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R. Campomarzio
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Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

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R. Parione

 p345  V. RIONE PONTE

S. Apollinare in Archipresbyteratu
(S. Apollinare)

Molte chiese furono in Roma dedicate a questo illustre vescovo e martire ravennate, ma erano quattro le principali.

La nostra che sorge presso lo stadio di Severo si vuole fondata sui ruderi d'un tempio di Apollo. La prima menzione della chiesa l'abbiamo nella biografia di Adriano I nel libro pontificale. Veramente l'Ugonio ricorda che nelle fondamenta della chiesa di s. Agostino situata presso la nostra fu scoperto un rudero grandioso, che poteva benissimo appartenere ad un tempio profano e che egli, non sappaimo con quale ragione, attribuisce a quello di Apollo. Il papa Adriano I circa l'anno 780, edificò adunque questa chiesa, e vi aggiunse, dicesi, un monastero per i monaci basiliani fuggiti dalle persecuzioni di Leone Isaurico; il che non si concede dall'Adinolfi, il quale crede sia questo un equivoco preso da alcuni scrittori, che confusero la chiesa di s. Apollinare pso lo stadio di Severo con un'altra esistente presso il Vaticano. Cencio Camerario nota che al suo tempo v'erano dei preti ai quali nella solennità del turibolo si davano dal papa diciotto denari di presbiterio. Egli è certo che nel secolo XIII la chiesa era governata da un capitolo secolare di canonici, fra i quali in un documento del 1281 si nomina un cotale Egizio canonico di s. Apollinare. Anche in un documento del 1465 è menzionato il capitolo di questa chiesa ed il suo arciprete, dalla quale dignità credo traesse la denominazione in  p346 archipresbyteratu​JJJ Alla fine del secolo X il cardinale protettore del capitolo diceasi Protector ordinis s. Apollinaris. Leone X eresse la chiesa in titolo, e primo titolare ne fu il cardinale Pallavicino, denominato il cavalicense. Sisto V tolse il titolo alla chiesa. Sull'architrave della porta maggiore della medesima si leggevano i seguenti versi:

CVRRITE CHRISTICOLAE TEMPLVM INGREDITAE CVNCTI
SI TROVA PAX INTRANTI, REDEVNTI GRATIA SANCTI.

La chiesuola era divisa in tre piccole navi da tre colonne per lato, aveva una nave traversa nel fondo, e la conca dell'abside era ornata di musaici; coll'altare isolato nel mezzo, sotto al quale vi erano le reliquie dei martiri Eustrazio, Bardario, Eugenio, Oreste ed Eusenzio. Fra la porta e la chiesa v'era un piccolo portichetto che tenea luogo dell'antico atrio basilicale, ed in una parte v'era la santa imagine della Vergine che ivi ancora si venera. Iniziatore del culto di quella imagine fu il cardinale d'Estouteville nel 1484, il quale vi fece porre un altare di legno innanzi e volle che i canonici di s. Apollinare vi celebrassero la festa nel giorno dell'Assunta.

Allorchè sotto Alessandro VI le soldatescheº di Carlo VIII attraversarono Roma per la spedizione di Napoli, alcuni di quei soldati, essendo rigido il verno, si raccolsero in quel portico ad accendere fuochi e menarvi baldoria, onde fu dissacrato il sito e coperta di calce la imagine, che rimase così nascosta fino ai 13 di febbraio del 1645, quando scossa dal terremoto la parete sulla quale era dipinta, ne cadde la calce, e scoperta di nuovo incominciò ad essere dal popolo solennemente venerata. In questa chiesa era la sepoltura gentilizia della famiglia dei Sanguigni d ebbero ivi presso la loro casa e torre che tuttora ne serba il nome. La chiesa mantenne la forma antica quale abbiamo descritta fino ai tempi di Benedetto XIV, che la fece riedificare con architettura del Fuga insieme all'annesso palazzo. La volta della chiesa fu dipinta da Stefano Pozzi: l'altare maggiore è ricco di marmi e metalli dorati: il quadro rappresenta il santo titolare ordinato vescovo di Ravenna da s. Pietro. Innanzi la cappella di s. Ignazio vi è la lapide sepolcrale del celebre letterato ed archeologo, Francesco Antonio Zaccaria morto nel 1795. Nel sotterraneo del presbiterio vi è la cripta e l'altare dei ss. martiri Eustrazio e compagni. Fra le cappelline ed oratorî che si trovano entro l'annesso seminario romano ed ufficî del Vicario, sono degne di  p347 menzione quella moderna dellalipsanoteca a goffia di piccola basilica in cui si custodiscono molte reliquie di martiri ed oggetti tolti dalle catacombe romane; e quella dedicata alla Madonna ssm̃a detta della Fiducia, in cui si venerau divotissima imaginetta della Vergine, appartenuta alla venerabilie Maria Fornari.

Il papa Giulio III, Del Monte, diede la chiesa a s. Ignazio da Loyola che vi fondò il collegio germanico, pel cui uso Gregorio XIII edificò i due palazzi annessi; nell'archivio de' Brevi si conserva quello con cui il papa concesse la facoltà, protectoribus collegii Germanici capiendi possessionem ecclesiae s. Apollinaris ac adnexorum et bonorum quorumcumque eidem collegio applicandorum. Leone XII vi pose il seminario romano con la residenza del cardinal vicario e della sua curia.

S. Aniceto

Questo insigne e monumentale oratorio che gode i privilegî di una chiesa pubblica, è l'antica cappella del palazzo Altemps, oggi proprietà dei SS. PP. AA. Le pareti e la volta sono adorne di pitture pregevoli del Leoni e del Pomarancio. Sull'altare vi è una imagine della Vergine dipinta in tavola, creduta opera di Raffaello. Ivi si dice che si conservino le reliquie del papa Aniceto collocatevi dagli Altemps sotto il pontificato di Clemente VIII. Nell'annessa sacrestia vi hanno molte e preziose suppellettili, fra le quali una ricca pianeta, usata già da s. Carlo Borromeo.

S. Maria in Posterula

"La chiesa di s. Maria dell'Orso, scrive il Martinelli, anticamente in Posterula è sulla riva del Tevere nel rione Ponte vicino all'ospizio all'insegna dell'Orso che dà il nome a questa strada."

È assai antica, poichè il Camerario, che la ricorda con la detta denominazione, la pone nel novero di quelle che ricevevano il presbiterio. Anzi secondo l'opinione del Grimaldi questa chiesa fu in origine dedicata a s. Agata, e la troviamo già esistente nel secolo IX. Infatti il Libro pontificale, ricordando una inondazione  p348 del Tevere sotto i pontificato di Niccolò I (a. 858‑867) scrive che il fiume, ingressus est per posterulam quae appellatur s. Agatae in urbem Romam. La posterula di cui qui si parla, era una delle quattro porte che si aprivano nel muraglione che, costeggiando il Tevere, chiudeva la città dalla porta Flaminia fino al ponte s. Angelo. Era annesso alla chiesa il collegio Celestino fondato l'anno 1626 dai monaci Celestini, religione estinta nel principio di questo secolo. Vi era sepolto il celebre Francesco Valesio, somo per la sua erudizione medievale, non meno che per le sue stravaganze. Ecco la descrizione di questa chiesa che trovo nello Stato temporale delle chiese di Roma, fatta dall'abate procuratore generale dei Celestini, don Vincenzo Spinelli, l'anno 1662: "La venerabile chiesa di s. Maria in Posterula ha il coro, l'organo, la sagrestia, il campanile con due campane. Ha due altari cioè il maggiore della Madonna ssm̃a, e l'altro dei ss. Biagio, Stefano e Lorenzo. Tre sepolture due nella chiesa per li secolari et una nella sacrestia per li monaci et sacerdoti. Ha annessa la cura delle anime che si esercita da un curato regolare da nominarsi dall'Abbate pro tempore del collegio e da approvarsi dal card. Vicario. Tutta la parrocchia contiene case num. 80. Famiglie num. 171 et è membro di s. Lorenzo in Lucina: ha un'entrata di scudi 795 baiocchi 75: La via sulla quale sorgeva la chiesa, fin dal secolo XV vien detta dell'orso, dall'insegna dell'antico storico albergo; quella strada faceva parte dell'itinerario percorso dai papi e detto nel medio evo via pontificum, da non confondersi colla via papae. Quella strada fu lastricata da Sisto V, per cui ebbe per qualche tempo il nome di via Sistina. Non lungi di là sorgeva un antico deposito medievale delle grascie e dei grani detto Turris Annonae, corrottamente dal popolo appellato fino ai nostri dì Tor di nona. Questo storico luogo divenne poi carcere di Stato e finalmente teatro regio. Chiesa, torre, teatro, strada sono disparse da pochi anni per i lavori dei grandi muraglioni del Tevere.

La chiesa, oltre il nome di s. Maria i Posterula, ebbe anche quello, nei secoli del medio evo, di s. Maria de Ursis, per la ragione su indicata.

S. Maria de Ursis (v. S. Maria in Posterula)

S. Agata in Posterula (v. S. Maria in Posterula)

 p349 

S. Biagio della Tinta

Prese questo nome dalla contrada ove i tintori tenevano le loro botteghe nel secolo XVI. Il Martinelli scrive che era chiamata dei Galletti e la troviamo anche nominata nel catalogo delle chiese fatto sotto Pio IV, fra quelle della contrada dell'Orso. Perciò anche questa fu appellata de Posterula, ed uno scrittore del secolo XVI scrive che sorgeva ubi nunc est stabulum baroncelli (bargello) urbis. Dipendeva dalla chiesa di s. Lorenzo in Lucina, e nel 1582 la sua parrocchia era formata di trenta famiglie. Io sospetto che questa chiesa sia la medesima che il Camerario denomina anche Milonis Saraceni.

Sotto il pontificato di Leone X, o poco prima, dovette essere restaurata, perchè in quegli anni si chiamava s. Biagio Nuovo. Infatti in un documento che si riferisce al suddetto pontificato si legge la seguente notizia: "ad Andrea Guidoni chierico di Modena cameriere segreto di Leone X concessione di sito per fabbricare s. Salvatore di Locereo."

S. Biagio Milonis Saraceni (v. S. Biagio della Tinta)

S. Salvatore in Primicerio
(Sd. Trifone e Camillo)

Questa antichissima chiesuola sta presso la piazza Fiammetta, benchè oggi sia più comunemente conosciuta col nome di s. Trifone, poichè nel 1604 vi prese stanza la compagnia del ss. Sacramento denominata dei ss. Trifone e Camillo, dopo che fu distrutta la chiesa di s. Trifone posseduta dalla medesima. Fu edificata e consacrata da Pasquale II l'anno 1113, e la sua denominazione ricorda una delle più antiche dignità della Chiesa romana, cioè il primicero della medesima. Aveva i sei denari di presbiterio come registra il Camerario; corrottamente nel secolo XVI si chiamava s. Salvatore di Locereo. Nel 1694  p350 fu chiusa. Nell'interne vi sono tre altari e conserva ancora la iscrizione di Pasquale II che ricorda la sua fondazione e il catalogo delle reliquie che vi furono poste.

S. Trifone in Posterula

Secondo il Terribilini fu edificata dal celebre Crescenzio, il formidabile prefetto di Roma, circa l'anno 957, sotto il pontificato di Giovanni XII. Dalla vicinanza alla contrada delle posterule era chiamata iuxta posterulas. Stava infatti presso la via oggi chiamata della Scrofa. Nel codice di Torino è scritto ecclesiae s. Triphi est capella Papae, habet fratres ordinis heremitarum XXV. Fu atterrata quando venne edificato il nuovo convento di s. Agostino, oggi sede del ministero della marina. In questa chiesa celebravasi la stazione il quarto giorno di quaresima, che fu poi trasferita a s. Salvatore in Primicerio. Fu anche titolo cardinalizio, ma venne poi trasferito a s. Salvatore, che lo ritenne fino a s. Pio V nel 1566, il quale glie lo tolse per darlo a s. Agostino.

S. Trifone a Piazza Fiammetta (v. S. Salvatore del Primicerio)

S. Simeone in Posterula
(S. Margherita)

Questa chiesolina sorge sulla piazza Lancellotti ed è assai antica, poichè è ricordata da Cencio Camerario, dall'anonimo di Torino e dal Signorili. era dedicata al santo profeta ricordato nelle sacre carte. Fu titolo cardinalizio fino a Sisto V; anzi il suddetto ne fu l'ultimo titolare prima della sua assunzione al papato. Fu poi riedificata dal card. Girolamo Lancellotti nel 1610. Il Lonigo nel suo catalogo dice che è chiesa molto antica, vicino al palazzo del duca d'Acquasparta; era parrocchiale, e nel 1582 la parrocchia era composta di 110 famiglie. Vi fu sepolto nel 1380 Iacobellus de Ursis. La chiesolina, per essere ufficiata dall'archiconfraternita di s. Margherita, è più comunemente conosciuta col nome della celebre santa di Cortona.

La contrada adiacente alla chiesa, nel secolo XIV si chiamava Scortecchiaria, nome che si stendeva di là fino alla odierna piazza Madama, perchè ivi erano le botteghe dei scorticlarii, cioè conciatori di pelle.

 p351  S. Giovanni Decollato

Era il titolo di una chiesolina posta sulla piazza del ponte s. Angelo presso le carceri di Tor di Nona. Era dedicata a s. Giovanni Battista, perchè in quella si portavano i condannati all'estremo supplizio, che subivano sul prossimo ponte, onde ricevervi gli ultimi conforti di religione.

S. Maria Maddalena

Sulla piazza del ponte s. Angelo il papa Niccolò V avea fatto innalzare un oratorio dedicato a s. Maria Maddalena, il quale vi rimase fino ai tempi di Clemente VII che lo fece atterrare.

Ss. Innocenti

Ai ss. Innocenti era pure sarà una piccola cappellina di pianta circolare che si ergeva sulla testa del ponte s. Angelo al di qua del Tevere, gemella a quella di s. Maria Maddalena, e che venne coll'altra fatta demolire da Clemente VII. Erano state erette ambedue sotto il pontificato di Niccolò V siccome monumento ricordativo ed espiatorio dell'orribile catastrofe avvenuta l'anno 1450 al ponte suddetto, sul quale, essendo gremito di popolo che accorreva alla basilica di s. Pietro pel giubileo badito in quell'anno, rimasero schiacciate e soffocate duecento persone per uno scompiglio avvenutovi, avendo paventato la nula che cavalcava il cardinale di s. Marco. Presso le due edicole era il recinto in cui si faveva la giustizia nel secolo XV, e vicino a quel serraglio era il mercato del paese.

S. Stanislao

Secondo il Martinelli, non lungi dalle due cappelle anzidette, era anche un oratorio di s. Stanislao dedicato all'illustre santo polacco. Questa chiesa è ricordata anche dallo Scotto nel suo itinerario; ma non ne fa menzione verun altro scrittore.

 p352 

S. Stefano de Pila ovvero de Ponte

Il Camerario, nel suo catalogo, ricorda una chiesa di s. Stefano denominata in quell'epoca de pila. Dovea stare non molto lontano dal Castello di s. Angelo, perchè in una bolla di Urbano II di conferma delle chiese filiali sotto a s. Lorenzo in Damaso, trovo fra le medesime s. Stefano de ponte. Nel secolo XIV era ufficiata da un solo prete, come abbiamo dal catalogo di Torino, ove si legge: habet unum sacerdotem. Il Fonseca, seguito dall'Adinolfi, crede che fosse questa l'appellazione più antica di una chiesa da poco tempo distrutta, che ebbe anche altri nomi, fra i quali quello di s. Maria della Purificazione in Banchi. S. Maria in Candelora
(S. Maria della Purificazione in Banchi)

L'Adinolfi ricorda una chiesuola detta in Candelora ovvero in Cannellorain Ceriola fra quelle del rione Ponte. Questa chiesa ha esistito fino a poco tempo fa, perchè fu distrutta pel prolungamento dell'irregolarissimo stradone chiamato Via Nazionale, o Corso Vittorio Emanuele: era chiamata s. Maria della Purificazione dei Transalpini, ovvero delle Quattro Nazioni. Era assai antica e certo anteriore al secolo XIII. Eugenio IV nel 1444 la concedette alla confraternita dei transalpini: nel soffitto vi era dipinta la Circoncisione, opera del Signorili sclaro di Giulio Romano. La porta della chiesuola era del secolo XV e alle due bande esterne vi si vedevano sporgere due mezzi leoni di marmo che erano uno degli ornamenti architettonici del periodo cosmatesco e seguente. Si trovava precisamente sull'angolo delle vie del Consolatodei Banchi Vecchi.

S. Giovanni de' Fiorentini

L'Università della nazione fiorentina e compagnia della Pietà di Roma ottenne licenza da Leone X di fabbricare una chiesa parrocchiale so l'invocazione di s. Giovanni Battista con il fonte battesimale, come per bolla 29 gennaio 1519. In vigore di tale concessione, fu incominciata la fabbrica di questa  p353 chiesa sulla riva del Tevere a capo di strada Paolina, chiesa che era lunga palmi 185, larga palmi 85 ed alta palmi 143 con 13 cappelle. La compagnia della Pietà, composta di buoni fiorentini, di cui qui si parla, ebbe origine in Roma nel 1448 in occasione di pestilenza, affine di seppellire i corpi degli appestati che rimanevano insepolti per le strade. Cessato il morbo, questa compagnia si costituì definitivamente, cambiando il primitivo saco nero in altro di colore azzurro.

La parrocchia nel secolo XVII comprendeva in tutto case e famiglie 221. Fu scelto quel luogo perchè era nel secolo XVI la contrada in cui dimoravano i Fiorentini, e vi tenevano i loro banchi e dove risiedeva il Consolato, specie di tribunale presso i connazionali da cui prese il nome la via del Consolato. Autore del disegno della chiesa, fu Iacopo Tatti, detto il Sansovino, che presso la riva del fiume fece accumulare una enorme quantità di sabbia, onde poter ampliare l'area della chiesa stessa. Il lavoro fu compito assai tardi, cioè sotto Clemente XII, che fece terminare la facciata con i disegni del Galilei. Clemente XII assegnò a vantaggio della fabbrica i beni confiscati al Benozzi. Ivi sorgeva un'antica chiesuola dedicata a s. Pantaleo, che fu demolita per la nuova fabbrica.

Il Buonarroti avea preparato i disegni della chiesa, di cui si conservò il modello nel vicino oratorio fino al 1720; il progetto michealangiolesco non venne eseguito perchè troppo costoso. Nell'altare della crociera v'è un quadro di Salvatore Rosa rappresentante i due santi Cosma e Damiano; l'altar maggiore è architettura di Pietro da Cortona, ma proseguito da Ciro Ferri. Il Lanfranchi dipinse la volta. In questa chiesa è sepolto Carlo Maderno, nipote di Domenico Fontana, che architettò la facciata della basilica vaticana.

Sulla porta della sacrestia entro una nicchia, opera del Sansovino è stata posta recentemente una insigne statuetta marmorea del Battista, attribuita al famoso Donatello, e che era rimasta fino ai giorni nostri dimenticata e negletta nei sotterranei della vicina chiesuola, ora demolita, di s. Orsola della Pietà.

Appresso alla chiesa, santificata dalla dimora e dal ministero di s. Filippo Neri, che ne fu rettore, nella casa annessa rimangono ancora intatti la cucina ed il refettorio che appartenevano al sodalizio dei compagni del grande santo fiorentino. Sull'architrave della capa vi si legge l'epigrafe scritta già col carbone ed oggi sostituita da altra in color nero dal famoso cardinale Cesare Baronio che il santo impegnava in quell'umile esercizio: CAESAR BARONIVS COQVVS PERPETVVS. Nel refettorio restano ancora al posto le tavole e le mense ove sedevano quei primi grandi discepoli  p354 di Filippo, costruiti quali egli riformò i corrotti costumi dei suoi contemporanei. In questo medesimo refettorio è stato trasportato il pulpito che era nella chiesa, dal quale parlava il Neri delle cose di Dio colla sua potente famigliarità ai suoi uditori.

S. Pantaleo Affine

Il Bovio, per errore, scrisse che questa chiesa era situata nel rione della Regola e che chiamavasi anche in onda, ma l'Adinolfi giustamente osservò che sorgeva nell'area occupata posteriormente da quella di s. Giovanni de Fiorentini.

Si dubita dagli eruditi dell'origine della denominazione affine, che il Fonseca ed altri credono corruttela della voce ad flumen. Era filiale di s. Lorenzo in Damaso, poi fu sottoposta a s. Celso; ivi risiedeva il consolato dei barbieri, e nel 1411 fu data alla confraternita dei ss. Cosma e Damiano. Dovette essere assai antica, perchè ricordata nel catalogo di Cencio; fu restaurata nel 1343.

S. Orsola della Pieta

In antico questa chiesa era congiunta con vincolo di dipendenza alla vicina di S. Stefano del ponte, ma venne emancipata nel 1444 da Gregorio IV. Ebbe parecchi nomi, guastati però dal popolo che la chiamava s. Orsa, s. Orso, s. Orsola; anzi in una bolla di Urbano II è chiamata s. Orso de ponte, poi fu chiamata ss. Orso e Tommasos. Tommaso de' Mercanti.

Fino alla sua demolizione, accaduta sono già due anni, l'oratorio dell'arciconfraternita della Pietà dei Fiorentini si trovava nel vicolo del Consolato. Fu concessa ai medesimi da Clemente VII nel 1526 che perciò tolse alla chiesa il peso della cura e lo dette alla vicina di s. Giovanni. Era assai antica perchè ricordata dal Camerario; nel libro De mirabilibus urbis Romae del secolo XII è centro: secretarium Neronis fuisse ubi deinde fuit ecclesia s. Ursi.

era pregevole per pitture di autori eccellenti, poichè le pareti erano state dipinte dal Sermoneta, la volta da Taddeo Zuccari, il 1o dell'altare dal Sicciolante. Il codice di Torino  p355 la chiama di s. Orso; nel secolo XIV era uffiziata da tre monaci come nel codice suddetto: Ecclesia s. Ursi habet monacos nigros tres. Anche questa chiesa fu distrutta per il prolungamento della via Nazionale. Povera Roma!

S. Tommaso ed Orso (v. s. Orsola della Pietà)

S. Tommaso de' Mercanti (v. s. Orsola della Pietà)

S. Biagio de Cantu secuta
(S. Biagio della Pagnotta)

Questa chiesa antichissima è chiamata dal popolo s. Biagio della pagnotta, per le ragioni che si riportano qui appresso. È situata nel fondo della via Giulia presso il palazzo Sacchetti.

Lo strano vocabolo de cantu secuta dette occasione agli eruditi del secolo trascorso di farvi sopra le più strane istorie.

Nè è mancato chi vi abbia riconosciuta la corruttela delle parole schola cantorum, supponendo che colà avesse risieduto uno di questi collegi di cantori. Ma il chiaro prof. Corvisieri ha dimostrato che la vera e genuina lezione di questo vocabolo è caput seccutae, poichè nel secolo XIII si chiamava dal popolo la seccuta tutta la sponde del Tevere ove oggi corre la via Giulia, e dove il fiume deposita, a preferenza d'ogni altro tratto del tronco urbano, un eccezionale relitto sabbioso: infatti anche oggi una stradella sul principio del via Giulia vien detta via del polverone: il principio della seccuta si diceva adunque, caput, capo della seccuta: e di qui la denominazione della chiesa che là appunto si trovava. Meno strana fu la ipotesi proposta dal Cancellieri che vi trovò in quella parola le voci guaste dal popolo secus cantum, cioè lungo la via. Ma il caput seccuae in bocca al popolo e nella penna dei trascrittori del medio evo divenne gastru secuta, gatta secuta, cantu securo, clatro secura, cantu secuta, monte secuto ecc. Così in un libro censuale della basilica vaticana in una nota all'anno 1380 ho trovato: Domina Perna de parrochia s. Blasii in cantu secuto. Il Garampi pubblicò una bolla d'Innocenzo II dell'anno 1143, in cui si nominano alcuni fondi di  p356 Giovanni Bobo confinanti con quelli di s. Maria in Iulia, e di s. CHECK: Biagio a gatta secuta, situati fuori di porta s. Pietro.

La chiesa è antica, poichè la troviamo nei vetusti cataloghi del medio evo più volte ricordata: era congiunta alla medesima una delle prime abbazie di Roma. Si dice ora s. Biagio della pagnotta, dai piccoli pani benedetti che nel giorno della festa del s. titolare al 3 di gennaio si distribuisce ancora al popolo, come s'usa anche in altre chiese, per es. a s. Niccolò in carcere e a s. Rocco: questo pane ricorda le antiche eulogie eucaristiche, cioè i pani benedetti sostituiti all'eucaristia, che si dispensavano a quei fedeli che non s'accostavano durante il sacrificio alla s. comunione, quasi come imagine di questa, quando cominciò a scemare la divozione del popolo cristiano. Nell'interno della chiesa si legge un'epigrafe che ricorda la riedificazione fa di questa chiesa nel 1072 per cura dell'abate dell'annesso monastero, completo Domenico, il giorno 16 di agosto, sotto il pontificato di Alessandro II. Il testo dell'epigrafe è questo:

HOC FVIT INCEPTVM RENOVARI TEMPORE TEMPLVM
VRBIS ALEXANDRI ROMANI PRESVLIS ANNI
ANNVS ERAT DVODENVS ET IPSE SECVNDVS
ANNVS MILLENVS GEMINVS TVNC SEPTVAGENVS
TEMPORE QVO VERBVM CONCEPIT VIRGO SVPERNVM
ANNVS IN AVGVSTO CVRREBAT MENSE PERVSTO
SEXTA DIADENA ET FVERAT INDICTIO DENOMINATA
ABBAS DOMINICVS MERITIS ET NOMINE DIGNVS
HANC AEDEM CEPIT PLENE COMPLEVIT ET IDEM
HICQVE CRVCIS LIGNVM POSVIT VENERABILE DIGNVM
ET VESTEM DIVE GENITRICIS QVIPPE MARIE
ANDREE S. BLASII DARIEQVE CHRISANTHI
PAPE SILVESTRI DIONYSI NEC NON SEVERI
HONORI STEPHANI MARCI MARCELLIQVE
TRANQVILLINI NICOSTRATI CESARISQVE
ALLA CHIESA AQVILE NEREI VEL ACHILLEI
VEL ERASMI ATQVE CATHARINE SEV SANCTORVM XL S. CECILIE
PRISCE ZOESQVE SOPHIE
HE SVNT RELIQVIE QVIBVS ALMVS FIT LOCVS ISTITVITE
NEC NON MVLTORVM NESCIMVS NOMINA QVORVM.

L'Albertini, il Marliano ed altri affermano che ivi sorgeva anticamente un tempio di Nettuno; opinione però che non so su quali ragioni s'appoggi.

La relazione sullo stato temporale delle chiese di Roma chiesa è nell'archivio vaticano, così trovo descritta questa chiesa nella seconda metà del secolo XVII:

"Da chi fosse fondata non si sa, ma si sa essere una delle chiese antichissime di Roma e che fusse il tempio di  p357 Nettuno. La chiesa è lunga palmi di passetto n. 60 larga 41 alta 44. Non antica organo: il campanile è di struttura antica con due campane, una assai grande. Nell'altare della Madonna fu fondata la congregazione del suffragio l'anno 1618 incirca. Ha 5 sepolture; ha il cimitero vicino alla sacrestia circondato di muro con una croce grande di legno et altre piccole di ferro. Ha annessa la cura delle anime, il curato è nominato dal R. Capitolo di s. Pietro alla cui basilica la chiesa fu unita da Gregorio IV l'anno 1431 incirca. Ha case e famiglie 298, anime d'ogni sorta 1533, carcerati circa 200 l'entrata del curato è scudi 221."

Rimase annessa all'abbazia fino al secolo XV; ma, mancati i monaci, fu ridotta a commenda: nel 1539 il card. commendatario Gustavo Cesarini la rinunziò a favore del capitolo vaticano, essendo questo cardinale allora arciprete del suddetto capitolo, e divenne così parrocchia. Vi si conservava la reliquia della gola di s. Biagio, che fu trasferita in s. Pietro sotto Eugenio IV. Niccolò V la eresse di nuovo in commenda a favore del card. Isidoro vescovo de' Ruteni e così rimase fino al secolo XVI, in cui fu di nuovo unita al capitolo vaticano che la ritenne fino al 1836. In quell'anno il papa gr16 vi traslocò gli armeni che dimoravano presso s. Maria Egiziaca, i quali uffiziano la chiesa secondo il loro rito nazionale.

La strada in cui sorge la chiesa diceasi già via Florida, poi Magistralis, finalmente da Giulio II fu detta Giulia. La odierna facciata della chiesa è opera di Gio. Antonio Versetti, e gli angeli che si veggono dipinti nell'interno in atto di adorare il sacramento sono di Pietro da Cortona mentre era ancora giovanetto.

S. Donato

Presso la suddetta chiesa ve ne era un'altra intitolata a s. Donato; era assai antica, perchè comparisce tra le chiese filiali di s. Lorenzo in Damaso nella bolla di papa Urbano II. Fu distrutta allorquando Giulio II ampliò e rettificò quella grande strada che da lui prese il nome.

Ss. Faustino e Giovita
(s. Anna de Bresciani)

Anche di questa chiesa non rimane più traccia da un anno a questa parte, essendo stata demolita per i muraglioni del Tevere. Era posta nella via omonima presso la riva del fiume,  p358 non lungi dalle Carceri Nuove. Ivi Giulio II avea stabilito di innalzare un grande palazzo con architettura del Bramante, il quale non fu condotto a termine: si vede il principio del bugnato presso s. Biagio della pagnotta. Una parte di quella fabbrica rimasta incompelta servì lungo tempo a rappresentazioni di commedie, sotto Giulio III, fino a che nel 1575 la confraternita dei Bresciani, previo il consenso pontificio, atterrò quella costruzione inutile e costruiti materiali vi edificò la chiesa dei ss. Faustino e Giovita, ai quali più tardi di aggiunse il titolo di s. Anna: l'architetto Carlo Fontana sulla fine del secolo XVIII ne avea rinnovata la facciata. Francesco Cozza vi avea dipinto i santi titolari.

Nell'altare a cornu epistolae, dedicato a s. Anna, eravi un magnifico quadro rappresentante s. Anna, opera del Coghetti bergamasco; e dirimpetto vi era un crocifisso in legno del secolo XVI. L'altar maggiore di marmi assai fini era stato fatto dal famoso card. Calino, strenuo difensore della compagnia di Gesù nell'epoca della soppressione dell'insigne istituto. Il quadro del Coghetti fu sostituito ad altro di s. Anna, attribuito al Barocci o alla sua scuola, e che si conservava nella sagrestia.

S. Maria del Suffragio

La fronte di questa chiesa sorge sulla via Giulia, ed è prossima alle Carceri Nuove; accanto vi è l'oratorio pei fratelli della confraternita che venne fondata circa il 1592 dalla compagnia del Suffragio, istituita già nella chiesa di s. Biagio della Pagnotta col pio intento di esercitarsi in opere divote onde suffragare le aime dei trapassati. Clemente VIII approvò nel 1594 quella aggregazione e Paolo V la eresse in arciconfraternita. Il pio sodalizio l'anno 1616, lascita la chiesa di s. Biagio, edificò questa di s. Maria, mediante pie elargizioni dei fratelli, e generose donazioni di Bartolomeo Ruspoli, il quale donò alcune cappelle che possedea in questo luogo. La chiesa fu architettata da Carlo Rainaldi, e l'arciconfraternita ne prese possesso prima dell'anno 1675. Nel 1868 fu di nuovo restaurata sotto la direzione dell'arch. Tito Armellini mio carissimo genitore. Nell'interno vi sono sei cappelle oltre quella dell'altar maggiore, che fu architettata da Carlo Rainaldi. La prima cappella, sacra ai ss. Giacinto e Caterina, a sinistra entrando, è di giuspatronato di mia famiglia. Il quadro dell'altare, fiancheggiato da due belle colonne di marmo africano, è opera di Daniello Francesco; i quadri laterali e la volta sono di Gio. Battista Cimino fiorentino. In questa cappella riposa la  p359 mia adorata genitrice Adelaide Poggioli che venne qui deposta il giorno 25 marzo 1868: nella parete destra vi fu posta una lunga epigrafe dettata dall'aurea penna dell'illustre comm. Giovanni Batt. De Rossi. Vi si venera nella seconda cappella a cornu epistolae una imagine della Vergine intitolata: Consolatrix afflictorum. Proviene dal Messico, e fu portata in Roma da un gesuita espulso di là nel secolo passato, che la donò alla nr chiesa; fu incoronata dal capitolo vaticano ai giorni nostri.

S. Lucia Vecchia o s. Lucia in Cantu secuto ovvero s. Lucia affine

Questa antica chiesa è ora sostituita dall'oratorio del Gonfalone, dedicato ai ss. Pietro e Paolo nella via delle Carceri Nuove; è incorporata al medesimo edifizio e fu eretta sulle costruzioni di s. Lucia vecchia: al disotto dell'oratorio, nel sotterraneo già ridotto a cimitero, si riconosce l'ingresso dell'antica chiesa di s. Lucia che guardava la celeberrima strada di Roma medievale, la via nazionale del secolo XIII, chiamata via Recta.

Ragionando di s. Biagio in cantu secuto abbiamo discorso dall'origine di questa corrotta denominata. Anche il Grimaldi afferma, che sorgesse nel sito dell'oratorio suddetto. Fu chiesa filiale di s. Biagio, da cui ebbe la ricordata denominazione: nel codice di Torino è chiamata s. Lucia iuxta flumen, perchè è prossima appunto al Tevere. Forse le sue origini risalgono al secolo VIII, se è vera l'ipotesi del Vignoli, il quale, nelle note alle biografie di Leone III, scrive che di questo si faccia menzione nella vita del suddetto papa. In quel secolo l'oratorio in questione si chiamava s. Lucia in xenodochio: il che suppone che vi fosse appunto un ospizio di poveri. Ebbe anche il nome di s. Lucia Affine, che troviamo data anche alla chiesa di s. Pantaleo che era situata in questa medesima strada; e il Corvisieri pensa che fosse situata nel confine tra i rioni della Regola e di Ponte; il che a me non sembra troppo sicuro, per la ragione che troviamo la medesima denominazione alla chiesa di s. Pantaleo; quindi accolgo come più probabile l'ipotesi della corruttela ad flumen.

Nei secoli più vicini ai nostri fu chiamata s. Lucia Vecchia, per distinguerla dalle vicine chiese di s. Lucia del Gonfalone e della Chiavica.

 p360  Per essere situata poi in luogo assai depresso, era frequentemente inondata dal Tevere; il che la rendeva in alcune stagioni dell'anno inaccessibile; quindi fu ridotta a cimitero dalla confraternita del Gonfalone edificandovi l'oratorio dei ss. Pietro e Paolo, in memoria di altro più antico che la confraternita possedeva in una regione della Regola detta Stabia; la fabbrica fu incominciata l'anno 1554 e condotta a termine nel 1547. L'oratorio attuale, sostituito alla chiesa, è prezioso per dipinti che l'adornano ritraenti scene della Passione. Infatti sono di Leone Agresti gli affreschi che rappresentano l'impero di Cristo in Gerusalemme e l'ultima Cena, del Nebbia l'Orazione nell'orto, di Raffaellino da Reggio la Cattura di Gesù, di Federico Zuccari la Flagellazione, del Nebbia suddetto la Coronazione di spine e l'Ecce homo; dell'Agresti il Viaggio al Calvario, di Daniele da Volterra la Crocifissione e la Deposizione della Croce, di Marco da Siena la Risurrezione, di Matteo da Lecce il David.

Oratorio dei ss. Pietro e Paolo (v. S. Lucia Vecchia)

Ss. Cosma e Damiano in Banchi

Di questa chiesa, che come tante altre è stata distrutta, ci fornisce ampie notizie il Lonigo nel suo catalogo ms.

"Aveva questi santi, così egli, un'altra piccola chiesa in Banchi incontro il palazzo della Cancelleroa vecchia, non lungi da s. Lucia della Chiavica. Fu tenuta per molti anni dalli barbieri; è hora profanata benchè conservi la sua antica forma." Anche il Terribilini ricorda questa chiesolina; infatti in un suo diario manoscritto, che ho scoperto nell'archivio vaticano e che ho pubblicato nella mia cronachetta mensuale, sotto la data dei 25 marzo 1748 scrive:

"Oggi ho riconosciuto all'oratorio di s. Elisabetta de' Cechi alla Chiavica di s. Lucia essa questa la chiesa di s. Cosmo e Damiano et ivi è la missione della sua ristorazione sotto Sisto IV." Il Martinelli dice che era filiale di s. Pietro.

Sorgeva presso la metà incirca dla strada de' Banchi Vecchi e fu data alla compagnia dei poveri ciechi e zoppi posta sotto la protezione di s. Elisabetta, sotto il qual nome  p361 era conosciuta dal popolo; e di qui il detto romano per designare una raccolta di poveri infelici: la compagnia di s. Elisabetta.

S. Elisabetta al Gonfalone (v. s. Cosma e Damiano in Banchi)

S. Lorenzo in Piscivolis

Il Martinelli la confuse con altra allo stesso santo dedicata e denominata in piscibus, la quale era situata altrove. Non ne trovo fatta menzione da verun altro scrittore, tranne dall'Adinolfi, il quale accenna che era situata presso s. Lucia del Gonfalone. S. Flamu (sic)

Non so qual personaggio si nasconda sotto questo nome, evidentemente guasto dalla pronuncia popolo romano, che il volgo dava ad un ospedale e ad una chiesolina annessa che stavano nel rione di Ponte. L'uno ed altra sono ricordati nella tasse delle chiese di Pio IV: s. Flamu hospitale nel rione di Ponte.

S. Boemio

Anche questa chiesa è ricordata nello stesso catalogo fatto sotto Pio IV per la tassa da imporsi per sussidio ai poveri. Ivi leggo: s. Boemio nel rione di Ponte. Forse si volle con questo indicare la cappella ovvero la chiesuola annessa all'antichissimo ospedale dei Boemi, situato nella via di Borgo Vecchio, ove si legge ancora la seguente iscrizione sul portone della casa n. 131:

CAROLUS IMPERATOR
IIII REX BOEME ME FEC
IT ET HRORAVV PRIMO
CURATOR HOSPITALIS
PRESENTIS ET NACIO
NIS BOHEMORUM RUIN
OSUM REFECIT ANNO
MCCCCLVII

 p362  S. Maria della Corte ovvero de Monte
(ss. Simone e Giuda)

Il Signorili nel suo catalogo fa menzione di questa chiesa, la quale, secondo il Bruzio, sarebbe stata fondata dagli Orsini presso Monte Giordano, oggi detta dei ss. Simone e Giuda. Ivi ebbe stanza la compagnia dei ss. Camillo e Trifone, la quale poi si trasferì in s. Salvatore Primicerio. Il Lonigo scrive che questa chiesa è appresso a Monte Iordano fra le case degli Orsini, si chiamava prima s. Maria de Monte Iordano. Nei censuali della basilica vaticana, questa chiesa è denominata s. Maria de Curtibus a proposito di una locazione fatta dal suo rettore a Ludovico Massuzii l'anno 1468. Il monte da cui prese anche il nome la nostra chiesuola nel secolo XIII si chiamava altresì il monte di Giovanni Ronzonoe, ed è quello medesimo che dal secolo XVI si chiama Monte Giordano. È una collinetta artifiale, sulla quale sorge il palazzo Gabrielli. Ivi ebbe il suo palazzo Giordano Orsini, che fu creato cardinale da suo fratello Niccolò III. Un istromento del 1286 dell'archivio di s. Spirito venne rogato in domibus in quibus dominus Iordanus morabatur videlicet in monte qui dicitur Ioannis Ronzonis. Ai tempi di Dante era semplicemente chiamato il Monte, ovvero il Monticello, al quale (benchè alcuni commentatori si oppongano) sembra accenni nei noti versi:

Che dall'un lato tutti hanno la fronte
Verso il castello, e vanno a santo Pietro,
Dall'altra sponda vanno verso il monte.

Più tardi, come dicemmo, questa chiesa mutò di nome in quello dei ss. Simone e Giuda. Dal slil dicesi in Moncello e da Cencio camerario Ioannis Bovis. La chiesolina esiste tuttora nel detto luogo e vi si accede per un'alta gradinata dalla via dei Coronari. Nel Regesto di Farfa il sito adiacente vien chiamato Pirolus.

S. Giuliano in Banchi (v. s. Angelo de Micinellis)

 p363  S. Michele o s. Angelo de Micinellis

Esiste tuttora, benchè da più secoli abbia mutato e nome e forma; oggi infatti si chiama s. Giuliano in Banchi, presso il monte Giordano. Ricorda il nome della famiglia Micinelli ancora esistente e che torna spesso nelle cronache medievali; così una suor Portia Micinelli è ricordata nella Cronaca di suor Orsola Formicini. Il Signorili la nomina fra quelle della seconda partita, benchè ivi sia detta s. Angelo de Rinazo, ovvero de Reniz. Il nome dei Micinelli si corruppe in bocca al popolo in quelli di Macerello, Mozzarella, Mincinello. Prima di queste denominazioni, si chiamò anche s. Angelo de Rota, forse dal prossimo mausoleo, ovvero a domo Egidii de Poco. L'Adinolfi dice che nel 1472 fu data in enfiteusi perpetua al collegio dei cursori, ed allora prese il nome di s. Angelo in Micinello. Fu già filiale di s. Lorenzo in Damaso. Appartiene alla confraternita delle Missioni, ed ivi esercita il suo ministero con zelo apostolico don Filippo Razzani, rettore della chiesa, che l'ha fornita di ricchissime suppellettili. SS. celso e Giuliano in Banchi

Antichissima chiesa parrocchia posta nella ia de' Banchi presso la piazza di ponte s. Angelo, che Cencio Camerario ricorda nell'Ordo romanus fino dal secolo XII, come una di quelle che ricevevano il presbiterio maggiore, cioè diciotto denari nel giorno di s. Marco. Secondo quello che scrive l'Adinolfi,, era in piedi fino dall'anno 1186 ed apparteneva per dignità alle maggiori chiese di Roma. era preceduta da un grandioso portico, simile a quello di santa maria in Trastevere, e adorno di musaici, dal quale, per tre porte s'entrava nelle tre navi della chiesa. Presso al portico vi era una pietra, ove si vendeva il pesce, pietra o banco di cui era proprietaria la chiesa stessa. Onorio III nel 1218 sottopose a s. Celso le tre chiesuole situate non lungi da quella, dette s. Salvatore degli Inversi, s. Michele de Micinello, s. Pantaleo, delle quali la prima solamente offidì è distrutta. La nuova chiesa che il Martinelli dice  p364 sorgesse in luogo oscuro, fu ampliata da Clemente VIII dopochè v'ebbe traslocate dalla basilica ostiense le reliquie dei martiri antiocheni Celso e Giuliano, dei quali nell'archivio della collegiata si conserva un antico codice passionario. Sotto il papa Clemente XII lchu fu atterrata e ridotta da questo papa nella forma e disegno attuale. In una carta dell'archivio vaticano trovo che nel 1625 era una del più cospicue parrocchie di Roma, poichè havea 755 famiglie con 3117 anime delle quali 2461 atte alla comunione che, tranne 12, tutte si comunicarono. Nei libri censuali della basilica vaticana dell'anno 1395, fra le chiese parrocchiali di s. Celso ve n'ha una del capitolo vaticano cum signo galeae. La chiesa era cappella papale e godeva, nel secolo XVI, d'un reddito d'oltre 400 scudi, diviso fra un arciprete e sette canonici, ai quali incombeva l'onere di somministrare venticinque giulî a ciascheduno dei cinque cappellani.

Nell'archivio vaticano ho trovato un interessante documento che si riferisce alla storia di questa chiesa; è un processo fatto l'anno 1575 per una questione insorta fra il capitolo di s. Celso e i maestri di strada.

"Nell'anno 1575 furono esaminati due testimoni per l'atti del Munini notaro della R. C. a favore del detto Capitolo contro li signori Mastri di Strada che volevano levare al Capitolo li vici della piazza di Ponte, cioè a dì 12 dicembre 1575 si esaminò Giulio Enobardo già canonico di detta chiesa d'anni 80 che prima fu canonico 50 anni et nato in detta parrocchia: nel suo interrogatorio depone: al tempo di Giulio II la chiesa veniva a mezzo la strada de' banchi dove al presente sta la drogheria e pizzicaria che guardano la piazza di Ponte, v'era un porticale grande del modello della chiesa di s. Maria in Trastevere, v'erano tre porte grandi appresso la piazza et una pietra dove si vendeva il pesce che era di s. Celso. Doppo Giulio II fece buttare giù il porticale e vi fece case e botteghe.

"Il secondo testimonio Giovanni Battista Pontano delli 21 febbraio 1576 d'anni 70 stato canonico e nato in detta parrocchia nell'interrogatorio depone: mi ricordo che al tempo di Giulio II per slargare la piazza fu rovinata la chiesa di s. Celso e il portico che eera grande e bello con frontespizio alla musaica e fu refatta il quel loco che si vede.

"Francesco Moro alli 7 novembre 1571 depone d'essersi ritrovato con Luca d'età matura habitante in detta parrocchia; detto Luca mi ha detto che aveva visto un loco sotto  p365 la tribuna della chiesa innanzi che rovinassi, nel quale erano li corpi di s. Celso e Giuliano quali furono trasportati a santo Paulo e datomi per segno che dove stavano v'era un muricciolo che andava dietro la tribuna, volendomene certificare v'andai e ho trovato il muricciolo.

"In una memoria inserita in un istromento di censo di scudi 300 presi dal capitolo per fare il soffitto della chiesa li 19 gennaro 1575 per l'atti del Bernardi al presente Ottaviano notaro A. C. registrato in libro dell'archivio intitolato: Strumenti Testamenti a carte 155 a 24 novembre 1573: si leggono le seguenti parole.

EGO THOMAS CALDVELLVS EPVS ASSOPEX CONSECRAVI ALTARE
HOC IN HONORE SS. MARTYRV CELSI ET IVLIANI.

"Nella campana di mezzo della chiesa v'è l'iscrittione:

IN HONOREM DEI ET MARIAE VIRGINIS MDLXXXVIII

"e con l'inscrittione in fora:

ANNO CCCXLIII ABHINC FACTA VETVSTATE ATTRITA GREGORIVS XIII PONT. MAX IN AMPLIOREM FORMAM RESTITVIT

"Nel detto libro a carte 178 vi è una memoria intitolata: Cronaca seu historia rerum notabilium Romae scripta et recollecta per me scriniarium 1350 — a quibusdam monachis cassinensibus corpora ss. Celsi et Iuliani ab ecclesia s. Celsi fuerunt transportata ad ecclesiam s. Pauli.

"Detta chiesa è di struttura antica longa palmi 99, larga palmi 37, alta palmi 33, con sua navata, col soffitto, con altare maggiore. Vi è un campanile con 4 campane: vi sono due altari cioè l'altar maggiore dedicato al Corpo di Cristo, e attaccato alla porta grande è l'altare di s. Liborio al quale segue quello della Madonna, e dopo questo quello dei ss. Celso e Giuliano: attaccato alla porticella vi è l'altare della Madonna, doppo questo segue quello della Natività di Giesù Cristo, al quale segue quello del Crucifixo. La detta chiesa ha annessa la cura dell'anime come si deduce dalle Bolle e Brevi d'Honorio III, Innocenzo VIII, et Leone X, però la cura habituale risiede appresso al capitolo: la cura attuale s'esercita dal signor Arciprete con il detto curato il quale è il M. R. Stefano Posterla: il credito ascende a scudi 1201 bai. 33."

 p366  Oratorio di s. Celso

Questa chiesolina si trova nel vicolo di s. Celso fra le vie de' Banchi e di Panico. Vi ufficia l'arciconfraternita del Sacramento istituita nel 1560, alla quale si unì nel 1566 quella del ss. Nome di Dio.

Ha un solo altare, sul quale vi è un quadro di buona scuola rappresentante N. S. che comunica l'apostolo Pietro nel cenacolo. Sulla volta è rappresentata Maria Assunta in cielo. A destra dell'altare maggiore, nella parete, si legge l'epigrafe:

EMVS AC RMVS D. NICOLAVS TIT.
S. MARIAE IN DOMNICA
PRESB. S. R. E. CARD. COSCIA
HVIVS ARCHICONFR. PROTECTOR XXIX SEPTEMBR. MDCCXXV
ANNO IVBILAEI ALTARE OCCORRE EREXIT, ET CONSECRAVIT
EODEMQVE DIE INDVLG. VNIVS ANNI
ET IN ANNIVERSARIO CONSECRATIONIS 100 DIEBVS
ILLVDQVE VISITANTIBVS CONCESSIT
COMES NICOLAVS SODERINVS PRIOR
CAESAR DE AMEDEIS NICOLAVS POIES CAROLVS FALCHER
CVSTODES POSSVEREº

S. Silvestro della Palma

Secondo l'anonimo di Torino e del Signoriliº dobbiamo porre nelle adiacenze dei ss. Celso e Giuliano una chiesa di s. Silvestro della Palma. Questa, nella bolla di Urbano III, è ricordata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso, ma con la dentro de Posterulis. Non so precisarne il posto, ma il nome della Palma che tuttora mantiene un vicoletto di questa contrada m'induce a credere che non fosse situata lontana da quello.

S. Salvatore in Lauro

De lauro la chiama Cencio Camerario, che le attribuisce sei denari di presbiterio ed in Lauro l'anonimo di Torino ed il Signorili. Circa questo nome, il Nibby così si esprime: "La denominazione in Lauro le viene dall'essere ivi stato il famoso portico di Europa, in mezzo al quale eravi, per quanto  p367 si crede, un boschetto di allori." Il Canina pure sostiene e conferma tale opinione. Io, sebbene rispetti questi due egregi topografi, pure mi par lecito l'averrtire che la chiesa in discorso, essendo stata edificata dal cardinale Latino Orsini, non doveva essere più circondata di allori, giacchè tali boschetti erano scomparsi con la denominazione suddetta da un pezzo. Però l'edificazione deve almeno rimontare al secolo XIII, in cui troviamo Cencio Camerario che ne fa menzione; e deve essere sempre anteriore al XV, in cui erroneamente la pone il Nibby.

Nei limiti di questa parrocchia molte case possedeva nel secolo XIV la basilica vaticana, come dai libri catastali di quel'epoca risulta, ove leggo per esempio: ai 13 di giugno 1395: domus cum signo serpentis de parochia s. Salvatoris in Lauro.

Questa chiesa fu dunque edificata dal card. Latino Orsini, creato da Niccolò V, che l'affidò ai canonici regolari di s. Giorgio in Alga, i quali vi rimasero fino alla soppressione di quell'ordine fatta da Clemente IX. Sisto V la eresse in titolo. Nel 1591 fu arsa da un incendio, ma venne riedificata con i disegni di Ottavio Mascherino: le fiamme distrussero i dipinti di Giovanni d'Ascona, di Pierin del Vaga, di Pietro da Cortona, del Ragusa ed un organo singolarissimo. L'anno 1669 fu data ai Piceni e il monastero convertito in collegio per venticinque alunni di medicina e legge. Il quadro dell'altar maggiore, opera di Giovanni d'Ascona rappresentante la Trasfigurazione, fu tolto e donato a Cristina di Svezia, ed allora vi fu posta l'imagine della santa Casa di Loreto, lavoro di Giovanni Peruzzini d'Ancona. Vi è celebre una imagine detta s. Maria delle Grazie, creduta opera del famoso Antonio Pollaiolo, rimasta immune dall'incendio, ove si legge il nome Antonius pinxit 1494. Dai marchegiani la chiesa fu dedicata alla Madonna di Loreto. La facciata fu compiuta ai giorni nostri. Nel chiostro, che è un capolavoro dell'arte del rinascimento, si osserva il deposito di Eugenio IV lavoro pregevolissimo del secolo XV, ove si legge una iscrizione che ricorda il concilio di Basilea. V'ha pure un oratorio, ora dissacrato, che servì per fratelli della compagnia dei Marchegiani, adorno di ottimi affreschi: in fondo si osserva un gran quadro rappresentante le nozze di Cana, opera mediocre di Cecchino Salviati.

 p368 

S. Salvatore degli Inversi o de' Ramberti

Era filiale della chiesa dei ss. Celso e Giuliano, a cui Onorio IV la concesse con quelle di s. Pantaleo e s. Michele de Micinelli. Fu probabilmente restaurata, ovvero era congiunta alle case dei Ramberti e degli Inversi, da' quali forse tolse il nome. Stava dirimpetto al palazzo oggi Lancellotti, nella via de' Coronari, e precisamente nella piazza del Drago, ove è ora il palazzo Fioravanti. Fu anche dedicata a s. Leonardo. Le correva innanzi la via Recta, la principale arteria della città nei secoli di mezzo. Fu parrocchiale. È ricordata dal Camerario colonna nome Inversorum, e nella bolla d'Urbano III è detta de imperiis.

S. Biagio de Oliva

Il Nibby dimostra essere privo di fondamento il dubbio proposto dal Martinelli che s. Biagio dell'Oliva potesse essere una medesima chiesa con quella detta già degli arcari o dell'anello. Poichè nella bolla d'Urbano III sono le suddette chiese ben distinte le une dalle altre. Il Bovio dice essere la stessa che si diceva della fossa ovvero in trivio. Il Fonseca afferma, e dice il vero, che si chiamasse anche delli pettini. Il Terribilini crede che fosse nel rione Ponte presso s. Andrea degli acquariatri. Anche nel catalogo di Pio IV è ricordato s. Biagio della fossa fra le chiese del Parione, ove anche oggi una viuzza serba il nome della fossa. Nel catalogo di S. Pio V è detta s. Biagio della Pace, la quale pure è detta de cerclariis dal Signorili.

S. Salvatore de Rogeriis

È chiaro che la denominazione di questa chiesa le proviene da una famiglia di questo nome che la possedette. Era situata non lungi dal Circo Agonale, nelle vicinanze di s. Apollinare: ciò risulta dal codice dell'anonimo di Torino, e da quello  p369 del Signorili il quale la dice de Rogeriis: è forse quella medesima che nei cataloghi del secolo XVI troviamo denominata s. Salvatore della Volpe, nome che tuttora mantiene una stradicciola nella contrada della via de' Coronari, ove dovea forse stare la chiesa suddetta.

S. Salvatore della Volpe (v. s. Salvatore de Rogeriis)

S. Maria del Buon Consiglio

È il titolo d'una imagine che si venera in una piccola cappelletta sul principio di via de' Coronari, ove la sera si raccolgono alcuni divoti a recitare il ss. Rosario.

S. Andrea de Aquarenariis

Questa chiesa è il monumento storico della celebre congiura dei Pazzi a Firenze. Sorge nell'area antica di s. Andrea de aquaricariis nel portichetto di quella chiesuola si venerava la divota effigie della Madonna che ora sta sull'altare principale della chiesa di s. Maria. Fu anche dedicata alla Vergine Maria e denominata s. Maria de Aquaricariis, come abbiamo dal Camerari; ed il Lonigo ricorda che il vicolo oggi detto della Pace si chiamava, come la chiesa, degli Acquarecchiaridel Pozzo di Proba. Circa al nome suddetto noi lo troviamo nei documenti del medio evo con molte varianti; così si diceva anche degli aquarenarii ovvero acquaricciari. Infatti in un censuale della basilica vaticana all'anno 1380 trovo: Georgius Georgi de regione pontis et parochia s. Andreae de aquaricciariis. Fu chiamata anche de incaricariis, nomi tutti che ricordano la compagnia degli acquarenarii (acquaioli) venditori d'acqua, quando, nel secolo di mezzo, Roma difettava di acque potabili. Questa fratellanza ricorda il miserabile stato della Roma medievale fino al secolo XIV. Era la città composta da un laberinto di viottoli, fiancheggiato da casupole, irta di torri addossate ai disfatti ed anneriti monumenti della Roma imperiale, dove il lezzo, il sudiciume, la povertà, facevano contrasto  p370 con l'allegria ed il carattere torbido degli abitanti. Non vi era lastricato, non fontane, ma case e chiese, molte delle quali dirute con paludi ed acquastrini in mezzo ai quali cresceva l'erba. Peggiore lo stato morale del popolo, diviso da ire sanguinose, in cui formicolavano cortigiane e donne pubbliche, o dedite al mestiere della stregoneria e dei malefizî. Che Roma allora difettasse d'acqua, ne abbiamo una prova nella vita di Francesca Romana, in cui si legge che un giorno quella nobile donna, trovandosi con sua cognata Vannozza Santacroce, fu costretta per dissetarsi a scendere sulla riva del Tevere, dove Vannozza cadde e fu in pericolo d'annegarsi. L'antico ospedale del Salvatore ebbe origine dagli acquarenarii come dice il Cancellieri, onde nel suo stemma v'era rappresentato un asino carico d'un barile d'acqua.

Insegna l'Adinolfi che la nostra chiesa aveva anche un altro nome, cioè era chiamata s. Andrea de Fordivolis, o piuttosto de Sordivolis, da una famiglia di questo nome che ivi possedeva le sue case, e che è ricordata nelle carte dell'archivio del Salvatore. Ed infatti così venne chiamata dall'anonimo di Torino e dal Signorili.

Sivuole che, percossa la imagine della Vergine di cui si è parlato, da un sasso di un sacrilego giocatore, ne spicciasse vivo sangue. Questo fatto commose la città, ed il papa Sisto IV si recò in processione col clero e col popolo a venerarla facendo voto solenne che in quel luogo avrebbe eretto un magnifico monumento alla Vergine, se la pace d'Italia, compromessa per le funeste conseguenze della congiura dei Pazzi a Firenze, non fosse stata turbata da guerra generale fra i varî Stati della Penisola. Cessato in breve il pericolo di guerra, il papa ordinò che si edificasse quel tempio; opera che fu commessa a Baccio Pintelli, e alla nuova chiesa volle il papa dare il titolo di s. Maria della Pace, benchè la imagine fosse dapprima appellata s. Maria della Virtù. L'annesso monastero fu affidato ai canonici regolari lateranensi, i quali furono tolti allora dal Laterano; in quell'occasione la chiesa fu sottratta alla giurisdizione di s. Lorenzo in Damaso, ed il priore del monastero ricevette la dignità di abate e l'uso della mitra. Alessandro VII restaurò la chiesa, che con bizzarra chiesuola fu ornata da Pietro da Cortona; allora fu fatta la nuova facciata ed il portichetto esterno semicircolare. Sull'arco della cappella Chigi, la prima a diritta entrando, si ammirano  p371 le quattro Sibille, dipinte da Raffaello d'Urbino per commissione del celebre banchiere Agostino Chigi. La seconda cappella dei Cesi fu eretta con architettura del Buonarroti, ornata da bassirilievi di eccellenti artefici. La cappella maggiore è di Carlo Maderno, e l'ultima a sinistra dei Ponzetti è ornata a quadretti di Baldassarre Peruzzi. L'annesso monastero è opera del Bramante, benchè non delle migliori di quel grande. La chiesa sotto Pio VII fu affidata ai padri domenicani; ma la presente è ufficiata da preti secolari, i quali con lo zelo e lo spirito proprio del clero romano esercitano in questo luogo e nell'oratorio notturno il loro apostolico ministero. S. Maria della Pace fu parrocchia fino a Leone XII.

S. Andrea de' Sordivolis (v. S. Maria della Pace)

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