la quale, in lettere cattive, v'era la seguente epigrafe riprodotta dal Millini:

. . . FELICIS RECORDATIONIS HONORIVS PP. TERTIVS

VII ANNO PONT. IN HONOREM BEATAE BIBIANAE

VIRGINIS ET MARTYRIS CONSERV . . .

 p806  e fra poco, se non se ne abbia cura, perirà del tutto. Nei tempi bensì fu fatta un'imitazione della statua dell'orso col cappello, che conservasi nell'orticello attiguo, la quale il Bruzzi dice fosse fatta restaurare da un tal Vincenzo Pacatti.

"Nell'horto contiguo alla chiesa verso mezzogiorno si vede la statua dell'horso pileato scoperta, fatta restaurare dal secretario Vincentio Pacatti. Si scorgono ancora in piedi i vestigii d'una chiesa, nella quale si leggeva l'iscrizione seguente che da Urbano VIII fu murata nel portichetto della chiesa:

ANNO DNI . . . . . . . . . . MENSE OCTOBRIS

DEDICATIONEM HVIVS ECCLESIAE SCORVM MARTYR.

SIMPLICII FAVSTINI ET BEATRICIS AD CIMITERIVM

VRSI PILEATI IVXTA FORMAM CLAVDII ANTE PORTAM

TAVRINAM QVOD PRIMVS LEO PAPA MAX. DEVOTI

ONE CVM INDVLGENTIA ET REMISSIONE IIII ANNORVM

ET XL DIERVM FECIT

IN QVO CIMITERO REQVIESCVNT QVATVOR MILLIA

ET CCLVII CORPORA SANCTORVM EXCEPTIS PARETE

VVLIS ET MVLIERIBVS.

Il Bruzio ed il Millini ricordano anche queste altre memorie di monache ivi sepolte:

HIC REQUIESCIT CORPUS ONESTA MARIA DE URBE MONACA

SCE VIVIANE QUI OBIIT ANNO DNI MDCCCCXXIIII MENSIS

DECEMBRIS DIE XIII CUIUS ANIMA REQUIESCAT IN PACE AMEN.

HIC REQUIESCIT VEN. ET RELIGIOSA DNA VIVIANA

DE SALVECTIS CIVIS ROMANA ABBATISSA HUIUS VEN.

MONASTERII ANNO DNI MDCCCXXXV.

Una delle epigrafi, cioè l'ultima, è ancora nel pavimento della chiesa, benchè tutta logora dall'attrito dei piedi. In ambedue v'erano le figure delle defunte nel costume del tempo. Come abbiamo accennato, la chiesa fu tutta rinnovata per cura del papa Urbano VIII, poichè minacciava di ruinare, ed al Bernini fu commesso di fare la facciata. È inaccettabile l'antica leggenda che vuole sotto quella chiesa esistesse un cimitero; questo potrà al più intendersi d'un qualche nascondiglio o poliandro, ove le reliquie di alcuni martiri giacquero sepolte.

Le monache vi dimorarono dal secolo XIII al XV. L'Adinolfi riporta alcune epigrafi di quell'età fra la quale quelle del defensor monasterii morto nel 1420 nomine Crispoldus de Matteo ANIMAPICCOLA (sic).

 p807 

Ss. Leone e Paolo o Ss. Simplicio, Faustino e Beatrice

Presso s. Bibiana v'era anche una chiesa dedicata a s. Paolo da Leone II (a. 682‑683), ove furono deposte alcune reliquie dei ss. Simplicio, Faustino e Viatrice; perciò da questi santi ebbe anche il titolo l'attiguo monastero. Fu dedicata da s. Leone Magno, e ne restano ancora le tracce a ridosso di quella di s. Bibiana.

S. Eusebio

È uno dei più insigni monumenti cristiani dell'Esquilino. Sorge presso i ruderi della celeberrima mostra dell'acqua alessandrina, che il volgo da molti secoli suole appellare i Trofei di Mario.

Per antica tradizione si crede che la chiesa fosse stata la privata abitazione d'Eusebio prete, invitto campione del domma cattolico contro l'eresia d'Ario, che da Costanzo fu fatto morire di stenti entro le pareti della sua casa medesima, la quale dopo quel fatto fu convertita in titolo ecclesiastico.

Infatti il titulus Eusebii è ricordato un secolo dopo nel catalogo gelasiano dell'anno 494; Valentinus archipresbyter in titulo s. Eusebii in Esquilinis. Sei anni appresso nel concilio simmachiano è di nuovo menzionato. Insomma dalle notizie storiche risultava che almeno al secolo V risalisse l'origine della fondazione del titolo suddetto. Senonchè una scoperta che ebbi la felice ventura di far in uno dei più nobili cimiterî della Roma sotterranea ha portato nuova ed inaspettata luce sulla storia della chiesa di s. Eusebio. Si tratta di un'epigrafe graffita presso il sepolcro d'un ministro del clero inferiore di quella chiesa sepolto nel cimitero dei ss. Marcellino e Pietro sulla Labicana. È l'epitaffio del quale ho dato un cenno nelle notizie preliminari di quest'opera, dichiarando la voce dominicum attribuita nella prima metà del secolo IV alle più antiche chiese: quella iscrizione che dice: OLYMPI LECTORIS DE DOMINICO EUSEBII LOCUS EST, ci riporta al secolo IV, e c'insegna che la domus Eusebii fu trasformata in dominicum appena accaduta la morte del  p808 prete s. Eusebio; e forse fu consacrata dal papa Liberio, vivente lo stesso Costanzo, non appena cessata la furia della persecuzione ariana.

Circa l'anno 750, rovinato il tetto della basilica, il papa Zaccaria la ripristinò, come narra il Libro pontificale; lo stesso leggiamo d'Adriano I, Leone III e Gregorio IV. Nel secolo XIII, circa l'anno 1230, da Gregorio IX fu rinnovata dai fondamenti e nella nuova consacrazione della chiesa il papa associò al nome d'Eusebio quello di s. Vincenzo; di che v'ha memoria in un'epigrafe esistente già presso l'altar maggiore della chiesa ed ora nel portico della medesima.

L'Ugonio riferisce che in un pilastro della chiesa a mano manca andando all'altar maggiore si vedono dipinti i due santi Eusebio e Vincenzo con questo verso appresso: HAEC DESERTA PRIUS VOBIS RENOVATA DUOBUS. D. ROBERTUS CARDINALIS.

Fu la chiesa affidata già ai monaci Celestini, ordine che si è estinto ai tempi nostri, e dopo l'estinzione di quello, il papa Leone XII la diè in cura ai padri della compagnia di Gesù, ai quali ancora appartiene e che fino al 1870 ivi accoglievano tutti coloro che volevano praticarvi gli esercizî di s. Ignazio. Fu titolo fino al pontificato di papa Gregorio XVI che, soppressolo, lo trasferì alla chiesa di s. Gregorio sul monte Celio; ma il papa Pio IX di s. m. con saggio pensiero di nuovo ridonò alla chiesa la sua dignità titolare. Dell'antica chiesa non v'è più nulla, perchè fu due volte rinnovata nel secolo XVIII, cioè nel 1711 e poi nel 1750. Il Bruzio riporta il testo di molte iscrizioni sepolcrali che a suo tempo si leggevano nel pavimento, fra la quale la seguente della nobilissima gente Capoccia:

HIC REQVIESCIT VIR IOANNES PAVLI CAPOCCIVS DE

REGIONE MONTIVM QVI OBIIT ANNO DOMINI MDCCCXXXII

MENS. FEBR. DIE XIV CVIVS ANIMA REQVIESCAT IN

PACE. AMEN.

L'Anonimo di Torino scrive che al suo tempo la chiesa che egli registra nella seconda partita, habebat fratres ordinis s. Petri de Morrone XXV.

Narra il Ficoroni che il duca d'Urbino ambasciatore di Spagna in Roma l'anno 1699 fece non lungi dalla chiesa, e precisamente avanti i trofei di Mario, un gran cavo, ove trovò una piccola cappella con imagine che ora non c'è più.

 p809  Sotto il portico della chiesa attuale si vede l'epigrafe della dedica dell'antica, della quale non rimane più nulla; essa porta la data dell'anno 1238:

+ ANN · DNI · CC · XXXVIII · INDICTIONE · XI · MENSE

MRTII · QVARTA FERIA · MAIORIS EDOMADE QVADRA

GESIME · DOMNVS GREGORIVS · PAPA · NONVS · CONSECRAVIT

HANC ECCLESIAM IN HONORE BEATORVM EVSEBII · ET

VINCENTII · CVM TRIBVS ALTARIBVS · QVORVM

MAIVS ALTARE CONFESSORIS IPSIVS MANIBVS PRO

PRIIS CONSECRAVIT · STATVENS VT OMNI ANNO

A QVARTA FERIA MAIORIS EDOMAD QVADRA

GESIME VSQVE AD OCTAVAM · DOMINICE RESVRRECTI

ONIS · HANC ECCLESIAM VISITANTES · MILLIS · ANNIS

ET CENTVM VIGINTI DIERVM DE INIVNTA SIBI PENI

TENTIA · INDVLGENTIAM CONSEQVANTVR

Nella relazione dello Stato temporale nel 1662 è così descritta da Ludovico Bellori abate di s. Eusebio:

"È della congreg. celestina dell'ordine di s. Benedetto. È situata nel rione dei Monti; è nominata fra i monasteri celestini nella bolla di s. Pietro Celestino V data in Aquila alli 27 di settembre 1o del suo pontificato. La chiesa ha tre altari e 2 sepolture. Possiede molti horti, Grangìe tra la quale una fuori di Ferentino donata da s. Pio V in breve 1 febr. 1568. Possiede case, cappelle in Roma, in Albano, censi, canoni, luoghi di monti, alberi, vigne ecc. . . . con un'entrata di sc. 1608: 80. Nel monastero furono prefissi nell'anno 1627, per decreto del capitolo generale in esecuzione della bolla di Urbano VIII di prefissare il numero, religiosi sacerdoti 8, conversi 4, serventi secolari 2. Di più vi sono otto studenti et un lettore."

È noto che sotto Sisto IV in quel monastero fu stabilita una delle prime stamperie di Roma, forse da Giorgio Laner, ove furono impresse le opere di s. Giovanni Crisostomo con le note di Francesco Aretino.

S. Lucia de Renati

Il Libro pontificale in Leone III ricorda un oratorium sanctae Lucia quod ponitur in monasterio de Renati. Il Vignoli, nelle note alla sua edizione, propone che si debba attribuire questa denominazione alla chiesa di s. Lucia della Tinta, benchè non mi sappia con quale fondamento.

 p810  Io credo che questo oratorio e il vicino monastero sia da cercare assai lungi da quella chiesa, comechè situato forse sull'Esquilino non lungi dalla chiesa di s. Eusebio. Il Garampi riporta infatti un brano d'istromento dell'archivio di s. Maria Nuova del 22 settembre 1163 sotto il pontificato d'Alessandro III in cui si registra una venditio questae positae ad Cimbrum ad sanctam Luciam renatam in monte prisco. Ora è notissimo che il luogo detto ad Cimbrum era precisamente quello che più comunemente si dicea dei Trofei di Mario, i ruderi cioè della mostra dell'acqua alessandrina.

Era colà adunque la chiesa di s. Lucia de Renati, la cui denominazione potrebbe forse riferirsi ai nuovi battezzati, cioè ai rigenerati nell'onda battesimale, dei quali forse era presso quella chiesa un ospizio. Trattando di s. Teodoro a porta Maggiore abbiamo citato un documento che ricorda un monasterium s. Andreae quod appellatur Renate; il quale fu probabilmente uno dei nomi del nostro di s. Lucia.

S. Giuliano

Era presso s. Vito quasi incontro a s. Eusebio e fu distrutta dopo il 1870. La chiesa era sacra a s. Giuliano detto l'Ospitaliero, ove i padri Carmelitani, che ne avevano cura, il giorno 7 agosto solevano benedire l'acqua che s'adoperava dai fedeli contro le febbri. Nella festa dell'Assunta, quando si faceva la solenne processione dell'imagine del Salvatore, innanzi a questa chiesa si faceva l'ultima lavanda della imagine, come risulta dai libri catastali della compagnia del Salvatore.

Fu il primo luogo abitato in Roma dai padri Carmelitani ai tempi di s. Angelo martire; laonde l'origine della chiesa risalirebbe innanzi agli anni 1220, epoca in cui fu in Sicilia martirizzato detto santo. Vi dimorarono i carmelitani fino al 1675 circa, dopo il qual tempo divenne sede della confraternita degli albergatori e vetturali, che dimorava a s. Giuliano in Banchi. Fu restaurato da Niccolò V. I Carmelitani la cedettero negli ultimi tempi ai padri Redentoristi: da questi passò in proprietà di un certo Giovanni Pelucchi, poi del canonico Marziano Manfredi nel 1826, finalmente la ereditò il signor Micheletti. Questi nel 1848 la vendette alla principessa Odescalchi, che ad abitare la casa annessa chiamò alcune monache basiliane polacche. Finalmente nel 1874 fu distrutta. Nello Stato temporale  p811 del 1662 leggo: "La chiesa ha il choro, il campanile con una campana sola e la sagrestia, ha solamente un altare, e detta chiesa serve per cimitero per li religiosi. Il monastero ha un cortile con un giardinetto et un pozzo. Ha un dormitorio con 6 celle per li religiosi. Ha 4 antiche camere. Possiede poi vigne, censi etc. per 140 sc."

S. Vito ad Lunam

Questa antichissima chiesa è posta accanto all'arco di Gallieno sull'altipiano dell'Esquilino. Fino dal secolo IX fu chiamata in macello, dal famoso macello di Livia presso al quale sorge.

Sembra che fosse eretta fino dal secolo IV e restaurata poscia da Stefano III. Per molti secoli giacque abbandonata e poi cadde a terra. Sisto IV nel 1477, poco lontano dal luogo della primitiva eresse la chiesa odierna, finchè nel 1566, essendo rovinosa un'altra volta, fu semiabbandonata, rimanendo però titolo cardinalizio, la cui istituzione rimonterebbe a s. Gregorio il Grande. Sisto IV l'affidò alle monache dell'ordine di s. Bernardo, trasferite poscia a s. Susanna, ed in vece loro fu la casa stabilita a sede del procuratore dei Cistercensi, finchè nel 1780 fu dimora di alcuni monaci polacchi.

All'altare dei due santi eponimi della chiesa ricorrevano coloro che erano morsi dai cani rabbiosi, e si narra che una tal grazia appunto ricevesse in questa chiesa fon Federico Colonna duca di Paliano nel 1620, per cui in attestato di gratitudine la fece a sue spese restaurare.

La pietra che in essa si vede a mano destra, elevata sopra due pezzi di colonna e circondata da una grata di ferro, chiamasi scellerata, perchè dal celebre vico omonimo trasferita, ove si vuole che fossero uccisi molti martiri.

Sulla storia di questo insigne titolo v'ha una dotta monografia del principe don Pietro Odescalchi. In questa chiesa fu assunto antipapa per un sol giorno il prete Filippo contro Stefano IV. Il sito ove sorgeva dicevasi ad Lunam, nome che si estendeva anche all'annesso monastero che era detto il monastero maggiore. Se è così, l'origine di questa chiesa rimonterebbe al papa Ilario, che ne sarebbe stato il primo edificatore. — Non so perchè il Vignoli, nelle note al Libro pontificalis, opini che sorgesse sull'Aventino. Il quadro dell'altar maggiore,  p812 con Maria Vergine e s. Bernardo, è di Andrea Pasquale da Recanati. Sotto Gregorio XVI la chiesa fu di nuovo restaurata coi disegni dell'arch. Pietro Camporese.

S. Scolastica

Presso s. Vito sorgeva anche una chiesa dedicata alla santa sorella di s. Benedetto. Ne abbiamo notizia fino dal secolo undecimo e sappiamo che era filiale del monastero di s. Erasmo sul Celio.

S. Andrea delle Fratte

Vicino all'anzidetta iv era anche un monastero, con annessa chiesa di s. Andrea, denominato delle Fratte. Ebbe origine nel secolo XIII. Vi furono accolte alcune monache professanti la regola di s. Domenico dal card. Ottoboni. Sotto Clemente V fu protettore di quel monastero il card. Napoleone diacono di s. Adriano. Sotto Eugenio IV essendo scaduta l'osservanza religiosa, furono di là tolte le mee. Nel 1433 il monastero e la chiesa furono concessi al monastero di s. Pietro sulla via Ostiense, ma i beni vennero dati a s. Maria Maggiore.

S. Maria della Concezione

È questo il titolo di una chiesolina che sorge non lungi da quella di s. Vito presso s. Maria Maggiore e che è annessa al monastero delle Viperesche. Questa casa fu istituita da Livia Vipereschi di nobile famiglia romana nel 1668 presso l'arco di Vito, onde raccogliervi le povere fanciulle, lasciandole una rendita annua di scudi 300. Le maestre ed istitutrici di quelle giovinette furono in origine laiche; ma poi presero l'abito e le regole delle Oblate Carmelitane sotto il titolo dell'Immacolata Concezione di Maria ssm̃a, proseguendo nella loro nobile e santa missione d'istituire e di educare cristianamente le fanciulle. L'oratorio fu restaurato da Pio VII; ha tre altari: sul magistrato v'è l'imagine della Concezione.

 p813  S. Alfonso de Liguori

La Congregazione del ss. Redentore dovendo nel 1855 stabilire in Roma per ordine del Papa la residenza del superiore generale, acquistò la celebre villa Caetani all'Esquilino. Trasformò il palazzo in collegio e vicino a questo innalzò la chiesa dedicata a s. Alfonso.

Ivi si venera la divotissima imagine di Maria ssm̃a detta la Madonna del perpetuo soccorso, che apparteneva all'antica chiesa di s. Matteo in Merulana. L'architettura della chiesa è piuttosto ostrogotica che gotica.

S. Antonio

Questa chiesa antichissima, chiusa dopo il 1870 al pubblico culto, si trova presso s. Maria Maggiore. Avea annesso un ospedale in cui fu accolto s. Francesco coi suoi compagni sotto Innocenzo III. L'ospedale però chiamavasi di s. Andrea in Piscinula, da altra chiesa antichissima, che le era vicina, e della quale non restano ormai che ruderi appena irriconoscibili. Sulla porta si legge:

✠ D. PETRVS CAPOCCIVS CARDINALIS

MANDAVIT CONSTRVI HOSPITALE

IN LOCO ISTO

ET DD OTHO TVSCVLANVS EPISCOPVS

ET IOHANNES CAIETANVS CARDINALES

EXEQVVTORES EIVS FIERI FECERVNT

PRO ANIMA

D. PETRI CAPOCCI

L'architettura della facciata è di stile antico italiano o lombardo del secolo XIII, del quale in Roma non abbiamo che pochi e rari esempî.

L'ospedale fu affidato ai padri di s. Antonio di Vienna in Francia. Celestino V donò la chiesa alla basilica di s. Maria Maggiore col patto che provvedesse alla sussistenza dei poveri nel detto ospedale. Fu riedificata di nuovo nell'anno 1481 dal card. Costanzo Guglielmi.

 p814  Ha tre navi e nelle pareti vi sono dipinte le gesta di s. Antonio copiate da vecchi disegni di Gio. Battista Montani detto della Marca. Per la festa del santo nel mese di gennaio qui si conducevano a benedire i cavalli e i giumenti: perchè in quell'ospedale si curavano nel medio evo i colpiti dalla malattia detta Fuoco di s. Antonio, e si benediceano perciò gli animali presi dal male suddetto.

Nello Stato temporale delle chiese di Roma trovo di questa le seguenti notizie:

"Fu fondata et eretta l'anno 1308 sotto il regno di Filippo IV re Xm̃o sopra la piazza di s. Maria Maggiore. Leone X e Paolo III fecero bolle d'unione delle sudd. chiese e priorato alla mensa abbatiale di s. Antonio di Vienna. La chiesa ha un campanile antico con 3 campane piccole. Ha un entrata netta di scudi 1502,69. Possiede una vigna posta fuori porta Salaria confinante da tramontana con Lorenzo Boccabella, a ponente la strada maestra, a mezzo giorno il vicolo, a levante l'archebuggiero."

Fino al 1871 dimorarono nell'annesso monastero le monache Camaldolesi che furono in quell'anno cacciate di là per ridurre il luogo ad ospedale mil. Quelle religiose furono istituite nel 1724 da una vedova nominata Angela Francesca Pezza. Sotto Clemente XII fondarono presso s. Giacomo alla Lungara un piccolo monastero con annessa cappella: poi, nell'agosto del 1726, si trasferirono presso s. Lorenzo in Panisperna. Finalmente, soppressi i canonici regolari di s. Antonio di Vienna, il card. Colonna allora vicario ottenne alle medesime il nostro monastero.

Michele Lonigo racconta un curioso privilegio che nel secolo XIV godeva il priore di quell'ospedale, e che egli dice di aver tolto da un antico manoscritto. Scrive adunque che quel priore assisteva in alcuni giorni al pranzo del papa, e quanto dalla mensa del pontefice avanzava di pane, di vino e di ogni altro cibo e bevanda, veniva donato per elemosina al suddetto priore, che a bella posta in una camera vicina teneva pronto il necessario per portar seco il tutto agli infermi dell'ospedale.

In un documento del 1441 era chiamato s. Antonio Maggiore: Unam domum cum horto quae posita est in regione Pineae cui ab uno latere est res ecclesiae s. Antonii Maioris de Urbe, ab alio est domus Ioannis Palutii Petri Victoris, ante est via publica. Per quanto mi sappia era finora sconosciuta questa  p815 denominazione della chiesa urbana di s. Antonio, ma credo abbia la sua origine dalla vicinanza della basilica di s. Maria ad praesepe, denominata maggiore fino dal secolo XIV.

S. Andrea Catabarbara Patricia

º

La pianta e le dimensioni di questo insigne edificio situato sull'Esquilino si veggano nel Ciampini. Fu in origine una basilica profana eretta da Giunio Basso, che Simplicio papa (a. 468‑483) dedicò a s. Andrea. Un'omelia di s. Gregorio il Grande in alcuni codici porta il titolo: Habita in basilica s. Andreae post Praesepe, e tutti sanno che ad Praesepe è appellazione propria della basilica liberiana, almeno fino dal secolo VII. Il papa Leone III (a. 795‑816) restaurò il tetto di quella chiesa di s. Andrea quae appellatur catabarbara patricia, come meglio si dichiara nella vita di Gregorio II, ove si legge che presso quella basilica v'era un monastero detto Barbarae e più comunemente Catabarbara patricia.

Il Corvisieri, da una carta inedita di s. Prassede del 908, ha dimostrato che il monastero di s. Andrea ora incorporato al chiostro di s. Antonio e che ebbe anche il nome di Massa Iuliana, appellazione che già comparisce fino dall'epoca di Leone III.

Nell'abside v'era scritto a lettere di musaico un carme, edito scorrettamente per la prima volta dal Platina e da altri, ove si testifica che il papa Simplicio consacrando quell'aula la dedicò all'apostolo Andrea, alla cui memoria niun'altra chiesa fin allora erasi eretta in Roma. Il testo è il seguente:

HAEC TIBI MENS VALILAE DECREVIT PRAEMIA XPE

CVI TESTATOR OPES DETVLIT IPSE VAS

SIMPLIVSQ. PAPA SACRIS CAELESTIBVS APTANS

EFFECIT VERE MVNERIS ESSE TVI

ET QVOD APOSTOLICI DEESSENT LIMINA NOBIS

MARTYRIS ANDREAE NOMINE COMPOSVIT

VTITVR HAC HAERES TITVLIS ECCLESIA IVSTIS

SVCCEDENSQ. DOMO MYSTICA IVRA LOCAT

PLEBS DEVOTA VENI PERQ. HAEC COMMERTIA DISCE

TERRENO CENSV REGNA SVPERNA PETI

 p816  Il Sangallo nei suoi schizzi a penna sopra pergamena conservati nella biblioteca barberiniana ritrasse la metà d'una delle pareti di quell'aula sacra, che il ch. De Rossi nella sua dotta dissertazione sopra quest'edificio ha riprodotto la prima volta. Benchè quel prezioso edificio fosse a quell'epoca semicadente, vi rimaneano ancora avanzi delle nobili e prische decorazioni, vi si vedeano ritratti d'imperatori, arazzi figurati, quadretti con scene campestri, maschere ecc., tutto un lavoro di finissimi intarsî di pietre dure e madreperle.

Nel secolo XVI era già profanata, ed i monaci antoniani francesi, che servivano nel contiguo ospedale di s. Antonio, si fissero in capo, come narra il Grimaldi, di distruggere quelle meravigliose intarsiature per farne paste e misture ch'essi credevano rimedio efficaci contro le febbri; errore perdonabile, poichè proprio di quell'epoca la scienza medica, ancora bambina, (supposto pure che oggi siasi fatta adulta!) e dalle perle e dall'oro e dalle pietre traeva rimedî contro i morbi.

Il Grimaldi nota che il luogo del monastero e della chiesa fu altre volte detto in aurisario. Di questo monumento diffusamente trattarono e l'Ugonio, e il Severano, e il Ciacconio e molti degli eruditi del secolo XVI che lo vedevano sotto il loro occhi distruggere. Il Severano, nelle sue Memorie sacre delle sette chiese, nota che vi si vedeano anche pitture rappresentanti i ss. Pietro e Paolo, i loro martirî e l'iscrizione seguente:

Petrus et Paulus Romanis praedicant et docent de regno Dei

Nel 1686 il Ciampini vide miseramente perire il cristiano musaico dell'abside, di cui divulgò un disegno.

Il noto carme di Simplicio non fu correttamente edito dal Platina il quale nella prima linea sostituì al nome storico Valilae l'avverbio valide, errore apparentemente minuto, ma tale che impediva l'intelligenza di tutto il carme. Il De Rossi lo avvertì nei manoscritti di Pietro Sabino, dell'Ugonio, di Filippo de Winghe, e dalla vera lezione del carme ne trasse la storia dell'edificio che è la seguente: Flavio Valila, cattolico fervente, benchè d'origine goto, e generale delle milizie romane, magister utriusque militiae, ai tempi di papa Simplicio legò alla chiesa un suo ricco patrimonio e specialmente i fondi che possedea  p817 sull'Esquilino, ove sorgeva la basilica di Giunio Basso, che il papa sacris caelestibus aptans dedicò all'apostolo Andrea.

Nella biblioteca comunale di Siena v'ha un codice nel quale fu trascritto il titolo interissimo dalla primitiva aula esquilina, come alla fine del secolo XV si leggeva, e che dice così: IUNIUS BASSUS V . C . CONSUL ORDINARIUS PROPRIA IMPENSA A SOLO FECIT ET DEDICAVIT FELICITER.

Quest'epigrafe dà ragione, come spiega il De Rossi, della denominazione di massa iuliana che nel secolo X conservava quel luogo, poichè il cognome Iuliana fu proprio di parecchie matrone della prosapia dei Bassi che possedettero quei fondi, passati poi in proprietà di Valila, e finalmente ereditati dalla chiesa. Dall'esame e dalla storia di questo monumento, giustamente il ch. De Rossi dimostra che il Cristianesimo trionfatore in Roma, rispetto all'opere dell'arte antica pagana, non fu gretto e scrupoloso, come calunniano ignorantemente i nemici di quello: il papa Simplicio nel dedicare la basilica civile diº Giunio Basso a s. Andrea ne conservò la decorazione pagana, aggiungendovi solo nell'abside alcune imagini cristiane.

Il monumento anzi rimase intatto, finchè fu protetto dalla consacrazione religiosa; esso perì invece nell'epoca del rinascimento. Da quanto si è accennato adunque intorno a questa chiesa di s. Andrea rimane chiarita l'etimologia del nome Catabarbara patricia che ricorda corrottamente il titolo del patrizio Valila, la cui origine barbarica fu cagione della denominazione del sito detto cata (ad) barbarum patritium: poichè l'uso del greco cata nei vocaboli latini topografici dei secoli VI, VIIVIII, era assai frequente. Ora non ne restano che nude e rovinose pareti entro il già monastero di s. Antonio, che era ridotto a granaio del monastero.

In un piccolo frantume di transenna con residuo di musaico, che si conserva ora nel museo lateranense e che proviene dalla nostra chiesa, v'ha un'epigrafe votiva che dice: S. ANDRE . V . R . TI PRESBYTER . . . cioè s. Andreae apostolo . . . . vir reverendus tituli . . . presbyter . . .

S. Norberto

Questa chiesa, come scrive il Bruzio, è situata in via delle Quattro Fontane; apparteneva al'ordine dei Premonstratensi, e fu edificata sotto Urbano VIII.

I due quadri che sono sugli altari di fianco furono condotti da Stefano Pozzi, discepolo del Masucci.

 p818  Ss. Incarnazione

Era ilº titolo d'una chiesa e del monastero annesso di Carmelitane scalze che sorgeva sulla via delle Quattro Fontane: ma l'una e l'altra furono distrutte dopo il 1870 per la fabbrica del ministero della guerra.

Era in questo luogo anticamente una piccola chiesa dedicata all'Annunziazione di Maria Vergine con un ospizio di frati eremiti chiamati i Servi di Maria di Monte Vergine vicino a Bracciano. Il Panciroli dice che questo eremitaggio era stato fondato nel 1615 da Virginio Orsini.

Sotto Urbano VIII fu edificato il nuovo monastero e la chiesa fu consacrata il dì 23 ottobre 1670. Sull'altar maggiore v'era l'Annunziata di Giacinto Brandi.

S. Maria Annunziata (v. Ss. Incarnazione)

S. Teresa

Anche questa era attigua all'anzidetta e fu demolita nell'epoca stessa e per la cagione medesima. Avea annesso un monastero di Carmelitane riformate dette teresiane. Fu eretta nel secolo XVII da Caterina Cesi, vedova del marchese della Rovere. Architetto ne fu Bartolomeo Breccioli: avea tre altari, il maggiore era dedicato a s. Teresa, i due laterali l'uno a s. Orsola, l'altro all'Immacolata Concezione, opera attribuita a Gaspare Severani e a Giuseppe Peroni di Parma.

S. Caio

Alla stessa sorte delle altre due non isfuggì questa chiesa, che fu abbattuta da due anni appena col suo monastero per la fabbrica del palazzo del ministero della guerra e per l'apertura della mostruosa via laterale. Era addossata ad avanzi di alcune antiche costruzioni dei secoli IIIIV, delle quali si veggono ancora le tracce che accennano evidentemente a un nobile e grandioso edifizio romano. Fu riedificata nel 1631 da Urbano VIII sulle tracce dell'antichissimo titulus Gai. La recente distruzione  p819 fattane è veramente deplorevole, poichè sparisce così da Roma una insigne memoria storica di quel grande papa e martire del secolo III. Sarebbe desiderabile almeno che presso il luogo ove furono queste memorie, che da alcuni anni si vengono furiosamente abbattendo, si sostituisse almeno un'iscrizione.

Era già stato titolo di cardinale fino dal secolo V. Fu riedificata sotto Urbano VIII per insistenza di alcuni nobili dalmatini, i quali recatisi a Roma col proposito di ricercare gli avanzi dell'antica chiesa, credettero scoprirli appunto dove fu poi edificata l'odierna.

S. Bernardo

Nello Stato temporale delle chiese di Roma fatto nel 1662 si legge di s. Bernardo a Termini: "Questa chiesa e monastero fu fondato dalla sig. D. Caterina de Nobili Sforza contessa di s. Fiora l'anno 1594 in vigore dell'indulto di Sisto V concesso a detta congregazione per sua bolla delli 12 novembre 1587. Non ha annessa cura d'anime."

L'edifizio è di forma circolare ed è creduto uno dei calidarî delle terme di Diocleziano. La pia signora comprò l'area e il monumento dal card. Bellay. L'anno seguente donollo ai monaci Cistercensi della congregazione dei Foglianti; nel 1598 la rotonda fu trasformata in chiesa e nel 1600 dedicata a s. Bernardo. La benefattrice morì nel 1612 e fu quivi sepolta, ove è anche deposto il celebre liturgista piemontese card. Bona.

Anche nell'orto adiacente la Santa Croce fece erigere un sacello in onore della s. Vergine e delle due sante sue omonime Caterina martire e Caterina da Siena.

S. Ciriaco in Thermis

Scavandosi il suolo per le fondamenta del palazzo delle Finanze nella strada di Porta Pia l'anno 1874 si rinvennero gli avanzi di questo vetustissimo titolo ecclesiastico le cui origini risalgono all'epoca delle persecuzioni. Il sito preciso della chiesa corrisponde all'angolo del palazzo suddetto verso l'orfanotrofio femminile di Termini.

Si scoprirono le colonne e i capitelli con parecchie iscrizioni sepolcrali di questa celebre chiesa di s. Ciriaco, alla quale sappiamo che era aggiunto anche un battistero e più tardi un monastero.

Fu certamente una delle più celebri di Roma cristiana, perchè le sue origini risalgono all'epoca della persecuzione. Narrasi  p820 infatti negli atti di s. Marcello che ebbe origine da una casa donata durante l'epoca di sua benevolenza verso i cristiani dall'imperatore Diocleziano, ove si tennero sacre assemblee presiedute dal papa medesimo, e dove poi nei tempi delle persecuzioni Ciriaco soccorreva i fedeli condannati ai lavori delle terme, presso le quali era la casa medesima.

Il Martinelli narra che ai suoi tempi rimaneano ancora notabili vestigia della chiesa e del monastero annesso entro l'orto dei padri Certosini. Il Panvinio scrive che la chiesa essendo fatiscente fu da Sisto IV profanata e il titolo trasferito ai ss. Quirico e Giulitta; il che non sembra esatto, poichè nella serie dei cardinali titolari della prima metà del secolo XVI troviamo nominati i due titoli. Il libro pontificale nelle biografie di Adriano I, di Leone III, e di Gregorio IV narra la cura che di quel vetustissimo titolo presero i papi suddetti, per cui sembra inesplicabile l'abbandono e la ruina accadutane nel secolo XVI.

Anche il Lonigo afferma che ai suoi giorni la chiesa era in piedi, benchè scriva che: giace hora quasi distrutta dentro la vigna dei padri di s. Maria degli Angeli. Nei regesti di Urbano V leggo: Mandatum pro collatione canonicatus et praebendae basilicae Principis Apostolorum de urbe per obitum quondam Pauli de Tostis dicta urbe apud sedem apostolicam praevia speciali reservatione vacantium, consideratione Nicolai episcopi tusculani pro Francesco nato quodnam Tosti de Tostis cañco ecclesiae s. Apollinaris de dicta urbe in presbyteratus ordine constituto, qui canonicatus et praebendas ipsarum sanctae Mariae in Cosmedin ac s. Luciae quatuor portarum et s. Ciriaci in Thermis ecclesiis de urbe praefata dimittere tenetur.

Benchè così celebre, questo titolo fu però di piccole proporzioni; circa il secolo X il volgo lo chiamava s. Ciriaca. Quando s. Brunone e il suo compagno Gavino supplicarono Urbano II di conceder loro per sede di un nuovo monastero le terme diocleziane, il breve di concessione spedito loro nel 1091 sottopose alla loro cura la chiesa di s. Ciriaco.

S. Maria della Porta

L'Anonimo del secolo XVI nel codice di Torino ricorda una chiesa di s. Maria de Porta. Il Signorili chiamandola, forse per errore degli amanuensi, de Ponta, la pone appresso s. Ciriaco  p821 in Thermis nella classe dei ss. XII Apostoli. Con più corrotto nome viene nella tassa di Pio IV chiamata del Porto, e posta nella regione Monti. Essa doveva sorgere presso la porta Nomentana, giacchè l'essere chiamata de Porta, ci persuade che stesse vicina ad una Porta, e che a nessun'altra, all'infuori della Nomentana, od al più della Salaria, dovesse essere contigua, lo indica il catalogo suddetto.

S. Isidoro alle Terme

È distrutta, ma non era molto antica. Stava vicino a s. Maria degli Angeli a Termini presso lo sbocco dell'odierna via Cernaia. Fu edificata in quel luogo, perchè, come è noto, dove è oggi l'orfanotrofio maschile e femminile v'erano i grandi magazzini del grano dipendenti dal prefetto dell'annona.

S. Maria degli Angeli alle Terme

Una delle più vaste sale delle terme di Diocleziano, dalle ingiurie del tempo e molto più da quelle degli uomini provvidenzialmente rispettata, fu da Pio IV trasformata in magnifica chiesa in onore della Madonna di Dio, che a Lei dedicolla col titolo di s. Maria degli Angeli. L'opera fu affidata al grande Buonarroti, il quale col vasto sui ingegno trasformò il maggiore e più saldo cavo delle rinomate terme in uno dei più magnifici tempio di Roma cristiana. Il Vasari dice che il disegno fece stupire il papa.

Nell'interno dell'edificio restano tuttora ritte in piedi otto colossali colonne di granito orientale. L'ingresso michelangiolesco alla grande chiesa, era però nel lato destro dell'edificio, e guardava a mezzogiorno, benchè ve ne avesse uno minore nella rotonda che precede la chiesa, il quale, per essere assai frequentato, diventò il più usato, rimanendo poi l'altro abbandonato.

Pio IV consacrò la chiesa confermandole il titolo cardinalizio, di cui godeva la non lontana chiesuola allora abbandonata di s. Ciriaco, e l'affidò ai monaci Certosini che v'hanno fino ad oggi dimorato, costretti ora ad abbandonarla per le dolorose vicende dei tempi. Sisto V le aprì innanzi una piazza molto  p822 vasta la quale metteva capo alla via che conduce alla porta s. Lorenzo. L'anno 1749, volendo edificarsi una nuova cappella in onore del b. Niccolò Albergati certosino, fu modificata l'opera grandiosa di Michelangelo. Si murò la magnifica grandiosa porta principale, ricca di travertini, architettata di stile greco, ed ivi si fondò la cappella e l'altare del b. Niccolò.

Alla chiesa fu fatta prendere altra faccia, e la porticella laterale rimasta unica, ne divenne, come è attualmente, la principale, divenendo crociata il corpo della chiesa. Questo strano mutamento fu operato con architettura di un tal Clemente Orlandi, contro cui inveisce nei suoi Dialoghi il Vasari, perchè con danno dell'arte e del monumento peggiorò l'opera del Buonarroti.

Il grande monastero congiunto alla chiesa, ed ora convertito in museo archeologico, era importantissimo per la sua vastità; e nel centro resta tuttora il suo magnifico chiostro ornato di cento colonne di travertino, architettato anche questo dal Michelangelo. Come accennammo, non appena si pone il piede nella chiesa, reca meraviglia la sua ampiezza e la grandezza delle otto colonne di granito orientale d'un sol pezzo, le quali misurano 62 palmi di altezza e 16 di periferia, altezza minore della reale perchè Michelangelo ne interrò una parte nel fondamento, rialzandolo onde preservarlo dall'umidità.

D'ordine di Clemente XI nel 1703, il dottissimo monsignor Bianchi condusse nel pavimento della chiesa una linea meridiana disegnata sopra lastre di bronzo, sulla quale ai debiti punti in marmo di vario colore, sono rappresentanti i segni dello Zodiaco. Una sala rotonda delle antiche terme forma quasi il vestibolo della chiesa: ivi sono deposti illustri personaggi, cioè il card. Parisco da Cosenza, il card. Alciato, e i due maestri insigni di pittura Carlo Maratta e Salvatore Rosa: ivi s'ammira pure la bellissima statua di s. Brunone lavoro stupendo di mr. Houdon.

Ss. Papia e Mauro

Un antichissimo oratorio in onore di questi celebri martiri sorgeva nella piazza innanzi alle terme di Diocleziano dove, come scrivono il Gori ed altri, il dì 8 settembre del 1749 fu trovato l'insigne iscrizione votiva ai medesimi, in quel bronzo chiamati Papro e Mauroleone. Il Garampi opinò essere i militi  p823 Papia e Mauro, il cui martirio è narrato insieme a quello dei confessori condannati al lavoro delle terme diocleziane. Nelle carte del Terribilini vi hanno due lettere del Bottari che accennano con precisione il luogo di quel trovamento nella vigna del cardinal Valenti.

L'epigrafe votiva è adorna di monogrammi della forma costantiniana , come ben s'addice al secolo incirca quarto o ai primi anni del quinto: SANCTIS MARTYRIBVS PAPRO ET MAVROLEONI DOMINIS VOTVM REDDIDERVNT CAMASIVS QVI ET ASCLEPIAS ET VICTORINA: NATALE HABENT DIE XIII KAL. OCTOB. PVERI QVI VOTVM HOC (fecerunt) VITALIS MARANVS, ABVNDANTIAS TELESFOR.

Cotesti pueri sono i discentesalumni che col loro capo d'arte eseguirono il votivo lavoro: nella faccia rovescia della pietra è ripetuto con lievi varianti il medesimo testo.

S. Salvatore de Thermis

Una chiesa dedicata al s. Salvatore e con a denominazione sorgeva in questeº adiacenze, la quale era filiale di s. Susanna.

Nel Corpus iuris delle Decretali v'ha una costituzione pontificia che determina la giurisdizione sopra questa chiesa, essendone insorta questione col cardinale titolare di s. Susanna.

Il Martinelli afferma che stava entro l'ámbito delle terme diocleziane e vicino all'antichissimo titolo di s. Ciriaco.

Oratorio presso le Terme Diocleziane

Negli sterri che nel 1876 si fecero presso il Monte della giustizia a Termini, fu rinvenuta un'abitazione romana del secolo IV. Al secondo piano di questa si trovò l'oratorio domestico di quella famiglia cristiana, di forma basilicale con l'abside adorna di pitture antiche ritraenti il Salvatore e gli Apostoli, ed il mare coi pesci.

Per erigere in quel luogo quella sconciatura di fabbrica, che è la dogana di Terra, quell'insigne monumento fu barbaramente distrutto. Era l'unico del genere che l'antichità cristiana ci avea tramandato.

 p824  Chiesa del sacro Cuore di Gesù

La posa della prima pietra di questa moderna chiesa assai grande e dedicata al s. Cuore fu fatta il giorno 17 agosto 1879. È architettata dei Vespignani.

Si veda il sito ufficiale della chiesa.

Ss. Quaranta

L'area e il recinto dell'antico castro pretorio dietro le terme di Diocleziano ne' secoli di mezzo diceasi il Viaviolo. Ora ne' tempi di Innocenzo IV circa l'anno 1244 era in questo luogo una chiesetta dei ss. Quaranta, dedicata cioè ai santi quaranta militi; forse in memoria dei militi cristiani di quell'antico castrum.

S. Patrizio

La chiesa di s. Patrizio, che si sta fabbricando, sorgerà nel nuovo quartiere Ludovisi in angolo fra le vie Boncompagni e Piemonte e sarà unita al Collegio degli Agostiniani irlandesi.

La chiesa sarà di tipo basilicale e di stile colonna rinascimento fiorentino. La facciata avrà qualche somiglianza con quella del duomo di Firenze. Per la disposizione interna ancora non è tutto fissato. La prima pietra si pose il 1o febbraio 1888 e dopo circa tre anni si sono cominciate le fondamenta. È probabile che sarà compiuta fra tre o quattro anni.

Oratorio della Ss. Concezione

Lungo il Viale Manzoni, all'angolo di Via Tasso, sorge un grande fabbricato conosciuto col nome di Scuola dei frati bigi, che sono francescani della riforma del p. Ludovico da Casoria. Le scuole sono frequentate da oltre a quattrocento giovanetti.

Annessa alla casa vi è una piccola chiesa dedicata alla ss. Concezione, che venne eretta l'anno 1883. La chiesa è di forma rettangolare: sull'altare si venera una imagine della Concezione.

 p825  Chiesa delle Suore della Presentazione

Le suore della Carità della Presentazione vennero in Roma dalla Francia nel 1887: esse comprarono una casa in via Milano n. 13, e la ridussero ad ospizio per orfanelle malate. Ivi eressero una piccola chiesolina che venne benedetta nei primi del 1888. Ha un solo altare, ed il quadro rappresenta il s. Cuore fra gli apostoli Pietro e Paolo.


[image ALT: Valid HTML 4.01.]

Pagina aggiornata: 18 giu 08