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R. Campitelli
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

avanti:

[ALT dell'immagine: (link alla seguente sezione)]
R. Ripa

 p561  XI. RIONE S. ANGELO

S. Angelo in Piscibus
(S. Angelo in Pescheria)

Più comunemente fu denominata nei documenti dell'età di mezzo in foro piscium, dal mercato del pesce che vi si teneva fino a pochi anni fa. Nel secolo XII era anche appellata s. Angelo iuxta templum Iovis, poichè dal volgo si chiamava basilica Iovis il portico di Ottavia, dove sorge tuttora questa insigne ed antichissima diaconia. La sua origine risale al di là del secolo VIII, come risulta anche da un catalogo di reliquie venerate in quella chiesa che porta la data dell'anno 770, del pontificato di Stefano III. Teodoro zio di Adriano I la restaurò, come si nota in un marmo esistente ancora nella nostra chiesa:

THEODORVS OLIM DVX NVNC PRIMICERIVS SANCTE SEDIS APOSTOLICE ET PATER HVIVS BEN. DIAC. A SOLO EDIFICAVIT PER INTERCESSIONEM ANIME SVE ET REMEDIVM OMNIVM PECCATORVM.

In origine fu dedicata all'apostolo Paolo, come si trae dal suddetto catalogo di reliquie: Est enim dedicatio ecclesie istius ad nomen beati Pauli apostoli. Nel secolo XII è ricordata come diaconia da Pietro Mallio. Antichissima è la sua campana maggiore, sull'orlo della quale si legge una epigrafe del 1291 del seguente tenore:

AN. MCCXCI AD HONOREM DEI ET B. M. V. ET S. ANGELI . MENTEM SANCTAM SPONTANEAM HONOREM DOMINIS ET PATRIE LIBERATIONEM D. RODVLPHVS DE SABELLO FECIT FIERI HOC OPVS. DE DOTTIS ME FECIT.

 p562 È questa la formola consueta che ponevasi sulle campane e sui campanili dal XIII al XVI secolo, in cui è notevole la frase Patriaeº liberationem, la quale ricorda come al suono delle campane si chiamassero i cittadini a raccolta nei pericoli della patria: suono che minacciato da Pier Capponi a Carlo VIII nel palazzo della Signoria, intimidì il monarca francese.

In un catalogo parrocchiale del secolo XVII trovo che ai 24 luglio del 1648 s. Angelo avea una parrocchia di 120 famiglie, in tutto 477 anime, delle quali 363 s'erano accostate a Pasqua al Sacramento. In questa chiesa Cola di Rienzo iniziò la sua repubblica dopo aver nella Pentecoste del 1347, a mezzanotte, quivi ascoltato più messe dello Spirito Santo. Fu al mattino del giorno di Pentecoste che da s. Angelo uscì tutto armato, fuor del capo, e circondato dai congiurati.

La chiesa fu ridotta alla forma odierna nei restauri del 1610 ordinati dal card. Andrea Peretti.

Ecco il testo ufficiale inserito nello Stato temporale delle chiese di Roma nel 1660 intorno alla chiesa di s. Angelo:

"È secolare collegiata, parrocchiale e battesimale, una delle più pregevoli chiese di Roma con la subordinazione delle parrocchie al ponte 4 Capi e s. Bartolomeo nell'isola e di s. Giovanni Collavita. È stata restaurata l'anno 1611, lunga palmi 80, larga palmi 46, alta 50. Ha pilastri ionici e suo collarino che sono in numero di 14.

"All'incontro del choro sopra l'ingresso della porta maggiore è un bell'organo con intagli fatto dalla communità dei pescivendoli. Ha un piccolo campanile nuovamente fabricato dopo la ruina dell'antico. Nell'orlo della campana maggiore vi è un antica iscritione. Non ha cemeterio; ma solo avanti la porta maggiore verso mezzogiorno un angloportico recinto da antichissime et alte colonne scannellate, su le quali s'appoggia un architrave di antichissimi sassi, segno evidente della mirabile fabrica antica del tempio già di Giunone e di Mercurio; con alcune figure e specialmente di s. Michele Archangelo, che quasi somiglia le finte apparenze di Mercurio. Hanno l'officiatura di questa chiesa otto canonici, senz'altra prelatione che d'antianità. Hebbe la cura delle anime penes Capitulum, ma la felice memoria di Pio V nell'anno 1571 gli creò il vicario perpetuo con la congrua di sc. 70 ogni anno e un assegnamento di tutti incerti et emolumenti. Li confini di questa chiesa fino dall'anno 1533 furono descritti et in libro dell'archivio capitolare registrati in questo modo:

"Parochia s. Angeli habet novem stratas publicas. 1a via est ab ecclesia s. Angeli quae tendit directe ad plateam turris  p563 melangoli. 2a via est ab ecclesia s. Angeli versus ecclesiam s. Maureni Cumpletio. . . usque ad domus inclusive DD. Gregorii de Serlupis et heredum Iordani de Serlupiis. 3a via tendit directe ad monasterium turris speculorum. 4a via incipit a porta parva s. Angeli versus plateam montanariam, ubi est taberna catene et domus de Vallatis et illorum de Rusticis ubi fit furnus. 5a ab anglo porticus s. Angeli versus plateam Montanariam ubi est domus illorum de Matteis. 6a via incipit a platea magna dicte ecclesie et scendit versus flumen ubi est domus illorum de Bondiis, ubi est viculus qui ducit ad flumen et e directo a pede s. Angeli versus pontem quatuor capitum usque ad angulum inclusive domus de ecclesie a manu dextra posite et ab alio latere et manu sinistra domus cappelle s. Laurenti de Vallatis. 8a via est a monte Palatii Sabellorum versus plateam Mercatelli usque ad domum in quadam plateola que est heredum Cole Petrucii de Castrofoli. 9a via ab anglo porticus dicte ecclesie versus pizzicarolos usque ad angulum domus de Fabiis inclusive ubi est viculus qui ducit ad monasterium s. Ambrosii de Maxima.

"Li padri di s. Maria in Campitello, come republicani, hanno preteso dopo ottenuta la chiesa predetta (sono circa 50 anni) occupare alcune case di da parrocchia di s. Angelo, et ingrandirsi contro le scritture et ubi. Nella parrocchia di questa chiesa sono case n. 123, famiglie n. 135. Gli incerti sono circa scudi 60 moneta.

"Ioseph Io. Bernardus Durante.

"Hodie 29 aprile 1660."

S. Niccolò degli Orsini

Il Martinelli presso il teatro di Marcello ricorda una chiesina di s. Niccolò, che non è da confondere con quella di s. Niccolò in Carcere: fu distrutta nel secolo XVI.

S. Abbaciro ad Elephantum

Giovanni Diacono nella vita di s. Gregorio Magno fa menzione d'una chiesa dei ss. Ciro e Giovanni colle parole seguenti: cumque presbyter monachus Lucido episcopo tam dirum nuncium revelare timeret, tacere autem penitus non auderet, monasterio  p564 se tandem proripuit, et ad domum episcopi non longe a flumine Tiberi, REGIONE VIDELICET IUXTA BASILICAM SANCTORUM CIRI ET IOHANNIS POSITAM etc.

Dalle quali parole si può conchiudere che questa chiesa che era vicina al Tevere presso la casa di quel vescovo di nome Lucido fosse la celeberrima detta nel libro pontificale ad elephantum. Questa denominazione era propria d'una contrada della regione VIII, Forum Romanum, situata non lungi dal Foro Olitorio (piazza Montanara) che nei codici regionarî diceasi ad elephantum erbarium, dal mercato delle erbe.​a Quindi è a credere che fosse situata non lungi dal Foro suddetto, ed incirca dietro la chiesa di s. Maria in Portico (s. Galla) vicino alla riva del Tevere. Il Libro pontificale in Gregorio IV (a. 827‑74) così ne fa menzione: Ecclesia beati Abba Cyri atque Archangeli ad elephantum. Egli è perciò che nella vita di Leone III si riferisce che questo papa, donando alla celeberrima diaconia di s. Michele tuttora esistente nel portico di Ottavia alcuni drappi, li ornò d'imagini d'elefanti in relazione al nome di quella contrada.

Ai tempi di s. Leone IV sembra avesse già perduta la sua prima denominazione e la cambiasse in quella di s. Maria in Cyro, il che dimostra come nel secolo IX andava scemando in Roma la venerazione e il culto per i due celebri martiri alessandrini, culto oggi totalmente scomparso.

Narra il Bosio che, ai giorni suoi, di questa chiesa restavano in piedi tuttora notabili avanzi presso al ponte si S. Maria (Ponte Rotto) sulla riva del Tevere dietro la chiesa di s. Maria in Portico. Intorno a che egli scrive che aveva osservato quei vestigî in compagnia dell'Ugonio, e dalle pitture che fin allora vi rimanevano, raccolse esser detta chiesa dedicata in honore di questi santi. Credo che a questa chiesa accenni pure il catalogo di Pio V che pone presso s. Maria in portico una chiesa ruinata.

S. Ambrogio de Maxima

ºº

Un'antichissima chiesa v'ha in Roma dedicata al nome ed alla memoria dell'illustre vescovo milanese, anzi la tradizione vuole che ivi fosse la casa paterna di s. Ambrogio.

Il Grimaldi crede sia la medesima che il Libro pontificale, in Leone III, appella col nome di s. Maria Ambrosii. Quest'opinione mi sembra assai probabile, e viene a confermare  p565 la gravità della suddetta tradizione. Ecco le parole del la basilica pontificale: Ipse vero almificus praesul (Leo III) fecit in monasterio S. Mariae QUOD APPELLATUR AMBROSII canistrum ex argento pensantem libras II. Ed infatti il catalogo di Torino nelle chiese della terza partita, presso s. Angelo in foro piscium, pone immediatamente il monasterium S. Mariae de Maxima, che è evidentemente la nostra chiesa di s. Ambrogio, la quale fin dal secolo XIV avea anche il titolo di s. Stefano de Maxima. Quanto all'origine della denominazione de Maxima, mi sembrano poco probabili le varie sentenze che sono state fin qui proposte dagli eruditi.

L'Ugonio ricorda che nel pavimento di questa chiesa, fatto di opera cosmatesca, si leggeva l'iscrizione d'uno dei Cosmati: IACOBVS FECIT HOC OPVS. La facciata sta chiusa entro il recinto del monastero, e conserva tracce di restauri del secolo XII: fu riedificata a spese della monaca donna Beatrice Torres romana nel 1606, coll'aiuto del cardinal Ludovico suo fratello. Uno degli altari è dedicato a s. Stefano proto­martire ed è opera di Pietro da Cortona; vi si leggeva la seguente iscrizione:

AD LAVDEM SANCTI STEPHANI DOMINA LVCIA DE MANCINIS SANCTI AMBROSII DE MAXIMA ABBATISSA FIERI FECIT MCDXI DIE PRIMA DECEMBRIS.

Nel secolo XIV il monastero si chiamava di s. Maria e vi dimoravano dodici monache; fin d'allora ebbe il nome s. Stefano. Trovo pure che era appellata s. Maria in formosa, e con questo nome comparisce tra le filiali di s. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III. Nel secolo XIV fu chiamata s. Antonio della Massima, come risulta dal catalogo di Pio IV, benchè il Martinelli abbia per equivoco fatto di questa una chiesa diversa dall'altra. Le monache che vi dimorarono fino al 1860 furono espulse per decreto della S. Sede perchè prestavano illecitamente culto ad una antica loro compagna e superiora, falsa mistica, di nome Agnese Firrao. Oggi il convento è dei Benedettini di Subiaco.

 p566 

S. Martino de Maxima

È ricordato da Cencio Camerario nel suo elenco, ma non essendo si affatto tenuto conto nel medesimo dell'ordine topografico, non si può affatto indicare o fare ipotesi sul sito in cui sorgeva.

Come congettura si potrebbe proporre che si trovasse nelle adiacenze dell'altra chiesa detta pure de Maxima, ovvero di s. Ambrogio.

S. Leonardo de Albis

Nel rione di s. Angelo v'era una chiesuola dedicata a s. Leonardo che sorgeva nell'area del palazzo già del signori Patrizi, poi dei Costaguti. Stava quasi dirimpetto a s. Maria in Publicolis, e fu distrutta sotto il pontificato di Paolo III, come ricavo dal diario manoscritto del Terribilini nell'archivio vaticano. Ivi si adunava la compagnia degli scalpellini e marmorai. Nel tomo primo del Bullario romano, collezione di Laerzio Cherubini, v'ha una bolla pontificia a Costanzo Patrizi, tesoriere generale, per la facoltà della distruzione della chiesa che egli comprò per scudi 1287 e baiocchi 98 dalla suddetta compagnia. Nel codice di Torino la chiesa è denominata de Albis, probabilmente da una famiglia di questo nome, ed è annoverata fra quelle dell'ultima partita, presso s. Angelo in foro piscium. Era ufficiata in quel secolo da un sacerdote.

S. Maria del Carmine detta del Monte Libano

Sulla piazza Costaguti v'ha una divota cappelletta a guisa di piccolo tempio di pianta semicircolare, adorna di sei colonne e dedicata a s. Maria del Carmine. Sulla fronte vi si leggono le seguenti parole:

GLORIA LIBANI DATA EST EI
DECOR CARMELI ET SARON
AEDIFICATVM PIORVM ELEEMOSIN, ANNO DNI MDCCLIX
ITERVM RESTAVRATA SVMPTIBVS
FF. FRATELLINI AN. SVB. MDCCCXXV

Presso questa cappellina, sulla pubblica piazza nelle prime ore della sera, si soleva predicare agli ebrei del vicino ghetto.

 p567  Rammento nella mia giovinezza d'aver ascoltato più volte da quel pergamo il canonico don Enrico Fabiani, uno dei più dotti preti del clero romano, il cui nome rimarrà memorabile in Roma, per la sua scienza non meno che per il suo zelo apostolico.

S. Dominae Rosae (v. S. Caterina de' Funari)

S. Caterina de' Funari o della Rosa

La regione nella quale sorge la chiesa e l'annesso monastero fu detta già de' Funari, nome che tuttora mantiene e che le provenne dall'uso di torcere le funi in quella contrada, in cui era l'arena del circo Flaminio, innanzi che fosse coperta dai grandiosi fabbricati che oggi vi torreggiano, massime da quello del palazzo Mattei.

Celestino III, in una bolla dell'anno 1192, nomina questa chiesa, che è detta sancta Maria dominae Rosae, nome che ricorda la fondatrice della chiesa e del monastero. Forse la domina Rosa è la stessa nobilissima femina il cui genitore l'anno 967 dedit tabulam monasterio sublacensi. Le rovine del circo nel secolo XIII erano appellate castrum aureum, onde anche con tal denominazione si designa nella bolla medesima la chiesa, che è detta in castro aureo. Secondo il Terribilini fu pure denominata di s. Lorenzo, e, secondo il Martinelli, di s. Stefano e s. Maria. Paolo III nel 1536 la concesse al grande Ignazio di Loyola, il quale vi edificò la casa annessa per conservatorio di fanciulle povere e fece venire di Germania per la suddetta chiesa un concerto di campane che fece grande effetto in Roma.

Qui risiedeva il primicerio della scuola dei cantori, a proposito della quale trovo nell'archivio vaticano la seguente notizia: Nicolao de Buccamatiis s. Petri de Urbe canonico aliisque, quatenus Theobaldum de Alisio de Urbe canonicum dictae ecclesiae admitti faciat ad PRIMICERIUM SCHOLAE CANTORUM nuncupatum, in ecclesia dopnae Rosae de Urbe ecc.

Fu riedificata da card. Donato Cesi nel 1544. Dalle rovine del circo, o dall'antica denominazione in Pallacinis, la chiesa ebbe pure questa denominazione.

 p568  S. Andrea delle Botteghe Oscure

Nell'archivio vaticano, in una preziosa raccolta di notizie delle famiglie romane, ho trovato la seguente menzione di questa chiesa colla data dell'anno 1481: Locatio ad tertium genus trium domunculorum cum hortulo facta per rectorem ecclesiae s. Andreae de apothecis obscuris ad favorem Bartholomei Iacobi sutoris et Ambrosinae eius uxoris die 26 iulii 1481.

Le botteghe oscure erano gli antichi fornici e sostruzioni del circo Flaminio, che a tutta la regione avean dato quel nome nel medio evo; denominazione che tuttora si conserva.

Credo che non debba confondersi questa, come pensano alcuni, coll'altra chiesa di s. Andrea detta in Pallacina, ovvero de Strada.

S. Salvatore in Pensili de Sorraca

Of s. Stanislao de' Polacchi presso la chiesa v'era un'alta torre, ove nel sacco del Borbone si ritirarono e fortificarono sessanta gentiluomini e donne; ma per accidente o per tradimento, scoppiata la polveriera di quel fortilizio, ruinò insieme a tutti i rifugiati. La denominazione di questa chiesa ricorda la corruttela dei costumi del medio evo, peggiori assai dei nostri, giacchè pisili, palchi, pensili erano nomi proprî dei lupanari, da uno dei quali, per essere contiguo alla nostra chiesa, prese essa il nome! La chiesa è fabbricata sui fornici del circo Flaminio. Mantenne il nome e la dedica del Salvatore fino ai tempi del card. Osio che, ottenutala da Gregorio XIII, la riedificò e la lasciò alla sua nazione polacca; v'era perciò annesso anche un ospizio per i poveri connazionali. Nel codice del Signorili è detta de Pesulis: fu pure denominazione de Sorraca, di cui dice l'Anonimo di Torino: Ecclesia s. Salvatoris de Sorraca habet sacerdotem et clericum.

Nel vestibolo della casa del signor Busiri, in via dell'Aurora num. 25, v'ha una grande iscrizione marmorea del papa Onorio IV diretta al rettore della nostra chiesa. Ne dò qui l'intiero testo, perchè questo monumento pontificio è rimasto finora inedito e sconosciuto agli illustratori della storia del pontificato romano.

✠ HONORIVS EPS SERVVS SERVORVM DEI DILECTIS FILIIS RECTORI ET CLERICO ECCLESIE SCI SALVATORIS IN PESILI DE SORRACA DE VRBE SALVT. ET APLICAM BEN. VITE PEREM — PNIS GLORIA QVA MIRA BENIGNITAS OMNIVM CONDITORIS BEATAM CORONAT ACIEM CIVIVM SVPERNORVM A REDEMPTIS PRETIO SANGVINIS FVSI DE PRETIOSO CORPORE REDEMPTO — RISVLTA MERITORVM DEBET ACOMODEV (?) VIRTVTE INTER QVE ILLVD SEMPER GRANDE DIGNOSCITVR QVOD VBIQVE SED PRECIPVE IN SANCTORVM ECCLESIIS MAIESTAS ALTISSIMI CONLAVDETVR CVPI — ENTES IGITVR ET ECCLESIA VESTRA QVE IN HONORE SCI SALVATORIS CONSTRVCTA ESSE DIGNOSCITVR ET QVE PER VENERABILEM FRATREM NOSTRVM HIERONYVM EPM PENESTRIN — EX SPECIALI NOSTRA COMMISSIONE VIVE VOCIS ORACVLO A NOBIS SIBI FACTA EST IN PROXIMO DEDICANDA CONGRVIS HONORIBVS FREQVENTETVR OMNIBVS VERE PENITENTIBVS ET CONFESSIS QVI AD — ECCLESIAM IPSAM IN DIE QVA EAM CONTIGERIT DEDICARI ACCESSERINT II ANNOS ET QVADRAGENAS DVAS ACCEDENTIBVS VREO AD EANDEM ECCLESIAM IN ANNIVERSARIO DEDICATIONIS EIVSDEM — ANNVATIM VNVM ANNVM ET QVADRAGINTA DIES DE OMNIPOTENTIS DEI MISERICORDIA ET BEATORVM PETRI ET PAVLI APOSTOLORVM EIVS AVCTORITATE CONFISI DE INIVNCTIS SIB PRENITENTIIS MI — SERICORDITER RELAXAMVS DAT. ROM. APVD SCAM SABINAM VI KL. NOVEMBRIS PONTIFICATVS NRI ANNO PRIMO — ANNO MILLENO BIS CENTVM BIS QVADRAGENO QVINQVE SIMVL IVNCTIS YDVS QVINTOQVE NOVEMBRIS A PENESTRINO RENOVATA CAPELLA SACRATVR — CVI TITVLVS DTVS EST SALVATOR ET INDE VOCATVR HONORIVS QVARTVS DEDIT ANNVM CVM QVADRAGENA VT CAVEAT PENA QVI NON EST CRIMINIS ARTVS — PARS VESTIS XPI PARS LIGNI TRADITVR ISTI PARS BACVLI PAVLI PARS SCI BARTHOLOMEI HORVM SANCTORVM COSME SIMVL ET DAMIANI. — SCI MARTINI LVCIE GEMINIANI ALEXANDRINI PETRI — PARS PVLVERIS ALMI PETRI PAVLIQVE PARS ET SANCTI LEONARDI. — ISTA RECONDITA SVNT SIMVL HIC SITA SEV VENERATA HIC FELICISSIMVS HIC CONSTANTIA VIRGO BEATA CRISANTVS DARI SIMVL AC CESARIVS ADDVNT. — HOC CAMPANILE MVRI PICTVRA SEDILE TESTVDO ROSA PECTOQVERALIA CONGRVA FACTA TEMPORE SVB MODICO SVNT PLENE CVNCTA PERACTA. — FERTVR HVIC OPERI B. PER AVCTOR HABERI CVM SYMEONE TAMEN QVOS CHS MVNERET AMEN — HIS BENE QVI FECERITIENE IN CELIS PREMIA QVERIT.

Questa preziosissima epigrafe meriterebbe un lungo e prolisso commento, ma ciò non è dell'indole di quest'opera. Mi limito solamente a portare l'attenzione degli eruditi sulle ultime parole della medesima, poichè in esse, all'anno 1285, troviamo ricordato il campanile, le pitture delle pareti, i sedili, la posta e le pectoqueralia (sic), che credo vogliano significare le balaustre o transenne dell'altare.

S. Stanislao de' Polacchi (v. S. Salvatore in Pensili de Sorraca)

 p570 

S. Valentino o S. Sebastiano de' Mercanti

Fu demolita questa chiesa sotto gli occhi nostri, per la fabbrica del palazzo Guglielmi piazza Paganica. Essa è notata nel codice di Torino fra quelle della terza partita, presso s. Niccolò de Mellinis (s. Elena de' Credenzieri): Ecclesia sancti Valentini habet unum sacerdotem. V'ebbe già una confraternita, e la conferma de' suoi statuti si trova nell'archivio dei Brevi, dei quali mi ha dato notizia l'illustrissimo archivista mons. de Romanis; fu già, come tutte le altre, parrocchiale. Nel codice di Cencio Camerario alla chiesa è attribuita la strana denominazione di Romomiximi, due volte corrotta e dalla pronuncia volgare del medioevo e forse anche dell'amanuense. Il Lonigo cambiò questo strano vocabolo in quello di domnae Nuzinae, che accennerebbe al nome di una casa ove dimorava una supposta Nuzina.

Il Terribilini, nel pavimento, lesse la seguente epigrafe, tolta già dai cimiteri suburbani:

. . VS CRESCENTIANVS
. . T . ANNIS . XXV
. . T . IN PACE . III . NON . AVG.

Si chiamava anche s. Sebastiano in s. Valentino, perchè dedicata anche a questo martire; ma si diceva dal popolo s. Sebastiano all'olmo, dalla propinqua contrada omonima. Fu in origine dedicata a s. Valentino, che si vuole avesse ivi la sua casa. Fu parrocchia fino ai tempi di Clemente VIII, che la concesse alla compagnia de' Merciai. Il duca di Paganica, nel giorno della Purificazione di Maria santissima, comministrava una elemosina per la festa suddetta, e l'imagine della Madonna era adorna di una collana preziosa che facea parte del bottino riportato da Fabio Mattei, nella sconfitta di Gustavo Adolfo re di Svezia a Lutzen in Sassonia, nella guerra dei Trent'anni.

S. Salvatore in Cacabariis
(s. Maria del Pianto)

Fino dal secolo XVI viene questa chiesa chiamata s. Maria del Pianto; così infatti trovo nella relazione della visita fattane nel 1566. La chiesa cangiò la sua denominazione del Salvatore in  p571 quella suddetta, per un prodigio avvenuto circa il 1546, cioè nel pontificato di Paolo III, quando si vide visibilmente, come vuole una pia tradizione, piangere una imagine della s. Vergine che era dipinta sulla porta di una casa presso la chiesa suddetta.

Pochi mesi dopo l'accaduto, l'effigie divota fu rimossa dal luogo e trasportato nella chiesa di cui trattiamo, che nel 1612 fu demolita, e sotto il nuovo titolo del pianto dedicata alla Vergine. La fabbrica non è stata peranco condotta a termine. Benedetto XIV nel 1746 soppresse la parrocchia e diede il luogo alla confraternita della Dottrina cristiana. Congiunto alla chiesa era un antico oratorio, che nel 1812 fu atterrato. Sull'origine di questa denominazione abbiamo discorso a proposito della chiesa di omonima denominazione, cioè di s. Maria in cacabariis.

Questa chiesa parrocchiale è antichissima; aveva tre altari; nel maggiore vi era l'imagine della Madonna del pianto, nei laterali quelli di s. Francesca Romana e del ss. Crocifisso. Soggette alla parrocchia, nel 1660, erano 176 famiglie.

S. Salvatore de Baronchinis

Dalla famiglia di tal nome, chiamata Varoncinorum dal Camerario, prese il nome quest'altra chiesolina dedicata al Salvatore, che sorgeva presso piazza Giudea dal lato di piazza delle Tartarughe. Il Martinelli ne tace, ma è notata pure nel catalogo di Torino. Per corruttela si chiamò de Barochin. Fu distrutta nel 1657, in vigore d'un motuº proprio d'Alessandro VII, datato ai 23 di novembre. Il popolino la chiamava s. Salvatorello.

Ss. Muzio e Coppete (sic)

Questa chiesa era posta nel rione di s. Angelo in Pescheria nella contrada detta Mercatello, ed era dedicata ai santi greci Alessandro, Patermuzio e Coprete. Fu distrutta per ordine di Paolo IV l'anno 1558 per il serraglio degli ebrei, ed il culto dei due santi venne trasferito nella vicina chiesa di s. Angelo. Non solo appellavasi dal popolo Muzio e Coppete, ma anche dei ss. Muzio e Cupo, o anche s. Patermuzio ovvero Patermivero. Di questi santi hanno trattato i Bollandisti al 9 di luglio. Nella bolla di Urbano II la chiesa è detta di s. Patermiverio, in  p572 un censuale vaticano del 1393 dicesi sanctus Patremotius. Il Garampi cita alcuni istromenti degli anni 1306‑7‑8, sottoscritti da un Petrus Simeon s. Patremotii romanae fraternitatis rector, unus ex iudicibus apostolicae sedis in urbe habens sedem.

Dei medesimi santi si fa menzione ai 9 di luglio anche nel martirologio romano.

S. Croce a piazzaCroce a piazza Giudea

Afferma il Terribilini che un oratorio dedicato alla s. Croce fu presso alla piazza Giudea nel ghetto degli ebrei, il che si ricava pure dall'Ortografia di Aldo Manuzio. Ma di quest'oratorio in nessun altro autore ho trovato notizia.

S. Cecilia de Pantaleis

º

Era una chiesolina nel rione di sant'Angelo in Pescheria, ed è notata nel codice del Signorili ed in quello degli anniversarî della confraternita del s. Salvatore. Non è da confondere con un'altra situata, come leggesi, nel catalogo di s. Pio V, all'Arco Savello e ruinata; questa ebbe anche il nome de Pantaleis, evidentemente tratto da una famiglia così appellata, presso la cui casa era addossata la chiesa alla quale allude forse l'altra denominazione di s. Cecilia a domo, che le dà un autore del secolo XVII, il quale la dice situata precisamente vicino alla piazza Giudea.

Il Martinelli non s'avvide che è la medesima che nella tassa di Pio IV è detta Sabellorum in domibus. Il catalogo di Torino la pone fra quelle della terza partita, notando che habet sacerdotem. Il Camerario l'appella s. Cecilia Cenci Pantaleonis: nella tassa di Pio IV è detta s. Cecilia nelle case de' Savelli.

S. Tommaso a Capo delle Mole
(S. Tommaso a' Cenci)

Questa chiesa è incorporata al palazzo dei Cenci presso la riva del Tevere, nel luogo prossimo a quella punta dell'isola tiberina, ove dal medio evo fino ai nostri giorni stavano le mole  p573 sul fiume, dalle quali prese appunto la nostra chiesolina il titolo in capite molarum. Dall'annesso palazzo dei Cenci, dal secolo XV in poi, fu denominazione s. Tommaso a' Cenci.

Negli atti della visita del 1566, della quale ho spesso fatto parola, rovo di questa chiesa le seguenti notizie: È tutta rifatta dalle bo. me. di mons. Christoforoº Cencio. Nella detta chiesa è una cappella iuspatronata di casa Cencio del quondam messer Valerio Cencio, et ne è beneficiato uno dei suoi figliuoli. In quella del Crocifisso vi è sepolto detto messer Cristoforo.º

Fu questa chiesola celeberrima nel medio evo, perchè residenza ufficiale del Caput romanae fraternitatis, onde si chiamò anche s. Thomae Fraternitatis. Intorno alla detta fratellanza del clero, della quale abbiamo discorso nella prima parte di quest'opera, il Lonigo si dice possessore di un trattatello intitolato: Ordo sepeliendi clericos romanae fraternitatis. La importanza della chiesa nel medio evo risulta anche da questo, che il suo clero nella festività dei turiboli riceveva a titolo d'onore, come le chiese maggiori, diciotto denari di presbiterio. Era inoltre quella che dava il nome a tutte le chiese della terza partita, e come tale aveva soggetta in certa guisa la stessa basilica vaticana: In ea autem parte que dicitur sancti Thome sunt ecclesie et monasteria infrascripta videlicet ecclesia s. Petri Maioris que est Patriarchalis ecc.

Presso questa chiesa era la casa in cui nacque il famoso tribuno Cola di Rienzo.

Negli atti della sacra visita, sotto Alessandro VII, trovo di questa chiesa la seguente relazione:

"Questa chiesa si dicea anticamente De capite molarum, nunc de Cenciis, è sita nella Regola nel luogo detto Monte Cenci, è filiale di s. Lorenzo in Damaso. Ha un'imagine del Salvatore e di s. Tommaso che tocca le piaghe del S. N. A destra v'è una cappella con pitture relative a s. Francesco, si dice fondata da Cristoforo Cenci, oggi posseduta da Felice e Cristoforo Cenci eredi del primo. Vi è una cappella o altare sotto la invocazione di s. Maria della Sbarra che oggi è posseduta da D. Giulio de Cenci avvocato concistoriale che ha un reddito di circa 100 scudi. Vi è una sepoltura pei bambini, una per gli uomini, una per le donne. Ha una sola nave fornicata. Vi si fa la festa di s. Tommaso con i primi e secondi vespri. Non v'ha battisterio, perchè si portano a battesimo a s. Lorenzo in Damaso. Vi è sulla porta un'epigrafe che ricorda essere la chiesa sotto il giuspatronato dei Cenci. Ha un reddito certo di sc. 250. L'anno 1554 Rocco Cenci ottenne da Giulio III il giuspatronato della chiesa come dal reg. vat. a. IV del suddetto  p574 lib. 23, fogl. 33. Pio IV nell'anno 1559 con la bolla Ratione congruit confermò la suddetta concessione che venne eseguita dai vescovi di Tivoli, Castro e Amelia deputati a SSm̃o come da libro del 1565, rog. Cugnetti, not. del Vicariato. Nella chiesa vi sono 3 altari sotto l'invocazione di s. Tommaso, a sinistra quello del ss. Crocifisso o di s. Caterina senza dote, ed un altro sotto l'invocazione della Nat. di N. S. G. C. La parrocchia ha circa 25 case. Il campanile ha due campane."

S. Maria a Capo delle Mole (v. S. Maria in Candelabro)

S. Maria in Candelabro

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Nel diario manoscritto del Terribilini, nell'archivio segreto della s. Sede, ho trovato di questa chiesuola, distrutta da molto tempo, la seguente notizia:

"Ho saputo dal signor D. Leonardo Pollastri che rifabbricandosi certa casa in Ghetto al muro divisorio il quale è incontro alla tribuna di s. Tommaso a Cenci, furono ritrovate molte ossa, che coll'assistenza dei birri del Vicario del Papa, furono trasportate in luogo sacro. Forse fu ivi la chiesa parrocchiale di s. Maria in Candelabro."

Questa chiesolina era pure detta in Candelora. Il Fonseca scrive che era chiamata s. Maria in Capite Molarum, ed il Bovio dice che fu distrutta sotto Gregorio XIII. Sulle sue rovine sorgeva la sinagoga del ghetto, e dal candelabro giudaico scolpito in qualche vicino edifizio, prese forse la denominazione.

Il Lonigo scrive: "Era nei Giudei, lì dove è la scuola loro, fu distrutta non sono molti anni e la cura annessa a s. Maria in Monticelli." L'Anonimo di Torino chiama la chiesa col nome corrotto in Cacabellis, e Cencio Camerario in Campo Cori.

S. Caterina a' Cenci

Così trovo in un documento del secolo XVI nell'archivio della s. Sede al Vaticano, ove si nota che alla chiesa era congiunto un monastero.

 p575  L'espressa denominazione a' Cenci non lascia dubitare circa il sito preciso dei suddetti oratorio e monastero, oggi scomparsi, i quali dovevano sorgere presso il palazzo di quella famiglia, non lungi dalla riva del Tevere. Del resto, dei medesimi non mi fu dato trovare altre notizie.

Tutta questa contrada della vecchia Roma, da pochi anni ha cambiato l'aspetto primitivo; il lurido ghetto degli ebrei è scomparso, co' suoi oscuri viottoli e coi sudici suoi abituri.


Nota di Thayer:

elephantum erbarium: Vedi invece Platner, art. Varia Topographica (CP 12:194‑195).


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Pagina aggiornata: 22 ago 20

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