URL breve per questa pagina:
bit.ly/2ARMCHIPigna


[ALT dell'immagine: Una gran parte del mio sito è inutile se tenete escluse le immagini!]
mail: William Thayer [Link to an English help page]
English

[ALT dell'immagine: Link ad un'altra pagina di questo sito]
Aiuto
[Collegamento al livello immediatamente superiore]
A monte

[ALT dell'immagine: Link alla pagina principale del sito]
Home
indietro:

[ALT dell'immagine: (link alla precedente sezione)]
R. S. Eustachio
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

[ALT dell'immagine: (link alla seguente sezione)]
R. Campitelli

 p459  IX. RIONE PIGNA

S. Marco de Pallacine
(S. Marco)

L'antichissimo ed insigne titolo di s. Marco sorgeva nel vico appellato Pallacinae. Presso il circo Flaminio v'era un portico che nel secolo VIII era chiamato Porticus in Pallacinis, del quale forse si veggono ancora alcuni avanzi nella via degli Astalli. In una epigrafe cristiana dell'anno 348 un lector di quel clero viene semplicemente designato colla denominazione DE PALLACINE.​1

Questa oscura denominazione d'un vico dell'antica città la troviamo in Cicerone,​2 ove si dice che la uccisione di Sesto Roscio Amerino avvenne ad balneas palacinas. Tutto dimostra dunque l'antichissima origine di questa chiesa edificata in Roma nei primi tempi della pace la quale fu appunto eretta dal papa s. Marco in onore del santo evangelista, come abbiamo nella biografia del Libro pontificalis.

Nel concilio romano tenuto sotto Simmaco l'anno 499 apparisce già come antico titolo. Il papa Gregorio IV che era stato prete della medesima (827‑844) la ricostruì quasi a nuovo perchè rovinosa e disabbellita, e di Gregorio resta ancora l'abside costruiti musaici.

Nel centro della conca v'ha il Salvatore bizantino di fisonomia austerissima, ritto in piedi sopra una predella fra le lettere Α Ω: tiene un libro aperto ove si leggono le parole: Ego sum resurrectio. Ai suoi fianchi stanno i santi titolari omonimi s. Marco evangelista e s. Marco papa, poi i martiri Felicissimo ed Agapito uccisi con Sisto II sul cimitero di Callisto, e s. Agnese, quindi il papa dedicante Gregorio che offre il modello della basilica. Nella  p460 fascia inferiore v'è l'agnello divino sul monte, da cui sgorgano i quattro fiumi costruiti nomi Geon, Fison, Tigris, Eufra, e i dodici agnelli che escono dalle due mistiche città. Sull'agnello divino sta lo Spirito Santo in forma di colomba. Nella parte esterna vi sono i quattro simboli degli evangelisti e nel centro il mezzo busto del Salvatore che benedice alla greca; si leggono poi scritti al disotto questi distici di barbaro dettato:

VASTA THOLI PRIMO SISTVNT FVNDAMINE FVLCRA
QVAE SALOMONIACO FVLGENT SVB SIDERE RITV
HAEC TIBI PROQVE QVESTO PERFECIT PRAESVL HONORE
GREGORII MARCE EXIMIO CVM NOMINE QVARTVS
TV QVOQVE POSCE DEVM VIVENDI TEMPORA LONGA
DONET ET AD CAELI POST FVNVS SYDERA DVCAT

Pietro Sabino verso la fine del secolo XV trascrisse anche il carme di Paolo II, da niun altro copiato ed inedito, che era in laquearibus templi:

HAEC DELVBRA PATER POSVIT TIBI MARCE VETVSTAS
SED VENETVS REGNAT DVM PAVLVS PAPA SECVNDVS
QVI FVERAT ROSEO MARCI DECOARTVS HONORE
ARTE NOVA ET TEMPLVM ET FACIES MVTATA LOCORVM
ET DE FICTILIBVS NVNC PLVMBEA TECTA REFVLGENT

Da questo impariamo che Paolo II rifece il tetto della basilica in tegole plumbee: ed ancora in una delle sale del capitolo di s. Marco si conserva una di dette tegole collo scudo di Paolo II e colla leggenda: PAULUS VENETUS PAPA SECUNDUS SUIS IMPENSIS FIERI FECIT ANNO CHRISTI MCCCCLXVII.​3

Paolo II, che da cardinale avea tenuto residenza nel palazzo di s. Marco, volle ampliarlo e rendere più bella e magnifica la basilica. Egli ornò la piazza di due antiche urne, l'una di serpentino che stava presso il Colosseo, l'altra di porfido che era stato il sarcofago di s. Costanza. Racchiuse, poi, entro il circuito del palazzo adiacente, che fu ampliato con nuove aggiunte da Paolo III, questa basilica. Il suddetto sarcofago di porfido, che oggi adorna una delle più belle stanze del museo Pio-Clementino al Vaticano, dicevasi allora la concha: infatti in un documento dell'archivio di s. Pietro in Vincoli dell'anno 1515 si legge così:

"Una casa posta a s. Marcho appresso la concha, la quale tene Madona Catharina et Orlando, paga al anno in distrutte page  p461 videlicet nel dì de la Annuntiatione una medietà, et l'altra nel mese de settembre, carlini 70."

Segue poi la nota:

"La casa anteditta posta su la piazza di s. Marco la fece rovinare papa Paolo III, quale morì alli 8 di novembre 1549 a hore 12 in dominica et la fece rovinare per riquadrare la piazza per fine alle fondamenta, però non l'havemo più, et mai ne havemo hauto ricompensa."

Nel secolo XVI la basilica esercitava la sua giurisdizione sopra le chiese seguenti: s. Niccolò de' Funari, s. Maria della Corte, s. Salvatore delle Botteghe oscure, s. Biagio alla scala d'Aracoeli, s. Niccolò a colonna Traiana, s. Lorenzolo, ss. Quaranta, s. Lucia alle Botteghe oscure, s. Giovanni della Pigna, s. Giovanni de Mercato, ss. Cosma e Damiano, s. Maria della Strada, s. Andrea delle Fratte, ss. Vincenzo ed Anastasio.

Sull'antico ciborio, si leggeva:

✠ IN N. D. MAGR. CIL. PRR. CARD.

S. MARCI IVSSIT HOC FIERI PRO

REDEMPTIONE ANIMAE SVAE

ANN. DNI MCLIIII IND. II. FACTVM

EST PER MANVS IOHIS PETRI ANGELI

ET SASSONIS FILIORVM PAVLI

Dalla quale apprendiamo che la famiglia e scuola dei marmorari di Paolo, nota solo pel ciborio di s. Lorenzo fuori delle mura, fatto nel 1148 dai magistri Giovanni, Pietro, Angelo e Sassone figliuoli di Paolo marmorario, lavorò anche il ciborio del Titulus Pallacinae. Nel 1154 adunque i quattro fratelli suddetti fecero il ciborio di s. Marco.​4

Sotto la confessione, nel 1843, mons. Domenico Bartolini, allora canonico di s. Marco poi cardinale di s. Chiesa, scoprì l'ipogeo che giudicò di età costantiniana: ivi sono le imagini del Salvatore e dei ss. Abdon e Sennen e s. Ermete, i cui corpi furono qui trasferiti da Gregorio IV.​5

La forma odierna della basilica è dovuta a Niccolò Sagredo, già ambasciatore della repubblica di Venezia in Roma, il quale si servì all'uopo dei disegni del Fontana; poi il card. Quirini rinnovò il coro, ne rifabbricò l'altare ed il ciborio ed eresse nella nave maggiore le colonne incrostate di diaspro di Sicilia ed i pilastri delle navi laterali.

Questa basilica ebbe il proprio atrio, ove fu trovata la celeberrima secchia di bronzo adorna delle imagini di Cristo e  p462 degli Apostoli, che sta oggi nel museo vaticano. Nel 1780 quivi si scoprirono due basi di statue dedicate ai Turci Asterî il che suppone che quivi avessero le loro case.​6a

Nel portico v'ha un antico puteale al quale pure spettava, come osserva il De Rossi, un altro esistente già nella villa Altoviti, colla seguente leggenda:

DE DONIS DEI ET SANTI MARCI IOHANNES PRESBYTER FIERI ROGABIT. OMNES SITIENTES VENITE AD AQVAS ET SI QVIS DE ISTA AQVA PRETIO TVLERIT ANATHEMA SIT​6b

Nel più volte ricordato documento sullo Stato temporale delle chiese, di questa si dice:

"A destra entrando vi è l'altare della resurrettione, di s. Antonio di Padova, de Magi, della Pietà, in fondo nella cappella del ss. Sagramento. A sinistra il fonte battesimale, altare di s. Marco, di s. Martino, di s. Michele, e poi la porta che dà nel cortile. Sotto al portico il cimitero. È longa palmi 132, larga palmi 74.

"Ha 14 sepolture. Sono in essa 10 canonicati e 2 cappellani. Ha la cura d'anime con case o famiglie 362, anime 2420 compresivi li RR. PP. Giesuiti della lega profana, padri di Araceli, monache di Torre de' Specchi, ve ne sono atte alla comunione sopra 2000. Da certa copia d'inventario nel nostro archivio che è dell'anno 1334 si cava che possedea cinque casali, 4 case con altre 23 censuale, e 25 vigne. D. cappella già dei ss. Cipriano e Caterina oggi è del ss. sacramento e fu fatta sotto il titolo della Trinità da card. Barbo titolare di s. Marco.

"Vi era la cappella di s. Maria della strada.

"Cappella di s. Andrea, oggi della resurrettione.

"Cappella di s. Niccolò, oggi di s. Martino.

"Cappella dei ss. Vincenzo e Anastasio, oggi s. Michele Arcangelo.

"Cappella già di s. Francesco, oggi s. Martino, eretta dal card. Pisano l'anno 1570.

"Cappella della ss. Pietà, di casa Vitelleschi.

"Cappella de Magi, di casa Specchi.

"Cappella di s. Gio. Battista, patronato del ss. Salvatore ad Sancta Sanctorum.

"Cappella della Concettione, avente la servitù di casa Capranica.

"Cappella di s. Antonio di Padova, di casa Tomacelli.
 p463  "L'entrata della chiesa certa et incerta insieme con le prebende somma in tutto a scudi mille cento venti distrutti e bai. 85."

S. Maria in S. Marco

Questa chiesolina è così nominata perchè è congiunta alla chiesa di s. Marco presso il cui portico ha l'ingresso. Fu ornata nel 1699 a spese di pie persone, fra le quali concorse il Barbarigo, ambasciatore della repubblica di Venezia. La chiesetta ha un solo altare nel fondo, ricco di pregevoli marmi, ove si venera una divota imagine di Maria, opera del Gagliardi.

S. Andrea in Pallacine o della Fratta

Era una chiesa antichissima che sorgea nell'area occupata in parte dalla casa professa del Gesù e che fu demolita nella edificazione di quella. Stava presso l'antico porticus Pallacine di cui, come ho detto, si veggono gli avanzi nella via di s. Marco ed alcune colonne con capitelli ionici nella casa di proprietà Santori: una di quelle colonne nel centro della voluta presente una croce equilatera.

In un documento del 1272 la chiesa è chiamata s. Andrea in Paracina, e altrove in Palatinis.​7 È nominata nel registro del Camerario per ragione del presbiterio: dal nome della vicina contrada fu anche chiamata s. Andrea della Strada. Venne frequentata anche da s. Ignazio di Loyola per concessione di Paolo III, a richiesta di mons. Archinto arcivescovo di Milano.

Questa chiesina era anche conosciuta col nome delle Fratte ed era soggetta al capitolo di s. Marco. L'Adinolfi la pone nella piazza degli Altieri.​8

Ss. Nome di Gesù
(Gesù)

Nella relazione manoscritta dello Stato temporale delle chiese di Roma nell'anno 1662, fatta dal p. Girolamo Boschetti della Compagnia di Gesù, porfetto (sic) della chiesa e sacrestia, trovo le seguenti cose:

"La chiesa del Gesù è stata fondata dal sig. card. Alessandro Farnese ed è situata nel rione della Pigna. Questa  p464 chiesa ha campane senza campanile, solo per modo di provisione accomodate in un muro non essendo stato dal fondatore fatto nè a ciò provveduto. Ha otto cappelle e tre altari grandi. Di più sotto l'altar maggiore vi è una cappelletta dove vi sono riposte le reliquie dei ss. Abbondio ed Abbondanzio date a detta chiesa dalla sa. me. di Gregorio XIII. La chiesa non ha cura d'anime. Possiede, come gli fu permesso dalla fe. me. di papa Urbano VIII, sette lochi di monti con obligo di far fre un anniversario all'anno per il sig. Alessandro Valtrini, quale avea lasciato herede la casa professa. Per istromento del Buonincontro not. capitolino vi è un testamento della q. Lucia Strada, quale lasciò dopo la morte di due zittele due casette o tre, salvo il vero, in Trastevere incontro alla fontana secca, e di più una vignola con una casa di tufi fuori di porta Portese, e doppo la morte della sig. Margarita Torelli tutto detto ricada alla sacrestia di questa chiesa. Si mantengono due lampade l'una all'altar maggiore, l'altra all'altare della b. Vergine per un legato fatto dalla q. sig. Lucia Amici quale lasciò herede il novitiato di s. Andrea con obligo di da. lampada.

"Questa chiesa non ha debito alcuno nè credito come anco le cappelle, essendo morti li fondatori. Fatto il conto di sei anni precedenti l'entrate e l'elemosine venute alla chiesa oggi anno sono scudi 1257 meno 25½. L'uscita ripartita e computata delli sei anni viene ogni anno scudi 1234 - 7½.

"La casa fu fabbricata dall'em̃o sig. card. Odoardo Farnese: Ha camere abitabili no 145 oltre alcune poche stanze che il medesimo sig. cardinale Odoardo formò e riservò per suo servitio. Ha tre sorti di acqua cioè Trevi, Campidoglio e Monte Cavallo. Non ha rendite, nè possiede beni di sorta, salvo che la parte di un orto situato nel monte Aventino che comprò per la casa professa il sig. Marcello Vitelleschi dal sig. Massimo Massimi come in atti Colonna e Buratti notari 16 nov. 1635 confinante con l'orto del monastero di s. Alessio, con il sig. Virgilio Lucharini, con li sigg. Specchi, e con il noviziato di s. Andrea. Ogni anno detratte le spese di casa in erbaggi e frutta avea scudi 100. Al presente sono in essa sacerdoti 47, chierici 1,º fratellie 43, novizi 3."

I disegni della chiesa furono affidati al Vignola che condusse la fabbrica fino alla cornice. Morto il Vignola, subentrò Giacomo della Porta, il quale vi aggiunse le due cappelle rotonde ai due lati dell'altar maggiore: ed è pure di suo disegno la facciata.

 p465  La gran volta della chiesa fu dipinta dal Baciccio, come la cupola. L'altar maggiore ha quattro colonne di giallo antico: a mano destra dell'altare è il monumento del venerabile card. Bellarmino, dall'altra parte v'ha quello del ven. Pignattelli.

Stupenda per ricchezze e per arte è la cappella di s. Ignazio di Loyola a sinistra della crociera: l'architettura è del Pozzi gesuita; le quattro colonne sono impellicciate di lapislazzuli e listate di bronzo dorato: l'architrave è di verde antico. Sulla cornice v'è il gruppo della ss. Trinità con un angelo che regge il globo terraqueo anch'esso incrostato di lapislazzuli. Anche la vasta nicchia nel mezzo dell'altare è ricoperta di lapislazzuli, sull'alto della quale due angioli reggono una tazza colonna nome di Gesù formato in cristallo di monte. Entro vi è la statua di s. Ignazio in veste sacerdotale di lamina d'argento: sotto il medesimo altare, in un'urna di bronzo dorato, riposano le ceneri del grande patriarca. Ai due lati dell'altare sono due gruppi in marmo, l'uno rappresentante la Fede che abbatte l'idolatria, opera di Giovanni Tendone; l'altro la religione che atterra l'eresia, di Pietro le Gros.

Dirimpetto alla suddetta v'è la cappella di s. Francesco Saverio, eretta con i disegni di Pietro da Cortona, ovest'è rappresentata la morte del santo, opera di Carlo Maratta.

Contigua all'altare di s. Ignazio è la divotissima cappelletta rotonda di s. Maria della strada, entro la quale si venera questa santa imagine, che si rannoda alla storia della chiesetta di s. Maria della strada, ove si custodiva. La cappellina fu architettata da Giacomo della Porta, ed è adorna di pitture del fr. Pozzo e del p. Giuseppe Valeriano gesuiti; il quadretto in tavola rappresentante s. Giuseppe è un dipinto assai gentile dell'illustre prof. Podesti. Recentemente fu fatta restaurare a spese del principe Alessandro Torlonia.

S. Maria de Astallis

Questa chiesa, nel codice di Cencio Camerario, è detta s. Maria Hastariorum, poi fu chiamata de Stara. Non è da dubitare che questi vocaboli, mutilati dalla pronuncia volgare, nascondano il nome della nota famiglia degli Astalli, presso le cui case sorgeva la chiesuola di s. Maria. Nel secolo XVI il nome Stara era stato trasformato in quello di Strada; e così da quell'epoca si suole anche oggi chiamare la divota imagine della Vergine che era in quella chiesa, e che ora si venera in quella del Gesù. L'imagine è dipinta in un masso di durissimo cemento.

 p466  Dai documenti addotti, risulta adunque che la chiesa di s. Maria era assai antica e venerata, e che fu distrutta nella edificazione della casa e chiesa del Gesù, ove, come si è detto, venne sostituita da non meno divota e venerata cappellina. Quella chiesuola era frequentata da s. Ignazio di Loyola, quando era ospite degli Astalli nel vicino palazzo, che poi ebbe in dono di quel rettore, appellato Codazio, insieme alla cappellina.

Nell'archivio dei Brevi, per notizia gentilmente comunicatami da mons. de Romanis, più volte lodato, si conserva un decreto del 1582, con cui si ordina Camerario et magistris viarum uti vendi faciant presbyteris societatis Iesu domum Io. Baptistae Stalli ad plateam Alterioram.​9

Il palazzo degli Astalli è ora della rev. Fabbrica di s. Pietro; e con saggio provvedimento, alla via che gli corre innanzi, è stato da pochi anni restituito il nome di quella storica famiglia.

Do la chiesa, e durante la fabbrica di quella del Gesù, quella veneratissima imagine fu portata nella basilica di s. Marco ove gli venne eretto un sacello, di cui fanno ricordo le seguenti epigrafi che si leggono nel portico della suddetta basilica:

IORDANVS PETRVS F.
FRANCISCI PATER DE GRASSIS
PATRITIVS ROMANVS
SACELLVM HOC IN HONOREM S. MARIAE DE STRADA
IN VETERI ECCLESIA EIVSDEM COGNOMINIS
ANNO D. MCCCCLXXIII A SE FVND.
ET ANNO MDLXI IN HANC ECCLESIAM
SANCTI MARCI TRANSLATVM
IN PERPETVVM SVAE PIETATIS MONVMENTOM
SVAE POSTERITATI RELIQVIT
AVO SVO CHARISSIMO ET OPTIMO FVNDATORI
MARCVS ANTONIVS DE GRASSIS
NEPOS ET HOSPES
AETERNVM MEMOR. POSVIT ANNO
MDCLXXXVII.
MARCVS ANTONIVS DE GRASSIS
ANTONII FANCISCI FILIVS
PATRITIVS ROMANVS
SACELLVM HOC A MAIORIBVS SVIS
DVCENTIS AB HINC ANNIS FAMILIAE SVAE CONCESSVM
ADIVVANTE CONIVGE SVA PIISSIMA
VICTORIA ANNIBALDENSI DE MOLARIA
DOMICELLA ROMANA
NOBILIORI FORMAE RESTITVTA
AMPLIFICAVIT ORNAVIT
VT CONSTAT EX ACTIS MARINI VITELLI NOT. CAP.
SVB DIE III AVV. ANNI MDCLXXXVII.

 p467  Compiuta la fabbrica della nuova chiesa dedicata al ss. Nome di Gesù, fu di nuovo colà trasferita la santa imagine nell'anno 1575.

S. Lorenzo de Pinea

Celebre era in Roma la regione della Pigna. Se ne fa menzione nell'Ordine romano di Benedetto canonico​10 e nelle Mirabilia,​11 dove espressamente si nomina quella regione; lo stesso abbiamo anche in un diploma di Agapito papa IV, confermato da Giovanni XII,​12 nel quale è ricordata la via pubblica che dalla Pigna entra nella Posterula. Questa regione de Pinea corrispondeva presso a poco all'odierno nono rione della Pigna. Nel Vaticano pure si aveva la denominazione della Pigna, ma di questa non ci tocca ora il parlare.

Questa chiesa di s. Lorenzo è ricordata dall'Anonimo e dal Signorili, e fu detta pure della Scesa, da qualche leggiera declinazione del suolo, come abbiamo nella tassa di Pio IV in cui è ricordata la chiesa di s. Lorenzo della Scesa in regione Pineae. I limiti di questa rendono affatto inverosimile che si parli della chiesa di s. Lorenzolo vicino alla colonna Traiana, detta anch'essa de ascesa, come vorrebbe credere il Martinelli, mentre mi sembra assai più verosimile che qui si parli di s. Lorenzo de Pinea.

S. Niccolò de Pinea

Era assai antica, perchè la troviamo nel catalogo del Camerario. Non so in qual parte della regione sorgesse. Il Martinelli corrottamente la chiama del Piano.

Ss. Cosma e Damiano de Pinea

Questa parrocchietta era forse sull'angolo della piazza di s. Giovannino della Pigna nell'omonimo rione da cui prese il nome. Il Lonigo ne ricordo la demolizione nel modo seguente: "Fu pochi anni sono buttata a terra e la cura unita a s. Stefano  p468 del Cacco. Era situata quasi dirimpetto all'anzidetta di s. Giovanni."

È ricorda come parrocchiale in uno dei libri catastali della basilica di s. Pietro all'anno 1450. Dal Camerario è chiamata s. Cosma de Pinea, e nella tassa di Pio IV ss. Cosma e Damiano nel rione delle Pigne. Ancora si conserva nella sagrestia di s. Giovannino il quadro coll'imagine dei due santi, e nel giorno della festa dei medesimi in questa chiesa si celebra ancora una messa solenne.

S. Giovanni de Pinea

L'anonimo di Torino avverte che era servita da un prete, habet unum sacerdotem. È una delle più antiche; nome Piga che tuttora esiste sull'omonima piazza. Fu dedicata anche ai ss. martiri Eleuterio e Genesio; anzi il corpo di s. Genesio riposa ancora sotto l'altar maggiore di detta chiesa, benchè parte di quelle reliquie, sotto Sisto V, fossero trasferite a s. Susanna. Nel 1282, essendo rovinosa, fu data la chiesa all'arciconfraternita della pietà verso i carcerati, che la riedificò dalla fondamenta con architettura del Torroni.

Presso la medesima v'era la casa dei Porcari, di cui tuttora esiste la porta principale d'ingresso sulla via, con ornati del secolo XV; e nella chiesa, che era loro parrocchia, vi si leggono alcune delle iscrizioni sepolcrali di quella famosa famiglia. Tali iscrizioni, tolte dall'antico pavimento, sono murate a destra e sinistra della porta, ed una di esse è del tenore seguente:

† ANNO DNI M
CLXXXII . MESE
MAII . DIE XII . OB
IIT / IVLIANVS
D. PORCARII CVI BRA AIA REQESCAT . I
PA CE
MISSORE
ANDREA
BEGRAMOº
(candeliere)

 p469 

S. Anastasio de Pinea

Anche questa chiesuola antichissima apparteneva alla prima partita; era ufficiata da un sacerdote, come dicesi nel catalogo di Torino. Un documento dell'anno 1340 la ricorda, per una lascita fattale da Andrea Vallerano, nobile romano, il quale le donò alcuni fondi in un luogo detto Palazzo e Contessa.​13 Nel catalogo della tassa di Pio IV è detta s. Anastasio e le sono attribuiti venti ducati di reddito. Il suo clero, ai tempi del Camerario, riceveva sei denari di presbiterio.

S. Giuseppe della Pigna

La famosa Vittoria Colonna fece edificare nel rione della Pigna una chiesuola ad onore di s. Giuseppe, e vi annesse un conservatorio di povere fanciulle: nel 1587 chiesa e conservatorio ancora esistevano, come ricorda il Martinelli;​14 ma non ne rimane ora più traccia alcuna.

S. Stefano del Cacco

Anticamente questa chiesa, che tuttora esiste, si chiamava s. Stefano de pinea, perchè situata nel centro di questa omonima regione. Da un cinocefalo egizio di granito, rappresentante un genio adorante il Sole, trovato nel vicino Iseo campense, e dal popolo creduto un simulacro di scimmia detta macacco, venne il nome odierno alla nostra chiesa.

L'origine sua è assai antica, e si attribuisce a Pasquale I nel secolo IX. Infatti, narra il Bruzio, che nel musaico dell'abside, distrutta dopo il 1607, v'era il ritratto di quel papa col simulacro della chiesa nelle mani, pittura che fu guasta ed imbiancata dai Padri.​15 Fu già parrocchiale e filiale di san Marco. Pio V la concesse ai Silvestrini l'anno 1563, coll'onere della cura delle anime. Vi si leggevano le seguenti iscrizioni:

HIC IACET IOHANNES FRANCISCI MARRON
QVI OBIIT ANNO DNI MCCCXVI MENSE NOVEMBRIS
DIE XI CVIVS ANIMA PER DEI MISERICORDIAM
REQVIESCAT IN PACE AMEN
 p470  . . . . . CVSMATI FILIVS QVI OBIIT
ANNO DNI MCCCXIV NOVEMBRIS
DIE XV CVIVS ANIMA PER MISERICORDIAM DEI
REQVIESCAT IN PACE AMEN
HIC REQVIESCIT CORPVS NOBILIS VIRI
B. PHILIPPI IACOBI DE MANERIS CIVIS
ROMANI ET BARONIS QVI VISIT ANNOS
LXVIII OBIIT ANNO DNI MCCCCLXVII DIE XV
SEPTEMBRIS CVIVS ANIMA REQVIESCAT IN PACE AMEN
NOVELLO ROCCAPAPAE ORIVNDO
HVIVS SACRAE AEDIS RECTORI
OB . A . D . MCCCCLXXIIII
NICOLAVS EIVS CONCIVIS

Il Terribilini, poi, vi nota la seguente epigrafe profana posta nel lastrico:

P. OCTAVIVS EVPREPES . FECIT SIBI . ET SABINA
MARCELLINAE VXORI SVAE . ET LIBERTIS LIBERTABVSQVE
POSTERIQVEº . EORVM

 p471  Nel rovescio la lastra porta un'epigrafe cristiana del secolo IV colla data consolare di Simmaco e Boezio:

. . . . . . . QVAE VIXIT ANNO PLMXXXº
. . . VIESCIT IN PACE BONA H . F SVB DIE
. . . DVS ACVSTAS SVMMACHO ET BOETHIO
. . . CONS.

S. Marta

Questa chiesa, con annesso monastero di monache, venne fondata da s. Ignazio di Loyola. Scrive il Bruzio, nei più volte ricordati manoscritti vaticani, "che è chiesa anzi nuova che antica e fu edificata da s. Ignazio, il quale mosso a compassione de molte povere donne che volevano lasciare la mala vita, e non erano però chiamate alla perfetione religiosa, fondò questo ricovero. Egli col far vendere alcuni marmi cavati dalle ruine di Roma nella piazza davanti la sua chiesa, e fattone cento scudi li offerse per sua parte, del cui esempio molti altri si mossero e si diede principio all'opera." Il monastero era detto dal popolo delle malmaritate; queste vi rimasero fino al 1560 nel qual anno, trasferite altrove, cedettero il posto a claustrali agostiniane. La chiesa fu più tardi rinnovata dal card. Borromeo, e poi nel 1673 da Eleonora Boncompagni, religiosa di quel monastero. Il tempio fu solennemente consacrato l'anno 1696. Il Garzi, allievo di Andrea Sacchi, vi dipinse le tre Marie al sepolcro, il Baciccio ne colorì la volta. Ai tempi della prima invasione francese la chiesa fu ridotta a loggia massonica, ed i Piemontesi dopo il 1870 l'hanno trasformata in magazzino militare per uso dell'annessa caserma.

S. Maria Felice

Questa chiesolina, con un piccolo monastero, era situata non lungi da quella ora profanata di s. Marta al Collegio Romano. È mentovata soltanto nel catalogo delle chiese di Roma fatto sotto il pontificato di s. Pio V.

Santa Maria in via Lata

Questa celebre ed antica chiesa di s. Maria in Via Lata fu diaconia cardinalizia, prese e ritiene il nome dalla celebre via su cui venne eretta. Difatti, con questo nome si trova nel  p472 libro pontificale di Benedetto III,​16 in Leone III​17 ed in Niccolò I;​18 dove anzi si dice che le acque del fiume si sparsero per la via Lata ed entrarono nella basilica della Vergine che è quivi "quae ibidem est." Cencio Camerario dice che aveva sedici denari di presbiterio. L'Anonimo ed il Signorili la pongono accanto a s. Lorenzo della Pigna.

Il Bruzio così riepiloga la storia della chiesa:​19

"Sotto Alessandro VII fu quasi del tutto rovinata, si crede che qui s. Pietro facesse un piccolo oratorio (sic) dove celebrava i ss. misteri, dove pure s. Paolo habitò due ani continui. Dicono anche fosse edificata l'anno 706 da Teolatto marito di Teodora sorella d'Alberico senatore di Roma, altri la dicono eretta da Sergio I. Sembra certo essere stata un'antica stazione apostolica dove poi l'anno 700 il papa Sergio volle edificare una memoria alla b. Vergine riponendo sotto l'altare il corpo di s. Agapito martire costituendola diaconia. Quest'oratorio fu anche detto dei ss. Paolo e Luca. L'anno 1408, raffreddata la divozion, apparve la s. Vergine ad un cappellano e fece molti miracoli.

"Leone X l'arricchì di molte reliquie che furono trovate in tempo d'Innocenzo VIII, allorchè fu distrutta la prima fabbrica ove si ritrovò nell'urna dell'altar maggiore una schedola in cui si diceva che Leone IX avea riportato quelle reliquie l'anno 1049 in tempo di Enrico VI. Eugenio IV unì al clero secolare che l'ufficiava sotto la giurisdizione d'un priore il vicino monastero delle monache di s. Ciriaco l'anno 1433 con tutte le rendite, con bolla dei 19 marzo, che si cv nell'archivio capitolare della chiesa. Nicola V successore d'Eugenio trasferì altrove le monache restate del detto monastero e consolidando le loro entrate e di un'altra vicina chiesa di s. Nicola in s. Maria in via Lata istituì nove canonicati ed un priorato; come testifica Callisto III successore di detto Nicolò. L'anno 1491 la chiesa fu di nuovo fabbricata d'ordine d'Innocenzo VIII; havea 700 anime nei limiti della sua parrocchia."

Fin qui il Bruzio, che nel pavimento lesse questi epitaffi:

SEPVLCRVM IOANNIS PAVLI

INFESSVRAE FILIORVM FILIARVMQVE

ET ALIORVM DESCENDENTIVM EX EORVM

FAMILIA OBIIT ANNO D. MCCCCLXXX

III MARTII VI.

 p473  La pietra sepolcrale è disgraziatamente perduta, distrutta forse in alcuni restauri fatti alla chiesa negli ultimi secoli.

QVI IACE LVCRETIA BONAMICI

PAVLO STEPHANO DE CAPO CIVI ROMANO MORIBVS

ET VIRTVTE INSIGNI CATHERINA DE GRASSI

FINO AL . DVLC . POSVIT . VIX . A . XIII . MENS . II . D .

XXVI . OB . AN . SAL . MCCCCLXXXVIII D . VI

OCTOBRIS

Assai più antica era la seguente:

HIC REQVIESCIT CORPVS

NOB . MVLIERIS

D . MARGARITE

VX . NOB . VIRI

BACCAROTII SOBACTARIS

QVE OBIIT ANNO DNI

MCCCXLII

MENSIS OCTOBRIS DIE V

ANIMA CVIVS REQVIESCAT IN PACE AMEN

Presso la porta maggiore si leggeva:

IN HOC TVMVLO REQVIESCIT CORPVS VEN .

ET . DEVOTI . VIRI PRESBYTERI ANDREAE

CAPELLANI CAPELLAE S. NICOLAI SITAE IN ISTA

ECCLESIA MIRACVLOSAE IMAGINIS VIRGINIS

MARIAE QVI OBIIT ANNO DNI MCCCCXXXXI

DIE VIII IVLII

CORPVS MECCOLVCCA IN HOC TVMVLO

STEFANO (sic) NOTARIO (sic)

AN . D. MCCCCIII DIE . . .

E presso la sagrestia:

IACOBELLA DIOTAIVTI MATRONA INSIGNIS

VXOR D. IERONYMI DE CASTELLANIS

VISIT ANNOS XXV

HIC REQVIESCIT CORPVS STEFANACCI DIOTAIVTI

QVI OBIIT . A . D . MCCCLXXVI MENSIS OCTOB .

DIE XX . CVIVS ANIMA REQVIESCAT

IN PACE . AMEN .

 p474  Un'antica, e non del tutto dispregevole tradizione locale, vuole che in questo luogo soggiornassero gli apostoli Pietro e Paolo, e gli evangelisti Giovanni e Luca, e si dice pure che quivi l'apostolo delle genti scrivesse le sue epistole agli ebrei e Luca vi dettasse gli atti agli apostoli.

Dissi non dispregevole l'anzidetta tradizione, poichè, se non è accettabile in tutta la sua estensione, pure è probabile in quanto si riferisce alla dimora fatta quivi da s. Paolo.

Infatti, al livello dell'antica via lata precisamente sotto la chiesa attuale, restano tracce d'un edifizio romano del secolo III incirca, che accennano ad una qualche abitazione più antica, forse rinnovata ai tempi di Settimio Severo. Quei ruderi potrebbero essere gli avanzi della casa, nella quale l'apostolo mansit biennio in suo conducto e dove praedicabat regnum Dei docens quae sunt de Domino Iesu Christo cum omni fiducia sine prohibitione. Nulla s'oppone infatti alla sostanza della popolo romano tradizione romana, sulla origine dell'insigne santuario della via Lata; anzi parecchi indizî la confermano, poichè le mura di quel vetusto edifizio, fino dal secolo VIII almeno, furono trasformate in oratorio, e tracce di pitture antiche restano qua e là su quelle oscure e madide pareti.

Quel'antichissimo oratorio diventò, dopo l'innalzamento del suolo in quella contrada, sotterraneo, e ancora è per metà sepolto; laonde sarebbe certamente desiderabile, che, permettendo le condizioni locali dell'edifizio, venisse dissotterratoº fino al piano antico, dove forse si potrebbero trovare indizî sicuri e pregevoli per la storia del medesimo.

Nella sua parete a sinistra si veggono alcune figure d'angeli alati, ma vestiti di tunica e pallio, secondo la tradizione dell'arte cristiana più antica, che conducono al cielo, sorreggendoli per il capo, alcuni santi, anch'essi vesti di tunica e pallio.

Vicino all'arco, che serviva d'ingresso all'oratorio suddetto e che fronteggiava la via, a sinistra v'è una pittura del secolo circa secolo XI rappresentante un santo coronato il capo di nimbo, sul cui petto scende il pallio ornato di spesse croci; forse è s. Marziale, cui l'oratorio fu dedicato; ma è impossibile affermare con certezza qual santo vescovo o papa egli fosse. Presso questa imagine era rappresentata la scena della crocifissione colle imagini di Maria e Giovanni; poichè ivi sono tracce di alcune figure, presso alle quali si legge dipinto sull'intonaco il nome di IOHS (Iohannes) e le parole pronunciate dal divino Redentore, ECCE MATER TVA. Preziosissima sarebbe stata questa scena per la storia artistica della Crocifissione.

Per errore di alcuni recenti topografi, si è creduto che presso quest'oratorio sorgesse l'arco di Gordiano; il che è falsissimo.  p475 Ivi s'alzava uno degli archi della Flaminia, detto dai cataloghi l'arcus novus, e che era stato dedicato a Diocleziano e Massimiano nel 301, il quale fu visto distruggere dal Fulvio iuxta s. Mariam in via lata ab Innocentio VIII in renovatione proximi templi.

La facciata della chiesa attuale fu fatta erigere, coi disegni di Pietro da Cortona, da Alessandro VII. L'interno della medesima conserva le tracce della forma basilicale più vetusta, essendo divisa in tre navi sostenute da colonne, le quali erano antiche e di marmo caristio (cipollino), che poscia, non so con qual criterio, vennero incrostate di brutto diaspro di Sicilia. Nella parete di fondo, alquanto absidata, si venera una divota effigie della b. Vergine, di scuola assai antica, adorna di ricchissime pietre.

In un documento che più volte ho mentovato, costruite la relazione delle visite ordinate alle chiese di Roma sotto Alessandro VII, v'ha il seguente curioso aneddoto: Ivi si dice: che nella chiesa era un pilo di marmo (sarcofago) antico lavorato ed istoriato di bellissima maniera che si conservava nel vestibolo della detta chiesa, et volendolo alcuni canonici donare a D. Camillo Pamphili e non consentendo altri di essi, fu per maggior custodia riposto entro la medesima chiesa. Hora son pochi giorni che dai medesimi canonici fu de facto levato il pila dalla chiesa e donato a D. Camillo.

Circa il X secolo dalla via Ostiense furono alla nostra chiesa trasferiti i corpi dei ss. Largo, Smargdo e Ciriaco ed altri compagni, registrati nei fasti ecclesiastici agli 8 di agosto.

Le origini di questa chiesa sono adunque antichissime, e si perdono nell'oscurità; perchè si attribuiscono al papa Silvestro, ma sarebbe stata riedificata da Sergio, e poi da Innocenzo VIII restaurata. La tribuna fu di nuovo rifatta da Urbano VIII. Eugenio IV unì a questa collegiata la chiesa vicina di s. Ciriaco e Niccolò, con monastero dell'ordine benedettino, ad istanza del card. Domenico Capranica, diacono cardinale di questa chiesa. La cappella delle reliquie, in fondo alla nave sinistra, fu sacra ai ss. Ciriaco e Niccolò. Il card. Fazio Santorio, il 28 luglio 1507, comprò dal capitolo una vicina chiesuola di s. Niccolò per alzarvi il proprio palazzo, ove poi fu edificato l'odierno lo Doria.

Qui furono sepolti alcuni della famiglia dell'Infessura, tra i quali Stefano, il note maledico diarista, della cui pietra sepolcrale però sono state inutilmente ricercate le tracce.

 p476 

S. Salvatore de Camilliano

Nel luogo, ove ai giorni di s. Ignazio fu eretta la chiesa di s. Marta, vi era un'altra chiesolina chiamata s. Salvatore in Camilliano; poichè il campo camilliano era il nome che nel medio evo aveva la piazza odierna del Collegio romano.

Nel 1433 la chiesa era diroccata; la possedevano le monache del vicino monastero di s. Ciriaco. Fu restaurata nel 1461 e costituita parrocchia, ove vennero sepolti parecchi della famiglia Battaglieri. Nel 1500 vi fu congiunto un piccolo monastero di monache.

S. Ciriaco de Camilliano

È il nome di un celebre monastero, che era situato presso la via Lata non lungi dall' arcus Diburi, detto poi Camillianum, e precisamente sull'odierna piazza del Collegio romano. L'Ughelli riferisce un privilegio antichissimo del vescovo di Selva Candida, in cui si fa menzione d'una casa posta nel luogo detto Diburo, presso alla quale erano situate le case di Maroza, moglie di Stefano Siniscalco.​20 Quivi adunque era il monastero detto dei ss. Ciriaco e Niccolò, appellato anche ad gratam ferream.

In un documento dell'archivio vaticano ho trovato notizie sul cimitero del medesimo monastero, il quale "si è scoperto alcuni mesi sono vicino alla detta chiesa (di s. Maria in via Lata) nell'occasione che il principe Pamphili spianava il giardino per fabbricare la stalla nel palazzo di donna Olimpia Aldobrandini. Il nome Diburo, Diburio, Tiburzio attribuivasi dal volgo ad un antico arco sormontato da torre, che alcuni credono sia stato uno degli ingressi del Diribitorium, il grande edifizio presso la Septa, incominciato da Agrippa, compiuto da Augusto; edificio destinato allo scrutinio dei voti dei comizî, ed anche alla dispensa degli stipendî alle milizie. Fu incendiato sotto Tito, unitamente al contiguo Iseo.

Il medio evo dette a quel rudero, avanzato sulla piazza odierna del Collegio romano, il nome di arco maggiore, ovvero arco di Camillo; per cui quell'area e la vicina contrada appellavasi il Camilliano: la fronte della chiesa di s. Ciriaco era da quella parte.

 p477  L'Infessura, nel suo diario, ricorda che Innocenzo VIII incominciando la nuova costruzione della chiesa di s. Maria in via Lata, nel 1491, lo fece atterrare. Vicino all'arco vi era la torre degli Aldemari, posseduta nel secolo XI da Sasso di Susanna, che fu poi donata alle monache di s. Ciriaco. Il Severano​21 afferma che la chiesa era precisamente dove è ora l'altare maggiore di s. Maria in via Lata. Il Galletti​22 ricorda un'abbadessa dei ss. Ciriaco e Niccolò dell'anno 1372. Il Bruzio​23 vuole che la chiesa fosse in origine dedicata a s. Stefano, della quale dice: fino ai giorni nostri si sono conservate le vestigia del campanile nel cortile del palazzo annesso di D. Olimpia Aldobrandini Pamphili. Non lungi del monastero v'era anche la chiesa di s. Niccolò, cheº poi fu incorporata ed unita a quella di s. Ciriaco. Nell'archivio di s. Maria in via Lata v'ha un codice in pergamena coperto di lamina d'argento, adorno di gemme false, contenente un vetusto esemplare del Vangelo di s. Luca. Sulla lamina di quello si legge la dedica di un'abbadessa del monastero anzidetto: Suscipe Christe et s. Cyriace atque Nicolae. Hoc opus ego Berta Ancilla Dei fieri iussi, la quale iscrizione è da attribuire al secolo XI. Quanto all'origine della chiesa di s. Ciriaco non v'ha dubbio sia antichissima, benchè non creda accettabile l'opinione comune che la fa risalire fino ai tempi del papa Silvestro. Il nostro Ciriaco è quello venerato con i socî suoi Largo e Smaragdo, registrati nei sacri fasti agli 8 di agosto. I loro corpi, nel principio del secolo quarto, dalla Salaria furono portati alla via ostiense, e poi circa il secolo decimo dall'ostiense cimitero furono trasferiti alla chiesa di s. Maria in via Lata. Di s. Ciriaco v'ha anche notizia in un codice anonimo urbinate n. 410, f. 221, ove è denominato s. Quirico. Il Lonigo ne vide gli avanzi, e nel suo manoscritto dice che: tuttavia si vede ma profanato vicino al curtile del palazzo dei principi Aldobrandini.

Per il possesso dell'arco prefato sorsero talvolta questioni fra le monache di s. Ciriaco ed il capitolo di s. Maria in via Lata, le quali chiese erano quasi contigue. Ricorda l'Adinolfi che agli 8 di novembre del 1241, ad istanza delle monache, furono citati in giudizio i canonici, siccome contumaci e scomunicati dal rettore della Romana fraternità.​24

 p478 

S. Lorenzo di s. Ciriaco

È una chiesuola della quale non rimane da moltissimi secoli alcun vestigio, e la cui memoria ci è stata conservata dal Camerario, benchè ai suoi tempi già fosse deserta e rovinosa, perchè la annovera fra quelle ignotae et sine clericis. Alla medesima spettavano i sei consueti denari di presbiterio. Sorgeva fosse presso l'antichissima chiesa anzidetta.

S. Salvatore ad Duos Amantes

Questa chiesa è menzionata dal Libro pontificale nella vita di s. Silvestro: risalirebbe adunque al secolo IV, anzi ai tempi della pace.

La denominazione si riferisce certamente all'epoca della antica città, ma è ignoto dove sorgesse. Il Martinelli ci avverte che le monache di s. Ciriaco alla via Lata erano padrone di questa chiesa e dell'annesso monastero, che manteneva ancora quella denominazione.​25

S. Niccolò di Monte

Presso il monastero di s. Ciriaco vi era anche una chiesolina detta di s. Niccolò de Monte, venduta dal capitolo di s. Maria in via Lata al card. Santorio, che la fece abbattere per edificarvi il suo palazzo.

Sull'origine della nostra chiesa il Bruzio riporta la seguente leggenda:​26

"Nel pontificato di Gregorio V, venuto a Roma Ottone III chiese al papa le reliquie di s. Ciriaco il quale era nel monastero di detti santi vicino all'arco di Diburio (Camilliano). La abbadessa di nome Preziosa poichè seppe, essendo assente, che le monache avevano consegnato quelle reliquie ricorse piangendo dall'imperatore con infinite grida, il quale poi stupefatto riconobbe in questa una sua parente, e la consolò consegnandogli una lettera per l'imperatore a Costantinopoli onde ottenere da questo una reliquia di s. Niccolò, che difatti  p479 fu concessa all'abadessa insieme a molti altri doni che la pia religiosa portò da Costantinopoli. Non appena giunta poi in Roma, edificò una chiesa di s. Niccolò nel distretto del monastero di s. Ciriaco."

Checchè sia dell'autenticità di questa narrazione, essa attesta l'antica origine di questa chiesa di s. Niccolò del Monte, che nel secolo XIV habet unum sacerdotem.

S. Stefano in Via Lata

Sembra al Martinelli, fondato sopra un'antica leggenda, che sia questo il titolo primitivo della chiesa di s. Ciriaco al Camilliano, al quale fu aggiunto poi quello di s. Benedetto dalle monache benedettine dell'annesso monastero.

S. Francesco Saverio
(Oratorio del Caravita)

È un oratorio dedicato al grande apostolo delle Indie, presso la chiesa di s. Ignazio, edificato presso a poco nel luogo medesimo dove sorgeva l'antica chiesa di s. Antonio de Forbitoribus. È comunemente detto l'Oratorio del Caravita, da cui prende anche nome la strada adiacente che sbocca nella via del Corso. Ebbe origine da un pio padre della compagnia di Gesù, Pietro Gravita, zelantissimo missionario e generoso elemosiniere. Di lui si narra che l'anno 1639 ai 4 d'ottobre rivestì cento poveri di Roma, et li diede da mangiare et fu dispensato molto pane.​27 Cadevano in quei giorni le feste centenarie in cui si celebrava dalla compagnia di Gesù l'anniversario della conferma fattane da Paolo III. Nel diario del Gigli​28 si narra che il Gravita diede nuovo impulso alle opere del p. Pier Montorio, gesuita, il quale incominciò andare per le piazze di Roma predicando et fare le comunioni generali. Il p. Gravita stabilì a questo scopo una congregazione nel Collegio romano, dove non solo concorrono, così il diarista, persone humili, ma ancora le nobili e le principali.​29 Quell'oratorio, edificato con le elemosine di generosi oblatori, si appellò della Comunione generale. Fondata nel 1707 una congregazione di  p480 nobili signore, queste in tempo determinato dell'anno cominciarono a raccogliersi nell'oratorio suddetto onde tenervi religiosi esercizî. Tale congregazione eccitò l'emulazione di altre signore; le quali, costituite nel 1795, a somiglianza delle prime, qui pure convengono in certi tempi dell'anno per il medesimo santo scopo. L'oratorio è stato restaurato nel 1870 per cura del rev. p. Massaruti. Le pitture che adornano la volta del portico sono di Lazzaro Baldi. Sul portico suddetto v'è la cappella del Ristretto, adorna di pitture di Gaetano Sottino, a cui appartiene anche il quadro dell'altare, sul quale è rappresentata la discesa dello Spirito Santo.

Nel luogo stesso si raccolgono quattro altre congregazioni appellate ristretti: una composta di dodici fra sacerdoti e chierici; la seconda, detta degli angeli, era composta di nove giovanetti scolari dell'attiguo collegio; la terza, feriale, appellata degli apostoli, formata di dodici pii laici, i quali si adunano nei giorni feriali; la quarta, pure degli apostoli e detta dei collaroni dicevasi festiva, perchè si adunava nelle domeniche e nei giorni festivi. Nel 1757 in quel pio luogo s'istituì un quinto ristretto sotto il titolo dell'Immacolata Concezione e di s. Luigi Gonzaga, pei giovanetti desiderosi di addestrarsi nella via della perfezione cristiana. Ma anche questa divota congrega, che fu istituita dal p. Alessio Pichi, da pochi anni è cessata.

Fra le funzioni dell'oratorio si contava anche una missione speciale ai mietitori e falciatori dell'agro romano, istituita nel 1711 dal p. Martini, ed un'altra straordinaria alle così dette gavette ed ai veterinarî. Nello Stato temporale delle chiese di Roma si legge:​30 "L'oratorio di s. Francesco Xaverio per uso della Communione generale con cappelle n. 2; quale se bene è separato dal collegio gode però tutti li privilegi come se fosse intra claustra del medesimo collegio in virtù del breve di Urbano VIII sotto li 6 d'agosto 1633." L'oratorio, tuttochè per le circostanze luttuose dei tempi non dipenda più dagli illustri figli del grande Ignazio di Loyola ai quali appartiene; pur tuttavia prosegue anche oggi ad essere regolarmente ufficiato e frequentato.

S. Maria Annunziata al Camilliano

Una chiesolina dedicata all'Annunziazione di Maria Vergine sorgeva nell'area occupata dalla chiesa di s. Ignazio, dalla banda però che guarda la piazza del Collegio romano.  p481 Era stata eretta l'anno 1562 colle elemosine di Vittoria della Tolfa, nipote di Paolo II, e fu distrutta quando venne eretta la nuova chiesa di s. Ignazio.

S. Ignazio

Questa chiesa, congiunta al Collegio romano, è una delle più vaste e più belle di Roma. Il p. Domenico Vanni rettore del suddetto collegio nel 1663, nella sua relazione per lo Stato temporale delle chiese di Roma che si conserva negli archivî vaticani, così riferisce della medesima:

"Congiunta al Collegio è la chiesa dedicata a s. Ignazio fabbricata per legato fatto dal sig. card. Ludovisio Ludovisi, come per suo testamento 11 aprile 1629. Non è per anco finita, mancandosi di perfettionare la cupola e parte superiore. a sepolture un.o 3."

Il luogo ove fu fabbricato il tempio era in parte occupato da una chiesina dedicata all'Annunziata e detta l'Annunziatina. Il cardinale stesso di sua mano vi pose la prima pietra, morto il quale venne proseguita la fabbrica col denaro lasciato in testamento dal medesimo, circa 200 mila scudi: fu aperta nel 1650, e compiuta nel 1685. Nel farsi le fondamenta si trovò un tratto notabile dell'acquedotto primitivo dell'acqua Vergine o, per dir meglio, gli avanzi della sua mostra, con resti di colonne e bassirilievi assai pregevoli.

Il disegno della chiesa è del Domenichino, modificato però dal p. Grassi: l'immensa facciata in travertino è dell'Algardi, fatta con un legato del principe Ludovisi, già vicerè di Sardegna. L'interno della chiesa è a tre navi divise da pilastri. A destra della crociera v'è la stupenda cappella di s. Luigi Gonzaga eretta dai signori Lancellotti, sotto il cui altare, in un vaso di lapislazzuli, si conservano le ceneri del santo giovine. Il disegno è del fratel Pozzi gesuita, che ne dipinse la volta; la cappella è adorna di marmi finissimi. Il bassorilievo in marmo posto sull'altare rappresenta s. Luigi vestito colla scolastica del Collegio romano in mezzo ad una gloria di angeli: è opera del Le Gros.

Nel fondo della chiesa v'ha il monumento di Gregorio XV, insigne benefattore di questo tempio, presso al quale è sepolto il card. Ludovisi.

La tribuna dell'altar maggiore è pure opera del Pozzi, che colorì anco sulla tela la cupola finta, capolavoro di prospettiva, che venne poi cancellata e ricoperta di tela nera.

 p482  Stupendi sono gli affreschi della volta che rappresentano il trionfo di s. Ignazo nel cielo: dirimpetto a quella di s. Luigi v'è la cappella dell'Annunziata, di cui l'architettura è gemella, ma il bassorilievo è di Filippo Valle, sui disegni del Pozzi: sotto quest'altare, in un'urna preziosissima di lapislazzuli, riposano le ceneri dell'altro santo giovine, Giovanni Berchmans.

Il suddetto p. Domenico, nel ricordato documento, passa a discorrere dell'annesso Collegio romano, che egli così descrive:

"Ebbe origine il Collegio romano da s. Ignazio di Loyola nel 1551, nel qual tempo fu presa a pigione una casa sotto Campidoglio. Poco dopo si passò ad altra fa la piazza dei sigg. Altieri e la Minerva. In appresso cioè nel 1556 si condusse una casa dei sigg. Salviati congiunta per la parte di dietro con s. Maria in via lata. Ma nel 1560 incominciò ad aver luogo stabile per liberalità della sig. Vittoria Orsina marchesa della Tolfa e nipote di Paolo IV, la quale donò un monastero (Annunziatina) da lei edificato con altre case adiacenti come costa per li atti di Andrea Giraldi 22 aprile 1560. A questo sito fece grande accrescimento Gregorio XIII che non solo lo dilatò ma dal primo fondamento edificò la fronte ponendovi la prima pietra alli 11 di giugno 1582 e sotto di essa una ricca medaglia in cui erano queste lettere: Gregorio XIII edificò dai primi fondamenti e dotò il Collegio della compagnia di Gesù come seminario di tutte le nationi per l'amore che portò a tutta la cristiana religione e particolarmente alla compagnia di Giesù. In Roma l'anno del Signore 1582.

"Nel collegio vi si alimentavano sacerdoti 43, chierici 41, coadiutori temporali 38. Questo collegio ha cinque lunghi corridori con camere in tutto numero 158, oltre 10 altre in diverse parti del medesimo collegio. Ha l'infermeria con camere 16, il refettorio e cucina, dispensa et un'officina per l'infermi. Ha inoltre un appartamento per li giovani con camere ventitrè, cappella, sacrestia, salone, sala e libreria et una loggia scoperta. Vi sono per servitio comune due cappelle, due librarie, la biancheria con due stanze, solarìa, sartoria con tre stanze, dispensa con sette stanze, cucina con due, granari tre, macelli con tre stanze numero 4o, forno con stanze n. sette e magazzini di legna tre, stalle tre, bugata con stanze numero quattro, forno con stanzie numero sette, falegnameria, gallinaro, cantine due, grotta una, barbieria, tinello con una stanza, magazzino per l'oglio, sala, saletta, refettorio, lavamano, officine due per il refettorio, spetieria  p483 con stanze cinque, loggie scoperte due, galleria, cortili due porteria con stanze quattro, scuole num. quindici, un salone per la disputatione, e stanzie due per confessare scolari."

Il Collegio romano dal 1870 non esiste più: da quattro lustri non è che un liceo del regno d'Italia. È a questo collegio che si legano le memorie più care ed indimenticabili della mia infanzia e della mia gioventù: è in questo collegio che la gioventù ebbe quella forte educazione cristiana e romana, che per le circostanze tristi dei tempi non ricevono più i nostri ragazzi. Questo collegio fu pur un'accolta di uomini santi e dotti. Dio, nella sua misericordia, lo renda presto alla sua Roma!

S. Maria ad Martyres
(Chiesa della Rotonda)

Notissima è la storia dell'origine di questa chiesa, storia però a cui, nel volgere de' secoli, furono aggiunti dei racconti favolosi. Con gioia è da ricordare quel giorno in cui il monumento civile dedicato da Agrippa ai sozzi progenitori che l'adulazione avea attribuito ad Augusto, cioè a Venere e Marte, fu da Bonifacio IV trasformato, e, salvandolo da certa ruina, dedicato alla Regina del Cielo. Quel giorno le pareti del Pantheon, echeggiarono la prima volta degli inni a Cristo e dei martiri suoi, vincitori del paganesimo, e al suono del Gloria ond'era ripercossa la splendidissima volta con echi sonori, la fantasi dei romani potea, come scrive il Gregorovius, discernere i demoni atterriti, cercare nell'aria libera uno scampo, spertugiando per l'apertura della cupola.

Bonifacio IV consacrò alla ss. Vergine ed ai martiri il magnifico edifizio, ed a questa consecrazione va debitrice Roma del suo più bel monumento antico. Ma è tarda leggenda che Bonifacio mettesse a sacco le catacombe di Roma e caricate ventotto carra di ossa di martiri, le facesse seppellire sotto la chiesa. In quel secolo le tombe dei martiri non erano state aperte e nelle catacombe essi dormivano ancora il loro sonno secolare.

La consecrazione del tempio avvenne ai 13 di maggio fra gli anni 604 e 610, e la chiesa prese il nome di s. Maria ad martyres dalla dedicazione fattane. I romani, nei secoli di mezzo, furono gelosissimi di quel gioiello della città loro, cosicchè nel secolo XIII il senatore di Roma giurava di difendere e di conservare al papa Mariam Rotundam.​31

 p484  L'anno 645, Costantino III, venuto a Roma, ne tolse quanto di prezioso era avanzato alle depredazioni dei Goti, e, fra le altre cose, spogliò il tetto di questa chiesa coperto di tegole di bronzo dorato. I romani non risparmiarono frasi e satire contro il principe liberatore, e nella colonna Traiana e nel fornice del Velabro, detto l'arco di Giano, il ch. De Rossi ha scoperto graffiti relativi a quel Cesare. Benedetto II nel 684 risarcì come potè quei danni, siccome narra il libro pontificale, e nel 735 Gregorio III ricoprì di nuovo il tetto di piombo. Anastasio IV, nel 1153, edificò presso la chiesa un palazzo, e nelº 1434 Eugenio IV fece sgombrare il Pantheon, riducendo l'interno quasi ad isola l'edificio, al quale da ogni parte erano addossate case e torri; lavoro che con saggio e lodevole provvedimento fu compiuto testè dal prof. Guido Baccelli.

Pio IV ne risarcì le splendide porte di bronzo, e Urbano VIII ristaurò il frontispizio del portico nel 1634 facendovi edificare al disopra due goffi campanili, che nei surricordati recenti lavori furono tolti. Alessandro VII fece abbassare il piano della piazza e sostituì due nuove colonne di granito, trovate presso piazza Madama, a quelle che mancavano nell'angolo sinistro del portico.

Nobili sepolcri e memorie storiche si raccolgono entro il maestoso tempio: valga per tutte la tomba di Raffaello Sanzio, sulla quale si legge il noto distico del cardinal Bembo.

Bonifacio VIII eresse la chiesa in diaconia: in una delle sue cappelle per molti secoli si conservò la imagine del Volto santo entro una cassa chiusa da tredici chiavi, delle quali ciascun caporione teneva la sua. Presso alla chiesa, come ricordo l'anonimo di Torino, vi era nel secolo XIV l'ospedale S. Mariae Rotundae, che habebat duos servitores. Nel secolo XVI era ancora parrocchia che comprendeva 143 famiglie, in tutto 702 anime.

Fin dal secolo XIII però aveva il suo campanile, eretto per cura dell'arciprete Pandolfo della Suburra l'anno 1270. Di questo campanile e delle sue campane rimane memoria in una iscrizione situata a destra della porta della chiesa. Fra i sepolti nel medio evo in quella sono da ricordare Tommaso Matiglioni chiamato Scocciapila, morto con Angelotto Normanni nel combattimento contro i Brettoni al ponte Salario. Quell'epigrafe diceva:

† HIC REQVIESCIT CORPVS THOME MARTILIONIS DICTI ALIAS

SCOCCIAPILA QVI MORTVVS FVIT IN SERVITIO REIPVBLICE ROMANE

VNA CVM ALIIS ROMANIS INTVS PONTEM SALARIVM ANNO DNI

MCCCLVIII DIE SCAVI IVNII IN BICILIA S. ALESSII CVIVS ANIMA

REQVIESCAT IN PACE AMEN.​32

 p485  In quei secoli di fede rozza ed imaginosa si davano in questa chiesa due curiosi spettacoli religiosi. Il primo aveva luogo il giorno dell'Assunta, in cui con macchine ed altri congegni si faceva in mezzo a nubi ed angeli vaganti innalzare il simulacro della Vergine sull'alto della cupola ove si faceva artificiosamente scomparire. Il popolo traeva in folla a vedere quel meraviglioso spettacolo. Nella domenica poi detta della rosa, tra l'Ascensione e la Pentecoste, durante la messa solenne del papa, dall'apertura circolare della cupola medesima si faceva piovere sul popolo una quantità sterminata di rose a ricordare il miracolo della Pentecoste.

Qui pure furono sepolti i Crescenzi, che vi ebbero la loro cappella; i Vulgamini, i Rosana e alcuno dei Porcari. A destra, entrando, è la tomba di Vittorio Emanuele II, morto in Roma il 9 gennaio 1878.

S. Maria sopra Minerva

Questa chiesa fu detta s. Maria sopra Minerva, perchè edificata presso le ruine d'un tempio dedicato a quella dea, e fatto erigere, conforme taluni credono, da Pompeo Magno, in rendimento di grazie per le vittorie da lui riportare. Il tempio era presso l'Iseo Campense, ed anche il nostro di Minerva fu appellato forse campense per essere nel Campo Marzio. Fino al secolo XVI rimanea in piedi la cella entro l'attiguo convento, siccome attesta il Fulvio, dalla cui indicazione apprendiamo che il tempio era piccolissimo. Fu concessa dal pontefice s. Zaccaria circa il 750 alle monache greche di Campo Marzio, le quali, cangiando dimora, la lasciarono, forse perchè minacciava rovina. L'anonimo di Einsiedeln, che descrisse Roma nel secolo VIII, nota già il convento di s. Maria nel Minervium che il Signorili dice sub Minembrum. Il Senato e popolo romano nell'anno 1370, sotto il pontificato di Gregorio XI, la donarono ai pp. Predicatori di s. Domenico, i quali desideravano di avere un luogo proprio ed opportuno entro la città per meglio attendere al bene delle anime, giacchè l'abitazione assegnata loro da Onorio III sul monte Aventino riusciva di grave incomodo. Eglino dunque, profittando del dono, si applicarono subito a fabbricare una chiesa di quell'ampiezza che oggi si vede, insieme al convento annessole, e ciò fecero colle limosine di pii ed illustri personaggi. Niccolò III fece nel 1280 incominciare la riedificazione della chiesa per opera di frà Sisto e di frà Ristori, architetti di s. Maria Novella a Firenze. In seguito il convento stesso venne ristorato ed aggrandito dal card. Antonio  p486 Barberini; il coro fu edificato dai signori Savelli, e l'arco grande sopra l'altar maggiore dai signori Gaetani. La nave di mezzo si costruì a spese del card. Torrecremata; la crociera e le navi laterali da altri nobili e ricchi signori. La facciata fu edificata a spese di Francesco Orsini, ed il card. Capranica posevi la gran porta di mezzo. In processo di tempo, la tribuna minacciando di ruinare fu riedificata dai signori di Palombara, con architettura di Carlo Maderno. Sono osservabili nella facciata, da mano diritta, le lapidi indicanti le diverse altezze a cui salì il Tevere in questo luogo nelle maggiori sue inondazioni. L'architetto di questo edifizio non è conosciuto, pure si può asserire che la chiesa di s. Maria sopra Minerva sia la sola in Roma che nelle sue proporzioni, ed ispecie nelle volte, abbia conservato l'aspetto e le forme dell'antica architettura italiana, semplice (forse troppo!) e senza ornati di sorta. Essa ha quattro navi, una nel mezzo, due laterali a questa, ed una di crociera nel cui centro apresi la tribuna.

Allato all'altare dal canto dell'evangelo sta sepolto in terra frà Giovanni Torrecremata dell'ordine de' Predicatori, cardinale vescovo di Sabina, morto nel 1468, istitutore della confraternita della ss. Annunziata, la quale ivi appunto gli eresse un bel monumentino col busto in bronzo ed ornati simili. Dalla parte dell'epistola è un altro deposito, somigliante in tutto e per tutto al suddetto, posto nel 1568 dalla ricordata confraternita al suo insigne benefattore il card. Benedetto Giustiniani, vescovo sabinese. Nella nicchia, di rimpettoº al deposito di Urbano VII, sono parecchie memorie sepolcrali, e sull'alto una lunetta a fresco del Nebbia.

Ponendo il piede nel coro, che rimane dietro l'altare si veggono l'uno contro l'altro i due sontuosi depositi di marmo eretti a Leone X ed a Clemente VII di casa Medici, scolpiti ambedue da Baccio Bandinelli, salvo che la statua di Leone venne eseguita da Raffaello di Montelupo, e l'altra di Clemente da Giovanni di Baccio Bigio. Nel pavimento presso il deposito di Leone X è l'umil sepoltura del card. Pietro Bembo. Il Cristo in rilievo che sta dall'altra parte dell'altar maggiore è opera mirabilissima di Michelangelo Buonarroti. È questa l'unica statua michelangiolesca che Roma possegga del tempo di Leone X.

Oltre i monumenti sepolcrali da noi ricordati e i moltissimi che trovansi nelle cappelle, questa chiesa ne contiene parecchi altri sparsi per entro le sue cinque navi; per cui brevemente parleremo, se non di tutti, almeno de' più interessanti pel lavoro, o pei personnaggi a cui spettano. Appena si è po il piede nella nave di mezzo trovasi a diritta, accanto la porta,  p487  la sepoltura di Diotisalvi Neroni, cavaliere e giureconsulto fiorentino, il quale molta parte ebbe nelle faccende della patria, morto d'anni 81 nel 1482. È una gentile opera del secolo XV, stimabile per la semplicità e per la finezza degl'intagli, come pure per un affresco rappresentante Maria adorataº da due angeli: buona pittura di que' tempi, ma guasta dall'umidità, e forse ancora dai ritocchi. Da man manca è il monumento di Gio. Battista Galletti, patrizio pisano, con mediocri sculture, fra le quali un bassorilievo esprimente la sacra Famiglia. Nella faccia del primo pilastro a sinistra si osserva un deposito con ornati di scultura e col ritratto dipinto di mons. Girolamo Melchiorri, vescovo di Macerata, il quale intervenne al concilio di Trento, e morì l'anno 1583. Il pilastro in faccia contiene la memoria sepolcrale col busto in marmo di Bernardo Niccolini fiorentino. Il secondo pilastro pure a man manca ha il monumento di Pietro Scornio, patrizio pisano, mancato ai vivi nel 1514, ove si osserva il suo ritratto scolpito in un busto; di rimpetto vedesi quello di Girolamo Bottigelli dottor di legge morto nel 1515. Nel terzo pilastro è collocato il deposito di Cesare Magalotti fiorentino, prolegato dell'armata papale, vissuto fino al 1602; incontro evvi l'altro di Giovanni Vigevano piacentino, estinto nel 1630, e tutt'e due hanno il busto del defunto e varî ornati in marmo.

A fianco della cappella di s. Tommaso d'Aquino sta nella parete il nobil sepolcro di Guglielmo Durante, vescovo di Matisona, con un buon musaico ed alcuni lavori di scultura, oltre l'effigie del defunto giacente sopra una cassa di marmo, a' piedi della quale si legge in caratteri gotici con abbreviature † HOC EST SEPVLCRVM DOMINI GVLIELMI DVRANTI EPISCOP. MIMETEN. ORD. PRAED. Questa è una delle pregevoli opere di Giovanni Cosmato romano, scultore e musaicista famoso del secolo XII, e ne fanno fede queste parole incise sotto la citata iscrizione: † IOHAN. FILIVS MAGISTRI COSIMATI FECIT HOC OPVS.

Prima d'uscire dall'andito che mena alla porta minore della chiesa al lato della tribuna si trova nella parete, presso il sepolcro del card. Alessandrino, il modesto deposito del b. Angelico da Fiesole, il cui ritratto, vestito dall'abito domenicano, è scolpito di schiacciato rilievo in una tavola di marmo bianco, ed ai piedi ha questa scritta in una sola linea: HIC IACET VENERABILIS PICTOR FR. IO. DE FLO. ORDINIS PRAEDICAT. MCCCCLV; inferiormente poi leggonsi i seguenti distici:

NON MIHI SI TROVA LAVDI, QVOD ERAM VELVT ALTER APELLES
SED QVOD LVCRA TVIS OMNIA, CHRISTE, DABAM.
ALTERA NAM TERRIS OPERA EXTANT, ALTERA COELO:
VRBS ME IOANNEM FLOS TVLIT ETRVRIAE.

 p488  Ai fianchi della porta sono due monumenti di marmo bianco, lavori del secolo XV, nei quali è molta semplicità e molta grazia; quello a diritta è di Cincio Rustici, uomo versatissimo nel greco e nel latino idioma; l'altro a sinistra è del vescovo Agapito Rustici, anch'egli dotto nel linguaggio del Lazio. Scesi quindi di nuovo nella crociera si vede presso la cappella della Maddalena il gentil monumento del card. Ladislao di Aquino, il cui busto fu scolpito dal Mochi.

Dietro l'altare della sacrestia evvi la camera che abitò s. Caterina da Siena, ivi trasferita assieme alle pitture di Pietro Perugino, d'ordine del card. Antonio Barberini. L'affresco nella volta della sacrestia, rappresentante s. Domenico in una gloria d'angioli, fu condotto da Giuseppe del Bastaro; sulla porta osservasi un altro affresco, il quale esprime la memoria del conclave quivi tenuto nel 1431 per la elezione d'Eugenio IV, buon lavoro di Giuseppe Speranza; nello stesso luogo venne eletto il pontefice Niccolò V, l'anno 1447.

Congiunto alla chiesa v'era il grande e magnifico convento, oggi ridotto ad uso del ministero della Pubblica Istruzione e di altri uffici governativi, in cui è notabile un chiostro tutto dipinto a fresco, la facciata del quale, che resta a man diritta dell'ingresso, contiene nella prima arcata s. Domenico che dorme, dal cui petto escono i quindici misteri del santo rosario, opera di autore incerto; nella seconda si rappresenta l'Annunziazione di Maria, dipinta da Giovanni Valesio bolognese; nella terza la Visitazione di s. Elisabetta, di Giovanni Antonio Lelli romano; nella quarta il Presepe, di mano incognita; nella quinta la presentazione di Gesù al tempio, di Giuseppe Puglia, detto il Bastaro; nella sesta la disputa co' dottori, d'artefice incerto; nella settima la battaglia navale di Lepanto, combattuta sotto gli auspicî di s. Pio V, del detto Valesio. Nell'altro braccio di questo chiostro, nella prima arcata di fianco alla porticina in marmo del vescovo Gio. Solano dell'ordine de' Predicatori, morto nel 1581, e sonovi nelle pareti cinque antichi sepolcri dei generali dell'ordine stesso, che in altri tempi stavano nel pavimento del tempio), è il monumento di Astorgio Agnensi napoletano, cardinale di s. Eusebio, con ornati di scultura del secolo XV, sopra al quale vedesi una Madonna col b. Andrea Ansideo, di cui non si sa l'autore. Accanto v'è un altro monumento, assai vago per architettura, per finezza d'ornati, e per un bassorilievo d'ottima maniera, che rappresenta Maria Vergine col figliuolo in braccio, adorataº da due angioli: questo sepolcro fu eretto al card. Pietro Ferrici spagnuolo, del titolo  p489 di s. Sisto, morto nel 1487, la cui effigie giace distesa su di un'urna. Nella seconda arcata è una b. Vergine con una santa domenicana e il b. Giovanni Unghero, pittura di nessun conto; la terza contiene la porta che mette al convento; nella quarta è la Madonna con due santi, pittura poco buona; nella quinta, l'Orazione nell'orto; nella sesta, la Flagellazione alla colonna, e nella settima la Coronazione di spine, tutte e tre di mano sconosciuta. Nel terzo braccio del chiostro medesimo alla prima arcata è il portar della croce; nella seconda, Gesù crocifisso, opera di cui s'ignora l'autore; nella terza è posta la scala per cui s'ascende all'ospizio; nella quarta, s. Domenico sopra una porticina, lavoro di poco pregio; nella quinta vedesi l'ascensione di Cristo; nella sesta, la venuta dello Spirito Santo, e nella settima l'Assunta, tutte e tre di Francesco Nappi milanese:º queste storie però furono guastate per aprire una finestra nel bel mezzo di ciascuna. Nel quarto braccio sotto la prima arcata vedesi la Coronazione di Maria in cielo, dello stesso Nappi. Il Baglioni, nella vita di questo pittore, dice che vi dipinse anche la coronazione di nostro Signore e la risurrezione del medesimo; ma queste storie non vi sono più o forse saranno state nelle arcate seguenti che posteriormente vennero ridipinte. Nella seconda arcata osservasi s. Domenico e s. Francesco che si abbracciano, pittura sullo stile caraccesco, la migliore che sia nel chiostro. Le altre che seguono della vita di s. Tommaso d'Aquino sono lavori assai infelici. Le volte tutte di questo chiostro sono dipinte di grotteschi con molta bizzarria e franchezza.

Nello Stato temporale delle chiese di Roma dell'anno 1662 così si accenna alla nostra:

"Stato temporale fatto da f. Antonio Iacobucci Priore del soprado convento li 31 agosto.

"Questa chiesa fu concessa a detti padri dalle monache dell'ordine di s. Beneo. in Campomarzo con licenza di mons. vescovo di Orvieto fra Aldobrandino Cavalcanti dell'ordine. de' predic. vicario di Gregorio X l'anno quarto del suo pontificato fatto li 16 nov. 1275.

"Le sepolture sono da 104 con altre lapidi et antichità.

"Vi è annessa la cura delle anime che si esercita da un padre a disposizione del p. Priore pro tempore, quale è parroco. Il più antico libro che trovasi nella parrocchia circa li battesimi è del 1531, circa li matrimoni 1564, circa li morti 1575.

"In tutto sono case n. 98.

 p490  Cappelle.

"L'altare maggiore di mezzo dove sta il Ssm̃o senza altra imagine fu trasportato in sudo. luogo dalla Compagnia del ss. Sacro. con ordine e licenza di papi, dalla meda. viene provveduto di cera.

"Cappella di s. Maria Maddalena, è stata concessa già ai sigg. Alberini e poi Rondenini, è oggi libera del convento.

"L'altare di s. Giacinto è stato edificato dal sig. Andrea duca di Cere.

"La cappella di s. Geronimo è stata concessa a casa Porcari datale da Giulia moglie di Prospero.

"La cappella di s. Giacomo Apo. della comp. da ss. Annuntiata come heredi di Lucretia Salviati.

"La cappella di s. Vincenzo Ferreri fu concessa al card. Vincenzo Giustiniani.

"La cappella detta qui di s. Sebastiano et hoggi del ssm̃o Salvatore è stata concessa alla sig. Maffei.

"La cappella di s. Gio. Batt. è stata concessa al sig. Fabritio Nari.

"La cappella dell'Assunta è stata concessa al sig. Antonio Maccarono che l'edificò a fundamentis e dotò di 14 scudi l'anno.

"La cappella di s. Caterina da Siena, oggi del Rosario, fu edificata dal card. Angelo Capranica et ornata di pitture dalla comp. del Rosario che la mantiene, e Maria Trapesuntia la dotò d'un censo di sc. 32 l'anno.

"La cappella di tutti i santi è di Casa Altieri dotata da Madalena Corandutis di 4 pezzi di vigna fuori di porta s. Sebastiano per test. rogato da Lorenzo de Stalio l'anno 1426 7 luglio.

"La cappella di s. Tomaso d'Aquino, concessa al card. Oliviero Caraffa che la dotò di 13 case, è della felice memoria di Pio V.

"La cappella del Crocefisso fu concessa ad Antonio Toscanella.

"La cappella oggi detta di s. Rimondo è dei sig. Incoronati de' quali è herede il convento, antiquitus era di mons. Gio. Didaco de Coca che l'edificò.

"La cappella di s. Caterina v. e m. oggi con l'imagine di N. S. che ministra il s. Sacramento è di casa Aldobrandini, concessa a Clemente VIII da Madalena Orsini.
 p491  "La capp. della ss. Annuntiata fu.º edificata dal card. f. Gio. Torrecremata che lasciò per test. le due botteghe in campo di fiore hoggi permutate con le due in Pesceria.

"La capp. di s. Pietro m. fu concessa ad Ant. Gabrieli.

"La capp. della ss. Trinità detta oggi del nome di Dio fu concessa a casa Teobaldi e la fece edificare il card. Iacomo e Sigismondo Teobaldi.

"La capp. di s. Antonino, oggi detta di s. Domenico, da Pozzo è concessa alla sig. Caffarelli.

"L'entrata somma scudi 7223 e resta netta di sc. 6000 incirca.

"In questo convento sono stati da 90 religiosi incirca."

S. Maria de Scinda

Nelle adiacenze di s. Maria sopra Minerva era situata una chiesuola dedicata alla Madonna, la quale, per testimonianza del Signorili, era chiamata de scinda.

S. Chiara

Fu edificata con i disegni di Francesco da Volterra nel 1563 per ordine di Pio IV, a cui fu annesso un monastero, asilo di donne convertite. Queste vi rimasero fino al 1628, in cui furono trasferite in altro monastero presso la via della Lungara e sostituite da religiose clarisse. Nel 1814 anche queste monache vennero traslocate e la chiesa data alla confraternita di s. Gregorio Taumaturgo.

Trent'anni or sono crollò improvvisamente il soffitto della chiesa, ma questa è tornata al suo primitivo splendore per i grandiosi lavori fattivi in questi giorni dal collegio francese che la possiede e che l'ha decorata di una nobilissima facciata, con architettura del Carimini testè defunto.

S. Caterina da Siena

Dirimpetto alla chiesa di s. Chiara evvi il pio istituto dell'Annunziata. Il cardinale Torrecremata spagnuolo domenicano, istituì la confraternita sotto il titolo dell'Annunziata nella chiesa della Minerva, per dotare povere zitelle. L'amministrazione di questa arciconfraternita si trova in questo locale ove si vede l'insigne cappella di s. Caterina da Siena, già monastero di domenicane.

 p492 

Ss. Quaranta de Calcarario
(Sacre Stimate)

Quel tratto della via papale, detta poi de' Cesarini, ed ora Corso V. E., fa le chiese delle ss. Stimate e di s. Niccolò, chiamavasi Calcararium, perchè, come abbiamo accennato altrove, ivi erano i forni di calce o le calcare. Da questa contrada prese la denominazione la nostra chiesa, sull'area della quale fu poi edificata quella dedicata alle ss. Stimate di s. Francesco. Nel secolo XVI si chiamò anche dei ss. Quaranta de Leis da una famiglia di questo nome che ivi possedeva le sue case, come asserisce il Lonigo. Il Martinelli vuole che fosse pure dedicata a s. Marco, ipotesi che non giudico sufficientemente probabile.

Era fra le chiese della prima partita e servita nel secolo XIII da un sacerdote: ecclesia sanctorum Quadraginta de calcarariis habet unum sacerdotem. Fu distrutta dopo che nel 1595 vi si trasferì l'arciconfraternita delle sacre stimate di s. Francesco, istituita un ano prima in s. Pietro Montorio dal chirurgo Federico Pizzi. Fu riedificata la nuova chiesa colla denominazione delle ss. Stimate da Clemente XI, ponendone la prima pietra il nominato pontefice, che era ascritto alla compagnia. l diario vaticano del Terribilini si narra che nelle fondamenta ai 10 d'aprile si trovò una tessera di rame col nome di . . . . . imperatore, molte lucerne gentili, alcuni frammenti di lapidi, una medaglia di Giulia Pia e delle medaglie antiche dei secoli imperiali. In una delle cappelle minori della nuova chiesa fu mantenuta la memoria del culto dei ss. Quaranta, perchè a questi santi è dedicata, e sulla parete dell'altare v'ha una tavola in cui sono rappresentati, opera la migliore che uscisse dal pennello di Giacinto Brandi. Qui riposano le ceneri della madre dell'attuale pontefice Leone XIII, il quale a sue spese ha fatto restaurare una delle cappelle della medesima.

Sacre Stimate di S. Francesco

(v. Ss. Quaranta)

S. Niccolò de Calcarario

Of è s. Niccolò a' Cesarini sulla via e piazzetta omonima. Il Terribilini​33 scrive che era congiunta al palazzo di monsignor Cesarini e che all'epoca sua diceasi s. Niccolò de' calzolari; il  p493 che io credo si dicesse per corruttela del vocabolo Calcarario, essendo in quella contrada le calcare, cioè le fornaci per la cottura della calce.​34

In un documento del 1369, cioè in un censuale della basilica vaticana, è denominata la chiesa suddetta in quel modo medesimo; vi si dice: Franciscus Pucci notarius de regione Campitelli donat Dominae Lellae filiae D. Nicolai de Buccamatis unum accasamentum sive palatium in parochia s. Nicolai de Calcariis vocatum el palazzo novo. Nel secolo XI non solo diceasi de calcarario, ma vi si aggiungeva anche in regione vineae Thedemarii.

La chiesa fu riedificata nel 1611, poi nel 1695, allorchè fu da Innocenzo XII affidata ai pp. Somaschi, ai quali tolse la chiesa di s. Biagio a Montecitorio, stata demolita per la fabbrica della Curia innocenziana, adesso aula del Parlamento.

Nel secolo XIV era della terza partita ed aveva sacerdotem et clericum. Nel cortile dell'annessa casa e convento vi sono insigni avanzi del famoso tempio di Ercole Custode, celebrato già dai versi di Ovidio.​35

Cencio Camerario appella la chiesa calcararium, e il Signorili de Calcarario, perchè, siccome abbiamo detto, in quella via erano i forni di calce destinati a trasformare in cemento gli avanzi della grandezza romana, cioè i monumenti che non i barbari ma i degeneri romani del secolo X in poi demolivano e trasformavano in cave di materiale da far calce!

S. Lorenzo de Calcarario

Anche questa chiesa è assai antica, poichè l'abbiamo fra quelle notate dal Camerario. La sua denominazione le provenne già dalla contrada nella quale sorgeva, cioè le adiacenze della via Cesarini (corso V. E.) non lungi dal palazzo dei Cesarini, poi Vitelleschi: strada che dai forni di calce che vi esistevano si disse delle Calcare. Più anticamente appellavasi in Palatinis, o anche de Pallacinis, del cui nome antichissimo abbiamo già parlato. Il libro pontificale nella biografia di Adriano I ricorda che questo pontefice restaurò la nostra chiesa, affidandola ad alcuni monaci che doveano salmodiare in quella di s. Marco; ne è fatta menzione anche nelle biografie di Leone III, di Gregorio IV, e di Benedetto III. Il Grimaldi ci dà l'indicazione topografica quasi precisa della medesima, scrivendo che  p494 era quasi dirimpetto al palazzo Mattei, e che fu distrutta nella fabbrica del monastero di s. Caterina dei Funari.

Vicino v'era un monastero detto di s. Stefano in Baganda, di cui si fa menzione in una bolla di Celestino III.​36

La chiesa era anche detta in pensili, ovvero in palco.

S. Lucia de Calcarario
(S. Lucia de' Ginnasi)

Anche questa chiesuola sorgeva sulle rovine del Circo Massimo, dai cui fornici prese il nome la contrada ad apothecas obscuras, benchè ai tempi dell'Albertini più correttamente si denominasse in porticis obscuris. Circa il 1630, il cardinale Domenico Ginnasi comperò le case annesse alla chiesuola, dove eresse un collegio cui dette il nome, e nel quale volle si educassero agli studî dodici giovani di Castelbolognese, sua patria. Più tardi fondò ivi un monastero di monache teresiane che furono poi trasferite presso i ss. Marcellino e Pietro nella via Merulana, il che avvenne sotto il pontificato di Urbano VIII. Caterina Ginnasi, nipote del suddetto cardinale fondatore, assai esperta nell'arte della pittura, è l'autrice di tutti i dipinti che adornano la chiesa medesima, che essa condusse sui disegni del suo maestro Lanfranco. Il Lonigo asserisce che la chiesa si chiamava anche ad arcum obscurum ovvero de pinea; il Camerario la nota fra quelle che ricevevano il consueto presbiterio. Trasferite altrove le monache, presso la chiesa medesima, come narra il Lodi, fu istituita una compagnia di sacerdoti secolari, la quale vi manteneva un ospedale per i sacerdoti poveri infermi o pellegrini, ove più tardi risiedette anche il Collegio irlandese. Ai giorni di Alessandro VII, la parrocchia aveva soggetti fuochi ossia famiglie 184. Il Suarez nelle schede barberiniane (38‑100), riporta un frammento d'antica epigrafe che egli lesse a piè della chiesa nel pavimento, dal quale però non si ricava alcun senso: . .SBITER HOC IAC . . . RPORIS EXPERTV . . . ARITER PEDIBVS. Il suo più antico nome a noi conosciuto è quello de calcarario. Infatti così è ricordata nel codice di Torino fra le chiese della terza partita: Ecclesia sancte Lucie de calcarario habet sacerdotem et clericum. Ho altrove accennato l'etimologia di questa denominazione, cioè dai forni di calce, calcare, che erano nella contrada, più tardi detta dei Cesarini. Ai tempi del Martinelli si appellava s. Lucia antica; oggi è chiamata s. Lucia dei Ginnasi.

 p495  Eccone la relazione, che ho trovato nello Stato temporale delle chiese di Roma l'anno 1660:

"È posta nel rione Pigna sotto il palazzo de Ginnasii che fa angolo nella piazzetta contro il palazzo dell'Em̃o Card. Vicario: ha due porte, la maggiore verso la piazzetta e l'altra di fianco nella strada delle Botteghe Oscure. Non si ha memoria della sua fondazione. È longa palmi 91, larga p. 30, alta p. 56. Vi sono due sacristie, una a mano sinistra che serve per uso di monache, l'altra a mano destra che serve per il curato. Ha due cappelle a volta nei suoi due lati: vi è l'altare del ss. Crocefisso dove dette monache hanno una ruota, a mano destra vi è l'altare dei ss. Biagio et Ambrogio, nella qual cappella l'università dell'arte della lana vi suole celebrare la festa di detti santi, et ivi è un bellissimo deposito della bo: me: del card. Gennasio, e di contro quello della q. Faustina Gottardi cognata del detto card.

"A capo della chiesa vi è l'altare di s. Lucia e sopra un quadro della cena di N. S. Vi sono 6 sepolture per le defunte della Parrocchia. In detta chiesa v'è anco il cemeterio.

"Contiguo alla detta chiesa e in parte del palazzo superiore a quella, nell'anno 1629 fu eretto il monastero delle monache dette del Corpus Domini dell'ordine di s. Teresia sotto la protezione dell'Em̃o sig. card. Decano, alle quali monache si dice per concessione di pp. Urbano VIII sia stato concesso l'uso perpetuo di detta chiesa; si vagliono delle proprie campane diverse da quelle della chiesa. Havvi il cemeterio nel proprio monastero.

"La chiesa ha la cura delle anime annessa che si esercita da un curato perpetuo da nominarsi dalla compagnia de sacerdoti secolari alla quale per bolla di s. Pio V l'anno 1566 fu concessa detta chiesa con l'amministratione dell'entrate di essa. A questa chiesa Gregorio XIII 4 novembre 1578 unì la soppressa chiesa di s. Salvatore in Pensulo ossia de Polacchi. La Parrocchia ha tra case e famiglie il n.o di 200 anime compresivi li monasteri 1150.

"Vi fu unita pure la chiesa parrocchiale de' ss. Quaranta, soppressa da Clemente VIII."

S. Salvatore de Gallia o de Calcarario

Abbiamo altrove accennato che la denominazione topografica delle calcare ci richiama alle adiacenze del circo Flaminio laddove sorgono tuttavia le chiese di s. Niccolò e delle ss. Stimate.

 p496  Dal codice di Torino risulta che era piccola ed abbandonata, non habet servitorem. Dal Signorili è comunemente detta de Gallia, il quale nome si riferisce ai Francesi che la possedettero fino all'anno 1478, in cui permutarono questa chiesa con quella di s. Maria de Cellis, per l'erezione della nuova loro chiesa nazionale.

L'Adinolfi cade in gravissimo abbaglio confondendo questa chiesa, che era nella regione delle calcare, con quella di s. Salvatore di Camilliano presso s. Maria in via Lata.​37


Note dell'autore:

1 De Rossi, Inscr. christ., tom. I, pag. 62.

2 Pro Xextoº Roscio Amer.

3 Stevenson, Les tuiles de plomb de la basilique de s. Marc. — Il Muntz ha trovato il testo del contratto stipulato con Rainaldo di Lorenzo fiorentino per rifare quel tetto.

4 De Rossi, Bull. di arch. crist. 1875, pag. 125.

5 Bartolini, La sotterr. Confess. della rom. bas. di s. Marco, 1844.

6a 6b C. I. L. VI, 1772, 73.

7 Galletti, Cod. Vat. O, tom. IX.

8 Adinolfi, II, 354.

9 Arch. de' Brevi, giugno 1582.

10 Mabillon, Mus. ital., II, 143.

11 Urlichs, Cod. top. U. R., 145.

12 Marini, Papiri Diplom., 38 e seg.

13 Martinelli, pag. 336.

14 O. c., pag. 363.

15 Bruzio, XXI, 159.

16 Tom. III, pag. 159.

17 Ed. Vignoli, tom. II pag. 283.

18 Tom. III, pag. 179.

19 Theatr. Urbis Romae, MSS. Arch. Secr. S. S., tom. XVIII, pag. 808.

20 Ughelli, It. sacra, tom. I, fol. 120.

21 Cod. Vallic. G. 19.

22 Cod. Vatic. 7871.

23 Arch. Vatic., XVIII, pag. 812.

24 Adinolfi, Roma nell'età di mezzo, II, pag. 298.

25 Martinelli, Primo trofeo della Croce, 108.

26 Bruzio, tom. XVIII, pag. 414.

27 Cancellieri, Il mercato, pag. 212.

28 Loc. cit. in nota.

29 Memmi, Notizie istoriche dell'origine e progresso dell'oratorio della ss. Comunione, e degli uomini illustri che in esso fiorirono. Roma, 1730.

30 Arch. Vat., I, 489.

31 Mabillon, Must. Ital., II, 215.

32 Adinolfi, op. cit., II, 409.

33 Ms. Casanatense, tom. IX, ex MSS. Panfil. pag. 301.

34 Cancellieri, De secr., tom. II, pag. 897.

35 Fast., lib. VI, v. 209.

36 Martinelli, op. cit., pag. 365.

37 Adinolfi, op. cit., II, 301.


[ALT dell'immagine: HTML 4.01 valido.]

Pagina aggiornata: 19 feb 21