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1a Parte
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

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R. Monti (2)

 p91  PARTE SECONDA
Notizie storiche e topografiche delle chiese di Roma


I. RIONE MONTI

Basilica Lateranense
(S. Giovanni in Laterano)

Sorge sugli avanzi della casa dei Laterani nella parte più meridionale del Celio. I Laterani possedettero quel palazzo sino a Plauzio Laterano console designato, il quale involta nella congiura dei Pisone contro Nerone, fu ucciso. Giovenale deplore quei tempi luttuosi che egli chiama tempora dira, nei quali egregias Lateranorum obsidet aedes tota cohors.

Più tardi il Laterano ebbe il nome di Domus Faustae e sotto Costantino era proprietà dell'imperatore, benchè Settimio Severo restituisse ad uno dei descendenti di Plauzio la casa dei suoi maggiori, cioè a T. Sestio Laterano console nel 197.

È ignota l'epoca precisa in cui una parte del Laterano fu trasformata in basilica cristiana e in abitazione del Papa: ma ciò accadde nei primi anni del secolo IV. Fino dall'anno 313 troviamo ceduta al Papa la Domus Faustae, ove Milziade raccolse il primo concilio della Chiesa trionfante contro i Donatisti.

 p92  La storia del Laterano cristiano si compenetra con quella dello svolgimento del cristianesimo in Roma, ne diviene come il simbolo, e può considerarsi siccome il glorioso Campidoglio della Roma di Pietro e di Paolo. La basilica costantiniana diventò la cattedrale di Roma ed ebbe il primato sulle stesse basiliche vaticana ed ostiense consecrate dai trofei apostolici. Il primo grande restauro del Laterano fu compiuto circa il secolo decimo da papa Sergio III, un secolo innanzi che vi entrasse la grande Matilde per ratificare in quelle auguste mura la sua donazione a S. Pietro. Nel Laterano fu da Innocenzo III adunato il concilio in cui fu deposto Ottone ed intimata la quarta crociata, e nel Laterano echeggiò la voce del tribuno romano Cola di Rienzo. — Ma per non ingerire confusione nel lettore, descriverò partitamente e brevemente i tre grandi monumenti che compongono il Laterano, ciò la basilica, il palazzo pontificio, il battisterio e gli oratorî annessi. Sorgeva la basilica nel mezzo dei palazzi lateranensi: fu in origine di estensione non grande e di stile severo, a cinque navate sostenute da più file di colonne. Fu dedicata a Cristo Salvatore, la cui immagine trionfale ivi la prima volta apparve mirabilmente alla luce del sole fuori delle catacombe innanzi al mondo romano; apparizione che nel medio evo fu intesa in senso miracoloso. Dopo il secolo IV al nome del Salvatore furono aggiunto quelli del Battista e dell'Evangelista, ai quali era stato dedicato presso il Laterano un convento di monaci benedettini. Ricca e splendida d'oro e di marmi, ad imitazione del palazzo de' Cesari, la basilica fu chiamata aurea. Il libro pontificale ricorda i donativi dei quali Costantino l'arricchì, che in numero e splendore attestano la magnificenza imperiale del medio evo, e la storia e la favola s'intrecciarono insieme, cosicchè si disse, e poscia si scolpì nei monumenti della basilica lateranense, che in questa, insieme all'arca sull'alleanza, si conservavano le tavole della legge, il candelabro d'oro, il tabernacolo e le stesse vesti sacerdotali d'Aron. Il primo gran danno fu subìto dalla basilica nel saccheggio dei Vandali di Genserico, onde s. Leone il grande dovette reintegrare la chiesa danneggiata, come narra il libro pontificale, adornandone inoltre la tribuna. Adriano I (771‑795) restaurò di nuovo con splendore la basilica alquanto decadente, che in quello stato pervenne fino a Sergio III, il quale pel primo la riedificò tutta a nuovo (a. 904‑911) conservandone però le fondamenta e le dimensioni antiche. Egli fece ornare la tribuna di musaici, lasciando a ricordo di quei grandiosi lavori una lunga epigrafe sì nell'abside  p93 come sulla porta maggiore della basilica. La prima terminava costruiti versi seguenti:

SPES DVM NVLLA FORET VESTIGIA PRISCA RECONDI
SERGIVS AD CVLMEN PERDVXIT TERTIVS IMA
CESPITE ORNAVIT PINGENS HAEC MOENIA PAPA.
La seconda diceva:
SERGIVS IPSE PIVS PAPA HANC QVI CAEPIT AB IMIS
TERTIVS EXEMPLANS ISTAM QVAM CONSPICIS AVLAM.

Dai versi sergiani risulta che la primitiva basilica era totalmente distrutta, cosicchè sembrava impossibile recondi l'edifizio sulle vestigia prisca. Questa ruina era accaduta l'anno 896. Si legge che in quel periodo nefasto in cui la basilica era ridotta un cumulo di sassi, la plebaglia di Roma andava frugando per quelle ruine e ne rubava gli orientale e i doni, ed altri oggetti preziosissimi di arte. Nell'abside della basilica il Panvino lesse i seguenti versi:

AVLA DEI HAEC SIMILIS SYNAI SACRA IVRA FERENTI

VT LEX DEMONSTRAT HIC QVAE FVIT EDITA QVONDAM

LEX HINC EXIVIT MENTES QVAE DVICT AB IMIS

ET VVLGATA DEDIT LVMEN PER CLIMATA SAECLI

FLAVIVS CONSTANTIVS FELIX V. C. MAGISTER

VTRIVSQVE MILITIAE PATRICIVS ET CONS. ORD.

ET PADVSIA EIVS INL. FEMINA

VOTI COMPOTES DE PROPRIO FECERVNT,

Adunque Flavio Costanzo Felice e sua moglie Padusia fra gli anni 428 e 430 arricchirono con lavori di musaico l'abside lateranense. Quei lavori perirono coll'abside, restituita nel 1291 da Niccolò IV.

Nella cattedra posta nell'emiciclo della tribuna si leggeva questo tetrastico in versi leonini, opera del secolo XII:

HAEC EST PAPALIS SEDES ET PONTIFICALIS

PRAESIDET ET XPI DE IVRE VICARIVS ISTI

NEC DEBET VERE NISI SOLVS PAPA SEDERE

ET QVIA SVBLIMIS ALII SVBDVNTVR IN IMIS

 p94  e nell'epistilio del portico, con lettere pure dello stesso secolo, leggevasi la seguente epigrafe, di cui è antica solo la parte di mezzo posta in opera nella fronte moderna della basilica:

DOGMATE PAPALI DATVR ACCANTO SIMVL IMPERIALI

QVOD SIM CVNCTARVM MATER CAPVT ECCLESIARVM

HIC SALVATORIS CELESTIA RENA DATORIS

NOMINE SANXERVNT CVM CVNCTA PERACTA FVERVNT

QVESVMVS EX TOTO CONVERSI SVPPLICE VOTO

NOSTRA QVOD HEC EDES TIBI CHRISTE SIT INCLYTA SEDES

al lato destro vi era scolpito il nome dell'artefice

NICOLAVS ANGELI FECIT HOC OPVS.

Ma la basilica riedificata da Sergio, nella notte del 6 maggio dell'anno 1308 di nuovo rimaneva consumata da uno spaventoso incendio, e, caduto il tetto, le colonne furono spezzate e calcinate, ogni monumento ridotto in frantumi. Il papa era allora Clemente V, il quale s'accinse alla riedificazione del tempio, che però non fu compito sotto di lui, ma nel seguente pontificato; non trascorse mezzo secolo e nel 1360 un altro incendio consumò di nuovo il Laterano; Urbano V si diè allora a rifabbricarlo affidando l'opera all'architetto senese Giovanni Stefani. La basilica d'Urbano nulla più conservò di quella di Sergio; oggi dell'epoca d'Urbano V perdura ancora il tabernacolo dell'altare maggiore: elegantissimo monumento architettonico di quell'epoca. I busti degli Apostoli Pietro e Paolo vi furono posti dallo stesso Urbano: Gregorio XI ne compì gli ornati che erano opera dell'artefice senese Giovanni Bartoli e costarono 30,000 fiorini: Carlo V di Francia li adornò di gemme che furono rubate nel 1434. Sul fine del secolo XVIII i repubblicani francesi rapirono quei preziosi monumenti, dei quali gli attuali, che furono rifatti nel 1804, non sono neppure fedele copia.

Grandiosi restauri nella basilica di Urbano prese a fare più tardi Martino V nei primi decenni del secolo XV, e poscia Eugenio IV, che riparato ancora il palazzo adiacente, scoprì in quei lavori, come narra il Biondo, camere antiche, pavimenti e statue bellissime. Egli fece però murare le colonne ed i pilastri. La fronte della chiesa in quegli anni mantenea ancora il tipo antico con tre finestre a sesto acuto e coll'imagine del Redentore Nelle pareti v'era rappresentata ad istruzione del popolo fedele  p95 la serie dei fatti principali dei due testamenti, dalla caduta d'Adamo fino alla morte del Salvatore. A queste scene erano d'ordinario desinate le grandi pareti delle basiliche cristiane, nelle quali il popolo fedele leggeva e meditava la sacra scrittura, o la storia ecclesiastica. — La fronte era preceduta da un portico di se colonne. Attiguo alla basilica v'era il patriarchio, formato d'un gruppo irregolare di edificî che giungevano fino al triclinio di Leone e si congiungevano coll'oratorio di s. Lorenzo detto Sancta Sanctorum: innanzi al palazzo s'ergeva la statua equestre di M. Aurelio, che Sisto IV vi aveva di nuovo collocato; presso il muro della città, Eugenio avea edificato un nuovo convento, ma invece della porta attuale v'era la vicina Asinaria fra due torri. Pochi furono quei pontefici successori di Eugenio IV fino ad Innocenzo X, che di nuove opere non arrichissero il Laterano; con tutto ciò il peso dei secoli gravava ormai troppo su quella basilica, e quest'ultimo pontefice ad imitazione di Sergio III, e di Urbano V la riedificò interamente affidando l'opera al Borromino. Clemente XII compì l'opera del Borromino, fece da Alessandro Galilei innalzare la nuova facciata, quale fu compiuta l'anno 1734.

Della basilica medioevale restano il pavimento d'opera cosmatesca, il tabernacolo ed il musaico dell'abside, restaurata nel 1292 dal papa Niccolò IV, per opera dell'artefice francescano Giacomo di Turrita, che ebbe a compagno fra Giacomo da Camerino. Leone XIII, il santo e dotto papa che siede ora sul trono di Pietro, emulando i suoi predecessori Sergio e Urbano, in tempi per la Chiesa difficilissimi ha testè con magnanima impresa restituito al Laterano il suo splendore primitivo con magnifiche opere d'arte, che Roma ed il mondo intero ammirano, imperituro monumento del glorioso pontificato del nostro santissimo padre, il quale vi ha profuso circa 5 milioni di lire. A ricordo di questi lavori nella gran fascia che corre sotto la conca dell'abside si legge la seguente epigrafe:

LEO XIII CELLAM MAXIMAM VETVSTATE FATISCENTEM INGENTI MOLITIONE PRODVCENDAM LAXANDAMQVE CVRAVIT — VETVS MVSIVVM MVLTIS IAM ANTEA PARTIBVS INSTAVRATVM AD ANTIQVVM EXEMPLAR RESTITVI — ET IN NOVAM ABSIDAM OPERE CVLTVQVE MAGNIFICO EXORNATAM TRANSFERRI AVLAM TRANSVERSAM — LAQVEARI ET CONTIGNATIONE REFECTIS EXPOLIRI IVSSIT ANNO CHR. MDCCCLXXXIV. SACR. PRINC. VII.

Narra il Mellini, che l'anno 1656 nel fondarsi la cappella che è in capo alla nave dei penitenzieri, si trovarono quaranta palmi sotto il piano della basilica i vestigî d'un grande edificio costruiti pilastri di terra cotta e con pavimento di mattoni  p96 rossi, edificio che certamente era incorporate alle case dei Laterani. Ancora il successore di Clemente V, cioè Giovanni XXII (a. 1316‑1334) emulò il suo antecessore, e nei regesti dell'archivio segreto della s. Sede si legge la seguente notizia che qui fedelmente trascrivo: Angelo episcopo viterbiensi committitur quod summam 5000 florenorum auri quam Dominus Noster transmittit per societates Sabbattariorum et Romanacciorum (sic) de urbe primo opere fabrice ecclesie lateranensis diligenter convertat in opus predictum. Un numero grande di oratorî e monasterî erano adiacenti alla basilica in servizio di questa, di ciascuno dei quali ragionerò partitamente. Sarebbe impossibile in uno scritto così breve riprodurre tutti i monumenti epigrafici del Laterano; solo per ragione di curiosità ricorderò il seguente che è perito, ma che fu letto dal Galletti in un angolo dell'atrio presso la chiesa: HIC IACET IN FOSSA PIETRO PAOLO BARBAROSSA LANIMA DEL QVALE CREDO MANERE MALE. Nuovo se non unico esempio di epigrafe non bugiarda!

Da quanto si è fin qui discorso risulta che la basilica odierna nulla più serba dello stile e delle proporzioni antiche. Abbiamo detto che la facciata era preceduta da un portichetto e da un atrio, che era adorna di mosaici a fondo d'oro, sul culmine della quale spiccava la figura del Redentore, mentre nella fascia sottostante v'erano quelle dei quattro profeti costruiti volumi dei loro vaticinî in mano. L'atrio era circondato da colonne con fontane secondo l'uso dell'antichità. Nel porticale v'era l'oratorio di s. Tommaso, dedicato dal pontefice Giovanni XXII, destinato ad uso di sacrestia pontificia, sulla porta del quale si vedeva un dipinto del secolo X che rappresentava il papa nell'atto di indossare le vesti liturgiche; ivi si custodivano molte reliquie. Nella biblioteca Barberini vi sono i disegni del secolo XVII dei musaici dell'antico portico: ivi era rappresentata la flotta romana sotto Vespasiano, l'assedio di Gerusalemme, la favolosa donazione di s. Silvestro, il battesimo di Costantino; musaici fatti forse nei restauri di Alessandro III (1159‑1181). In quel luogo era pure la celebre sedia balneare, oggi nel museo vaticano, di rosso antico, appellata stercoraria, sulla quale sedea il pontefice nell'atto dell'intronizzazione, e che prese quel nome perchè il coro durante la funzione cantava il versetto: Suscitans a terra inopem et de stercore erigens pauperem. A ridicole fiabe, parto dell'ignoranza e della malvagità, dette origine quella sedia, le quali non meritano neppure l'onore della confutazione. In quel portico v'erano nobilissimi sepolcri di papi e di illustri personaggi; poichè era solo nei portici delle basiliche romane che gli imperatori e i successori di Pietro, o i grandi benefattori della Chiesa, quasi ianitores apostolorum, ambivano d'essere sepolti, riserbandosi l'aule interne ai santi martiri e confessori. Ivi giacevano Giovanni X (914‑928), Giovanni XII (956‑963), Giovanni XIV (983‑984), Alessandro II (1061‑1073). Si conserva ancora nella basilica la lunga iscrizione metrica di quel sepolcro. Ivi pure fu più tardi collocato il grande martirio, che fu poi trasferito presso l'altare papale.

La porta maggiore era fiancheggiata dalle statue dei santi Pietro e Paolo, come custodi e vindici del sacro luogo. La basilica era da lunghe file di colonne divisa in cinque ampie navate, e le pareti ricoperte di pitture e di musaici erano illuminate da finestre ogivali. Per alcuni gradini si ascendeva alla nave traversa, oggi detta clementina. Nel centro sorgeva l'altare circondato da plutei e transenne marmoree, entro al quale si custodiva ancora la tavola lignea sulla quale lo stesso Pietro, principe degli apostoli, come si ha tradizione, celebrò i divini misteri. In fondo all'altare si allargava la curva dell'abside, nel centro di questa v'era la sede papale fiancheggiata dai sedili del clero, e sopra quella con lettere d'oro in fondo nero si leggeva l'epigrafe che abbiamo già ricordato. Dietro l'altare girava un portico esagono detto leonino sostenuto da colonne, ove si leggeva la grande epigrafe ricordante la celebre visione d'Innocenzo III e la tabula magna di Leone X o registro delle reliquie.

Fra la basilica e le mura della città, ad oriente della prima si estendeva il grande monastero, dimora dei monaci che ebbero in custodia il sacro luogo, di cui rimane ancora il bellissimo chiostro lavoro del secolo XIII. Ancora questo insigne monumento dell'arte e della storia medioevale è tornato al pristino splendore mercè i restauri ordinati dal papa Leone XIII, ed oggimai condotti a termine. È circondato da portici di colonne tortili adorne di musaici e d'intarsî, e nel centro v'è il consueto pozzo; l'artista che compì quest'opera fu il marmorario romano Vassalleto, il quale scrisse in un angolo questa epigrafe oggi scomparsa, ma la cui copia trovò il De Rossi in un antico manoscritto della biblioteca nazionale di Parigi:

NOBILIS ET DOCTVS HAC VASSALETVS IN ARTE

CVM PATRE CAEPIT OPVS QVOD SOLVS PERFICIT IPSE.

Una epigrafe da me testè rinvenuta nella vicina basilica di s. Croce in Gerusalemme, dimostra che quello stesso Vassaleto  p98 lavorò anche colà. Nel monastero distrutto v'erano atrî, portici, sale, archivî, biblioteche, oratorî, che il tempo e l'uomo nel volgere dei secoli han fatto scomparire. Al di qua della basilica, ciò dall'opposto lato del monastero si distendeva il grandioso palazzo dei papi, un vero labirinto di portici, di aule, di oratorî, di stanze, di archivî e di triclinî, i quali come oggidì il Vaticano formavano un grande borgo. Il papa Zaccaria avea aggiunto nuovi edifizi alle fabbricche esistenti che rese più magnifiche. Edificò un portico guernito di una torre dinanzi alla fronte del palazzo, sotto il quale correva la via pubblica, un oscuro e ritorto viottolo che menava alla fronte maggiore della basilica ed alla porta asinaria della città. Il portico era adorno di pitture e da esso si saliva alla torre, dove trovavasi un triclinio, in cui erano dipinti a colori i paesi della terra. Dalla nave destra della chiesa per mezzo di una grande scala si ascendeva all'aula conciliare, la cui lunghezza eguagliava quella della moderna fronte del palazzo di Sisto V, aula avente dieci absidi, cioè cinque per lato e terminata nel fondo da una più ampia tribuna. — Verso la piazza settentrionale l'aula finiva con un loggiato coperto, costruito da Bonifacio VIII per uso della benedizione. E da quello l'anno 1300 fu annunziato il celeberrimo giubileo che trasse a Roma un infinito numero di pellegrini fra i quali l'Alighieri. Giotto sulle pareti di quella loggia rappresentò a colori quella scena importante, una delle più stupende composizioni del grande artista; oggi non ne rimane che un frammento portato nello interno della chiesa, in cui si vede il ritratto di Bonifacio VIII.

L'ingresso principale del grande palazzo era innanzi alla cappella detta Sancta Sanctorum, ove per una magnifica scala coperta da grandioso portico si accedeva alla parete centrale dell'edifizio. Alla destra di questa era la torre anzidetta di Zaccaria, presso alla quale v'era un altro ingresso al palazzo formato da tre scale, della quale la centrale diceasi di Pilato (Scala Santa), che menavano all'oratorio di s. Silvestro e a quello di s. Lorenzo (Sancta Sanctorum) in cui si custodivano innumerevoli reliquie, e che era la cappella del papa, la Sistina del Laterano. È l'unico oratorio che colle sue decorazioni del secolo XIII sia sopravvissuto alla generale ruina. Dei triclinî, cioè le sale dei religiosi banchetti, espressione monumentale della carità e della fratellanza in G. C. dove i papi convitavano il clero ed i cittadini nelle feste solenni, il più splendido era quel di  p99 Leone III costruito sulla fine del secolo VIII. Un ricordo ne resta nell'abside contigua all'oratorio della Scala Santa, ma il mosaico è copia dell'antico nè si trova al posto di quello, poichè il primitivo si trovava dalla parete opposta, cioè verso la facciata della basilica. Questa immensa mole di edificî fino al secolo XVI ricordavano ancora la loro passata grandezza, ma della loro distruzione più che darne colpa a Sisto V dobbiamo incolparne l'indole dei tempi, in cui si considerava più la grandiosità e la eleganza artistica, che il valore storico dei monumenti medesimi.

Battistero Lateranense
(S Giovanni in fonte)

Benchè ciò che si narra del battesimo a Costantino amministrato da s. Silvestro nel Laterano sia una narrazione assolutamente favolosa, pure constantiniana è l'origine del battistero lateranense. L'ingresso primitivo dell'edifizio era dal lato opposto dell'attuale per un interno atrio fra un vestibolo adorno di colonne porfiretiche. Sopra una delle lastre marmoree delle porte del vestibolo a sinistra si legge il principio del diploma di Henrico III imperatore pro hominibus mansionariorum della Basilica Lateranense dell'anno 1099. Da questo si entra in un portico adorno di tribune a musaici, sotto le quali il papa Anastasio IV (1153‑1154) pose due sarcofagi colle reliquie delle sante Rufina e Seconda. Nei primi lavori di sterro per il prolungamento odierno della basilica vennero a luce parecchie iscrizioni antiche, fra le quali il titolo sepolcrale di una serva di un'imperatrice fattole da due conservi della casa imperiale di nome Zosimi. Ma ciò che è notevole, quella fantesca imperiale avea precisamente i due nomi di Seconda e Rufina; mi sembra che l'epigrafe di un Seconda Rufina trovata presso l'oratorio delle due sante di questo nome nel Laterano sia cosa meritevole di studio. Ecco l'epigrafe:

SECVNDAE · RVFINAE
NEPT · AVG · ORNATRICI
VIX · ANN · XIX · M· VIII
CONS · BENEMERENTI
DVO · ZOSIMI · FECER·

Oltrepassato il portico di s. Venanzio s'entra nell'aula ottagona del battistero, la cui volta è sostenuta da otto grandiose colonne di porfido; nel centro v'ha la vasca battesimale a cui si discende per alcuni gradini. Sisto III (432‑440) restaurò splendidamente questo insigne monumento, e resta ancora nell'architrave marmoreo sovrapposta alle colonne il carme di lui, il cui  p100 senso tutto si riferisce al battesimo ed ai suoi spirituali effetti. Fu questo uno dei due battisteri di Roma, essendovi quello del Vaticano; e servì di modello a tutti gli altri battisteri d'Italia, che secondo le norme dell'antica liturgia dovevano essere fuori della chiesa cattedrale.

Diversi oratorî circondavano il magnifico monumento, dei quali tuttora ne restano in piedi alcuni. Tre furono edificati verso il fine del secolo V dal papa Ilaro (a. 461‑468) il quale volle con quell'opera sciogliere il suo voto ai santi per essere rimasto incolume dalle strage che di lui tentarono fare i seguaci di Dioscuro nel concilio efesino. L'oratorio a destra di chi pel vestibolo entra nell'aula ottagona fu dedicato a s. Giovanni Evangelista, la cui volta è tuttora adorna dell'antico musaico; nell'oratorio dal lato opposto dedicato al Battista nulla rimane d'antico eccetto la porta; il terzo oratorio fu dedicato alla Croce: nell'epistilio interno della porta dell'oratorio del Battista si leggeva: DOMINE DILEXI DECOREM DOMVS TVAE: nell'absidula dell'altare il papa segnò il suo nome e la dedica: BEATO IOANNI BAPTISTAE HILARVS EPISCOPVS DEI FAMVLVS FECIT. Ai tempi del Panvinio durava il musaico della volta e delle pareti laterali che scomparvero nei lavori nel 1727: nel centro v'era l'agnello divino entro corona d'alloro, ed uccelli su rami d'ulivi: lo stesso era nella volta dell'altro oratorio; agli angoli si vedevano delfini e pesci. — Lo stesso papa sulle porte di bronzo niellate in argento del battistero fece incidere l'epigrafe:

IN HONOREM S. I. BAPTISTAE HILARVS EP. DEI FAMVLVS OFFERT

Le due cappelle edificate da quel papa ai due Giovanni, cioè al Battista ed all'Evangelista, erano adunque adorne di marmi e musaici, ed è forse da questi che prese più tardi il nome la vicina basilica del Salvatore. Volle inoltre Ilaro presso il battistero edificare un terzo oratorio alla Croce preceduto da un triportico oggi al tutto scomparso. Il Battistero lateranense fu detto anche s. Giovanni ad vestes ed ad fontem, nomi relativi ambidue alla cerimonia del battesimo, il primo ciò alle albe dei neofiti, il secondo alle acque in cui venivano immersi i catecumeni.

In una lunetta della biblioteca vaticana è dipinta la scena della cerimonia del giubileo promulgato da Sisto V dal luogo stesso ove nel 1300 fu promulgato da Bonifacio VIII. Poco dopo l'antico patriarchio scomparve, rimanendone in questo prezioso dipinto la memoria. Vi si scorge la facciata laterale della basilica senza i portici che l'hanno posteriormente coperta: a sinistra il palazzo ove era l'aula del Concilio edificata da Leone III,  p101 se ne vedono le absidi laterali: al di fuori sporge il pulpitum o loggia di Bonifacio VIII seguita dalla fronte del patriarchio: a sinistra si vede l'oratorio di s. Silvestro, poi quello della Scala santa col suo portichetto; segue il battistero coll'oratorio della s. Croce.

S. Venanzio in Laterano

Il papa Giovanni IV Dalmata (a. 640‑642) dedicò; nel vestibolo del battistero lateranense un oratorio a s. Venanzio, le cui reliquie insieme a quelle di altri martiri ivi fece trasportare dalla Dalmazia. Nell'abside del sacello sono rappresentate a musaico le imagini di detti santi, fra le quali spicca quella di Venanzio, di cui avea già il padre del papa portato il nome. Quei musaici benchè malamente risarciti nel 1674 si conservano tuttora, ed il rozzo stile del lavoro dimostra il periodo orribile della decadenza delle arti nel secolo settimo. Sull'arco trionfale dell'oratorio si vedono i quadri apocalittici dei quattro evangelisti disposti in spazi quadrati con quattro santi per ogni lato dell'arco. I nomi dei santi sono i seguenti: s. Paulinianus, s. Felicis, s. Asterius, s. Anastasius, s. Maurus, s. Septimus, s. Antiochianus s. Caianus. Nella tribuna v'ha centro tra le nubi in mezzo a due angeli che alza la mano destra; al disotto sta la Vergine vestita di azzurro colle braccia alzate come orante. È fiancheggiata dagli apostoli Pietro e Paolo, i primo colle due chiavi simboliche e la croce astata come vessillifero della Chiesa, il 20 coll'evangelo, e s. Giovanni Battista: poi i santi Venanzio e Domno: a manca è il ritratto del papa edificatore dell'oratorio che ne solleva in alto il modello: a destra v'ha un'altra figura, forse quella di Teodoro compì; l'opera: sotto si leggono i seguenti distici:

MARTYRIBVS CHRISTI DOMINI PIA VOTA IOANNES

REDDIDIT ANTISTES SANCTIFICANTE DEO

ACCANTO SACRI FONTIS SIMILI FVLGENTE METALLO

PROVIDVS INSTANTER HOC COPVLAVIT OPVS

QVO QVISQVIS GRADIENS ET CHRISTVM PRONVS ADORANS

EFFVSAQVE PRECES MITTIT AD AETHRA SVAS

Questo oratorio è quasi il monumento votivo della fine dello schismo istriano, e perciò fu eretto alla memoria dei martiri e santi della Dalmazia. In questo portico al papa dopo il canto dei tre vesperi nel giorno di Pasqua era presentato dall'  p102 architriclinio un calice di vino, e mentre egli vi porgeva le labbra i cantori recitavano una sequenza in lingua greca che si legge ancora nell'eucologio: finita la quale essi baciavano il piede al papa che dava alla sua volta ai medesimi da bere del vino suddetto.

SS. Rufina e Seconda in Laterano

Quella che oggi chiamasi cappella di dette sante è l'antico portico del battistero terminante in due absidi nelle due estremità adorni di musaici del secolo IVV. Quivi Anastasio IV nel 1153 o 1154 eresse un altare sul sepolcro delle predette martiri sotto l'abside sinistra di chi entra nel portico, indi il nome odierno del luogo. Nel 1757 ricostruendosi l'altare, l'abside sinistra perdette quanto restava al suo musaico. Rimane solo il musaico dell'abside destra: la composizione di volute di fogliami di classico effetto; nella zona inferiore sono superstiti sette croci latine, ma erano dodici: sotto il ventaglio vicino alla conca come da cornice pendono se croci gemmate. Sulla cornice sono disposte quattro colombe che si dirigono verso l'agnello che regna nel mezzo, il cui capo era pure sormontato da croce. Quanto al musaico distrutto, ne abbiamo copia in un codice vaticano del Ciacconio. Vi erano rappresentate scene pastorali, pavoni, uccelli. Anche le pareti del portico erano decorate di intagli marmorei.

Congettura il ch. De Rossi che quivi il pava dovea segnare col crisma il signum crucis sulla fronte dei fedeli usciti dal vicino lavacro. Prudenzio descrive il concorso del popolo cristiano per ricevere quel segno di centro ed il crisma nel battistero lateranense:

Coetibus aut magnis Lateranas currit ad aedes

Unde sacrum referat regali chrismate signum

Nell'oratorio attuale v'ha anche una pittura che rappresenta G. C. che corona le due sante. Nel 1757 il capitolo lane concesse l'altare alla illustre famiglia genovese dei Lercari. Vicino al primitivo oratorio di Ilaro dimorava ai tempi del papa Vigilio il vicedominus, dimora che fu poi concessa ai vescovi di Selva Candida e di Porto.

 p103  Santa Croce in Laterano

Il libro pontificale asserisce che il papa Ilaro (a. 461‑468) fece: oratoria tria in baptisterio basilicae constantiniana . . . et triporticum ante oratorium Sancte Crucis ubi sunt columnae mirae magnitudinis etc.

Nel triportico si leggeva l'epigrafe:

HIC OLCVS OLIM SORDENTIS CVMVLI SQVALORE CONGESTVS SVMPTV
ET STVDIO XPI FAMVLI HILARI EPI IVVANTE DNO TANTA RVDE
RVM MOLE SVBLATA QVANTVM CVLMINIS NVNC VIDETVR AD
OFFERENDVM CHRISTO DEO MVNVS ORNATVS ATQVE DEDICATVS EST.

Ai tempi del Panvinio vedevasi ancora un frammento di questa epigrafe nel zooforo dell'oratorio di s. Tommaso.

Nella cappella veneravasi il sacro legno della Croce, e la fronte dell'edificio era appunto in forma di croce: avea tre porte in facciata, un piccolo atrio con triportico e ninfeo: da due colonne del portico uscivano due zampilli d'acqua che ricadevano in due vasche: un'altra fonte era nel mezzo dell'atrio. Anche nella celebre epigrafe della donazione di Matilde dell'anno 1059 è ricordato l'oratorio suddetto. All'epoca di Sisto V ne restavano ancora in piedi gli avanzi ed alcune colonne. Le sue porte erano di bronzo intarsiate di argento. L'edificio avea quattro absidi, in uno era la fonte, negli altri tre altari. La volta era coperta di musaici, agli angoli della quale v'erano disegnati quattro angeli sostenenti la croce: negli spazî fra le finestre v'erano pure in musaico le imagini dei ss. Pietro, Paolo, Gio. Battista e Gio. Evangelista, e nelle pareti i segni della s. Croce.

Nel mezzo era la confessione, ove Simmaco pose una croce d'oro che contenea la preziosa reliquia del santo legno: per la fabbrica del palazzo lateranense Sisto V terminò; di abbattere un monumento così nobile con dolore di tutta la città, come ricorda l'Ugonio: Hoc nobilissimum oratorium, gemente prope urbe, disiectum, magnum sui omnibus desiderium reliquit.  p104 

S. MARIA IN LATERANO

Il biografo di Nicola I (anche. 858‑867) ha queste parole: In patriarcho siquidem lateranensi domum pulcherrimum nimisque decorosam fieri iussit: et oratorium s. Dei genitricis illic construentes vestes et competentes ornatus primo aeternae vitae amore lucifluis votis ipse beatissimus pontifex obtulit.

Dalle quali parole si rileva che era situato entro il patriarchio lateranense col quale fu distrutto.

S. TOMMASO IN LATERANO

Fu edificato dal papa Giovanni XII nell'anno 956. Era situato nell'estremità del portico dell'antica basilica ed era ivi anche il secretarium lateranense.

Fu distrutto l'anno 1649 nella riedificazione della facciata della basilica sotto il papa Innocenzo X.

S. SILVESTRO IN LATERANO

Anche quest'oratorio era situato intra episcopium lateranense, come abbiamo nella vita di Teodoro I.

Il papa Zaccaria l'adornò; di pitture e di musaici. Sull'arco della porta del sacro recinto, e sorretto da due colonne di porfido in un tabernacolo v'era un'imagine del Salvatore, della quale diceasi che percossa da giudeo avesse miracolosamente versato sangue. Presso l'oratorio era la Basilica Theodori, dal papa che l'avea edificata. Nel secolo XIV stava in piedi, ma abbandonato del tutto, come risulta dal codice di Torino, ove si legge: Ecclesia s. Silvestri non habet servitorem. Fu demolito da Sisto V per la fabbrica del nuovo palazzo. Qui il papa nel giovedì; santo facea la cena dopo la lavanda dei piedi: qui si tenevano le palme che si benediceano dal card. titolare di s. Lorenzo e in quest'oratorio il nuovo papa prendeva possesso del patriarchio.

 p105  Basilica di Teodoro in Laterano

Quest'aula era dentro il Patriarchio, congiunta all'oratorio di s. Silvestro. Il Rohault de Fleury designa il sito non lungi dall'odierno edificio della Scala Santa.

S. STEFANO DE SCHOLA CANTORUM IN LATERANO

Al grande proto­martire era dedicato presso il Laterano un oratorio edificato dal papa Ilaro, come abbiamo nella sua biografia. Stava non lungi dal battistero, ed avea annesso un monastero ove vi educavano i fanciulli alunni della schola cantorum del Laterano. Narra Giovanni diacono che il M. Gregorio avesse appunto nel Laterano ricevuto quasi ispirazione angelica nello scrivere il suo antiphonarium entro l'oratorio della S. Croce. Giovanni XIX, chiamato a Roma il benedettino Guido d'Arezzo esule dal suo convento della Pomposa, comandò; che la scuola lateranense apprendesse il metodo dell'Aretino.

Nel secolo XIV quella chiesa era ancora in piedi ma fatiscente, e mantenea il nome dell'antica scuola dei cantori: s. Stephanus de schola cantoris (sic) non habet servitorem est destructa, così nel catalogo di Torino. Viene ricordata anche nei regesti di Urbano V a proposito di una conferma fatta del primicerio della scuola medesima: Confirmatio primiceriatus scholae cantorum de urbe vacantis per obitum Aegidi de Reate favore Angeli de Macis canonici basilicae principis apostolorum, e negli stessi regesti il papa conferma: priori ecclesiae lateranensi redditus et applicatur collegium quod Scholae Cantorum vulgariter dicitur et estinguuntur singulares portiones post decennium cuiuslibet canonici seu clerici illas obtinentes. Nel testo completo della vita di Innocenzo III edita dal Mai si ricordano i donativi fatti da quel papa Ecclesiae s. Stephani in Laterano. Nella tabula magna lateranense del secolo XVI la cappella di s. Stefano è indicata presso al Battistero.

 p106  S. Sebastiano in Laterano

Al glorioso soldato cristiano sorgea presso il Laterano un oratorio edificato dal papa Teodoro, come si legge nel libro pontificale. Pasquale Adinolfi scrittore, in cui fu somma l'erudizione delle cose di Roma, ma non pari la critica, afferma che l'oratorio di s. Sebastiano di cui qui si discorre fosse il medesimo che quello di Silvestro; ma di ciò egli non adduce argomenti. A me non pare doversi accettare l'opinione dell'Adinolfi, e sostengo col Severano che il papa Teodoro erigesse due distinti oratorî, l'uno al papa Silvestro l'altro a s. Sebastiano.

S. PANCRAZIO IN LATERANO

Anche alla memoria di questo illustre martire fu dedicato nel Laterano un oratorio, di cui si fa menzione del libro pontificale. I monaci dell'attiguo monastero salmodiavano insieme con quelli dei monasteri vicini nella basilica lateranense, e ciò per decreto del papa Adriano I (a. 772) di cui il suo biografo scrive che: ab uno choro quidem qui dudum in utroque psallebant, monachi ex monasterio sancti Pancratii ibidem postio. Di questo oratorio si discorre nella biografia di Gregorio III (a. 731) ove si dice antiquitus institutum secus ecclesiam Salvatoris. Era stato edificato dai monaci fuggiti dal Monte Cassino nel 528 sotto Pelagio II.

Leone III donò; a quel monastero vestem de fundato, et coronam de argento pensantem libras V et semis. Il sito di questo oratorio corrisponde a quello dell'antica sacrestia della basilica lateranense.

S. NICCOLÒ IN LATERANO

Questo insigne oratorio del patriarchio laterano fu costruito da Callisto II (1119‑1124) che lo adornò; riccamente. Pandolfo diacono nella vita di quel papa scrisse che questi; ecclesiam s. Nicolai in palatio fecit, cameram amplificari et  p107 pingi sicut apparet hodie; miro opere praecepit, e per camera come dimostra il ch. De Rossi nella sua dotta dissertazione su quello oratorio va interpretata l'abside. A memoria poi del grandissimo trionfo che fu l'atterramento dell'antipapa Burdino, Callisto fece dipingere anche il trattato di Worms ed il testo medesimo della pace quivi conchiusa colla leggenda:

ECCE CALIXTVS HONOR PATRIAE, DECVS IMPERIALE
BVRDINVM NEQVAM DAMNAT PACEMQVE REFORMAT.

In un'aula attigua a quell'oratorio fece inoltre Callisto ritrarre tutti i pontefici suoi antecessori con gli antipapi ai loro piedi pro scabello. Il Ciampini lo descrisse e dice che era di forma oblunga, e che nell'abside vi erano le imagini dei papi da Alessandro II fino a Callisto II che lo edificò; cioè Alessandro, Gregorio VII, Vittore III, Urbano II, Pasquale II, Gelasio II, ed inoltre le imagini dei santi Leone e Gregorio il grande, e sè stesso ai piedi del Salvatore. In mezzo all'abside primeggiava l'imagine della B. Vergine corteggiata dagli angeli con il verso: Praesidet aethereis pia virgo Maria choreis, verso letto dal Ciacconio, dal Grimaldi, da Pietro Sabino ed altri e nei loro codici trascritto. La pittura dell'abside era distinta infatti in due piani, ed un'epigrafe metrica divideva la conca superiore dalla zona inferiore, come ha dimostrato il ch. De Rossi Quell'epigrafe fu trascritta verso la fine del secolo XV da Pietro Sabino in un libro da lui offerto e dedicato a Carlo VIII re di Francia, e di cui l'unico esemplare superstite si conserva nella biblioteca marciana a Venezia: era la seguente:

SVSTVLIT HOC PRIMVM TEMPLVM CALLISTVS AB IMO
VIR CELEBRIS LATE GALLORVM NOBILITATE
DNVS CALLISTVS P. II
LAETVS CALLISTVS PAPATVS CVLMINE FRETVS
HOC OPVS ORNAVIT VARIISQVE MODIS DECORAVIT.

Quell'insigne monumento rimase in piedi fino ai tempi di Clemente XII, che avendo intrapreso l'erezione della nuova facciata della basilica secondo i disegni del galilei, volle ampliarne  p108 la piazza: a tal uopo era necessario demolire le fabbriche della vecchia penitenzieria coll'inchiuso famoso triclinio di Leone III e coll'oratorio di s. Niccola. Fu commesso in quell'occasione, così il De Rossi, al cav. Cristofori di reticolare con carta oliata i ritratti dei papi del nostro oratorio, i cui lucidi dopo distrutto quel venerando monumento furono poi anche essi perduti. Benedetto XIV sulla base dei medesimi volle che nella nuova cappella dei Penitenzieri in Laterano sì; ritraessero di nuovo le imagini ritratte dalla copia del Cristofori, come fece eseguire anche per i musaici del triclinio leoniano rifatti sulla copia del suddetto.

S. CESARIO IN LATERANO

L'oratorio di s. Cesario era annesso alla guardaroba (vestiarium) pontificia del Laterano, vicino all'oratorio di s. Niccolò. È ricordato nella vita di Sergio I (a. 687) e di Stefano III (a. 768).

S. APOLLINARE IN LATERANO

Fu edificato dal Papa Adriano I, siccome riferisce Pandolfo ostiario della basilica lateranense: non ne rimane come delle altre vestigio alcuno.

S. LORENZO IN PALATIO (Sancta Sanctorum)

È la celeberrima cappella de' romani pontefici nel patriarchio lateranense comunemente detta Sancta Sanctorum, dall'epoca in cui Leone III (a. 847‑855) fece scolpire queste due parole sopra una cassa di cipresso in cui si custodivano le reliquie entro l'oratorio suddetto: ed è questo l'unico pressochè integro, superstite del patriarchio medesimo. Il libro pontificale nella vita di Stefano III (a. 768‑772) scrive: illucescente seconda feria, subdiaconus atque diaconus ab eodem episcopo (Georgio praenestino) in oratorio s. Laurentii intra eundem Patriarchium contra  p109 canonum instituta consecratus est cioè Costantino fratello del Duca di Nepi antipapa contro Stefano III.

Nella vita di Gregorio IV (827) è ricordato nuovamente quest'oratorio: Fecit et in Patriarchio lateranensi prope oratorium I. Christi M. Laurentii habitaculum satis idoneum. In un codice vaticano si parla di reliquie portate a Costantinopoli da s. Gregorio il grande, allora Apocrisario del Papa, e che furono alcun tempo deposte nell'oratorio di s. Lorenzo, il qual documento farebbe risalire l'oratorio al secolo VI. Onorio III (a. 1216‑1227), essendo quella cappella evidentius ruinosam a solo terrae opere perpetuo intus ipsam per latera vestivit marmore accanto in superiori parte testudinis picturis pulcherrimis ornatam fundari iussit . . . quam basilicam pridie nonas iunii consecravit. A quest'epoca pure si possono attribuire i dipinti della cripta di questa cappella. Niccolò III nel 1227, hanc basilicam a fundamentis renovavit, come abbiamo da un'iscrizione locale, servendosi dell'opera del celebre architetto quest marmorario romano Cosmato padre di Diodato. La catastrofe che accadde in Roma poco dopo la morte di Onorio ed il terremoto, spiega il bisogno dei lavori di Niccolò. L'epigrafe che io ho su ricordato è del seguente tenore:

MAGISTER
COSMATVS
FECIT HOC
OPVS.

L'architettura dell'edificio è di quello stile che suol dirsi gotico-lombardo. Vi si entra da un lato per un vestibolo adorno di rare pitture. La cappella è di forma quadrata e di bellissima struttura, il pavimento è di opera cosmatesca; le pareti sono rivestite di lastre marmoree fino all'altezza di 4 metri incirca.

A quest'altezza corrono in giro 28 tabernacoli coi loro rispettivi frontoni sostenuti da colonnine spirali posate sopra mensole marmoree. Entro ciascun tabernacolo vi è dipinta a fresco un'imagine di santo: la B. Vergine col bambino nel seno sta nel mezzo, a destra e a sinistra i ss. Gio. Batt. e Gio. Evang., seguono i profeti Isaia, il re David, i dodici apostoli, gli evangelisti opera del Nanni.

 p110  Fra i quattro archi acuti che formano la volta sono dipinti in musaico i quattro misteriosi animali, su campo azzurro ornato di stelle d'oro. Sulle lunette fra i tabernacoli e la volta sono otto grandi quadri a fresco, due per ciascun lato, rappresentanti: 1o s. Pietro e s. Paolo, in mezzo ai quali è un papa inginocchiato con tiara in capo, forse Niccolò III: 2o G. Centro sedente in trono collo scettro nella mano sinistra: 3o il martirio di s. Pietro: 4o il martirio di s. Paolo: 5o il martirio di s. Stefano: 6o il martirio di s. Lorenzo: 7o e 8o due fatti della vita di s. Niccolò di Mira.

Il coro della cappella ha forma di portichetto sostenuto nelle parti anteriori da due colonne di porfido: sull'architrave è scritto a lettere d'oro:

NON EST IN TOTO SANCTIOR ORBE LOCVS

epigrafe ripetuta poi da Sisto V sulla fronte del nuovo edifizio della Scala Santa. La volta crociera è tutta messa a musaico. Nel mezzo, entro un gran circolo, sostenuto da 4 angeli simmetricamente diposti è effigiato in forma assai grandiosa il Salvatore.

Nelle cinque lunette che formano la volta vi sono pure in musaico: 1o i busti dei ss. Pietro e Paolo, 2o di s. Agnese, 3o di s. Lorenzo, 4o di s. Niccola, 5o di s. Stefano colle rispettive epigrafi: S. PETRVS — S. PAVLVS — SCA † AGNES — S. LAV‑REN‑TIVS — S. STE-PHAN. — S. NICO-LAVS.

Nel mezzo è l'altare isolato di marmo bianco. È circondato all'intorno da una grata di ferro, e davanti ha due porticine di metallo che chiudono il deposito delle sacre reliquie. Sopra i due sportelli sono scolpite a bassorilievo le teste dei ss. apostoli Pietro e Paolo colla rispettiva epigrafe:

S. PAV-LVS — S. PE-TRVS.

Sotto la prima vi è l'iscrizione:

† HOC OP FECIT
FIERI . DN INNOCEN
TIVS PP. TERTIVS

Sotto la seconda:

† NICOLAVS PP III
HAC BASILICA A FVN
DAMENTIS
RENOVA
VIT . ET . ALTARE FIERI
FEC . IPMQ . CHE . EADE BA
SILICA . CONSECRAVIT

 p111  Sulla parete dietro l'altare è la celeberrima imagine del Salvatore dipinta in tavola. Questa era veneratissima fino dal pontificato di Stefano II (a. 752), il quale ad implorare il divino aiuto contro i Longobardi condotti da Aistulfo, ordinò una processione per la città, ed il papa portò sulle proprie spalle l'imagine, Salvatoris nostri I. C. quae acheropita nuncupatur.

Nel secolo XIII la venerata tavola fu costruita da una lamina d'argento per opera d'Innocenzo III, come risulta dall'epigrafe: INNOCENT . PP . III. HOC OPVS FIERI FECIT.

Il lavoro è bellissimo; vi sono scolpiti a rilievo figurine e ornati di stile lombardo.

S'ignora da chi e in quale epoca questa imagine fosse stata portata in Roma: si crede la portasse da Costantinopoli s. Germano patriarca di quella città per salvarla dagli iconoclasti bizantini. Il ch. P. Garrucci sospetta sia quella celebre di Camuliano di cui parla s. Gregorio di Nissa, che può ben essere una copia di quella d'Edessa, che si conserva in s. Bartolomeo degli Armeni in Genova. Con questa ha di comune che è in tela fino alla punta della barba, mentre la persona che si sa esservi, quantunque ora coperta da lamina d'argento, è dipinta sul legno. Questa, e la immagine genovese, sono i due insigni e più venerati esemplari dei numerosissimi che erano sparsi in tutto l'Oriente, il cui proto­tipo secondo lo storico degli Armeni Mosè Corenese nel secolo V non fu fatto da mano d'uomo, per cui il nome di acheropita. Nell'oratorio di s. Lorenzo, il papa fino al secolo XI nel mattino del giovedì santo faceva il mandatum, cioè la lavanda dei piedi; nella domenica di Pasqua apriva la custodia dell'imagine anzidetta e baciati devotamente i santi piedi, per tre fiate diceva: surrexit Dominus de sepulchro, alle quali parole il collegio dei cardinali rispondeva: qui primo nobis pependit in ligno.

Nel dì dell'Assunzione, dopo il vespro in s. Maria Maggiore cantato il giorno precedente, il papa venuto con la corte ed il popolo in questa sacra cappella, ne trasportava l'imagine alla basilica liberiana, processione delle più antiche di Roma che si crede ordinata da papa Sergio, e più volte durante la medesima si solevano bagnare i piedi della santa imagine con acqua di basilica. L'intenzione di quella devotissima processione, a cui tutto il popolo romano solea prendere parte, era  p112 quella d'avvicinare l'imagine del Figlio a quella della Madre, acciò, assunta nel cielo, impetrasse da quello favori e grazie per i fedeli. Per evitare disordini, massime per cagione delle precedenze e degli impegni, fu abolita la processione verso la fine del secolo XVI, benchè in moltissime delle diocesi suburbane resti tuttora in vigore.

Tre erano gli altari dell'oratorio, in ognuno de' quali entro canestre di legno e d'argento si custodivano moltissime devote reliquie.

Sisto V come accesso a quest'oratorio pose le Scale sante, o Sacala di Pilato come diceasi nei secoli di mezzo, che erano situate presso l'oratorio di s. Silvestro. Erano precedute da un vestiboletto coperto da portico arcuato sostenuto da quattro colonne con suo tetto a foggia di tempio.

S. MICHELE ARCANGELO

La storia di questa chiesa si rannoda a quella di uno dei più insigni monumenti della carità cristiana e romana, cioè all'ospedale lateranense. La prima fabbrica di questo risale all'anno 1216 incirca, in cui il card. Giovanni Colonna fondò presso la chiesa dei ss. Marcellino e Pietro un ospizio pei pellegrini poveri e infermi, al quale erano preposti i dodici ostiarii della congregazione celeberrima del Salvatore. Il card. Pietro colonna fece generosamente molte largizioni al suddetto ospizio e lo affidò alla Confraternita dei Raccomandati del Salvatore eretta l'anno 1276 ed estinta nei primi anni di questo secolo. Dell'ospizio primitivo restano ancora notabili avanzi di opera saracinesca nella località dell'odierno spedale detto s. Andrea, ove è al presente la scuola clinica ostetrica ginecologica. Fu nel 1338 che la Confraternita, essendosi reso incapace e fatiscente il primo ospizio, stabilì di edificare un vero e proprio ospedale per gl'infermi e a tal uopo comprò della Basilica lateranense il terreno presso la via odierna di s. Stefano Rotondo nel luogo incirca ove la via sanctamaior per l'arco chiamato di Basile metteva capo al Campo lateranense in un luogo vicinissimo al turrito palazzo de' Novelli. Iviv esisteva una cappella o chiesuola dedicata a s. Michele Arcangelo, dalla quale quel  p113 primo nosocomio prese il nome di ospedale dell'Angelo Michele. Di questa cappella non restano più tracce, benchè del'ospedale resti ancora il portico della fronte sulla via odierna di s. Stefano Rotondo. A questa chiesa poi spetta un simulacro marmoreo che rappresenta l'Arcangelo, il quale calpesta un dragone alato; s. Michele colla sinistra mano sorregge il globo e sostiene nella destra l'asta; indossa una maglia militare, ed ha il nimbo attorno al capo; sul marmo restano tracce dei colori coi quali fu già dipinto. Nella base si legge in brutte lettere del secolo XIV l'epigrafe seguente:

† HOC OP. FIERI FECIT FRANCISCVS VECCHI
NOT. DE PARIONE PRO ANIMA SVA.

Il simulacro è stato posto nel primo piano della scala che conduce all'abitazione superiore dell'ospedale. Quel primo ospedale, di cui resta ancora il portico che guardava la pubblica via, era vicino alla chiesa di s. Andrea tuttora esistente poco lungi dal sito descritto. Nel tempo del guardianato del suddetto Francesco de Vecchi la chiesa fu congiunta all'ospedale, al quale era stato già annesso un braccio traverso mediante il fornice o porta monumentale, sul cui listello si legge ancora in giro la seguente epigrafe:

HOC OPVS INCHOATVM FVIT TEMPORE GVARDIANATVS FRANCISCI VECCHI ET FRANCISCI ROSANE PRIORVM SVB ANNO DOMINI MCCCXLVIII INDICTIONE SEVNDA MENSE SEPTEMBRIS

e sull'arco della porta si legge:

HOSPITALE SALVATORIS REFVGIVM PAVPERVM ET INFIRMORVM

Nel 1460 Everso II conte dell'Anguillara lasciava in testamento alla Confraternita una conspicua somma di denaro, colla quale la detta Confraternita nel 1462 fece edificare dall'altro lato della chiesa di s. Andrea, cioè a sinistra della stessa un nuovo braccio d'ospedale ora detto del Salvator che giungeva fino sulla piazza del Laterano ed ove dalla parte rivolta alla piazza si vede impreso nel muro lo stemma e il nome del benefico donatore. Nel 1580 si cominciò a prolungare quest'aula, ma il lavoro fu più volte interrotto finchè fu terminato sotto Urbano VIII che lo protrasse fino all'angolo della via detta della Ferratella, presso il battistero lateranense.

Il cimitero del primitivo ospizio dei Colonna era sul prolungamento della via dei ss. Quattro, intersecata oggi dallo stradone  p114 di s. Giovanni, a sinistra di chi va verso la piazza lateranense presso la ricordata clinica ostetrica; quel cimitero è stato in uso fino ai tempi nostri cioè alla proibizione di seppellire nell'interno della città. Leone X vi alzò nel mezzo una colonna marmorea, sulla cui base si legge il suo nome.

Sull'ingresso del cimitero v'era una edicoletta con un'imagine del ss. Crocifisso, innanzi alla quale pregava noi devoti requie alle anime dei defunti. — Oggi nell'area del cimitero è stato piantato un piccolo giardino e le tombe sono ricolmate di terra.

S. MARIA DELLE GRAZIE (nel cimitero di S. Giovanni in Laterano)

La piccola cappella del cimitero dell'ospedale lateranense fu data in uso ad una società di divoti, i quali nel 1784 si raccolsero la prima volta in pia unione collo scopo di pregare per le anime delle trapassati e di recitare specialmente queste preci nell'atto della sepoltura dei cadaveri in quel cimitero. La devota fratellanza prese il nome di Pia unione della Madonna Addolorata per suffragare le anime dei defunti.

La piccola cappellina del Crocifisso che ivi era e di cui si è parlato di sopra, venne ampliata e ornata e ridotta alla forma odierna nel 1812 sotto il pontificato di Pio VII: pochi anni dopo, cioè nel 1826, vi fu trasportata la celeberrima imagine detta di s. Maria imperatrice, che venerata prima in un portico sulla via dei ss. Quattro, fu poi custodita in un altro piccolo oratorio situato non lungi di là che avea il titolo di s. Maria imperatrice, colla quale edicola oggi distrutta non è da confondere l'odierna. La epigrafe seguente a destra del piccolo oratorio ricordo la traslazione della imagine:

SANCTAE DEI IMPERATRICI NVNCVPATAE
ICON
QVAM POPVLVS ROMANVS A SAECVLO VI
PECVLIARI PIETATE VENERATVR
ET CVM S. GREGORIO MAGNO LOCVTAM ESSE ACCEPIT
AB HVMILI SACELLO PROXIMO IN EIVS HONOREM DICATO
ET OB VETVSTATEM COLLABENTEM
SOLEMNI RITV HVC INLATA EST A. MDCCCXXVI PRIDIE ID. AVG.
VT EIVS CVLTVS SERVETVR AVVEATVR.

Fino al 1870 si mostrava al pubblico il giorno dei morti e durante l'ottavario entro questo cimitero la rappresentazione, con applausi del popolo che accorreva numeroso a vedere quella  p115 scena divota, in cui erano disposte figure di legno o di cera rappresentanti un qualche avvenimento o di storia ecclesiastica o delle sacre scritture.

SS. ANDREA E BARTOLOMEO (S. Andrea in Laterano)

Anche oggi esiste questa chiesuola vetustissima dirimpetto al cimitero dell'ospedale lateranense. Si trova fra l'antico ospedale dell'Angelo Michele, e quello edificato da Everso dell'Anguillara. L'odierna chiesa è di forma quasi triangolare, ed il pavimento cosmatesco fu fatto per opera dei guardiani dell'Archiconfraternita del Salvatore, Marco Dioteaiuti e Giovanni Bonadies nel 1462. Ha un solo altare nel fondo: il resto è opera moderna. La chiesa fu in origine edificata nella casa paterna di Onorio I (a. 622‑640), ed è perciò che nella vita di Adriano I viene chiamata monasterium ss. Andreae et Bartholomaei, quod appellatur Honorii papae,, e lo stesso viene ripetuto nella biografia di Leone III: Fecit autem (Leo III) in monastero ss. Andreae et Bartolomaei quod appellatur Honorii canistrum ex argento pensantem libras III.. Tra i beni di questo monastero v'era la valle Marciana, anticamente detta Iaconia sulla via latina situata di fronte a Ciampino, che nel secolo X facea parte d'un latifondo amplissimo detto Casana descritto in alcune bolle di Agapito II e di Giovanni XXII.. Anche oggi nella vigna di Ciampino sorge una moderna chiesoletta dedicata a s. Andrea, la cui origine risale al tempo d'Innocenzo III, e che nel secolo XII diceasi s. Andreas de nono perchè spettante al fondo appellato pontem de nono.

ORATORIO DEL SS. SACRAMENTO

Verso la fine del secolo XIV, sotto il papa Sisto IV nella basilica lateranense fu istituita la Compagnia di s. Giovanni in Laterano collo scopo di accompagnare il s. Viatico agli infermi. I fratelli di questo sodalizio per esser pronti ad ogni chiamata posero la loro dimora nella chiesa dei ss. Marcellino e Pietro  p116 officiata allora dai monaci Mechitaristi. Nel 1493 Alessandro VI dette a quella compagnia il titolo di Confraternita, alla quale però mancava una propria dimora. Allorchè Clemente VIII costruì il nuovo altare nella basilica di s. Giovanni per la custodia del Sacramento, affidò a quel sodalizio l'ufficio devoto di accompagnarlo allorchè veniva portato agli infermi, ed il Capitolo lateranense a tal uopo nel 1592 concesse loro come luogo di adunanza l'oratorio di s. Venanzio presso il Battistero. Ivi tenne sua sede la Confraternita fino al 1602 in cui dovette abbandonarlo, e in sostituzione fabbricò sulla piazza, vicino al luogo dell'obelisco, una baracca di legno, ponendo dimora per esser pronta al suo ufficio nella lontana chiesa dei ss. Marcellino e Pietro a Torre Pignattara. Sotto Urbano VIII l'anno 1623 per dissidî insorti il sodalizio si sciolse, ma sotto il pontificato di Alessandro VII un pio sacerdote romano di nome Giovanni Fortunati beneficiato lateranense ottenne dal papa la facoltà di ricostituire l'Arciconfraternita, e il papa ne spedì la bolla Pastoris Aeterni in data 18 luglio 1656. Il decreto di erezione fu emanato dal card. Vicario Marzio Ginetti al 15 gennaio 1660. L'anno seguente, la s. Visita Apostolica il giorno 8 dicembre ordinava ai signori Guardiani di Sancta Sanctorum dicedere e concedere all'Archiconfraternita suddetta il locale presso le Scale Sante che allora confinava coll'orto dei pp. Penitenzieri coll'obbligo da parte della Confraternita di passare ai signori Guardiani in perpetuo un annuo canone di una libbra di cera bianca nel giovedì santo. Il giorno 13 febbraio fu consegnato il locale e l'atto fu stipulato al s. Monte di Pietà con intervento dei signori Guardiani e de' deputati dell'Archiconfraternita. Il Fortunati cominciò a fabbrica, ma per usare di materiali dei lavori fatti da Sisto V, ruppe il muro e s'introdusse nelle sostruzioni del Sancta Sanctorum, le quali formavano come un terrapieno, e vi fece tanto danno che nel 1677 una delle cinque scale sprofondò, quia remanserunt sine fundamentis, come si ha dal Terribilini nelle sue schede. Due volte il fuoco danneggiò quell'oratorio, cioè nel 1778 e nel 1857.

Il zelante sacerdote donò all'altare i candelieri d'argento e due corone d'oro che nel 1797 furono rapite dai Francesi. L'oratorio fu dedicato al ss. Sacramento e a Maria rifugio de' peccatori. Il Capitolo donò il bellissimo quadro della Vergine, che è pittura in tela incollata su tavola. Quell'immagine era appesa  p117 ad una delle pareti della basilica, e lo stesso Capitolo donò pure due colonne di quelle che tolse da s. Giovanni a porta Latina.

Ss. Sergio e Bacco de Forma

Nella biografia di Pasquale I (817‑824) il libro pontificale descrive le opere fatte da questo papa all'oratorio e monastero dei ss. Sergio e Bacco nel Laterano. Dalle suddette parole impariamo che il papa, trovando il monasterium sancti Sergi et Bacchi, post formam acquaeductus patriarchii lateranensis positum, rebus omnibus desolatum, ita ut ancillarum ei congregatio, quae ibidem inerat, paupertatis inopia nullas omnipotenti Deo sanctisque illius laudes decantare valerent; lo restaurò e lo dotò famulis, messibus, vineis, domibus.

S. GREGORIO IN MARTIO

La fronte di quest'oratorio era rivolta verso la odierna via della Ferratella. Il Panvinio ne vide gli avanzi nella vigna allora di Mario Frangipane. L'Adinolfi assicura doversi distinguere dalla chiesa di s. Maria Imperatrice, poggiandosi sopra un passo di Benedetto canonico di s. Pietro, relativo alla celebre processione deliberata. In quell'oratorio, che avea un solo altare, si conservava il letticiuolo di s. Gregorio il Grande.

Nel catalogo di Cencio Camerario fra le chiese abbandonate che il Camerario voglia ricordare questa, e che la voce de Martioin Martio per corruttela o di pronuncia o d'amanuense siasi cambiata nell'altra in massa.

S. MARIA IMPERATRICE

Era una cappelletta situata tra la via Maggiore e quella dei ss. Quattro presso i fornici dell'acquedotto neroniano. Ivi si venerava l'immagine della ss. Vergine, poi trasferita nella chiesa del cimitero lateranense. La cappelletta, che fino a pochi anni sono era rinchiusa nel giardino Campana, e che dal proprietario era stata riedificata nel sito della medesima, è stata da poco tempo  p118 distrutta per dar luogo alle deformi fabbriche moderne, che deturpano tutta la classica contrada lateranense. In quella piccola chiesa si venerava una divota imagine di Maria di assai grande proporzione, col bambino nelle braccia. Ai tempi di Alessandro VII innanzi all'altare vi era una cancellata in ferro, cui era appesa una tabella nella quale, in lettere minuscole formatelle si leggono scritte in carta pecora le parole seguenti:

Questa è è l'imagine della gloriosa Vergine Maria, detta s. Maria Imperatrice quale parlò a s. Gregorio papa. In questa chiesa sono anni quindeci milia d'indulgenza concessa da s. Gregorio papa oltre li sedeci anni per ogni volta che in essa chiesa se entrarà e se dirà tre pater nostri e tre Ave Maria in genocchioni.

La s. Visita fece togliere sotto il papa Alessandro questa cartella, e nella relazione della stessa trovo sull'epoca dell'imagine fatte le seguenti annotazioni:

"L'imagine suddetta non mostra dugento anni d'antichità, anzi chi dicesse che ella fusse fatta da quel pittore di cui si vede un quadro grande in tavola nella chiesa di s. Giovanni in Mercatello nella prima cappella a mano destra entrando fatto a tempo d'Innocenzo VIII s'apporrebbe forse al vero."

Nel 1606 fu di nuovo risarcita, e vi si leggeva la seguente epigrafe trascritta dal Bruzio:

D. M. MARCIA L. FORO. EVHODIA
TI. CLAVDIO EVMELO CONIVGI BENEMERENTI ET SIBI FECIT

Fra le lapidi moderne v'erano le seguenti: D. O. M. Qui giace Costanza moglie di Pietro Croccola lavandara dell'ospedale del ss. Salvatore. Visse anni 28, morì li 10 agosto 1610.

D. O. M. Giorgio d'Antonio Rancetti fiorentino argentiere scultore at intagliatore, maestro di conio della Zecca della Camera Apostolica. huomo bono timoroso de Dio, caritatevole del prossimo, amorevole degli amici — Visse anni 70 non sentì la vecchiezza e gli ultimi 17 anni continuò di visitare gli ammalati del vicino hospedale. Morì piamente e lasciò d'esser sepolto nella nuda terra in questa chiesa l'anno 1610. Tommaso Cortini aquilano argentiero ricordevole dell'amicitia e de beneficii ricevuti pose qui sopra il suo corpo questa lapide.

 p119  S. STEFANO IN COELIOMONTE
(S. Stefano Rotondo)

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Questa chiesa è nel suo genere unica in Roma per la singolarità del suo tipo architettonico circolare: la denominazione in Celio monte è assai antica, mentre recente è quella di s. Stefano Rotondo. Nel catalogo del Camerario si legge: s. Stefano in Coelio monte duo solidi, così in quello del Signorili, ed in quello di Torino, in cui fra la chiese della terza partita è notata la nostra: s. Stefano in Coelio monte titulus presbyteri cardinalis habet quatuor clericos: in un documento dell'anno 1284, che ho letto nell'archivio di s. Pietro in Vincoli, si dice s. Stephanus in Girimonte (sic). Il ch. De Rossi in una recente dissertazione ha pubblicato un capitolo dell'opera del dotto sacerdote romano Gregorio Terribilini, fiorito nella prima metà del secolo passato, che trovò nel codice vaticano 9108, contenente una memoria storica sulla predetta chiesa, del quale scritto corredato di note dal ch. De Rossi, mi valgo appunto in cotesto articolo sulla chiesa celimontana. Gli eruditi e gli studiosi dell'antichità romane dal secolo XVI in poi, giudicarono quell'edifizio d'origine profana, ed altri lo credettero un antico tempio di Fauno, altri di Claudio, o di Bacco, ovvero l'Armamentario o il Macello di Nerone. Essi più o meno si allontanarono tutti dal vero, perchè quell'edifizio è una fabbrica cristiana di pianta e d'opera del quinto secolo. Il primo a riconoscerla per tale è stato l'Huebsch. Nella vita di Simplicio si legge infatti che quel papa dedicò a s. Stefano una basilica in Coelio monte (a. 468‑82), e nello stesso libro pontificale si legge che Giovanni I (a. 523) e Felice IV (a. 526‑539) fecero dei lavori a compimento del sacro edificio. Infatti l'anonimo che raccolse e copiò le iscrizioni esistenti nelle chiese di Roma l'anno 821, vi lesse la seguente:

OPVS QVOD BASILICAE BEATI MARTYRIS STEPHANI DEFLVI
A IOHANNE EPO MARMORIBVS INCHOATVM IVVANTE
DNO FELIX PAPA ADDITO MVSIVO SPLENDORE STORICHE
PLEBI DI PERFECIT.

 p120  Infatti Flavio Biondo al principio del secolo XV vide la chiesa di s. Stefano priva di tetto, ma intera nel suo perimetro, con i due portici concentrici, uno dei quali posteriormente fu chiuso da mura e nelle pareti dell'estremo recinto ammirò le incrostazioni di marmi e di musaici, e le stesse preziose incrostazioni furono poi minutamente descritte da Giovanni Rucellai fiorentino che visitò Roma nel Giubileo del 1450: La chiesa di s. Stefano Rotondo, tempio d'idoli tondo su 20 colonne con architrave aperto per tutto, et da torno uno andito con tetto serrato di mattoni, con una cappella antica dallato con musaico et con tavolette et tondi di porfido et serpentino et fogliami di nacchere et grappoli d'uva et tarsie et altre gentilezze. Dalle quali parole si rileva che la nostra basilica, oltre le lastre di porfido serpentino ed altri marmi, ebbe ornamenti di commessi tagliati in madreperla (nacchere) ed altre nobili tarsie, come la basilica esquilina adornata da Giunio Basso, console dell'anno 317 e dedicata poi dal papa Simplicio all'apostolo Andrea. Questi lavori probabilmente perirono tre anni dopo, allorchè Niccolò V restaurò quella basilica, come narra Francesco di Giorgio di Martino, testimone contemporaneo: fu orratissimo, egli dice, (s. Stefano Rotondo) rafacionollo papa Nichola, ma molto pur lo guastò; dei quali lavori nell'architrave della porta interiore della chiesa rimane il ricordo nei due seguenti versi:

ECCLESIAM HANC PROTO­MARTYRIS STEPHANI DIV ANTE COLLAPSAM
NICOLAVS V. PON. MAX. EX INTEGRO INSTAVRAVIT MCCCCLIII

Il portico addossato alla chiesa appartiene forse ai restauri del secolo XII.

Nota il De Rossi, che il papa Felice IV, non pago degli ornamenti compiuti entro l'edificio, ne decorò eziandio il vestibolo ed il foro; come risulta da un'epigrafe che vide il collettore anonimo di sopra citato:

DNO IVVANTE FELIX EPS DI FAMVLVS FORVM BASILICAE
BEATI MARTYRIS STEPHANI MVSIVO ET MARMORIBVS DECORAVIT

Dalla quale risulta che la chiesa era preceduta da una magnifica piazza o foro con portici adorni di musaico. Il primo ingresso della basilica era dove più tardi fu edificata l'abside  p121 del secolo VII quando vi furono portati i corpi dei martiri Primo e Feliciano. Chiusa quella porta le fu sostituita l'attuale che è circa di quel secolo, innanzi alla quale Innocenzo II nel secolo XII edificò l'odierno portico. Niccolò V chiuse gli archi del secondo ordine o portico circolare, i quali sono impostati non direttamente sui capitelli delle colonne, ma sui dadi o guanciali sovrapposti come nelle basiliche di Ravenna ed in altri edifici antichi del quinto secolo volgente al sesto. I guanciali sovra le quattro colonne più alte d'ordine corinzio fronteggiati dinanzi allo spazio chiuso o cappella principale dei ss. Primo e Feliciano, e quelli delle quattro colonne scanalata rispondenti nel lato opposto, sono adorni in ambe le facce di croci a bassorilievo, della foggia usitata dalla metà del quinto secolo al sesto. In Roma questa è la più antica chiesa intramurana di forma rotonda. Il ch. De Rossi dubita che l'altare ed il presbiterio sieno stati nel centro come da tutti ora si suppone. Il papa Teodoro, circa l'anno 640, trasferì in questa chiesa dall'arenario della via Nomentana, ove erano stati depositi, i corpi dei due martiri Primo e Feliciano, e sul loro sepolcro resta ancora l'ab decorata di musaico di quell'età, nel centro della quale splende la croce gemmata: quelle reliquie si dice fossero poi donate dal papa Sergio II ad Eremberto che pose quella di s. Primo in Legiano sul lago Maggiore. La chiesa venne in seguito ancora racconciata da Innocenzo VIII nel 1488, quindi da Gregorio XIII che la tolse ad alcuni frati dalmatini ed ungheri che la possedevano, e l'affidò ai pp. Gesuiti del collegio germanico, i quali tuttora l'hanno in proprietà e con gran cura la tengono. Entrando in questo tempio un senso di meraviglia si prova, per la sua forma e magnificenza, poichè si vede la sua volta circolare sorretta da 58 colonne di granito e 6 di marmo bianco: ma molto più magnifico dovea essere l'aspetto della primitiva basilica, prima che Niccolò V chiudesse il secondo circuito di colonne. Niccolò Cercignano dalle Pomarancie dipinse d'ogni intorno le mura di varie storie di martiri, benchè il paesaggio spetti a Matteo da Siena. Nel mezzo della basilica sorge un artificioso tabernacolo abbastanza goffo e poco in armonia coll'architettura la magnificenza del luogo, opera di un fornaio svedese, che se rivela la pazienza nordica, non così il gusto: questi ne fece dono al collegio germanico. Accadde presso questa chiesa un forte tumulto per l'elezione del papa dopo la morte di Giovanni V, perchè il popolo essendosi diviso dall'esercito dell'Esarca, parte facea tumulto in s. Stefano, e parte erasi ritirato nel Laterano; finalmente composte le parti, fu eletto Conone di Tracia. Presso la chiesa v'era il monastero  p122 e la chiesa di s. Erasmo, dove visse già monaco Adeodato che divenne poi papa. Fra le rovine di quello nel 1554 e 1561 furono rinvenute memorie domestiche degli Aradî Rufini Valerî Proculi del secolo IV, le quali attestano che ivi sorgeva un giorno la loro casa; ossia cinque diplomi incisi negli anni 321 e 322 in onore di Q. Aradio Valerio Proculo illustre magistrato: vi si trovarono pure base di statue dedicate a L. Aradio Valerio Proculo console dell'anno 340. Vi si rinvenne poi l'insigne lucerna di bronzo coll'epigrafe: DOMINVS LEGEM DAT VALERIO SEVERO, oggi conservata nel museo degli Uffizî in Firenze. Quella casa nel secolo VI o nel VII mutata in cenobio col nome di Erasmo, non perdè affatto l'antica nomina poichè fu chiamata Xenodochium Valerii. Presso il portico della chiesa v'è un'antica cattedra balneare romana, sulla quale vuole una tradizione, che s. Gregorio il Grande recitasse alcune delle sue omelie; nulla di più probabile. Nel suppedaneo della cattedra v'ho letto il nome d'un maestro romano del secolo XIII che forse la restaurò ed è poco conosciuto: MAG . IOHS. Un'altra antica lapide esiste nell'impiantito di questa chiesa presso l'altare del Crocifisso, ed è l'epigrafe sepolcrale di un Benedictus archipresbyter diaconiae sanctae Mariae quae appellatur Dominica, il quale è quel medesimo forse che comparisce fra i soscrittori del concilio tenuto sotto Giovanni XII. Il testo è il seguente:

ARCHIPR BENEDICTVS DIAC SCE MARIA DOMICA

Il clero secolare possedette la basilica fino al secolo XV, allorchè Niccolò V avendola restaurata, soppresso il collegio dei canonici regolari, l'affidò ai frati di s. Paolo primo eremita, ungari e dalmati, che da questo si trasferirono a s. Salvatore in Onda, e finalmente da Gregorio XIII, come si è detto, al collegio ungarico.

S. ERASMO E S. ABBACIRO

"Haveva questo santo (Erasmo) in Roma un monasterio famoso dedicato a lui nel monte Celio; nel quale in minoribus fu nudrito Adeodato il quale salito al pontificato vi fece molte opere buone et entrate. In questo monasterio da scelerati Pasquale primicerio e Campulo sacellario, fu messo prigione Leone III papa, dopo che l'ebbero privo della lingua e degli occhi che gli furono da Dio miracolosamente restituiti. Qui fece il medesimo Leone una bella veste e una lampana d'argento  p123 di libbre quattro e oncie due, e Gregorio IV un'altra ricca veste. Questa chiesa anticamente appartenea all'abbazia di Subiaco come si vede nei registri antichi di quel sacro luogo." — Così il Onigo nel suo manoscritto vallicelliano.

Il Bruzio poi nel manoscritto vaticano scrive: "Era un cenobio presso s. Stefano eretto da s. Benedetto, come scrive l'abb. Costantino Gaetano con una chiesa a quel martire dedicata dallo stesso s. Benedetto. V'era l casa di Tertullo dove dimoravano Placido, Vittorino, Eutichio e Flavia suoi figli santi. Ai tempi di Gregorio XI v'erano le monache benedettine come risulta da un documento dell'archivio di Subiaco, e dopo la privazione dell'abadessa Giovanna che fu tradotta alla curia del vicario di Urbano V perchè rea di gravi delitti, ritornò di nuovo in possesso dei monaci di Subiaco, ma havendo al papa riappellato la detta abadessa furono di nuovo reintegrate le monache." Il Ficoroni rese di pubblica ragione una bolla plumbata del monastero, nel cui diritto si leggeva il nome del martire titolare preceduto da croce equilatera così:

† SCS ERASMVS

nel rovescio poi i nomi seguenti:

IOH . ET DECIBIVS V. P. A. (sic)

Il Biondo scrive che ai suoi tempi la chiesa ancora esisteva presso gli archi neroniani vicino a s. Stefano Rotondo, e l'Ugonio dice che stava a mano manca vicino all'entrata della chiesa di s. Stefano. In una greca epigrafe del secolo in circa settimo sono annoverati i fondi del monastero di s. Erasmo sul Celio, e fra questi è ricordato il fundus Africanus e il luogo appellato Palumbarium, il quale anche oggi è detto Palombaro circa al X miglio della via Latina. Nel 1554 o nel 1561 furono ivi scoperti quei diplomi in bronzo e la celebre lucerna pure di bronzo a foggia di nave di cui si è discorso a proposito di s. Stefano. È chiaro adunque che era ivi la casa dei Valerî Severi, donde pure vennero a luce ai tempi di Benedetto XIV altri belli arnesi di domestica suppellettile, cioè un gran disco, due  p124 bicchieri, uno dei quali fregiato d'epigrafe votiva cristiana, due ampolle adorne di busti degli apostoli Pietro e Paolo, quattro specchi e un cucchiaio d'argento, oggetti conservati in parte nella biblioteca vaticana, in parte perduti. Piniano marito della celebre Melania giuniore fu della gente Valeria e suo padre fu console e cristiano: probabilmente quella casa fu abitata dai due ss. coniugi Piniano e Melania. Circa il secolo VII sorgeva ivi il monastero nominato nella vita di Adeodato pp. (671‑676). Fu poi unito a quello di Subiaco nell'anno 938.

Nel Liber pontificalis nella vita di Stefano III (a. 768) è nominato xenodochium Valerii che nella vita di Leone III viene detto a Valeriis, entro il quale era anche un oratorium s. Abbacyri. È certo che il papa Adeodato, il quale era stato monaco nel convento di s. Erasmo, lo fece restaurare. Sul fine del secolo XVI ne rimanevano le ruine con avanzi di pitture antiche. Non può deplorarsi abbastanza la perdita di un monumento così insigne, la cui storia collegasi ai fasti più splendidi di Roma cristiana e pagana.

S. Maria Mater divinae Gratiae

Era il titolo d'una piccola cappellina da poco tempo distrutta, e situata a destra della via che dal Colosseo conduce al Laterano: è stata recentemente sostituita da una divota edicoletta, benchè non situata nel sito istesso ove era la prima.

S. Clemente

Le origini di questo titolo ecclesiastico si perdono con quelle della predicazione evangelica in Roma nel secolo apostolico. Notissime sono le parole di s. Girolamo nell'opera De viris illustribus, da lui compiuta nel volgere dell'anno 385, in cui si cita dal sommo scrittore la chiesa di s. Clemente come delle più antiche di Roma: memoriam nominis eius, cioè di Clemente, usque hodie Romae extructa ecclesia custodit. Lelio Pasqualini vissuto in Roma ai tempi del Baronio e grande raccoglitore di cose antiche, possedeva una lamina di bronzo che era stata appesa al collo d'uno schiavo fuggiasco, sulla quale si leggeva l'epigrafe: tene me quia fugi et reboca me Victori acolito a dominicu Clementis. In questo collare la chiesa è detta non basilicatitulus ma sibbene dominicum, voce usata nella prima metà del secolo IV a denotare la casa del Signore, e che  p125 verso la fine di quel secolo era andata già in disuso. Niuna meraviglia poi che un acolito tenesse al suo servizio uno schiavo, perchè è noto che, se presso i cristiani non poteano esservi servi secondo il concetto del diritto romano, pel quale il servo non era una persona, non avente alcun diritto nè su di sè, nè sulle cose sue, nè sulle mogli, nè sui figli, ammettendo essi per la legge evangelica l'eguaglianza di tutti gli uomini innanzi a Dio; tuttavia rimasero per molti secoli in forza della costituzione della società antica coloro che all'esterno figuravano come veri servi. Quindi non solo i semplici fedeli possedevano i servi ai quale s. Paolo ava inculcato la sottomissione ai loro padroni, ma eziandio i preti, i vescovi, le chiese; servi fortunati però, che poteano dirsi piuttosto figli che servi, e che del resto con grandissima facilità si manomettevano.

Questo ci dà ragione della sapientissima economia tenuta dalla Chiesa, che senza rovesciare bruscamente d'un solo colpo le basi della società coll'abolizione violenta della servitù esterna, cominciò coll'abolirla moralmente dichiarando tutti eguali innanzi a Dio, intanto che veniva con questa prima e più nobile emancipazione gradatamente abolendola anche esternamente. Quindi benchè i cristiani, come dicemmo, possedessero servi, essi come tali nel linguaggio religioso non sono mai ricordati nelle lapidi delle catacombe, secondo le parole di Lattanzio: apud nos inter pauperes et divites, servos et dominos interest nihil; nec alia causa est cur nobis invicem fratrum nomen impertiamur quia pares esse nos credimus. Parole sapientissime in cui è nascosta la soluzione del così detto problema sociale; poichè nel medesimo testo l'autore delle Divine Istituzioni avea detto: nemo clarissimus nisi qui opera misericordiae largiter fecerit; nemo pauper nisi qui iustitia indiget.

Dai documenti che abbiamo addotto evidentemente si trae che la basilica di s. Clemente fu ridotta ad uso pubblico di chiesa, dominicum, fino dall'età di Costantino. La tradizione quindi che sia stato uno dei luoghi più antichi delle adunanze cristiane in Roma è ragionevolissima, come probabilissima è la opinione che ivi fosse l'abitazione di Clemente o di altra illustre famiglia cristiana che nel suo seno accoglieva i fedeli per le adunanze religiose. Ma su questo argomento non mi diffondo maggiormente dopo quello che ne ha in più circostanze scritto il chiarissimo De Rossi nelle pagine del suo aureo bullettino d'archeologia cristiana. La maggior parte degli autori e scrittori delle  p126 cose antiche di Roma, caddero in grave errore giudicando d'origine così antica la basilica superiore odierna di s. Clemente la quale fu edificata posteriormente al secolo X sulle rovine dell'antica scoperta nel 1857 dal p. Mullooly. Di quella basilica parla adunque Girolamo, ed è presso il suo portico che per tanti anni giacque elemosinando quel beato Servolo di cui scrisse il M. Gregorio, e dove furono deposte le reliquie di Cirillo e Metodio e dei due Clementi.

Quelle pareti udirono pure la condanna dell'eretico Pelagio sotto Zosimo, ed ivi echeggiò l'apostolica parola di s. Gregorio il grande. Sono troppo note le pitture che adornano tuttavia le pareti di quella basilica sotterranea, le cui date variano dal secolo V all'XI, perchè si debba qui dopo le numerose e dotte publicazioni fattene da molti, tornarne a discorrere diffusamente. Ne riassumo brevemente i soggetti.

Il martiro di s. Caterina d'Alessandria. L'imagine della Vergine entro una nicchia fra le martiri Caterina e Eufemia, presso il quale gruppo è rappresentato il sacrificio d'Abramo. La scena forse di un concilio, come risulta dal disegno di molte teste, vicino alla quale si vede una bilancia romana col motto stateram auget modium iustum. Figura del Salvatore in atto di benedire. La crocifissione di s. Pietro. S. Cirillo innanzi a Michele III re dei Bulgari. Sant'Antonino martire. Daniele tra i leoni, col nome s. Daniehel. S. Egidio e s. Biagio che estrae una spina dalla gola di un fanciullo. Trasporto di s. Cirillo dal Vaticano. Intronizzazione di s. Clemente fatta da s. Pietro, corteggiato da Lino e Cleto. Conversione di Sisinnio marito di Teodora coll'epigrafe votiva: Ego Beno de Rapizza primo amore Dei et beati Clementis. S. Alessio reduce dalla Palestina che rimane sconosciuto da Eufemiano. La crocifissione. Gesù che va al limbo da cui toglie Adamo levandolo per la mano mentre Eva gli porge le braccia. Miracolo di Cana in cui è scritto Architriclinus. Ascensione del Signore e forse Assunzione della Vergine. Imagine di s. Vito archivescovo di Vienna in Francia. S. Leone IV coll'epigrafe: Sanctissimus Dominus Leo quartus pp. romanus. Miracolo alla tomba di s. Clemente coll'epigrafe votiva: In nomine Domini ego Beno de Rapizza primo amore b. Clementis et primo redemptione animae meae pingere feci; v'è Il Salvatore fra gli arcangeli Michele e Gabriele, cui si presentano due personaggi con un calice ed un cero. Appresso vi sono altre imagini di santi, ecc.

La basilica ora sotterranea conserva ancor la scala primitiva creata per dare accesso alle stanze di una nobile casa romana  p127 incorporata a guisa di sacro ipogeo all'abside ed al santuario e posta sotto l'altare. In quelle camere si trovò una statua del pastor buono che si riferisce all'epoca dei secreti convegni dei fedeli nelle private abitazioni. La basilica cristiana scoperta dal ch. p. Mullooly, di cui fa menzione s. Girolamo, cadde sotto le rovine dell'incendio di Roberto Viscardo: molti dei suoi dipinti non sono infatti più antichi del Mille. Abbiamo due dati estremi, dai quali si può raccogliere quando la basilica costantiniana fu sepolta ed edificata la superiore. Nel nartece di quella v'ha l'iscrizione di un poliandro di famiglia, il cui ultimo defunto è dell'anno 1059; dunque in quell'anno la chiesa era ancora officiata: nella chiesa superiore, nel dorsale della sedia episcopale si legge un'epigrafe del cardinale Anastasio titolare della medesima, il cui nome comparisce in un diploma d'Onorio II del 1125: stando ai due dati cronologici la costruzione della chiesa superiore sarebbe avvenuta dopo il 1059 e prima della morte del cardinale Anastasio, cioè nei primi decennî del secolo XII. Che la basilica oggi sotterranea sia stata adornata fino al secolo XI, risulta ancora da alcuni degli affreschi scoperti nelle sue pareti. Laº basilica odierna di s. Clemente è adunque opera del secolo XII; e se quivi vediamo il santuario, gli amboni, la schola cantorum, chiusi da plutei marmorei anteriori al secolo predetto, è perchè quei plutei furono asportati dal primitivo edificio costantiniano. Infatti nascosto nel basamento del pluteo al lato dell'ambone dell'evangelo si è scoperto un epistilio dell'antico altare con lettere del secolo VI: ALTARE TIBI DEVS SALVO HORMISDA PAPA MERCVRIVS PRESBYTER CVM SOCIIS OF(fert). Ormisda sedette sulla cattedra apostolica dal 514 al 523. Di questo Mercurio prete v'ha un'altra memoria tra i materiali adoperati nell'odierna chiesa e che provengono dalla sotterranea. È un capitello, che con il suo vicino corona due colonne del monumento del cardinale Venerio morto nel 1489. Quei due capitelli sono del secolo VI, e sul primo si legge: † MERCVRIVS PB SCE ECclesiae romanae servuS DNI. Questo Mercurio divenne pi papa col nome di Giovanni II nel 5332, come ricavasi da una lapide di s. Pietro in Vincoli. Nei plutei del santuario entro corona di alloro si vedono monogrammi di un nome che è quello appunto di Ioannes cioè del nostro Mercurio. Prima degli adornamenti fattivi circa il 514 il santuario della basilica di s. Clemente ebbe un marmoreo rivestimento dei tempi del papa Siricio (a. 384, 398). Ciò risulta da alcuni frammenti di marmi tagliuzzati in varie parti, ove si legge il nome di Siricio come ristoratore di quella chiesa. Due frantumi di due epigrafi damasiana ivi scoperte ch' insegnano che anche  p128 quel gran pontefice illustrò il santuario con i suoi carmi, e forse contengono l'elogio di s. Clemente papa cui la basilica era dedicata.

Recentemente fra la via Arenula e la piazza Cenci sono stati ritrovati, tra i materiali di una vecchia fabbrica demolita, questi due frammenti d'iscrizione metrica sepolcrale, incisa con quello studiato tipo di calligrafia quadrata, ch'è proprio e caratteristico dei secoli undecimo e duodecimo: IMAGE

Il ch. prof. G. Gatti v'ha riconosciuto un insigne monumento relativo alla basilica di Clemente, e delle sue parole medesime io mi giovo per dichiararlo.

"La pietra apparisce essere stata regolarmente segata in lastrine rettangole, per adoperarle a guisa di mattoni nella costruzione ddi muri. Le due ora recuperate spettano alla parte inferiore della lapide; e contengono gli ultimi sette versi del'epitafio, con una sola lacuna di circa otto lettere nel mezzo di ciascuno di essi. Pare che l'elogio sepolcrale si componesse di quattro distici, e che perciò sia perduto il solo primo esametro.

"Reintegrata la parte mancante dell'iscrizione secondo le formole proprie dei carmi sepolcrali cristiani di bassa età, ne risultano i versi seguenti:

.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   

Hoc Petrus tum(ulo collocata) uditur in Domino. Cepit Anastasii(us que ce)rnis templa Clementis,

Et moriens cura(m detuli)d huic operis.

Que quia finivit p(ost vite f)unera vivit,

Cui dum videba(t subdit)us orbis erat.

Post mortem circa(rnis dabit)ur tibi gloria carnis

Sanctis iudicio, v(ivifica)nte Deo.

 p129  "Dai primi due versi superstiti è manifesto, che il personaggio di nome Pietro sulla cui tomba era posto l'elogio metrico, fu sepolto nella chiesa di s. Clemente; essendo questa indicata come il luogo medesimo, ove trovavasi chi leggeva l'epigrafe: quae cernis templa Clementis. Che poi tale santuario sia la celeberrima basilica tuttora esistente nella regione celimontana, non può nè anche esser messo in dubbio. Imperocchè non solamente essa è l'unica chiesa dedicata in Roma ad onore di quel pontefice martire; ma inoltre alla sua storia è intimamente congiunto, come ora vederemo, il nome del cardinale Anastasio, che troviamo appunto menzionato nella nostra lapide."

Egli riedificò nei primi decennî del secolo XII la nuova basilica, trasportandovi dalla sotterranea gli amboni e le transenne di marmo che decoravano l'abbandonato edificio.

"Ciò fu opera appunto di quel cardinale Anastasio, fiorito negli inizî del duodecimo secolo, i cui lavori sono commemorati nell'epigrafe della sedia pontificale, ed al quale è anche dovuta la splendida decorazione dell'abside in opera musiva. Egli fu tumulato in s. Clemente, sua chiesa titolare;  p130 e l'epitafio, compreso in quattro distici, incomincia con le parole:

DVDVM IS, SANCTE PATER CLEMENS, TVA TEMPLA NOVAVIT

CVIVS IN HOC TVMVLO PVLVIS ET VMBRA IACENT.

"Di siffatta ricostruzione della chiesa per opera del cardinale Anastasio, fa ora anche esplicita testimonianza il monumento epigrafico di recente scoperto. Il quale inoltre ci rivela un fatto, fino ad ora del tutto ignorato, che cioè il cardinale predetto morì prima che la basilica fosse compiuta, e con atto di ultima volontà diè ad altra persona il carico di condurre a termine l'incominciato edificio:

COEPIT ANASTASIVS QVAE CERNIS TEMPLA CLEMENTIS,

ET MORIENS CVRAM DETVLIT HVIC OPERIS.

"Continuatore dell'opera incominciata dal card. Anastasio fu quel Petrus, che parimente ebbe sepoltura nella chiesa di s. Clemente, ed il cui elogio sepolcrale testifica avere realmente ultimato con ogni zelo l'opera commessa alle sue cure, in modo da meritarne la vita eterna:

QVAE QVIA FINIVIT, POST VITAE FVNERA VIVIT.

"Non sono rare le memorie epigrafiche di lavori, per costruzione o per adornamento di luoghi sacri, incominciati da un personaggio e portati a termine da un altro. Per ricordarne soltanto qualcuna metrica, accennerò l'arco della basilica di s. Paolo, ove è scritto: Theodosius coepit, perfecit Honorius aulam; le epigrafi ch'erano nell'abside e sulla porta della chiesa de' ss. Apostoli: Pelagius coepit, complevit papa Iohannes, e Supplevit coeptum papa Iohannes opus; l'epigramma, spettante forse alla chiesa de' ss. Pietro e Paolo sulla via Sacra, che diceva: Coeperat hanc praesul fundare. . . . ., Filius implevit quod veluit genitor.

"Mancano memorie positive per determinare chi sia il Petrus, che per volontà ed incarico del card. Anastasio compì  p131 la chiesa di s. Clemente. Qualche indizio però possiamo trarne dal suo medesimo epitafio, ove enfaticamente si dice, che a lui vivente era stato soggetto il mondo:

CVI, DVM VIVEBAT, SVBDITVS ORBIS ERAT.

"Esaminiamo i dati cronologici e storici, che possono dare alcun lume in siffatta questione. Il card. Anastasio era tuttora in vita nell'anno 1125: la consecrazione della chiesa di s. Clemente avvenne il 26 maggio del 1128. Dunque la morte del cardinale predetto dev'essere avvenuta fra gli anni 1126 e 1127, quando era già compiuta la decorazione in musaico dell'abside, costruita la cattedra pontificale, e probabilmente messi a posto gli amboni ed i plutei marmorei tolti dalla basilica sottoposta. In questo periodo Pietro, cui era stata affidata la cura di continuare e compiere i lavori, li condusse veramente a termine: onde la nuova chiesa, sorta sulle rovine dell'antica, potè essere solennemente consacrata ed aperta al culto nel 1128. Ora, appunto nei prim decennii del secolo duodecimo fioriva in Roma un personaggio ecclesiastico di grande fama e potenza, nominato Pietro; il quale da notarius regionarius et scriniarius della Chiesa romana fu elevato da Pasquale II alla dignità cardinalizia. Costui è Pietro Pisano, il continuatore del Liber pontificalis da Leone IX a Pasquale II, che aderì poscia allo scisma di Anacleto II, e ne fu ritratto dal caritatevole zelo di s. Bernardo. Lo storico Ernaldo proclamò Pietro Pisano "in legum et canonum scientia nulli secundum;" ed il contemporaneo Giovanni Salisburinese scrisse di lui: "Quis nescit Petrum Pisanum, cui nullus aut vix similis alter erat in curia?"

"Egli è adunque assai verosimile che il Petruscui dum vivebat subditus orbis erat — sia precisamente quel medesimo, cui nullus aut vis similis alter erat in curia; posciachè nel periodo storico, al quel dobbiamo riferirci, nessun altro dignitario ecclesiastico sia noto, al quale possano applicarsi siffatte lodi di dottrina e di grandezza all'infuori di Pietro da  p132 Pisa. Diremo dunque, che il card. Anastasio, titolare di s. Clemente, uscendo di vita prima che fosse compiuta la nuova basilica, quella stessa che tuttora vediamo, da lui fondata sulle rovine dell'antica, commise al card. Pietro Pisano di curarne il compimento. Costui la condusse a termine nel 1128. Poco appresso però seguì le parti dell'antipapa Anacleto; e quando se ne separò, fu probabilmente preposto a quel titolo cardinalizio, al quale era già collegato il suo nome insieme con quello di Anastasio. Quindi è che, come questi, ebbe sepoltura nella stessa basilica clementina; e l'elogio posto sulla tomba che ne chiudeva le spoglie mortali, tornato ora in luce quasi intero, è una nuovo importante documento da aggiungere a quelli che costituiscono i fasti medievali della celeberrima basilica di s. Clemente."

La basilica superiore, come accennammo, è medievale, benchè arricchita dalle spoglie della costantiniana inferiore, a cui spetta il marmoreo recinto del presbiterio.

L'abside è adorna di uno splendido musaico che rappresenta il trionfo del Salvatore Crocifisso. Nel semicerchio dell'arco si legge l'epigrafe in paleografia romana quadrata:

GLORIA IN EXCELSIS DEO SEDENTI SVPER THRONVM
ET IN TER(ra) PAX HOMINIBVS BONAE VOLVNTATIS.

In cima dell'arco domina il busto del Salvatore glorioso benedicente alla latina fra i consueti simboli dei quattro evangelisti; poco sotto stanno i principi degli apostoli sedenti con s. Clemente e s. Lorenzo presso le palme della mistica terra promessa: appiè dell'arco i due profeti Isaia e Geremia che spiegano i loro volumi. Pietro addita colla destra a Clemente centro glorioso; Clemente ha in mano l'àncora e sotto i piedi una navicella fra due delfini, simbolo del suo martirio nel mare Eusino. Sotto il gruppo si legge l'epigrafe che si suppone messa in bocca a Pietro rivolto a Clemente: RESPICE PROMISSVM CLEMENS A ME TIBI CHRISTVM; presso la figura di Pietro si legge: AGIOS PETRVS. Dall'altra parte siede Paolo col suo nome AGIOS PAVLVS. Egli parla con Lorenzo che regge la croce e posa i piedi sulla graticola rovente. L'epigrafe sottoposta dice: DE CRVCE LAVRENTII PAVLO FAMVLARE DOCENTI.

Osserva il De Rossi che Lorenzo fu considerato in Roma quel martire stauroforo per eccellenza e come vessillifero della fede; nel secolo IV era a lui attribuita la conversione della  p133 parte più ostinata nel paganesimo e perciò considerato come il santo che aveva compiuto l'opera di Pietro. Il profeta IEREMIAS porta scritto nel volume: HIC EST DEVS NOSTER ET NON AESTIMABITVR ALVS ABSQVE ILLO: nel volume dell'altro profeta ISAIAS è scritto: VIDI DOMINVM SEDENTEM SVPER SOLIVM. Sotto i profeti si vedono le due mistiche città HIERVSALEMBETHLEEM, dalle cui porte sono usciti i consueti dodici agnelli che si avviano al monte santo sul quale regna l'agnello divino. Sopra questa zona si svolge la grande composizione della conca, il cui senso simbolico è dichiarato dai versi:

ECCLESIAM CHRISTI VITI SIMILABIMVS ISTI
QVAM LEX ARENTEM SED CRVX FACIT ESSE VIRENTEM.

In mezzo di questi due versi ve ne sono altri due che accennano alle reliquie murate nell'abside dietro l'imagine del Crocifisso:

DE LIGNO CRVCIS IACOBI DENTE IGNATIIQVE
IN SVPRASCRIPTI REQVIESCVNT CORPORE CHRISTI.

Il Crocifisso che regna in mezzo all'abside è l'unico dei musaici absidali colonne romane basiliche. Il Salvatore affisso alla croce con quattro chiodi è già morto, il che è tipo caratteristico dei crocifissi non anteriori al secolo XII. La Vergine e s. Giovanni stanno ai piedi della croce e dodici colombe sono disposte lungo le braccia della medesima. Da questa sgorgano i quattro fonti a' quali s'avvicinano a dissetarsi due cervi, i quali fonti vanno poi a irrigare i pascoli di centro popolati di buoi, pecore, cerveti guardati da pastori. Un duplice tralcio di vite germoglia dal piè della croce che colle sue volute mirabilmente disposte occupa tutto il fondo dell'abside, in mezzo alle quali stanno uccelli, delfini, puttini ed altre figure. Nel piano inferiore di queste volute si veggono i dottori massimi della Chiesa latina, tutti in abito monastico, Ambrogio, Gregorio, Girolamo e Agostino. Nel sommo dell'abside vi è la mano divina che protende la corona, e sopra il monogramma fra le lettere Α Ω.

Il musaico è attribuito all'anno 1299, ma erroneamente, per una falsa applicazione del seguente epitafio che si legge sopra l'edicoletta gotica dell'eucaristia situata fuori dell'abside:

EX ANNIS DOMINI PROLAPSIS MILLE DVCENTIS
NONAGINTA NOVEM IACOBVS COLLEGA MINORVM
HVIVS BASILICAE TITVLI PARS CARDINIS ALTI
HAEC IVSSIT FIERI QVI PLAVSIT ROME NEPOTE
PAPA BONIFACIVS OCTAVVS ANAGNIA PROLES.
 p134 

È opera invece del cardinale Anastasio sotto Pasquale II circa l'anno 1112, di cui sotto l'abside nella cattedra si legge: ANASTASIVS PRESBYTER CARDINALIS HVIVS TITVLI HOC OPVS COEPIT PERFECTI

Il Mellini ei manoscritti dell'archivio vaticano ricorda alcuni pregevoli dipinti della basilica medioevale che sono oggi disparsi, alcuni dei quali accompagnati da leggende e da nomi d'artisti, che credo poco noti. Ecco le sue parole: "La nave destra (dalla banda di sacristia) era similmente dipinta tutta in due ordini di pitture, le quali sono quasi tutte andate a male. Tra quelle che vi sono restate si vede, passata la sacristia, il Cielo Empireo con sette orbi celesti e sotto in una cartella la dichiarazione seguente assai rozzamente scritta:

SERAPHIN ARDENTI DAMORE CHERUBINº SCIENTIA DE DEO THRONI SEDIA CHE DIO LE GIVDICA PRINCIPATVS HANO A GVBERNARE LVNIVERSO DOMINATIONES HANNO A COMMANDARE ALLI ALTRI ANGELI, POTESTATES HANNO POTENZA SOPRA LI DANNATI DELL'INFERNO VIRTVTES HANNO POTESTA DIFARE MIRACOLI ARCHANGELI HANNO ANNVNTIARE LI SECRETI DE DEO ANGELI HANNO DA GVARDARE E PORTAR LANIME IN PARADISO.
SI VIS PICTORIS NOMEN COGNOSCERE LECTOR
DE VETERI VRBE IVVENALIS EST NOMEN EIVS

"Questo Giovenale da Orvieto come si vede dalla pretella che egli dipinse in Aracoeli nella cappella de Mancini dipinse verso l'anno 1299 di centro.

"La nave sinistra era dipinta similmente con pitture più antiche, ma poco se ne può scorgere."

Fra le epigrafi e i marmi del pavimento, alcuni dei quali furono tolti ad altri monumenti, ve ne hanno parecchie pregevoli e fra queste una che ho riconosciuto spettare ad una lapide contenente una donazione di libri liturgici fatta alla basilica nel secolo IXX. Le parole superstiti del marmo accennano infatti ad un libro nel modo seguente:

. . .STAMB . . .
. . . ELIBRVm . . .
saCRAMEntorum.

Un'altra insigne epigrafe di donazione fatta pure alla nostra chiesa è quella dell'epoca dal papa s. Zaccaria (a. 741‑752), scoperta in quel luogo l'anno 1775, che si legge nella parete sinistra della nave maggiore presso la porta principale della  p135 basilica. La epigrafe da me scoperta si riferisce adunque ad un sacramentarium cioè ad un antico rituale.

La grande strada sul cui margine sorge la basilica dicevasi nei tempi di mezzo Via Maior non solo per la sua lunghezza e rettifilo, ma anche per essere abitata specialmente dai curiali ed ufficiali della corte del papa allorchè dimorava nel Laterano.

Il Lonigo vide nell'archivio della basilica vaticano un vetusto salterio ms. nel cui frontespizio v'era un calendario ove il giorno 21 maggio 1128 era notato: Anno MCXXVIII dedicatio ecclesiae s. Clementis. Nell'attiguo monastero dimorarono lungamente i Benedettini, ai quali successero i frati di s. Ambrogio ad Nemus che vi rimasero fino all'estinzione dell'ordine. Poscia vi subentrarono i padri predicatori della provincia d'Irlanda che ancor vi dimorano, e al compianto P. Giuseppe Mullooly priore di quella casa dobbiamo l'escavazione dell'importante basilica sotterranea.

S. Pastore

Quest'antichissima chiesa in Roma dedicata a s. Pastore non è da confondere col Titulus Pastoris, il quale sorgeva presso s. Clemente, anzi era quasi congiunto a questo: nelle carte dell'arciospedale del Salvatore se ne fa menzione sotto Niccolò V nel 1452: ecclesia s. Pastoris prope s. Clementem de qua non restat nisi pars tribunae.

Un'altra inedita notizia ne ho trovata nel catalogo delle chiese sotto s. Pio V, dal quale risulta che era incorporata al monastero di s. Clemente stesso; perchè in quel documento si dice: s. Pastore dentro s. Clemente. Il Lonigo non ne fa menzione, ma il catalogo di Torino l'annovera nella seconda partita: Ecclesia s. Pastoris habet unum sacerdotem. Ora non ne resta tracia veruna, ed ignoro anche le notizie storiche del s. Pastore a cui fu dedicata, ma probabilmente è quegli che visse al principio dell'età apostolica di Roma.

S. Lorenzo super s. Clementem

Nella vita di Stefano II (an. 752‑757) si legge: hic restauravit basilica s. Laurentii super s. Clementem sitam regione tertia quae diuturnis temporibus diruta manebat. Da  p136 queste parole risulta che presso s. Clemente ed in luogo superiore a quella basilica ne abbia esistita una dedicata a s. Lorenzo, la quale era già diruta nel secolo VIII. Per questa vicinanza dobbiamo trovar forse la ragione dell'imagine di Lorenzo nel musaico di s. Clemente. Egli è certo pure che il sito ove la regione terza sorgeva questa chiesa del grande levita doveva riferirsi a qualche memoria dello stesso celeberrimo martire.

S. Marina

L'unica notizia di questa chiesa situata alle falde dell'Esquilino fra s. Pietro in Vincoli e s. Clemente l'abbiamo dal catalogo di Torino, ove si dice che era servita da un sacerdote, habet unum sacerdotem.

S. Felicita

Nel 1812 presso le terme di Tito dal lato verso il Colosseo fu scoperto un antichissimo oratorio cristiano dedicato a Felicita la celeberrima martire uccisa sotto Marco Aurelio e ai suoi sette figliuoli. Rimane ancora in piedi quell'edifizio e nella parete di fondo si vede ancora la nicchia con tracce di pitture e di lettere, altre rosse, altre nere. Il conte Troiano Marulli pubblicò pel primo in rozzo disegno di quei dipinti; poscia una migliore incisione ne dette in luce il Piale; il Ruspi ne colorì un bellissimo quadro per il cardinale Angelo Mai.

Nell'alto sopra la nicchia si vede il mistico agnello sul monte santo dal quale sgorgano i quattro fiumi; il capo dell'agnello è cinto di nimbo crucigero, dodici agnelli sei per parte si avvicinano al monte, e chiudono la scena le porte delle due mistiche città quali escono gli agnelli; nella fascia sottoposta si leggeva l'iscrizione:

VICTOR VOTVM SVLVIT E (et) PRIMO VOTV SVLVIT.

Ai due lati del capo della santa:

FELICITAS CVLTRIX ROMANARVM.

 p137  Sotto la fascia regna in alto il busto del Salvatore barbato con nimbo orbicolare crucigero che tiene nella destra una corona gemmata per cingerne il capo della martire.

Questa sta ritta in piedi sotto la figura del Salvatore in atteggiamento di orante con nimbo circolare intorno al capo presso al quale due volte fu scritto il suo nome FELICITAS; poi in lettere rosse ai lati della figura fu scritto il seguente proscinema: Sancta martyr multum praestas ob voti . . . . . felicitates sperare innocentes non desperare (reos). Sopra questo proscinema un'altra mano scrisse in nero CONTVRBATVS e sotto MEMORANDA che il De Rossi interpreta nel modo seguente: conturbat(i)s ipsa fortuna constet memoranda. Ai lati della madre sono disposti i suoi sette giovani figli, quattro alla sua sinistra, tre alla destra, ciascuno tiene in mano la corona del trionfo, e sulle loro teste si leggono i loro nomi così: SILIANVS, MARTIALIS, PHILIPPVS, FELIX, VITALIS, ALEXANDER, ZENVARIVS; quei nomi furono scritte due volte una in rosso e una in nero. Due figurine più piccole vestite di tunichette succinte chiudono l'una per parte tutto il gruppo; la figurina a destra di chi guarda tiene nella mano sinistra una chiave, l'altra tiene una verga; queste due figure rappresentano certamente l'una l'aguzzino, e l'altra il clavicularius carceris custos. I due carcerieri sono divisi dal gruppo dei martiri da un albero di palma sul cui cima è poggiata la fenice che raggia luce dal capo; queste mistiche palme e la fenice simboleggiano la risurrezione e il giardino celeste ove i santi godono il premio eterno. Da queste imagini e da queste epigrafi raccoglie il De Rossi che la santa qui era invocata specialmente a nome di tutte le donne romane: Felicitas cultrix romanarum.

Il piccolo edifizio o cella è di pianta rettangolare oblunga ricavato entro un antico androne; si trova nel pian terreno con porta o vestibolo sulla pubblica via, del quale fu visto il pavimento tessellato adorno di due palme.

Osserva inoltre il De Rossi che questo luogo fu dagli antichi cristiani venerato come domus. Il Fea appiè dell'epigrafe della nicchia ne trascrisse una, della quale non si era tenuto conto. L'epigrafe diceva:

IVSTINVS DOMO . . . .

Queste parole superstiti di una iscrizione perita, ci fanno comprendere che la preghiera di questo Iustinus fu scritta in Domo . . . . . Che veramente questo luogo fosse stato anticamente una Domus  p138 di cui è ricordato anche il nome, risulta dalla seguente epigrafe greca sull'intonaco delle pareti laterali di questa stanza:

ΑΛΕΞΑΝΔΡΟΙΟ ΠΟΤΕ ΔΟΜΟΣ ΣΗΝ

ΤΟΔ ΕΜΠΑΛΙΝ ΝΗ ΤΟ ΔΙΚΑΙΟΝ.

Il nostro edificio fu dunque un giorno Domus Alexandri, che è il nome appunto d'uno dei figliuoli di Felicita e che potè avere dal padre. Da ciò nacque nella mente al De Rossi la splendida congettura che il luogo fosse stato consacrato alla memoria dei celeberrimi martiri come Domus da loro abitata. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto costante nei primi secoli cristiani, che ai martiri non si dedicavano oratorî e basiliche, che non fossero state consecrate da qualche loro ricordo storico. Quivi fu forse rinchiusa Felicita in custodia privata, come si usava verso gli honestiores, durante il processo. Presso il graffito greco era anche tracciato un calendario con i segni dello zodiaco e con i busti delle sette divinità che presiedono ai giorni della settimana. Ilº De Rossi giudica quei dipinti opera del secolo V.

Quest'oratorio è da considerarsi uno dei più insigni monumenti cristiani di Roma, consacrato dalla dimora e dalla prigioneria di quella celeberrima famiglia di martiri, il cui natale al 10 di luglio era nel secolo IV così solenne che quel giorno si chiamava per antonomasia dies martyrum. Sembra incredibile che questo luogo sia rimasto così derelitto e la memoria di Felicita tanto abbandonata dai romani. Sarebbe veramente desiderabile che per onore della celeberrima martire l'oratorio si aprisse di nuovo alla venerazione dei fedeli e nel giorno 10 di luglio ivi si celebrasse, come 16k secoli fa, il glorioso anniversario di quest'illustre famiglia romana di martire.

S. Margherita

Alle radici dell'Esquilino quasi dirimpetto all'anfiteatro (Colosseo) sorgeva fino all'anno 1587 una chiesuola dedicata a questa santa. Apparteneva alla famiglia De Silvestris ed ivi era stato già un giardino del cardinale Pio. Ai tempi di Fioravante Martinelli in alcune casipole della contrada si vedevano le armi di quella famiglia.  p139 

S. Maria de Ferraris

Antichissima chiesa che è registrata nel catalogo di Cencio Camerario per is presbiterio che nella solennità dei turiboli soleva ricevere il suo clero. Se ne parla anche in una bolla di Eugenio IV dell'anno 1433; l'Adinolfi la pone incirca dove è oggi la chiesetta di s. Maria di Loreto, presso il monastero delle Lauretane.

S. Niccolò del Colosseo

Era vicino a s. Maria de Ferraris vicino alla casa favolosa di Giovanni VII, che il volgo secondo una ridicola fiaba dicea essere stato donna, e che avesse dato in luce un bambino, come narra la cronaca di Martino Polono, nel tratto di via tra il Colosseo e s. Clemente. Pio IV fece atterrare la presupposta casa sulla quale malignavano l'ignoranza e la malvagità. La nostra chiesa di s. Niccolò era anche detta inter imagines, e l'Adinolfi avverte che non è da confondere con altra edicola presso al Salvatore che ebbe identica denominazione. Della chiesa fa menzione l'elenco del Camerario, e si chiamava per la sua vicinanza all'anfiteatro de colosso, ovvero de coloseo ed anche inter imagines. Presso questa chiesa si faceano gli archi, sotto ai quali nella nota solennità del presbiterio passava il papa. La chiesa era anche in piedi sotto s. Pio V, e fu titolare.

Ss. Quaranta

Questa chiesa che era vicina a quelle di s. Niccolò e di s. Maria de Ferraris, nel secolo XVI fu restaurata. Ha la stessa antica origine delle altre, poichè nominata nel catalogo del Camerario. Sisto IV la eresse in titolo di cardinale concedendola a Pietro Foscari; Alessandro VI la dette al card. Grimano.

Il codice di Torino la pone fra quelle della seconda partita e dice: Ecclesia sanctorum Quadraginta habet sacerdotem et clericum. Michele Lonigo scrive che era situata lì attorno al Coliseo.

 p140  Michele Longo infatti scrive nel suo catalogo che la chiesa stava presso il Coliseo per andare a s. Giovanni fra le chiese di s. Giacomo del Coliseo e quella di s. Clemente: il Martinelli non ne fa veruna menzione.

S. Maria di Loreto

Presso il conservatorio do delle Lauretane, fondato dalla principessa Teresa Doria-Pamfili, sorge questa chiesuola di struttura moderna a sinistra della via che dal Colosseo mena a s. Giovanni. Il monastero annesso è detto delle Lauretane dalla Congregazione di questo nome formata di dame romane destinate a presiedere quell'asilo di povere convalescenti e di fanciulle pericolanti. Fu eretta con elemosine raccolte dal venerabile p. Angelo Paolo carmelitano scalzo di s. Martino ai Monti. Rimase abbandonata fino all'epoca odierna.

Nel 1880 un benefattore che volle rimanere incognito la fece restaurare a sue spese. Sull'altare maggiore vi si venera un imagine della Madonna che è dell'epoca della fondazione della chiesa.

S. Maria inter duo

Nel catalogo delle chiese di Niccola Signorini, sotto Martino V, come in quello più antico di Cencio Camerario, è ricordata questa chiesa colla denominazione inter duo, ovvero inter duas vias. Era situata nella regione adiacente all'anfiteatro, come risulta eziandio dal catalogo di Torino: Ecclesia s. Mariae inter duo, habet unum sacerdotem.

S. Giacomo del Colosseo

Ecco le parole colle quali Benedetto Mellini nel suo libro delle Antichità di Roma tratta di questa chiesa:

"Vicino al Colosseo si vede un fenile il quale era prima la chiesa di s. Giacomo detta de colosseo profanata quasi ai nostri giorni. A questa chiesa la vigilia dell'Assunta s'incontravano il clero lateranense e gli ufficiali del popolo romano, e quivi si risoleva il modo di fare la processione dell'imagine del Salvatore, e contigua a quella v'era un ospedale per le  p141 donne, come viene scritto nel catalogo 2o della medesima compagnia sotto l'anno 1466 da Niccolò Signorili, benchè questi dica che l'ospedale fosse costrutto pro militibus."

Di fronte alla chiesa era una piazzetta che dicevasi pure di s. Giacomo, ed era presso a poco sul principio della via di s. Giovanni, fra questa e l'altra di ss. Quattro.

Fu demolita nell'anno 1815; era adorna di pitture che furono copiate da Ferdinando Baudard e poi dal Guattani. Fra quelle v'era una figura colossale di s. Giacomo apostolo, sedente col bordone e un libro nelle mani; v'era inoltre tutto l'ordine della celebre anzidetta processione, che per ragioni di grandi tumulti Pio V interdisse, ma che nella maggior parte delle città d'Italia, massime dei piccoli villaggi presso Roma, si mantenne in uso. Sembra che in origine vi fosse annesso anche un ospizio di poveri spagnuoli. Nella tassa di Pio IV è detta s. Iacomo dell'ospedale di S. Giovanni in Laterano.

Afferma l'Adinolfi che oltre l'ospedale per povere inferme, annesso alla chiesa, v'era anche uno di quei rifugi che nel medio evo solevano in Roma chiamarsi case sante. Queste altro non erano che congreghe di povere o ricche donne, vedove e zitelle, le quali, legate all'osservanza della regola del terz'ordine o francescano o domenicano, vivevano in comunità, e col nome di bizzoche venivano appellate.

S. Maria in Carinis

È una chiesuola che ricorda l'antichissima denominazione della contrada detta Le Carine. Ignota è l'origine di tal nome, perchè non è accettabile la varroniana; forse ricorda una vetusta borgata preromana stabilita in quel sito. Il Nibby tace affatto di questa chiesa così importante. La casa annessa è proprietà dei Basiliani Greco Melchiti mechitaristi del Monte Libano; appartenne prima ai Cisterciensi, da' quali nel 1809 l'acquistarono i Basiliani suddetti. La chiesuola ha un solo altare dedicato alla Natività di Maria ss.; l'ingresso sta nell'interno del portone del palazzo suddetto dei Basiliani.

 p142  S. Andrea de Portugallo
(S. Maria ad Nives)

Questa chiesuola è ancora in piedi nel bivio delle strade dette del Colosseo e dell'Agnello: la sua facciata guarda l'anfiteatro. L'origine della oscura denominazione della chiesa si vuol dedurre ragionevolmente da quella ricordata dal Varrone ad busta gallica. Ai tempi d'Innocenzo III ancora quel luogo si chiamava in Gallicis: nel medio evo si appellava eziandio de arcu aureo (arco de' pantani) denominazione estesa alle rovine del foro d'Augusto e di Domiziano: ebbe congiunto un monastero, e la troviamo fra quelle che riceveano nel secolo XII il beneficio semplice del presbiterio. Fu già chiesa parrocchiale, poscia divenne beneficio semplice di nomina del cardinale di s. Pietro in Vincoli. L'anno 1607 fu concessa all'università dei rigattieri, i quali la riedificarono a loro spese. Rimase deserta dopo l'anno 1798 e quindi fu concessa alla confraternita di s. Maria della Neve che tuttora la ritiene e dalla quale viene più comunemente oggi denominata la suddetta chiesuola: in alcuni cataloghi è ricordata anche col nome di s. Andrea de Tabernula.

S. Leonardo in Carinis

Doveva sorgere non lungi dal gruppo delle anzidette chiesine, come indica la classica denominazione delle Carine. L'anno 1587 era ancora in piedi; il che risulta da uno scrittore anonimo mentovato dal Martinelli e dall'itinerario dello Scotti.

S. Maria de Lutara

Oscurissima è l'etimologia del nome di questa chiesa, alla quale era annesso un monastero: le sue origini risalgono al secolo VIII, poichè il Liber pontificalis nella biografia di Leone III (a. 795‑816) già la ricorda colle seguenti parole: et in oratorio  p143 sanctae Mariae quod ponitur in monasterio de Lutara fecit canistrum ex argento pensantem libras II et semis.. Il Vignoli nelle note alla sua edizione del libro suddetto afferma che quell'antico oratorio sia il medesimo detto s. Maria della Purificazione presso s. Pietro in Vincoli, opinione seguita dal Grimaldi e dal Martinelli.

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