URL breve per questa pagina:
bit.ly/2ARMCHIRegola
mail: William Thayer |
English |
Aiuto |
A monte |
Home |
|||
|
È una chiesa antichissima, la cui origine si rannoda forse alla predicazione dell'apostolo in Roma, perchè sorge appunto in un luogo che fu uno degli antichissimi quartieri degli ebrei, dove incominciava, ordinariamente, la predicazione apostolica. Infatti, per antica tradizione, la chiesa era detta la scuola di san Paolo. Vi risiedevano i pp. Riformati di s. Agostino, i quali nel 1619 abbandonarono la casa annessa che passò ai pp. Francescani di Sicilia, i quali eressero di nuovo la chiesa. Il Torrigioº scrive che si denominava anche sub patarinis.1 Urbano II l'arricchì di reliquie nel 1096, di che v'ha ancora un'iscrizione di quel tempo.
Il Garampi cita un documento dell'archivio di s. Spirito, di cui risulta che nel 1245 la contrada, ove sorgeva la nostra chiesa, dicevasi Pauli; denominazione la quale vieppiù conferma la tradizione della predicazione di s. Paolo fatta in questo luogo.
Nella relazione delle Visite del 1566, che trovasi nell'archivio Vaticano, si dà conto nel modo seguente dello stato della chiesa:
"S. Paolo della Regola è nella strada dei Vaccinari; ha un portico dinnanzi ed un cancello. Le reliquie della chiesa se dice che furono trovate nella chiesa di s. Cesario unita a detta parrocchiale, quale chiesa di s. Cesario è sulla riva del Tevere ivi appresso: fa da 66 a 67 fochi. La chiesa è mediocremente tenuto, le reliquie sono notate in una pergamena ivi appiccicata, la chiesa è ombrosa, assai humida et mal lastricata."
p398 La nuova chiesa fu eretta con architettura di Giovanni Battista Borgognone, la facciata è di Giacomo Ciolli. Annesso al convento v'è un oratorio dell'università dei cappellari dedicato a s. Giacomo Maggiore.
Questa chiesolina era presso s. Paolo: il suo clero riceveva i denari del presbiterio: era quindi antichissima. Nel 1630 stava ancora in piedi, come si ricava dagli Atti delle Visite fatte in quell'anno: quindi fa meraviglia che di questa il Lonigo scriva: è persa questa chiesa in modo che non si sa dove fosse: il Martinelli la confuse con s. Paolino. Fu distrutta per la fabbrica dell'ospedale dei convalescenti, presso la Trinità dei Pellegrini.
La tassa di Pio IV ricorda nella Regola un oratorio ed un ospedale, che ebbero il nome di s. Angelo.
Non conosco il sito ove fosse costruito, nè so quando fosse distrutto il detto oratorio.
Questa chiesuola è registrata fra quelle del rione della Regola nella Tassa di Pio IV: ma non so indicare, per mancanza di documenti, ove fosse situata, nè la ragione della sua oscura denominazione. È forse quella che vien chiamata de praefectis dal codice di Torino, nel qual tempo era assolutamente abbandonata: non habet sacerdotem.
Nel medesimo rione ebbe pure una chiesa il celebre martire soldato s. Sebastiano. Ne ho trovato menzione unicamente in uno degli antichi libri stampatiº della basilica Vaticana all'anno 1395, ove è notato: Domus cum signo Rocche de parrocchia s. Sebastiani de Arenula. Nessuno, degli scrittori delle cose romane del medio evo, fa menzione di questa chiesa.
Era una parrocchietta della quale si dice nella Visita del 1560 che "ha da 16 a 20 case che sono dei vaccinari e genti povere e che sta maltrattata e poco monda." Ancora esiste, benchè abbia cambiato il suo nome in quello di s. Bartolomeo dei vaccinari in via della Regola. Nel 1570 fu concessa da s. Pio V ai conciatori di pelli, o vaccinari, che la riedificarono.
Anticamente si chiamava s. Stefano in silice, forse dagli avanzi di una via lastricata dai consueti poligoni di lava che ivi sussisteva, e fu pure chiamata de cacabariis. Il Galletti2 riferisce un documento del 1408, ove si ricorda che ai 21 marzo di quell'anno un tal Christophoro Pillarius de regione arenulae horam post nonam cecidit de quoddam palatio prope flumen de parochia s. Stephani de silice. Nel diario del Terribilini, che ho trovato nelle carte dell'archivio vaticano, leggo la nota seguente: "Venerdì 27 sono stato dopo desinare a riverire il p. Predicatore Cavalcanti ex generale dei Teatini. Il canonico Moretti mi ha raccontato che nei fondamenti della chiesa di s. Bartolomeo dei Vaccinari furono trovati 30 palmi sotterra una gran quantità di corna, e detta chiesa che chiamavasi s. Stefano in silice fu rifabbricata a tempo di detto canonico."
Nel secolo XIV era anche chiamata s. Stefano de Benedictinis, indizio certo che fosse già posseduta da questi monaci; infatti in un censuale vaticano dell'anno 1380 trovo un Petronus Laurentii Cacalumaca de regione arenulae et parochia s. Stephani de Benedictinis; e nel 1372, in uno di quei libri medesimi, è segnalato un Petrus Rutii de Nocera laborator de regione Parionis gener Rubei de Valle, de parochia s. Stephani de Benedictinis primo media tenuta fl. III d. II 60 mo. Dal codice di Torino risulta che era servita da un solo sacerdote. Nel cod del Signorili è appellata in Victinariis, il che prova che la denominazione attuale dei Vaccinari risale, almeno, al secolo XIV.
Diversa dalla chiesa detta in cacchabellis dall'Anonimo di Torino, ed in campocori dal Camerario, è la chiesa tuttora esistente, chiamata nel catalogo del Signorili in cacabariis, dal codice di Torino de cachabariis, e che mantiene la denominazione latina, benchè corrotta, in cacaberis, così detta dai lavoratori dei cacabi, o caldaie, che nei secoli di mezzo dimoravano in quella contrada e vi esercitavano il loro umile mestiere. È ricordata nella celebre bolla di Urbano III come soggetta a s. Lorenzo in Damaso. Fu fra le prime dedicate in Roma alla Immacolata Concezione; posteriormente venne dedicata a s. Biagio ed era parrocchiale, tenuta già dalla confraternita dei rigattieri, poi dei matereassari, e finalmente dei cocchieri. Fu visitata dall'uffiziale del Vicario il 13 febbraio 1560, come risulta dalla relazione ms. che ho trovato nell'archivio vaticano, ove si legge:
"Il rettore l'ha avuta da ms. Sulpizio Gallo, secretario dell'illm̃o Farnese; mi dice che havea la parrocchia da circa 64 case e più, ma che vi erano gran parte giudei e gente vile, sbirri e spioni. Questa chiesa è molto piccola et è vicinissima a s. Salvatore in cacaberis o a s. Maria del pianto et a s. Salvatore in campo. Sta edificata non lungi dalla piazza di Branca e dalla piazza Giudia dietro s. Maria del pianto."
Nel catalogo del Signorili, in quello di Torino e nell'elenco del Camerario è concordemente detta in Publico; quindi la odierna desinenza in publicolis è posteriore al secolo XIV o XV. Onde io credo che 'origine di questo nome sia analoga a quella della chiesa di s. Maria del Popolo, e forse ambedue erano per la medesima cagione nel modo stesso denominate. Era presso il palazzo e la contrada dei Santacroce, i quali l'anno 1465 la restaurarono, avendone così il giurepatronato. Minacciando rovina, fu demolita l'anno 1643, e riedificata con nuova forma dal card. Marcello Santacroce. Nella relazione delle Visite, che più volte ho citata, all'anno 1566 si legge così:
"Questa chiesa volgarmente se dice de Santacroce perchè fu edificata da casa Santacroce e nella piazza di Santacroce, e dicono che sia del rione di s. Agnolo e no della Regola. Il cappellano mi disse che la parrocchia fa da 35 fochi. Habita appresso detta chiesa a lato dell'altare grande, dove è una stanza infatti et una superiore, nella infatti teneva p401 schola et insegna i fanciulli di leggere, scrivere et grammatica."
L'ufficiale della visita così descrive lo stato della medesima nel 1660:
"È statua nella strada de Catinari per andare in piazza Mattei, è detta de Publicolis per essere stata unita con la famiglia de S. Croce anche quella famiglia. È un patronato antichissimo de Santa Croce. Fu restaurata l'anno 1465 da Andrea Santa Croce Avvocato concistoriale che intervenne e riferì l'atti del Concilio Florentino, dove espressamente costa da molti registri della Cancelleria Apostolica essere de iure patronatus dei Santa Croce. È parrocchiale et filiale di s. Lorenzo in Damaso, onde il Card. Vicecancelliere fa la patente o bolla di nomina del primogenito dei Santa Croce, oggi l'Illm̃o Sig. Marchese Valerio.
Nel 1640 minacciando rovina fu da Monsignor Marcello Santa Croce hoggi cardinale di s. Stefano rotondo e vescovo di Tivoli gettata tutta a terra e rifatta da lui da fondamenti come dalla lapide apparisce. È longa palmi 88, larga 35 e mezzo alta 59 e mezzo. Vi sono 3 altari. Nel maggiore un quadro della Natività della ss. Vergine, negli altri s. Elena, s. Francesco.
Ha annessa la cura d'anime. Il curato è nominato dall'Illm̃a Casa di Santa Croce.
Sono le case in tutte con le famiglie 134.
Ha un'entrata di scudi 270,35.
Un'uscita di scudi 116,50."
Nel rituale di Benedetto canonico di s. Pietro, è ricordata questa chiesa siccome esistente nella regione della Arenula, corrottamente la Regola, e precisamente nella contrada dei Cacabarii (s. Maria del Pianto). Il Fanucci afferma difatti che fu demolita dal cardinal di s. Giorgio per ampliare il suo palazzo, che sorge nella piazza Branca.a
Oratorio restaurato nel 1600 dal suo rettore. Era situato presso s. Carlo a' Catinari vicino al Ghetto degli ebrei. Il nome Tagliacotii lo prese dagli Orsini, già signori di quel fondo passato poscia ai Colonna, che avevano ivi le loro case. La piazzetta innanzi alla chiesa dicevasi piazza Tagliacozza.
Nella relazione sullo stato delle chiese di Roma nel 1566 trovo anche questa di s. Benedetto in Clausura, ed ecco le notizie registrate nel documento ufficiale del messo del Vicario:
"S. Benedetto in Clausura è appresso piazza Giudea. Questa chiesa ha un portico dinanzi la porta grande, quale per essere quasi continuamente adombrato di panni strasi che vi si tengono per vendere, non fanno parere che sia la chiesa, ma una bottega di ricattieri e molte volte ho dubitato se fosse chiesa o fondaco. Nel portico poi vi sono alcuni rappezzatori et artigiani che confermano questo dubbio, per il che mi parete bene da rimediare. Il cappellano dice che la parrocchia fa 90 fochi, tra i quali vi sono molti giudei, che tanto esso come gli altri rettori nelle parrocchie dei quali sono giudei, esigono da giudei ogni anno per ciascuna casa dodici baiocchi."
La chiesa appellavasi in clausura perchè situata presso al claustro o serraglio o recinto degli ebrei (Ghetto), che fino verso la metà di questo secolo si tenne chiuso da porte. Il Terribilini, nel suo manoscritto della biblioteca casanatense, dice la chiesa appellarsi eziandio de Cacabis ovvero de Cacabaris. Il Bovio afferma che fu distrutta dal papa Alessandro VII, quando eresse la vicina chiesa di s. Carlo a' Catinari. Il quadro dell'altar maggiore della nostra chiesa, rappresentante la morte di s. Benedetto, si conserva ora nella sagrestia di s. Carlo.
Una chiesa dedicata a questo santo soldato sorgeva in Roma nell'area detta oggi piazza del Monte. Volgarmente era detta s. Martinello alli Pelamantelli (Giubbonari) e fu edificata da un monaco di s. Salvatore, di nome Gualterio, l'anno 1220. Nei censuali vaticani trovo ai 15 di giugno del 1395: domus cum signo sanctorum Philippi et Iacobi de parochia sancti Martinelli. Anche il Terribilini, nelle sue schede manoscritte, afferma che la chiesa stava incontro al monte della Pietà; dice che fu demolita dai fratelli di s. Giacomo degli spagnuoli sotto Benedetto XIV e che vi furono trovati tre ordini di lastre di marmo con ossami; anche il Galletti3 discorre di questa chiesa. p403 Dicevasi s. Martinello, per essere assai angusta; anzi nel codice vaticano delle Visite del 1566 è notato: c la chiesa non ha sacrestia, ma si veste e para il sacerdote a un altare appresso il maggiore. Secondo il Bovio è la chiesa medesima che nel secolo XII diceasi in Panerella, come abbiamo dal Camerario, e dove nel 1598 furon trovati molti corpi santi. È ricordata nella bolla di Urbano III fra le filiali di s. Lorenzo in Damaso. Fra le epigrafi sepolcri della chiesa v'erano le seguenti:
HIC IACET D. IVVLIANVS DE CORTESIIS QVI OBIIT SVB ANNO D. MCDLVI DIE V MENSIS MAII, CVIVS ANIMA REQVIESCAT IN PACE. AMEN.
La chiesa fu concessa nel 1604 alla confraternita della Dottrina cristiana.4
L'illm̃o e rm̃o mons. Benavides mi ha fornito altre notizie circa le scoperte cui accenna il Terribilini, tolte da un documento dal medesimo posseduto. Ivi leggesi quanto segue:
"Avendo il papa Benedetto XIV trasferita l'arciconfraternita della Dottrina Cristiana dalla chiesa s. Martinello situata sulla piazza et incontro al Monte di Pietà alla chiesa della Madonna del Pianto; il dominio della prima passò sotto quello di s. Giacomo de' Spagnoli: ma la chiesa era cadente. Avendone cominciata gli amministratori di questa la demolizione, scoprirono nel pavimento sotto l'altare maggiore e la predella un altro piano formato con tre ordini distinti di tavoloni grossi di marmo, alzato il quale lo ritrovarono colmo d'ossa umane. Datone avviso al Can. Boldetti, gli dissero che si sapeva che ivi si trovavano 130 teste con l'altre sue ossa entro un vaso a modo di condotto per lungo che circonda attorno l'altare, entro una di quelle teste si trovò uno spiedo e diverse manette onde si congettura sieno reliquie di martiri."
Fatti togliere i marmi che chiudevano li tre loculi, vi furono trovati trenta anelli di ferro di due dita di diametro e molti chiodi tutti arrugginiti e avanzi di case di legno in cui erano state poste quelle ossa; due coltelli di ferro, uno col manico di ferro, e moltissime ossa e cranî e parecchi pezzi di vetro, e tutto ciò fu trasportato a s. Giacomo degli Spagnuoli.
p404 Io sospetto che sia questa la chiesa medesima che il Camerario ricorda col nome di s. Martino de Monticello a proposito del noto presbiterio.
È antichissima parrocchia del rione della Regola, e prese la sua denominazione, insieme alle nuove contrade, da una collinetta o piccolo rialzamento del suolo, su cui la chiesa è situata. Nel secolo XV era denominata de Monticellis, come abbiamo nei cataloghi di Torino e del Signorili. Fu consecrata da Innocenzo II l'anno 1143 il giorno 6 di maggio, di che v'ha nella chiesa ancora questa insigne memoria:
Sanctificans avlam pater Innocentivs istam nec cvm servisset sic libera ivssit vt esset qvi tvnc praesentes lavdarvnt pontifices tres Conradvs Stephanvs Albricvs cvm foret annvs ternvs millenvs deciesq. qvaterqve decenvs et qvartvs decimvs patris hvivs pontificatvs et sextvm solem aprilis revocaret in orbem. |
Nel Theatrum Urbis dell'Ugonio,5 nella Barberiniana, si legge una descrizione di questa chiesa, che allora conservava l'antica forma. Ivi si dice che il coro era formato di commessi marmorei cosmateschi, opera di un artefice Andrea e suo figlio nel 1227. L'epigrafe era la seguente:
Era simile a quello conservato ancora nella cripta della cattedrale di Civita Castellana. Nell'abside di quella chiesa v'era il musaico col Salvatore e sotto l'epigrafe già detta della consecrazione dell'altra da Innocenzo II.
Sembra che fosse appellata anche s. Maria in arenula: fu collegiata, ma le entrate vennero poi unite a quelle di s. Lorenzo in Damaso.
p405 Clemente XI la fece di nuovo restaurare ed in quella occasione le colonne delle navi furono rinchiuse entro pilastri. Benedetto XIII la concedette ai padri della Dottrina cristiana.
Urbano III, da Porto vi fece trasferire le reliquie dei santi martiri Ninfa, Massimiliano, Eustazio, Quodvuldeo. Presso la porta vedesi dipinta la testa di un pontefice, la cui tiara ha solo due corone. Il Garampi ha dimostrato che il circolo prezioso, segno distintivo del regnum, antico nome della tiara papale, fu uno solo fino ai primi anni di Bonifacio VIII, il quale aggiunse la seconda corona, finchè Clemente V ed i successori di lui in Avignone adoperarono costantemente il triplice serto.6 Il ritratto è dunque anteriore ai tempi di Clemente V e forse rappresenta l'imagine di Pasquale II. Nel libro delle visite di Alessandro VII, più volte da me ricordato, trovo a proposito delle reliquie di s. Ninfa che "la s. m. di Clemente VII concesse al Senato di Palermo parte del corpo di s. Ninfa vergine e martire, il corpo della quale si trova nella chiesa parrocchiale di s. Maria in Monticelli con molti antichi santi cittadini di Palermo. E il Senato donò alla chiesa cinque mila scudi, parte di quali si spesero in fabbrica della medesima chiesa ed in fare un'arca per riporre i corpi santi."
Nei regesti d'Urbano IV leggo che quel papa commise: Paulo Cintyo canonico ecclesia s. Marci de Urbe, ut Aegidius Iohannis Milonis faciat recipi in canonicum sanctae Mariae in Monticellis Arenulae de Urbe. Dat apud Urbem Veterem IV. Kal. Iulii. A. IV.7
Nel suddettoº libro delle visite descrivendosi lo stato materiale della chiesa si dice: "che sta sopra un monticello elevato in modo che nelle maggiori inondationi di Roma la chiesa è illesa dalle acque."
In altra più antica relazione dell'anno 1566 v'ha poi la seguente nota dell'ufficiale del Vicario:
"Andai a s. Maria in Monticello verso le XIII hore hoggi mercoledì XIII di febraio dell'anno 1566, e ritrovai la chiesa serrata et il cancello del portico, e chiedei ad un prete che usciva che desideravo dir messa lì, onde non farmi conoscere. Il rettore si chiama Filippo Farfetti di Borgo s. Sepolcro già servitore del cardinal Maffei, da cui havea havuto quella rettoria. Dimandatogli della Parrocchia dice esser grande, ma non essere più di 200 case et essere gente assai bassa."
p406 La tribuna era messa a musaico, opera dei tempi di Pasquale, ma non vi rimane oggi che l'imagine del Salvatore, attorno al quale si vedono dipinti in affresco gli angeli che lo adorano, lavoro mediocre del Parrocel.
Nello Stato temporale delle chiese di Roma dell'anno 1666 leggo la seguente relazione:
"Non si sa chi l'habbi fondata, è alta palmi 64, larga palmi 37, longa palmi 112, et ha tre navate senza soffitto, d'architettura antica, et un Christo di mosaico antico nella tribuna con 6 colonne a mano manca, quattro a mano dritta et due pilastri che servono per colonne et d.e colonne alcune sono di pietra et altre di marmo; ha tre porte una per lato. La porticella va al Cemeterio.
Ha cappelle 10, cioè
S. Ninfa
S. Agostino
S. Antonio (s'è persa l'entrata nè c'è chi l'officia)
Cappella della Colonnella eretta dai Sig. Mandosii
S. Andrea
Del presepio eretto dalla Casa Ornario
S. Gio. Batt
Della Madonna fondata dal Sig. Cipriano Serremedici
Crocifisso
S. Angelo
Questa parrocchia per essere stata in mano circa 80 anni di Zio et di Nepote D. Angelo Fondi et D. Stephano Fondi Rettore di d.a chiesa et havendo l'heredi portato via tutte le scritture, et il Rettore presente dopo haverli scommunicati et ricorsi alla S. Visita la quale ordinò a Mons. Vicegerente che facesse trovare d.e Scritture (nondimeno non se ne è fatto altro). Però non c'è notazione d'entrate, nè d'istromenti, nè di canoni, di censi nè di cosa alcuna. Però si suplica a remediar contro detti heredi.
Ha sepolture n.o 20: ha cemeterio dove ci sono molte finestre delle quali ci calano, et vi è uno che ci ha una porta, quali cose tutte hanno bisogno di rimedio.
Ha annessa la cura d'anime che si esercita da un Rettore perpetuo e si dà per concorso.
Ha case o famiglie n. 273.
Ha un entrata di sc. 342 — spese 204."
Ai 20 settembre del 1657 il cardinale Franciotto ed il p. Virgilio Spada, e Benedetto de Mellinis andarono per ordine della Congr. della S. Visita a questa chiesa e trovarono sull'altar maggiore due coppe d'argento con vestimenti di bronzo dorato, in p407 una delle quali si leggono queste parole: SANCTO MAMILIANO EPISCOPO ANNO MCDLVI. Nell'altra si legge S. NYMPHAE V. ET M. Ivi è una memoria della concessione fatta di una parte di queste reliquie da Clemente VIII a Palermo, per cui il senato donò a quella chiesa cinque mila scudi.
Era il titolo d'un piccolo oratorio dedicato al suddetto santo e che sorgeva presso s. Maria in Monticelli.
Ne dà notizie il Martinelli ricavandole da un documento dell'anno 1587; tranne il Martinelli ne tace affatto ogni altro autore.
Ancora esiste, ma non è l'antica, poichè la prima fu demolita sotto Urbano VIII per costruire il vicino edifizio del Monte di Pietà ed era dipendente dal monastero di Farfa. Nel libro infatti delle visite dell'anno 1566, di cui ho già più volte fatto menzione, v'ha la seguente relazione:
"Sta nel detto rione (la Regola): il rettore un don, o messer Luciano d'Anderocho (Introdocho) (sic) appresso l'Aquila mi disse che quella chiesa è di Monaci di Farfa. Mi disse che quella parrocchia sono di 200 case, con gente assai vile e bassa e dishonesta, poichè vi sono assai meretricie et anno mescolato giudei. Il cimitero e sepolture sono avanti la porta della chiesa honestamente. Di questa parrocchia è la casa di Santacroce dove sta il cardinale di Santacroce, quale sa dietro la chiesa e detto cardinal Santacroce vi suole talvolta andare a udir la messa."
La nuova chiesa fu riedificata nel 1639. Il Bovio dice che era antichissima e a tre navi. Nel codice di Torino è ricordata col nome de campo, come in quello del Signorili. In quello del Camerario poi la denominazione è oscurissima, poichè ivi si legge de deo campo (sic), la quale confesso che mi riesce enigmatica. Si tratta evidentemente di un nome corrotto poichè campi si chiamavano nel medio evo le grandi piazze di Roma, che per essere sterrate e spesso verdeggianti d'erba presentavano l'aspetto di una campagna. In alcuni codici vien detta Dompni Campi, ovvero Onecampi.
p408
S. Benedetto in Arenula
(ss. Trinità de' Pellegrini)
º
Numerosissime furono le chiese che sorsero in Roma nel medio evo dedicate al nome del gran patriarca dei monaci d'occidente; e ciò non solo per la gran divozione che in quei secoli riscosse quel santissimo monaco, ma anche per la grande influenza che nei secoli del medio evo esercitò su tutto l'occidente l'ordine benedettino. Una delle più antiche chiese romane di s. Benedetto è quella che fu detta in arenula, cioè nel rione della Regola. È ricordata dal Camerario fra quelle che ricevevano il consueto presbiterio di sei danari. Nei regesti di Giovanni XXII nell'archivio vaticano trovo che il papa: mandat Angelo episcopo viterbiensi Papae in urbe vicario quatenus auctoritate apostolica confirmet constructionem . . . altaris in parrocchiali ecclesia s. Benedicti de Arenula quae est capella immediate subiecta ecclesiae s. Laurentii in Damaso de urbe per Ioannem Mazzeroli civem Romanum factum ac conservationem ipsius altaris reservato ipsi et successoribus eius iure praesentanda.8
Dalle vicine case degli Scotti, baroni romani, fu appellata anche s. Benedetto degli Scoti ovvero Scottorum; sembra essere la stessa chiesa che, siccome scrive il Grimaldi, da una diruta torre ivi esistente fu detta de turre perfondata. Fu chiamata anche s. Benedetto de Sconchis, ovvero de Sanctoro. L'anno 1558 dal papa Pio IV fu concessa alla compagnia della ss. Trinità. Nell'area della chiesa demolita fu eretta nel 1614 la odierna della ss. Trinità dei Pellegrini presso ponte Sisto.
Infatti nella relazione di visite ordinate dal vicario del papa in Roma l'anno 1566 v'ha la seguente nota: "Nella chiesa di s. Benedetto alla Regola vi è la compagnia della ss. Trinità che ivi appresso mantiene l'ospedale dei Convalescenti et riceve i forastieri peregrini."
Nello stesso documento si dice pure che sopra l'altare maggiore "nel muro vi è una devota imagine della Madonna che era in certe case del vescovo Rustici per opera del quale fu da quel luogo sordido trasferita in questa chiesa, et è miracolosa, onde intorno è piena di voti d'argento, e intorno la chiesa nei muri vi sono appesi infinitissimi voti di cera, et infinite tavole di voti similmente dipinte."
p409 Presso la chiesa v'era quei un'antica abbazia di benedettini.
Poi vi subentrò la compagnia dei Pellegrini, una delle tante e splendide istituzioni del genio di s. Filippo Neri.
Architetto dell'odierna chiesa fu Paolo Maggi, ma la facciata è di Francesco De Sanctis.
Il quadro dell'altar maggiore è di Guido Reni; nel primo altare a cornu evangelii si venera la imagine della Vergine, di cui si è già parlato, concesso da Pio IV alla confraternita.
È situato nella via delle Zoccolette, ed è ufficiato dalla arciconfraternita dei Pellegrini: sull'altar maggiore v'ha un quadro di Giacomo Zucca che rappresenta s. Gregorio in atto di celebrare il divin sacrificio.
Era il titolo d'una divotissima cappella situata nel così detto Arco del Monte, presso la piazza della ss. Trinità dei Pellegrini. Dopo il 1870 questa cappella fu diroccata, e l'imagine ivi venerata, venne rimossa da quel luogo e trasportata nella prossima chiesa della Trinità all'altare dei ss. Agostino e Bonaventura.
Entro lo stabilimento del Monte di Pietà v'era una divota cappella dedicata alla ss. Trinità, che era l'oratorio del Monte. Ricca di marmi, solennemente si apriva al pubblico nel giorno della festa titolare della medesima. Fu eretta con architetture di Gio. Antonio de Rossi. Sull'altare v'ha un bassorilievo rappresentante la ss. Trinità, opera di Domenico Guidi. Il Tobia da uno dei lati fu eseguito da Pietro Le Gros. Fu dissacrata ed abbandonata dopo il 1870.
Molte chiese ed oratorî furono dedicati in Roma a questa martire illustre, dei quali troviamo fatta menzione nel libro pontificale, massime nelle biografie di Leone IV e di Stefano III: ve n'era una presso la basilica estramurana di s. Lorenzo sulla via Tiburtina, del quale diremo a suo luogo, nella Suburra, sul Celio, e presso il teatro di Pompeo. Una delle più antiche è questa tuttora esistente nel rione della Regola, presso l'odierna via dei Giubbonari, che nel secolo XV s'appellava dei Pelamantelli. L'oratorio è ricordato dal Signorili fra le chiese della prima partita; è notato pure nel catalogo del Camerario, ove si assegnano al suo clero sei denari di presbiterio. Nel 1351 trovo un ricordo di questa chiesa in un censuale della basilica vaticana di quell'epoca: A. 1351 domum positam in urbe in contrada Regulae iuxta hortum ecclesiae s. Barbarae qui hortus adhaeret dictae ecclesiae. Il Panciroli9 afferma che la chiesa fu consacrata l'anno 1306; ma certamente le origini della chiesa sono assai più antiche, come risulta da un'antica epigrafe ivi affissa e che appartiene al secolo XI. L'epigrafe è preziosa per la storia delle famiglie romane nel medioevo ed appartiene a Giovanni de Crescenzo de Roizo (Lorenzo), il quale insieme alla sua consorte di nome Rogata, pro redemptione animae nostrae renuntiant et emittunt la chiesa suddetta di loro patronato e con tutte le sue pertinenze, dal dominio di qualsivoglia persona. Egli è il famoso Giovanni Crescenzio, prefetto della città nei primi anni del secolo XI, la cui sposa Rogata, che il Gregorovius erroneamente chiama sorella, era senatrice dei Romani.
La chiesa fu dichiarata titolo cardinalizio da Leone X e tale rimase fino s Sisto V che lo rivocò; fu parrocchiale fino al 1594, allorchè Clemente VIII la soppresse, concedendola poi nel 1601 al collegio dei librai in Roma che ancora la posseggono, i quali aggiunsero al titolo della santa martire il nome del loro santo patrono Tommaso d'Aquino. Quanto alla contrada in cui sorge, ho detto che prendeva il nome dai Pelamantelli o Giubbonari, che in quella via hanno ancora le loro botteghe. Essi, come tutte le arti, erano costituiti in collegio ovvero università. Nell'archivio de' Brevi10 v'ha il rescritto del p411 papa Innocenzo XII in favore dell'università dei Pelamantelli dolla facoltà duplicandi subsidium dotale favore filiarum artis oratricis (sic) opificum monacari volentium. Nel circondario della parrocchia il capitolo vaticano possedeva nel 1395 una sua casetta che aveva per insegna una croce, come leggo nei censuali della basilica: Domus cum signo crucis de parochia s. Barbarae.11
Il Martinelli scrive che appellavasi già, dagli Inglesi: s. Barbarae Anglorum. Confesso d'ignorare affatto quando e come la nazione inglese possedesse quella chiesa vetustissima.
Questa chiesa fu riedificata da Benedetto XIII: Clemente VIII nel 1532 la dette alla Compagnia dei macellai: ivi esisteva in origine una chiesa dedicata a s. Niccolò. Il nome di Quercia la chiesa lo ebbe da Giulio II, il quale volle che in Roma vi fosse un santuario simile al notissimo di Viterbo, che cominciò da un'imagine della Vergine dipinta in tegola e posta nel tronco di una quercia da un cotal Battista Calvaro. Il Terribilini, nel suo diario da me edito, dice: "Ho saputo dal signor D. Francesco Rota, che nella cantina della casa ove egli abita, posta accanto l'osteria del Sole alla Quercia, vi sono colonne e musaici antichi, creduti del teatro di Pompeo."
Era nella terza partita, ed era servita da un sacerdote, habet unum sacerdotem, come dice il catalogo di Torino. Stava presso al palazzo del Capo di Ferro nella Regola. Clemente VIII la concesse ad una confraternita che la riedificò sotto il titolo di s. Maria della Quercia.
Era vicinissima all'anzidette, e dalla contrada che nel medio evo, per essere assai soggetta alle inondazioni, diceasi in unda, prese il nome. Si chiamò pure de custo carcere e forse in notomia. Nei regesti di Urbano V trovo: collatio canonicatus et p412 praebendae ecclesiae ss. Laurentii et Damasi de Urbe per Nicolai Francisco de Quetraicis resignationem permutatinis causa in canonicatum et praebendam ecclesiae s. Andreae de Unda in eadem urbe vacantium primo Petro Francisci.12
È una delle più antiche del rione della Regola. In origine ebbe il titolo di s. Maria in Catarina. Ma quel nome subì molteplici variazioni, fra le quali ricordo come più frequenti: in Cateneri, in Catenari, in Catinera e de Catenariis, benchè col primo nome venga indicata nella bolla di Urbano III del 186, documento che la mostra già parrocchiale. È veramente curiosa l'origine del culto di s. Caterina in questa chiesa, provenùtole da un errore di pronuncia volgare circa il titolo caterina, il quale nessuna relazione storica ebbe da principio con alcuna delle sante di quel nome.
La chiesa infatti diceasi s. Maria de catenariis, poichè annesso alla stessa v'era un ospedale destinato ai poveri prigionieri riscattati dalle mani dei barbareschi di Tripoli e di Tunisi; i quali presso l'altare della Vergine, come ricordo della liberazione, solevano appendere le loro catene, onde il nome de catenariis, divenuto Caterina, e quindi il culto di s. Caterina subentrato a quello di Maria. Nella relazione delle visite, che ho più volte ricordato, l'anno 1630 trovo, di questa chiesa, la seguente nota:
"S. Caterina detta in catenariis è appresso Corte Savella. È del capitolo di s. Pietro che lha data alla compagnia di s. Antonio di Padova. Il cappellano dice che l'area della piazza avanti alla chiesa era tutta chiesa, ma perchè cadde e rovinò fu concessa a detta compagnia che l'ha di nuovo riparata, e il resto della chiesa et hospedale restò per piazza, perchè in quella era l'hospedale di quei che si riscattavano in Barberìa da mani d'infedeli.
"La parrocchia fa da 100 fochi e sono della parrocchia s. Geronimo, s. Brigida e s. Thomasso d'Inglesi."
Niuno, per quanto io mi sappia, ha accennato alla anzidetta origine di questa chiesa, che fu chiamata anche de Sabellis.
p413 Recentemente è stata restaurata dal capitolo vaticano, ad iniziativa del zelante parroco don Giuseppe Sparagana, testè defunto.
Questa chiesa è stata di fresco riedificata e splendidamente adorna, ma è antichissima. Ivi esisteva in fatti la chiesolina chiamata la ssm̃a Trinità degli Scozzesi che è registrata nel catalogo del Camerario fra le principali di Roma. Essa, invero, nella solennità dei Turiboli riceveva due soldi di presbiterio. Era congiunta alla medesima un'antica badia annoverata fra le venti principali di Roma, ed aveva annesso un ospizio pei pellegrini d'Inghilterra, le cui origini si fanno risalire fino al secolo VII. L'ospizio fu poi mutato in collegio ecclesiastico di giovani studenti della nazione medesima da Gregorio XIII, che la affidò ai Gesuiti. Nel 1575 il card. Northfolch riedificato la chiesa fatiscente e ristabilì il collegio, che tuttora vi fiorisce. Le pareti della chiesa medesima furono decorate a fresco da Niccolò Cerciniano detto delle Pomarancie, il quale vi rappresentò molte scene di martirî avvenute nella grande persecuzione inglese, per cagione dello scisma.
Nello Stato temporale delle chiese di Roma, nel 1661, ne trovo la seguente descrizione: "La chiesa è dedicata alla santissima Trinità e a Tommaso Cantuariense. Ha un campanile con tre campane et un orologgio. Ha cinque altari e due seppolture communi, è suffittata e sopra di essa vi è la libraria del Collegio. Ha annessa la cura dell'anime de' scolari et altri domestici che si esercita dal padre Rettore. Ha quattro cortili et in uno vi è un pozzo grande nuovo. Item ha un giardino con spartimento di mortella et diversi albori di merangoli e spalliere di agrumi. Possiede molte case e una viga di cinque pezzi incirca fuori della porta di s. Sebastiano; innanzi vi è la piazzetta nella quale sta la cappella rotonda detta Domine quo vadis. Ogni giorno nella chiesa si deve dire una messa nell'altare di s. Giovanni fondato dalla bo. me. del cardinal Polo."
Questa chiesa è situata presso il Palazzo Farnese; secondo un'antica e non del tutto dispregevole tradizione romana, ivi sorgeva la casa della celeberrima Paola matrona romana, ove dimorò talvolta lo stesso s. Girolamo. Fu un tempo collegiata, poi la uffiziarono i minori osservanti, che nel 1536 furono traslocati a s. Bartolomeo all'isola.
Clemente VII la concedette allora ad una compagnia di nobili forestieri da lui eretta, la quale prese il titolo della carità, perchè occupata in queste opere. S. Filippo Neri ivi dimorò trentatrè anni, dando colà inizio al suo oratorio; rimane perciò in quel luogo la stanza del Neri, nella quale tre grandi personaggi del secolo XIV talvolta s'intrattennero in santi colloquî; essi sono Carlo Boromeo, Ignazio da Loyola e frà Felice da Cantalice.
Nel 1600 la chiesa fu riedificata; nella tassa di Pio IV viene chiamata s. Hieronimo nel rione della Regola. Nei più antichi cataloghi non si trova menzione di alcuna chiesa dedicata in Roma al santo dottore, il che è forse da ascrivere alla poca dimestichezza che, per la sua severità, ebbero in origine i romani col grande amico di Damaso.
La facciata della chiesa fu innalzata a spese di Fantino Renzi: sull'altare maggiore amiravasi già il celebratissimo quadro del Domenichino rappresentante la comunione di s. Girolamo, che è oggi uno dei più belli ornamenti della pinacoteca vaticana: la copia sostituitavi vi è un quadro coll'imagine della beata Vergine fra i santi Girolamo e Filippo Neri, opera di Francesco Romanelli.
Si vuole che nel luogo della chiesa dedicata al nome della santa principessa svedese, esistesse la casa in cui ella dimorò e nella quale, come scrive il Fanucci,13 aprì un ospizio per i suoi connazionali. La chiesa fu edificata nel secolo XIV sotto il papa Bonifacio IX che canonizzò s. Brigida; fu poscia restaurata l'anno 1513. Dopo l'eresia luterana, rimase abbandonata; p415 finchè, sotto Paolo III, venne occupata da Olao Magno, vescovo di Upsal. Giulio III destinò l'ospizio e l'annessa chiesa alle convertite, che vi dimorarono fino a s. Pio V. Il cardinale Albani, poi Clemente XI, la rinnovò dai fondamenti, edificandovi la facciata attuale sulla parte destra della piazza Farnese, e l'ospizio dato ai padri dell'ordine del ss. Salvatore. In un documento dell'epoca ho trovato che l'anno 1535 essendo "messer Latino Iuvenale maestro de strade, de commissione de n. s. Paolo III fece fare una strada dalla piazza de Farnese per fine in Campo de Fiori."
Chiesa spettante alla nazione spagnuola ed oggi nazionale, dopochè fu abbandonata quella di s. Giacomo posta in piazza Navona, perchè dicevasi minacciasse ruina. Essa venne edificata nell'anno 1495 dagli Aragonesi e dai Catalani sulle rovine di un'antica chiesa dedicata a s. Niccolò. Questi fin dal 1391 ivi avevano fondato un ospedaleº a cui parteciparono gli Aragonesi ed i Valenziani, come si ritrae da un'opera sulle antichità di Roma scritta in lingua spagnuola nel 1585, della quale il Martinelli riporta il brano in proposito. I deputati delle tre provincie, secondo lo stesso documento, posero la chiesa sotto la invocazione di s. Maria di Monserrato l'anno 1506. Ma documenti autentici ricavati dall'archivio di questa chiesa, nei quali mi ha dato gentilmente notizia l'illm̃o et rm̃o mons. José Benavides rettore di quella, m'insegnano che l'origine della medesima e del suo ospedale è la seguente:
Nell'anno 1354 Jacoba ferrandes catalana nata in Barcellona comprò una casetta in Roma nella regione della Regola per fondarvi un ospedale pe' suoi connazionali, chiamato l'ospedale di s. Niccolò dei Catalani, da una cappella che ivi eresse in onore di questo santo. Al medesimo ospedale la fondatrice lasciò in eredità il suo patrimonio. 'esempio della pia donna fu imitato nel 1363 da Margherita Pauli di Majorca che anch'essa fondò un altro ospedale per inferme della sua nazione nella parrocchia di s. Tommaso degli spagnuoli, chiamato l'ospedale di s. Margherita dei Catalani, al quale lasciò tutto il suo avere. Nel 1495 Alessandro VI fondò una confraternita degli spagnuoli sotto il patrocinio di s. Maria di Monserrato, la quale si raccoglieva in una chiesa di s. Niccolò che sorgeva nell'area dell'attuale di s. Maria. Nel 1518 quella chiesa fu demolita e si cominciarono a gettare le fondamenta dell'attuale, ove erano già stabiliti i due ospedali anzidetti riuniti in un solo.
p416 I re di Spagna con generose elargizioni concorsero alle spese della nuova fabbrica, per ampliare la quale fu dovuto abbattere una seconda chiesolina ivi attigua, chiamata s. Andrea Nazaret.
Alla fine del secolo XVIII le rendite del pio stabilimento erano diminuite così, che per provvedere gli ammalati dell'ospedale i priori dovettero vendere gli arredi sacri della chiesa e la stessa imagine della madonna titolare, che si venera ora in Gennazzano. Finalmente nel 1803 la chiesa venne chiusa; ma nel 1818 si cominciò di nuovo a restaurarla, e nel 1822 fu nuovamente consacrata, dopo che vi si trasportarono tutti gli oggetti d'arte e memorie sepolcrali che erano in s. già a piazza Navona. In questa chiesa furono anche trasferite le ceneri dal Vaticano dei papi spagnuoli Callisto III ed Alessandro VI, le quali fino al 1889 giacquero insepolte. Allorchè Sisto V distrusse la cappella di s. Maria della Febbre in Vaticano, per i lavori della nuova basilica furono stati tolti di là i corpi dei due pontefici, e per due volte trasferiti da un luogo all'altro della basilica medesima. Fu allora che mons. Giovanni Battista Vives di Valenza chiese al pontefice che le ceneri dei suddetti papi venissero trasferite nella chiesa di Monserrato. Paolo V accondiscese, e il giorno 30 gennaio del 1610 sull'imbrunire fu fatta questa traslazione. Il Vives aveva in animo di erigere due sontuosi monumenti agli anzidetti papi suoi connazionali; ma, per discordie insorte con i priori di Monserrato, fino ai giorni nostri giacquero indecentemente collocati sopra una rozza panca nella sagrestia vecchia della chiesa di Monserrato. Non si possono rendere elogi bastevoli allo zelo del sullodato rettore mons. Giuseppe Benavides, il quale procurò che finalmente si desse riposo alle ceneri dei due pontefici e fossero decentemente collocate nel piccolo monumento già eretto ad ambedue nella cappella di s. Diego, fatto nel 1881 per cura di alcuni nobili personaggi spagnuoli.
Dalla copia autentica dell'istrumento fatto in atti Tommaso Monti ai 21 agosto 1889 della ricognizione, traslazione e tumulazione di quelle ceneri, della quale mi ha dato notizia il sullodato mons. Benavides, trovo quanto segue:
Il giorno 21 agosto 1889 accedettero in s. Maria di Monserrato il notaro Tommaso Monti, e in qualità di testimonî i rm̃i monsigg. Francesco Santovetti promotore fiscale del Vicariato, e Giuseppe Benavides zelantissimo rettore della chiesa suddetta. La cassa in cui si conteneano le ceneri dei due pontefici era plumbea di mezzana grandezza, sulla quale a stagno vi erano quattro suggelli, con la impressione del sigillo della p417 chiesa nazionale di Monserrato: aperta dai suddetti la cassa si trovò nella medesima altra piccola di legno chiusa con chiodi, legata con fettuccia di seta bianca fermata con due suggelli di cera lacca rossa improntata di uno stemma cardinalizio. Su questa cassa leggevasi la seguente scritta in carta: Los Huesos de dos Papas estan en esta cajeta y son Calisto y Alexandro VI y erano españoles. Distrutta la legatura e fatto schiudere il coperchio, si trovò piena di ossa umane compresi gli avanzi di due cranî, in mezzo alle quali si videro resti di tessuti con vestiti di paramenti dorati. Tutti quei resti, dalla vecchia cassetta furono posti in altra di abete insieme a pergamena rinchiusa entro tubo cilindrico di cristallo con i suggelli dell'em̃o Vicari il sig. card. Lucido M.a Parrocchi e di monsig. Benavides; in quella pergamena si scrisse essere quelle le ossa e le ceneri dei sommi pontefici Calisto III ed Alessandro VI. La nuova cassetta fu rinchiusa entro l'antica plumbea lunga m. 0,56 e larga m. 0,46, alta m. 0,22. Fatto ciò e recitate le preci dei defunti, e fatta da monsig. Benavides l'assoluzione di rito, la cassa medesima, a porte chiuse, fu collocata entro il monumento nella cappella di s. Didaco.
Dopo i restauri dell'anno 1822, la chiesa non ne ebbe altri fino all'anno 1889, in cui fu rinnovata anche la parte della medesima e dell'ospedale: ed è merito dell'ambasciatore di Spagna presso la S. Sede, l'esimio sig. duca di Baena, aver curato la riapertura dell'antico ospedale, che era stato chiuso nel 1886.
Antonio Sangallo fu l'architetto di questa chiesa e Francesco da Volterra quello della facciata (che poi rimase imperfetta come si vede), opera che il Milizia disapprova altamente e non senza fondamento di ragione. Fu detta di Monserrato (vocabolo catalano che suona nel nostro idioma monte segato), ad imitazione d'altra chiesa della ss. Vergine eretta col soprannome stesso tra i monti della Catalogna, così alti ed acuti che sembrano appunto colla sega divisi.
L'interno di questa chiesa ha una sola navata assai ampia con sei cappelle a cupola, tre per lato; ed il gran cappellone a tribuna nel fondo. Essa è ornato di pilastri corintî scanalati, sulla cui cornice è impostata la volta: tanto i detti pilastri quanto le pareti e la volta sono ricchi di dorature; e nelle pareti, come nella volta, ammiransi degli ornati di chiaroscuro in campo d'oro; il nobile pavimento, tutto di marmo bianco con fasce di bardiglio, è una parte di quello che stava nella chiesa di s. Giacomo in piazza Navona.
Nella prima cappella, a dritta entrando, vedesi l'altare ornato di bei marmi; su di esso è il san Diego di Annibale Caracci, opera riputatissima intagliata all'acqua forte da Giov. Podestà, p418 che esisteva nella chiesa di s. Giacomo, dove eran pure il s. Idelfonso di autore incognito, che qui osservasi nella parete sinistra, ed il giudizio di Salomone, copia d'un dipinto del Mengs che sta dirimpetto.
In un cortile che rimane dietro il cappellone maggiore fu edificato un vago portico con architettura del cav. Pietro Camporese, che diresse anche il restauro della chiesa, meno le due cantorie, e died i disegni degli ornati che in essa vennero eseguiti. In questo portico sono collocate tutte le opere di scultura più pregevoli che erano in s. Giacomo, fra le quali si può vedere il bel deposito di monsignor Montoja, scultura del Bernini, tenuto in molto conto dagl'intendenti; il grazioso altare di marmo colle statue di Maria, Gesù e s. Anna, condotte da Tommaso Bozzoli fiorentino, ed altri parecchi monumenti sepolcrali del secolo XIV e XVII, meritevoli d'essere osservati per bontà di lavoro o per ricchezza di marmi.
Questa chiesa viene uffiziata con pompa e decoro grande dai cappellani spagnuoli che abitano nell'annesso ospizio, ovest'è pure uno ospedale per gl'infermi della nazione, testè ripristinato.
Nelle carte del medio evo che di questa chiesa fanno menzione, le trovo attribuite le seguenti denominazioni: de Azanestei, Azanasti, Azanesi, Aganesi, de Organasti, de Ania e più anticamente a domo Ioannis Ancillae Dei.
L'origine dei nomi che ho ricordati è ancora oscura. Ho forte sospetto sia la medesima chiesa che ebbe anche il titolo di s. Andrea Nazareni che era situata appunto nel luogo appellato Corte Savella, dove erano le carceri del medio evo, presso Monserrato. Era situata presso l'attuale chiesa di s. Maria di Monserrato e fu distrutta l'anno 1573 per edificarvi l'ospedale degli Aragonesi. Il Signorili la ricorda fra quelle della prima partita col nome detto s. Andrea de Organasti. Nel secolo XVI diceasi s. Andrea Nazareno e negli atti d'una visita del 1566, che ho trovato negli archivî vaticani, leggo la seguente relazione sulla chiesa: S. Andrea Nazareno appresso Corte Savella, oggi si chiama anche s. Buonhomo perchè vi è la compagnia dei calzettari che hanno per loro protettore s. Buonhomo. La parrocchia è di circa 100 fuochi, è finitima e vicinissima a s. Giovanni in Ania et a s. Catterina.
Il nome de Ania lo ebbe dalla vicina chiesuola, tuttora esistente, detta in agina ovvero in aina.
Questa chiesolina era posta in via Monserrato, quasi dirimpetto a quella della chiesa di s. Maria, nell'area del palazzo dall'Olio. Venne demolita a memoria nostra. Vi si venerava sull'altar maggiore una piccola statua della Madonna. Era chiamata dal popolo s. Teresina.
Stava nell'area occupata poi dalla chiesa di s. Maria di Monserrato, ed era assai antica, perchè la troviamo già esistente sotto il pontificato di Urbano VI.14
È una piccola, ma assai antica chiesolina adiacente alla via di Monserrato. Nelle antiche scritture, nella quali di questa chiesa si fa menzione, la sua denominazione è varia, poichè ora è detta in ayno, ora in agino ed anche in erina ed orina. Il Nibby crede che questa strana denominazione si riferisca al nome di qualche famiglia fondatrice; ma la ipotesi del Nibby è priva affatto di qualunque fondamento, e quindi da rifiutarsi. Più anticamente fu appellata in agino. Così infatti leggo in uno dei libri censuali della basilica vaticana dell'anno 1380: Antonius Vanni de Tuderto de regione arenulae et parochia sancti Ioannis in Agina. Ora è assai probabile che l'aginus, ovvero aynus, non sia altro che la scorrezione della parola agnus, e perciò la denominazione si riferisca ad un dipinto della fronte esterna della chiesuola, nel quale fosse già rappresentato s. Giovanni coll'agnello, perciò dal popolo appellata s. Giovanni in agno, quindi in agino e ayno. E veramente una pittura di tale specie adornò già la fronte esterna della chiesa, poichè leggo nel Bruzio, a proposito di questa chiesa, così: nel muro del frontespizio ci sta dipinto Dio Padre e dal lato destro l'imagine di s. Gio. Battista, dal sinistro il santo titolare. Del rimanente è cosa notissima che molte chiese ricevettero denominazioni cosiffatte dai soggetti che vi erano espressi. Dal censuale suddetto p420 risulta che nel secolo XV era parrocchiale; come nei medesimi libri trovo pure all'anno 1395 il capitolo vaticano possedeva domum cum signo mulieris de parochia sancti Iohannis in ayno die XVI octobris 1395. Nel 1697 era ancora parrocchiale e comprendeva nel suo ámbito trenta famiglie. Nella bolla di Urbano III è annoverata fra le chiese filiali di s. Lorenzo in Damaso, ed il suo clero soleva ricevere i consueti sei denari di presente. Il Lonigo conferma l'etimologia dell'anzidetta denominazione, poichè egli nel suo manoscritto vallicelliano chiama la nostra chiese s. Giovannino in Ayno. Nel 1566 dal volgo si chiamava la chiesa della Morte, perchè vicinissima vi era la compagnia suddetta in quell'anno la parrocchia era composta di 40 case et intorno a 300 anime. era fra le chiese della terza partita, e nel secolo XIV avea un sacerdote che la uffiziava. Ecco lo stato della chiesa nel 1660, come risulta dalla relazione che si trova nello Stato temporale:15
"Questa chiesa non ha la memoria della sua fondazione, appare dalla iscrittione d'una pietra marmorea sepolcrale essere già eretta l'anno 1504. È longa dall'icona dell'altare sino alla porta del cancello palmi 56 et alta palmi 14 dal detto cancello sino alla porta maggiore di strada: è larga palmi 32.
"Ha un'altra porta laterale nel muro della sua piazza. Ha tre sepolture comuni, una per li putti, due altre per gli adulti, queste due sono state fatte fare dal medesimo rettore l'anno 1634. Non ha cemeterio. Ha solamente una nave, è soffittata, ha il coro, ha il campanile con due campanae piccole, ha un'altra campanella nella porta della sagrestia. Ha un solo altare col tabernacolo ligneo dorato, dove si conserva continuamente il ss. Sagramento dell'Eucarestia. Nell'altare è l'imagine della b. Vergine Maria dipinta in mur, dal lato dell'Evangelio in una nicchia dipinta e in tela l'imagine del santo titolare s. Gio. Evangelista, dal lato dell'epistola l'imagine di s. Ludovico re di Francia parimente dipinto in tela in un'altra nicchia. Il pavimento è mattonato.
"La chiesa ha la sua facciata alla strada maestra con due fenestre con le ferrate: il frontespizio fu fabricato l'anno 1590 da . . . . . . . . Bonani, come appare dalla sua iscrizione a cap di esso frontespizio, sopra al quale nel muro vi sta dipinto Dio Padre e dal lato destro s. Gio. Battista, dal sinistro il santo protettore, e sopra la porta sta dipinta in muro di bellissima pittura la sacra imagine della beatissima Vergine madre di Cristo col suo Bambino in braccio.
p421 "La chiesa ha annessa la cura delle anime e si esercita dal rettore primo tempore. È filiale della collegiata di s. Lorenzo e Damaso. Le famiglie o case a lei soggette sono di numero 63. Possiede una casa nel vicolo dello . . . . . confinante con quelle di Mutio Orsini e di falo Coronato.
"Sta nel vicolo del Pavone presso i beni di Pietro Vannino e il palazzo dei signori Sforzi. Pervenne a s. Giovanni in Ayno dalla soppressione della chiesa di s. Andrea de Nazareni. Questa chiesa parrocchiale era situata ove al presente si vede eretta la chiesa di s. Maria di Monserrato delle nationi degli aragonesi e catalani. Tutto ciò apparisce dai libri della nostra chiesa parrocchiale e dagli istrumenti del primo not. dell'em̃o Vic. l'anno 1591 fol. 832 a 13 di maggio 1595. Item possiede un annuo canone di sc. 8.50 sopra una casa della strada de' Coronari hoggi posseduta dall'intruso Bernardino Catenari situata vicino al Monte Vecchio della Pietà. Per avanti era della chiesa parrocchiale di s. Leonardo già soppressa che spettava alle diaconie de' ss. Lorenzo e Damaso. Quella chiesa era circa nella strada che va da Torre Sanguigna in verso Banchi alla piazzetta a mano sinistra.
"L'incerti non rendono scudi 20 l'anno raguagliatamente l'un anno per l'altro ancorchè molti anni addietro rendessero scudi 90 e più l'anno. Perchè dopo s'introdusse la presente detestabile corruttela di portare alle chiese li cadaveri dei defonti di notte nelle barelle e nelle carrozze etiam di giorno, senza lumi, senza salmodia, senza croce, senza il proprio parroco con licenza dei sigg. superiori contro il tiro ecclesiastico, pietà cristiana, e comune osservanza di tutto il cattolicismo."
Nel secolo XIV era chiamata s. Lucia nuova. Nei censuali della basilica di s. Pietro trovo infatti all'anno 1371 la seguente notizia: Lippus Rubeis funarius de regione Parionis et parochiae sancti Stephani prope sanctam Luciam novam.16 Il sacerdote Luigi Ruggeri di ch. me., nella sua dotta monografia sulla storia dell'arciconfraternita di s. Lucia del Gonfalone, cita un documento anche più antico di quello vaticano, cioè dell'anno 1352, in cui si trova la stessa denominazione, la quale indica che in quel secolo era ancor viva la memoria della edificazione della chiesa. Ma. oltre quella denominazione, avea contemporaneamente p422 l'altra di s. Lucia in Pescivoli, ovvero della chiavica. È a credere adunque che la chiesa fosse edificata sulla fine del secolo XIII o al principio del secolo XIV. Allorchè la antichissima congregazione dei Raccomandati, per decreto di Martino V, lasciò la chiesa di s. Alberto all'Esquilino e prese dimora poi sotto Innocenzo VIII nella nostra chiesa, fu questa denominata dal Gonfalone, nome che tuttora mantiene. La chiesa si conservò nello stato primitivo fino circa all'anno 1603 in cui vi furono fatti grandi risarcimenti; di nuovo fu rinnovata nel 1765, fino a che venne un'altra volta restaurata dal papa Pio IX nel 1866. Belle e divote feste si celebravano nel secolo XVI in Roma in onore della santa vergine siracusana, invocata come protettrice nelle infermità degli occhi, costruiti quali suole essere dipinta nelle mani, perchè come tale fu invocata dal popolo, a cagione del facile bisticcio sulla parola luce e sul nome Lucia.
Una solenne fiera si faceva in quel giorno nella contrada adiacente alla chiesa detta la Spasa, e le fanciulle romane offrivano all'altare della santa occhi di argento, di cera e di candele.17 Attesta Benvenuto Cellini nella sua vita, di avere egli stesso lavorato uno di quegli occhi, ed offertolo a quell'altare perchè preservato da grave pericolo di perderlo una volta nell'esercizio della sua nobilissima arte. All'arciconfraternita del Gonfalone il papa Gregorio XIII affidò anche la cura della liberazione degli schiavi.
Questa chiesolina fu edificata nella strada Giulia, quasi dirimpetto alle Carceri Nuove, da un divoto guantaio di Firenze, Rutilio Brandi, che in origine la intitolò s. Trofimo. Ivi si raccoglieva una congregazione sotto l'invocazione delle ss. Piaghe di N. S. G. C. eretta dallo stesso Brandi, penitente di s. Filippo Neri. Vi pose egli ancora un conservatorio di povere zitelle, che dotò a sue spese, sotto l'invocazione di s. Filippo, fondandovi pure un piccolo ospedale per sacerdoti infermi. Da quel conservatorio la chiesa poi prese il titolo di s. Filippo, che il popolo di Roma, per le sue piccole proporzioni, appella s. Filippino. Vi si venera un'imagine in rilievo del ss. Crocifisso, proveniente dalla basilica p423 vaticana e che è di arte medievale. i si conserva un reliquario di argento preziosissimo, che il rettore della medesima non volle, settembre l'ordine di Pio VI imposto a tutte le chiese, consegnare.
Nel catalogo delle chiese di Pio V è notata pur quella dell'Arenula e chiamata s. Aura in strada iulia: vi era un monastero di monache. Era dedicata alla martire d'Ostia s. Aurea, contemporaneo di s. Ippolito il quale ebbe colà la sua cattedrale, che nel 1439 fu restaurata dal card. d'Estouteville. Il Lonigo scrive che, ridotta a cattivi termini nel 1572 fu data alla natione de Napoletani che la spianarono e vi fecero la chiesa dello Spirito Santo. Le monache passarono allora nel monastero di s. Margherita in Trastevere: il sito diceasi allora castrum senense, e la via, ora chiamata Giulia, denominavasi Magistralis, dai notari ed ufficiali delle carceri che vi dimoravano: il nome attuale lo ebbe da Giulio II, che avea in animo di protrarla fino al Vaticano, ricostruendo sul Tevere l'antico ponte trionfale.
Fu chiamata anche s. Eusterio nel secolo XIV, come risulta dall'anonimo di Torino, che dice: Ecclesia s. Austerii de campo Senensi habet unum sacerdotem: ora è conosciuta col titolo dello Spirito Santo de' Napoletani.
Qui è sepolto il celebre card. De Luca, famoso giureconsulto e canonista. Il martirio di s. Gennaro, nell'altare dopo il maggiore a mano sinistra, è opera del celebre pittore Luca Giordano, detto Luca fa priesto. La chiesa ai tempi nostri è stata restaurata.
Fu edificata l'anno 1526 dalla compagnia dei Senesi alla santa concittadina: essendo fatiscente, venne ricostruita nel 1760, e sembra che allora andasse perduto il quadro della Resurrezione, opera bellissima di Girolamo Genga, cogli affreschi di Timoteo della Vite, scolaro di Raffaello. Ha un oratorio annesso pei confratri, e casa pei sacerdoti. Architetto della nuova fabbrica fu Paolo Posi. Nel catino dell'abside il Pecheux vi dipinse il ritorno della Sede Apostolica in Avignone, pel quale tanto operò s. Caterina da Siena. Presentemente è ufficiata dai pp. Missionarî del s. Cuore di Maria, fondazione spagnuola, e superiore ne è il rev. don Girolamo Batlloº sacerdote benemerito pei servizî che egli rende al suo ordine e alle missioni.
Questa chiesuola è situata in piazza Padella; oggi è proprietà della famiglia Lais; ma è ridotta alle modeste proporzioni di una cappellina. Anticamente si chiamava De furcis, e più corrottamente de frecca o de furca, come nel cod del Signorili. Sta vicino al Tevere presso via Giulia: la ragione di questa ultima denominazione la dà il Bruzio, il quale dice che in un orto attiguo alla chiesa vi si custodivano i le forche e nella chiesa vi si confortavano i condannati a quel supplizio.
In un documento che ho trovato nell'archivio vaticano, scritto da un prete, occulto visitatore delle chiese di Roma nel 1566, trovai di questa la relazione seguente:
"S. Nicola incoronato è dietro strada Giulia. È una chiesuola simile piuttosto ad una cappella che a chiesa parrocchiale. Il cappellano dice che questa chiesa è iuspatronato degli Incoronati quali sono padroni di quest il vicinato. Dice che anticamente era una cappella dove sta l'altare, et all'incontro et appresso la porta della chiesa se faceva la justitia de condannati a morte colle forche, sopra un pozzo, onde lì sotto vi è anco la preta che cuopre il pozzo dove si gettavano i corpi di giustitiati e perciò si chiamava s. Nicola degli iustitiati. Ma dopo che la compagnia de' fiorentini ebbe l'assunto de condannati, di seppellirli forse da 80 anni in qua, quei di casa Incoronati padroni di quel fondo misero quella chiesa come sta. La chiesa è piccola e il detto cappellano dice che le feste quando dice la messa le persone stanno fuora nella strada. Non ha paramento buono, nè sepoltura perchè truvai allora vi havevano sepolto uno e vi ponevano i mattoni sopra. Dice che fa da 150 case di gente vilissima, meretrici, hosti, allogiatori e persone dishoneste la maggior parte, poche case di nobili. Questa chiesa è vicino a s. Giovanni in Ayno a Corte Savella, et a s. Andrea Nazareno pure in Corte Savella."
Nel 1658 fu di nu visitato, ed allora si chiamava s. Niccolò in piazza Padella. "Fu fatta parrocchia da Leone X nel 1512 con diritto di patronato dell'avvocato concistoriale Plancia de Incoronatis purchè alla chiesa assegnasse 24 ducati annui, vi erigesse il fonte e la fornisse di casa rettorale: il reddito era di scudi 63 annui. Vi sono, così la relazione della visita, tre altari, il maggiore di s. Niccola vescovo, dei due laterali un a cornu evangelii dedicato alla B. V. l'altro p425 a cornu epistolae è dedicato a s. Orsola. Ha un campanile con due campanelle, non ha cimitero ma in chiesa vi sono tre sepolture. Ha 630 animes. È lunga 16 piedi, larga 9 con tetto umidissimo. La festa è ai 6 di settembre e l'imagine del titolare è dipinta sulla porta della chiesa. Il cortile del sig. duca Cesarini era anticamente cimitero di detta chiesa come si ricordo da una istanza di Pietro Lippa rettore, fatta nel 1656 ai cardinali della s. Visita. Dai Planca passò il giuspatronato agli Incoronati onde ebbe il nome."
Questa chiesa sorge nella via Giulia dietro il palazzo dei Farnesi. Fu eretta dalla confraternita omonima, fondata l'anno 1573 insieme all'oratorio annesso. Vi fu posta sull'altar maggiore una divota imagine della Vergine che si venerava in una via pubblica. Essendo troppo angusta, fu edificata in maggior proporzione nel 1737 e consecrata sotto i titoli del ss. Crocifisso e della b. Vergine da Cristoforo d'Almeida, arcivescovo di Parigi, il 20 ottobre 1738. Vi è sepolto il bene servo di Dio Giovanni Ceruso, detto il Letterato, fondatore in Roma del primo ospizio dei fanciulli abbandonati, chiamati da lui i Letterati, donde poi ebbe principio il grande ospizio di s. Michele.
La confraternita ha per istituto di assistere all'orazione delle Quarant'ore che in quella chiesa ha luogo oggi terza domenica del mese, e di dar sepoltura ai morti nella campagna di Roma, dei quali va in circa senza risparmî di fatica alcuna. L'imagine del Crocifisso dipinto sull'altar maggiore è opera di Ciro Ferri.
In questa chiesa la compagnia della Morte celebra solennemente nel novembre l'ottavario dei defunti, e nel cimitero posto inferiormente, prima del 1870, solevasi espore al pubblico la rappresentazione con figure di cera al naturale esprimente fatti storici. Anche questo bell'uso che impressionava le nostre menti fanciullesche, che istruiva il popolo, con tante altre ottime istituzioni ed usanze che formano il carattere di Roma, è sparito dopo l'anno 1870.
Presso la via Giulia, in una viuzza detta ora di s. Eligio, prossima al Tevere, fu edificata una chiesuola a s. Eligio dalla Università degli orefici ed argentieri, in vigore di un motu p426 proprio di Giulio II. Si attribuisce a Bramante l'architettura della chiesina; e, minacciando rovina, l'anno 1601 fu riedificata collo stesso tipo primitivo.
Sull'altar maggiore v'ha il quadro della Madonna fra i santi Stefano, Lorenzo ed Eligio, opera di Matteo da Lecce: negli altari laterali v'ha la Natività, colorita da Giovanni De Vecchi, e l'adorazione dei Magi, di Francesco Romanelli.
Così chiamavasi la chiesa oggi dedicata ai ss. Giovanni e Petronio de' Bolognesi. Fu poi chiamata della Catena, dicesi, dai frati disciplinati che vi dimorarono alcun tempo.
Nel secolo XVI era servita da tre chierici: ecclesia s. Thomae de Yspanis habet tres clericos. Gli Spagnuoli la possedettero fino al pontificato di Pio VI, come risulta dal catalogo del suddetto. È arciantica, poichè viene ricordata dal Camerario, e ne trovo anche menzione in un censuale della basilica vaticana dell'anno 1395: Domus cum signo clavium de parrocchia s. Thomae de Yspanis.
Eccone il cenno che ne dà la relazione della Visita del 1566, poco prima che perdesse il suo titolo:
Questa chiesa sta dietro il palazzo di Farnese alle stalle e la metà di detto palazzo è sua parrocchia, l'altra metà di s. Caterina, suole stare serrata generalmente per negligenza di chi la governa. Il cappellano si chiama messer Bonifacio et ha uno scudo al mese et egli esercita la cura: non vi è tabernacolo pel sacramento, ma si guarda nel muro in una finestrella di legno con chiave et con un velo innanzi e la lampada vi suole stare accesa: la parrocchia è da 94 fuochi."
Gregorio XIII la concedette alla compagnia dei Bolognesi, che la restaurarono; nell'altar maggiore v'era il magnifico quadro del Domenichino rappresentante la Vergine fra i santi titolari, quadro che ora si ammira nella galleria Brera a Milano. Vi si conserva tuttora il quadro dell'altare a mano destra, in cui si rappresenta il Transito di s. Giuseppe, opera di Francesco Gessi, scolaro di Guido. Annesso alla chiesa v'è l'oratorio dei confratelli.
Ridolfino Venuti nella sura Roma moderna18 parla a lungo di questa chiesa. Egli dice che Sisto V nel 1587 volle fondare un ospizio di poveri mendicanti. A tal uopo eresse sul principio della via Giulia, quasi alla testa del ponte Sisto, uno stabilimento di carità per cui erogò la somma di 31572 scudi romani. A questo ospizio aggiunse una chiesa dedicata al patriarca dei poveri, s. Francesco d'Assisi. Questa aveva tre altari; il maggiore era dedicato al santo titolare, ove era anche ritratta l'imagine di Sisto V in atto di orare; il secondo altare era dedicato alla Vergine; il terzo a s. Giovanni Battista. La chiesa fu data all'Ordine Gerosolimitano di Malta.
È stata demolita da pochi anni per i lavori del Tevere, ma il soffitto della medesima venne posto in opera nella chiesa di s. Caterina della Ruota.
La contrada della Regola, in cui sorge questa chiesa, nell'età di mezzo era appellata de unda ovvero in unda, onde prese il nome questa chiesuola antichissima. Nel secolo XIII la tennero i monaci di s. Paolo primo eremita, finalmente Eugenio IV la concesse al procuratore generale dei Conventuali.
Nel 1260 fu restaurata da Cesario Cesarini, e nella relazione della Visita del 1566 così la descrive l'ufficiale incaricato: "È dei frati minori conventuali di s. Francesco: ha circa 40 case di poveri artigiani, eccetto la casa del Capo di ferro che gli è allato, e di qualche persona dishonesta. Nell'ala destra della chiesa vicino alla porta è stato occupato uno spazio del suolo della chiesa quanto corrono quattro colonne e vi si è fatta bottega con stanza sopra e si tiene dai laici."
La chiesa mantiene ancora il suo tipo basilicale a tre navi sostenute da colonne, che sono di diverse misure e con capitelli disuguali. Dapprima era al suo livello primitivo, onde fu nel secolo XVIII rialzato il pavimento e ricoperto ai 24 febbraio del 1729. Da pochi anni è tornata a nuovo splendore per la generosità dell'illustre mons. Francesco Cassetta, il quale a sue spese la fece splendidamente restaurare.
Apparteneva alla terza partita ed era situata presso la riva del Tevere. La tassa di Pio IV le attribuisce venti ducati. Credo sia la medesima che nel catalogo del Cencio è appellata s. Anastasio areolae, cui si attribuiscono sei denari di presbiterio nella solennità degli archi. Antichissima è questa chiesina, già parrocchiale, la quale, minacciando ruina, fu conceduta alla confraternita dei cuochi e pasticcieri, eretta nel 1513 in s. Luigi de' Francesi sotto il titolo dell'Annunziata, che fino ad oggi la possedette. Era anche appellata s. Anastasio in Piscinula e più raramente s. Anastasio Vidae, nome di cui non trovo l'etimologia. Il Martinelli, fra le memorie sepolcrali di questa chiesa, ricorda quella del cuoco segreto di Paolo III. Negli archivî della S. Sede ho rinvenuto, in una relazione di visite ordinate dal vicario del papa alle chiese di Roma nel 1566, la seguente osservazione sulla nostra:19
"Questa chiesa è della compagnia dei cuochi. La parrocchia non fa più di 20 fuochi, è di povera gente. Non tengho per bene che il cappellano tenghi la schola dentro la chiesa siccome nelle altre parrocchie di questo rione."
È stata demolita per i lavori del Tevere: era piccola e a tre navi. Avea quattro altari: i due principali erano dedicati l'uno a s. Calcedonio martire, protettore della confraternita, l'altro ai ss. Vincenzo e Anastasio. La confraternita dei cuochi si raccoglie attualmente nella vicina chiesa di s. Salvatore in Onda.
1 Grotte vat., pag. 353.
❦
2 Necrol. Vatic. 7881, B. I., pag. 33.
❦
3 Cod. Vat. 7871, B. I. Necrolog, pag. 32.
❦
4 Arch. de' Brevi, febr. 1604, f. 356.
❦
5 Bibl. Barb., Theatr. U. R., f. 385.
❦
6 Garampi, Del Sigillo della Garfagnana, pag. 92.
❦
7 Arch. Secr. S. S., De eccl. Urbis, tom. II, pag. 29.
❦
8 Io. XXII, a. XII, parte I, tom. XXVIII, fol. 593.
❦
9 Tesori nascosti, Rione XII, cap. 1.
❦
10 Innoc. XIII, giugno 1721, p. I, pag. 20.
❦
11 Cens. Bas. Vat. 1395‑98, XVI Miss.
❦
12 Urb. V, tom. XXII, fol. 10.
❦
13 Opere pie di Roma, pag. 88.
❦
14 Sodo, Le chiese di Roma, pag. 219.
❦
15 Arch. Vat., Stato temp. delle chiese di Roma, II, 12, 1660.
❦
16 Centuries. Bas. Vat. 1371, pag. xxix.
❦
17 Ruggeri, Storia dell'arciconfraternita di s. Lucia del Gonfalone, pag. 179.
❦
18 Pag. 542.
❦
19 Miscellanea, arm. VII, 2.
a Oggi la piazza Cairoli.
Immagini con bordi conducono ad informazioni: più spesso il bordo più ampie le informazioni. (Dettagli qui.) | ||||||
A
MONTE: |
Armellini: Chiese di Roma |
Chiese di Roma |
Roma |
Pagina principale |
VEDI
ANCHE: |
Topographia Urbis |
Una pagina o un'immagine su questo sito è libera di diritti soltanto se la sua URL reca un solo *asterisco. Se l'URL reca due **asterischi — insieme o separati da altri caratteri — il copyright appartiene a qualcun altro, e viene utilizzata qui con permesso o in applicazione del "fair use" del diritto americano. Se non reca nessun asterisco rimane © Bill Thayer. Vedere la mia pagina sul copyright per tutti i dettagli e per prendere contatto con me. |
Pagina aggiornata: 13 lug 18