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Vuole una tradizione assai vetusta che questa chiesa antichissima fosse detta in platana da un albero di quel nome che ivi fioriva.a Quivi sarebbe stata la casa di s. Eustachio, il quale, secondo una leggenda medievale, avrebbe appartenuto alla famiglia Ottavia. La leggenda racconta che questo santo, vissuto sotto i Flavi del primo secolo, andando a caccia nei monti della Mentorella, vide un cervo con un crocifisso fra le corna, pel qual prodigio si convertì al cristianesimo insieme a sua moglie e ai figli Teopista e Agapito.
Il papa Gregorio IV nell'827 in basilica beati Eustachii offrì unam vestem de fundato, come si legge nel libro pontificale: fino dal 795 è ricordata in Leone III, come antica diaconia romana alla quale quel papa fecit vestem de fundato et coronam argenteam pensantem libras VI, uncias V.
Per la grande divozione che la nobiltà romana ebbe verso s. Eustachio, la celeberrima famiglia dei conti di Tuscolo prese anche il nome di conti di s. Eustachio, creandosi una finta genealogia colla quale a capo dello stemma gentilizio del santo martire si poneva lo stesso imperatore Ottaviano, da cui pretendevano discendere con puerile boria quei nobili. Sembra impossibile che questi sollazzevoli alberi genealogici passassero nella storia! Il papa Stefano III presso la chiesa, che già troviamo denominata dal suo biografo in platana, come si è detto, istituì un ospizio per cento poveri, ai quali giornalmente si dispensava il vitto. Era collegiata fin dall'anno 958, come abbiamo dal placito, cioè sentenza giudiziaria provocata dai preti di s. Eustachio contro l'abate di Farfa da loro citato in giudizio a Roma, i quali pretendevano la restituzione di due limitrofe chiesuole pertinenti a Farfa, ossia s. Maria e p430 s. Benedetto nelle terme alessandrine. Si narra che essendo il tribunale romano costituito di iudices imperiali e pontificî, l'abate farfense rifiutò di sottoporsi a quello accampando che Farfa era retta da leggi longobarde e non romane; e protestando egli, il presidente del tribunale, presolo per la cocolla, lo trasse a sedere vicino a sè; così leggesi in questo memorabile placitum.1 La chiesa venne riedificata sotto il pontefice Celestino III, al cui tempo rimonta l'origine dell'attuale suo campanile che è dell'anno 1190, come risulta da un'epigrafe che ne rimane: le campane, secondo il Nibby, sarebbero quelle tolte alla cattedrale di Castro allorchè quella borgata fu distrutta per ordine d'Innocenzo X, ma ciò è falso.
Nell'antico ciborio o tabernacolo si leggeva la seguente epigrafe: Ottonellvs hoc opvs fieri ivssit cvm Maria sva conivge in redemptionem animarvm svarvm.2 Questo personaggio si è creduto il figlio di Ramone conte di Tuscolo e signore dell'Algido.3 Qui fu l'anno 1547 battezzato il celebre duca di Parma Alessandro Farnese, il famoso capitano nella guerra di Fiandra. Il senato romano soleva a s. Eustachio, il 29 gennaio di ogni anno offrire un paliotto di velluto rosso per celebrare l'avvenimento accaduto in quel medesimo giorno l'anno 1598 del ricupero di Ferrara fatto dal papa Clemente VIII.
In un codice vallicelliano4 sono trascritte le copie di molte antiche epigrafi che nel secolo XVI si leggevano nel pavimento della chiesa, alcune delle quali furono tolte dai cimiteri suburbani: fra queste ve n'ha una colla data consolare di Arcadio ed Eutichiano dell'anno 399.5 Degno di menzione era un fragmento che terminava colla bella formola cristiana del secolo III: cuius spiritum in refrigerio suscipiat Dominus.
Sulla porta della chiesa si leggeva poi un distico meno antico, ricordante colui che a sue spese, per la divozione ad Eustachio, avea concorso agli ornati della porta:
vt mihi caelestis reseretvr porta Ioanni hinc sacras Evstathi postes et limina strvxi. |
Altra memoria assai più importante leggevasi sulle colonne della nave maggiore, le quali, secondo l'uso di secoli più antichi, p431 nei restauri delle basiliche solevansi erigere dalla pietà dei fedeli, come abbiamo nelle memorie epigrafiche del Laterano e del Vaticano:
ego Stephania pro anima mea et viri mei et filiorvm
has dvas colvmnas erigere fecit (sic)
Solevano in s. Eustachio i professori della romana università tenere le loro religiose adunanze,6 e della medesima università ivi si custodivano l'archivio. Ecco quanto si legge nella relazione delle Visite dell'anno 1662:
"La chiesa è posta nella piazza vicina alla Dogana. È collegiata e parrocchiale con fonte, con dignità d'Arciprete e 5 canonici, un vicario perpetuo, tre beneficiati, il coadiutore di d.o Vicario, il Sacrestano, quattro cappellani amovibili obligati tutti al servizio del choro. La cura d'anime che s'esercita dal d.o vicario perpetuo da nominarsi dall'Em̃o titolare per bolla di Clemente VIII 12 luglio 1600 e del coadiutore, amovibile dal capitolo.
La chiesa è di struttura antichissima •lunga palmi 152, larga 81¼ con tre navi, e con due ordini di colonne otto per banda di diversi marmi. La nave di mezzo è soffittata, e fu fatto il soffitto dalla bo: me: del Sig. Card. Cesi. Ha il suo porticato chiuso ad uso antico, contiguo al quale sta il campanile con tre campane grandi, il pavimento è intessuto di bellissimi lavori con molte sepolture antichissime. Le sepolture d'uso sono n.o otto, tre per gli uomini, tre per le donne, una per putti e l'altra per li sacerdoti. Ha il suo cimitero sotto il portico. Fu consecrata dal pp. Celestino III, l'anno 1196, 6o del suo pontificato, come appare per una lapide antica posta nel pilastro, nel corno dell'Evangelio dell'altar maggiore, il quale è con il suo ciborio ad uso antico e sotto del quale sono i corpi dei ss. Eustacchio, Theopiste sua moglie, Agabito e Theopiste loro figliuoli.
Vi sono 6 cappelle coi suoi altari e quattro altari senza cappelle con le sequenti invocazioni:
La Visitazione della Vergine, edificata dai ss. Iacovacci oggi dei Mellini e Paluzzi heredi.
L'altare di s. Pio pp. è dei ss. Piccolhomini di Siena, in quest'altare si tiene il SSm̃o.
L'altare del SSm̃o Crucifisso fu edificato da Antonio Morosini.
p432 L'altare dell'Annunziata fu formato da Statilio Pacifici.
L'altare di s. Girolamo e Martino fu edificato da Martino de Albinis.
"L'altare di s. Francesco è della famiglia de' Mazzei.
"L'altare della Trinità è stato eretto in vece di due altri altari, uno di s. Alessio eretto da Ludovico de' Tomarozzi, e l'altro di s. Niccolò de Stati. Finita la linea dei Tomarozzi hoggi è della Compagnia del SS. Sanctorum e del Guardiano d'Aracoeli e dei ss. Boccapaduli. Il rettore si dice che dovrebbe distribuire un rubbio o mezzo di grano fatto in pane, però non si distribuisce.
"L'altare di s. Lucia del sig. Luigi Greppi.
"L'altare di s. Michele Archangelo è dei ss. Rotoli.
"L'altare di s. Girolamo che ha un poco di cappelletta è della Compagnia degli Albergatori. Oggi per essere andati ad un altra chiesa con l'hosti in piazza di Pietra hanno abbandonato l'altare.
"Il capitolo possiede canoni, censi, risposte di censi, lochi de monti camerali, offerte, con un'entità di scudi 2668:31, con un debito annuo di sc. 926:05.
"Nella sacrestia sta affissa una tabella antica fatta al tempo dei Card. Farnese e Pepoli già titolari di questa, come dimostrano le armi di d.o Card. primate in detta Tabella, nella quale sono deposte le segg. reliquie.
"Caput brachium et lancea s. Eustachii Mart.
"Ex humero s. Hierusalem (sic) hierosolimitani
"Ss. Sebastiani et Hermetis MM.
"De sepulcro D. N. I. C.
"De sepulchro B. M. V.
"De s. Antonino M.
"De S. Emerentiana V. et M.
"De s. Eufemia V. et M.
"De locis sanctis terre sancte.
"De s. Ioa. Crisostomo.
"De s. Barnaba Ap.
"De s. Apuleio M. et s. Steph PP. et M.
"De Capite s. Margarite V.
"Ex alio latere
"S. Fortunati M.
"S. Ruffine V. et M.
"S. Sixti M.
"S. Agapiti.
"S. Margarite V. et M.
p433 "SS. Vincentii et Hirenei MM.
"S. Vitalis M.
"S. Donati.
"S. Reene V. et M.
"De cruce s. Andree Ap.
"S. Abundi M.
"S. Serapie V. et M.
"S. Iuli M.
"S. Proti et Iacinti et aliorum.
"S. Praxedis V.
"De Presepe D. N. I. C."
L'iscrizione marmorea affissa al pilastro prossimo al corno dell'evangelio dell'altare maggiore è la seguente:
"ANNO INCARNATIONIS EIVSDEM MCXCVI ET ANNO SEXTO COELESTINI PP. III INDICT. XIIII IN DOMINICA QVAE CANTATVR MODICVM DEDICATA EST ECCLESIA ISTA CVM TRIBVS ALTARIBVS QVAE SVNT IN EA, QVAE CONSECRATIO FACTA EST AB EODEM PAPA CVI COADIVTORES FVERVNT HI EPISCOPI. OCTAVIANVTSº HOSTIENSIS, PETRVS GALLOCIA PORTVENSIS, IOHANNES ALBANENSIS, PETRVS ARC̅IEPVS AGGERENSIS, ANASTASIVS PAPATAQVENSIS, NICOLAVS FORI SEMPRONIENSIS ET SEBASTIANVS GADENSIS.
"IN MAIORI ALTARI CONSECRATIO AB IPSO PAPA CVI ETIAM ASTITIT PRIMVS EP̅VS SVNT HAE RELIQVIAE.
"DE LIGNO CRVCIS DNI, DE SANGVINE IPSIVS, DE SPINEA CORONA, DE VESTIMENTIS EIVS, ET RELIQVIIS ET VESTIMENTIS APL̅ORVM PETRI ET PAVLI, DE COSTA S. ANDREAE, DE ANCINA ET CARBONIBVS S. LAVRENTII, DE RELIQVIIS S. EVSTACHII VXORIS ET FILIORVM EIVS.
Sub altari maiori in capsa onichina sunt corpora ss. cum titulo marmoreo:
"HIC REQVIESCVNT CORPORA SS. MARTYRVM EVSTACII THEOPISTAE EORVMQVE FILIORVM AGAPITI ET THEOPISTAE. EGO COELESTINVS CVM PRAEDICTIS EP̅IS CORPORA SANCTORVM ET OCVLIS VIDI, ET MANIBVS TENTAVI ET RECONDIDI CVM TITVLO ANTIQVO IN MAVSOLEO SVB ALTARI."
È la chiesa dell'archiginnasio romano detto la Sapienza. Fino a Leone X l'archiginnasio non ebbe cappella, fungendo a tal uso la vicina chiesa di s. Eustachio. Leone X con bolla dell'anno 1514 ne ordinò la fabbrica: da principio fu eretta una cappella provvisoria in un'antica scuola dal lato sinistro della porta principale d'ingresso, la quale fu dedicata ai ss. Leone papa e Fortunato martire. Il papa la provvide di cappellania, fondandovi una prepositura, che dichiarò dignità p434 del clero romano. Vi si doveva celebrare la messa in tutti i giorni di scuola in primo crepusculo. Gregorio XIII demolì quella cappella obbligando i cappellani di adempiere il loro officio nella vicina chiesa di s. Giacomo degli Spagnuoli. Nel 1594 uno dei suddetti cappellani domandò la ripristinazione della cappella, e sembra che fosse soddisfatta la domanda, come risulta dalla relazione della visita fatta nel 1627. Finalmente il collegio degli avvocati concistoriali assunse l'impegno di fare edificare una cappella stabile entro il recinto dell'archiginnasio. La fabbrica fu cominciata nel 1642, e nell'archivio dell'Università si conserva il documento in cui si legge che "il signor cav. Bernini ha fatto sapere da parte del signor cardinal Barberini padrone, d'aver fatto deputare dal popolo romano per architetto della Sapienza l'illm̃o signor Borromino nipote del signo Carlo Maderni ecc." A questo fu commesso infatti il disegno della nuova chiesa che fu compiuta nel 1660. L'anno innanzi Giulio Cenci aveva donato per la fabbrica duas ex sex meis columnis marmoreis pro altare. Queste colonne erano di lumachella gialla, •alte palmi undici, che per essere troppo piccole non furono messe in opera in quella chiesa, ma ai lati della porta che dalla sala dell'accademia teologica mette nel salone. Alessandro VII donò all'altare di questa chiesa il corpo di s. Alessandro, tolto dal cimitero di Priscilla, che aveva destinato in dono a Siena. Sulla pietra sepolcrale si leggeva l'epigrafe evidentemente del secolo IV: ALEXANDER DEP. V. IDVS OCTOBRIS Α ☧ Ω; ai 13 novembre 1660 ebbe luogo la benedizione della nuova chiesa, e nel giorno seguente la consecrazione dell'altare con l'assistenza di Alessandro VII. Terminata la fabbrica, il collegio degli avvocati concistoriali pensò di farvi celebrare la festa del patrono s. Ivo, ed il collegio medesimo l'arricchì di preziose suppellettili di cui l'anno 1683 fu fatto l'inventario e vennero formalmente consegnate al bidello dell'università. Dopo il 1870, in conseguenza della odierna apostasia religiosa, la chiesa fu chiusa, e quelle suppelletti disperse; una parte però fu donata alla chiesa del Sudario, e una parte comprata dal capitolo di s. Eustachio. Nell'interno vi è un dipinto abbozzato da Pietro da Cortona e compiuto dal Borghesi di Città di Castello. Oltremodo bizzarra è l'architettura della cupola di questa chiesa, chiamata comunemente lumaca, architettata dalla fervida fantasia del Borromino. Il padre Girolamo Maria Fonda, nella sua Memoria fisica sopra la maniera di preservare gli edifizî dal fulmine, pubblicata in Roma nel 1770, ricorda come, nello spazio di trentadue anni, quattro fulmini scoppiarono con non piccolo danno sopra il suddetto cupolino.
Di questa chiesa e monastero Michele Lonigo così discorre nel suo MS. "Santa Maria de cellis, priorato antico, è una chiesa parrocchiale, membro dell'abbazia di Farfa, unito da Sisto IIII all'ospedale di s. Luigi de' Francesi e si diceva santa Maria in Thermis Alexandrinis."7 Perciò il Signorili la chiama santa Maria de Thermis. Fu detta delle Terme per essere eretta sopra le rovine delle terme di Alessandro Severo, il quale restaurò ed ampliò quelle già erette da Nerone. Erano queste terme dove oggi sorge il palazzo del Senato, detto più comunemente palazzo Madama, e nell'area oggi occupata dalla chiesa di san Luigi de' Francesi con l'annessa piazza e da una porzione ancora della salita de' Crescenzi. Dalle medesime terme neroniane ed alessandrine deve ripetersi la più comune denominazione di santa Maria de cella o de cellis, giacchè celle si sono chiamate fin da remota età le rovine di antichi edificî, come provano le denominazioni ad centum cellas nella via Flaminia al di là di Prima Porta, dove furono antiche fabbriche; ovest ad centum cellas sulla via Casilina ed altrove. Del resto l'identità della chiesa di santa Maria de cellis con quella detta de thermis già era cosa provata per lo stesso Torrigio, il quale nell'istoria di san Teodoro ne fa testimonianza. Il Nibby poi, il quale pure bene a proposito disse che questa chiesa si chiamò santa Maria de cellis per essere edificata sulle camere delle terme alessandrine, le assegna il posto preciso, nel luogo dove oggi è la chiesa di san Luigi de' Francesi. Spettava all'abbadia di Farfa, ed è ricordata fino dall'anno 998. Questa chiesa era dunque qui esistente nel secolo decimo, e posseduta dal monastero di Farfa, i cui abbati più volte ebbero litigî con i rettori della chiesa di s. Eustachio. Nel secolo XV fu tolta ai farfensi e governata da preti semplici col titolo di rettori.
Una delle cappelle era dedicata alla Natività di Maria ed era della famiglia Zaccaria che vi avea il suo sepolcro. Qui fu sepolto il pittore Antonazzo coll'epitaffio:
Est Antonatii manibvs dvm picta tabella Qvae spreto mortis viveret arbitrio Invida mors dicens nihil est hac parta relictvm O scelvs egregivm svstvlit atra virvm. |
p436 Sisto IV, facendone permuta con quella che avea la nazione francese al Sudario, la concesse alla medesima che s'incominciò a chiamare di s. Dionisio e di s. Ludovico insieme.
Avea la nazione francese, ai tempi di Sisto IV, una piccola cappella in Roma in loco arcto et angusto, con un ospedale per i poveri infermi nazionali, sotto l'invocazione di san Ludovico. Essendo assai fatiscente, nè giudicando i francesi opportuno di risarcirla, ne fecero permuta coll'abbazia di Farfa, da cui ebbero in cambio il priorato e le chiese parrocchiali di s. Maria e s. Benedetto de Cellis e s. Dionisio, a cui erano pure uniti una cappella di s. Salvatore e l'ospedale di s. Giacomo in thermis lombardorum. Sisto IV, con bolla dell'anno 1468, IV non. aprilis, approvò la permuta, eresse la chiesa in secolare con cura, dandogli il nome della b. Vergine Maria di s. Dionisio e di s. Ludovico. Unì ancora alla medesima, contemporaneamente, delle altre chiese vicine, fra cui quella di s. Andrea de Ultrovilla. Volle che i nazionali tutti, ancorchè d'altre parrocchie o ammogliati con donne di altre nazioni, fossero considerati parrocchiani di questa nuova chiesa. Leone X ad istanza del cardinale Giulio de' Medici, protettore della nazione francese, confermò tutti i privilegî accordati da Sisto IV.
Il sito della primitiva anzidetta cappella coll'ospedale in loco angusto, era presso la torre Argentina, come afferma il Bruzio, vicino alla chiesa attuale di s. Andrea della Valle. Più tardi dai monaci di Farfa che, siccome dicemmo, l'aveano ottenuta in permuta dai Francesi, quella cappella fu acquistata dalla confraternita piemontese del ss. Sudario, che vi edificò la sua chiesolina ed ospizio sotto l'invocazione del Sudario. Questa era stata, innanzi che l'occupassero i Piemontesi, sede della confraternita di s. Elena dei credenzieri, che poscia passarono alla non lontana di s. Niccolò de Molinis, detta quindi s. Elena presso via Florida.
La nuova chiesa dedicata a s. Luigi fu edificata con molta magnificenza per le copiose largizioni di Caterina de' Medici già moglie di Enrico II, e poi madre di Francesco II, Carlo IX ed Enrico III. Fu consacrata il giorno 8 ottobre 1589 ed avea soggette sotto Urbano VIII, nella sa giurisdizione parrocchiale, 1692 anime. Negli archivî della s. Sede ho trovato che in questa chiesa si raccoglieva la società dei medici della città: supplicatio p437 societatis medicorum urbis in ecclesia s. Ludovici regionis s. Eustachii de urbe existentis, pro confirmatione statutorum iam a Pio IV approbatorum cum rescripto kal. februarii a. III Pii V.8
Fu intitolata a Maria Vergine, a s. Luigi re di Francia e a s. Dionigi Areopagita. Il card. Matteo Contarelli datario di Gregorio XIII, vi fabbricò il coro e la cappella di s. Matteo. Vi fu fatto anche un ospedale pei nazionali ed un'amplissima casa pei preti che la ufficiano. La facciata in travertini è disegno di Giacomo della Porta. L'interno è a tre navi, divise da pilastri ed ha dieci cappelle, oltre la maggiore in fondo alla nave principale. Nella cappella seconda a destra si ammirano le celebri pitture a fresco del Domenichino esprimenti, alcune, la storia di s. Cecilia. In quella di s. Matteo a sinistra i dipinti sono di Michelangelo da Caravaggio. La cappelletta di s. Luigi fu architettata da Plautilla Bricci romana, la quale dipinse anche il quadro del santo.
Trovo nel manoscritto del Lonigo che una chiesa di s. Martino ricordata nella bolla di Urbano V a domo iudicis Mardois, era vicina a s. Luigi de' Francesi, e forse nella parte inferiore del circo Agonale. Questa corrisponderebbe benissimo all'ubicazione che viene designata dall'anonimo alla chiesa di s. Martino de Chardonis, che il Signorili chiama de Nardonibus, e che nel codice Colonna si dice de Mardonibus. Giacchè questa chiesa viene tra quelle dei dintorni di s. Luigi de' Francesi, sarebbe pure facile il trovare la corruzione del nome Mardois nel Chardonis dell'anonimo, e nel Nardonibus, o Mardonibus, del Signorili.
Quindi apparisce avere preso abbaglio il Martinelli quando scrisse che la chiesa veniva denominata de Nardonibus dalla famiglia di tal nome; siccome io pure sono certissimo che sia affatto erronea la sentenza del Grimaldi, riferita dal Martinelli, che questa chiesa di s. Martino fosse nella piazza vaticana ed inclusa nel palazzo del Priorato della città, detta per altro nome del Portico.
Tuttora esistente e mantiene ancora il suo nome antico presso s. Luigi de' Francesi; è incorporata al palazzo Madama, oggi aula del Senato. Ebbe annesso un ospedale che è ricordato nel catalogo di Torino. Rammenta, colla sua denominazione, le terme neroniane e alessandrine entro i cui ruderi fu edificata.
Dalla sua ubicazione, posso dire affatto inverosimile la comune tradizione, che sia stata dedicata al Salvatore da s. Silvestro e consacrato da s. Gregorio. Nel secolo IV incipiente le terme erano ancora in piedi e forse ancora in uso. Quindi, non essendo più sufficienti tutte quelle erette dai precedenti imperatori, Costantino volle erigerne delle nuove sul Quirinale. S'imagini il lettore se è possibile che s. Silvestro, nel bel mezzo delle terme di Alessandro, erigesse una chiesa del Salvatore! Appena ciò si potrebbe supporre nell'età di s. Gregorio. Non per questo negherò alla chiesa in discorso una rispettabile antichità; dico solo che non ardisco precisarla.
Il Martinelli riferisce che fosse pure detta della Pietà; ma egli medesimo mette s. Salvatore della Pietà nel Campo Marzio infra il monastero di s. Maria; e, prima di lui, Lucio Fauno l'avea posta nello stesso luogo. Nel Terribilini poi ho trovato che sia identica con quella delle Coppelle, di cui sopra si è ragionato, ma non se ne adduce veruna buona prova, salvo l'essere posta tra le filiali di s. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III. La trasfigurazione di Cristo dipinto nel quadro dell'altare è dell'Odari. Dipende dalla chiesa di s. Luigi della nazione francese, da cui è uffiziata e provveduta del bisognevole.
Sulle rovine delle terme neroniane, ampliate da Severo Alessandro, e perciò dette anche alessandrine, fu fabbricata una chiesa di s. Giacomo, con un annesso ospedale denominato perciò delle terme. Hospitalis sancti Iacobi de Thermis habet V servitores, così si esprime l'anonimo. Secondo il Nibby9 ed anche i manoscritti di Michele Lonigo, si vuole che la chiesa di s. Giacomo con l'ospedale fosse quella che oggi è detta p439 s. Salvatore delle Terme e che da non lontano tempo ha cessato di avere l'ospedale.
Ecco le parole del Lonigo:
"S. Giacomo apostolo avea anticamente un monastero che si dicea sancti Iacobi in Thermis Lombardorum. Ora è convertito in hospitale e chiesa che si dice s. Salvatore vicino s. Luigi de' francesi."
Mentre a questa sentenza aggiunge gran peso il trovare unicamente nominata la chiesa del Salvatore nelle terme, e mancante quella di s. Giacomo nel catalogo del Signorili, dall'altra parte crea non lieve imbarazzo il vedere distintissimi, se bene contigui nella guida dell'anonimo, l'ospedale di s. Giacomo con quello del Salvatore. Quindi amerei meglio, anzichè confondere le chiese con gli ospedali, farne due distinti; molto più che antichissime origini vanta pure la chiesa del Salvatore nelle Terme. Il Martinelli sembra voglia conciliare le discrepanze con lo asserire, che l'ospedale di s. Giacomo nelle Terme era quello che a suo tempo si diceva del Salvatore. Certo potrebbe essere anche avvenuto che questo ospedale avesse avuto due nomi, la parte più vicina alla chiesa di s. Giacomo fosse detta da questo santo, l'altra prossima al vicino oratorio del Salvatore da questo si denominasse. A sciogliere poi ogni difficoltà si potrebbe proporre che l'ospedale suddetto fossero quello ove poscia Alfonso re di Spagna fabbricò la chiesa di s. Giacomo, ora ceduta ai pp. francesi della Congregazione di N. S. del sacro Cuore.
"S. Benedetto in piazza Lombarda, scrive il Lonigo, era una delle antiche chiese parrocchiali di Roma in piazza Madama, fu rovinata sotto Sisto IV per fabbricare la chiesa e l'ospedale di s. Luigi dei Francesi, e la cura fu annessa a s. Luigi: si vede tuttavia il luogo in piazza Madama, e dentro fin hora vi è un quadro antico di san Benedetto . . . ." L'anonimo di Torino ed il Signorili la dicono delle Terme "Ecclesia sancti Benedicti de Thermis." Anche il Martinelli trovò in un istromento dell'anno 1241 che la chiesa era denominata s. Benedetto de Thermis;10 l'essere poi detta in piazza Lombarda si dice a ciò che la piazza Madama, in cui era fabbricata, fu detta "Platea Lombarda" a causa dei stabilimenti quivi eretti da quella nazione, o piuttosto dai monaci di Farfa, che ivi dimoravano e che si reggevano col giure longobardo.
p440 Dopo ciò, è evidente l'equivoco nella tassa attribuita a Leone X di situare questa chiesa nella regione trastiberina;11 dalla quale assai lungi trovasi la nostra, e forse fu confusa con quella di s. Benedetto in Piscinula. Nel diario del Terribilini, che ho trovato nell'archivio vaticano, v'ha una interessante notizia da cui imparo che dal popolo era chiamata, non so per qual cagione, s. Benedetto della Cerasa. Quell'erudito così infatti scrive: "Ho saputo che nel refettorio di s. Luigi de' Francesi esistono alcune pitture antiche quale credo che sieno della chiesa di s. Benedetto della Cerasa già demolita in congiuntura della fabbrica di s. Luigi." Mi pare fuori di dubbio che sia la stessa chiesa detta, dalla vicina contrada la Scortecchiarìa, s. Benedetto de Scorticlari.
Fu eretta dai Benedettini di Farfa. Fin dal 1241 era detta anche de Ferro ed avea annessa una piccola torre; più tardi fu chiamata dei Notai, cioè dei quarantotto notai che aveano gli Uditori di Rota, perchè forse vi si raccolsero in associazione o confraternita.
Era nella piazza di questo nome, detta oggi piazza Madama. Sorgeva presso s. Benedetto nelle terme alessandrine, vicino alla contrada che allora diceasi la Scortecchiarìa o de scortecchiari. Nei libri censuali della basilica vaticana dell'anno 1380 ho trovato infatti memoria d'un Ioannes Salvati laborator de pede pontis et parochia sancti Blasii de contrada Scortacclariorum pro tribus petiis vineae. Il ch. don Gregorio Palmieri monaco cassinese ha trovato nel Rationale del monastero di Farfa, che in questa regione aveva la sua casa il rev. don Gregorio Fischero, oratore presso la romana curia del re d'Inghilterra.12
La Scortecchiarìa era il quartiere dei conciatori di cuoi, che dalle adiacenze delle terme alessandrine passarono presso il fiume alla Regola.
Nel catalogo delle chiese della tassa di Pio IV si ricordo una chiesa di s. Salvatore in Domo montis Fortini (sic). Era probabilmente vicina alla chiesuola di s. Andrea detta de Fort p441 Montis che comparisce pure nel catalogo di Urbano IV fra quelle assoggettate a s. Damaso. Credo che stesse non lungi da s. Salvatore in Thermis.
Il Lonigo nel suo manoscritto scrive "S. Andrea de Ultrovilla era parrocchiale antica nel rione di s. Eustacchio dietro s. Luigi de' Francesi nel cortile de Matrecciani, era membro dell'Abbazia di Farfa, fu distrutta al tempo di Sisto IV per fabbricare la chiesa e l'ospedale di s. Luigi, e la cura fu annessa alla predetta chiesa."
Una chiesa di questo inaudito nome, che è certamente corruzione di pronuncia, viene notata nel catalogo delle tasse di Pio IV. Ivi si dice che stava nel rione di s. Eustachio. Sospetto sia la cappella dell'ospedale che nel catalogo del Camerario è chiamata fella de Crancsa (sic), cui toccavano sei denari di presbiterio.
In tutti gli antichi cataloghi delle chiese di Roma non ne comparisce alcuna dedicata al grande vescovo africano. La prima innalzata in Roma a questo santo fu nell'anno 1484, fatta edificare dal card. Guglielmo d'Estouteville nel luogo medesimo ove già sorgeva una cappella che portava il nome di s. Agostino, ma che non sembra più antica del secolo XIV. La facciata della chiesa è tutta in travertino, tolto dai massi caduti dall'anfiteatro Flavio detto il Colosseo. L'interno è a tre navi sorrette non da colonne ma da piloni. Sul terzo pilastro a sinistra, nella nave di mezzo, è il celebre affresco di Raffaello rappresentante Isaia. L'altar maggiore, ricchissimo di marmi, fu architettato dal Bernini e vi si venera una imagine della Vergine, portata da Costantinopoli poco dopo che cadde la città in mano di Maometto II. A destra della porta maggiore, ove anticamente era un altare eretto dalla famiglia Martelli, è la celebre statua della Vergine scolpita da Giacomo Tatti da Sansovino, veneratissima dal popolo romano; intorno alla cui provenienza i protestanti hanno insinuato malignamente una favola p442 pagana neppur degna d'essere confutata.b Bellissimo è il gruppo di s. Anna colla Vergine e il Bambino, opera di Andrea Contucci da Monte Sansovino, celebrata dal Vasari, già in un pilastro in mezzo alla chiesa, ed ora nel secondo altare a sinistra: solevano i romani appiccarvi sonetti e componimenti poetici; l'altare fu dotato di suppellettili dal tedesco Giovanni Coricio l'anno 1512. Nella cappella situata nel fondo, a sinistra, si venera il corpo di s. Monica riposto in un'urna di verde antico, che fu trasferito da Ostia nel 1483.
La cappella del Crocifisso è anche storica, perchè spesso quivi si raccoglieva a pregare s. Filippo Neri. Uomini illustri furono deposti in questa chiesa, tra i quali sono da notare Bartolomeo Marliani, celebre antiquario; Onofrio Panvinio, il grande agostiniano a cui Baronio volea cedere la penna perchè scrivesse gli annali; il card. Noris, Angelo Rocca letterato insigne, fondatore della libreria nell'annesso convento, che da lui prese il nome di Angelica; e finalmente ai tempi nostri qui fu sepolto Massimiliano Sarti, uno dei più poderosi e meravigliosi ingegni della repubblica letteraria nell'età nostra.
Anche questa è nel catalogo dell'anonimo, ove è chiamata de Cupellis, di cui parla pure il Signorili. Fortunatamente è ancora in piedi nella contrada di questo nome. Siccome avverte il Nibby, comunemente si crede che l'aggiunto delle coppelle siale venuto da questo, che nella contrada ove è posta, in lontani tempi fossero le botteghe dei barilai. Il Terribilini dice che ivi fu la casa di s. Abbasia romana, nella quale si faceva il Monte di Pietà, e che fu eretta nel 1196 e consacrata da Celestino III, alla cui epoca appartiene il campanile. Il Ciampini ed altri riportano l'epigrafe metrica esistente nella chiesa relativa ad Abbasia:
ILLVSTRIS MVLIER ABBASIA NOMINE QVONDAM PRAEBVIT EXPENSAS, INDE SACRATA FVIT HAEC DOMVS ANTE LOCOS PIETATIS NOMEN HABEBAT DICITVR ECCLESIA NVNC PIETATE DEI PAPA DEO, MVLIERQVE SIMVL HAEC TEMPLA DICARVNT HIC FACIT OFFICIVM, FOEMINA DONAT OPEM PONTIFICABAT TVNC COELESTINVS IN VRBE TERTIVS ET PRAESEN . . . . . CVM SALVATORIS TEMPLVM HOC DICAVIT HONORI ET VENIAE MVNVS CONTVLIT IPSE PATER TEMPORE QVO RECTOR ROMANAE AC ARCHISACERDOS HOC OPVS PROVIDIT PRESBYTER . . . IS ET MAGNI BOLDINI VIRTVTE INDE PRAEBENDA. |
p443 È questa l'unica epigrafe che ricordi il rector romanae fraternitatis, cui si dà anche il titolo di archisacerdos, il che dimostra l'importanza giuridica di questa famosa fratellanza del clero, come abbiamo già a suo luogo accennato.
La chiesa, secondo alcuni, sarebbe più antica di Celestino III, il quale l'avrebbe restaurata. Innocenzo VII nel 1408 la dette alla compagnia dei sellai.
Presso s. Salvatore delle Coppelle v'era una piccola ed antica chiesa chiamata s. Niccolò lo piccino e corrottamente de piccino o pincino o lu picino. Era vicina alla case di Savo de' Grattuli, onde fu detta eziandio s. Niccolò de' Grattuli. Non so perchè si chiamasse anche della Cerasa.13 Questa chiesetta fu fatta demolire da Paolo III. L'anonimo accenna a questa chiesa che egli chiama s. Niccolò de Petine. La facile inflessione del nome, e l'identica ubicazione, mi persuade che questa chiesa di s. Niccolò de Petine, sia quella detta de Pincie dal Signorili. A me pare avesse anche il nome di Cencio di Gregorio o Cincii de' Gregorio; e difatti, ad una chiesa di s. Niccolò di Gregorio Cencio, sei denari di presbiterio assegnò il noto Camerario. Fu poi detta così perchè era vicina alla casa di questo Cencio, e infatti nelle schede del Terribilini14 l'ho trovata chiamata a domo Cincii de Gregorio: in quelle schede medesime, sebbene con dubbiezza, si dice pure fosse detta Ursinorum, dal palazzo degli Orsini,15 con il quale nome si legge nella tassa di Pio IV. Anche Michele Lonigo dice che questa chiesa di s. Niccolò a domo Cincii de Gregorio fosse chiamata de lupicino e della cerasa. Non so poi come il Martinelli potesse chiamarla pure de pino, mentre una chiesa di san Niccolò de Pinea, affatto diversa da questa, troviamo registrata da Cencio Camerario, come a suo luogo è detto. Anche nel bollario di Leone X è chiamata in picino alias des cerasa.16 Quindi non v'ha dubbio sulla identità proposta dal Terribilini e dal Lonigo, ai quali si può aggiungere il Fonseca. Il Garampi, in un documento del 1385, scrive che si chiamasse de p444 Pecino.17 L'anonimo di Torino l'annovera nella prima partita e dice che habet unum sacerdotem. Nella tassa di Pio IV quella chiesa vien detta de militibus, forse da qualche vicino quartiere di soldati.
Corrottamente il nostro anonimo di Torino chiamò questa chiesa de monte chravato, che meglio il Signorili disse in monte granato; e Cencio Camerario, con poca diversità, denominò in monte granatorum, alla quale appartenevano i sei denari di presbiterio. Però questi due ultimi la dicono semplicemente sacra a s. Cosma; il che non fa veruna difficoltà, sapendosi che i ss. Cosma e Damiano ebbero il culto in comune, e che nominandosi il primo si sottintende il secondo. Dove fosse precisamente la località detta del montegranato io nol so, ma veggo che non doveva essere molto discosto da quella della Posterula, mentre la chiesa di s. Cosma de montegranato fece causa comune con s. Maria della Posterula e s. Biagio della Posterula nella controversia fra la chiesa di s. Apollinare e quella di s. Lorenzo in Lucina.18 Dai cataloghi del Signorili e da quello di Torino si vede situata presso s. Salvatore delle Coppelle.
Nella regione di s. Eustachio sorgeva una chiesa dedicata a s. Valentino martire, di cui è scomparsa affatto ogni traccia: nel secolo XV era ancora in piedi, come risulta da un documento dell'anno 1427, riportato dall'Adinolfi.19
Anche a questo martire furono più chiese dai nostri maggiori dedicate, ma la maggior parte furono nelle vicende della città distrutte. La nostra ebbe parecchi nomi, fra i quali ricorderò i seguenti: s. Biagio dell'Anello, s. Biagio degli Arcari, p445 s. Biagio al Monte della Farina. Era parrocchiale sotto la collazione del titolare di s. Lorenzo in Damaso, ed era vicinissima alla odierna chiesa di s. Carlo ai Catinari, alla quale, quando fu profanata e distrutta, si unirono i diritti della parrocchia. La chiesa di s. Biagio risale al secolo XII, ed il luogo ove precisamente sorgeva era fra le due chiese di s. Andrea della Valle e s. Carlo suddetto, ma più vicina alla prima. Il nome degli arcari lo ebbe dalla via prossima alla chiesa, che mantiene ancora la denominazione de' falegnami, i quali avevano colà le loro botteghe, secondo l'uso dei secoli trascorsi, quando le arti erano insieme raccolte. Dall'anello del s. vescovo che nella chiesa veneravasi e che oggi si custodisce nella chiesa di s. Carlo, ricevette il titolo de anulo, benchè quello degli arcari sembra il più antico, poichè lo troviamo sin dall'anno 1186 nella bolla d'Urbano III, ove fra le filiali di s. Lorenzo in Damaso si ricorda s. Blasius arcariorum cum populo et pertinentiis suis. Il papa Gregorio XIII nel 1575 donò la chiesa ai chierici regolari di s. Paolo, che Sisto V, per la sua antichità, eresse in titolo cardinalizio. Ma nel 1617 per dare spazio al convento dei teatini di s. Andrea della Valle, la chiesa fu demolita con autorità di papa Paolo V, ed i padri vennero trasferiti alla chiesa attuale di s. Carlo, che allora sorgeva e che prese in memoria di quella distrutta il titolo dei ss. Biagio e Carlo ai Catinari, dalla contrada ove erano i fabbricatori dei catini di legno. Il Galletti, nelle sue Inscriptiones urbis, riporta l'epigrafe sepolcrale d'un rettore di quella chiesa per nome Pietro, che nel 1286 lasciò alla medesima per testamento unum optimum breviarium. È noto, infatti, che preziosissimi furono innanzi all'invenzione della stampa i libri, cosicchè il Petrarca anch'egli come dono prezioso lasciò alla sacrestia del duomo di Padova il suo gran breviario.
Ecco l'epigrafe:
HIC REQVIESCIT PRESBYTER PETRVS NATIONE NEPESINVS HVIVS ECCLESIAE PRESBYTER QVI INTER ALIA BONA QVAE FECIT HVIC ECCLESIAE RELIQVIT SIBI VNVM OPTIMVM BREVIARIVM. ANIMA eivs REQVIESCAT IN PACE AMEN. Obiit SVB ANNO DOMINI MCCLXXXVI MENSE MAII DIE XII.
Il Martinelli ed il Sodo confusero la nostra chiesa coll'altra detta s. Biagio dell'oliva. Nell'archivio de' Brevi v'ha il documento della conferma fatta del fonte battesimale alla nuova chiesa di s. Carlo a' Catinari. Nel catalogo di s. Pio V è chiamata s. Biasio al Crocifisso, e forse è la stessa che fu detta de Valle cupa dal Metallino.
p446 Nella relazione che si legge nello Stato temporale delle chiese di Roma nel 1661 della nostra trovo quanto segue:
"La chiesa e parrocchia di s. Biagio dell'anello fu data per habitatione e collegio a Padri Barnabiti dalla Fel. Memoria di Gregorio XIII per bolla spedita a p.o di marzo 1575 e a 30 di d.o mese ne fu preso possesso. Nel 1611 i Padri havendo fabbricato la nuova chiesa di s. Carlo e convenuto con i Padri Teatini di permutare le case e chiesa di s. Biagio con altre case che loro possedevano nella piazza di s. Carlo presenti li Padri Teatini di s. Andrea della Valle consegnarono a noi il palazzo con l'isole dei sigg. Orsini et i Padri Barnabiti tutte le case e chiesa di s. Biagio come per gli atti di Fulvio Passarino Not. del Vicario e Biagio Cigno Not. Cap.o in solidum con il Breve di N. S. Paolo V spedito a 26 febbraio 1610.
"A detta parrocchia dei ss. Biagio e Carlo fu unita quella di s. Benedetto (?) con tutti i suoi emolumenti, essendosi per ordine di papa Alessandro VII hora regnante, demolita e trasferita alla nostra di ss. Biagio e Carlo come per suo breve 20 Nm̃bre 1660. Detta chiesa ha tre cappelle e altari 6. Ha ancora la cura d'anime. Le case e famiglie sono in tutto quattrocento incirca. Ha un'entrata netta di s. 3088,54."
"D. Probo Coppa
"Vic. et Procuratore del Coll. di s. Carlo."
Fu cominciata ad edificare l'anno 1612 e costò oltre 90,000 scudi. Rosato Rosati ne architettò l'interno, Gio. Battista Soria la facciata che è ricca di travertini e sculture. È ad una sola navata, con cupola. L'altar maggiore è di Martino Longhi, ed ha quattro bellissime colonne di porfido con capitelli di metallo dorato. Il quadro rappresentante s. Carlo è di Pietro da Cortona: la volta della tribuna fu dipinta dal Lanfranco. Il Domenichino vi dipinse negli angoli le quattro virtù cardinali. In questa chiesa sono sepolti i cardinali Gerdil e Fantoni ed il celebre ma bizzarro letterato Giovan Gherardo de Rossi. Fu consacrata solennemente da Clemente XII nell'anno 1722, allora cardinale Corsini.
È una piccola chiesa nella via omonima, anticamente chiamata de' Filonardi o del Crocifisso: fu dedicata anche alla ss. Trinità e vi dimorarono in una casa annessa, di quelle dette case sante, alcune terziarie di s. Francesco.
Il collegio dei Barbieri l'occupò nel secolo XVI, e allora fu consacrata ai due santi medici: quella comunità la riedificò nel 1622: dopo il 1870 la dissacrò; ma oggi è ufficiata dall'arciconfraternita di Gesù Nazareno, che prima si riuniva nella chiesa di s. Elena. Col nome del Crocifisso viene ricordata nel catalogo delle chiese di s. Pio V.
È situata nella via del Sudario presso l'antico palazzo de' Cesarini. Si attribuisce alla chiesa un'origine antichissima, cioè ai tempi di Gregorio II, quando la Fiandra fu convertita alla fede; è dedicata a s. Giuliano il povero. V'era un ospedale pei fiamminghi, i quali vi erano alloggiati per tre giorni. Roberto conte di Fiandra, venuto in Roma nel 1094 sotto Urbano II per la crociata, dimorò in quel luogo che fece poi restaurare. Nel 1675 la chiesa fu ridotta allo stato attuale. Al presente è della nazione belga.
Questa chiesa assai antica ebbe annesso un monastero di monache, del quale trovasi spesso menzione per tutto il secolo XV come uno dei più fiorenti e ricchi della città; ma è stata distrutta già da due anni, per allargare in quel punto la strada. Il Garampi dall'archivio del medesimo trasse molte notizie, p448 fra le quali ricorderò una dell'anno 1460, d'un'abbadessa del detto monastero: D. Iacoba de Gutiis quae emit vineam extra portam Appiam in loco qui dicitur lo Truglio.20 Modernamente era denominata s. Anna de' Falegnami ovvero de' Funari.
Quanto all'origine di questo monastero, ecco quello che nei suoi manoscritti narra il Bruzio:21
"Circa il 1293, come si ha da un manoscritto di questo ven. monastero, fu in Agobbio una gran serva di Dio chiamata Santuccia Terrebotti; questa essendo il marito fatto religioso, pigliò il 3o ordine di servi, e vi visse con tanta fama di santità e di regolar disciplina, che dal sommo pontefice fu chiamata a Roma per la riforma delle monache di s. Benedetto, e con brevi apostolici i quali si conservano nell'archivio di questo monasterio, la crearono abbadessa generale con autorità di visitare alcuni monasteri che in varii luoghi d'Italia s'erano da lei fondati sotto la regola del santo patriarca. Di questi furono in Roma tre altri dedicati a Maria Vergine, il primo a s. Maria Liberatrice, il secondo nell'isola tiberina appresso il fiume hora disfatto, il terzo fu quello che si disse di s. Maria in Giulia nel rione della Regola. Morì questa santa donna ai 21 di maggio l'anno 1305 et in questa chiesa fu seppellita. Le madri di questo monastero non sanno ove riposi il suo corpo, tengono però con poca riverenza le sue vesti."
E veramente in altro autorevole scrittore ho trovato
"che dai libri dell'archivio del detto monastero (cioè di s. Anna dei Funari) si raccoglie che fu fondato dalla B. Santuccia de Terrebotti di Agubbio, nel luogo dove è hoggi l'ospedale dei Benefratelli, havendone prima edificato una alla B. V. sotto il titolo di s. Maria in Iulia che col tempo venne meno. Nel 1674 fu trasferito per le inondazioni nel presente di s. Anna."
E nel libro delle visite sotto Alessandro VII, custodito nell'archivio secreto della S. Sede, leggo così:
"Nell'anno 1293 fra Jacomo Molara, maestro de Cavalieri Templari, donò a suor Santuccia Terebotta d'Agubbio la chiesa di s. Maria in Julia, posta nel rione della Regola, dove, essendo abbadessa, fondò il monastero oggi chiamato s. Anna."
Nei regesti del papa Giovanni XXII, nel medesimo archivio, si contiene una pregevole notizia sulla suddetta Santuccia e sulla chiesa di s. Maria, dalla quale risulta che le monache dei monasteri p449 riformati dalla santa di Gubbio erano dette le Santuccie. Mandatum Iacobo s. Georgii ad velum aureum diacono Cardinali, quatenus abbatissis et conventibus monasterii s. Mariae in Iulia de Urbe et aliorum monasteriorum monialium quae Sanctutiae nuncupantur, praesidio defensionis assistens, non permittat ipsas a Praelatis, Rectoribus, Clero aliisque indebite molestari, non obstantibus Generaleis Concilii et Bonifacii VIII caeterisque constitutionibus contrariis. — Dat. Avenione, II Kal. Iun.22
Il Galletti23 cita pure un istromento relativo alla nostra Santuccia, dove si dice che morì nel monastero di s. Maria in Iulia l'anno 1293, detto oggi s. Anna de' Funari alla Regola. Il Fonseca è della stessa opinione, ed il Bovio conviene che quel luogo appartenesse già ai Templari, dai quali fu ceduto a Santuccia. Il Lonigo accenna che a' suoi giorni era ancora fresca la memoria di s. Maria in Iulia, poichè dice "che fu distrutta molti anni sono et ivi fabbricata la chiesa di s. Anna delle Monache". Antichissima è la denominazione in Iulia, poichè ne fa menzione più volte il Libro pontificale nella vita di Leone III sul principio del secolo IX.24 Nell'anonimo di Torino il monastero è annoverato fra quelli della terza partita, ove si nota che monasterium s. Mariae de Iulia habet moniales XL, ed ivi è precisamente indicato nel luogo incirca ove sorge la nostra chiesa di s. Anna de' Funari o de' Falegnami. Nè è questo da confondere con una chiesa di s. Salvatore appellata pure de Iulia. Il Garampi ricorda un'abbadessa di questo monastero chiamata Donata, la quale nel 1329 emit quemdam lapidem latum vel ergasterium positum in foro publico Capitolii ubi panni novi venduntur pro 60 florenis auri.
La chiesa odierna venne riedificata l'anno 1654, ed i lavori furono compiuti nel 1675. Poscia vi furono allogate le monache Salesiane che vi rimasero fino al 1809. Nel 1815 il monastero fu ridotto ad ospizio dei poveri giovani artigiani, detti di Tata Giovanni.
Egli è certo adunque che la chiesa apparteneva ai Cavalieri Templari, i quali ne fecero dono con tutti i beni stabili che possedevano alla Terrebotti. Ma siccome era filiale del loro priorato di s. Maria nell'Aventino, vollero che il monastero offrisse, come canone, una candela di due libbre ogni anno alla suddetta chiesa il giorno dell'Assunta. Sullo scorcio dell'anno 1544, governando questo monastero donna Massimilla de' Scipioni, si ritirò in quello la celebre Marchesana di Pescara Vittoria Colonna, p450 reduce dalle sue peregrinazioni di Orvieto, di Viterbo e di altrove. Nel 1546 ai 18 giugno era badessa donna Filippa, la quale resse questo monastero e l'ordine tutto delle Santuccie fino all'anno 1550, e fu perciò sotto il suo generalato (essendo protettore dell'ordine il cardinale Guido Ascanio Sforza, nipote di Paolo III) che Vittoria Colonna finì i suoi giorni ale dicisette ore e un quarto del 25 febbraio 1547, e la sera stessa dalla prossima casa di Giuliano Cesarini, nella quale Vittoria soffrì l'ultima malattia, la salma di lei fu trasportata solennemente nella chiesa di s. Anna, ed ivi deposta fra il pianto generale di quanti, come il divino Michelangelo, poterono apprezzare le eccellenti doti dell'animo suo nobilissimo. Quando, nel 1887, si pose mano alle demolizioni della chiesa, il ch. sig. Tordi, eccellentissimo cultore dell'antichità medievali romane, portò l'attenzione del pubblico romano su quella insigne tomba, ma furono vane tutte le ricerche; della sepoltura della celebre poetessa non fu trovata traccia. Sulla storia di questa chiesa dottamente ha scritto il sullodato sig. Domenico Tordi, del quale faccio mie le preziose notizie che egli raccolse da documenti autentici, e che rese di pubblica ragione:25
"Pare, così egli, che la chiesa fosse primieramente intitolata di s. Maria e Anastasio in Iulia, lo che risulta da una carta dell'anno 1046, colla quale la badessa di questo monastero, D. Susanna religiosa ancilla Dei atque Abbatissa venerabilis Monasterii S. Dei Genitricis beatique martyris Anastasii quod nuncupatur Iulia, investe per 29 anni l'attigua chiesa di s. Salvatore in Iulia. Anche in altre carte o istrumenti del 1185 l'annesso monastero vien chiamato Monasterium s. Mariae et s. Anastasii quod vocatur de Iulia. Clemente V nell'anno 1307 con sua bolla concesse a questa chiesa indulgenze per le quattro feste principali della Madonna e per quella di s. Anastasio che qui aveva una cappella. Nella bolla medesima si concede altra indulgenza per la festa di s. Anna, la quale fin da quel tempo ebbe in questa chiesa special culto. Siccome poi nel secolo XIV la divozione verso s. Anna, specialmente nella Curia Romana, grandemente si propagò, e come diremmo oggi, venne di moda, così non è meraviglia, se a poco a poco le monache di questo monastero lasciando gli antichi titoli di s. Maria e di s. Anastasio cominciassero a usare anche quello di s. Anna. Il primo documento che di ciò faccia fede è un istrumento del 1512, in cui questo monastero è detto: S. Annae seu s. Mariae in Iulia, finchè poi dopo la metà del secolo il titolo di s. Anna p451 si rese il più comune e frequentato e volgarmente inteso. La campana di questa chiesa reca a conferma di tutto ciò la seguente iscrizione in doppio giro:
SORGE VITTORIA FRASSI. ABB. NEL MONASTERIO DI S. MARIA IN GVLIAº ALIAS S. ANNA. DE VRBE. — MENTEM SANCTAM SPONTANEAM. ANNO DNI. MDXCV.
"Questa chiesa, che nel secolo IX era già ufficiata da una congregazione di monache, sembra che nel XII passasse in mano di preti secolari, mentre nell'anno 1143 Benedetto Prete di questa chiesa acquistò certo terreno situato ad Acqua traversa per sei soldi pavesi, e nel 1185 Gerardo Arciprete della medesima ricevè in dono una vigna fuori porta san Pietro nei prati detti Pulverula. Il titolo di Arciprete significava a quei tempi in Roma il primo di un collegio di preti addetti al servizio di qualche chiesa. Non era a quei tempi insolito di chiamare monasteri le case di meri collegi canonicali, specialmente se prima fossero state possedute da congregazione monastica. Quindi è che nell'Ordo Romanus di Cencio Camerario, compilato sul decadere del XII secolo, si chiama questa chiesa Monasterium Iuliae e le si assegnano due soldi per il presbiterio delle litanie maggiori.
"Urbano III nell'anno 1186 annoverò questa chiesa come soggetta, riguardo a certi diritti parrocchiali, alla basilica di s. Lorenzo in Damaso: Ecclesia s. Salvatoris et ius parrocchiale quod habetis in ecclesia S. Mariae Iuliae. Come poi il diretto dominio di questa chiesa passasse all'illustre Ordine del Tempio gerosolimitano a noi finora è ignoto; bensì è certo che fin dall'anno 1237 essa ne era pienamente soggetta: mentre Buonomo prete, ossia rettore di questa chiesa non diede in enfiteusi certa casa della medesima, se non se d'ordine del priore precettore di s. Maria in Aventino: e forse i Templari vi avevano residenza e abitazione, trovandosi nel 1290 mentovata una casa ivi contigua, dove i frati di s. Maria in Giulia già solevano mangiare."
Questo monumento cristiano, cui si collegavano tante memorie e tante storie, è disparso sotto i colpi d'un piccone, che dal 1870 ad oggi febbrilmente lavora massime contro le chiese di Roma.
Era vicinissima, ma distinta da quella di s. Maria in Iulia. Fu abbattuta, secondo il Fonseca, l'anno 1538. Il Garampi in alcune carte dell'archivio di s. Anna trovò un inventario delle suppellettili p452 sacre di questa chiesa fra cui unum ferrum rotundum in medio ecclesiae ad ponendas lampadas in festo. Pur nel codice di Torino è ricordata, ove si nota che era servita da un sacerdote.
Questa chiesa si chiamava nel secolo XVI dei Cavalieri, che era il nome della piazzetta che le si apriva innanzi, ove era la casa della famiglia dei Cavalieri. In un documento del 1515, che ho letto nell'archivio vaticano, si dice: Messer Aschanio et messer Bernardino de Perosa habita in piazza de Cavalieri, appresso le monache de la Ternità sopra al Cardinal Cesarino. In suo luogo vi fu edificata la chiesa ora demolita di s. Elena detta de' Credenzieri, ai quali fu concessa dal card. Alessandro Peretti. È ricordata nel catalogo del Camerario col nome Melienorum, e dal Signorili con quello de Mellinis.
Questa chiesolina stava nell'area della più antica di s. Niccolò de Mellinis, e fu edificata dalla Compagnia dei Credenzieri. Fu distrutta tre anni or sono. Era ufficiata dall'arciconfraternita di Gesù Nazareno. Il quadro della santa sull'altar maggiore è opera del Pomarancio, e quello di s. Caterina del cavalier d'Arpino. Questa cappella esisteva anche nella chiesa più antica di s. Niccolò. Infatti il sig. avv. Vincenzo Marini, segretario dell'arciconfraternita, gentilmente mi comunicò che in un testamento del 20 luglio 1408, in atti Pietro Paolo de Montanariis, tal Tommaso Marchisciano dello Cavaliere, nella cappella di s. Caterina da esso edificata istituì e dotò una cappellania; di che a lato dell'altare rimane questa lapide:
ANTIQVISSIMA CAPPELLA S. CATHERINAE DE IVRE PATRONATVS DOMVS CAVALEORVM QVAE CVM VETVSTATE IAM FERE ESSET COLLAPSA TIBERIVS CAVALERIVS CANONICVS LATERANEN. AC EIVSDEM CAPPELLAE POSSESSOR IN AMPLIOREM LOCVM ET MELIOREM FORMAM POSVIT ET RESTAVRAVIT ANNO A NATIVITATE DOMINI MDLXXXXI . D . P . APR. |
p453 Benchè si sapesse l'esistenza di questo testamento, se n'ignorava il contenuto; ma dopo assidue ricerche è stato ritrovato nell'archivio del Salvatore al Laterano dal suddetto signor Marini, versatissimo nelle antichità medievali di Roma.
In un diario del secolo XV, cioè dell'anno 1414, trovo nominata questa chiesa, di cui ignoro la storia e la topografia: in dictis plateis fuerunt multi interfecti de gente dicti Storlii et sepulti apud ecclesiam S. Mariae de Campitelli et s. Mariae de Ingilia.26 Sospetto che questa denominazione provenga da errore dello scrittore del manoscritto, il quale invece di scrivere s. Maria in Iulia scrive de Ingilia: ma su questo soggetto non credo dover insister troppo, perchè non è impossibile si tratti di chiesa del tutto diversa, o di cui è perduta ogni notizia.
Dal Camerario, ma per corruttela forse dei codici, è chiamata in Monteria: il Lonigo dice: "Si crede fosse dove hora è la chiesa di S. Maria in Monterone." Nel codice di Torino è chiamata de Monte Tito (sic); e in quello del Signorili de Monte.
Si crede che questa chiesa venisse fondata dalla famiglia Monteroni di Siena con un piccolo ospizio congiunto per alloggiarvi i pellegrini senesi. Fu restaurata prima nel 1245, poi nel 1597, ed in seguito sotto Innocenzo XI. In altri tempi appartenne ai pp. scalzi della Mercede italiani, ed oggi è in custodia della congregazione di s. Alfonso de Liguori. Era parrocchia, ma sotto Leone XII cessò d'esserlo, essendo stata trasferita la cura alla vicina chiesa parrocchiale di s. Eustachio.
Il quadro dell'altar maggiore è pittura dell'abate Gaspare Setenari; dalla parte dell'evangelio è osservabile il monumento sepolcrale del cardinal Durazzo, arcivescovo di Genova. La piccola cappella, sacra al s. Angiolo custode, è molto elegante.
p454 Nel libro delle visite di Alessandro VII ho trovato sulla medesima i ricordi seguenti:
"Dietro l'altare v'era il cimitero ed a sinistra un ospedale; nell'atrio v'era un epigrafe che dicea: DIANAE PRO SALVTE IMP . L . SEPTIMI . SEVERI . AVRELI . ANTONINI . AVGVSTI F . IVLIAE AVG . MATRI CASTRORVM."
In un'epigrafe dell'anno 1501 si dice che la chiesa fu consacrata in quell'anno in onore della Vergine e di s. Niccolò. Nello Stato temporale delle chiese di Roma fatto l'anno 1660 trovo la relazione seguente:
"La chiesa suddetta ha avanti un poco di piazza. Non si sa quando e da chi sia stata fondata, ma bensì n'apparisce la consacrazione fatta la domenica di . . . . . l'anno 1651 (??) come è notato con lettere antiche sopra il muro del pilastro contiguo al Coro alla parte dell'Evangelio. Era di struttura antica, ma essendo stata restaurata ed alzata molti palmi perchè era soggetta alle inondazioni del fiume, ha del moderno. È longa palmi 99, larga 62,52 ed alta 53. Con tre navate, quella di mezzo sostenuta da otto colonne di pietra. Ha campanile con campane 2. Ha 2 cappelle, 3 altari, sepolture 6. Il frutto della chiesa è di scudi 171 e bai. 95, i frutti morti scudi 100, il debito è di scudi 107 e bai. 25."
Nell'area di questo magnifico tempio esisteva un'antica chiesa in onore di s. Sebastiano, la quale per essere lungo la via papale diceasi de Via Papae. Costanza Piccolomini, duchessa d'Amalfi, ivi possedea un palazzo che donò ai Teatini l'anno 1590, perché vi stabilissero la loro casa ed edificassero questa chiesa in onore di s. Andrea. Nel 1591 il card. Alfonso Gesualdo diè principio alla costruzione della medesima: la fabbrica fu proseguita da Alessandro Peretti cardinal nipote di Sisto V, e venne terminata dal card. Francesco Peretti nipote di Alessandro. Architetto ne fu Pietro Paolo Obarin romano, Carlo Maderno la terminò, ma la facciata è di Carlo Rainaldi.
La cupola di questa chiesa è la più vasta di Roma, dopo la vaticana: i peducci furono dipinti dal Domenichino che vi espresse i quattro evangelisti. Del Domenichino sono pure tutte le pitture della volta, della tribuna ed i riparti degli stucchi.
La prima cappella a sinistra fu fatta da Matteo Barberini poi Urbano VIII; è straricca di marmi e pitture; vi si veggono scolpiti in porfido i ritratti dei genitori del pontefice.
p455 Nella nave di mezzo sono i due sepolcri di Pio II e Pio III, trasportativi da s. Pietro perchè qui era il palazzo della famiglia dei suddetti pontefici. Nella nave sinistra nella cappella Ruccellai è il sepolcro del celebre Mons. Giovanni della Casa, il famoso autore del Galateo, il cui epitaffio fu scritto da Pietro Vettori. L'epitaffio di Pio II è il seguente:
PIVS II · PONT · MAX · NATIONE · HETRVSCVS · PATRIA · SENENSIS · GENTE · PICOLOMINEA · SEDIT · ANN · VI · BREVIS · PONT · INGENS · FVIT · GLORIA · CONVENTVM · CHRIST · PRO · FIDE · HABVIT · OPPVGNATORIBVS · ROM · SEDIS · INTRA · ATQVE · EXTRA · ITALIAM · RESISTIT · CATHARINAM · SENENSEM · INTER · SS · CHRISTI · RETVLIT · PRAGMATICAM · IN · GALLIA · ABROGAVIT · FERDINANDVM · ARRAG · IN · REG · SICILIAE · CIS · FRETVM · RESTITVIT · REM · ECCLES · AVXIT · FODINAS · INVENTI · TVM · PRIMVM · ALVMINIS · APVD · TOLPHAM · INSTITVIT · CVLTOR · IVSTITIAE · ET · RELIGIONIS · ADMIRABILIS · ELOQVIO · VADENS · IN · BELLVM · QVOD · TVRCIS · INDIXERAT · ANCONAE · DECESSIT · IBI · ET · CLASSEM · PARATAM · ET · DVCEM · VENETORVM · CVM · SVO · SENATV · COMMILITONES · CHRISTI · HABVIT · RELATVS · IN · VRBEM · PATRVM · DECRETO · EST · HIC · CONDITVS · VBI · CAPVT · ANDREAE · APOSTOLI · AD · SE · EX · PELOPONNESO · ADVECTVM · COLLOCARI · IVSSERAT · VIXIT · ANNOS · QVINQVAGINTA · OCTO · MENSEMº · NOVEM · DIES · XXVII · FRANCISCVS · CARDINALIS · SENENSIS · AVVNCVLO · SVO · SANCTISSIMO · FECIT · MCDLXIV.c
Una chiesuola dedicata all'invitto soldato e martire sorgeva su quel tratto di via papale che corre innanzi all'odierna chiesa di sant'Andrea della Valle nell'omonima piazza, e che nel secolo XVI chiamavasi la piazza di Siena. Nel codice di Torino sta nella terza partita, e si legge che: ecclesia s. Sebastiani de via Papae habet unum sacerdotem. Aveva innanzi a sè una fronte con portichetto rimasto celebre, poichè, come abbiamo nel diario dell'Infessura, in quello vennero alle mani i Colonnesi con i Della Valle. Era parrocchiale, ma filiale di s. Eustachio. Una tradizione vuole che ivi fosse stato da s. Lucina estratto il cadavere del martire Sebastiano, gettato in una cloaca. Qualunque sia il valore storico di questa notizia, egli è certo che l'antichità di questa chiesa deve certamente far capo ad una qualche memoria di quel martire. Fu demolita sotto il papa Sisto V insieme alla casa parrocchiale annessa, per la fabbrica di sant'Andrea della Valle; ordinando però il papa, con breve dei 18 agosto, che l'area della nuova chiesa abbracciasse e racchiudesse entro di sè quella dell'antica di s. Sebastiano, nella quale pure con un altare a detto santo si perpetuasse il culto e la memoria della chiesa demolita.
Questa chiesolina era in origine dedicata a s. Ludovico presso la piazza di Siena (s. Andrea della Valle). Fu riedificata dalla compagnia dei Savojardi e Piemontesi raccoltasi in Roma fino dal 1537 sotto il titolo della s. Sindone ed eretta in arciconfraternita nel 1592 da Clemente VIII. Di questa associazione furono primi fondatori Giorgio Provana, Ponzio Sena, Ottaviano Malabaila, Girolamo Arnet, che l'eressero nella chiesuola posseduta allora dai Francesi e che l'avevano ottenuta dai pp. Cassinesi di Farfa col titolo di s. Ludovico re di Francia; alla quale, per esservi la compagnia dei credenzieri, si dette il titolo di s. Elena. La nuova chiesa fu eretta dai fondamenti l'anno santo 1605, ma nel secolo passato fu restaurata di nuovo. La piazza che era vicina a quella di s. Ludovico dei Francesi, situata fra il Sudario e la torre Argentina, diceasi Platea saponaria.27
Il quadro dell'altar maggiore, rappresentante il ss. Sudario, fu donato dal papa Clemente VIII alla compagnia dei Piemontesi. Il s. Francesco di Sales, nell'altare a dritta, è di Carlo Cesi, e quello a sinistra, ove è il b. Amedeo di Savoja, fu dipinto dal Cerrini.
È stata distrutta due anni or sono. Stava all'angolo delle vie de' Chiavari e del Paradiso. Apparteneva all'università dei fornari garzoni tedeschi, confraternita istituita l'anno 1481 sotto Innocenzo VIII. Ivi esisteva un piccolo ospedale per gli ascritti alla confraternita. Sulla porta della chiesa si leggeva: SODALITAS PISTORVM NATIONIS GERMANICAE AEDEM VISITATIONIS B. M. V. COLLABENTEM DIRVIT NOVAM DENVO A FVNDAMENTIS EXTRVXIT A. D. MDCXLV.
Oratorio situato nel rione di s. Eustacchio presso l'arco dei Sinibaldi, tenuto dalla compagnia dei ss. Benedetto e Scolastica. Il nome della ciambella lo desume dalla vicina strada, p457 ove esiste un grandioso rudere delle terme Agrippiane. Nelle memorie di Flaminio Vacca, scritte l'anno 1594, è narrato il fatto che dette origine alla denominazione della ciambella applicata alla via che tuttora la conserva.
Ecco le sue parole:
"Ho sentito dire a Gabriele Vacca mio padre che il cardinale della Valle incapricciandosi di cavar tesoro fece cavare nelle terme di M. Agrippa nelle quali vi trovò una gran corona civica imperiale di metallo dorato, e perchè avea simiglianza di certe ciambelle che a quel tempo si vedevano per Roma, quelli cavatori dissero: ecco una ciambella; e per avere la mancia corsero al cardinale dicendoli: havemo trovato una ciambella di bronzo, e di lì a poco venendoci ad abitare un oste fece per insegna la detta ciambella; ed in questo modo è stato sempre chiamato la ciambella".28
La chiesa è ufficiata dalla confraternita dei Norcini, la quale fu approvata da Paolo V nel 1615 e da Gregorio XV nel 1623. Essendo fatiscente, fu restaurata e quindi riaperta il 1o novembre del 1841.
1 Chron. Farf.; 505 nel Reg. Farf. n. 457; v. Galletti, Primicerio, XXI.
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2 Piazza, Gerarchia Card., pag. 856.
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3 Tomassetti, Via latina, pag. 309.
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4 G. 26.
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5 De Rossi, Inscr. christ., pag. 473.
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6 Avvisi di Roma, 18 ottobre 1605.
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7 Vedi pure Mabillon, Iter ital., pag. 86.
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8 Arch. Vat., arm. 12, caps. III, n. 100.
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9 Tom. III, pag. 704.
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10 Martinelli, op. cit., pag. 341.
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11 Martinelli, pag. 341.
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12 Rationale Farf., pag. 132.
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13 Catasto del Salv. arm. IV, mazzo VII, pag. 21, B.
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14 MSS. della Casanatense, tom. VI.
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15 Martinelli, pag. 383.
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16 De Rossi, l.c., pag. 69.
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17 Schede dell'A. Vat.
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18 Innoc. III, a. VIII, pag. 158.
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19 Adinolfi, Via Sacra, pag. 121.
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20 Garampi, Sch. Arch. Secr. S. Sedis.
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21 Theat. U. Romae, tom. XV, pag. 97.
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22 Io. XXII, an. I, lib. V, fol. 256 t. et 675.
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23 Cod. Vat. 7871. Necrolog. B., pag. 13.
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24 Lib. pont. in Leone III, pag. 291, tom. II, ed. Vignoli.
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25 Corriere di Roma, anno III, 129.
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26 Arch. Vat. Diar. Ant. Petri, III.236.
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27 Arch. Vat. Div. Pont. III.I, fol. 128.
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28 Vacca, Memorie di Antichità, pag. 53.
a Sembra più probabile una derivazione non da un singolo platano, ma da una piantagione di platani: vedi la voce (Vicus) Platanonis nel dizionario topografico di Roma di Platner-Ashby.
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b Non so se l'origine della leggenda è dovuta a protestanti, ma alcuni sostengono che la statua è un'adattazione di un'antica statua di Agrippina col figlio Nerone.
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c Come spesso, la trascrizione riprodotta dall'Armellini non è esatta. Difficile sapere qual'è corretta fra le molte varianti in Rete — non ho visto l'epitaffio e non ne trovo una fotografia — ma certo è che ha mancato di trascrivere almeno una parola (Mantvae), quindi mi sembra utile di aggiungere una di quelle trascrizioni, dal Panvinio ap. Mai, Spicilegium Romanum, IX.362 ("366"); in corsivo (mio) le differenze:
Pius II Pontifex Maximus natione Tuscus patria Senensis gente Piccolominea. Sedit annos sex. Brevis pontificatus, ingens fuit gloria. Conventum Christianorum Mantuae pro fide habuit, oppugnatoribus Romanae sedis intra atque extra Italiam restitit, Catharinam Senensem inter sanctos Christi retulit, pragmaticam in Gallia abrogavit, Ferdinandum Aragonensem in regnum Siciliae cis fretum restituit, rem ecclesiae auxit, fodinas inventi tum primum aluminis apud Tolfam instituit, cultor iustitiae et religionis, admirabilis eloquio. Vadens in bellum quod Turcis indixerat, Anconae decessit. Ibi et classem paratam, et ducem Venetorum cum suo senatu commilitones Christi habuit. Relatus in Urbem est patrum decreto, et hic conditus ubi caput Andreae apostoli ad se ex Peloponneso advectum collocari iusserat. Vixit annos LVIII, menses IX, dies XXVII. Franciscus Cardinalis Senensis avunculo sanctissimo fecit anno MCDLXIIII.
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