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Una chiesolina assai antica e già dedicata a s. Pantaleo sorge tuttora ai piedi dell'Esquilino dove comincia la salita di s. Pietro in Vincoli dietro la chiesa di s. Andrea in Portogallo. Da ciò nel secolo XV la chiesa si chiamava ancora s. Pantaleo delli Monti.
Nel catalogo del Camerario è ricordata colla denominazione trium clibanorum, ed in altri cataloghi è detta in tribus foris. Un'antica tradizione vuole che quivi giacessero per qualche tempo le reliquie del martire Pantaleo trasferite da Nicomedia. Vi fu annesso un monastero di monaci basiliani di Grottaferrata, i quali dimorarono in quel luogo più di un secolo, finchè l'anno 1635 si trasferirono in s. Giovanni de Mercatello, oggi s. Venanzo dei Camerinesi: dell'antico monastero dei basiliani si vedono ancora le traccie presso la chiesa. In un manoscritto posseduto dall'egregio rettore della medesima, il rev. Bertaccini, che gentilmente me lo ha mostrato, raccolgo non poche notizie relative alla sua storia. In quel documento si dice che ai monaci basiliani fu sostituito un ospizio di sacerdoti secolari, e si accenna ad antichissime grotte sottostanti alla chiesa ove è un antico pozzo detto di s. Pantaleo, in cui fu tenuto nascosto il suo corpo, e la cui acqua dai fedeli era bevuta per divozione. Anche a s. Pantaleo presso piazza Navona esiste un pozzo, la cui acqua si dà a bere il giorno della festa del santo.
Sotto Clemente XII la chiesa fu affidata all'archiconfraternita della Dottrina cristiana. Il Bruzio vi lesse la seguente memoria sepolcrale, che egli dice era a mano destra vicino alla porta, e scolpita su piccola pietra:
HEC EST SEPVLTVRA NICOLAI
IOANNIS ASTALLI ET PETRI
FILII EIVS ET EORVM HEREDVM.
Da ciò risulta che la famiglia Astalli avea qui una sua sepoltura gentilizia e ve la ebbero eziandio i Paparone, i de Meo, i de Stefano, i de Nofrio, i Maccarone, i Vendettini, tutte celebri famiglie monticiane, le quali possedeano le loro case nelle vicinanze della chiesa. Il Sodo scrive che la chiesa è antica ed è parrocchia, e spesso ve se scongiurano i spiritati. A sinistra della chiesa v'è una camera, ridotta oggi ad uso di sacrestia, le cui pareti sono adorne di pitture del secolo XIV, rappresentanti il Salvatore, colle parole: Ego sum via, veritas et vita: a destra ha s. Giovanni Battista coll'agnellino e sotto Ecce Agnus Dei, a sinistra s. Lorenzo vestito da diacono che porta la graticola, più in basso s. Anna colla Madonna che ha il suo Figliuolo nel seno, seguono quindi s. Pietro e s. Sebastiano.
Presso quella stanza è murata la epigrafe di Madonna Paola de Iacobello Paparone, che restaurò una vicina ed oggi distrutta chiesa di s. Biagio.
Dietro l'altare, in un cippo marmoreo adorno di fogliami ad alto rilievo, che io credo essere stato un frammento di decorazioni d'un edifizio romano, si legge la seguente epigrafe che ricorda la consacrazione di quell'altare medesimo, fatta sotto Pasquale II l'anno 1113. Ecco il testo dell'epigrafe sciolta però dai nessi di scrittura:
ANNO DOMINICE INCARNATIONIS MCXIII
INDIC. VI. DIE KAL. MARII. V. HOC AL
TARE CONSECRATVM EST IN HONORE DOMINI NOSTRI IESV
CHRISTI ET BEATE MARIE SEMPER VIRGINIS ET B. M. ET B.
PETRI ET S. IOANNIS BAPTISTE ATQVE EVANGELISTE
ET OMNIVM APOSTOLORVM ET SANCTO
RVM MARTYRVM SEBASTIANI ET PANTALEONIS
TEMPORE DOMINI PASCHALIS SECVNDI PAPAE ET HIS
RELIQVIIS DOTATVM EST. DE LIGNO SANCTE CRVCIS
ET DE SINDONE DOMINI ET DENTE BEATI
PETRI ET DE COXA S. IOANNIS BAPTISTE
ET TVNICA SANCTI IOANNIS EVANGELISTE ET
DE OSSIBVS SANCTI SEBASTIANI ET PANTALEONIS
MATRYIS.
La chiesa attuale nulla o quasi nulla conserva più dell'antica; anche in origine fu assai piccola e non ebbe che pochissimi altari.
Ma la epigrafe più importante e che oggi è perita si leggeva fino ai tempi del Mellini a mano sinistra vicino alla porta, in lettere pessimamente abbreviate, la maggior parte minuscole. p145 Eccone il testo che traggo dal manoscritto del Mellini nell'archivio vaticano:
THEODORVS ANNO DOMINI MCCLX INDICT. IIII MENSE DECEMBRIS DIE
XII ALEXANDER EPISCOPVS SERVVS SERVORVM DEI DILECTO FILIO
PRESBYTERO BERNARDO RECTORI ECCLESIE S. PANTALEONIS IN TRIBVS
FORIS DE VRBE SALVTEM ET APOSTOLICAM BENEDITIONEM
CONSECRATIONES ALTARVOMO IN QVIBVS XVS IMMORTALITER
VIVENS AD NOSTRORVM ABOLENDAM CRIMINVM CORRVPTE-
LAM IN MINISTERIO IMMOLATVR ALTARIS XIANVS POPVLVS
CVM PVRITATE ANIMI VENERARE TENETVR DEDICANDO
MEMBRA SVA DNO SERVITVRA IVSTITIE IN SANCTIFICATIONE
QVE DVM INIQVITATI ED IMMVNDITIE
SERVIEBANT VT QVE PRO CHRISTI MINISTROS IN ECCLESIIS VISIBILITER EXHIBENTVR MISTICE IN TEMPLO DIVINITVS
PERFICIANTVR CVM ITAQVE FELICIS RECORDATIONIS PASCHALIS
SECVNDVS ROMANVS PONTIFEX PREDECESSOR NOSTER
KALENDARVM MARTII ALTARE ECCLESIE TVE SICVT ASSERIS
PROPRIIS SVIS MANIBVS DVXERIT DEDICANDVM NOS DEDICA-
TIONEMHVIVSMODI IN SECVNDAM FERIAM PRIORIS
EBDOMADE QVADRAGESIME TRASNFERENTES
CVPIENTES QVOQVE QVOD ECCLESIA IPSA CONGRVIS HONORIBVS
A CHRISTI FIDELIBVS FREQVENTETVR ET FREQVENTATIBVS
CVM TALI SOLEMNITATE QVAM PERAGVNT SPIRITVALI
MVNERE CONSVLE . . . . .
DE OMNIPOTENTIS DEI MISERICORDIA ET BEATORVM
PETRI ET PAVLI APOSTOLORVM EIVS AVCTORITATE
CONFISI OMNIBVS VERE PENITENTIBVS ET CONFESSIS
QVI AD ECCLESIAM IPSAM IN SECVNDA FERIA SVPRADICTA
CAVSA DEVOTIONIS ACCESSERINT ANNVATIM QVADRAGINTA
DIES DE INIVNCTA SIBI PENITENTIA MISERICORDITER RELAXAMVS
DAT. IN LAT. II. ID. DECEMB. PONTIFICATVS NOSTRI ANNO VI.
FIERI FECIT . . . S . . .
BENEDICT . . . ET . . . IT . . HIC SANCTORVM RELIQVIAE
NOTANTVR BEATORVM SIGNI VENERABILIS CRVCIS SINDONIS
DNI. DENTIVM BEATI PETRI APOSTOLI COSTES IOHANNIS
BAPTISTE TVNICE SANCTI IOHANNIS EVANGELISTE
OSSIVM SANCTORVM SEBASTIANI ET PANTALEONIS
MARTYRVM BEATORVM QVICVMQVE VENERANTVR
PRO ALTISSIMI FIDELIBVS HABEANTVR INVITA ET
FINE A CHRISTO RECIPIANTVR AMEN.
Presso la chiesa visse alcuni anni e morì il ven. p. Pignatelli gesuita, poichè quivi dimorarono alcuni dei padri di quella benemerita religione durante la dolororsa soppressione di quella insigne società.
Il papa Benedetto XIV, nel 1749, concesse la chiesa all'archiconfraternita, istituita allora in Roma, sotto l'invocazione della Beata Vergine del Buon Consiglio. Il pio sodalizio rifabbricò p146 il maggior altare della chiesa, ponendovi copia della imagine di Maria che sotto quel titolo si venera in Gennazzano. La chiesuola ha una sola nave; oltre il maggiore ha due altari laterali.
Antichissima origine ebbe anche questa chiesa addossata al famoso muraglione, il cui fornice è appellato l'Arco dei Pantani. Ivi restano ancora le tre superbe colonne e parte della trabeazione del magnifico tempio che Augusto dedicò a Marte Ultore per vendicare ed espiare la morte di Cesare. Nel secolo di mezzo quel tempio e gli edifizi annessi furono confuso con quelli che appartenevano al famoso foro Palladio compiuto da Nerva. Il fornice che serve anche oggi di transito fra quel foro d'Augusto e la Suburra (arco dei Pantani) diceasi arcus auri. Quei ruderi all'epoca di Pietro Mallio erano appellati palatium Trajani imperatoris, e la vicina chiesa ed abbazia erano inde come adiacenti a quel palazzo. In una bolla di Agapito II dell'anno 995 diretta all'abbate di s. Salvatore in Capite si nomina questa chiesa di s. Basilio col suo annesso monastero: in quel prezioso documento il sito del monastero di s. Basilio dicesi scala mortuorum ed era allora una delle principali abbazie di Roma. Nell'ordo dell'anno 1143 si descrive l'itinerario solenne che faceva il papa nel dì della Purificazione movendo da s. Adriano verso s. Maria Maggiore e si nomina l'Arcus Nervae, un arco o fornice che sorgeva nel vicino foro Palladio che dal volgo per corrotta pronunzia chiamavasi l'Arca Noe, perchè quasi l'arca noetica si vedea torreggiare nelle acque di quel perenne pantano; quindi la nostra chiesa di s. Basilio prese anche questa strana denominazione cioè s. Basilio de arca Noe. Per la profondità del suolo in questa parte rimasto assai depresso fino al secolo XVI e dove le acque impaludavano, la contrada fu detta de' Pantani, finchè s. Pio V circa il 1570 commise a Prspero Boccapaduli maestro delle strade che rialzasse in quel luogo il suolo impraticabile e malsano. Le strade adiacenti a quella regione conservano tuttora i nomi di via Alessandrina e Bonella, le quali ricordano il celebre card. Alessandrino che sistemò qle strade allora impraticabili. Il santo pontefice, assegnò alle neofite domenicane il monastero di s. Basilio, le quali lo denominarono dell'Annunziata. Nel giardino di dette monache neofite si vedono ancora delle antiche finestre bifore che forse appartengono all'antica abbazia o al palazzo dei cavalieri Gerosolimitani. Nel p147 secolo XIII lo aveano tenuto infatti i cavalieri di s. Giovanni di Gerusalemme, al cui tempo apparteneva il campanile eretto sulle rovine del tempio suddetto di Marte, che fu demolito nei primi anni di questo secolo. Quei cavalieri aggiunsero alla chiesa il nome di s. Giovanni, che comparisce nei documenti di quell'età colla denominazione di s. Giovanni de campo Turriciano, perchè si trovava nelle vicinanze della Torre de' Conti, costruita nei primi anni del secolo XIII da Riccardo dei Conti, fratello d'Innocenzo III, la più colossale e la più formidabile delle torri urbane. Era chiamata la torre della città e detta dal Petrrca turris toto orbe unica. Sotto Urbano VIII fu demolita la sua parte superiore e ridotta a quegli avanzi che tuttora si vedono. Quella contrada era a preferenza di ogni altra irta di torri ed occupata da serragli, onde chiamavasi il campo torrecchiano o torriciano. Di qui la denominazione della nostra chiesa, che è registrata nel libro dei censi col nome di s. Giovanni de Campo Turriciano. l codice di Torino è chiamata s. Giovanni in Campo ed aveva un sacerdote. Nel secolo XVI veniva detta s. Giovanni del palazzo di Nerva, per esser così allora chiamati dal volgo i ruderi del vicino Foro di Augusto. Ai tempi di Pio IV si chiamava anche s. Giovanni in capo ai monti. L'istituto di quelle religiose che anche oggi vi dimorano venne fondato da Giulia Colonna sotto Pio IV nel rione di Campitelli.
Sull'arcus Nervae v'ha una notizia che si riferisce alla deplorevole demolizione avvenuta sotto il papa Paolo V del tempio di Minerva nel foro palladio. È un breve di quel pontefice, col quale si fa donazione ai padri della Mercede di s. Adriano, delle pietre e dei beni dell'arco di Nerva: pro priore et fratribus s. Adriani in foro boario ordinis B. Mariae de Mercede donato lapidum et bonorum Arcus Nervae prope eorum ecclesiam existentis. l'anno 1542 Giovanni da Forano parroco di s. Giovanni in Mercatello implorò il luogo dal pontefice Paolo III pei catecumeni.
Sorgeva ai piedi della collina di s. Pietro in Vincoli non lungi dall'antica chiesuola, ancora ivi esistente già di s. Pantaleo ed ora del Buon Consiglio.
p148 An oggi, nella sagrestia di questa chiesa si legge la seguente storica epigrafe:
Dal contesto risulta che la chiesa di s. Biagio era nel secolo XII sotto il patronato dei Paparoni. Scotto Paparone, di cui in questo marmo è menzionata la vedova, fu senatore di Roma nel momento in cui saliva al soglio pontificio il grandissimo Innocenzo III. Nel pavimento di s. Maria Maggiore in una lastra marmorea sono incise le immagini di due personaggi a cavallo costruiti nomi Scotus Paparone, Ioannes Paparone fil. eius. La chiesa fu distrutta poco dopo il 1587.
Il papa Paolo I circa l'anno 760 consacrò una chiesa agli apostoli Pietro e Paolo sulla via Sacra dinanzi al sito detto in silice che ricordava il selce, ubi cecidit Simon Magus iuxta templum Romuli. Quel papa però non edificò della fondamenta la chiesa, ma trasformò a tal uopo una parte della grande basilica costantiniana, i cui ruderi il volgo appella comunemente gli archi della Pace. Infatti fra le rovine di quel costantiniano edificio si scoprirono tracce di pitture cristiane del medio evo in un'abside, e si riconobbe quivi essere stato eretto un altare; abside e altare i quali, benchè semidisfatti, restano tuttora al loro posto, precisamente in fondo al portico della basilica suddetta costantiniana nel lato che è rivolto all'anfiteatro. Lo storico selce si conserva nella vicina antichissima chiesa di s. Francesca romana che fino dal principio del secolo VIII esisteva col nome di s. Maria Antiqua. Nel 1375 quel selce era già stato trasferito nella prossima chiesa di s. Maria, come risulta da alcune parole in proposito registrate in un codice di quell'anno: ibidem in uno altare est lapis signatus per genuflexionem s. Petri quando oravit in volatu Simonis Magi qui ante eandem ecclesia cecidit p149 ubi locus lapidibus est signatus. Circa poi la tradizione di cotesta caduta di Simon Mago sulla via Sacra, e il selce che la ricordava, ecco in sostanza il giudizio del sommo maestro delle cristiane antichità il De Rossi:
"Che il primo eresiarca Simona abbia fatto professione di arti magiche a Roma, così egli, e quivi abbia avuto contrasto con gli apostoli e specialmente con Pietro, è tutt'altro che leggenda o favola da porre in derisione. Alle gravi testimonianze storiche già conosciute si aggiunge quella inaspettata e piena d'autorità delle notizie raccolte da antiche fonti nei libri dei Filosofumeni. Ma quivi come nei libri di Giustino e d'Ireneo, del tentato volo non troviamo cenno, benchè fosse questo già divulgato nel mondo cristiano fino dai primi tempi della pace di Costantino. Anzi non solo nel secolo quarto la fama di quel fatto era dovunque diffusa, ma anche del sito della via Sacra, ove si diceva che Simone fosse precipitato, come risulta dalle lettere dei legati di papa Liberio ad Eusebio di Vercelli scritte nel 335. La più antica menzione che suole citarsi del selce della via Sacra, ha per autore Gregorio di Tours nel secolo VI. Ma si legge pure negli atti apocrifi di Pietro e di Paolo, che vanno sotto il nome del falso Marcello, documenti che non sono certo fattura del medio evo, ma dettato anteriore al secolo VI, anzi non posteriore al quarto. Del resto sulla sostanza del fatto circa al tentato volo di Simon Mago, e la sua materiale caduta sui selci della via Sacra, di cui la nostra chiesa era uno storico ricordo (così conchiude il De Rossi) il silenzio di Giustino, di Ireneo, dell'autore dei Filosofumeni, circa il tentato volo, essere grave argomento a dubitarne. Viceversa però l'antichità di quel racconto e della sua topografica memoria in sì celebre sito di Roma, e le allusioni dei profani storici e poeti, massime di Svetonio, Dione NON SI TROVA IN CASSIO DIONE, Giovenale, ad alcun prestigiatore che tentò volare e precipitò ai tempi neroniani, mi consigliano a non precipitare la sentenza, e mi distolgono dall'affermare l'assoluta favolosità di quel racconto e di quella topografica tradizione romana. Aspettiamo dal tempo e dai progressi delle scoperte archeologiche e critiche qualche nuovo raggio di luce."
Tornando alla nostra chiesuola, scrive il Bruzio che questa rimase in piedi fino ai tempi di Paolo III, sotto il quale fu demolita.
Fra le denominazioni di questa insigne chiesa, situata presso il foro romano, oggi comunemente appellata s. Francesca romana, v'ha pure quella poco conosciuta di s. Maria in palerna, denominazione che serba forse, nella sua forma corrotta, la classica ed arcaica dell'antico Palatium, sopra una delle cui sommità sorge, seppure non riferiscasi al Palladium, custodito nella vicina aedes Vestae. Questa chiesa esisteva fino dal principio del secolo VIII col nome di s. Maria Antiqua che ritenne almeno fino al secolo IX, poichè fu restaurata da Giovanni VII (705). Benedetto III la arricchì di doni: incendiata fu restaurata da Nicola I ed allora cambiò il nome d'antiqua in quello di nova: Gregorio II nel 996 vi collocò i corpi di Nemesio, Lucilla, Olimpio, Stefano, Teodulo e Sempronio. I Frangipani, padroni del vicino castello la dotarono di fondi. Vi dimorò Urbano II nel 1093, datando da s. Maria Nuova le sue bolle. Nel 3 febbraio del 1136 qui si consecrava e ordinava Innocenzo II. Alessandro III salvatore d'Italia la riconsacrò nel giugno 1161. È nel suo atrio che nella celebre processione dell'Assunta si deponeva per qualche tempo l'imagine del Salvatore,, ed in quel luogo v'era il letticciuolo ove il papa riposava alquanto in una delle tappe di quel lunghissimo corteo. Distrutta la chiesa da un incendio sotto Onorio III, questi la riedificò circa l'anno 1216; nel 1615 sotto Paolo V fu decorata di nuova facciata per cura dei monaci olivetani che dimoravano nell'anesso monastero e che vi fecero pure il ricco soffitto. Il presbiterio secondo l'uso delle antiche chiese, è situato in piano assai elevato da quello della nave, e vi si accede per due rampe di scale; iviv si venera un'immagine della Vergine, che Angelo Frangipane, reduce da Terrasanta, nel secolo XI trasferì da Troade. Sotto il presbiterio v'ha il sepolcro della celebre matrona, santa Francesca romana, morta nel 1440, opera splendidissima del Bernini, e che fu compiuta a spese di Agata Pamphili oblata di Tor de' Specchi e sorella di Innocenzo X. Ivi riposa da pochi anni lo scheletro della santa trasportatovi da Torre de' Specchi. Un insigne monumento p151 storico v'ha in questa chiesa, cioè quello di Gregorio XI, il quale ricondusse la sede apostolica da Avignone a Roma: il suo sepolcro che è a destra del presbiterio fu fatto innalzare dal popolo romano l'anno 1584, magnifico monumento dello scultore Phiren. Presso la porta laterale a destra v'hanno le memorie sepolcrali del card. Vulcani morto nel 1322 e di Antonio Riddo morto nel 1475, arcis romanae praefectus ai tempi di Gregorio IV e dux copiarum sotto Niccolò V. Del secolo XII è il bellissimo campanile che sorge a fianco della chiesa, ed il musaico dell'abside, dopo che quello di Niccolò V fu distrutto. Eugenio IV restaurò anche egli la chiesa che Alessandro VI concesse in diaconia al famigerato Cesare Borgia, il quale la rinunciò col cardinalato nel 1498. Il pavimento è d'opera cosmatesca, e per quel lavoro furono adoperte anche molte pietre tolte ai loculi delle catacombe romane. Sopra una di queste il Bruzio lesse il seguente, prezioso benchè mutilato, frammento d'epigrafe cristiana del secolo IV:
La conca dell'abside è adorna di splendidi musaici. Regna nel centro la Vergine sedente in trono fra imagini di santi. L'epigrafe scritta nella fascia inferiore fu più volte mutilata da restauri. Il ch. De Rossi ne ha ritrovato il testo esatto nel codice epigrafico di Pietro Sabino della Marciana in Venezia e che quell'erudito offrì a Carlo VIII di Francia:
Il Ciampini ha fatto autore di quel musaico Niccolò I (a. 858‑67), il Platner, Onorio III (a. 1216‑26), ma il De Rossi lo crede opera di Alessandro III circa il 1161 quando, come si disse, il papa consacrò di nuovo quella chiesa. Il musaico in origine occupava anche la parete e la fronte dell'arco. Coloro che lo videro p152 della distruzione del 1615 lessero in cima dell'arco in lettere d'oro il seguente epigramma:
Vi era infatti effigiata la gloria della croce, come ne vide un disegno Giovanni Lucio descritto dal Ciampini. Era la croce greca con le lettere Α Ω fra i sette mistici candelabri e gli animali simbolici degli evangelisti: ai due lati vi era un profeta per parte, e dietro questi la mistica palma. Fu questa chiesa officiata da un Capitolo; ma Alessandro II l'affidò ai canonici regolari di s. Frediano di Lucca circa il 1061. Callisto II la concedette ai canonici regolari lateranensi. Finalmente sotto Clemente VI passò nel 1352 ai benedettini di Monte Oliveto che l'hanno tuttora in custodia.
È una delle più illustri chiese di Roma, la quale sorge sul margine sinistro della sacra via. Felice IV (a. 526‑530) la edificò o per dir meglio ridusse a tale uso l'antico edifizio detto templum sacrae urbis, già archivio della città in onore dei due medici e martiri Cosma e Damiano. Egli la incorporò al templum Romuli, il figlio di Massenzio che il medio evo ed anche oggi il volgo confonde col Romolo fondatore di Roma. Nei libri delle mirabilia si legge: Sancti Cosmatis ecclesia quae fuit templum asyli, cioè dell'asilo romuleo. La chiesa è composta dunque di varî edifizî; essi sono, il tempio circolare di Romolo che serve di vestibolo, poi la sala quadrilunga che forma il corpo della chiesa, finalmente un edifizio addossato alla parte posteriore dell'abside di Felice trasformato ora in sagrestia e diviso in più parti. L'abside feliciana in origine non era del tutto chiusa ma aperta, poggiando su tre archi o fornici, mediante i quali era posta in comunicazione la terza ed ultima aula con quella di mezzo, la principale del tempio. Di queste absidi arcuate ed aperte, due altre esempî nella basilica di s. Maria Maggiore, come risulta da un passo del libro pontificale nella vita di Pasquale I. Poichè il biografo pontificale scrive che le matrone nella basilica liberiana stavano p153 dietro la cattedra pontificale e tanto ad essa vicino, che ascoltavano ogni parola detta dal pontefice ai suoi ministri.
L'edifizio quadrato appartenne adunque al Forum Pacis, e secondo il risultato degli ultimi studi, era l'archivio della città edificato da Vespasiano nel suo foro sul quale aveva rivolto l'ingresso. Fu restaurato dopo il grande incendio dell'anno 198 da Settimio Severo e Caracalla, i quali vi affissero la grande pianta marmorea di Roma da loro ordinata, ed allora l'edifizio ebbe il nome di Templum Sacrae Urbis. Questo era chiuso affatto dalla parte della via Sacra, ed aveva un ingresso laterale ornato di portico corrispondente sul lato sinistro per chi guarda la fr della chiesa. Al principio del quarto secolo Massenzio volle edificare al suo figlio Romolo un Ἡρῷον ed allora costruì il tempietto rotondo aderente alla porta postica del templum urbis e con l'ingresso separato dalla via. Quegli edifizi restarono indipendenti fino all'epoca di Felice IV che ridusse il Templum Urbis nella chiesa dei ss. Cosma e Damiano.
Il pontefice riunì il tempio rettangolare col rotondo, che era decorato nella fronte di quattro colonne corintie. Essendo il luogo divenuto quasi sotterraneo per il sollevamento del circostante terreno, Urbano VIII ne rialzò il livello spostando la porta antica d'ingresso; ma ora in seguito alle recenti escavazioni di quel tratto della via Sacra con saggio provvediento fu collocata di nuovo la porta del tempio al livello del suo luogo primitivo. Ed infatti nel sotterraneo della chiesa attuale che è il piano della antica si vede tuttora l'antico altare dentro l'area dell'abside con i posti delle basi per le colonne del ciborio. Si veggono pure nelle pareti avanzi di pitture, d'alcune delle quali esistono i disegni nella Barberiniana, poichè fatte ritrarre per cura del cardinale Francesco Barberini. Il musaico eziandio è opera di Felice IV, ma fu più volte mutilato e risarcito. Sergio I circa il 695 vi fece l'ambone e il ciborio, Adriano I e Leone III ne risarcirono il tetto cadente. La scena rappresentata nell'abside è la seguente: Cristo nel centro fra gli apostoli Pietro e Paolo, i martiri Cosma e Damiano, Teodoro e il ritratto di Felice. L'imagine di quest'ultimo perì sotto Gregorio XIII e vi fu sostituito in finto musaico p154 s. Gregorio il Grande, come testificano l'Ugonio ed il Suarez. Sotto Alessandro VII il cardinale Barberini curò la restituzione dell'imagine di Felice IV che è opera tutta moderna. Il musaico della fronte esterna dell'arco rappresentava la scena dell'agnello sul trono fra i sette candelabri corteggiato dagli angeli e dai quattro simboli degli evangelisti, acclamato dai ventiquattro seniori dell'Apocalissi; ma questa composizione fu mutilata don quella dell'abside allorquando Urbano VIII ridusse la chiesa allo stato odierno. Sotto la tribuna si leggono i seguenti versi, il cui testo si trova pure in quasi tutte le antiche sillogi epigrafiche delle basiliche cristiane di Roma:
AULA DEI CLARIS RADIAT SPECIOSA METALLIS IN QUA PLUS FIDEI LUX PRETIOSA MICAT MARTYRIBUS MEDICIS POPULO SPES CERTA SALUTIS FECIT ET EX SACRO CREVIT HONORE LOCUS OPTULIT HOC DOMINO FELIX ANTISTITE DIGNUM MUNUS UT AETHERIA VIVAT IN ARCE POLI. |
Nel regesto d'Innocenzo IV ed in altro documento del medio evo la chiesa è appellata in silice, a ricordo non tanto del lastrico dell'età primitiva della Sacra via, che anche oggi vi resta, quanto del selce ubi cecidit Simon magus.
Fu appellata pure in tribus fatis, nome che troviamo nel libro pontificale nella vita di Adriano I da un'antica appellazione di quel tratto del Foro che la ricevette da un qualche gruppo di statue rappresentanti forse le tre parche o tria fata, denominazione che non è affatto da scambiare con quella di tribus foris o tribus fanis, come dimostra il De Rossi.
Sul storia degli scavi del Foro romano v'ha nell'archivio de' Brevi una notizia, della quale non trovo che altri abbia fin qui toccato; cioè una lettera del papa dell'anno 1630: pro fratribus ss. Cosmae et Damiani de urbe licentia effodiendi lapides. In un documento edito dal Garampi dell'anno 1056 le adiacenze della chiesa sono denominate in aura, denominazione che potrebbe riferirsi forse alla vicina domus aurea o al non lontano arcus aureae. La trasformazione del nome dei due santi in un solo detto Cosmato, è assai antica perchè con questo nome è ricordata la nostra dal Camerario. Nel catalogo di Torino questa chiesa era la prima della seconda partita, secondo la nota divisione in ordine alla fraternita romana. La chiesa fu donata al terz'ordine di s. Francesco dal cardinale Alessandro Farnese, poi Paolo III.
Era questo il titolo di una chiesina edificata nel secolo trascorso e nel 1877 distrutta, la quale sorgeva presso quella dei ss. Cosma e Damiano, alla destra del templum Romae e addossata al medesimo. Fu eretta sotto il pontificato di Benedetto XIV, per l'Archiconfraternita degli Amanti di Gesù e Maria detta della Via Crucis. Questa pia istituzione ha per iscopo di ricordare la passione del Salvatore colla divota pratica della Via dolorosa. Processionalmente si conduceva dall'oratorio suddetto del Foro romano per l'antica sacra via al vicino anfiteatro Flavio nella cui arena erano costrutte 14 edicole in cui erano rappresentate le scene della Via dolorosa. Era bello il vedre la devota processione composta di fedeli d'ambo i sessi avviarsi fra i ruderi del Foro, del palazzo dei Cesari, passare sotto gli archi dei trionfatori romani e seguendo il vessillo di questa croce che aveva trionfato della civiltà brutale di Roma entrare nell'anfiteatro e nella cavea del medesimo ove aveano echeggiato le grida di un popolo sitibondo di sangue umano, far risonare gli inni ed i canti della Chiesa in onore di Chi avea sparso il suo sangue per redimere l'umanità. Questo commovente e subliem spettacolo avea luogo nelle domenich e venerdì dell'anno, nei giorni di carnevale, nel mercoledì e giovedì della settiana santa, nel giorno della invenzione della croce ecc. L'anno 1874 dell'arena del Colosseo fu tolto il vessillo della Redenzione e della civiltà, e nel giorno 22 gennaio di quell'anno medesimo si demolirono le divote eedicole della Via Crucis, cessando così il pio corteggio dei fedeli che andavano su quelle classiche rovine a ricordare i dolori del Salvatore. Da quel giorno quella confraternita si riunisce entro le pareti della chiesuola di s. Lorenzo in Miranda. Le quattordici cappellette distrutte nel 1874 erano state erette da Benedetto XIV per suggerimento di s. Leonardo da Porto Maurizio missionario apostolico. Il giorno 27 dicembre del 1750 furono solennemente benedette, presente un gran numero di popolo e lo stesso s. Leonardo Poco dopo il papa fece erigere l'oratorio al Foro romano. Ecco il testo del Memoriale presentato al papa dai componenti allora la nuova congregazione degli Amanti di Gesù e Maria: Beatissimi Padre, Alcuni divoti fedeli cristiani ascritti alla nuova congregazione degli Amanti di Gesù e Maria umilmente prostrati ai Vostri Santissimi Piedi supplicano la Santità Vostra degnarsi concedergli la licenza di p156 poter fare nel circuito interiore dell'anfiteatro Flavio, detto il Colosseo, le quattordici stazioni della Via Crucis e un oratorio nella parte rovinata verso s. Gregorio, situandolo don facilità in detto luogo fra le due mura senza levare neppure un sasso, nè ricoprire in modo alcuno l'antico, servendosi inoltre della porta per detto oratorio di quella che presentemente vi è di fuori nella strada che dall'arco di Costantino conduce a s. Giovanni, essendo necessario il detto oratorio per la congregazione acciò la medesima si eserciti nel santo esercizio e custodisca la Via Crucis e mantenga alle stazioni i lumi di olio e di cera, che secondo la divozione lo richiede e la venerazione delli santissimi Misteri.
È tuttora esistente presso il Foro Romano entro l'ambito e la cella del Templum divi Antonini. Questa trasformazione a cui deve Roma la conservazione parziale del bellissimo monumento avvenne circa i secoli VII e VIII: però la chiesa antica fu cambiata di forma per i successivi restauri, e non ha ormai nessuna importanza artistica. Le sue origini ci sono ignote, ma viene ricordata fino dall'opera del Camerario, ed avea 18 denari di presbiterio. Sotto il pontificato di Urbano V sul volgere del secolo XIV si trova notizia di questa chiesa: Conceditur quod marmora existentia in supereminentia fabricae s. Laurentii in Miranda intra palatium Antonini de urbe deportentur ad fabricam lateranensem dummodo absque destructione supradictae ecclesiae removeri possint. Abbiamo accennato che le numerose chiese dedicate in Roma al martire Lorenzo rilevano la grande divozione che i cittadini di Roma ebbero verso questo i martire, perchè furono innalzate nei luoghi santificati da qualche memoria del martire. Così quella in panisperna ricorda il luogo del suo supplizio, l'altra in fonte quello del suo carcere, la celeberrima in Lucina la casa da lui frequentata. Ora non è del tutto inverosimile l'opinione del mio amico il ch. prof. Marucchi, che questa del Foro ricordi il sito ove forse il santo levita fu giudicato e condannato al martirio. Infatti trovasi a poca distanza dagli archivi della prefettura urgana, p157 ove si svolsero molti processi dei martiri. Vi fu annesso un monastero chiamato anch'esso Miranda. Fu già chiesa collegiata; Martino V però soppresse quel collegio nel 1430 ed affidò la chiesa all'università degli speziali che vi eressero un ospedale pei giovani di loro professione. Questi vi edificarono alcune cappelle tra le colonne del portico che furono abbattute nell'occasione dell'ingresso trionfale in Roma di Carlo V dopo la spedizione di Tunisi.
La chiesa fu riedificata nel 1602 con architettura del Torriani. La denominazione di Miranda ordinariamente si attribuisce ai vestigi meravigliosi del Foro, in mezzo ai quali sorge la chiesa. Però a me sembra più probabile l'opinione espressa dal prof. Corvisieri, che si riferisca al nome di qualche illustre donna del medioevo detta appunto Miranda, che si rese benemerita di questa chiesa, o che ebbe presso la medesima la sua casa. Aggiunge il Corvisieri che questo nome femminile era assai usato nel secolo X.
Un'altra chiesa fu dai più remoti secoli dell'età di mezzo dedicata in Roma a s. Dionisio, e della quale è scomparsa ogni traccia. L'unico documento per quanto mi sappia che fa menzione di questa chiesa, è quello d'un codice urbinate, ove si dice che la chiesa suddetta esisteva nel Foro romano ubi templum fatale. Questa denominazione attribuivasi fino al secolo VIII a quella contrada del Foro ove era il tempio di Giano che è pure ricordato nell'Ordo di Benedetto canonico dell'anno 1143. Quindi possiamo congetturare che la suddetta chiesa di s. Dionisio sorgesse precisamente nell'area dell'antico Comizio fra le chiese di s. Adriano e di s. Martino. Nessuno di coloro che delle memorie cristiane del Foro romano hanno trattato, hanno giammai dato un cenno della anzidetta chiesa di s. Dionisio.
La chiesa più importante che di questo celebre martire di Nicomedia esista tuttora, è quella situata al Foro romano. Fu detta in tribus foris dal luogo dove sorgeva, e fu edificata p158 da papa Onorio I, come abbiamo dal libro pontificale. Nei documenti dei secoli di mezzo è appellata ora in tribus fatis, ora in tribus foris, ovvero anche iuxta asylum, ricordante il famoso asilo romano presso il Campidoglio, come nllepistola X dell'antipapa Anacleto. La chiesa attuale non ci si presenta certamente nella sua forma primitiva nè al suo livello, poichè l'antica era assai più profonda, cioè al piano del Foro romano. Fu edificata forse sugli avanzi della Curia nell'area del Comizio. Il nome in tribus foris lo ebbe certamente dalla reiniscenza de' Fori imperiali, sul cui limite trovasi l'edificio, e quello in tribus fatis dalle statue delle Parche che un dì in quel luogo erano colonne, onde il luogo nelle carte topografiche dell'età di mezzo era detto anche Templum fatale. Nel museo cristiano lateranense si conserva una colonna terinale, che nel passato secolo stava presso quella chiesa, dove si legge l'epigrafe: S[ANCTUS] ADRIAN[US] QUICUMQUE EA TRAXERINT VEL FREGERINT ANATHEMA SIT. Il quale cippo è del secolo VII od VIII e minacciava la pena dell'anatema a chi avesse attentato a danno della chiesa. Nel 1213 furono ivi deposte le reliquie dei martiri Nereo ed Achilleo, sebbene ignorarsi se fossero colà portati della via ardeatina o dalla chiesa dedicata entro Roma, cioè che è più probabile; e che il card. Baronio da Clemente VIII ottenne che a quella sua chiesa titolare fossero di nuovo restituite.
Nella celeberrima processione dell'Assunta, nella quale portavasi l'imagine del Salvatore alla basilica di s. Maria Maggiore, innanzi a questa chiesa si facea sosta dal popolo e dal clero, e come si ricava dall'Ordo romanus, ivi si lavavano i piedi alla imagine santa con acqua di basilico, che era una delle tante pie e semplici costumanze, che attestanto non solo la semplicità, ma anche la rozza fede di quei secoli. Gregorio IX nel 1228 restaurò la chiesa. Di che v'ha ricordo in una epigrafe del tempo, ed in un'altra si dice che in quei restauri si rinvennero i corpi dei ss. Mario e Marta, le reliquie di s. Adriano e quelle dei tre faniculli ebrei. Era questa pure una delle stazioni delle solenni processioni papali nelle quali risiedeva l'associazione di quei fratres sacerdotes, della quale ho parlato a proposito della origine della romana fraternitas. Il papa Adriano I, in onore del martire suo omonimo, innalzò a diaconia questa chiesa cui offrì p159 ricchissimi doni, come abbiamo dal libro pontificale, dotandola di campi, vigne, oliveti, servi, ancelle, peculî e cose mobili, onde dalle rendite si alimentassero i poveri. Nel secolo XVII in questa chiesa si raccoglieva la Compagnia detta degli Acquavitari eretta l'anno 1690 e provvedea anche di sussidio i fratelli ammalati e carcerati. Era composta dei padroni e dei rivenditori detti cassettanti: nel 1711 vi si incorporò l'università dei tabaccai. La chiesa e l'annesso convento essendo deserto passò ai pp. della Mercede della provincia di Spagna ed Indie in forza di permuta con il card. titolare Agostino Cusano del convento di s. Rufina in Trastevere. Sisto V approvò la permuta con bolla 8 aprile 1589: la chiesa era così diruta che vi nasceva l'erba nel pavimento: il papa con bolla del 1590 dispose che il Generale ordinasse a tutti i conventi di Spagna a lui soggetti di contribuire con 2000 scudi alle spese della fabbrica.
Sulle rovine di un edifizio senatorio che fino dal secolo V si chiamò Secretarium Senatus, fu edificata presso il Foro Romano circa il jî6 una chiesa dedicata a s. Martina. Nella vita di Leone III si ricorda infatti dal Liber pontificalis come già esistente, benchè riedificata ai tempi di Urbano VIII, ed allora nel posto della primitiva basilica si costruì la elegante e ricca chiesa sotterranea. Sulla porta dell'antico edifizio leggevasi il distico:
MARTYRII GESTANS VIRGO MARTINA CORONAM EIECTO HINC MARTIS NVMINE TEMPLA TENES. |
Fu detta in tribus foris perchè situata quasi nel limite dei tre fori, cioè quelli di Cesare, d'Augusto e del foro romano, dei quali tutti restano anche oggi grandiosi vestigî, giacchè è stata testww scoperta anche gran parte del foro d'Augusto presso l'arco de' Pantani. Adriano I la restaurò e l'arricchì di doni. Sotto Alessandro IV nel 1255 dopo un grande restauro fu di nuovo consacrata e costituita parrocchia e collegiata; e tale restò fino all'anno 1588 alrc da Sisto V fu concessa agli p160 artisti, che le dettero il nome di s. Luca. Ecco l'epigrafe di papa Alessandro:
Da questa chiesa prendea le mosse la processione della Candelora, istituita sotto Gelasio in sostituzione delle feste lupercali. Nel giorno della Purificazione della s. Vergien il papa, cantata terza coi cardinali in questa chiesa, indossava gli abiti pontificali, e coi ceri benedetti dall'ultimo dei preti cardinali, uscito dalla chiesa e seduto sulle porte di quella, dispensava dolle proprie mani i cerei al popolo. Poi per un vicino portico si conduceva a s. Adriano e seduto presso l'altare, cantava sesta, finita la quale dispensava i ceri ai cardinali. Intanto nella chiesa si raccoglievano col popolo i chierici delle diaconie della città, e terminata la funzione fino a s. Maria Maggiore, alla cui porta toltesi il papa le scarpe, a piè nudi entrava nella basilica. Cantando quindi il Te Deum, gli si lavarono i piedi e uno dei cardinali celebrava il sacrificio.
Sotto Urbano VIII fu ivi ritrovato il corpo della santa martire eponima, il che indusse quel papa alla riedificazione della chiesa, opera che venne affidata dal cardinale Francesco Barberini a Pietro Barettini, che cedette una porzione della propria casa per ingrandira, e istituì eredi l'accademia e la chiesa p161 per la somma di centomila scudi romani. Sotto il pavimento al livello del Foro, si discende al sotterraneo che, come fu accennato, venne sostituito all'antica e primitiva chiesa, ove si venera sotto un nobilissimo altare di bronzo dorato il corpo della santa. Un falsario in quell'epoca fu autore della iscrizione esistente ancora in quel sotterraneo, e che sarebbe ottimo divisamento rimuover di là, poichè è stata ed è molte volte citata come autentica. Quella sciocca e ridicola falsificazione si riferisce ad un cristiano di nome Gaudentius preteso architetto del Colosseo! La reminiscenza del Secretarium Senatus si mantenne in quel luogo fino al secolo XII, ove ancora presso s. Martino risiedevano in una specie di curia i magistrati del tribunale. Infatti il Martinelli nella sua Roma ricercata afferma esistere nell'archivio di s. Maria in via lata alcuni atti giudiziarî fatti innanzi ai senatorientale di Roma nel secolo XII sotto i pontificati d'Innocenzo II, Eugenio III, Lucio III, nei quali atti si specifica la residenza dei senatori, qui positi erant ad s. Martinam ad iustitiam discernendam.
Nei secoli del medio evo ivi era il palazzo per l'abitazione del vescovo di Porto, ed in quella chiesa il papa solea indossare le vesti sacerdotali per le solenni processioni del medio evo, che per reminiscenza delle antiche pompe trionfali mantenevano l'itinerario religiosi della sacra via, e presso la chiesa medesima si soleva fare quel gettito di onete descritto dal Camerario. In alcuni documenti del secolo XIV e XV talvolta il nome di s. Martina e la sua chiesa è scambiata con quella di s. Martino, errore in cui caddero il Fauno, il Gamucci ed altri. Nè manca poi chi col Gregorovius ed altri abbiano anche confusa questa chiesa con quella di s. Maria in Augusto.
Questo vetustissimo titolo, che ricorda il nome probabilmente della fondatrice e proprietaria di quello, è scomparso da molti secoli. Il libro pontificale nella vita di Anastasio I (a. 398‑402) attribuisce la fondazione di una basilica di questo nome al suddetto papa: hic fecit basilicam quae dicitur Crescentiana in regione secunda via Mamertina. Francesco Scotto così ricorda questa basilica S. Crescentius in via Mamertina. Nel sinodo primo romano sotto Simmaco fra i preti sottoscrittori ddi quello si leggono i nomi di Bonus, Dominicus, Vincomalus, Tituli s. Crescentiane. Sembra doversi stabilire il sito di questa chiesa nella via Mamertina corrispondente oggi a quella oggi detta di Marforio. In alcune carte del secolo XVIII trovai queste note d'un anonimo: pochi anni indietro nell'appianarsi la via di Marforio furono scoperti dei muri e colonne scanalate sulle basi. Forse quei vestigi appartenevano al nostro titolo.
Questa chiesuola era situata sulla piazza del foro Traiano presso l'odierno palazzo del Gallo, e fu demolita nel principio del secolo dal governo francese per l'escavazione della basilica Ulpia. Il Bruzio parlando dell'ospizio che vi era annesso di povere fanciulle, così ne ricorda l'origine: "Sotto Clemente VIII un uomo di vile conditione detto il Letterato (Lorenzo Ceruso) vedendo tanti poveri figliuoli per le strade di Roma baroneggiare e dormire la notte nei banchi dei macellari, mosso a compassione portava li fanciulli abbandonati la notte in una grotta vicino al monastero di s. Lorenzo in Panisperna, dal cui esempio mosso un suo compagno detto Antonio fece lo stesso colle fanciulle che ricoverava in una altra grotta vicina. Andando Clemente VIII a vedere un giorno i frati del popolo, i due, cioè il Letterato e Antonio condussero nella piazza tutti i fanciulli raccolti in due file, e le fanciulle erano vestite di bianco con pazienza turchina. Mosso il papa a compassione ordinò a monsignor Mandosio vicegerente che si desse recapito a quelle zitelle che furono poste in un vicolo a colonna Traiana; i putti restarono invece sotto la cura del loro fondatore detti perciò i letterati."
Il Felini ed il Panaroli scrivono che la chiesa stava contro la colonna e chiamavasi anche s. Bernardino. Esisteva già nell'anno 1461 come risulta da un documento dell'Archivio del Salvatore nel catasto di quegli anni. Infatti anche oggi la via che fiancheggia il lato destro della chiesa del Nome di Maria a Colonna Traiana serba il nome di s. Eufemia. Il popolo appellava quelle fanciulle le zitelle sperse, nome che passò poscia alla chiesa e al conservatorio. Distrutto questo nel principio del secolo, e soppressa per alcun tempo la pia istituzione, un appena ripristinata la dominazione pontificia le zitelle sperse furono raccolte in s. Caterina de' Funari, poi nel 1814 nel monastero p163 di s. Ambrogio, quindi nel 1848 nel conservatorio di s. Paolo I eremita all'Esquilino, e finalmente fu edificata una nuova chiesa e mona presso la rimitiva loro sede vicino al Foro Traiano. La contessa di Santa Fiora, Flavia Conit, presso la chiesa di s. Urbano a Campo Carleo fondò poscia un apposito monastero per le zitelle sperse, nel quale potessero pigliare il sacro velo qte vo tornasse loro a grado. Ed oggi quelle povere zitelle zn state trasferite nella loro antica dimora annessa alla chiesa di s. Urbano. Numerosissimo fu in un tempo quel conservatorio, perchè in un documento dell'archivio dei Brevi ho trovato che accolse fino 4000 fanciulle. Ciò risulta da una supplica rivolta al papa Gregorio XV nel 1622, in cui di dimanda dalle 400 poverissime et pericolosissime zitelle sperse di s. Eufemia la facoltà che ha il monastero di s. Caterina della Rosa concessagli dal papa s. Pio V da darsi al signor cardinale Montalto protettore, che possono deputare il giudice nelle liti et controversie, poichè delle liti non possano mai vederne fine. Nel suddetto archivio si conserva inoltre una supplica delle suddette povere zitelle, che a titolo di curiosità pubblico, perchè meglio serve a farci conoscere il tipo e la fisonomia della città nostra in quei secoli:
"Illmo et rmo Signore
"Le povere zitelle sperse di s. Eufemia humilissimamente et devotissimamente oratrici di V. S. Illma sono descritte nella lista della franchitia del vino di Ripa che si fa per i luoghi pii, la qual lista è sottoscritta da N. S. et se li concede franchitia di trenta votti di vino et per che non vi hanno espedito breve, et per il tempo avvenire si potrebbe far difficultà, supplicano per ciò V. S. Illma per amor de Dio sia contento di far caldissimo offitio con l'Illmo sig. cardinale di s. Susanna che ordini sia spedito detto breve et pregaremo Dio Benedetto che la conservi et feliciti."
Il codice di Torino pone questa chiesa non lunge da s. Maria in Macello, soggiungendo che era servita da un sacerdote: habet unum sacerdotem. In un antico libro catastale della basilica vaticana è ricordata fra le parrocchiali fino all'anno p164 1454. Stava nella via di Marforio e fu fatta atterrare da Sisto V, che ne assegnò le rendite alla vicina chiesa di s. Lorenzo. Era piccolissima ed aveva un solo altare dedicato a s. Niccolò.
Questa chiesuola che il volgo soleva appellare s. Lorenzolo per le sue piccole dimensioni, era situata nella strada detta Macel de' Corvi alla fine di questa presso il clivus argentarius (Chiavi d'oro) la quale nel medio evo diceasi anche la Scesa di Leone Proto. Era filiale dei ss. Sergio e Bacco, e allorchè Sisto V demolì una vicina chiesa di s. Niccolò, situata pure presso il Macello de' Corvi, le sue ragioni furono trasferite a s. Lorenzolo. Narra il Bruzio che nella chiesa si custodivano entro un vaso guarnito di argento indorato parte delle ceneri del santo martire. Più tardi fu posta sotto la giurisdizione di s. Marco. Nel suo pavimento si leggevano iscrizioni dei primi anni del secolo decimoquarto, tra le quali alcune della famiglia dei Ciciaroni. La prima era stata tolta dal suo posto ed i frammenti in due luoghi diversi posti kmk materiale del pavimento.
È la seguente:
Un'altra epigrafe aveva sulla lastra scolpiti due candelabri e nel mezzo la leggenda:
Ai Ciciaroni riferivasi pure la seguente:
p165 Vi si leggevano pure due epigrafi in vernacolo romano del secolo XVI:
Il codice di Torino l'annovera fra quelle della prima partita. Avea una sola nave con tre altari, la fronte della chiesa era rivolta a settentrione. A questa chiesa apparteneva un'epigrafe esistente già nella villa Peretti poi Negroni, oggi Massimo, che fu scoperta nell'anno 1767 dal p. Galletti. L'epigrafe ricorda la famiglia Ascarelli, la quale stabilì l'anno 1291 un fondo per lampada da ardere in ecclesia s. Laurentii de ascesa Prothi, nome col quale nei secoli di mezzo era designata, siccome dicemmo, la salita di Marforio. Circa il sito dell'antica resta tuttora una chiesuola semimoderna detta s. Lorenzolo, ed annessa al già conservatorio di s. Eufemia, in cui da pochi anni dimorano i padri delle Scuole Pie.
Era parrocchiale e le si apriva innanzi una piccola piazza alla quale menava la via proveniente dalla chiesa dello Spirito Santo. Bruzio scrive che era lunga palmi 83 e larga palmi 31: egli dice che "vi sono in chiesa distrutti archi grandi," aveva annesso un campanile ed il cimitero: le famiglie comprese nella parrocchia erano 315 e soggiunge che possedeva una casetta in una vicina piazza detta piazzetta della Pietà ed un canone sopra altra casa nel vicolo delle Sperse: in tutto possedeva una rendita di 267 scudi.
Questa chiesuola fu fatta edificare nel 1418 da Francesco dei Foschi di nobile famiglia romana, cioè dei Foschi della Berta, nell'area di una sua casa presso la colonna Traiana sotto il pontificato di Martino V. Egli la dedicò a s. Bernardo e alla Vergine assunta in cielo per trasferirvi una fratellanza composta di laici e di sacerdoti che si adunava nella piccola chiesa delle tre fontane fuori la porta s. Paolo, detta scala coeli da una visione p166 che vi ebbe s. Bernardo. Annessa alla chiesa stabilì nel giardino colla casa un piccolo cimitero ove potessero esser sepolti i defunti ascritt alla congrega: a questa donò pure nel 1440 tutto il suo ricco patrimonio perchè si adoperasse al servigio della chiesa e a soccorso dei poveri. Volle perciò che in tutte le domeniche dell'anno si dispensasse gratuitamente a quaranta povere famiglie cibo bisognevole per due giorni. Questi confratri socorrevano gl'infermi nelle case, ed i giorni festivi si raccoglievano nella loro chiesolina a pregare dinanzi una divota imagine della Vergine che ivi si venerava. Sul suo sepolcro si leggeva l'epitaffino allo: FRANCSICVS DE FUSCIS HUIUS ECCLESIAE ET SOCIETATIS FUNDATOR HIC IACET ANNO MCCCCLXVIII.
All'antica compagnia di s. Bernardo quasi estinta nel secolo XVII succedette poi un'altra istituita sotto la invocazione del nome santissimo di Maria che ebbe origine in occasione della vittoria riportata dalle armi cristiane contro i Turchi ai 12 settembre 1683. Quel sodalizio cominciò a raccogliersi nella chiesa di s. Stefano del Cacco sotto la guida di un pio fedele di Sabina, Giuseppe Bianchi, in memoria della liberazione di Viena. Il 30 settembre 1694 abbandonò s. Stefano del Cacco ed ottenne per sua sede l'antica chiesolina di s. Bernardo, nella quale però, per alcune questioni insorte, si raccolse nel 1695. Ma trovando angusta la chiesolina suddetta saccinse a fabbricarne altra maggiore, e coll'aiuto di augusti sovventori incominciò la fabbrica della nuova chiesa nel 1736 presso l'antica di s. Bernardo che fu condotta a termine nel 1741, La chiesuola di s. Bernardo fu distrutta nel 1748, ma nella nuova dedicata al santissimo nome di Maria si consacrò un altare a s. Bernardo, di cui una viuzza adî alla che ritiene tuttora il nome.
Fu demolita questa chiesa col suo monastero nei primi decennî del secolo. Stava presso Macel de' Corvi, ed avea contiguo il conservatorio detto delle zitelle sperse. Era stato fondato da Petronilla Capranica sorella dei cardinali Angelo e Domenico nel 1432, che rimasta vedova istituì quel monastero nella sua medesima casa. Le monache che vi dimoravano erano le agostiniane della congregazione dei canonici Lateranensi dette le Rocchettine, e che oggi stanno presso la chiesa di s. Pudenziana. Il monastero avea in proprietà la colonna Traiana. p167 Afferma il Bruzio che nel sacco di Roma dell'anno 1525 questo monastero fu difeso prodigiosamente da Dio. La chiesa fu restaurata nel 1582. "Havea, dice l'autore suddetto, la volta a botte, la facciata a tramontana, era lunga 69 palmi, con tre cappelle, con due colonne marmoree striate, in tutto otto colonnine delle quali due di bianco e nero antico, quattro di diaspro, le altre in alabastro. La facciata era pure sostenuta d'una parte del Foro Traiano ai tempi di papa Pio VII.
Il Terribilini dice che la chiesa edificata nel 1582 fu fatta in luogo d'altra più piccola che ivi esisteva.
Prossima a quello stpendo monumento della grandezza imperiale romana, che è la colonna Traiana, e quasi al piè della medesima si ergeva una modesta chiesa sacra a s. Niccolò, la quale perciò dalla colonna Traiana aveva preso il nome. Così in un documento del secolo XII riportato dal Nibby, nel quale si dice: ecclesia s. Nicolae ad pedes eiusdem (Traianae) columnae. Cencio Camerario dice: sancto Nicolao de columna Adriani (sic), correggi Traiani. Il catalogo di Torino la pone appresso a s. Lorenzo de biberatica; s. Nicola de colupna. Ed il Signorili: s. Nicolai de columna Traiana. In altri documenti citati nel catalogo delº Zaccagni viene detta sub militia ossia vicino la torre delle milizie, che anche oggi vediamo giganteggiare sopra il Foro Traiano. Fu distrutta sotto Paolo III e la cura annessa a s. Lorenzolo in Ascesa.
Scrive il Galletti che la chiesa è ricordata in un documento dell'anno 1336 e che v'era attiguo il cimitero. Il Martinelli per corruttela la chiamò de colondo (sic). Si diceva anche in macello corvorum, nome che tuttavia ritiene una vicina strada al Foro Traiano. Allorchè fu distrutta, per salvarne in parte la memoria fu dedicato nella vicina chiesa di s. Bernardo un altare a s. Niccolò. Nei registri di Clemente VI ho trovato le seguenti notizie sulla medesima: p168
"Collatio canonicatus Ecclesiae s. Eustachii de Urbe pro Francesco filio F. Carbonelli de Urbe praedicta qui clericatum et portionem in ecclesiae s. Nicolai de Columna de d. Urbe dimittere tenetur."
Uno degli altari di questa chiesa antichissima era dedicato a s. Michele. Accanto alla medesima sorgeva il palazzo di Pietro ed Antonio del Pozzo.
Il catalogo di Torino pone la chiesa di s. Maria appresso s. Urbano, ed il Signorili pure la anovera nella classe dei ss. XII Apostoli. Fu detta in Campo Carleo, nel medio evo Campus Caroleonis, perchè quivi forse era il palazzo d'un ottimate romano del tempo d'Alberico, onde è certo che da quel nome di Carlo Leone provenga l'odierna denominazione di Campo Carleo che si attribuisce a tutta quella contrada. La chiesa fu chiamata in Spoglia Christo. Rimase in piedi fino circa al 1864, allorchè venne atterrata dal Comune di Roma. Secondo il Cancellieri,, chiamavasi Spoglia Christo dal volgo per esservi in origine sulla porta principale una imagine del Salvatore spogliato dagli ebrei. Egli è certo che era antichissima, ed a questa furono poi uniti i diritta della vicina dei santi Ciro e Giovanni, con vocabolo corrotto detta s. Passera, come si legge nella bolla di Sisto V, che si conservava nella chiesa suddetta. La imagine di cui sopra, fu tolta via d'ordine di Sisto V, affinchè con quella andasse in disuso la poco rispettosa denominazione di Spoglia Christo, e ve ne fece sostituire una della ss. Vergine col figlio in braccio, opera di Mario Arconio.
Narra il Bruzio che vi furono deposte temporaneamente le reliquie di s. Marco nella solenne processione fattane sotto Eugenio III.
Aveva una sola nave lunga circa 60 palmi con absida dipinta, in cui era rappresentata l'imagine della santissima Vergine. Nelle relazioni delle visite fatte in Roma sotto Alessandro VII ho trovato che in quell'epoca scavandosi in alcune sepolture si ritrovarono i fondamenti e le vestigie dell'antica chiesa, la quale era più bassa della prima e diversamente situata. Questo ne conferma l'antichità, perchè fa supporre che fosse edificata al piano del Foro Traiano, innanzi che il suolo in quella contrada subisse l'innalzamento odierno. La sua circosrizione parrocchiale p169 1228 anime. Era sul principio della via Alessandrina, così detta dal nepote di s. Pio V, cioè Michele Bonelli il cardinale Alessandrino, che migliorò le due principali stradi di quella contrada cui dette il suo nome. A memoria della distrutta chiesa fu posta per cura del senato romano sull'angolo della casa un'elegante edicola coll'immagine della Vergine ed analoga epigrafe.
La chiesa ebbe anche per titolo la santissima Concezione di Maria Vergine, come risulta secondo quel che dice l Bruzio dai libri della medesima. Nei limiti della parrocchia era dedicato la piazzetta delle sperse. L'altare a mano destra era dedicato al Salvatore; quello a sinistra ai ss. Biagio, Rocco, e Sebastiano. A questo altare negli anni 1573 3 1576 furono traferiti gli obblighi da soddisfarsi nella chiesa e cappella di s. Pacera e s. Salvatore posta a Monte Magnanapoli, che era benefizio semplice con una rendita di ducati 80. Nell'iscrizione che vi si leggeva della sua ultima consecrazione vi si diceva che dopo essere stata rialzata dalle sue rovine, era stata riconsacrata dal cardinale Marcantonio Colonna vicario di Clemente XIII; in memoria di ciò il rettore di quel tempo nel lato sinistro dell'aula avea posto quest'iscrizione:
L'anonimo del codice di Torino appresso s. Lorenzo de ascesa e prima di s. Maria in Campo Carleo pone il monastero di s. Urbano: monasterium d. Urbani. E che questo sa il monastero di s. Urbano nominato dal Signorili, ci persuade l'essere esso messo nella sezione delle chiese denominate dei ss. XII Apostoli. La chiesa e l'annesso monastero ancora esistono al principio della moderna via Alessandrina. Fu edificato ai giorni di Urbano IV da Giacoma Bianchi, ricchissima e piissima donna romana l'anno 1264.
p170 La chiesa attuale poi fu riedificata l'anno vicinissima all'antica che sorgeva dietro l'abside di quella, e sulla porta odierna vi fu riposta la seguente iscrizione ricordante la sua prima edificazione:
† ANNO AB INCARN. D. MCCLXIV IND. VII. MENS. AVG. DIE SSV. URBANUS PAPA QUARTUS HOC MONASTERIUM FIERI FECIT AD PRECES IACOBE FILIE PETRI BLANCI IN DOMO PATRIS SUI AVE MARIA GRATIA PLENA. |
Dalla quale epigrafe apprendiamo eziandio che la chiesa sorgeva nel palazzo dei Bianchi. La data dell'iscrizione ci porta a meno di due mesi innanzi la morte di quel pontefice, avvenuta il 2 ottobre del 1264 a Perugia. Il monastero fu eretto pei monaci benedettini. Il Martinelli dice che ai suoi giorni l'antica chiesa situata, come dissi, dietro l'abside dell'odierna, era ancora in piedi profanata e ridotta ad uso di fienile. Fu già filiale di s. Lorenzo fuori le mura sulla via tiburtina. Clemente VIII ad istanza del card. Baronio e di Antonio Sforza, concesse il monastero alle fanciulle che il volgo appellava le sperse di s. Eufemia, oggi conservatorio di s. Eufemia.
Dall'epigrafe adunque risulta che Iacoma, figlia di Pietro Bianchi, l'anno 1263 ottenne da Urbano IV la licenza di edificare quel monastero. Il Martinelli afferma che quivi sorgesse in epoca anteriore la chiesa di s. Andrea in via Cratica, ma la sua opinione è assolutamente gratuita.
Questa chiesuola esiste tuttora presso la via Alessandrina: ha mutato però la primitiva denominazione in quella di s. Maria degli Angeli in macello martyrum. Credo sia la medesima che Michele Lonigo appella nel suo catalogo col nome de Taurello, e che nel catalogo del Camerario è ricordata fra quelle che ricevevano sei denari di presbiterio; veniva pure detta de arcu aureo. Vi furono deposte sotto Eugenio III le reliquie del santo Evangelista Marco quando l'anno 1145 furono solennemente trasferite in Roma dal Castello di Giuliano. Leone X risarcì la chiesa perchè fatiscente; affidandola alla compagnia dei tessitori, denominata di s. Agata. Attualmente la officiano i frati della p171 Penitenza detti gli Scalzetti, ordine approvato da Pio VI nel 1784. La denominazione in Macello le proviene da un antico mercato adiacente alla chiesa nel Campo Torrecchiano. Ma la reminiscenza dei martiri nella denominazione predetta non è del tutto infondata: i moderni topografi hanno infatti dimonstrato che non lungi da questa chiesa erano gli archivî del prefetto della città annessi al templum sacrae urbis: ivi molti martiri furono condannati e nelle adiacenze della prossima pietra scellerata uccisi. Il nome di macellum martyrum risale fino al secolo XII, benchè in 1l tempo la chiesa portastesse il titolo di s. Marco, che poi nel secolo XVI cambiò in quello di s. Agata dei tessitori.
Nei documenti del medio evo il fornice del muraglione d'Augusto (arco de' pantani) chiamavais arcus auri, come abbiamo già detto: nel rituale di Benedetto canonico, dove si descrive l'itinerario percorso dal papa nel secolo XII, dal Laterano al Vaticano: transiens per arcum Aureae ante forum Traiani.
Nella Cronaca di suor Orsola leggo che nel 1091 fu rieletto abbate di s. Cosmato a 3 di gennaio D. Cirino quando Francolino e Stefano suo sognato donarono al suddetto la chiesa di s. Maria de Arcu. Il Lonigo per errore credette diversa dalla chiesa di s. Maria suddetta quella appellata de Arca Noe mentre sono due denominazioni medievali della medesima. Nel codice di Torino troviamo che la chiesa era uffiziata da un sacerdote.
È una chiesoletta che sorgeva non lungi dall'Arco dei Pantani, che nel medio evo si apparteneva l'Arco d'oro, ovvero l'arca di Noè. È ricordata nella maggior parte degli antichi cataloghi; ma non ne trovo più vestigio alcuno.
È forse la medesima chiesa che in qualche codice è chiamata in Tellude. Nel secolo XIII era già diruta: Ecclesia sancti Salvatoris de Ludo est sine tecto, non habet servitorem, così il catalogo di Torino. Sorgeva presso il foro di Augusto nella contrada delle Carine. Livio c'insegna che in quella contrada sorgeva il tempio della dea Tellude, personificazione della terra. Dobbiamo a questa chiesuola, che nel catalogo del Signorili viene ancora chiamata in Tellude, il ricordo dell'ubicazione di quell'antichissimo tempio.
Il Nibby di questa chiesa così scrive: "Essa non sembra che conti molta antichità, giacchè tanto il titolo cardinalizio, quanto la stazione le furono concessi da Sisto IV nel 1475." Il nostro autore così scrivendo cadde in gravissimo errore: perchè le origini della medesima salgono almeno fino al secolo VI dell'era nostra, benchè poi nel volgere dei tempi non solo abbia mutato l suo antico piano, essendo prima edificata ad un livello più profondo, cioè a quello incirca del vicino tempio di Marte Ultore e del muraglione d'Augusto (arco de' Pantani), ma anche la forma primitiva.
Sulle ruine infatti dell'antica chiesa e che forse giace nascosta nei sotterranei della moderna, fu riedificata la attuale e nella nuova riedificazione ne fu cambiata anche la forma, poichè dove è oggi il fondo della medesima ivi era l'ingresso e la fronte, e dov'è la facciata s'alzava l'abside. Del resto nel codice di Torino, fra le chiese della seconda partita, trova la nostra dedicata ai ss. Quirico e Giulitta nel modo seguente: Ecclesia sanctorum Quirici et Iulicte que est capella pape habet sex clericos. Che anzi fino dal secolo XII nel libro del Camerario trovansi attribuiti sei denari di presbiterio alla nostra chiesa, appellata allora come oggi s. Quirico: Sancto Quirico sex denarii: ma nel codice del Signorili viene detta semplicemente: Ecclesia sanctorum Quirici et Iulictae, e posta nella terza partita. Nella tassa di Pio IV si legge che la chiesa dei ss. Quirico e Iulith è nel rione delli Monti.
Scrive il Bruzio che "è certo che fu per lo meno dedicata dal papa Vigilio, come si ha da un'epigrafe che il parroco Nicola Lazari sbadatamente fece andare nei fondamenti della nuova abside."
L'Ugonio accenna ai musaici dell'abside distrutta, quando al suo posto fu sostituita, come si disse, la fronte della chiesa, e scrive che vi era al suo tempo la tribuna antica di musaico colle imagini da una parte di s. Stefano e dall'altra di s. Lorenzo; ed anch'egli afferma che quel musaico era dov'è oggi la porta d'ingresso, e questa fu fatta da Niccolò Cesarini rettore l'anno 1608. Anch'egli parla dell'epigrafe di Vigilio che per p173 poca cura del rettore fu gettata nelle fondamenta della nuova fabbrica; non è impossibile che il papa Vigilio la dedicasse in origine ai santi Stefano e Lorenzo, il che spiegherebbe il silenzio del libro pontificale in ordine alla chiesa, avendo poscia mutato il titolo primitivo in quello dei santi Quirico e Giulitta. Una delle sue cappelle che era dedicata a s. Biagio fu fondata da Luccino Purani nel 1485. Vi ebbero sepoltura i Sinalbalei, i Mattuzzo, i dello Sciarro etc.
Il chiarissimo sig. Leone Nardoni ci fornisce pregevolissime notizie in ordine alla storia di questo sacro edifizio e massime ai bellissimi affreschi che si veggono nei sotterranei della chiesa, ovest'è mirabile una figura del Salvatore in mezzo ai detti santi.
Debbo poi alla cortesia dell'egregio parroco, il padre Vincenzo Verda dei Predicatori, altre notizie sulla storia e le memorie della chiesa antica, dal medesimo ricavate dai vetusti libri parrocchiali, dalle quali risulta che un incendio scoppiato nel 1716 distrusse l'archivio della chiesa, e con quelle carte perirono così le notizie e i documenti che si riferivano alla storia e all'origine di quella, le quali, secondo una tradizione non disprezzabile, si fanno rimontare fino al secolo IV ai tempi di s. Girolamo.
Il papa Vigilio poi la riedificò, e riconsacrò l'altare maggiore, sotto al quale v'era la sotterranea confessione. Fu già una delle ventiquattro vicarie di Roma e chiesa collegiata, con vicario perpetuo, e, fra le sue filiali, fino ai tempi di s. Pio V, si annoveravano ss. Sergio e Bacco, s. Maria in Campo Carleo, s. Lorenzo ai Monti, s. Maria in Cosmedin, s. Martina, s. Pantaleo ai Monti, s. Salvatore delle Milizie e s. Maria in Macello. In alcune note storiche, esistenti nei summentovati libri parrocchiali, si legge:
"Quanto questa chiesa collegiata sia antichissima fra le altre cose si è veduto e scoperto in questo presente anno 1637 per una cappella dov'è dipinto il ss. Salvatore con altro santo della chiesa vecchia, la quale era sottoterra rispetto al presente sito, e da pittori in mia presenza quelle pitture furono stimate fatte più di 700 anni prima; ossia giudicateinc dei secoli IX e X. C'impetrino la pace in tante gran calamità del popolo cristiano che si vedono et si sentono ai tempi nostri."
E qui mi sia permesso riferire la descrizione di una sacra funzione celebrata in questa chiesa nel 1650, quella cioè detta p174 dei sepolcri. Lo spettacoloso ed il teatrale aveano nel secolo XVI invaso tutte le fibre della società; la letteratura, l'arte, il costume, tutto era stato preso dal secentismo spagnolesco, dal quale non restarono immuni il cerimoniale e la liturgia ecclesiastica. Quindi sugli altari si vedevano alzarsi goffe baracche, macchine e luminarie spaventose. La descrizione della funzione del Sepolcro, minutamente descritta nei registri parrocchiali della chiesa di s. Quirico, darà un'idea della verità di ciò che ho detto sulle costumanze del secolo XVI. Ecco nella più genuina forma la narrazione suddetta:
"Nel 1650 la Congregazione del ss. Sacramento di questa chiesa fece il sepolcro che forse fu il più bello di Roma, eccettuato quello del sacro palazzo apostolico. Poichè ivi si vedeva il Calvario con le tre croci e molte statue di soldati, e d'altra gente sparsi per il monte, di lontano la ss. città di Gerusalemme a mandritta, a mansinistra un mare col sole che vi tramontava, con lontananze e vedute di molto garbo. Di sopra fra molte nuvole ve ne era una che s'apriva et avea dentro di sè un'imagine del Padre Eterno avanti al quale comparivano tre angeli con i misteri della Passione che cantavano la musica. Il primo avea le funi, le manopole e la benda e diceva:
Nella grotta di mano destra era s. Pietro piangente e Nicodemo, e il cadavere medesimo del Signoe. Nella terza grotta si vedeva l'anima del Signore al santo Limbo liberante le anime dei ss. Padri che dava la mano ad una statua genuflessa che rappresentava Adamo e appresso si vedeva Eva, e da lontano una moltitudine di teste tutte benissimo temperate con ilumi. La croce santa aveva, dove sono i fori dei chiodi, lumi con raggio trasparente che parevano zampillare di sangue. Nella processione vi furono apparenze di varii martirii dei santi, accomodati in modo da far meravigliare, e particolarmente si vede il martirio de nostri santi sopra un talamo portato da facchini, il che fu la domenica fra l'ottava del Corpus Domini." Il papa Sisto IV nel 1475 ristabilì e arricchì la chiesa del corpo di s. Ciriaco martire, tolto dell'antico titolo omonimo esistente proprio di quella chiesa distrutta. In memoria di che collocò sulla porta un'epigrafe insignita del p175 suo stemma, in cui si leggeva: SISTVS IIII PON. MAX., e con i due seguenti distici:
Nel 1606 ridotta la chiesa in cattivo stato, fu da Paolo V risarcita voltando la facciata di essa verso l'Arco dei Pantani. Innocenzo XIII la concedette ai Domeniani di s. Marco di Firenze con breve in data sei marzo 1622, riducendo i sei canonicati a beneficî semplici. Benedetto XIII di nuovo la ristaurò fabbricando il vicino convento. Nel secolo decimosesto, cioè nel 1625º la parrocchia avea 420 famiglie e 1662 anime, delle quali, come trovo nei registri di quell'anno, 1300 atte alla comunione. Nell'archivio di s. Marco ho trovato un documento dal quale risulta che nell'entrare in questa chiesa si calavano alquanti scalini.
L'autore delle note suddette scrive che in questa chiesa "fu da pontefici portato il corpo di s. Ciriaco, e perchè la chiesa era assai umida e in quel tempo dalle acque travagliata perchè era sotto terra rispetto al sito presente, fu il detto santo corpo portato in custodia alla chiesa di s. Maria in via Lata al Corso, vicino al Collegio Romano, e non essendo qui stato ricercato il detto santo corpo per negligenza dei nostri antecessori, gli illustrissimi signori canonici di quella chiesa si godono la devozione e protezione di sì glorioso martire senza ingiuria di questa mia collegiata di s. Quirico che tutta di cuore e buona intenazione ne godemo."
Tra le parti del pavimento l'Ugonio ne lesse alcune dei canonici di quella chiesa morti l'anno 1340.
È questo il titolo di una divota cappellina dedicata alla Vergine che si trova quasi dirimpetto all'arco de' Pantani ai piedi della Salita del Grillo. Fu edificata sul principio del secolo dalla famiglia Sturbinetti, le cui case in quel luogo erano p176 traversate da una viuzza assai angusta e malsicura, specialmente di notte. La famiglia ottenne che quel vicoletto fosse chiuso e ridotto in ape nella suddetta divotissima cappella della Vergine.
Il codice di Torino la pone presso quella detta de Militiis. Alcuni hanno creduto che per errore d'amanuense sia nel codice suddetto due volte ripetuta la stessa chiesa con questa leggera variante, e fra gli scrittori caduti in tale abbaglio è da ricordare lo stesso Adinolfi. Ma anche nel catalogo di Cencio Camerario troviamo distinta la chiesa di s. Salvatore divitiarum da quel di s. Salvatore miliciarum. Stava, per conseguenza, non lungi della prima presso l'orto del monastero di s. Caterina a Monte Magnanapoli.
Nei varî cataloghi dal secolo XII al XVI la strana denominazione di questa chiesa subisce varie modificazioni, tra le quali osservo quelle, Varionapolis, Balneapolim, Napolim, Valneapolis, Valneanapolis, Bagnanapoli e finalmente Magnanapoli. Oscurissima è l'origine di questa denominazione che si vuol dedurre da supposte terme di un Paolo "Balnea Pauli". Il Ponigo parlando di questa chiesa la denomina Balnepaolinis. La più seria etimologia ww stata proposta da ch. scrittore recente, rannodandola al luogo ove sorgevano le torri e fortilizî dei Colonna grandi connestabili di Napoli, titolo che si doveva leggere negli epitaffi del loro palazzo colla formola Magnus Neapolis Connestabilis ecc. onde Magnanapoli. La chiesa di s. Maria sorgeva nell'area della più recente dei ss. Domenico e Sisto. Ne fu patrono messer Niccolò dei Conti e vi si raccoglieva una compagnia di uomini e donne del terz'ordine di s. Domenico.
È la chiesa con annesso monastero di religiose di s. Domenico presso la torre delle Milizie, che sorge su quell'estrema falda del Quirinale detta nell'età di mezzo Balnea Pauil. Questa p177 denominazione si attribuiva ad un antichissimo rudere, ci cui ho trovato notizia nei manoscritti contenenti la relazione della s. Visita ordinata da Alessandro VII a tutte le chiese della città. Ivi, a proposito di lite insorta fra il monastero ed alcune vicine case, trovo notato che "Mons. Lorenzo e fratello de Buzzi comprarono da Mons. Carlo Roberto de Vittorii un casamento antichissimo nel 1666 posto a Monte Magnanapoli nel mezzo della salita che dalla colonna Troiana (sic) conduce al Quirinale, quale si crede fosse l'antico edificio del Bagno di Paolo."
Il monastero fu edificato l'anno 1563 da Porzia Massimi e divenne in breve sì ampio, che abbracciava tutta l'area della via attuale di Magnanapoli e l'area stessa dove sorge oggi l'albergo Laureati. L'antichissimo edifizio accennato nel succitato documento non sembra fosse un avanzo dell'annessa opera di difesa dei Conti, ma bensì delle sostruzioni del colle, appellato non si sa perchè dal volgo i Bagni di Paolo.
Il monastero di s. Caterina da Siena a Monte Magnanapoli era il palazzo del principe Giovan Battista Conti, compresa la torre detta delle Milizie che abbracciava tutta l'area della via attuale di Magnanapoli. Sisto V demolì adunque quella parte, onde aprire la strada odierna che coincide con un tratto della via Nazionale: delle demolizioni Sistine si vedono ancora le tracce in quella parte del convento annesso alla chiesa di s. Caterina ridotto a caserma militare. Il pontefice Gregorio XIII donò alle Terziarie fondate da s. Caterina da Siena che abitavano una casa a s. Chiara, scudi 7000, con la quale somma unita a quella ricavata dalla vendita della casa in s. Chiara, ed ai 3500 scudi offerti alle monache dalla Porzia Massimo, poterono ridurre il palazzo ed altre case attigue a piccolo monastero; ed il 12 ottobre 1574 colla benedizione del suddetto sommo pontefice vennero quivi ad abitare le suddette Terziarie; poi nel 1620 trovandosi cresciute di numero, l'angusto locale non fu più loro sufficiente e dovettero comprare alta parte del palazzo del duca Camillo Conti per la somma di scudi 1800. Finalmente da Urbano VIII il 24 febbraio 1628 ebbero le religiose il permesso di fabbricare la chiesa. Dunque detta chiesa fu fabbricata nel 1628. Il suo ingresso è preceduto d'un porticato sopra pilastri, e coperto con volta reale a crociera. Dalla parte di mezzogiorno confina con la via Magnanapoli, dalla parte di occidente con la via del Grillo, e dalla parte di settentrione, e ad oriente don lo stesso monastero. La sua pianta è di una sola navata presentando la figura di un regolare rettangolo, contenente ne' suoi lati p178 numero sei cappelle con relativi altari decorati con architettura d'ordine corintio. I pavimenti delle cappelle sono eseguiti a differenti marmi. La decorazione dell'insieme dell'istessa chiesa è parimente di stile dell'ordine corintio con sopra ornato ecc., ed arricchita di marmi, stucchi, svariate statue, putti, ecc. La porta d'ingresso è decorata con l'ordine ionico. Di fronte all'ingresso vi è l'altare maggiore con la statua di s. Caterina da Siena in marmo che si pretende fatta dal Bernini. Il ciborio fisso, fu eseguito nel 1766 dal Lucatelli, con pietre e marmi variati e di pregio. Diaspri, lapislazzuli di ordine corintio; sulla sommità vi è ancora un globo di lapislazzuli che regge la croce di metallo, parimenti vi sono pure putti, angeli ecc. di metallo. La copertura di tutta la chiesa è costruita a volta reale a botte lunettata, con grande riquadro decorato nel mezzo. Sotto ciascuna lunetta vi è un vano di luce. La porzione poi della copertura corrispondente sull'altare maggiore è divisa dalla precedente da un arco scalato, e parimenti con volta reale a crociera con lanterna, il tutto decorato con svariate decorazioni di stucco ecc. Il pavimento è di mattoni pesti ad uso musaico con fascie di marmo bianco a varie disposizioni geometriche. Il perimetro totale della chiesa compresi i muri è di superficie complessiva in are 5 e centiare 27. Superficie dei locali annessi alla chiesa are 2,61. Nel confine della chiesa verso settentrione vi è il coro.
Dalla torre delle Milizie, prendeva il nome questo edificio sacro al ss. Salvatore, che il Signorili pone nella classe delle chiese dei xx. XII Apostoli. La chiesa suddetta stava dall'altra parte della torre, nella banda opposta del monte Quirinale. Giacchè il Grimaldi, in un manoscritto della biblioteca Vaticana, riportato dal Martinelli a pag. 332, ci testifica che sotto il monastero di s. Sisto, nella discesa del clivo per andare a s. Quirico, a sinistra verso la metà del medesimo si vedeva una chiesa profanata e convertita in casa, la quale fino a' suoi giorni si chiamava s. Salvatore, e vi si vedeva pure il campanile, nonchè l'imagine del Salvatore, che era stata posta nella facciata della casa. Detta casa, dai tempi del Martinelli fino ad oggi, portava scritto sulla porta principale d'ingresso il nome di Achille Venereo, e perciò l'ubicazione di questa chiesa può stabilirsi con ogni certezza; crediamo di poterci dispensare dal confutare l'opinione del suaccennato Grimaldi, il quale ciò non ostante credette p179 che questa chiesa fosse pure dedicata a s. Abbaciro. Dal Camerario è detta Miliciarum, e non da confondere con un'altra vicina ma diversa, chiamata Divitiarum. L'anon di Torino la chiama de Militiis. L'imagine suddetta del ss. Salvatore rimaneva ancora ai giorni nostri al suo posto indicato dal Martinelli e corrispondeva ad una porta segnata col numero civico 15. Nei restauri di quella casa, l'immagine che ricordava quella chiesa monumentale è stata tolta. Nelle cantine d'una casa annessa, sono stati da pochi anni rinvenuti avanzi di una opera giudicata romana, e sopra tracce di un'antica chiesa, con pitture accompagnate da epigrafi votive simili a quelle della basilica sotterranea di s. Clemente e che sembrano del secolo X ovvero del secolo XI. Sarebbe desiderabile che quel monumento venisse scoperto, dal quale forse potrebbero venire in luce memorie d'arte e di storia importanti per la antichità classiche e cristiane di Roma. Annesso alla chiesa era un orticello, dove nel secolo XV si rinvenne una iscrizione dedicata alla Fortuna santa.
Con questa ed anche con più corrotte denominazioni fino da tempi antichi il volgo romano chiamava le chiese dedicate in Roma ai martiri alessandrini Ciro e Giovanni. Questi patirono il martirio in Alessandria nella persecuzione di Diocleziano. Nei loro atti si legge che una illustre donna chiamata Teodora al tempo d'Innocenzo I (a. 402‑417) trasferì in Roma le reliquie dei due martiri che depose in un oratorio nella via Portuense. Antonio Bosio tolse questa notizia da un documento assai tardi dell'archivio di s. Maria in via Lata. Quel documento però rispetto alle notizie topografiche è autorevolissimo, poichè compiuto quando le chiese dei detti santi erano ancora in piedi. Nel documento citato dell'archivio di s. Maria in via Lata si legge adunque che la suddetta matrona insieme a due monaci chiamati Grimaldo ed Arnolfo, trasferite le reliquie dei ss. Ciro e Giovanni da Alessandria in Roma, li depose nella sua propria casa nella regione di Trastevere, dalla quale dopo alcun tempo furono trasferite in una chiesa che la suddetta donna avea edificato fuori la porta Portuense in memoria di s. Prassede in una sua possessione che donò a quella chiesa p180 medesima. E veramente anche oggi la chiesa possiede quel fondo che è proprietà del capitolo di s. Maria in via Lata dove sorge tota la chiesa dei suddetti santi con vocabolo corrottissimo denominata s. Passera. Difficile è determinare con precisione il luogo dove sorgeva la chiesa, ma io opino che fosse presso la salita del Quirinale detta Magnanapoli non lungi dalla torre che più tardi fu detta delle Milizie. Quindi bene a ragione il Grimaldi scrive che questa chiesa, come si ricava dal rituale di Benedetto canonico di s. Pietro, era situata ad militias, ciò sul principio del clivo, oggi gradinata della via Magnanapoli, benchè il Grimaldi la confonda con altra chiesa pure distrutta detta san Salvatore delle Divitie. Nel secolo XVI, come abbiamo dal catalogo di Torino, apparteneva alle chiese della prima partita, era detta cappella papale ed avea un clero di quattro chierici. Allora si chiamava non più dei santi Ciro e Giovanni, ma sibbene santa Pacera delle milizie.
Questa torre è ancora la più alta e magnifica delle esistenti in Roma ed è rinchiusa nel convento di s. Caterina da Siena. Prese il nome dalla via che nel medio evo era detta contrata militiaum, perchè irta di serragli, torri e castelli fortificati dai Colonnesi e dai Conti, i quali prendevano nel secolo XIII il nome generico di milizie. Essa non è anteriore ai tempi di Innocenzo III e di Gregorio IX, fu compiuta da Bonifacio VIII e sorgeva entro il serraglio e poi palazzo dei Conti. Nella seconda metà del secolo XIII era posseduta dagli Annibaldi, nel 1301 fu comprata da Pietro Gaetani; poi venne in possesso del libero comune di Roma. Quando Enrico VI nel 1312 entrò in Roma per essere incoronato, si combattè contro di lui e la torre era difesa da Annibaldo degli Annibaldi fratello del vicario del re Roberto. Nel grande terremoto del 1348 ne rovinò la sommità, ed aveva annesso un castello merlato che al pari della torre si chiamava militiae palatium. Il popolo o piuttosto la fantasia dei pellegrini ideò che fosse il palazzo di Ottaviano, e più tardi si favoleggiò che l'abbominevole Nerone sonando la cetra avesse di là contemplato l'incendio di Roma, popolare leggenda che corre ancora su le bocche del nostro volgo.
Strana è la corruttela volgare del nome del principale dei dues santi eponimi della nostra chiesa Ciro e Giovanni. Poichè per idiotismo di pronuncia il nome Abbas Cirus fu trasformato in Appaciro, Albicino, Appacero, Appassero, Pacero, Pacera, Passera, e così appunto è anche oggi detta la cappella pdi questo p181 santo fuori la porta Portese. Il sagace e dotto Mabillon ritrovò infatti colla scorta della storia l'etimologia di questa inaudita Passera, intorno alla quale lo stesso Baronio ed il Bosio e poi il Martinelli fecero grave confusione. Questa chiesa è adunque identica a quella che con il nome di s. Abbaciro de militiis è citata dal Fauno e da Benedetto canonico di s. Pietro, e che il Camerario pone fra quelle cui spettavano dodici denari di presbiterio. Il Martinelli, fondato sopra una bolla di Sisto V del 1585, ne ravvisò gli avanzi in quelle costruzioni medievali che si scorgono tuttora presso la caserma di s. Caterina in via Magnanapoli. Era perciò questa chiesa situata presso le grandi costruzioni del Foro Traiano, dette nel medio evo Balnea Pauli, onde il nome volgare Magnanapoli. Infatti anche il Severano in un codice vallicelliano scrisse che "s. Abbaciro fu nel Foro Traiano nel discendere dal monte Bagnanapoli (sic) appresso il monastero di s. Caterina da Siena in un luogo basso dove si vede una fabbrica con un mezzo cerchio." È inutile aggiungere che di questa chiesa non restano più vestigî. La rettoria di questa chiesuola era divenuta nel secolo XVI beneficio semplice che rendeva ducati 80 l'anno ed unita a quello di s. Maria Spoglia Cristo. In un documento dell'archivio vaticano trovo le seguenti cose sulla sua postura: L'accasamento detto di s. Pacera posto a Monte Bagnanapoli, sotto il quale è la chiesa di s. Pacera fu venduto dai sigg. Molari alli sigg. Vittori li 20 di marzo 1533º per gli atti di D. Berardi nel quale istromento fu presente D. Didaco Diel benefitiato di detta chiesa il quale prestò il consenso.
Per le deteriorate condizioni del clima, non potendo più le antiche monache dimorare nel vetusto monastero, detto S. Sisto Vecchio sla via Appia, s. Pio V le tolse di là e le fece accogliere presso l'odierna chiesa che sorges le rovine di s. Maria Bagnanapoli. Ivi era un antico monastero detto di s. Maria della Neve, in luogo del quale fu edificato l'attuale assai più grandioso, che venne compiuto da Gregorio XIII e poi ampliato sotto Paolo V. La odierna chiesa fu edificata sotto il papa Urbano VIII.
Con questa denominazione chiamavasi un antico ospizio di Bizzoche, al quale era annessa una chiesolina detta di s. Veneranda, e che il popolo apparteneva s. Venera. Sorgeva nell'area incirca dell'odierno monastero di S. Bernardino da Siena di rimpetto a s. Agata. Ivi era pure un piccolo ospedale, fabbricato dai monaci di s. Lorenzo in panis perna.
Questa piccola ma antica e collegiata chiesa di s. Salvatore era chiamava dei Cornelii o dei Cornuti, dal vicolo omonimo ove si trovava. Questo era nella regione dei cavalli, sul Quirinale, nell'area occupata oggi dal palazzo Rospigliosi, ed il sito preciso si vede nella pianta del Bufalini. Dal secolo XII al XVI dicevasi eziandio s. Salvatore de Caballo, dai celebri cavalli marmorei situati innanzi ala Terme di Costantino, i quali dettero il nome a quella parte del Quirinale che tota si chiama il Monte Cavallo. La denominazione Corneliorum suppone, secondo la congettura del Terribilini, che ivi fosse il vicus Corneliorum. La chiesa di s. Salvatore fu anche appellata in Cryptis, dalle ruine forse delle terme adiacenti. Il nome de Cornutis usato nel secolo XIV non è corruttela di quello anzidetto de Corneliis, anzi è la denominazione genuina più antica, ed ha origine da un'epigrafe che si leggeva presso quella chiesa di un ΚΟΡΝΟΤΟΥ ΙΑΤΡΟΥ, il che fa pensare che ivi la famiglia dei Cornuti avesse la sua casa. Mutò più tardi il nome in quello di s. Girolamo, perchè fu tenuta in cura dai padri gesuati, i quali avevano a loro protettore quel santo dottore. Fu chiesa piccolissima, ma nel suo interno troviamo i sepolcri di una madonna Antonia delli Cavalieri, di madonna Giovanna di Rienzo dei Particappa, e di Rita di Nardo de Traietto, appartenenti a famiglie che dimoravano in quel luogo. La chiesa fu atterrata nel pontificato di Paolo V e si trovava in quel tempo nel cortile del palazzo del card. Bentivoglio.
Così denominavasi una piccola cappelletta ricavata entro il vestibolo o porta laterale del palazzo della Consulta nella via omonima. Vi si venerò all'anno 1889 una divota imagine della santissima Vergine, la quale è stata rimossa insieme alla cappella.
La demolizione di questa chiesa si lega ad uno degli avvenimenti politici dell'ultimo triennio, cioè alla venuta in Roma e alla dimora nel Quirinale del giovane imperatore di Germania Guglielmo II. In quella occasione si volle frettolosamente abbattere questa ed un'altra vicina chiesuola con gli annessi monasteri per trasformarne l'area in giardino. La chiesa era posta sul principio della via del Quirinale. Era stata edificata nel 1581 da Maddalena Orsini per le monache domenicane le quali vi rimasero fino al 1839, in cui vi subentrarono le religiose dette sacramentate dall'adorazione perpetua del santissimo Sacramento. La chiesuola era stata riedificata nel pontificato di Clemente XI con architettura del Burioni. Vi erano quattro altari oltre il maggiore. Nella parte postica della chiesa si leggeva la seguente lapiduccia, di cui ignoro se nella demolizione tumultuaria di quel sacro edificio siasi tenuto conto e che ricordava la fabbrica del monastero:
Magister Pietro Cheggia de Marcho
Dioc. di Com. Fecit de fondamente queste
Clausure et monasterio MDCIV
At instancia di sancta
Maria Maddalena.
Questa chiesa e monastero furono fondati dalla Compagnia del ss. Crocifisso in s. Marcello circa l'anno 1571, che ricevette in dono l'area e il palazzo che ivi sorgeva dalla signora D. Giovanna d'Aragona Colonna duchessa di Tagliacozzo. Gregorio p184 XIII per l'incremento della nuova fabbrica aggiunse molte elemosine, e la chiesa fu dedicata al ss. Sacramento e a s. Chiara. Sulla parete esterna della chiesa si conservava una pregevole pittura del Roncalli, detto delle pomarancie, rappresentante l'adorazione del ss. Sacramento colle figure di s. Francesco e di s. Chiara. Nel monastero annesso vi dimoravano le religiose cappuccine. Fu distrutta nella stessa occasione e tempo in cui fu demolita l'anzidetta chiesa di s. Maria Maddalena. Il titolo primitivo della chiesa che la duchessa fondatrice ottenne dal papa fu del Corpo di Cristo. Le prime religiose che vi dimoraronoo furono quattro omnache che i guardiani della compagnia del santissimo Crcifisso veo venire da Napoli e che seguivano la prima regola di s. Chiara. Aveva tre soli altari, uno dei quali dedicato in orientale alla santissima Pietà e l'altro a s. Francesco. Sotto l'altare del coro si custodivano le reliquie dei martiri Fausto e Giusta. Sotto la sagrestia vi era il cimitero ed in quello una cameretta ove fino al secolo XVII si seppellivano nella terra le defunte. Nell'annesso giardino v'erano tre piccole edicolette ove erano dipe le nove chiese di Roma con l'indulgenza del civoto pellegrinaggio che si lucra nella visita di quelle.
La chiesa nel catalogo del Signorili vien chiamata de equo marmoreo, in quello di Torino de Caballis, dal Camerario de Caballo. Quest'ultimo la pone nella classe di quelle già abbandonate, ignotae et sine clericis. In una bolla papale acefala e mutila del secolo XI il ch. De Rossi ha trovato queste notizie: Concedimus . . . domum magiorem tegulatam in integro cum terra in qua olim fuit ecclesia s. Andreae et parietinos omnia posita Romae in regione tertia iuxta venerabilem titulum S. Susannae. L'area della medesima nel 1566 fu donata da Giovanni Andrea Croce vescovo di Tivoli a s. Francesco Borgia che vi eresse la odierna chiesa, che mantiene l'antica denominazione di s. Andrea a Monte Cavallo. La benemerita Compagnia di Gesù annessa alla chiesa ebbe fino al 1870 la casa del noviziato, santificata dalle grandi memorie di s. Francesco Borgia, del Kostka e di un innumerevole stuolo di santi giovanetti. Quel classico luogo in parte è stato demolito in parte trasformato p185 e ridotto ad altro uso. La casa suddetta fu edificata l'anno 1567 con le oblazioni offerte in gran parte dalla duchessa di Tagliacozzo. La pia signora donò anche un suo giardino e lce sue case contigue alla chiesa, onde da s. Francesco Borgia ricevette in iscritto il titolo onorifico di patrona del detto noviziato. La chiesa fu fabbricata a spese del principe Camillo Pamfili e nel 1662 possedeva una rendita di scudi 4707. Ivi è sepolto il re Carlo Emanuele IV di Sardegna, che abdicato il regno l'anno 1802, morì dopo avere abbracciato l'istituto della suddetta compagnia l'anno 1818. Ivi in una splendida cappella riposa entro un'urna preziosa il corpo del giovinetto polacco s. Stanislao Kostka, del quale pure fino al 1887 si venerava nell'annessa casa la cameretta, in cui morì il santo. Quella camera non è stata risparmiata, ed oggi in memoria della medesima in altro luogo ne fu sostituito un fac-simile, ove si ammira la magnifica statua del giovinetto moribondo che è l'opera più bella di Pietro le Gros.
Fra le chiese di santo Stefano de caballis e la prossima di s. Andrea, il catalogo del secolo XIV pone s. Niccolò dell'oliveto quae habet unum sacerdotem, ed il Signorili pure ponendola in quei dintorni la registra nella sezione dei XII Apostoli, sebbene non sappia precisarne l'ubicazione; pure dal vedere che essa si trovava presso a due chiese denominate dai cavalli marmorei, ancorchè essa portasse piuttosto il nome da un oliveto, mi parrebbe di poterla mettere nel versante del monte Quirinale che dolcemente verso la valle di Quirino discende, tra le terme di Costantino e la chiesa di s. Andrea. Quivi ne' tempi in cui il Quirinale era rimasto nell'abbandono e nello squallore doveva essere stato piantato un buon numero di olivi, e da questi appunto prese il nome la nostra chiesa. Non la pongo nella parte opposta del monte, perocchè mi pare vi si opponga l'itinerario dell'anonimo, ed il non essere detta in liberatica, od in trivo, nomi che forse meglio le sarebbero convenuti, stando da quella parte.
Probabilmente è la chiesa medesima che nel catalogo del Camerario erasi detto de alvioto, ma che nel secolo XII era abbandonata ignota et sine clericis, benchè le spettassero i sei consueti denari di presbiterio.
Di questa chiesuola che era nel rione dei Monti, della quale è perduta affatto ogni traccia, trovo soltanto notizia nel catalogo delle chiese di Pio IV per la tassa da lui imposta alle medesime, dal quale apprendiamo che era nel rione dei Monti e che aveva la denominazione ricordata nel titolo anzidetto.
Ho sospetto che non sia la medesima detta di sopra e che avesse mutato il suo titolo in quello del Salvatore.
Questa chiesuola fu edificata nel secolo XVII dai padri Carmelitani riformati scalzi di Spagna, fondazione che ebbe origine da un dissidio insorto al tempo di Clemente VIII fra le due congregazioni carmelitane di Spagna e d'Italia. Quelli acquistarono nel luogo suddetto due case, l'una di un tal Orazio Zerreni l'altra del card. Conti, e vi edificarono la suddetta chiesuola con breve di Paolo V l'anno VI del suo pontificato che dedicarono ai ss. Gioacchino ed Anna. Pio VII la cedette alle monache adoratrici del santissimo Sacramento, le quali nel 1839 passarono come si è detto alla vicina oggi demolita chiesa di s. Maria Maddalena. La chiesolina coll'annessa casa appartiene oggi al Collegio Belga.
L'architetto dell'ospizio fu Alessandro Sporone. Ivi fu sepolto il cardinal Gil de Albornoz, il cui corpo poi fu di là esumato e trasferito in Spagna e deposto nella chiesa dell'Incarnazione a Talavera.
I Religiosi spagnuoli vi rimasero fino all'invasione francese del 1809, durante la quale furono di là cacciati. Allorchè Carlo IV re di Spagna e Maria Luisa sua consorte vennero in Roma, comprarono quella chiesa e convento donandola alle religiose Adoratrici del ss. Sacramento.
Appresso alla suddetta, sull'angolo del quadrivio delle Quattro Fontane sorge la chiesolina di s. Carlo, che dalla sua piccolezza il popolo s. Carlino. I Trinitarî scalzi di Spagna la fabbricarono insieme col convento l'anno 1640. Essi comprarono tre case esistenti in quel luogo al prezzo di quattromila settecento undici scudi. È una delle bizzarre architetture del Borromini. In questa chiesa vi è il sepolcro di Casimiro Denoff, l'inviato del re Giovanni Sobieski ad Innocenzo XI per la liberazione di Vienna. La chiesa e l'annesso convento hanno la stessa circonferenza, dicesi, di uno dei piloni che sostengono la cupola della basilica vaticana. L'area era dei signori Mattei e fu comprata dal card. Matteo Bondino, protettore dell'Ordine. È residenza della curia generalizia dei Trinitarî di Spagna.
Fu edificata l'anno 1619 nella via Felice dai frati Scalzi della nazione francese dell'ordine della ss. Trinità del Riscatto della primitiva osservanza, con decreto del card. Mellino vicario di Paolo V. La chiesa sin dal 1662 avea tre altari, una cappella ed una sepoltura ed aveva anche un piccolo campanile con due campane: possedeva una rendita annua di scudi 819. La facciata della chiesa fu lasciata incompleta dai suddetti frati, ma fu compiuta alla fine del secolo XVII. Nel secolo XVI l'orto annesso al convento si chiamava orto del Greco, della quale denominazione il Martinelli ed altri rendono una curiosa spiegazione, che cioè in quell'orto fosse per la prima volta portato da un greco di Scio sotto Clemente VIII la pianta del sedano, fino allora sconosciuta in Italia.
Questa chiesa oggidì ha il nome di s. Vitale. Fu innalzata nella vallea fra il Quirinale e l'Esquilino da una pia matrona di nome Vestina. Innocenzo I, fra gli anni 401 e 402, dedicò la chiesa, che fu innalzata in titolo, a Vitale e ai suoi figli p188 Gervasio e Protasio. La pia fondatrice aveva disposto nel suo testamento che la fabbrica della nuova chiesa fosse affidata ai preti Ursicino e Leopardo, di cui restano in Roma altre memorie. Fa menzione di detta chiesa anche s. Gregorio il Grande, nelle cui opere si trova ricordato un Giovanni siccome prete titolare.
Nella celebre litania istituita dello stesso Magno Gregorio, volle il papa che la processione delle vedove si avviasse dalla chiesa di s. Vitale, nome che in seguito le rimase ed è giunto fino a noi. Ebbe fino al secolo XVI un collegio di canonici, ma volte le ricche sue entrate altrove, cadde in rovina, cosicchè il papa Sisto IV nel 1475 la restaurò; senonchè minacciando di nuovo rovina, il papa Clemente VIII nel 1595 la restaurò nuovamente, unendola alla vicina chiesa di s. Andrea del noviziato dei padri Gesuiti, i quali di nuovo la riedificarono colle generose elargizioni d'Isabelle della Rovere principessa di Bisignano. L'antico portico che precedeva la chiesa, sorretto da quattro colonne, dopo quei restauri fu trasformato in vestibolo. In prossimità della chiesa vi era un monastero che è ricordato in un documento del 1396. Ivi si dice che un Giannotto di Niccolò primicerio dei Iudiciarii legò quattro fiorini d'oro perchè fossero rifatte le porte del monastero di s. Vitale. Contiguo alla chiesa era piantato un orto per uso di quel monastero e di fianco alla nave destra vi erano due antiche grotte o cripte appartenente già a qualche antico edifizio romano.
Tornando ora al papa Innocenzo I, volle questi che la basilica di s. Agnese fuori le mura fosse affidata alle cure ed al governo dei preti del titolo di Vestina, come abbiamo nella sua biografia nel Lipi; quindi è che secondo l'uso, i preti e molti fedeli di quel titolo vollero seppellirsi nel cimitero presso la basilica estramurana di s. Agnese, donde venne a luce infatti il seguente epitaffino allo d'un acolito del titolo di Vestin, che il Bosio lesse nel pavimento della basilica di s. Agnese e che oggi è perduto:
Hic requiescit in paCE ABUNDANTIUS ACOL REG. QUARTE TT. VESTINE QUI VISIT AN. XXX DEP. IN. P. D. NAT. SCI MARCI MENSE OCT. IND. XII. |
Presso la porta maggiore della basilica di s. Marco v'ha un'imitazione o copia moderna di quel marmo sventuratamente perduto. Quanto a Leopardo, prete della Chiesa romana ai tempi p189 di Siricio e di Innocenzo I, egli non solo a s. Vitale, ma fece molti lavori ad altre chiese di Roma. Così ebbe parte nella ricostruzione di s. Pudenziana, negli ornati alla basilica di s. Agnese, ed egli medesimo adornò forse il sepolcro del martire s. Giacinto nel cimitero di s. Ermete; ristorò pure a proprie spese tutta la basilica di s. Lorenzo fuori le mura. Alle porte di questa chiesa solevasi, per legato di un gentiluomo nomato Francesco Silla, in tutti i venerdì dell'anno distribuire gratuitamente il pane ai poveri della città.
La chiesa nelle mura esterne conserva tracce di antiche costruzioni, benchè sia a credere che il piano dell'attuale sia alquanto elevato sull'antico; essa è uno dei più preziosi monumenti cristiani di Roma, e il migliore ornamento sacro della principale arteria della città moderna, la via Nazionale. Da poco tempo l'autorità ecclesiastica di Roma ha annoverato fra le parrocchie della città questa chiesa.
È questo il titolo di una graziosissima cappella, in istile gotico, nell'istituto delle dame del s. Cuore di Maria in via Palermo, ove sono da più anni accreditatissime scuole femminili. La cappella, che si trovata a livello del secondo piano, nella casa appositamente costruita per l'istituto — e che perciò contiene spaziose sale di scuola, ricreazione, lavoro, ecc., per le alunne — venne edificata su disegno del compianto prof. Vincenzo De Rossi-Re, architetto ingegnere. Di giuste proporzioni, essa mantiene in ogni più piccola parte lo stile gotico puro; e, decorata dal Capranesi, adorna di vetri a colori con effigie di vari santi, con altare a preziosi marmi d'uguale stile, e costantiniano analoghi aredi che l'adornano, si presenta addirittura come un vero gioiello d'arte. Essa, attestando il merito esimio del compianto architetto, fa grande onore altresì al bravo artista Capranesi, al costruttore Giuseppe Cavalletti, e a tutti gli altri capi d'arte che concorsero con la loro opera ad arricchire Roma di sì squisito monumento d'arte cristiana.
Anche questa chiesa è stata recentemente dissacrata e ridotta ad uso profano, cioè ad aula dell'istituto d'igiene. Sorge nella via delle Quattro Fontane: non se ne conosce l'origine, ma si sa che verso la metà del secolo trascorso fu demolita la chiesa primitiva dedicata già al grande patriarca dei monaci d'oriente e che sorgeva nel luogo stesso dove fu eretto l'attuale. Accanto alla chiesa era un monastero di remeiti della regola di s. Paolo pressochè tutti ungheresi e polacchi. Comprarono questo luogo dai monaci cistercensi di s. Pudenziana per edificarvi la chiesetta di che parliamo, la quale da Pio VI fu data al conservatorio pio della santissima Trinità. Innanzi alla porta ha un portichetto semicircolare nella cima del quale sorge un albero di palma sormontato da un corvo, ai piedi del quale stanno due leoni, imagini relative alla vita del celebre anacoreta. Sull'altare maggiore era collocata la statua di s. Paolo eremita entro la caverna.
È una chiesuola eretta alla fine del secolo XVI, di fronte al monastero di s. Roberto nella suddetta via delle Quattro Fontane, presso la quale i Fate-bene-fratelli fondarono nel 1584 l'ospedale per i poveri convalescenti. Infatti in un documento di quell'epoca che ho trovato nell'archivio Vaticano si legge "Ta chiesuola è incontro al giardino del signor Principe Peretti e fu edificata su certe rovine antiche da fate-bene-fratelli."
Michele Lonigo fra le chiese dedicate alla Vergine che egli ricordo nel suo catalogo manoscritto, ne annovera una alle Quattro Fontane che dice essere stata dedicata alla santissima Vergine Annunziata e che apparteneva ai padri gesuiti.
Fra le chiese della seconda partita v'era questa che esisteva presso il vico Patrizio, ai piedi della collina di s. Maria Maggiore non lungi da s. Pudenziana. Era annessa ad un ospedale p191 che aveva quattro servitori, e che era destinato a ricovero degli appestati. Sorgeva in un luogo che nel secolo XIII era chiamato dal volgo Pozzo Roncone. Nel secolo XVI era tuttora in piedi, ma mezzo cadente, siccome abbiamo dal Fanucci. Appartenne in origine alla Compagnia dei Raccomandati, poi a quella di s. Maria ed Elena in Aracoeli.
Il sito preciso dove sorgeva un dì la chiesa, come risulta da alcune piante di luoghi appartenenti al Gonfalone fatte nel 1584, e che si conservano nel suo archivio, corrisponderebbe all'area occupata, da parte della piazza della tribuna di s. Maria Maggiore, dalla chiesa e dal monastero del Bambin Gesù. La piccola tribuna di questa chiesa trovavasi opposta a quella di s. s. Maria Maggiore, e la lunghezza dell'edifizio misurava nell'interno canne 21 e palmi 50. La chiesa già esisteva nel 1287. Avea dinnanzi una via che dalla chiesa di s. Pudenziana saliva fino alla scala della basilica di s. Maria Maggiore. Fu nella chiesa di quest'ospedale, mercè lo zelo di s. Bonaventura, che si eresse la compagnia de' Reccomandati, iniziata poco prima in s. Maria Maggiore da due canonici di s. Vitale, Iacopo ed Agnolo.
L'ospedale rimase fino al 1414, quando occupata Roma dalle genti di Ladislao re di Napoli, furono usurpati i beni al luogo e tolti via i letti, cosicchè da un breve di Martino V risulta che l'edifizio era stato trasformato in immoda spelonca, ricetto di buoi, bufali e porci. Nel 1549 ancora la chiesa era in piedi e fu concessa dal Gonfalone ad alcune monache. Dieci anni dopo l'orto e la casa fu locata a un don Tommaso Spica coll'annua corrisposta di una libbra di cera bianca nel dì dell'Assunta. Nel catalogo delle chiese fatto per ordine di s. Pio V, la trovo denominata così: s. Roberto della Compagnia del Gonfalone. Fu probabilmente distrutta quando la piazza di s. Maria Maggiore venne da Sisto V ridotta alla forma attuale.
S. Luca
Una chiesetta di s. Luca giaceva presso la basilica di s. Maria Maggiore nella pendice del colle nel luogo incirca ovest Sisto V fece innalzare l'obelisco. Fu confusa da qualche scrittore con l'oratorio dei ss. Cosma e Damiano. Gregorio XI la concedette a s. Maria Maggiore nel 1371: Sisto IV nel 1478 la concesse p192 alla compagnia dei pittori; ma Sisto V volendo erigere l'obelisco in quel luogo, la fece demolire. Il Mellini scrive che presso la Villa Peretti se ne vedeano ancora ai suoi giorni i vestigî unitamente a quelli della vicina chiesa di S. Alberto.
Immagini con bordi conducono ad informazioni: più spesso il bordo più ampie le informazioni. (Dettagli qui.) | ||||||
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