URL breve per questa pagina:
bit.ly/2ARMCHITrastevere
mail: William Thayer |
English |
Aiuto |
A monte |
Home |
|||
|
Celeberrima è la basilica trastiberina dedicata alla Vergine, e così ricca di memorie e monumenti che appena un grosso volume basterebbe a riepilogarne la storia.
Da Lampridio sappiamo che Alessandro Severo per legale sentenza mantenne i cristiani nel possesso d'un luogo d'adunanza nel Trastevere, contrastato ai medesimi dai popinarii o tavernari. Ora, i documenti ecclesiastici riferiscono alla nostra basilica la sentenza di Severo, il più amico e benigno imperatore che avessero i cristiani nei secoli delle persecuzioni. Il chiesa, seppur concedasi, non va inteso nel modo del tardo compilatore della biografia di Callisto nel Liber pontificalis, ove si dice che quel papa ivi edificò una chiesa dedicandola alla Vergine. Tutto ciò deve spiegarsi secondo l'indole dei primi secoli e secondo l'uso e la disciplina ecclesiastica di quell'epoca in cui le prime chiese non furono se non case destinate ad adunanze religiose; e le prime che portarono i nomi dei santi furono quelle erette sui loro sepolcri, o su altre loro memorie, o dove quelle memorie erano state trasferite dopo il secolo IV.
Si vuole adunqueº che il luogo aggiudicato da Severo ai cristiani fosse un hopistium,º ovvero taberna meritoria. A questa allude un'antica epigrafe che si trova nel codice palatino, ricopiata nel secolo VIII in questa chiesa, il cui testo era il seguente e si leggeva sulla fronte della basilica:
HAEC DOMVS EST XPI SEMPER MANSVRA PVDORI
IVSTITIAE CVLTRIX PLEBI SERVAVI HONOREM
p638 Checchè sia di ciò, la penuria dei documenti non ci permette precisare nulla con certezza e discernere il vero dal falso in ordine all'origine della nostra basilica nei tempi anteriori alla pace di Costantino. Egli è certo che alla storia s'aggiunse poi la leggenda, e questa benchè assai antica ci parla d'una fonte d'olio ovvero nafta che l'anno 753 di Roma, poco prima della nascita del Redentore, avrebbe da quel luogo scaturito; leggenda già nota ai tempi di Eusebio che pel primo la raccolse, seguito in ciò dagli storici della decadenza, specialmente da Eutropio ed Orosio. Se dico leggenda, non dico favola, poichè a parer mio un qualche storico avvenimento dette certamente occasione ed origine a quel popolare ed secolo racconto, trasformato poi ed abbellito nel modo anzidetto.
La storia della basilica incomincia con Giulio I, il quale circa il 340 la edificò dai fondamenti, trasformando forse la prima casa e titolo dei cristiani del Trastevere in un edifizio basilicale secondo il tipo architettonico del secolo IV.
Da quell'epoca la basilica trastiberina, cioè il Titulus Iulii, fu congiunto al titulus Callixti. Anzi questo secondo fu perpetuato, con eccezzione unica nei monumenti e nelle appellazioni della Roma cristiana.
L'epigrafe di un collare d'un servo fuggiasco dei tempi costantiniani nomina un'area, cioè una piazza di Roma, appellata AREA CALLIXTI che era appunto quella di Trastevere, siccome ha dimostrato il ch. De Rossi, dove quel santo papa fu gettato dalla finestra ed ucciso. Ed anche oggi dura la memoria topografica e tradizionale di quel martirio presso la basilica di s. Maria in Trastevere. Anzi il De Rossi osserva, che il continuatore del catalogo papale, il quale vide costruire quella basilica sotto l'impero dei figli di Costantino, la dice eretta trans Tiberim regione XIIII iuxta Callixtum, parole che testificano essere contigua, ma anteriore a Costantino la memoria Callixti in quel luogo. Giulio adunque eresse la basilica trastiberina presso il sito e la memoria del martirio di Callisto, vicino la cui tomba poi, via Aurelia, volle essere sepolto. Egli è perciò che sebbene dalla nostra fu distinto il Titulus Callixti, pur tuttavia fu detto anche promiscuamente Titolo di Giulio e di Callisto. Giovanni VII fu il pontefice che nobilmente restaurasse la basilica di Giulio e ne ornasse di pittura le pareti nei primi anni del secolo VIII. Nello stesso secolo l'esempio fu seguito dai papi Gregorio II e III, finchè Adriano I ampliò la basilica aggiungendo due navi. Gregorio IV nell'828 edificò presso la p639 chiesa un ampio monastero che si vuole fosse dedicato al papa s. Cornelio, ed in quello vi pose de' monaci che giorno e notte salmodiassero numero, in cui eresse pure una cappella del presepe: alzò poi il pavimento della tribuna aggiungendo alcuni gradini per salire a quella, e al disotto pose nella confessione i corpi deiss. Callisto e Calepodio.
Leone IV verso l'anno 848 la restaurò di nuovo, e Benedetto III riedificò l'atrio che crollava insieme al portico, il battisterio ed i secretarî. Sopra tutti nel medio evo, il papa Innocenzo II romano, della famiglia dei Papareschi, si occupò della basilica trastiberina. Egli nel 1139 la riedificò quasi dai fondamenti, fece eseguire il musaico dell'abside, aggiunse due colonne presso la tribuna, eresse il ciborio sostenuto da colonne di porfido. Ma non giunse a compiere l'opera, che invece fu terminata da Innocenzo III. In tempi a noi più vicini altri grandiosi lavori vi fecero s. Pio V e Clemente XI; questi comandò che si restaurassero i musaici dell'abside e della facciata, e v'aggiunse il nuovo portico con i disegni del Fontana.
Ma a nuovo splendore la tornò il papa Pio IX di s. m., che con grandiosi e magnifici lavori riabbellì questa monumentale gemma del Trastevere.
Nelle escavazioni fatte per compiere i grandi restauri ordinati dal papa Pio IX, vennero alla luce nuovi ed inaspettati monumenti. Si scoprirono sotto il pavimento gli avanzi del recinto comunemente appellato Schola Cantorum, ed i plutei marmorei che lo chiudevano; recinto che fu opera di Gregorio IV, come leggiamo nella vita di lui. Si crede che le ventiquattro colonne di granito bruno della nostra basilica avessero appartenuto già ad un tempio d'Iside, poichè figure d'Iside, di Serapide e d'Arpocrate ne adornano le volute. Forse esse spettavano all'Isèo Campense, donde le avrebbe tolte Innocenzo II.
Quei singolari e notevolissimi simboli furono martellati e distrutti in occasione dei restauri eseguiti nella nave della basilica trastiberina l'anno 1870.
Tornando ora alle scoperte fatte in occasione degli ultimi restauri, sotto il grande arco dell'attuale basilica edificata da Innocenzo II, si rinvenne il principio dell'abside spettante alla basilica più antica, la quale perciò era minore dell'innocenziana, ed innanzi a quello si videro le vestigie del tribunal costruito per opera de Gregorio IV, con i gradini per ascendere all'altare. Questo papa costruì il detto tribunal, facendo anche un agger maximae molis sopra un antro clandestino, che scavò dentro p640 l'ámbito dell'abside per riporvi ed occultarvi i corpi dei famosi pontefici Cornelio e Callisto. Nelle vestigia dell'abside, come scrive ili De Rossi, nelle costruzioni laterali, nel pavimento ornato di varî marmi e nel tribunale, si videro tracce dei lavori di Giulio I successore di Silvestro, e poi di quelli di Gregorio IV, a cui pure spettano alcuni brani d'intonaco con decorazione dipinta, sim a quella rinvenuta dal cardinale Bartolini nella confessione della basilica di s. Marco.
La basilica nel suo complesso mantiene il tipo primitivo: è preceduta da un portico sostenuto da quattro colonne di granito bigio. Sulla facciata v'ha un prezioso musaico, nel quale è rappresentata la Vergine sedente e allattante il suo figliuolo, corteggiata dalle vergini offerenti i loro vasi pieni dell'olio che dee alimentare la mistica fiamma. Ai piedi della Madonna sono due supplicanti, cioè gli oblatori dell'opera. Quel musaico fu restaurato sotto Niccolò V nel 1466, poi sotto Clemente XI, Leone XII e Pio IX.
Sull'autore di questo musaico sono varie le opinioni;º i più lo credono di Pietro Cavallini. Non sembra infatti che Innocenzo II che rifece tutta la chiesa, facesse pure la porta e il portico, come fa sospettare Benedetto Canonico contemporaneo d'Innocenzo. Il Malvasia crede che sia opera del 1148 quando sedeva Eugenio III: i due supplicanti, secondo il Platner, sono Innocenzo II fondatore del nuovo edifizio ed Eugenio III che lo compì.
Il ch. sig. E. Stevenson nella biblioteca del British Museum ha scoperto un prezioso necrologio di questa basilica con annotazioni del secolo XIV del tempo del Cavallini: ivi si fa menzione di quel musaico rifatto e ristorato, onde è probabile che di quelle imagini il Cavallini ne fosse il restauratore. Tre porte mettono dal portico nelle tre navate della chiesa, il cui ricchissimo soffitto è fatto costruiti disegni del Domenichino, il quale pure dipinse il meraviglioso quadro dell'Assunta che vedesi nel centro. Esso fu fatto eseguire dal cardinale Pietro Aldobrandini l'anno 1617.
Sotto l'altare maggiore d'Innocenzo II v'ha la confessione, in cui riposano i corpi dei martiri di già ricordati, e lì vicino è il luogo ove, secondo la leggenda, sarebbe scaturita la fatiscente d'olio, su cui è scolpito: FONS OLEI.
La tribuna della basilica è ricoperta di una splendida opera in musaico la cui data è certissima. Innocenzo II (a. 1130‑1143) p641 che rinnovò tutta la basilica, ne compì anche il musaico e lo insegna la imagine di lui col nome INNOCEN PP; nel giro inferiore poi si legge il seguente epigramma:
HAE IN HONORE TVO PRAEFVLGIDA MATER HONORIS
REGIA DIVINI RVTILAT FVLGORE DECORIS
IN QVA CHRISTE SEDES MANET VLTRA SAECVLA SEDES
DIGNA TVIS DEXTRIS EST QVA TEGIT AVREA VESTIS
CVM MOLES RVITVRA VETVS FORET HINC ORIVNDVS
INNOCENTIVS HANC RENOVAVIT PAPA SECVNDVS.
Un'epigrafe in lettere di forma gotica che si leggeva sul sepolcro del papa suddetto, e che oggi sta nel portico della basilica, ricorda l'epoca dei lavori fatti alla medesima, cioè dal 1140 al 1148:
I musaici dell'abside furono più volte risarciti anche nell'epoca nostra sotto il pontificato di Pio IX.
La composizione è la seguente: nel centro sta il Salvatore vestito di pallio d'oro con tunica cilestre, che intronizza nel cielo la b. Vergine ornata splendidamente come un'imperatrice bizantina. Il Salvatore ha in mano un libro aperto, ove si leggono le parole: VENI ELECTA MEA ET PONAM IN TE THRONVM MEVM; la Vergine ha un volume che spiega con ambe le mani, ove si legge: LEVA EIVS SVB CAPITE MEO ET DEXTERA ILLIVS AMPLEXABIT. Prossimo al Signore ed alla sua sinistra è Pietro: il papa e martire Callisto sta vicino ed alla destra della Vergine; Cornelio e Giulio papi, Calepodio prete fanno seguito a s. Pietro; presso Callisto sta s. Lorenzo, vicino a cui è il papa Innocenzo.
Il resto del musaico è comune alle altre absidi: si veggono nella fascia inferiore le consuete dodici pecore, sei per parte p642 uscite dalle mistiche città di Betlem e Ierusalem, che si avvicinano all'agnello divino che sta nel centro: in alto si vedono le mani dell'Eterno che protendono la corona.
Sulla fronte esterna dell'arco trionfa la croce equilatera, dalle cui braccia pendono le lettere Α Ω; la croce sta in mezzo a sette candelabri, poi seguono le simboliche imagini degli Evangelisti, e nell'interstizio i profeti Isaia e Geremia; dietro ai profeti sta piantato l'albero di palma, e su quello, presso Isaia, è posata la fenice; ognuno dei due profeti tiene alto il suo volume; nel primo si legge: ECCE VIRGO CONCIPIET ET PARIET FILIVM; nel secondo: SPC DNS CAPTVS E IN PECCATIS NRIS; a che allude il raro simbolo dell'uccello chiuso in una gabbia che si vede pendere dalle nubi.
Nella zona inferiore dell'abside sono figurate in sette quadri le storie della Vergine, dalla natività alla morte, con l'ordine seguente: Nascita, Annunziazione, Parto, Adorazione dei Magi, Purificazione, Transito: nel mezzo sopra la cattedra, in un settimo quadro v'è il busto della Vergine col divino figliuolo fra le imagini di Pietro e Paolo. Il primo degli apostoli pone la sua mano sul capo dell'oblatore inginocchiato ed accompagnato dallo stemma e dal suo nome: il tutto è dichiarato da questa epigrafe:
VIRGO DEVM COMPLEXA SINV SERVANDO PVDOREM
VIRGINEVM FVNDANS PER SAECVLA NOMEN
RESPICE COMPVNCTOS ANIMOS MISERA TVORVM.
Sotto l'epigrafe è lo stemma degli Stefaneschi; il nome dell'oblatore è BERTHOLDVS FILIVS PETRI.
Egli è uno degli Stefaneschi vissuto alla fine del secolo XIII sotto Niccolò IV e Bonifacio VIII: nella stessa basilica si vede la lapide sepolcrale:
BERHOLDVS FILIVS PETRI STEPHANI DE FILIIS STEPHANI
Un personnagio di questo nome, che appartiene ad una delle più potenti famiglie del Trastevere, fu senatore negli anni 1293, 96, 99.
L'autore dell'opera è Pietro Cavallini, infatti Antonio Eclissi nel 1640, nella fascia inferiore del usc, vide le lettere, perite poi nei posteriori restauri: . . . . hoc opVs feciT PETRVS. . . .
p643 Nel primo quadro, rappresentante la natività di Maria, si vede s. Anna sul talamo, sopra il quale è scritto SCA ANNA, e vicino alla Madonna ΜΡ ΘΥ. Sotto si leggono i versi:
HVMANI GENERIS SATOR ET QVI PARCERE LAPSIS
INSTITVIS MACVLAS VETERIS VIRGINIS AVFER
ARGENTO THALAMVS TIBI SIT QVO VIRGO REFVLGENS.
Sotto il secondo quadro:
TVQVE SVPER CVNCTAS BENEDICTA PVERPERA SALVE
VIRGVLA QVAE SPONSVM NESCIS QVAM GRATIA SACRI
FLAMINIS IRRADIAT COELO MARIS ANNVE SIDVS.
Nel terzo quadro, rappresentante il parto della Vergine, si vede l'angelo che parla ai pastori colle parole: ANNUTIO VOBIS GAUDIUM MAGNU, e vicino si vede un edificio su cui è scritto TABERNA MERITORIA e dal quale esce un rigagnolo, cioè il fons olei. I versi seguenti accompagnano il quadro:
IAM PVERVM IAM SVME PATER POST TEMPORA NATVM
ACCIPIMVS GENITVM TIBI QVEM NOS ESSE COEVVM
CREDIMVS HVNCQVE OLEI SCATVRIRE LIQVAMINA TIBRVM.
Sotto la quarta scena della Adorazione dei Magi leggesi:
GENTIBVS IGNOTVS STELLA DVCE NOSCITVR INFANS
IN PRAESEPE IACENS CAELI TERRAEQVE PROFVNDI
CONDITOR ATQVE MAGI MYRRAM THVS ACCIPIT AVRVM.
Sotto la quinta scena della Purificazione:
La sesta scena rappresenta la dormizione di Maria secondo il notissimo troppo bizantino: vi si vede il Salvatore che scende dal cielo e colle braccia raccoglie l'anima di Maria, ritratta a guisa di bambina avvolta in bianchissimo velo; mentre gli apostoli circondano la bara in cui giace il corpo. Seguono questi versi;
AD SVMMVM REGINA THRONVM DEFERTVR IN ALTVM
ANGELICIS PRAELATA CHORIS CVI FESTINAT IRE
FILIVS OCCVRRENS MATREM SVPER AETHRA PONIT.
p644 In questa scena, come osserva il De Rossi, è rappresentata la dormitio κοιμησις, che è distinta dalla μεταστασις translatio celebrata dai Greci.
Di fianco alla tribuna v'è una insigne cappella architettata dal Domenichino, in cui si venera una divota imagine di Maria che fu tolta nel secolo XVI da un viottolo del Trastevere detto strada cupa; denominazione che per ciò è rimasta a quella santa icone. In questa famosissima chiesa sono sepolti molti personaggi insigni per dignità, per nascita e per elevatezza d'ingegno. Ricorderò fra i primi il papa Innocenzo II, il cui corpo fu qui trasferito dal Laterano; i cardinali Silva, de Grassi, Altemps, Cecchini, Albergati e Ludovisi; Leonardo Condulmero fratello di Eugenio IV; Filippo ed Annibale Albani, zii di Clemente XI; Pietro Corradino, e gli artisti esimî Lanfranchi e Ciro Ferri. Ivi è pure sepolto •mons. Giovanni Bottari, insigne archeologo e letterato.
V'ha inoltre il grandioso epitaffio del card. Francesco Armellini-Medici, mio illustre antenato, opera fatta eseguire nel 1524 dal medesimo, la cui figura in marmo è scolpita giacente sopra l'urna sepolcrale. L'Armellini-Medici fu segretario di Giulio II e del sacro Collegio. Leone X il 1 luglio 1517 lo creò cardinale; fu legato pontificio nell'Umbria, nelle Marche ed in Francia, poi amministratore delle chiese di Oppido e Gerace nel 1524, e nello stesso anno fu promosso alla chiesa arcivescovile di Taranto. Nel sacco di Roma del 1527 perdè gran parte dei suoi beni, di che si afflisse in guisa che ne morì di dolore.a Il suo corpo giace inonorato in s. Maria in Traspontina. Clemente VII adoprò per suo riscatto i beni rimasti al cardinale, a cui, per la sua benemerenza verso la Chiesa, concesse a titolo d'onore la facoltà di aggiungere al suo casato quello dei Medici e di alzarne lo stemma. Benchè sontuoso, il suo vuoto sepolcro di s. Maria in Trastevere, di cui fu titolo, non ha gran pregio artistico.
Ecco il testo delle epigrafi che si leggono nel suo monumento:
FRANCISCVS ARMELLINVS MEDICES PERVSINVS TT. S. CALIXTI ET S. M. TRANSTIB. PRESB. CARD. S. R. E. CAMER. PICENI LEGAT. PERVSIE VMBRIEQ. PROLEGATVS AC GIRACE ET OPPIDEN EPVS AC TARENTI ARCHIEPVS LEONIS X ET CLEMENTIS VII PONT. MEDICOR. FRATR. MVNIFICENTIA FORTVNIS ET DIGNITATVM TITVLIS AVCTVS FLVXAM VITAE MORTALIVM IMBECILLITATEM ET RERVM INCERTAS VICES ANIMO INTVITVS NE NON PARATO DOMINVS SVPERVENIRET VIVENS ET VIGILANS DOMVM SIBI HANC MVNIVIT
AN. SAL. M D XXIIII
p645 dall'altra parte si legge:
Quasi dirimpetto a quello dell'Armellini, dalla parte opposta della crocera, v'ha il sepolcro del cardinale Stefaneschi degli Annibaldi della Molara, e di Filippo Alanzone, nipote di Carlo Valois, e di Filippo il Bello.
Sono da ricordare infine i depositi del celebre cardinale Stanislao Osio, morto nel 1579, e di Roberto Altemps, prefetto delle armi papali in Avignone sotto Sisto V, morto di 20 anni nel 1586. Egli fu il primo duca d'Altemps.
Presso la sacrestia, nell'andito che vi conduce, v'ha una modesta memoria del pio saccheggiatore dei cimiteri romani, Marcantonio Boldetti, il quale in questa chiesa fece trasportare moltissime lapidi cimiteriali delle catacombe romane, che poi furono in tempi successivi adoperate a lastrico della medesima e degli edifizî annessi. Negli ultimi restauri, la maggior parte di quelle preziose superstiti pietre cimiteriali fu murata nelle pareti del portico.
Quivi pure si ammira l'insigne monumento d'arte che è la custodiva degli oltreî, stupenda opera d'intaglio in marmo bianco, già tabernacolo della eucaristia. È opera di Mino da Fiesole, il celebre scultore che Pietro Barbo, poi Paolo III (1464‑1471), chiamò a Roma; nella base si legge: OPVS MINI.
Sull'altare della sacrestia v'ha un quadro della Vergine fra i santi Rocco e Sebastiano, lavoro attribuito al Perugino.
È deplorevole che la sacrestia di questa insigne basilica non si trovi, in fatto di bellezza, d'arte e di splendore, in armonia, colle monumentale chiesa a cui spetta. Sarebbe desiderabile che una mano generosa compiesse l'opera, e alla monumentale basilica del Trastevere, decorandone qual si conviene il secretarium, aggiungesse nuovo splendore, terminando così l'opera d'Innocenzo, di Gregorio e di Pio.
Ho accennato che nel portico si conservano molte pregevoli memorie ed epigrafi, parte profane, parte cristiane delle catacombe, e talune dell'età di mezzo. Fra queste tiene il primo posto l'epitaffio di Marèa, scoperto nel 1869 sotto il pavimento della chiesa, il cui testo però era già noto dalla silloge p646 palatina, in cui era stata fino dal secolo VIII trascritto allorchè l'epigrafe era ancora al suo posto. Il De Rossi, che ha dichiarato il prezioso marmo, ha dimostrato che l'elogio spetta ad un prete di nome Marèa, morto l'anno 555. Egli, durante il periodo disastroso della guerra gotica, tenne ferma l'autorità della Sede Apostolica facendo le veci del papa:
Si allude qui al tempo in cui Vigilio, partito da Roma per trattare la questione dei Tre Capitoli a Costantinopoli, avea spedito Valentino, vescovo di Selva Candida, come suo vicario in Roma, che però sorpreso dai Goti fu barbaramente mutilato. Il marmo testè scoperto in s. Maria c'insegna (e ciò la storia non ricordava) che a Valentino fu sostituito il prete Marèa, il quale frenò l'ira dei Goti e sollevò la pubblica miseria, sacrificando sè stesso a bene di tutti, vindice però della fede, poichè di lui in quell'elogio si dice anche:
TVQVE SACERDOTES DOCVISTI CHRISMATEº SANCTO
TANGERE BIS NVLLVM IVDICE POSSE DEO
parole le quali fanno supporre che in quei luttuosi giorni fosse insorta anche una questione simile a quella che agitò la Chiesa d'Africa ai tempi di Stefano e Cipriano.
Eccone il testo:
SI
STBASL INDC III.
Egli è chiamato vindice della Sede Apostolica, è celebrato inoltre come colui che tenne le veci del pontefice, che custodì la tradizione dei padri insegnando essere divino precetto non iterare il sacramento del crisma, e che meritò sedere nella cattedra p647 apostolica. . . . Nell'ultima linea, assai logora dall'attrito dei piedi, in lettere più minute si legge:
cioè all'anno 555 dell'èra nostra.
Il sepolcro di questo personaggio forse stava in alcuni degli oratorî esistenti nel cimitero di Priscilla e l'epitaffio fu trascritto dal nostro collettore. Morì l'anno stesso in cui si spegneva in Siracusa il papa Vigilio; Marea, insomma, governò Roma in nome del papa durante il decennio nel quale, assente il papa, la città fu più volte desolata dai barbari. L'epigrafe ci rivela che a quelle sciagure violente s'aggiunse anche il pericolo d'uno scisma promosso da alcuni che voleano iterare il sacramento, e represso da Marea; di che non era giunto fino a noi sentore.
La lapide di tanto uomo un secolo prima avea servito di sepolcro ad un personaggio morto nel 451, che era stato scriba senatus.
In un codice chigiano d'anonimo spagnuolo si legge un'epigrafe trascritta da quel viaggiatore en cima del altar maior en una tab. de mar. Il Terribilini la registrò nelle sue schede, donde la ebbe il Marini. Dal pavimento della chiesa sono ricomparsi i frammenti di quella epigrafe veduta nel secolo XVI dallo spagnuolo: è una iscrizione del secolo incirca settimo od ottavo contenente una donazione di case e fondi rustici alla basilica.
Gregorio III offrì alla medesima tre gabate d'oro purissimo, che erano dischi o piatti concavi, pendenti da catene, e in essi si leggeva: DE DONIS DEI ET SANCTAE MARIAE DOMNUS GREGORIUS PP. IIII QUI PURO CORDE OBTULIT III CARATAS SAXISCAS.
Narra il Terribilini che a suo tempo, fatto un cavo presso il portico di s. Maria, vi si rinvennero tre sarcofaghi fittili pieni di ossa, due sculture e la seguente epigrafe cristiana:
Il ricordo della patria nelle epigrafi cristiane è caso abbastanza raro, ed un altro esempio ce lo porge un marmo del cimitero di s. Valentino sulla via Flaminia, ove si legge d'una fanciulla Veneriosa quae nata est in civitate interamnatium (Terni).
p648 La chiesa è stata sempre parrocchiale, ed ho trovato in un documento vaticano che il 2 agosto del 1624 aveva sotto la sua giurisdizione 710 famiglie con 4341 anime.
Nell'archivio dei Brevi si conserva la lettera pontificia, ove fino dal 1592 si concede ai canonici di s. Maria: licentiam utendi rocchetto, e l'altra ostendendi reliquias populo in Dominica de Albis singulis annis et cum indulgentia, la quale fu accordata l'anno seguente 1593. Nel secolo XVI annesso alla basilica v'era un granaio, di che si fa menzione dalla dotta abbadessa di s. Cosimato, suor Orsola Formicini, che nella cronaca manoscritta di quel monastero ricorda quello stabile e dice che fu portato in dote nel 1537 da suor Portia de Micinelli.
Nel 594, ai giorni di s. Gregorio il Grande, fra i preti che sottoscrissero il sinodo tenuto dal papa, abbiamo quelli del titolo Iulii et Callisti, oggi chiesa di s. Maria in Trastevere: nei manoscritti del Severano nella biblioteca vallicelliana, ho trovato che ai suoi giorni nel Trastevere, oltre la chiesa di s. Callisto diceano esservi altra memoria del santo in una casa o torre di Trastevere.
Il titolo proprio di s. Callisto è ancora esistente, ed è posto nella regione trastiberina presso s. Maria in Trastevere, sotto la cura deiº monaci benedettini cassinesi che abitano il palazzo annesso. L'origine del titolo, al pari di quello di s. Bonosa, si deve alla casa ove si adunavano i cristiani nei secoli delle persecuzioni; dalla quale il santo, come si legge ne' suoi atti, fu precipitato e poscia sommerso in un pozzo, che ancora nella chiesa si venera. Leggiamo nel Libro pontificale che verso l'anno 740 il papa Gregorio III ricostrusse la chiesa, che era già fatiscente per la sua antichità, e la fece ornare di pitture, delle quali rimaneano tracce all'epoca del Severano, come questi accenna nel codice suddetto.
Allorchè il papa Paolo V per dare maggiore estensione al pontificio palazzo del Quirinale tolse ai Benedettini il monastero che ivi possedeano, dette loro in cambio quello di s. Callisto, che era stato il palazzo del card. Moroni, e che fu da lui riedificato insieme alla chiesa coi disegni di Orazio Torregiani. I dipinti che vi si vedono sono del Nucci.
Così chiamasi il piccolo oratorio presso la via del Cimitero (ora della Paglia) in Trastevere, uffiziato dalla confraternita detta dell'Addolorata e delle Anime Purganti, ove nell'ottavario dei defunti, secondo l'uso romano di questi ultimi secoli, si soleva rappresentare con figure in cera un qualche sacro avvenimento. Si chiama del Cimitero perchè v'è annesso l'antico cimitero della contigua basilica di s. Maria. La confraternita fu istituita nel 1564 da Giovanni Colli romano, famigliare del card. Morone. Lo zelantissimo don Francesco Forti, cappellano della confraternita, il 2 febbraio 1890 v'istituì la Pia Unione del ss. Rosario di Pompei. La veneratissima cappellina dell'Addolorata è a destra di chi entra.
Quest'oratorio fu edificato nel 1600, e fu restaurato nel 1877 dal card. Franchi, mercè la munificenza di Pio IX. Del santo pontefice e del cardinale protettore si vedono nella chiesolina gli stemmi dipinti a fresco, e la seguente lapide ne perpetua i nomi e il benefizio:
A destra entrando si legge quest'altra epigrafe, che ricorda gli speciali benefizî spirituali concessi da Leone XII alla piccola ma divota e popolare chiesolina:
È il titolo di una chiesolina posta nel vicolo del Piede, vicinissimo alla piazza di s. Maria, officiata dalla confraternita del ss. Sacramento. Rimase dal 1870, chiusa per diciotto anni; quindi, ristaurata ed ampliata, fu riaperta al culto il 10 marzo 1888. Sopra la porta, nell'interno, si legge una prolissa epigrafe scolpita in marmo, postavi dai confratelli nel 1705 a ricordare i benefizî e i privilegî coi quali Clemente XI, già primicerio e poi protettore della confraternita, decorò questa e l'altare del piccolo oratorio.
Viene ricordata fra quelle del Trastevere. Nel catalogo di Pio IV era non lungi dalla basilica di s. Maria. Sembra che anche questa chiesa fosse appellata de curte, benchè diversa dall'altra detta de curtium o de curtis. Nel catalogo di s. Pio V è detta s. Biagio delli Velli (sic), poichè era questo il nome della piazzetta sotto il colle di s. Pietro Montorio.
Sorge questa chiesa nell'area di un'altra assai più antica denominata s. Lorenzo in Ianiculo, ovvero de curte, come vuole il Lonigo. La chiesa odierna è situata nella omonima piazza presso s. Maria in Trastevere ai piedi del Gianicolo. Essendo fatiscente, il capitolo di s. Maria in Trastevere l'anno 1610 la concesse ad un pio e dovizioso macellaio, nominato Agostino Lancellotti, perchè la restaurasse. Questi, aiutato da generose offerta della principessa di Venafro, compiuto il restauro, mutuò denominazione alla chiesa, appellandola di s. Egidio, e vi chiamò nella casa annessa le monache carmelitane scalze, che istituì eredi di tutti i suoi averi. Quella chiesa però era nell'angolo del monastero e non nel luogo dove è la chiesa odierna; ma avendo le monache ottenuto un'altra chiesa ivi esistente e consacrata ai ss. Crispino e Crispiniano, fu demolita l'altra e riedificata questa l'anno 1630 da Filippo Colonna; allora venne pur dedicata alla Madonna del Carmelo. Contemporaneamente al Lancellotti, una Francesca Maggiotti donò tutti i suoi averi p651 al monastero e vestì l'abito monacale. Nella pianta del Bufalini, presso questa chiesa è ricordato un Palatium Micinae, che forse è il nome di quella celeberrima Dompna Micina (sic), da cui fino al 1210 s'intitolava un'intiera regione, chiamata regio curtis domnae Micinae, il qual nome è di origine assai antica, di guisa che in più d'una lapide delle catacombe romane si trova attribuito d'ordinario a fanciulle di piccola età.
La chiesa è ora dedicata alla Madonna del Carmine; infatti sul apta della medesima si legge:
Nell'interno vi sono tre altari: il maggiore è dedicato a s. Elia; il minore, a sinistra, a s. Egidio; il terzo, a destra, a s. Teresa.
Nello Stato temporale delle chiese di Roma l'anno 1662 trovo la seguente relazione:
"Questa chiesa e monastero delle Carmelitane è situato nel Trastevere sotto la parrocchia di s. Maria, fu fondata ad istanza dell'eccm̃a sig. Principessa di Venafro come appare per bolla della s. m. di papa Sisto V li 29 marzo 1611.
"Ha il campanile con distrutti campane. Ha tre altari.
"in questo monastero vi sono state prefisse dalle costituzioni dell'oratorio religiose n. 21, vi sono al presente n. 20 cioè coriste professe 15, coriste novizie, converse professe 3.
"Possiede censi, monti camerali, case che fruttano sc. 1433,26; uscita 570,75.
"Io sor Vittoria felice della Croce priora al presente in do mono affermo con mio giuramento."
È il titolo di una chiesolina, oggi profanata, che sorge nella piazza di s. Maria della Scala allato di questa chiesa, ove si raccoglieva una confraternita posta sotto il patrocinio del santo arcivescovo di Milano e della grande carmelitana.
Questa chiesa fu eretta sulla fine del secolo XVI, cioè nel 1592 dal cardinale di Como; nel 1597 venne affidata ai padri Carmelitani scalzi che tuttora la posseggono.
Trasse il nome da una divota imagine della Vergine, dipinta sulla scala d'una casupola del Trastevere, situata nell'area dove fu poi edificata la chiesa, nella quale l'imagine fu poi trasportata. Francesco da Volterra ne fu l'architetto. Ottavio Mascherino ne alzò la facciata, Matteo da Castello edificò il convento. Sulla porta della chiesa v'ha una statua di Maria col Bambino, opera di Silvio Valloni. L'interno è ad una sola nave. L'altar maggiore fu eretto con architettura del Rainaldi; preziosissimo ne è il tabernacolo ornato di pietre rare e di sedici colonnine di diaspro orientale. Le due statue di s. Giuseppe e s. Teresa poste sulle due porte del coro si attribuiscono al Bernini. In questa chiesa, che è titolo cardinalizio, si custodisce con somma venerazione un piede di s. Teresa. Gran parte del convento è oggi trasformato in quartiere per gli allievi-guardie di Pubblica Sicurezza!
Apparisce fra quelle dell'ultima partita nel catalogo di Torino; ed era ancora officiata e servita all'epoca del compilatore del catalogo, il quale nota che la suddetta ecclesia s. Silvestri habet unum sacerdotem.
Il Lonigo così ne parla: Questa chiesa molto antica anzi sono disfatta per fabbricarvi s. Dorotea.
È ricordata fra le chiese tassate dal papa Pio IV, e nel secolo XVI era chiamata s. Silvestro della Malva, ovvero ad portam.
Questa chiesa, che l'anonimo di Torino annovera fra le ultime della terza partita, credo fosse situata presso la porta Settimiana: Ecclesia sancti Ioannis de Porta habet unum sacerdotem. Il Martinelli di questa chiesa non fa menzione alcuna.
Oggi è chiamata s. Giacomo alla Lungara perchè sta lungo la via di questo nome. Si disse in Settignano per essere prossima alla porta Settimiana. L'annesso monastero fu eretto da s. Carlo Borromeo, che lo aveva fondato vicino alla Minerva sotto Pio IV, per le donne di mala vita venute a penitenza. Si attribuisce alla chiesa un'origine assai antica, poichè si fa risalire fino all'epoca di Leone IV. Nella biografia di s. Francesca romana si narra che presso la medesima operò la santa donna un prodigio, risanando istantaneamente una povera inferma chiamata Angiolella. Un secolo avvenimento memorabile accadde presso s. Giacomo, ed è la zuffa fra le genti di Paolo Orsini con quelle di re Ladislao sotto Gregorio XII. Il Martinelli riferisce un'epigrafe dell'anno 1227, ivi esistente, ma poscia smarrita, la quale si riferiva alla famiglia De Stefani. Il codice di Torino l'annovera fra quelle della terza partita e la chiama s. Iacobo (de Settignano) habet fratres Silvestrinos xx. Innocenzo III unì la chiesa alla basilica vaticana dichiarandola filiale; Innocenzo IV la concedette ai monaci silvestrini; Giulio II di nuovo la dichiarò filiale della vaticana, il capitolo della quale l'anno 1620 l'affidò ai minori francescani per sovvenzione dietro musici della detta basilica. Rimossi di là i frati, fu concessa alle monache penitenti suddette, per le quali il card. Francesco Barberini riedificò dai fondamenti la chiesa e il monastero. Il monastero è stato recentemente distrutto, la chiesa chiusa e minacciata di demolizione, a cui probabilmente dovrà soggiacere. Presso la chiesa v'è la torre campanaria del secolo XIV.
È situata nella via della Lungara, e dicesi volgarmente delle scalette, perchè due rampe di scale menano alla porta della chiesa e dell'annesso monastero.
Il conservatorio attiguo fu fondato nel 1615 dal p. Domenico di Gesù Maria dei carmelitani scalzi per togliere dal peccato le donne di vita disonesta.
p654 Baldassarre Peruzzi aiutò l'opera del pio religioso. La chiesa fu fabbricata a spese del duca di Baviera e del card. Antonio Barberini, fratello di Urbano VIII. Essendo card. vicaro l'Odescalchi, la direzione dell'istituto fu affidata nel 1839 alle Dame di Carità del Buon Pastore d'Angers, da cui prese il nome volgare la chiesa medesima.
Questa però è dedicata alla s. Croce e fu edificata nel 1619. Sull'altar maggiore vi era il quadro di Gesù che porta la croce il quale fu sostituito da altro col ss. Crocifisso.
Oggi nell'annesso locale vengono carcerate le donne criminose.
Questa divota chiesuola di stile gotico sorge nella villa Lante sulla pendice del Gianicolo, in fondo alla via di s. Francesco di Sales, e fu edificata sulla pianta tracciata da due religiose dell'istituto del sacro Cuore ivi residente. Ne diresse la fabbrica il capomastro Girolamo Vantaggi, il quale, in cambio della retribuzione che gli spettava, volle che in essa s'istituisse una cappellania in suffragio dell'anima sua. Il card. Costantino Patrizi, vicario di Gregorio XVI, la consacrò il dì 7 luglio 1843. Ha tre altari: i due laterali sono dedicati l'uno alla Vergine Addolorata, l'altro a s. Giuseppe; il maggiore, al sacro Cuore. I quadri rappresentanti questi soggetti sono opera degli scolari del Gagliardi, il quale ne invigilò l'esecuzione.
Cotesta chiesuola, la cui architettura fu non a toro censurata, ha il vanto di essere la prima consacrata in Roma al sacro Cuore di Gesù.
Anche questa chiesa è posta presso la via della Lungara, nella strada detta di s. Francesco di Sales. Clemente IX ivi la fondò con monastero per le monache della Visitazione istituite da s. Giovanna Ma Francesca Fremiot di Chantal. Clemente X aggiunse nuovi sussidî all'opera, coadiuvato anche dalla generosità del principe Borghese. Le vicende però della fine del secolo passato obbligarono le monache a partirsi di là e furono traslocate nell'altro monastero dell'Umiltà alle falde del Quirinale. Il quadro dell'altar maggiore era di Carlo Cesi; e ivi si ammirava un quadro di Guido Reni rappresentante il Transito di s. Giuseppe.
p655 Nell'altare a destra v'era una statua di s. Francesco di Sales, opera di Francesco Moretti. Questa chiesa fu pur detta della Madonna Addolorata. Vi erano nell'annesso monastero, fino a pochi anni fa, le religiose dell'ordine dei pp. Serviti, dette Serve di Maria.
Dopo il 1870 chiesa e monastero furono profanati e tramutati in ufficî per la Direzione della Colonia penale di Roma! Nella chiesa si sono innalzati muri divisorî, lasciando però intatta e scoperta la volta, ove si osserva un affinchè in cui campeggia il sacro Cuore di Gesù.
Questa chiesa era lungo la via della Lungara, e coll'annesso monastero fu edificata dalla moglie di Taddeo Barberini, Anna Colonna, nell'anno 1654. Il monastero annesso delle carmelitane è stato dopo il 1870 trasformato in carcere giudiziario e la chiesa in questi giorni distrutta. Di questa fu architetto il Contini.
La principessa fondatrice qui morì, e fu sepolta nella sua chies; sulla sua tomba fu eretto un ricco monumento decorato di marmo nero antico e sormontato dal busto di lei in bronzo dorato.
Sull'altar maggiore v'era un ricco ciborio costruito di pietre preziose di altissimo pregio, dono della nominata principessa. Le religiose di questo monastero si chiamavano di Regina Coeli, perchè nella loro regola era stabilito che fossero obbligate di recitare oggi quattro ore l'antifona Regina Coeli al segno dato dalla campana.
Nel vicolo delle Mantellate presso la Lungara sorge questa divota cappellina ove si raccoglievano a pregare pie adunanze di giovane dette di Muccioli, che fu uno dei più santi preti del clero romano nei tempi moderni. La chiesina sorge entro un giardino, in cui egli invitava i giovani nei giorni festivi a ricrearsi onestamente. Oggi vi è la scuola catechistica detta di s. Giuseppe.
Fu eretta nel pontificato di Clemente XIII l'anno 1732, coi disegni di Giuseppe Ludovico Rusconi Sassi. Contribuì alle spese la peita di mons. Carlo Masetti canonico vaticano. Sull' p656 altar maggiore v'è un quadro del Brigiotti rappresentante il Sogno di s. Giuseppe, nelle altre due cappelle i dipinti sono di Niccolò Ricciolino e di Girolamo Pesci. È officiata da alcuni padri dell'ordine de' Pii Operai.
Sulla porta della chiesa si legge l'epigrafe:
Su quella dell'annesso convento:
D. O. M. DOMVM HANC PIORVM OPERARIORVM CLEMENTIS PP. XIII PIETAS A FVNDAMENTIS EREXIT ANNO MDCCLXIIII.
Era situata presso porta Settimiana nel Trastevere. Sorgeva quasi dirimpetto al palazzo Salviati alla Lungara, oggi collegio militare, vicino al porto Leonino, ora ponte di Ferro.
Presso quella chiesa discese un giorno s. Francesca Romana in riva al fiume con Vannozza onde dissetarsi; ambedue caddero nell'acqua, ma miracolosamente furono salve. In un'edicolo che era in un orto attiguo alla chiesa fu dipinto l'avvenimento.
Il Bruzio dice che la chiesa era dei padri eremiti Camaldolesi, ed i fedeli fino ai suoi giorni ivi accorrevano per ottenere alcune corone di tre imposte, dette del Signore, che da essi padri sono dispensate.
In origine diceasi de ponte o monte grandinato, denominazione che si riferisce forse alla scale che conduceva al vortice del colle, dove è ora s. Onofrio. Nei regesti di Gregorio IX negli archivî della s. Sede, v'ha il seguente documento dell'anno 1240 che alla suddetta chiesa si riferisce, dal quale risulta quanto antica fosse la medesima:
"Quia inter holocausta virtutum illud Deo acceptabilius creditur, quod Altissimo de pinguedine caritatis offertur, hospitali vestro eo fortius providere nos convenit, quo inibi multa elemosinarum effusione, egenorum necessitatibus liberalius subvenitur. Hinc est quod nos ecclesiam sancti Leonardi p657 de ponte grandinato cum iuribus et pertinentiis suis hospitali eidem primo vetibus illuc confluentium pauperum perpetuis temporibus concedimus, dilecto filio . . primicerio urbis ipsius ecclesie rectore cedente vel decedente predicti hospitalis usibus applicandam vobisque tunc possessionem ipsius ingredi auctoritate propria valeatis presentibus indulgemus. Salva congrua sustentatione vicario in ea pro tempore domino servituro. Nulli ergo nostre concessionis etc. Datum Laterani V kal. decembris anno XIII."
Questa chiesuola, nota per le storiche illustrazioni del Thomas, e presso la quale avea luogo durante l'ottavario dei morti lo spettacolo divoto della rappresentazione, si trova entro il cimitero dell'ospedale di s. Spirito nella via del Gianicolo. Fu eretta da Benedetto XIV sotto l'invocazione del ss. Rosario ed è ufficiata dalla Pia Unione omonima addetta al medesimo cimitero.
L'atrio e le altre fabbriche si architettarono dal Fuga. La macchina del Rosario è opera del Bernini.
Anche questa chiesuola, coll'unito cimitero, sta per isparire, vittima del piccone demolitore; poichè la nuova amministrazione del manicomio ne ha fatto acquisto per trasportarvi l'ospedale dei pazzi. Per ora non si turberanno le tombe esistenti nel piccolo pomerio, ma anch'esse spariranno quando la passeggiata gianicolense sarà giunta fino a quel punto; e allora i resti mortali ivi giacenti saranno trasportati a Campo Verano. Rimarrà, dicesi, la sola cappella del Crocifisso posta nel cortile delle centocinque sepolture.
Questa divotissima cappellina ha un solo altare, ed è posta, come dicemmo qui sopo parlando di s. Maria del Rosario, nel gran cortile detto volgarmente delle centocinque sepolture, perchè tante appunto sono le tombe ivi esistenti. Se, come si dice, sarà sottratta alla distruzione che la minaccia, questa cappella verrà adibita pel servizio religioso del nuovo manicomio. Nell'interno si leggono due alpi: una di Pio VII, l'altra di Pio IX. Il Fuga ne fu l'architetto.
Nell'anno 1425 il b. Pietro Gambacorta da Pisa, fondatore degli eremiti di s. Girolamo, venne in Roma pellegrinando a visitare le memorie degli Apostoli. Giunto in questa città, strinse amicizia con altro venerando eremita, chiamato Niccolò da Forca Palena, di cui era oriundo, contado nella diocesi di Sulmona; il quale si ascrisse alla sua congregazione affidandogli gli eremitaggi che erano da lui diretti. L'anno 1435 ai 12 di giugno morì in Venezia il b. Pietro, dopo aver fondato monasteri in Pesaro, Urbino, Fano, Rimini, Venezia, Padova, Ferrara. Il b. Niccolò avea passato i primi anni della sua dimora in Roma in un eremitaggio presso la chiesa di s. Salvatore in Thermis, ove si era posto all'obbedienza di un eremita che ivi dimorava, chiamato frà Rainaldo Piedemonte. Trovando però, dopo la morte di frà Rainaldo, che la dimora in s. Salvatore era troppo rumorosa, cercò un luogo di maggior silenzio, e circa il 1434 si portò su quella parte del monte Gianicolo che si dicea monte Ventoso; quivi, comprata una vigna, fabbricò la chiesa di s. Onofrio con un piccolo convento per sè e per i suoi compagni.
Terminati i lavori, egli fece istanza ai pp. Eremiti della congregazione di Pisa dimorante in s. Sebastiano di Venezia, perchè si unissero con lui su quel ritiro del Gianicolo. Eugenio IV diresse a detto Niccolò una bolla in data 4 ottobre 1437 in cui approvava la sua fondazione, sovvenendola di elemosine, alle quali si aggiunsero pur quelle della nobile famiglia romana dei De Cupis. Leone X dichiarò diaconia cardinalizia quella chiesa p659 e Sisto V presbiterale; per essere poi l'accesso alla chiesa scosceso e dirupato, questo papa vi aprì una strada meno disagevole, chiamato ora la Salita di s. Onofrio. Dalla altura si gode uno dei più splendidi panorami della città eterna. La chiesa è preceduta da un piccolo portico, nelle cui lunette il Domenichino dipinse a fresco alcuni episodî della vita di s. Girolamo, affreschi disfatti però dall'umidità. Sotto il medesimo portico v'ha una cappelletta dedicata a Maria ss. del Rosario, ove si ammira un quadro del celebre Bassano, che vi effigiò la nascita del Redentore; ivi è il sepolcro del b. fondatore dell'ordine, morto nel 1449. La chiesa è ad una sola nave con due cappelle per lato: la prima a destra, entrando, è dedicata a s. Onofrio ed è tutta ricoperta di pitture di antica scuola. Nella seconda, il quadro dell'altare rappresentante la Madonna di Loreto fu eseguito da Annibale Caracci. L'altar maggiore fu dipinto da Baldassarre Peruzzi dalla cornice in giù, e nella parte superiore da Bernardino Pinturicchio, pitture guaste da ignoranti ritocchi.
Qui fu sepolto l'immortale Torquato Tasso, cui Pio IX di sa. me. innalzò un suntuoso mausoleo. Nel prossimo convento egli cessò di vivere e vi si vede ancor la sua stanza, qualche manoscritto ed alcuni oggetti di suo uso.
Ai tempi nostri vi fu deposto il meraviglioso poliglotta card. Mezzofanti, del cui corpo ai 20 marzo del 1889 si fece la ricognizione: aperta la cassa plumbea, se ne trovò un'altra d'abete, e dentro questa, quasi perfettamente conservato, massime il capo, il cadavere del Mezzofanti. Qui pure furono sepolti Giovanni Barclay, il celebre letterato scozzese, Alessandro Guidi lirico italiano, e il celebre pittore Bernardo Celentano. Non a torto perciò questa chiesa fu definita una piccola Santa-Croce. In essa, oltre i lavori artistici già ricordati, se ne vedono altri del Baglioni, del Ricci, del Pesci, del Trevisani, del Balbi e del Fabris.
Nel chiostro, fra l'altre cose degne d'esser vedute, sono le storie di s. Onofrio dipinte dal cav. d'Arpino, il busto di Barclay, e la figura del Tasso dipinta a fresco dal Balbi nella camera stessa ove cessò di vivere l'immortale cantore della Gerusalemme liberata, del quale si osserva pure la maschera fatta sul suo volto il 25 aprile 1595. Nell'orto adiacente, che ora fa parte della passeggiata del Gianicolo, si scorge la famosa quercia, ripullulata sull'antica atterrata da un fulmine, al rezzo della quale godeva riposarsi il Cigno di Sorrento, e dove s. Filippo Neri recava ad onesta ricreazione i giovanetti romani.
p660 Al presente, nel chiostro mezzo espropriato per la detta passeggiata, non dimorano che tre o quattro padri girolamini, ai quali spetta la custodia e l'ufficiatura della chiesa.
Tra le chiese del catalogo dell'Anonimo di Torino, nella serie dell'ultima partita abbiamo ecclesia s. Petri montis aureai (quae) habet fratres ordinis s. Petri de Morrone VIII. Vi era annesso un monastero abitato nel secolo XIV dai monaci celestini. Dal Nibby e da altri è stato creduto che in origine fosse stata detta ecclesia s. Angeli; ma ciò è manifesto errore, perchè nel codice anzidetto di Torino ambedue le chiese gianicolensi sono con precisione distinte. Il Panciroli pretende che sia di origine costantiniana, ma veramente le ragioni che egli adduce non pesano troppo. Della chiesa si fa menzione fino del secolo IX da Agnello nel Libro pontificale di Ravenna.
Nel secolo XV si favoleggiò fosse quivi stato crocifisso l'apostolo Pietro; opinione cui non deve concedersi neppure l'onore della discussione, come quella che non ha nemmeno il pregio dell'antichità; solo un archeologia scema di critica può sostenerla.b
La tarda favoletta fu tuttavia feconda di felici conseguenze, poichè ad essa dobbiamo la gemma architettonica del Bramante, ossia il tempietto circolare edificato nell'atrio annesso alla chiesa, ove appunto si mostra il sito della crocifissione suddetta e persino il foro in cui fu piantata la croce dell'Apostolo!
L'antico monastero annesso appartenne alle venti principali abazie di Roma: dopo un abbandono secolare fu conceduto ai frati minori, in grazia dei quali il re cattolico Ferdinando IV ed Elisabetta sua moglie riedificarono la chiesa coi disegni di Baccio Pintelli. Sisto V la dichiarò titolo di cardinale e nel 1605 fino al III re di Spagna vi aprì innanzi una piazza, cingendo con grosse mura una parte del colle che minacciava ruina. La chiesa è ricca di opere d'arte e di memorie storiche: vi si ammirano dipinti e sculture di frà Sebastiano del Piombo, di Giorgio Vasari, di Bartolomeo Ammannato, di Daniele di Volterra. Ivi fu sepolta, benchè niuna epigrafe ne indichi il sito, la povera Beatrice Cenci.
L'area per la riedificazione della chiesa e del convento fu concessa da Sisto IV con su bolla del 18 giugno 1472 al p. Amedeo spagnuolo e ai suoi religiosi chiamati amadeisti.
p661 Nel convento si conserva la seguente epigrafe:
D O M
CVM PIVM SIT DILECTISSIMI FRATRES PRIMO VITA FVNCTIS DEVM PRECARI ET BENE DE NOBIS MERITIS ORATIONVM NOSTRARVM DEBITAS VICES REDDENDO . OFFICIVM GRATITVDINIS PRÆSTARE: EX NOSTRO GENERALI CAPITVLO STATVTVM EST: QVONIAM SERENISSIMI . ET CATHOLICI REGES HISPANIARVM FERDINANDVS ET HELISABETH EIVS VXOR DVM VIVERENT, DIVI PETRI TEMPLVM APOSTOLORVM PRINCIPIS IN MONTE AVRE FVDAMENTIS EXTRVXERVNT: ET POST MORTEM REGINÆ PRÆFATVS REX FERDINANDV PRIMO RELIQVA ÆDIFICATIONE SINGVLIS ANNIS MONASTERIO MVLT EROGAVIT ET QVOTIDIE EROGAT: VT FRATRES IBIDEM SACRA PERAGENTES: PRO REGIBVS HISPANIARVM TAM VIVENTIBVS, QVAM SEPVLTIS, DEV SVPPLICITER ORENT IN MISSIS OMNIBVS VESPERISQVE, ET MATVTINIS, ET IN FINE CVIVSLIBET VLTIMÆ COLLECTÆ, ANTE PER DOMINV NOSTRV DICANT HAEC VERBA:
ET FAMVLOS TVOS . SVMMVM PONTIFICEM N . REGEM . REGINAM . ET PRINCIPEM CATHOLICOS CVM PROLE REGIA . ET NOS AB OMNI ADVERSITATE CVSTODI . PER DOMINVM NOSTRVM .
ATQVE PRIMO DEFVNCTA REGINA HELISABETH.
FIAT ANNIVERSARIVM SEXTA FERIA CVIVSLIBET MENSIS PRIMV OCCVRRET PER TOTVM ANNVM CVM MISSA SOLEMNI IN CANTV . SVBINDE DICENDO
REQVIEM ÆTERNAM DONA EI DOMINE CVM COLLECTA
QVÆSVMVS DOMINE PRO TVA PIETATE MISERERE ANIMÆ FAMVLÆ TVÆ HELISABETH REGINÆ ET A CONTAGIIS MORTALITATIS EXVTAM . IN ÆTERNAE SALVATIONIS PARTE RESTITVE PER DOMINVM NOSTRVM IESVM XPM: ORIGINALE SERVATVR IN ARCHIVO SANCTI IACOBI HISPANORVM DE VRBE
Antichissima è questa chiesuola, già parrocchiale. Sorgeva sulla sommità del Gianicolo presso la chiesa di s. Pietro in mica aure (s. Pietro Montorio): l'Anonimo di Torino la pone fra quelle della terza partita, e dice che avea un sacerdote ufficiante: Ecclesia s. Angeli in Ianiculo habet unum sacerdotem.
Se ne ha notizia fino dall'anno 1191 in un contratto di vendita che si conservava nell'archivio di s. Cosimato, nel quale si leggeva: "Ferragutus vendit Raynaldo mediam petiam vineae p662 positam in Marcelli a primo latere tenet ecclesia s. Laurentii de Ianiculo ecc. Anno IV Clem. III. pp. ad IX mensis ianuarii die 27.: Il Martinelli crede che la chiesa fosse appellata anche de turribus; infatti fra le chiese del Trastevere è nominata nella tassa di Pio IV. Il Mazocchi narra che presso libro cimitero degli ebrei, sotto il Gianicolo, si vedeva un avanzo di chiesa coll'imagine di s. Lorenzo sulla craticola. Scrive il Lonigo che ai suoi tempi se ne vedevano i resti e gli avanzi, e che da pochi anni era stata distrutta per la fabbrica del monastero di s. Egidio. È ricordata nella biografia di Gregorio III (a. 731‑741).
Sulla vetta di questo storico colle trovo dedicata fin dal secolo VIII una chiesa anche ai martiri Giovanni e Paolo, come risulta dal codice di Einsiedeln; ma ignoro in qual punto preciso del Gianicolo sorgesse, da chi fosse edificata e quando distrutta o trasformata.
Sulla cordonata per la quale si ascendeva dalla Salita di s. Pietro Montorio alla piazza omonima, rimanea fino a pochi anni indietro questa chiesolina dedicata a s. Antonio di Padova. Sulla fronte della fabbrica si leggevano le parole: VOTVM FECIT — GRATIAM ACCEPIT.
Aveva un solo altare. Fu demolita nel 1878, allorchè il governo di Spagna pose mano alla fabbrica del palazzo dell'Accademia. Il quadro che era sull'altar maggiore fu trasferito nella vicina chiesa di s. Pietro in Montorio, sopra un nuovo altare posto nel corridoio che separa la chiesa dal cortile al tempietto di Bramante.
Questa chiesa, con l'annesso monastero di monache agostiniane, è posta alle falde del colle di s. Pietro Montorio.
Fu edificata nel 1652 da Camilla Farnese duchessa di Salerno. Il disegno capricciosissimo è del Borromini, ma la facciata p663 non è compiuta. Nell'interno vi sono tre altari: nel maggiore è dipinto Cristo morto, opera del Cicognani: il s. Agostino in uno dei laterali è del Maratta: nel terzo è l'Annunziazione.
La chiesa che è dedicata a questi santi è comunemente conosciuta col intitolato di s. Pasquale. È posta lungo la strada che conduce a s. Francesco a Ripa in Trastevere, e fu riedificata nel luogo stesso ove anticamente era stata eretta da Callisto II nel 1122. Fu restaurata nel 1608 dall'arciconfraternita del Gonfalone, poi nel 1744 fu riedificata dai padri minori Scalzi della Riforma di s. Pietro d'Alcantara, intitolandola ai ss. Quaranta martiri ed a s. Pasquale Baylon.
Il catalogo di Torino annovera la nostra fra le chiese della terza partita e scrive: Ecclesia sanctorum Quadraginta habet unum sacerdotem. Aveva annesso un ospedale, di cui si fa menzione fino ai tempi di Alessandro VI.
Questo convento insomma, coll'annesso ospizio, fu fondato dalle provincie dei Francescani Scalzi di Spagna ed India, previo il consenso della congregazione dei Vescovi e Regolari accordato con rescritto 16 dicembre 1735.
Si comprò per 2032 scudi romani un antico ospedale con un orto ed una piccola chiesa dedicata ai ss. Quaranta di Sebaste. Poi ai 24 luglio 1736 compraronsi altre case con orto limitrofo alla precedente chiesa dall'abate spagnolo don Giovanni de Herrera al prezzo di 1614 scudi. Su queste edificarono l'attuale convento e chiesa, impiegando quattordici anni in detta edificazione. Clemente XII concesse un breve in cui si dichiara che la surriferita fondazione appartiene solo alle provincie degli Scalzi di Spagna, comprese le provincie delle Indie spagnuole.
Poi fu posta sotto la Corona di Spagna con reale decreto di Filippo V dato En buon retiro 23 dicembre 1738, confermato con altro decreto di Isabella II ai 20 agosto 1856. Vi risiede la Commissaria apostolica dei Francescani spagnuoli.
La chiesa è architettura di Giuseppe Sordi.
È l'antichissima chiesa del Trastevere più comunemente nota col nome di s. Cosimato a piè del Gianicolo, dall'arena fulva e giallastra del quale prese la denominazione di mica aurea, nome che ritiene anche oggi la collina detta mons aureus, montorio. L'area sulla quale sorge la chiesa corrisponde all'antico Campus Brutianus dei regionarî.
L'origine dì questa chiesa e dell'abazia che vi fu annessa risale probabilmente al secolo X e forse si dee ascrivere, come tante altre, al periodo della tirannide di Alberico e di Crescenzio. Certo era fra le abazie romane, e così è ricordato, da Pietro Mallio canonico di s. Pietro nel libro indirizzato ad Alessandro III papa dopo l'anno 1160: intra urbe Ravennatium scilicet transtiberim est abbatia ss. Cosmae et Damiani in vico aureo. Le notizie più diffuse e precise della chiesa e del monastero le abbiamo però in una storia manoscritta che ha per titolo: Cronaca di suor Orsola Formicini, della quale uno degli esemplari si conserva oggi nella biblioteca del Collegio romano, ed secolo nella Vaticana; cronaca compilata nel 1607 dalla suddetta Formicini, che fu abadessa di detto monastero nel 1598.
Da quella cronaca impariamo che per lungo tempo dimorarono nell'abazia i monaci Benedettini e vi rimasero sino all'anno 1234, essendone abate un don Reginaldo; ma nel mese di settembre dell'anno detto passò alle monache chiamate le recluse di s. Damiano che ne sono ancora in possesso. Fra gli abati più celebrati di quest'abazia, suor Orsola ricorda un cotale Bobo, che l'anno 1177 acquistò un fondo in un luogo del Trastevere detto Canapino.
Da un documento dell'anno 1195 sotto il pontificato d'Innocenzo III, abbiamo che un altro abate donò in enfiteusi a terza generazione la vigna annessa al monastero medesimo, che in quel documento dicesi positam in cavone iuxta viam et stratam. Il monastero, oltre l'abazia, possedeva anche l'ospedale ove dimorò s. Francesco d'Assisi; avea soggette le abazie di s. Maria de Capranica, s. Maria de Farneto, s. Paolo, s. Andrea, s. Pietro, s. Filippo, s. Iacobo in Turri, s. Cornelio, s. Crispolto, tutte situate fuori di Roma.
p665 Insomma ricchissimo era questo monastero che possedeva vigne, oliveti, saline e castelli. Da una pietra, così la cronaca di suor Orsola, che stava nello scalino dell'altare, risulta che la chiesa in origine era dove è oggi il refettorio del convento. Dalla predella dell'altare la dotta abadessa ricopiò inoltre la epigrafe seguente, che è dell'anno 1066:
PRESVL ALEXANDER ROMANE SEDIS IN ARCE
RITE SECVNDVS ERAT PRECIBVSQVE FLEXVS HONESTIS
PATRIS ODIMVNDI RECTORIS TVNC DOMVS HVIVS
HANC TERNIS AVCTA SACRAVIT SEDIBVS AVLA
ANNORVM DNI CICLVS MILLESIMVS IBAT
SEXAGINTA SIMVL SEX DVCENS ANNOS VOVEBAT TERNOS INDICTIONE RQVIA (sic) CVRSVS
MENSE NOVEMBRE DIES TERQVINTOS FORTE GERENTEM
AD HONOREM SPECIALITER VESTRORVM INCLYTI MARTYRES
SCI COSME ET DAMIANI DICATA EST VOBIS BASILICA
ET COMVNITER CVNCTORVM QVORVM VEL SACRA HIC
RECONDANTVR PIGNORA VEL SVBNOTATA NOMINA
RECENSENTVR SCILICET SANCTISSIME DEI GENITRICIS AC
VIRGINIS MARIE SANCTORVM COSME ET DAMIANI
SCI BENEDICTI AC EMERENTIANE
Suor Orsola, fra gli abati del monastero, nota un cotale Falco o Falcone, che nel 1076 fu eletto cardinale di santa Chiesa. Nel secolo XVI la vigna annessa al monastero dicevasi della botte, come trovo in un documento dell'epoca in cui è scritto: si chiamava la vigna della botte per starvi ivi una botte de marmore piena de acqua, si bè ora l'acqua ciè tolta. Nel 1475 Sisto IV riedificò dai fondamenti la chiesa, come apparisce dalla iscrizione che leggesi sull'architrave della porta; posteriormente è stata più volte restaurata. Era preceduta da un atrio, al mente fu sostituito un cortile ornato di una fonte costruita l'anno 1731. Nel catalogo di Torino comparisce fra quelle della terza partita e vi si dice che habet moniales xxxv et sunt ordinis s. Clare, habet etiam fratres minores ii.
Per i lavori del collettore delle acque urbane sulla sponda destra del Tevere, vicino a s. Cosimato si scoprì un lastrone colla seguente scritta:
FELES ET VICTORINAE IVE
SE BIBI FECERVNT MICAVREA DEPo
SITA IN PACE MESE AVGVSTO
Mica aurea appartenevasi in Roma una sala da pranzo (coenobio) fatta da Domiziano nella regione celimontana, ma anche p666 un luogo nel Trastevere. Nell'Anonimo d'Einsiedeln che ai tempi Carlo Magno descrisse da una carta topografica di Roma i suoi monumenti, si nomina in questa regione la Mica aurea. Il ch. prof. Gatti dice che un luogo collocato presso il Gianicolo nelle adiacenze di s. Crisogono e due chiese del medio evo, cioè s. Giovanni della Malva e s. Cosimato, ne mantennero il nome. Anche la Graphia urbis Romae compiuta nel secolo XIII registra nel cap. VIII — palatium Domitiani in Transtiberim ad Micam auream. In una bolla di Bonifacio IX troviamo anche s. Giovanni de Mica aurea del 1395; e l'odierno nome della Malva è corruttela di mica aurea. Conchiude il Gatti che quest'appellazione fu propria non di un edificio, ma delle zone sottoposte al Gianicolo ad oriente; e dall'epigrafe scoperta risulta che vi era un cimitero cristiano detto Mica aurea presso la chiesa dei ss. Cosma e Damiano; il che non toglie che anche il gruppo di edificî dei ss. Cosma e Damiano fosse detto Mica aurea. L'epigrafe è del secolo VI.
Dalla sunnominata Cronaca di suor Orsola, apparisce che vicino a s. Cosimato v'era anche una chiesa dedicata a s. Niccolò: ed infatti di questa si fa menzione in una bolla di Giovanni XVII (a. 998) ai monaci benedettini del monastero di s. Cosimato.
Sorgeva nell'area dell'odierna chiesa e convento di s. Francesco a Ripa; ivi era un antico ospedale governato dai monaci benedettini detto s. Biagio de Hospitale.
In questo, circa l'anno 1219, fu ricevuto s. Francesco d'Assisi, che dieci anni dopo l'ottenne da Gregorio X per i suoi frati. Nel 1231 l'ospedale fu cambiato in convento e la chiesa riedificata colle elemosine di Rodolfo conte dell'Anguillara, della celebre famiglia di cui rimane ancora nel Trastevere il palazzo e la torre. In quel luogo i frati minori ebbero in Roma la loro prima sede.
Ecco la relazione fattane nel 1662 che trovo nello Stato temporale più volte citato:
"La chiesa e monastero di s. Francesco a Ripa dell'ordine de Minori Obs. reg. fu fondata in tempo di Gregorio IX l'anno 1229 3o del suo pontificato come per breve in Pergamena a 23 di luglio. La chiesa ha il choro ove giorno e notte si celebrano i divini officii, campanile piccolo con 2 campane. Ha cappelle 7, altari 7, sepolture 30 e cemeterio e una cappella di s. Francesco. Vi sono sacerdoti n. 30, chierici n. 8, laici n. 48.
"Io fra Giacomo da Cantalupo Guardiano."
La chiesa è a tre navi con quattro cappelle per parte. Nella cappella appartenente ai signori Mattei v'ha un quadro d'Annibale Caracci rappresentante Cristo morto sulle ginocchia della Madre; nell'ultima cappella che è degli Albertoni, oggi Altieri, v'ha il quadro del Baciccio rappresentante s. Anna colla Madonna e il suo divin figliuolo. V'ha pure la statua della b. Ludovica Albertoni del Bernini. Nel convento si venera la camera abitata da s. Francesco, che il card. Montalto ridusse con molta divozione, ma con poco criterio a cappella. Il chiostro è ora divenuto una caserma militare. Povera Roma! Misera Italia! — Vedi S. Biagio de Hospitale.
Secondo il catalogo di Niccolò Signorili, sembrerebbe che la chiesa fosse situata nel Trastevere, poichè egli la ricorda fra s. Francesco e s. Cecilia.
Precisamente presso l'ospedale suddetto di s. Cecilia, il catalogo di Torino pone una ecclesia s. Laurentii de porta (quae) non habet servitorem; e poichè poco sotto ricorda la chiesa dei ss. Ciro e Giovanni extra portam, cioè la portuense, m'induco a credere che si tratti della porta Portuense, presso la quale dovea esistere appunto la nostra chiesa di s. Lorenzo.
Sorge questa chiesolina presso la riva del fiume, non lungi da s. Cecilia, ove erano le abitazioni dei navicellai del Tevere, ai quali essa apparteneva. Fu chiamata così da una torre di Leone IV, che nel secolo XVI esisteva ancora presso la sponda del fiume. fr13 la concesse ai chierici della Dottrina cristiana con bolla degli 11 febbraio del 1578, con tutti i beni e giurisdizioni che possedeva. Sta dirimpetto all'antica dogana di Ripa, e sotto Alessandro VII per ogni barca che approdava in quel luogo si pagava alla chiesa un datio d'un giulio l'anno.
La chiesetta tuttora esistente e rimane ora congiunta all'ospizio apostolico di s. Michele; viene chiamata oggi dai marinari s. Maria del Buon Viaggio.
Eccone la relazione che tolgo dello Stato temporale delle chiese di Roma:
"Concessa alli chierici della congregazione della Dottrina cristiana da Gregorio XIII. Sta a Ripa grande incontro la dogana. Boll. 11 febr. 1578. Vi è un solo altare con l'imagine della Madonna dipinta nel muro. Vi ha un campanile a torre all'antica con una campana.
"Riceve il datio di un giulio l'anno per ogni barca che approda alla Ripa del Tevere, giuriditione antica di detta chiesa, e confermata da Gregorio XIIIº con Breve 13 aprile 1580. Possiede due o tre casette vicine."
Questa bella e grande chiesa è situata entro l'ospizio di s. Michele a Ripa per servizio delle comunità che dimorano in quello. Fu eretta da Clemente XI con architettura di C. Fontana.
È poco distante da s. Francesco a Ripa nel Trastevere; dicesi dell'orto perchè la imagine cui è dedicata la chiesa si venerava sulla porta di un orto che era nelle vicinanze della p669 odierna chiesa. Si cominciò ad edificarla nel 1419 colle offerte dei buoni trasteverini; il primo disegno era del Buonarroti: poi l'opera rimase sospesa, ma venne ripresa nel 1512 con architettura di Giulio Romano. La facciata è posteriore e fu disegnata da Martino Lunghi il giovane; nel 1762 alla facciata furono fatte nuove aggiunte e specialmente le insignificanti piramidi di travertino.
La chiesa è a tre navi, ed è ricca di marmi, stucchi e dorature. Nella prima cappella a destra v'è l'Annunziazione, di Taddeo Zuccari il quadro della seconda, che rappresenta la Vergine coi ss. Antonio e Caterina, è di Federico Zuccari. L'altar maggiore fu architettato da Giacomo della Porta.
La chiesa appartiene alla confraternita dei pizzicagnoli, fruttivendoli ed erbaioli, i quali nel casamento attiguo hanno il loro oratorio; vi aveano anche un ospedale assai comodo per gli infermi della loro professione.
Era situata presso s. Cecilia nel Trastevere, alle falde dei colli gianicolensi, appellati iacentes nei secoli di mezzo, nel tratto corrispondente al di là della basilica trasteverina di s. Cecilia. Nè è da confondersi la chiesa suddetta colla suburbana della via Aurelia, detta in colle pino o in lardario, eretta sul cimitero dei ss. Processo e Martiniano dal papa Simmaco.
La nostra fu edificata dal papa Pasquale I (a. 817‑924) che la concesse all'ospedale di s. Pellegrino presso il Vaticano, ordinando che i suoi monaci salmeggiassero nella vicina chiesa di s. Cecilia. Anche di questa veneranda memoria non rimane alcun vestigio, nè possiamo con precisione additarne il sito.
È la più celebre delle chiese esistenti ancora in Roma, consacrate alla memoria della beatissima martire uccisa nella persecuzione dell'imperatore M. Aurelio. Ivi dorme quell'eroina le cui reliquie nell'822 vi furono trasportate dal papa Pasquale I dalla sua cripta nel cimitero di Callisto sulla via Appia.
Egli trovò il corpo della martire intatto, adagiato nella cassa di cipresso ove era stata deposta: il cadavere era ancora rivestito d'un drappo tessuto d'oro, ed i lini con i quali si era asciugato il sangue colato dalle ferite erano svolti ai suoi piedi. Il papa portò quelle sante spoglie nella chiesa fabbricata p670 sull'area della casa stessa di Cecilia e lo pose con la cassa in un sarcofago di marmo sotto l'altare.
Nel 1595 quel sarcofago fu aperto; ed il Baronio ed il Bosio ci hanno lasciato la interessante descrizione di quella scoperta che per parecchi giorni commosse l'intiera città, poichè Cecilia apparve nella sua cassa di cipresso, adagiata di fianco, colle ginocchia piegate leggermente, colle bracci distese lungo il corpo e la faccia verso terra; tale, dice il Bosio, quel rimase appena spirata dopo l'agonia di tre giorni. Il Maderno, nella stupenda statua marmorea sotto l'altare che rappresenta la fortissima martire, non fece che riprodurre con squisita grazia la giacitura di quel santo corpo, così come egli lo vide coi proprî occhi. In una cappella laterale a sinistra della chiesa si veggono le tracce d'un calidarium, che la tradizione vuole sia quel medesimo nel quale la santa martire fu chiusa per essere soffocata.
La prima edificazione della chiesa si attribuirebbe al papa Urbano successore di Callisto, il che è probabile, purchè intendasi nel senso che in quella casa consacrata dal sangue della nobile signora della medesima, si tenevano le sacre assemblee e sinassi dei fedeli.
Infatti troviamo già fino dal secolo V la chiesa ricordata fra i titoli i più celebri di Roma, come risulta dalle sottoscrizioni dei suoi preti nel concilio romano tenuto sotto Simmaco. Nell'anno 545 mentre il papa Vigilio, come narra il Libro pontificale, celebrava il giorno 22 di novembre il natale della santa in quella basilica, vi fu sorpreso da Antemi Scribone, spedito da Costantinopoli dalla imperatrice Teodora affine di catturarlo.
Presso la chiesa stessa dimorava il papa Stefano III, essendone prete titolare, allorchè nel 768 fu eletto, come abbiamo nello stesso Libro pontificale. Pasquale I la rinnovò dai fondamenti, essendo ormai fatiscente per vecchiezza, e vi fabbricò un gran monastero in onore della santa eponima del luogo e di s. Agata, che quel libro dice appellarsi, dalla vicina contrada, ad colles iacentes. Il monastero fu dotato coi beni appartenenti già alla chiesa di s. Pellegrino presso s. Pietro.
Il monumento nello stato attuale conserva ancora il carattere della riedificazione dei tempi di Pasquale nel secolo IX. Infatti la basilica è preceduta dall'atrium, nel centro del quale stava il grande cantharus o calix marmoreus, da cui sgorgava l'acqua p671 destinata in antico alle abluzioni dei fedeli, e che nel tempo stesso simboleggiava il refrigerio che godono le anime dei beati nel celeste giardino. Quel cantharus sta ancora oggi nel lato destro di quell'atrio.
Il portico esteriore della chiesa è sostenuto da quattro antiche colonne di stile ionico e da due pilastri a capitelli corinzî; la cornice è adorna di musaici di rozza fattura, chiusi entro medaglioni che stanno sopra ad ogni colonna e ad ogni capitello, e rappresentano i santi dei quali Pasquale depose le reliquie nella confessione della chiesa. Sulle pareti dell'atrio fu istoriata la vita di s. Cecilia con pitture che probabilmente sono del secolo XIII, delle quali si conserva ancora un resto che or si mira nell'interno della chiesa infisso nel muro. Questa, che oggi è assai trasformata dall'antico, si componeva di tre navate. Dodici colonne nello spazio di mezzo sostenevano la chiesa superiore, quattro di esse erano colonne a capo del coro; in una chiesa sottoposta si accoglieva la cripta dei santi. La tribuna è ancora adorna dei musaici del papa Pasquale I, il cui capo è cinto di nimbo quadro, il che indica essere il lavoro compiuto lui vivente.
Nella fascia in giro si leggono i barbari distici che celebrano l'opera del papa:
HAEC DOMVS AMPLA MICAT VARIIS FABRICATA METALLIS
OLIM QVAE FVERAT CONFRACTA SVB TEMPORE PRISCO
CONDIDIT IN MELIVS PASCHALIS PRAESVL OPIMVS
HANC AVLAM DOMINI FIRMANS FVNDAMINE CLARO
AVREA GEMMATIS RESONANT HAEC DINDIMA TEMPLI
LAETVS AMORE DEI HIC CONIVNXIT CORPORA SANCTA
CAECILIAE ET SOCIIS RVTILAT HIC FLORE IVVENTVS
QVAE PRIDEM IN CRYPTIS PAVSABANT MEMBRA BEATA
ROMA RESVLTAT OVANS SEMPER ORNATA PER AEVVM.
Nell'anno 1283 venne di nuovo restaurata; e l'altare colla confessione fu opera di Arnolfo, quel medesimo che risarcì il ciborio della confessione di s. Paolo, da non confondersi coll'architetto autore di s. Maria del Fiore a Firenze.
Nel contiguo monastero v'ebbero lunga dimora i monaci benedettini, dai quali passò agli Umiliati che la uffiziarono fino al pontificato di Clemente VII; questi, infine, verso l'anno 1530 la diede in cura alle monache benedettine, che ancora la ritengono.
Nuovi risarcimenti, che maggiormente tolsero alla chiesa la prisca fisonomia, furono fatti nel 1599 quando Paolo Sfondrato p672 cardinale, nipote di gr14, la ridusse alla forma attuale. Con tutto ciò le colonne delle tre navi restarono fino al 1823, nel quel anno il cardinale titolare Giorgio Doria le rinchiuse entro pilastri, credendole troppo deboli per sostenere il peso dei muri superiori.
Presso la chiesa e il monastero, ricorda il Signorili, vi era un ospedale che dalla medesima santa avea il nome, ma assai ristretto, perchè habebat unum servitorem.
Questa antichissima chiesuola fu dedicata l'anno 1090, come risulta dalla seguente epigrafe, nella quale si ricorda pure che era detta de pinea:
S. Francesca Romana, che poco lungi avea la sua dimora, eresse presso la chiesa un piccolo spedaletto dedicato alla s. Vergine, detto l'hospedaletto dei poveri, le cui rendite furono applicate alli poveri di s. Sisto da Innocenzo X, e la chiesa dichiarata patronato del principe Pamphili-Doria, che tuttora la ritiene. Negli atti della visita fattavi sotto Alessandro VII, trovo la seguente nota:
"Il prete che hora ha la cura di detta chiesa è don Francesco Carrone fratello del signor marchese di s. Tommaso, consegliero e primo segretario di Stato del serenissimo duca di Savoia che per sua provigione riceve scudi quattro e mezzo, con obbligo di ponere cera, oglio, biancheria, hostie e vino."
Annesso alla chiesa vi era un giardino di donna Olimpia.
Il Nibby crede che più anticamente fosse dedicata al Salvatore, e che la sua vera denominazione fosse in cappella, poichè la compagnia dei barilai, cioè fabbricatori di cupelle, v'ebbe stanza nel 1450, ai quali fu data dalle monache p673 di Torre de' Specchi. È più verosimile però che fosse detta in cappella, dalla epigrafe mal letta dal popolo, e che abbiamo disopra citata ove, dopo le parole sanctae Mariae segue immediatamente quae appella (tur), le quali, male intese e peggio lette, dettero forse origine alla odierna denominazione in cappella.
Anche il Lonigo credette che fosse dedicata a s. Salvatore de pinea, equivoco prodotto da una chiesa di simile denominazione detta s. Salvatore delle Coppelle nel Camra; poichè, come risulta dalla anzidetta epigrafe dell'anno 1190, niuna menzione ivi è fa del titolo del Salvatore, e negli antichi cataloghi del Camerario e di Torino trovo costantemente adoperato il nome di s. Maria in Cappella che tuttora ritiene. Nella descrizione fattane sotto Alessandro VII si dice:
"Questa chiesa ha tre altari, cioè l'altar maggiore con un quadro della b. Vergine, a destra l'altare della Natività di N. S. con alcuni pastori, a sinistra l'altare della Purificazione. È •alta palmi 22, lunga 70, larga 10. Al suo ingresso vi è il cimitero circondato di basso muricciuolo: anticamente vi era l'hospitalità dei poveri."
Sembra adunque che anticamente ricevesse anche il nome di s. Salvatore, secondo l'opinione espressa dal Panciroli, dal Martinelli e da altri.
Anche nel Trastevere v'era una chiesuola che avea questa denominazione. Ne tratta diffusamente il Sodo, e dice che era presso al fiume.
È la cappelletta situata nella pia casa d'esercizî detta di ponte Rotto in via dei Vascellari. Quivi sorgeva il palazzo dei Ponziani, alla cui famiglia apparteneva il marito di s. Francesca Romana. In questa divota cappella, ove i giovanetti popolani, dopo alcuni giorni d'esercizî spirituali, fanno la loro prima comunione, vi sono tre altari, uno dei quali dedicato a s. Francesca, che santificò quel luogo nella sua vita coniugale.
p674 È incredibile il bene spirituale che ricevono i giovanetti dell'infimo volgo in questo luogo. Ma è doloroso pur vedere che Roma, la metropoli del cattolicesimo, per insufficienza di mezzi, non abbia che questa sola casa, pressochè sfornita di redditi, per un apostolato così sublime e di tanto pratica importanza! Così questo popolo, nel cui petto batte un cuore grande e generoso, ogni giorno più si allontana da Dio, si fa più malvagio e brutale. Dio faccia che Roma, la città santa, non torna un'altra volta la silva frementium bestiarum che descrive s. Leone il Grande.
Anche questa chiesa dedicata alla pia madre di Costantino è disparsa. Stava presso il ponte Palatino oggi chiamato ponte Rotto, che nel secolo XIII era denominato il ponte di s. Maria.
Era ai piedi del ponte Rotto, cioè l'antico ponte senatorio o palatino, ovvero di s. Maria; ed è stata distrutta quattro o cinque anni or sono per i lavori del Tevere. Questa chiesa risaliva fino al secolo XI, e forse era assai più antica. Nel libro delle Visite sotto Alessandro VII, che si conserva nell'archivio vaticano, ne trovo la seguente descrizione:
"Il Contelori dice che era in uso prima dell'anno 1198. È volta a settentrione, ha una porta in facciata, ed una al fianco nei fregi delle quali si legge la memoria dei restauri fattivi da Sisto IV l'anno 1475. Ha tre navi con sette archi per banda sostenute da altrettante colonne grosse sette pollici, alcune delle quali di granito nero orientale con capitelli corintii, ma imbiancata. (Forse perchè erano nere!) La nave grande passata l'arcata si rialza in due scalini alti un palmo l'uno. Ai piedi dell'altare si legge la seguente memoria di cristiani:
VICTORIAE BENEMERENTI QVAE
VIXIT ANN. XXXXI VRSACIA MATER ET
SIBI D. IDVS IAN. IN PACE.
p675 A piè di detta nave v'ha un cippo di marmo con bassirilievi in faccia e nei fianchi, in faccia v'ha di sopra scolpita una aquila, sotto un cinghiale con un cane dietro e nel mezzo tra due colonnette si legge:
"Ai fianchi vi è scolpita una gabbia, a lato la cupoletta e sopra un uccello. A piè del cippo in un piccolo marmo si legge:
Nei lavori de demolizione, il 10 agosto 1884 vi fu rinvenuta quest'altra lapide di un suo rettore perpetuo, un Niccolò Ferrante spagnuolo del 1608:
F. F.
Nel cod del Camerario la denominazione pede pontis è cambiata, o per difetto di pronuncia o per errore di amanuense, in pede montis; ma nel codice di Torino e in quello sul Signorili è corretta.
Alcuni anni or sono dalle demolizioni dell'antica chiesa di s. Salvatore de pede pontis venne in luce la seguente epigrafe del secolo IV, proveniente dal cimitero ostriano sulla via Nomentana:
XVI DAL. OCTOB. MARVRORO
TERV MAIORE VICTORIS FELI
EMERENTIANETIS ET ALEXAN
Il supplemento è ovvio:
XVI kalendas octobris marturoro in cimiteru maiore Victoris Felicis Emerentianetis et Alexandri.
p676 Sono i nomi di quattro illustri martiri di quel cimitero, ricordati appunto nel martirologio geronimiano al xvi kal. octobres.
Era nel Trastevere presso la riva del Tevere poi unita a quella di s. Salvatore, al di là del ponte Rotto. Era chiamata de clavis, de schiaffis, degli scacchi, delle scafe; i quali nomi potrebbero avere origine dalle piccole barche del Tevere che presso quella chiesa aveano una stazione.
In un documento dell'archivio vaticano trovo che avea 34 famiglie di parrocchia ed una rendita annua di 34 scudi e 12 boccali di vino. Ivi pure si trova l'ordine del vicario di Roma perchè si fabbrichi alla chiesa la sacrestia in una cappella antiqua diruta contigua ecclesie. In un catalogo dello stesso secolo si dice che la chiesa è situata alli magazzini delli salumi. Credo sia la medesima che sta sulla destra della via de' Vascellari presso la pia casa di ponte Rotto, che era proprietà della compagnia dei vascellari o figulini che nel Trastevere esercitavano il loro mestiere.
Una non dispregevole tradizione vuole che questa celeberrima chiesuola fosse edificata in un angolo dell'antica domus Aniciorum, dalla cui famiglia discendeva s. Benedetto che avrebbe colà dimorato. Fortunatamente la chiesolina ancora esiste nella contrada detta Piscinula nel Trastevere, non lungi dalla via Anicia, e sta quasi dirimpetto al distrutto ponte Cestio.
In alcuni atti di visite fatte sotto Alessandro VII leggo che la cura parrocchiale di questa chiesa fu unita a quella di s. Lorenzo de Gabellatis o de Caballutiis, qual era vicino a fiume sotto ponte ferrato, oggi detto ponte di Quattro Capi, come risulta da una bolla di Gregorio XIII in data 1578.
Ai tempi di Cencio Camerario aveva già la stessa denominazione che serba tuttora; ai cui tempi incirca risale la costruzione del campanile che tuttora si vede al fianco della chiesina. Questa è divisa in tre navi da sei colonne di varî marmi. Eccone la descrizione che ho trovato nello Stato temporale delle chiese l'anno 1660:
"La chiesa di s. Benedetto in Piscinola nell'orione di Trastevere appresso ponte ferrato . . . . si ritrova che detta
p677 chiesa fu unita con la chiesa parrocchiale di s. Lorentiolo de Gabellutiis quale era vicino a fiume sotto a ponte ferrato hoggi detto ponte di quattro capi, e di detta unione se ne conserva bolla Apostolica data sotto li 10 settembre del anno 1578, concessa da papa Gregorio XIII, quale chiesa parrocchiale sudetta è antica con il pavimento fatto alla musaica in mezzo alla navata.
"Dalla parte di verso la porta a mano destra vi è una cappella della Madonna con l'altare tutto di marmo, con una tavola di porfido in faccia dell'altare et in detto altare è dipinta la Madonna ssm̃a nel muro, quale si dice per antica traditione esser quella ove faceva oratione s. Benedetto, dove si ritrova scritto nel libro dell'entrate della chiesa com'hanco have una porta piccola della cappella verso il portigale e si dice esser quella medema che apriva detto santo; se bene tanto le cappelle che prima erano di mosaico antico come la detta porta sono state rimodernate dai rettori passati.
"Sepolture numero quattro delle quali due ne furono serrate a tempo della peste nell'anno 1656 per l'ordine delli sig. em̃i cardinali deputati per la sanità quali furono Barbarino Francesco et Langravio.
"Have il cimiterio dietro la chiesa attaccato con coro.
"Le famiglie che sono in detta parrocchia sono numero 120, anime sono numero 459, sono tutti quasi poverissimi.
"Fra i beni che possiede è un horto di s. Lorenzolo dove prima era la chiesa di detto santo. Questo pezzo di terra fu concesso a canone dal rettore pro tempore ad Antonio di Mattei, e poi lo diede in dote ad una sua figlia pigliata da Pietro Catalano da Nepi, quale detto Pietro lo vendè di poi come segue: cuesto luogo era prima la chiesa di s. Lorenzolo diruta da fiume porta a ponteferrato.
"In tutto la parrocchia frutta con l'incerti scudi 268,63."
Fu soggetta al monastero di s. Cecilia, e alcuni l'hanno confusa con altra che era nel Vaticano. In una bolla di Innocenzo III dell'anno 1305 si tocca di questa chiesa trastiberina, che ora è disparsa affatto.
Era situata non lontano dal ponte Rotto, ovvero ponte di s. Maria, come afferma il Lonigo, il quale ci assicura che fu p678 profanata pochi anni sono, e la cura unita a s. Benedetto in piscinula. Il Martinelli propone che fosse la stessa chiesa che fu detta anche de turribus, ma a me sembrano due chiese affatto distinte.
È ricordata fra le chiese del Trastevere nella tassa di Pio IV. Dove sorgesse m'è ignoto.
L'Università de' Sellai fabbricò questa chiesa nel 1740 presso il ponte di s. Bartolomeo in Trastevere sulla piazza delle Gensole, sotto l'invocazione di s. Eligio, ove si trasferirono da s. Salvatore delle Coppelle. L'architetto ne fu Carlo de Dominicis ed il quadro dell'altare con l'effigie di s. Eligio lo colorì Carlo Maggi. La chiesa è sormontata da piccola cupola coperta di piombo a squame. All'Università de' sellai, in questa chiesa erano aggregati baullai, astucciai, ecc. Nel 1801, soppressa la detta Università, la chiesa fu data alla pia congregazione degli esercizî spirituali di ponte Rotto, per istanza del sacerdote Michelini.
Questo piissimo sacerdote la restaurò e vi aggiunse due altari laterali; ma ora è mezzo diruta e ne sembra imminente la distruzione.
Esiste ancora e la sua denominazione ne mostra l'antica origine. Il Nibby e con lui tutti coloro che trattarono della etimologica ragione del nome attribuito alla medesima, supposero che vicino alla medesima fosse un'antica curia, ovvero che dal quartiere ove dimorarono gli ebrei, da Orazio una volta detti curti, o da un'immaginari famiglia de curtibus, ne provenisse il nome alla chiesa; ma la scoperta dell'escubitorio della settima coorte dei vigili, fatta nella prima metà di questo secolo presso la chiesa, se annulla tutte le imaginarie ipotesi suddette, dimostra quanto antica sia la chiesa, edificata in un'epoca nella quale era ancora viva la tradizione di quell'escubitorio nel Trastevere.
p679 Non è perciò del tutto dispregevole la tradizione che la chiesa risalga fino al secolo IV e la leggenda che ne attribuisce la prima edificazione a s. Bonosa; donde per concequenza sorge spontaneo il pensiero che sotto la chiesa attuale ed al livello forse dell'escubitorio suddetto, esista l'antica chiesa di s. Salvatore, la quale sarebbe perciò la prima più antica dedicata in Roma a Nostro Signore Gesù Cristo, e quindi nel Trastevere avremmo le due chiese più antiche dedicate l'una a Nostro Signore, l'altra alla b. Vergine.
Nel secolo XIV fu restaurata, e nella tribuna restano ancora ornamenti e lavori in musaico di quell'epoca. Giulio I la fece parrocchia. Nell'anno 1657 fu rinnovata a spese del proprio parroco Domenico Mauro Cosenino di Aprigliano. Il papa Benedetto XIII la concesse ai pp. Minimi del santo taumaturgo Francesco di Paola, i quali nel 1730 la rimodernarono con architettura del Valvaseri. Sulla porta della chiesa si legge questa epigrafe:
Quei padri vi trasportarono la divota imagine detta della Luce, che fu scoperta in un arco presso il Tevere e ch'è assai venerata dai fedeli del Trastevere. Testè sotto l'altare sono state scoperte le reliquie dei martiri del cimitero di Ponziano, Miles, Pigmenio e Pollione; le quali trasportate nel secolo XIII dalla chiesa di s. Prassede, (ove la prima volta i corpi dei suddetti martiri vennero trasferiti dal papa Pasquale), furono riconosciute due volte nei secoli XVII e XVIII .
Sull'urna moderna che rinchiude quelle sante reliquie si legge la seguente epigrafe:
Nel catalogo del Camerario è chiamata per corruttela Curtium, dal Signorili de Curtibus, nel codice di Torino de Curtis, in qualche catalogo del secolo XVI è detta de Cortillis. In una filza di manoscritti dell'archivio vaticano trovo riportata la seguente notizia "Nella chiesa di s. Salvatore in Corte in Trastevere al presente si vede un deposito di marmo con figura p680 di uomo di basso rilievo con abito antico e stocco con lettere attorno e arme sua ecc.
Nel frontespizio di detto deposito sotto all'imagine del ssm̃o Salvatore intagliato in marmo di basso rilievo lettere antiche:
Nel medesimo marmo si vedono le seguenti parole attorno:
OBIIT ANNO DNI MILLESIMO TRECENTESIMO NONAGESIMO
SECONDO MENS. IANVAR. DIE XI CVIVS ANIMA REQVIESCAT
IN PACE AMEN
In un catasto censuale della basilica vaticana viene ricordata questa chiesa siccome parrocchia l'anno 1454.
Il Martinelli, il Lonigo, lo Zaccagni nessuna contezza ne ebbero. Stava probabilmente nel Trastevere e nella contrada p681 già nota di questo rione. Anche nei cataloghi di Cencio, del Signorili, in quadro di Torino e nei più recenti del secolo XIV non si nomina la chiesa.
Di questa trovo solo il seguente documento nei regesti avignonesi di Urbano V nell'archivio Vaticano:
Reservatio Cañcatus et praeb. ecclesiae s. M. in transtiberim de Urbe vacandorum per cessionem Francisci Francisciº Petri de Manfredonia dum praebendam ecclesiae Basilicae Principis Apostolorum de Urbe sibi reservatam pacifice extiterit assecutus pro Iacobo Angeli Labinie (?) qui canonicatum et praebendam ecclesiae s. Salvatoris de Turribus in Transtiberim de eadem urbe dimittere tenebatur. Apud.º s. Petrum Romae 8 id. Mart.
Secondo un racconta inserito in un documento di s. Maria in via Lata, che abbiamo già citato, i corpi dei due santi Ciro e Giovanni giacquero alcun tempo nel Trastevere nella casa della pia Teodora, la quale edificò in loro onore la chiesa sulla via portuense. Sembra che compiuta la traslazione, parte di quella abitazione fosse trasformata in cappella o chiesuola, intitolata dai due medesimi si. Infatti, siccome narra il Martinelli, nel cavarsi i fondamenti del collegio del p. Costantino Gaetano abate dell'ordine Cassinese, situato nel Trastevere tra le chiese di s. Cecilia e di s. Benedetto, fu trovata una porticina marmorea sul cui architrave si leggevano queste parole: DOMVS SANCTORVM CYRI ET IOANNIS. La quale iscrizione ottimamente conviene colla narrazione suddetta, dove si dice appunto che nella domus Theodorae in Trastevere giacquero alcun tempo i due santi. Intorno alle quali memorie urane dei due santi veggansi inoltre i regesti di Gregorio IX e d'Innocenzo IV.
Era un piccolo oratorio del Trastevere, presso la chiesa di s. Giovanni Battista de' Genovesi, di cui il Martinelli scrive che fu eretto a quodam anglo e che dipendeva perciò dal collegio degli Inglesi.
Fu anticamente detta di s. Sisto, e pare fosse edificata nell'anno 1481 da pio e ricco genovese di nome Mariaduce Cicala, tesoriere della camera apostolica, il quale vi aggiunse uno spedale a profitto dei marinari infermi della sua città; egli dotò la chiesa di un patrimonio che le fu usurpato nel sacco di Roma nel 1527. Il card. Giovanni Battista Cicala ottenne da Giulio III il recupero di una parte di quei beni; e così la chiesa, con altri legati del marchese Giambattista Piccaluga, tornò al pristino stato di splendore.
Nell'altar maggiore si vede figurato s. Giovanni Battista che battezza Gesù. In uno dei due altari laterali vi è dipinto s. Giorgio, nell'altro la Madonna di Savona.
A sinistra entrando è la divota cappellina di s. Caterina da Siena che, provvisoriamente, viene ufficiata dalla confraternita del Carmine, per gentile concessione della compagnia dei Genovesi; la quale ha anche permesso che ivi si esponesse alla custodita nell'oratorio di quella confraternita di contro a s. Grisogono. In questa cappellina si leggono tre epigrafi marmoree. Una è di poco momento; un'altra ci ricorda il marchese Piccaluga e il card. Giorgio Spinola protettore della confraternita nel 1738; la terza poi merita d'essere qui riportata, perchè rammenta il comune d'anguillara, già signoreggiato dai famosi conti omonimi, e quindi eretto in ducato e infeudato da Benedetto XIV alla famiglia Grillo:
Questa chiesa sta nella via Anicia. Ivi era il conservatorio di s. Pasquale che fu riunito sotto Leone XIII a quello della Divina Provvidenza in Ripetta. Il buon parroco don Gioacchino Michelini nel 1815 stabilì presso questa chiesa una pia casa di esercizî per le donne. La chiesa dipende dal card. Monaco La Valletta, suo odierno protettore, che vi deputa alcuni sacerdoti alla predicazione. Ha tre altari: il maggiore è dedicato al santo titolare, e i laterali uno al sacro Cuore di Gesù, l'altro alla Madonna della Misericordia. Nel conservatorio suddetto le fanciulle si apparecchiano a ricevere la prima volta la santa comunione.
Nella pianta di Roma del Bufalini, là dove oggi è l'ospedale di s. Gallicano, è indicata una chiesuola detta di s. Ciriaco, della quale non rimane in quel luogo traccia veruna, come non ne ho trovato altre notizie negli scrittori delle cose romane.
È la chiesa annessa all'ospedale omonimo nel Trastevere, nella via detta Mazzamurelli. Ora è anche dedicata alla Madonna della Neve. Fu eretta l'anno 1726 da papa Benedetto XIII che la consacrò. Architetto ne fu Filippo Rauzzini.
Sull'altare si vede l'imagine del santo titolare dipinta da Filippo Evangelisti. L'ospedale fu sostituito all'antico di s. Lazzaro fuori porta Angelica.
Era una delle più storiche e antiche chiese del Trastevere.
Delle sue origini nula sappiamo con certezza, tranne che sono antichissime. Stefano Cappello, che ne fu rettore nell'anno 1589, pubblicò gli atti del martirio della santa, il corpo della quale era stato trovato in quella chiesa medesima un secolo prima, cioè nel 1480. D'onde e quando colà fossero venute quelle reliquie è ignoto. Il catalogo di Torino le assegna nel secolo XIV un sacerdote: ecclesia sancte Bonose habet unum sacerdotem. Se la Bonosa del Trastevere sia la sorella di Zosima e di Eutropio p684 martiri ortuensi, è incerto; sembra distinta, onde i Bollandisti hanno alla prima dedicato un apposito articolo. Però il natale della nostra Bonosa cade nel medesimo giorno 15 luglio, nel quale è solenne quello della omonima portuense, benchè l'opinione comune le faccia identiche: a convalidare però la sentenza dei padri bollandisti, v'ha un prezioso documento scoperto dal ch. De Rossi nella biblioteca della scuola di medicina in Montpellier. Il documento è dell'anno 1256 ed è la più antica memoria superstite della nostra chiesa trastiberina, dal quale si raccoglie che in quell'anno la memoria dedicata a Bonosa era assai antica, e che la tradizione circa la vera titolare di quel santuario era oscurata ed incerta. Assai probabilmente la chiesa fu edificata nella casa già santificata dall'abitazione della martire romana. Infatti nel 1870 si rinvenne presso la chiesa un'epigrafe votiva del V secolo incirca, che sta oggi nel museo lateranense, ed è del tenore seguente:
EGO DEVSDEDET AMATOR LOCI SANCTI BOTVM (sic) FECIT FELICITER
Ora, se questa epigrafe, come sembra, spetta alla chiesa di s. Bonosa, non potendosi ancora essere colà trasferite le reliquie della santa quando fu scolpita, poichè le traslazioni dei martiri dai loro sepolcri alle chiese interne della città sono posteriori al secolo VI, ne viene di conseguenza che ivi si venerava altra memoria di lei e probabilmente la sua abitazione.
È veramente l'antichità somma dell'edifizio risulta anche oggi dall'esame che ne ho fatto io stesso in occasione di alcuni recenti lavori per restaurarla. Ivi ho ravvisato costruzioni del secolo VIII o IX; e nell'angolo sinistro, sotto la scala che mena al palco dei cantori, sono state testè scolpite tracce di pitture di quella stessa epoca, rappresentanti teste giovanili di santi col capo nimbato. Anche nella parte destra della chiesa si accennava ad una stanza ricoperta di fino intonaco messo a colori e che io giudico del secolo V, la quale potrebbe essere l'avanzo d'una casa romana di quel secolo incorporata alla chiesa, forse quella medesima dei genitori di Bonosa.
Il Gabrini dice che in s. Bonosa fu sepolto il famoso tribuno Cola di Rienzo; ma ciò non può essere, che, come non p685 è ignoto, le ceneri di Cola furono disperse al vento. Il marmo, ancora esistente nel mx della chiesa, ricorda un Niccolò Vecca; sotto alla figura d'un uomo vestito nel costume del secolo XIII si legge infatti presso al suo stemma questo nome: † NVCCOLE VECCA. Si tratta veramente d'un contemporaneo del tribuno e forse parente di quel Cecco del Vecchio che ferì a morte Cola con un colpo di stocco in Campidoglio, d'onde potè essere provenuto l'equivoco. Ma questo non è che un io sospetto.
Presso l'epigrafe di Niccolò Vecchia ve n'era un'altra meno antica, spettante ad una Claudia Ruggeri di Verdun in Lorena. Ecco il testo dell'epitaffio, curioso per le sue scorrezioni di lingua:
Osservai pure nelle costruzioni della chiesa un frammento di epigrafe che dice: . . . EDIA FECIT.
Non si può deplorare abbastanza la distruzione avvenuta testè di questa piccola e monumentale chiesuola.
Fra le chiese di s. Crisogono e di s. Rufina ne viene indicata una di s. Stefano con la suddetta oscura denominazione dal codice di Torino, il quale aggiunge che habet unum sacerdotem. Nel codice del Signorili leggo Rapigrani. L'origine della medesima e dell'annesso monastero risale ai tempi di Gregorio III, il quale la costruì. Attendo dai maestri della topografia romana del medio evo la spiegazione dell'oscuro vocabolo Rapignani o Rapigrana attribuita a questa chiesa distrutta da molti secoli. Nel codice del Camerario è semplicemente detta in transtiberim; probabilmente si chiamò anche de Curte, come abbiamo nel codice del Camerario.
È una delle più insigni basiliche di Roma e del Trastevere, e tuttora serbe parte del suo tipo primitivo, benchè non è a credere che il livello della chiesa attuale si l'antico, il quale era assai più depresso, come dimostrano le scoperte del vicino escubitorio dei Vigili. Infatti le origine della chiesa risalgono ai primi tempi della pace, quando il suolo della città in quella regione del Trastevere era al piano dell'escubitorio; quindi è assai probabile che sotto il livello dell'attuale basilica di Crisogono restino le tracce dell'antica chiesa costantiniana. Circa l'anno 731, il papa Gregorio III, come abbiamo nel Libro pontificale, ne restaurò il tetto ed ornò le pareti e l'abside di pitture. Fondò inoltre presso la basilica un monastero sotto il titolo dei ss. Stefano, Lorenzo e Crisogono, che sottomise ad un abate indipendente dal prete titolare della basilica. Fra i monaci che allora vi dimoravano si conta quello Stefano, il quale l'anno 768 fu eletto papa, come ricordasi nel suddetto libro. Paolo I, per le preghiere di Pipino, concesse questo titolo a Marino. L'anno 1123 vi era titolare Giovanni da Crema, il medesimo che fece prigione l'antipapa Burdino, che fu legato apostolico di Onorio II in Inghilterra, e a cui s. Bernardo scrisse la lettera CLXIII. Questi pertanto dedicò in quell'anno medesimo 1123 un oratorio presso la chiesa, siccome si legge in un'epigrafe affissa a destra dell'altar maggiore, e riedificò questa perchè minacciava rovina, che poi fu benedetta dal papa stesso.
Un'altra epigrafe indica come l'anno 1157 fu nella chiesa consacrato un altare, essendone titolare Guido Bellagio, cardinale fiorentino. Sotto i pontificati di Innocenzo ed Onorio III ne fu titolare il celebre Stefano Langton, cardinale inglese, arcivescovo di Canterbury, che ebbe tanta parte negli annali religiosi del Regno Unito, da lui reso tributario della Sede Apostolica.
I monaci benedettini tennero la chiesa fino al secolo XII, ai quali successe un clero secolare, come si trae da un privilegio di Innocenzo III dato a favore della medesima l'anno 1200, ove si dice che era parrocchia madre e che avea soggette le chiese di s. Salvatore della Corte, di s. Bonosa, di s. Agata, di s. Stefano.
p687 Nei tempi susseguenti fu ottenuta dai canonici di s. Salvatore, ed a questi nel 1480 vennero sostituiti i pp. Carmelitani calzati che v'hanno dimorato fino al pontificato del papa Pio IX, il quale assegnò la chiesa ai pp. Trinitarî scalzi della Redenzione degli schiavi. L'interno della chiesa mantiene tuttora la forma basilicale delle tre navi sostenute da colonne raccogliticcie di varî ordini; l'arco maggiore è sorretto però da due magnifiche colonne di porfido, rare per la materia e le proporzioni. Nel mezzo del soffitto rimase fino a questo secolo un quadro insigne del Guercino rappresentante il santo titolare, che tolto di là fu venduto e passò in Inghilterra; ora è sostituito da una copia. Il pavimento della chiesa è d'opera cosmatesca del secolo XIII, ma nelle navi laterali sono stati posti in opera molti frammenti d'iscrizioni sepolcrali pagane e cristiane, tolte nel secolo XVI dalle nostre catacombe. In fondo alla nave destra è la tomba della ven. Anna Maria Taigi, morta in Roma nell'anno 1837, la cui santa memoria è tuttavia clarificata da quel Sole che lumeggiò la sua vita.
Sulla fronte della chiesa si legge la seguente iscrizione: SCIPIO S. R. E. PRESB. CARD. BVRGHESIVS M. POENIT. A. D. MDCXXVI.
Nel secolo XVII, dentro l'orto della basilica di s. Crisogono stava una piccola base d'una statua del buon Pastore, sulla quale si leggeva l'epigrafe:
FL . TERVLLVS . .ºDE . ARTE . SVA AECLESIAE . DONVM . POSVIT. |
Questo rarissimo monumento del secolo IV c'insegna il nome di uno scultore cristiano di quell'età e conferma che anche nei primi antichi cristiani i fedeli non ebbero avversione alla plastica statuaria e posero imagini di questa natura come oggetti di venerazione nei luoghi destinati al culto.
Sulla piazza di s. Crisogono, incontro la chiesa di detto santo, sorge un oratorio di s. Maria del Carmine; il quale però, in seguito dei lavori stradali fatti in quelle vicinanze, minaccia di rovinare. Sulla porta si legge:
VEN. ARCH. SS. CORPORIS CHRISTI ET B. V. MATRIS DEI DE M. CARMELO — SCIPIO CARD. BVRGHESIVS PROTECTOR
p688 L'oratorio era officiato dall'arciconfraternita omonima, che provvisoriamente ora si raccoglie nella vicina chiesa di s. Giovanni Battista dei Genovesi.
Esiste tuttora presso piazza Romana nella via della Lungaretta. Il libro pontificale nella vita di Gregorio II scrive che essendo morta a quel papa la madre, chiamata Onesta, egli cambiò la propria abitazione in cui e monastero, dotando questo questi fondi ed arricchendo la chiesa di doni. Il Torrigio confonde questa chiesa con un'altra del Trastevere appellata in Turri, oggi sparita, che era situata nella contrada detta ad colles iacentes presso s. Cecilia. Le origini adunque del sacro edifizio risalgono ai primi decennî del secolo VIII. È antica tradizione che qui fosse la casa paterna di Gregorio II, eletto nel 715. Nell'archivio secreto del vaticano ho trovato circa questa chiesa alcune notizie; che cioè fu concessa alla congregazione della Dottrina cristiana di Roma dal papa Gregorio XIII per bolla spedita a dì 11 agosto 1375. Aveva una sola sepoltura per uso dei chierici, la quale fu sbarrata nell'anno del contaggio. Nel documento più volte citato dello Stato temporale delle chiese si legge che nel 1662 vi erano tre altari, il maggiore coll'imagine della santa titolare, i due altri con quelle del Crocifisso e della ss. Vergine.
"La casa annessa, così quel documento, non ha claustro, ma solo un cortiletto et un horticello con pozzo et due fontanelle che portano assieme mezz'oncia dell'acqua Paola comprata dalli medesimi chierici nell'anno 1619, come a patente che fu spedita il dì 2 ottobre dell'anno predetto.
"Nel piano terreno vi sono vicino alla porta due scole pubbliche per comodità de fanciulli concorrenti ai quali s'insegna gratis leggere, scrivere, abbaco, e grammatica. Vi è sotterra una cantina e due grotte."
È posta lungo la strada che da s. Maria in Trastevere conduce a piazza Romana. Un'antica tradizione vuole che quivi sorgesse la casa delle martiri sorelle Rufina e Seconda. La chiesa è assai antica, ed appartiene al capitolo di s. Maria in Trastevere. p689 Nel 1602 Francesca Montioy comprò alcune case annesse alla chiesa e vi menò vita comune insieme ad alcune compagne, ove poi dimoraronoº quelle oblate dette le Orsoline. Avea appartenuto ai frati spagnuoli della Mercede, pei quali la comprò nel 1569 il p. Ordoñes. Oggi appartiene alle religiose del sacro Cuore le quali attendono alla educazione delle fanciulle. È ricordata la chiesa fino dal secolo XII nel catalogo di Cencio, in cui si legge: s. Rufine VI denarii, e dal catalogo di Torino risulta che era servita da un sacerdote: ecclesia sancte Rufine habet unum sacerdotem. Rimane ancora in piedi l'antico campanile del secolo XIV.
Questa chiesuola del Trastevere era dirimpetto a s. Rufina, ed ivi nel secolo XVI una vedova spagnuola fondò un monastero con le rendite di un pio macellaio di nome Giovanni, il quale dimorava al ponte Quattro Capi.
Una chiesa dedicata a questa santa, a cui è annesso un monastero, sorge nel Trastevere. Il Panciroli le attribuisce una assai antica origine, osservando che fu eretto l'anno 1288 sotto Niccolò IV. Fu riedificata nel 1564, per opera di donna Giulia Colonna, la quale innalzò pure il contiguo monastero. Nel 1680 fu nuovamente rifatta dal card. Castaldi su disegno di Carlo Fontana. Il Terribilini dice che in origine diceasi s. Margherita della Scala, e che ebbe il nome di s. Elisabetta, ove le religiose viveano come bizoche senza voto di clausura; il che è confermato dagli atti della visita fatta in Roma sotto Alessandro VII, ove leggo le cose seguenti:
"Questo monastero è situato in Trastevere, fu anticamente una casa di bizoche del 3o ordine di s. Francesco, che poi pigliarono la clausura: in un libro antico de ricordi di detto monastero si trova notato che per fabricare la chiesa di esso furono compre due case una detta delli Cavalieri, et una di tal Clementia come per atto rogato dal sig. Antonio Saccocia sotto li 15 gennaio 1563, et il prezzo fu di scudi 1300 et a dì 9 d'aprile 1564 fu comperata la suddetta chiesa.
"Ha tre altari, due sepolture.
"Ha una rendita annua di scudi 2397: 16 bai."
p690 Sulla fronte della chiesa si legge la dedica:
Sull'altar maggiore, che è adorno di ricchi marmi, sta il quadro della santa titolare, opera di Giacinto Brandi. La volta è di frà Umile da Foligno, e gli ovali nei lati sono del Ghezzi.
Fu edificata presso la basilica trastiberina di s. Maria l'anno 1582. Sorgeva nell'area ove era il palazzo di Paluzza Pierleoni, discendente di quella celeberrima prospaia, la quale, nei primi anni del secolo XIV, trasformò l'edificio in un monastero ove viveano in regola comune le donne che professavano le regole del terz'ordine di s. Francesco. Questa chiesa è sfuggita al Nibby, che nella sua opera su Roma ne tace affatto. È distrutta, ma ne rimane ancora il nome alla piazzetta in cui sorgeva, cioè quasi di contro alla chiesa di s. Margherita. Nel farsi le fondamenta in quel luogo di una nuova fabbrica, sono venute in luce le ossa dal cimitero che v'era annesso. Paluzza Pierleoni vi ottenne la conferma della sua fondazione da Niccolò V con breve 1458 6 id. ian. V'introdusse, come dissi, il terz'ordine di s. Francesco senza clausura. Ma Pio V lo ridusse a clausura, e a questa casa furono unite due piccole chiese che sorgevano nell'istesso luogo: l'una di s. Cristoforo, che rimase demolita, e l'altra di s. Apollonia, detta nelle antiche scritture dell'oliva.
"Questa chiesa, leggo in un documento dell'archivio vaticano, nel 1582 a causa della consecrazione fattane ai 12 di maggio fu anche intitolata a s. Chiara. Vi erano 4 altari, il maggiore colla tribuna a cui si sale per 2 gradini, v'è s. Apollonia con un angeletto che tiene le tenaglie con un dente, poi viene s. Francesco e s. Chiara, in cima è dipinta l'Assunta. Nella volta della tribuna v'è la ssm̃a Trinità con diversi angeli. Il primo altare dopo il maggiore è dedicato alla ssm̃a Concezione che sta colla luna sotto i piedi, e sotto il b. Pietro d'Alcantara in atto di comunicare s. Teresa carmelitana. La quarta ed ultima cappella è di s. Cristoforo dipinto a fresco nel muro che fu sostituito all'antica chiesa. Conservano reliquie che furono estratte dal cimitero di Ciriaco in tempo di Clemente VIII l'anno 1602 ai 22 di luglio cioè: s. Servulo, s. Sereno, p691 s. Hilario, s. Valentino, s. Susanna, s. Zorlo, s. Secondo, s. Alabano, s. Crescenzio, s. Feliciano, ss. Secondo e Marcellino, e poi s. Pietro m., s. Venanzio e s. Fortunato estratto dal cimitero di Callisto.
"Sulla porta si leggeva:
ECCLESIA S. CLARAE ET S. APOLLONIAE V. ET M. |
"Vi si sale per tre gradini, ha la facciata di stucco con due pilastri per parte e una nicchia sopra la qual porta è pure dipinta s. Apollonia."
Sta al di qua di ponte Sisto, presso s. Dorotea, e dà il nome alla piazzetta sulla quale sorge. Il nome Malva è un vocabolo corrotto dalla pronuncia dei trasteverini che in questa guisa adulterarono il già antico mica aurea, col quale nel medio evo soleasi appellare quella parte del colle gianicolense, che anche oggi dicesi montorio; ed infatti la chiesa è appiedi del clivo che conduce al culmine del colle suddetto. Nel secolo XIV era chiamata s. Ioannes ad Ianiculum. Sisto IV l'anno del giubileo 1475 la restaurò. Il Martinelli scrive che vicino alla chiesa fuit Portia domus antiquitatibus referta; nel 1641 il rettore vi tolse una lapide sepolcrale di Onofrio Colalello de Colalelli, morto nel 1516, e ne usò come materiale, insieme ad altri marmi, per restauro della chiesa parrocchiale. Nel secolo XVI la parrocchia era composta di 124 famiglie. — Nel codice di Torino è posta nell'ultima partita: s. Ioannes mica aurea habet unum servitorem.
Eccone la relazione inserita nello Stato temporale: "Non vi è memoria della sua fondazione: nella facciata vi è un arme di marmo con queste lettere: "SIXTVS IV ANNO IVBILEI MCCCCLXXV."
"È di struttura antica: •longa palmi 76 larga 54 alta 38 con tre navate a tetto, con otto colonne, quattro da una e quattro dall'altra di pietra et suoi pilastri da capo et da p692 piedi, campanile con due campane, ha tre altari, 6 sepolture, non ha cimiterio. Ha cura d'anime che si esercita da un parroco perpetuo da nominarsi dal titolare pro tempore di S. Ma in Trastevere come filiale et soggetta a detta basilica, come costa per bolla della bo. me. del em̃o sig. card. Bentivoglio 27 novembre 1640 all'hora titolare di detta basilica.
"Il numero delle case e famiglie di detta parrocchia sono 240. Ha una cappella detta della Madonna delle Grazie ecc."
Da pochi anni è stata restaurata.
Anche questa chiesa è nel rione di Trastevere. Secondo il Terribilini quivi fu in origine una piccola cappella dedicata ai ss. Silvestro e Dorotea, titolo che ritiene dal 1445. Il Lonigo invece nel suo catalogo assicura che da principio ebbe il titolo di s. Salvatore. Nei cataloghi romani del secolo XV è indicata come filiale della basilica di s. Maria in Trastevere; presso di essa dimorarono Gaetano da Tiene, e Giuseppe Calasanzio, che ivi gettarono le fondamenta dei loro rispettivi Ordini. Nel 1738 la parrocchia fu affidata ai padri Conventuali che edificarono la chiesa coll'ampio convento.
Architetto di questa chiesa fu Giov. Battista Nolli, il celebre autore della pianta di Roma. Sotto l'altare maggiore, ricco di scelti marmi, si custodisce il corpo della santa titolare. Secondo un uso romano, che ricorda i semplici costumi della città, si solevano sulla questa di questa chiesa affiggere in un cartello i nomi di coloro che non avevano adempiuto al precetto pasquale. Presso la chiesa vi è una piccola cappellina dedicata alla Vergine Desolata.
Fra le chiese tassate dal papa Pio IV per la sovvenzione dei poveri, n'è notata una di s. Agnese nel rione di Trastevere, la quale possedeva una rendita annua di quindici ducati. Tranne il Martinelli che la cita, nessun altro scrittore che abbia scritto intorno alle memorie romane di s. Agnese fa menzione di questa chiesa trastiberina della celeberrima eroina romana. In qual sito del Trastevere precisamente la chiesa suddetta sorgesse, quale fosse la sua antichità, quali memorie si conservassero della martire, confesso d'ignorarlo assolutamente.
Anche questa chiesa, di cui non rimangono più notizie, fu distrutta alla fine del secolo XVI, come afferma il Martinelli. Ma in quale luogo del Trastevere sorgesse, da quell'autore non è ricordato.
Nel catalogo delle chiese di Roma ordinato da s. Pio V, che esiste nell'archivio vaticano, trovo fra quelle del Trastevere s. Maria dell'Oliva, a cui era annesso un monastero di monache di s. Francesco. Forse non stava lungi da s. Apollonia.
Sorgeva nel Trastevere presso il palazzo o le case dei Papareschi. Ne ho trovato notizia soltanto nel Martinelli.
a C'è ovviamente qualcosa che non va, che manca alla spiegazione, o che non capisco. Sul cenotafio in S. Maria in Trastevere, ambedue epigrafi dall'Armellini citate recano la data M D XXIIII.
❦
b Secondo il Lanciani (Pagan and Christian Rome, p128) l'esistenza della chiesa di S. Pietro in Montorio è dovuta a due sepolcri piramidali romani: uno presso la chiesa di s. Maria in Traspontina, chiamato dal volgo nei secoli di mezzo Meta Romuli, l'altro il sepolcro di Caio Cestio presso la porta S. Paolo che dicevasi Meta Remi; per una specie di calcolazione ermetica, il punto equidistante dai sepolcri dei fondatori di Roma è stato preso per il luogo preciso della crocefissione dell'apostolo, il simbolico rifondatore della Città.
Immagini con bordi conducono ad informazioni: più spesso il bordo più ampie le informazioni. (Dettagli qui.) | ||||||
A
MONTE: |
Armellini: Chiese di Roma |
Chiese di Roma |
Roma |
Pagina principale |
VEDI
ANCHE: |
Topographia Vrbis |
Una pagina o un'immagine su questo sito è libera di diritti soltanto se la sua URL reca un solo *asterisco. Se l'URL reca due **asterischi — insieme o separati da altri caratteri — il copyright appartiene a qualcun altro, e viene utilizzata qui con permesso o in applicazione del "fair use" del diritto americano. Se non reca nessun asterisco rimane © Bill Thayer. Vedere la mia pagina sul copyright per tutti i dettagli e per prendere contatto con me. |
Pagina aggiornata: 21 giu 20