mail: William Thayer |
English |
Aiuto |
A monte |
Home |
|||
|
Entrano in questo catalogo principalmente quelle chiese le quali, benchè poste fuori della città e delle sue mura, appartengono però alla zona propriamente detta del suburbio, chiusa entro il raggo dal primo al terzo miglio. Quelle più lontane o remote non appartengono propriamente a Roma, ma o alle sedi suburbicarie o agli antichi pagi e domus cultae della campagna romana. Però anche di alcune di queste, specialmente delle più antiche, ho dato un cenno.
Alle chiese della via Flaminia aggruppo quelle delle adiacenze della medesima, comprendendovi tutto il monte Mario e un tratto della via Cassia, di cui non è peranco bene determinato nel primo tratto della città l'andamento.
La storica e bella collina che chiamasi monte Mario fu già detta mons Maus da Benedetto del Soratte, e secondo le cronache del secolo XII ebbe quell'infausto nome, dopo che su quelle alture fu appeso ad una forca il cadavere di Crescenzio ai 30 aprile del 998.
Nella Chronica regia s. Pantaleonis abbiamo che si chiamava però anche mons Gaudii dalla ridente sua vegetazione e dal magnifico panorama che di là si gode della città eterna. Gli antichi Romani dettero a questo monte il nome di clivus Cinnae, e Marziale nel quarto dei suoi epigrammi descrive il maestoso spettacolo che da quel colle si ammira:
p834 Molte e antiche chiese fino dai primi secoli del Cristianesimo furono innalzate su quella vetta ed appresso le sue falde, fra le quali ricorderò le seguenti:
Questa chiesolina che sorgeva sul culmine del monte Mario è stata testè demolita a cagione delle opere di fortificaione intrapresevi dal genio militare fra il forte monte Mario ed il bastione vaticano.
Fino al principio di questo secolo sussisteva un'antica chiesa situata alle falde del colle nella villa Medici, più comunemente detta Madama, ove rimanevano tracce di pitture assai antiche. Per quante ricerche, però, abbia fatte del suddetto monumento, nessun indizio ne ho rinvenuto, onde credo che nella prima metà di questo secolo, e forse nelle vicende del 1848, fosse abbattuto o ridotto ad altro uso. Era esso importantissimo, come l'unico monumento che Roma serbava a ricordo della grande btl vinta da Costantino sopra Massenzio, e di quella vittoria che segnò il principio dell'ultimo definitivo trionfo della civiltà cristiana sul panteismo e sulla civiltà pagan.
Quella chiesa insomma era il monumento di quella grande vittoria ed appellavasi oratorium s. Crucis, poichè dedicata al culto della Croce, a ricordo della notissima visione del signum Christi a Costantino, che precedette quel fatto d'armi. Nella celeberrima e antichissima processione che si soleva fare nelle litanie maggiori il giorno di s. Marco, da s. Lorenzo in Lucina alla basilica di s. Pietro per la via Flaminia, dopo la stazione alla chiesa di s. Valentino al primo miglio della via, oltrepassato il ponte Milvio, la processione faceva sosta a quest'oratorio detto ad Crucem, ove si recitava la seguente orazione: Deus qui culpas nostras piis verberibus pecutis ut nos a nostris inquitatibus emundes, da nobis et de verbere tuo proficere, et de tua citius consolatione gaudere; prece che si legge nell'Orationale pubblicato dal beato card. Tommasi. Dal Libro pontificale si ricava che la suddetta processione era in uso fino dai tempi del terzo Leone, il quale appunto in questa solennità fu vittima di scellerata congiura: benchè taluni vorrebbero attribuirne l'origine al Magno Gregorio.JJJ Quindi quell'oratorio esisteva almeno dal secolo VIII e probabilmente le sue origini sono p835 anche più antiche. Alla fine del secolo XV è a credere che il celeberrimo oratorio fosse assai fatiscente e forse profanato. Onde la nobile famiglia dei Millini, quella medesima da cui era uscito al tempo di Sisto IV il celebre card. Giambattista, che possedeva la bellissima villa di monte Mario, riedificò ed amplioof sulla più alta vetta del monte un oratorio erettovi dal vicario del papa nel 1350. Il lavoro fu compiuto dal Millini nel 1470: era questi fratello del cardinale di cui dicemmo, e figlio di Saba Millini, uomo dottissimo, conte palatino del Laterano e cancelliere della città di Roma, padre di Mario, Girolamo e Celso, che ebbero anche essi grande rinomanza. Resta anche oggi la torre del palazzo di quella famiglia col nome di Tor Millina, palazzo che fu atterrato da Innocenzo X per la fabbrica della chiesa di s. Agnese over era la residenza degli oratori di Spagna.
Tutti gli scrittori del secolo XVI sono d'accordo sull'origine della chiesa, attribuendole a fondatore Pietro Millini, come infatti attestano il Panciroli,JJJ il Torrigio,JJJ ed altri.
Più tardi il card. Mario Millini fondò nella chiesuola di suo giuspatronato una cappellania con messa quotidiana, e vi pose le reliquie di un corpo tolto dalle catacombe romane di nome Moderato, benchè non sappiasi se veramente questo nome si leggesse sulla pietra sepolcrale del cimitero da cui quelle reliquie furono tolte, o veramente gli fosse attribuito allora.
Infine il luogo dove dalla pietà dei Millini venne eretto quell'oratorio, era da una pia tradizione indicato come quello in cui Costantino apparve il miracoloso segno alla vigilia della battaglia combattuta al ponte Milvio l'anno 312. Il che è storicamente falso, poichè narra Eusebio, cui Costantino riferì l'avvenimento, che il simbolo luminoso della croce apparve innanzi che incominciassero le operazione militari; onde è a credere che la visione del Signum Christi, cioè del nome monogrammatico di Cristo ☧, nel quale si nasconde in forma dissimulata anche la croce, avvenisse al di là delle Alpi e prima delle espugnazioni di Susa, Torino e Vercelli. Ma se la tradizione suddetta è priva di fondamento storico in ordine alla prodigiosa apparizione in quel luogo, non scevra d'ogni ragione storica è l'esistenza del più antico Oratorium Crucis, e del secondo dei Millini sul monte Mario, i quali oratorî si rannodano all'ultimo e definitivo fatto d'arme fra i due rivali Costantino e Massenzio. Quindi disparendo da Roma l'unica memoria cristiana p836 che a quel grande monumento si riferisce, sarebbe desiderabile che la stessa autorità militare sostituisse in quel sito una qualche lapide, almeno come ricordo storico di quella memorabile battaglia.
Negli ultimi secoli fu grande la venerazione dei Romani verso quel divoto santuario, al quale nelle pubbliche calamità accorsero più volte in processioni di penitenza, massime nella peste che desolò Roma sotto Alessandro VII, conosciuta sotto il nome di morìa.
Attualmente il proprietario della villa Millini è il signor cavalier Luigi Manzi che l'acquistò dal card. Flconieri, alla cui famiglia dai Millini era passata la proprietà. L'egregio gentiluomo possessore dell'oratorio suddetto, con delicato e nobile pensiero, non solo prese cura delle reliquie che in quello si custodivano, ma a disposizione della ecclesiastica autorità pose le iscrizioni, le reliquie, la divota e vetusta imagine del Crocifisso che ivi veneravasi.
E veramente nel rimuoversi i marmi, dei quali era fino dall'origine lastricato il pavimento della chiesa, si scoprioron molte e pregevoli iscrizioni tolte dai cimiteri cristiani, secondo il deplorevole uso invalso spe nei secoli XVI e XVII. Delle principali pongo qui il testo:
VICTOR TE IN PACE
MATER FILIE FECIT
VERA LEVNINO COMPARI BENEMe
RENTI EN PACE (sic)
MAXIMVS HIC SITVS EST PRIMAEVO FLORE IVVENTAE [ALT dell'immagine: missing ALT] FORO . . .
. . . OLLI (?) QVIPPE AETAS VIGINTI EST ACTA PER ANNOS [ALT dell'immagine: missing ALT] QVIA . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . PVTIVLANVS . . .
ΤΗΝΨΕΜΝΟΤΑΤΕΝ(-)VΑΤΕΡΑΝ . . . . .
ϹΤΕΡΚΟΡΙΑΝΟΙΓΟVΕΙΨΕΝ . . . .
ΕΙΡΗΝΗ
. . VLPIA . LE . COI . . . . . .
QVI VIXit . . . . . .
. . . T . . . DIES . IIII . . . . .
FA . . . . .
. . .fELICIONI [ALT dell'immagine: missing ALT] . . . . .
. . aNNIS . XXXIIII . . . .
HORA . V. BENEMERENTI . . .
. . . ANNOS III . . . .
D M M (sic)
. . CABILIO EGVME
. . NO ET ABILIA ENICA
RETVSE COIVGI
CENERMERETI (sic) FECITE
. . . [ALT dell'immagine: missing ALT] . . . .
Rufino (?) QVI VIXIT ANIS
VII . NENSES (sic) VI . DIES
DEP . III . KAL . SEPA .
p837
☧
. . . . ALLISTVS TERINE
. . . . OIVGI IN PACE
DECORATVs . . . . . . . . .
PATRI . DVLCISSIMO POMPEIA . FILIA IRENICO
ET ELIANA . CONIVNX . BENEMERENTI
FECERVNT . QVI VISIT . ANNIS . LVI . M . III . IN PACE
ΚΛΑΖΑΠΡΡΝΤΙΑ
ΕΝ ΕΙΡΗΝΗ
(uccello con ramo in bocca) (uccello con fiore in bocca)
. . NIBVS I . . .
. . MARTI ISPIRITVS . . .
. . . . DVLCIS AMICus
. . SEM QVARTVM . . .
DF V . KAL NOB
[ALT dell'immagine: missing ALT]TVVS IN BONO REFRIGERET PETE . . .
La maggior parte di queste iscrizioni, come ho già accennato, sono cimiteriali, cioè tolte dai loculi delle nostre catacombe, benchè non possa determinare a quale dei tanti cimiter della Roma sotterranea appartengano: sono quasi tutte del secolo III, anteriori alla pace di Costantino.
Una è notevole pel nome Putiulanus del defunto, nome tolto forse dalla patria del medesimo o di sua famiglia, originaria di Puteoli (Pozzuolo) e per idiotismo di pronuncia sostituito alla vera ortografia Puteolanus.
La bella raccolta di case pietre sepolcrali cristiane si custodisce oggi nella segreteria dell'em̃o vicario a cui furono offerte dall'illm̃o mons. Francesco Santovetti.
La piccola chiesuola aveva una sola navata, le cui pareti erano decorate di stucchi ed ornati compiuti nel 1696, allorchè la chiesa fu restaurata, come si leggeva in una delle due epigrafi dipinte nell'architrave della porta della sacrestia:
SACELLVM HOC IN MONTE VBI EX ANTIQVA TRADITIONE — CONSTANTINO MAGNO CRVX DE COELO VISA EST — IN HONOREM SSMAE CRVVIS ET DOMINICAE PASSIONIS MEMORIAM — ET B. B. M. V. DEVOTIONEM A FAMILIA DE MILLINIS ANTIQVITVS ERECTVM — A SAVO CARDINALI MILLINO MARIO ET NICOLAO EX FRATRE PETRO NEPOTIBVS EX DEVOTIONE RENOVATVM — ET IN HAC MELIOREM FORMAM REDACTVM EST — ANNO REPARATAE SALVTIS MDCLXXXXVI.
p838 Sulla parete opposta v'ha il seguente elogio della ss. Croce:
Ho accennato che l'oratorio della Croce, rinnovato dai Millini nel secolo XV, era assai più antico; e ciò risulta dalla seguente epigrafe murata a sinistra di chi entra e scritta nei così detti caratteri gotici del secolo XIV:
HOC ORATORIUM FECIT FIERI EX DEVOTIONE D. PNCIU EPISCOPUS URBEVETANUS ALME URBIS VICARIUS ANNO IUBILEI M CCCL ET CONCESSIT CUILIBET DEVOTE HIC ORANTI DE INDULGENTIA XL DIES |
Sulla porta poi del medesimo oratorio Pietro e Mario Millini fecero scolpire quest'elogio,JJJ di cui riporto qui il testo:
SALVE CRVX PRETIOSA QVAE DE CORPORE CHRISTI DEDICATA ES ET EX EIVS MEMBRIS TAMQVAM MARGARITIS ORNATA. AVE AVXILIVM MEMORIA, REFVGIVM MEVM CRVX SANCTA, VIRTVS MEA, AVE CRVX ADORANDA LAVS ET GLORIA NOSTRA. TV ES CONSOLATIO OMNIVM MENTIVM — AVE CRVX VICTORIOSA ET SPES NOSTRA, AVE CRVX REDEMPTIO NOSTRA ET LIBERATION NOSTRA. SALVE SIGNVM SALVTIS NOSTRAE ATQVE INEXPVGNABILIS MVRVS CONTRA OMNEM VIRTVTEM INIMICORVM. SIS NOBIS RESVRRECTIO MORTIS NOSTRAE, SIS NOBIS SEMPER SALVX ET SPES CHRISTIANITATIS, SIS NOBIS TRIVMPHVS ADVERSVS DAEMONES ET CONTRA OMNES HOSTES INVISIBILES, SIS NOBIS IN OMNIBVS TRIBVLATIONIBVS ET ANGVSTIIS CONSOLATIO ET LIBERATIO NOSTRA. AMEN. TVAM CRVCEM ADORAMVS DOMINE. PER CORPIS SANGVINIS TVI MISTERIVM ET QVINQVE VVLNERA QVAE PRO NOBIS PERTVLISTI FAC NOBIS PER VITAE CONVERSATIONEM ET MORVM EMENDATIONEM EX ILLIS FIERI QVOS PRETIOSO SANGVINE REDIMERE DIGNATVS ES, QVI TECVM CVM DEO PATRE IN VNITATE SPIRITVS SANCTI DEVS PER OMNIA SAECVLA SAECVLORVM. ECCE CRVCEM DOMINI FVGITE PARTES ADVERSAE. VICIT LEO DE TRIBV IVDA RADIX DAVID ALLELVIA. — PETRVS ET MARIVS MELLINI FIERI IVSSERVNT MCCCCLXX.
p839 L'epigrafe di Ponzio, vescovo d'Orvieto e vicario del papa in Roma, come vedemmo, ci riporta al giubileo dell'anno 1350. Quel marmo è perciò un rarissimo monumento storico di quel grande avvenimento che trasse in Italia e in Roma un immenso numero di pellegrini, pei quali mancarono in Roma gli alloggi, onde molti furono costretti ad attendarsi in mezzo alle piazze. Il Ponzio che ricorda l'epigrafe, fu Ponzio Perotti d'Orvieto, il quale fu sostituito nel reggimento ecclesiastico della città, dopo che ne partì il card. annibaldo, a cui fu tirato un colpo di balestra durante una processione da un partigiano del tribuno Cola di Rienzo.
Fra i pellegrini di quel giubileo è da ricordare il re Luigi di Ungheria che era tornato nelle Puglie, ed il Petrarca. L'oratorio della Croce sulla vetta del monte Mario, ricordava adunque, e ne era anche il monumento, quel giubileo al quale si ranodavano pagine così interessanti della storia d'Italia e dir; sarebbe perciò lodevolissimo provvedimento, lo ripeto, che di così grandi memorie rimanesse sul posto almeno un qualche ricordo.
Di questa sussistevano fino al principio del nostro secolo, come si è detto, gli avanzi alle falde del colle, nella villa già Medici, poi Madama, e nella quale il d'Agincourt vide e ritrasse disegni di pitture che giacono inedite fra le sue carte nella biblioteca vaticana. Molte ed accurate ricerche feci per scoprire tracce dell'oratorium s. Crucis, il quale fu forse abbattuto nelle note vicende guerresche del 1849.
Importantissimo era quel monumento, perchè anch'esso si collegava alla celebre battaglia del ponte Milvio e alla apparizione del Signum christi a Costantino, a ricordo dei quali avvenimenti era stato eretto fino dai primi secoli della pace.
Cessata la celebre processione per la Flaminia, di cui abbiamo discorso di sopra, onde la nobilissima famiglia de' Millini, sulla più alta vetta del colle, nella magnifica villa fabbricata dai suddetti edificò alla fine del secolo XV un nuovo oratorio della Croce, che testè è stato abbattuto dal genio militare a cagione delle opere di fortificazione.
Nella cronaca di Benedetto del Soratte è ricordata una chiesa di s. Clemente s Mons Malus. Ma non è indicato il sito preciso dove sorgeva.
Questa chiesa era presso la via Flaminia, ed è notata nel codice di Torino, benchè in quell'epoca fosse già abbandonata: ecclesia S. Mariae in Falcone non habet servitorem; risulta pure dal codice suddetto che era nelle adiacenze del monte Mario, però ai piedi del medesimo.
Il Martinelli cita un istromento di concessione d'enfiteusi fatta dal capitolo di s. Eustachio a Girolamo Basso cardinale di s. Grisogono ai 12 d'aprile del 1483, in cui si fa parola della chiesa di s. Maria in Falcone. Dice il Martinelli che sorgeva nel luogo presso ilponte Milvio detto la Farnesina, ove appunto egli vide gli avanzi di quella chiesa per indicazione fattagli da un cotal don Alessandro Siri. Io ho forte sospetto che questa fosse l'anzidetta della Croce, la quale poi mutò forse il titolo in quello di s. Maria in Falcone. In una carta infatti dell'anno 1484JJJ trovo una donazione: cuiusdam vineae extra portam Castelli in loco qui diturº Falconi fatta monasterio s. Cosimati a Sisto IV pro anima quondam bonae memoriae domnae Franchetti olim germanae ecc.
Questa chiesolina era dedicata a s. Giovanni Battista ed era situata fuori la porta Angelica nella via Trionfale, sotto la Valle dell'Inferno alle radici del monte Mario. Fu distrutta nel 1849, ed era uffiziata dalla confraternita del Rosario a monte Mario, ma apparteneva al capitolo di s. Pietro.
Era situata sopra una delle prominenze del monte Mario detta Geretulo, il che risulta da una bolla di Leone X dell'anno 1053.JJJ
Esiste tuttora alla destra della via che mena al monte Mario, ai piedi di questo colle. Era destinata per cappella di un annesso ospedale o lazzaretto dei colpiti da lebbra o altri mali contagiosi. Gli infermi, scrive il Sodo, so molto ben governati sotto la custodia del maestro di casa del papa. La chiesa fu riedificata nel 1536 da Domenico Garison; ma le sue origini sono assai più antiche, perchè la prima edificazione rimonta all'anno 1187 ai tempi di Gregorio VIII, allorquando vi fu ricoverato un francese affetto di lebbra. Nel 1598 vi fu eretta la congregazione dei vignaiuoli. Eccone la descrizione che ho trovato nello Stato temporale delle chiese all'anno 1662:
"La chiesa parrocchiale di s. Lorenzo è situata alle radici del monte Mario rione di Borgo fuori di porta Angelica intorno un miglio nella strada romana per andare a Fiorenza, fu fondata sì come appare per iscrittione sopra l'altar maggiore da Domenico Garison per sua devotone nel MDXXXVI sotto l'invocatione di s. Lazzaro. È longa palmi 57, larga palmi 56, alta palmi 28. Ha tre navate a tetto, colonne di marmo 6, con choro, sacrestia, campanile, campane distrutti. Ha altari n. e, speu n. 7. È annessa al rev. cap. di s. Pietro, ha cure d'anime la quale si esercita da un parroco al presente d. Marco Laureti da Stoffia amovibile nominato dal sud. capitolo con provisione di scudi cinque il mese et incerti i quali anno per anno ascenderanno a scudi 15 l'anno. Nella detta chiesa vi è una confraternita del ss. Sacramento, la quale si mantiene con l'elemosine e del sopravanzo si maritano distrutti sitelle l'anno. Nei limiti et dentro la parrocchia si trovano cappelle num. 6.
La cappella di s. Giovanni alli Spinelli, dell'illm̃o capitolo di s. Pietro.
"La cappella della Madonna del Pozzo, del medo.
"La cappella di s. Maria della Febbre, de' Padri di s. Pantaleo alli Monti.
"La cappella della Croce, del sig. Urbano Millini.
"La cappella di s. Michele Arcangelo, de' Vigniaroli.
"La cappella del sig. don Bartolomeo Neri al fin delle Vignie.
"I confini della parrocchia sono:
"A porta Castello confina con la Traspontina.
"A ponte Molle confina colla parrocchia del Popolo.
p842 "Alle tre capanne colla parrocchia dell'Isla.
"Alla Valle d'Inferno colla parrocchia di s. Angelo alle fornaci. A porta Angelica con s. Pietro.
"Nel tabernacolo vi si legge:
DCO DE GARCOS AFF. A . M . DXXXVI |
"La chiesa in origine era dedicata s. Maria Maddalena. Paolo V nel 1621 restaurò l'ospedale ove nella domenica di Passione i Romani solevano recarvisi non solo a vedere le miserie umane dei poveri Lebbrosi ma a sovvenirle e servirle."
Alli radici di monte Mario sorgeva anche un oratorio sacro a questa santa, ma del medesimo è scomparso ogni vestigio.
È il titolo della elegante e divota chiesa che sorge sul più alto culmine del monte Mario dalla parte che domina la città. Ha annesso un grazioso convento di Domenicani della congregazione di s. Marco di Firenze. Essendo fatiscente e di difficile accesso, fu dal papa Gregorio XVI restaurata e messa a nuovo. Fu eretta nel 1641 dai frati di s. Onofrio; Benedetto XIII la diede ai Domenicani che la riedificarono.
Questa chiesolina è situata presso la suddetta di s. Lazzaro, ed era celebre per una fiera che vi si teneva nel secolo XVI. Ebbe quel titolo perchè l'imagine che si venerava fu estratta da un pozzo vicino.
È la parrocchia rurale del borgo Clementino situata sul prolungamento del monte Mario dalla parte che domina il Tevere. Dai Romani si conosce più comunemente col nome di p843 s. Onofrio ni campagna, perchè il convento era tenuto dai pp. Girolamini di s. Onofrio. Fu edificato con i legati lasciati dall'abate Bartolomeo Neri. La fabbrica fu fatta dal p. Angelo Biagioni. Egli ridusse a convento il palazzo del Fioravanti, e vi fabbricò la chiesa dalle fondamenta, servendosi dell'opera di un maestro Antonio Palumbo.
Anche una chiesa dedicata a s. Agata sorgeva fino dal secolo XIII su queste storiche colline.JJJ Ma non ne rimane oggi più traccia; io la giudico antichissima, e forse a questa chiesa si rannoda un piccolo ed abbandonato ipogeo cristiano del secolo IV, esistente nelle vicinanze di s. Onofrio ni campagna.
Trovasi presso la cripta sepolcrale del martire s. Valentino al primo miglio dalla via Flaminia, scoperta già dal Bosio, e adorna di preziosi affreschi del secolo VII ed VIII, poi ritrovata dal ch. professor Orazio Marucchi nel 1878.JJJ Questa basilica fu edificata nel secolo IV, e di essa all'età del Bosio rimanevano ancora in piedi gli avanzi; ma dopo la morte di quel sommo era di nuovo caduta nel più assoluto oblio. Nel gennaio dell'anno 1693 di quella una casa, s'erano imbattuti, come narra il p. Agostino Lubini, in una parte della medesima basilica e dell'adiacente cimitero, e da quel cavo vennero in luce iscrizioni sepolcrali.JJJ
Nel febbraio del 1888 il comune di Roma, espropriata la vigna Tanlongo per i lavori della nuova passeggiata Flaminia, facendo fare uno sterro considerevole in quel luogo, ritrovò i sepolcri e gli avanzi dell'antica basilica di Giulio I e di Onorio. Da quell'escavazione tornò in luce l'intiera pianta della basilica, la parte inferiore dell'abside, e la confessione; e mentre si allargava lo scavo intorno ai ruderi della basilica predetta, si veniva demolendo per la stessa cagione non lungi dalla vigna p844 già Tanlongo un rustico casolare, da cui venne in luce un bellissimo frammento d'epigrafe damasiana, disgraziatamente mancante del nome del personaggo, relativo ad un martire prete; il fra conserva le lettere seguenti:
BEATISS . . . . . PRESBY . . . . . . |
Il supplemento è chiarissimo: s. Damaso sul sepolcro del martire Gennaro aveva posto nel cimitero di Pretestato il bellissimo titolo monumentale così formulato: Beatissimo Martyri Ianuario Damasus episcopus fecit; onde qui si deve leggere:
Ma siccome l'epigrafe mancante del nome del martire non è venuta in luce dalla basilica, ma a distanza non grande dal clivus cucumeris, ove fu sepolto altro martire e prete di nome Giovanni, a quale dei due martiri appartiene il titoletto? La risposta potranno darla le scoperte future. Altri tre frammenti di iscrizioni damasiane attestano che Damaso adornò dei suoi lavori quel cimitero e curò le tombe dei martiri del cimitero di Sabinella. Sventuratamente sono schegge dalle quali non può ricavarsi alcun senso. Fu trovato inoltre fra le molte iscrizioni del cimitero sopraddetto un frammento d'epitaffio di un prete del titolo di Lucina; da che si può sospettare che da quel titolo dipendesse il cimitero di Sabinilla o Sabinella:
Ma le iscrizioni di tutte più importanti sono alcune, disgraziatamente frammentate, nelle quali è ricordato il martire eponimo del cimitero, s. Valentino.
Il primo frammento si riferisce ad una iscrizione metrica, nella quale si accenna forse ai lavori di abbellimento e di restauro fatto al sepolcro dello stesso martire da un suo divoto:
HIC PASTOR MEDICVS MONVMEN . . . fELIZ DVM SVPEREST [ALT dell'immagine: missing ALT] CONDIDIT II . . . PERFECIT CVMCTA EXCOLVIT QVI . . . CERNET QVO IACEAT POENA N . . . ADDETVR ET TIBI VALENTINI GLORIA Sancti
VIVERE POST OVITVM . DAT Deus . . .
|
p845 La formula della penultima linea addetur et tibi Valentini gloria sancti si riferisce senza dubbio all'intercessione del santo.
In sottili lastre marmoree, scritte con caratteri corsivi del IV secolo, si legge pure un lungo epitaffio contenente un catalogo di nomi di molti sepolti forse in un poliandro. Nella quarta riga d'uno dei frammenti rimangono le parole ad domnum, titolo notissimo che si dava ai santi nel secolo IV, detti domini, e poscia domini sancti. Quindi, se il marmo fosse stato integro, vi avremmo letto certamente ad domnu(m) Valentinum: nella penultima linea si legge la parola refrigeri, relativa al refrigerio chiesto a quei fedeli per l'intercessione del martire, come leggiamo per esempio in altri marmi. Il testo dei due frammenti è il seguente:
ASEN PETRV QVi
QVI RECEISDVS
AD A . . D DOMNV VALentinum
RECESET D VII KALENDAS AVGVS
TAS BRVCIA REFRIGERI
TIBI Valentinus
Il sacro edifizio è addossato a quella parte del colle sotto il quale si svolge il cimitero di s. Valentino. Era a tre navi, e la sua fronte era rivolta sulla via Flaminia; le colonne erano di ordine ionico poggiate su basi antiche, tre delle quali sono ancora al posto. Rimane fra i ruderi un solo capitello e un fusto di colonna di granito rosso.
La nave di mezzo è larga dodici metri, e nel fondo in mezzo all'abside v'ha una costruzione elevata che fu il bema o prolungamento del presbiterio. Ivi apparve fra le rovine la base del candelabro del cero pasquale di forma piramidale a gradini. Dal piano del bema per mezzo di alcuni gradini si saliva all'abside, che nel suo centro in una nicchia conteneva la cattedra. Innanzi all'abside, a breve distanza, si vedono le tracce dell'altare sotto cui era il sepolcro di s. Valentino.
Dell'altare si rinvennero alcuni frammenti delle transenne che lo circondavano, in una delle quale si leggevano le lettere MARtyris? Fra la nave di mezzo l'abside v'ha un ambulacro ad un livello più profondo, le cuis estremità fanno capo alle due p846 navi minori, alle quali da quel corridoio si sale per alcuni gradini. Questo era ricoperto di lastre marmoree, e nel centro del medesimo, quasi sotto il posto dell'altare, v'ha la nicchia del martyrium o confessione, corrispondente al sepolcro del martire. Le due navi minori terminano anch'esse con due nicchie; in quella di sinistra v'ha ancora il sostegno di una piccola mensa d'altare, forse l'oblationarium corrispondente al παρατράπεζον dei greci, destinato per la preparazione del sacrificio; quelle nicchie erano adorne di pitture e d'iscrizioni dipinte; in quella a sinistra si vedono tracce di fiori e festoni e gli avanzi delle seguenti lettere di color bianco, scritte su fascia di fondo azzurro:
. . . SCI ET BEAT . . . . OMARI . . . TIOM . . . SIEC . . . |
Sembra, come propone sagacemente il Marucchi, che la leggenda si riferisca a più santi, Scissimis et Beatissimis . . . Forse quella cappella fu dedicata anche a s. Zenone ed ai martiri persiani Mario e Marta, Audiface ed Abacum, compagni nel martirio di s. Valentino. La nicchia in fondo alla nave destra non è circolare, ma rettangolare: nella parete di fondo sono visbili due difficili strati d'intonaco dipinto. Lo strato superiore è caduto: vi si vedeva una testa femminile e a destra le seguenti lettere:
I S TR I S |
La lunghezza della basilica è di circa quaranta metri, la nave sinistra supera circa sei metri di larghezza, ed altrettanti incirca la nave destra; avendo i diversi restauri reso un poco irregolare la pianta primitiva.
Infatti nella prima metà del secolo XI sotto Niccolò II (a. 1058‑1061) fu la basilica restaurata per opera di Teubaldo abate dell'annesso monastero. Ciò risulta da una lapide tuttora esistente nella chiesa di s. Silvestro in Capite, che nel medio evo aveva giurisdizione sul monastero della via Flaminia.
In quell'epigrafe l'abate Teubaldo narra che egli restaurò la chiesa perchè minacciava rovina, ne rinforzò il tetto e ne rinnovò i portici: Huius ecclesiae tres trabes mutavit porticusque circa sunt omnes renovavit; ornò la chiesa di imagini: Yconas vero quinque fecit . . . . passionarium in festivitate s. Valentini; p847 costrui il campanile ed il recinto del monastero: campanile campanas II . . . clausuram monasterii a fundamento construxit: ed il giorno 3 febbraio del 1060 questi lavori furono dedicati:
Fin dal secolo XIII il corpo del martire era stato di là tolto e portato in s. Prassede nella cappella del suo fratello Zenone.
Intorno a questa basilica e al cimitero di s. Valentino recentemente il ch. Marucchi ha scritto una interessante monografia.
Di questa chiesa ho trovato la seguente menzione nella cronaca manoscritta di suor Orsola Formicini. Nel 1031 il papa Giovanni XIX locò un casale detto s. Angelo con una chiesa detta pure s. Angelo, che stava fuori alla porta i s. Pietro nono milliario ab urbe Roma.
Questa piccola edicola con oratorio annesso, dipendente dall'arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini, trovasi poco prima del ponte Milvio a destra della via. Era ornata di quattro colonne di alabastro listato e nel cr v'era la statua dell'apostolo scolpita pure in alabastro dai due scolari del Filarete, Varrone e Niccolò da Firenze. Questa memoria fu eretta dal papa Pio II in ricordo della cerimonia che ivi ebbeluoghi il giorno 11 aprile del 1462; in cui fin là sin condusse il papa ad incontrare il celebre card. Bessarione che seco recava il capo djh apostolo s. Andrea, da Tommaso Paleologo despota di Morea portato già da Patrasso ad Ancona.
Nel 1566 l'arciconfraternita dei Pellegrini chiese a s. Pio V l'oratorio, e l'ottenne. Innanzi ha un piccolo cimitero, nel centro del quale ergesi un piccolo tempietto ovest'è la statua di s. Andrea. Il giorno 5 ottobre del 1866 un fulmine piombò su questa edicola rovinandola; nel 1869 venne ricostruita a spese degli artisti del pio luogo, e le quattro colonne d'alabastro furono sostituite da altre di travertino.
All'ingresso dell'edificio sono scolpite le armi del card. Piccolomini, nipote di Pio II. La cappella od oratorio annesso fu edificato l'anno 1566 dall'arciconfraternita suddetta.
Cappelletta posta presso la via Flaminia sotto l'arco oscuro, la quale era custodita da un eremita.
A destra della via Flaminia, prima di giungere alla chiesa di s. Andrea della Trinità dei Pellegrini, v'era una cappelletta nella quale, per lascita fatta alla confraternita del ss. Sacramento di s. Lorenzo in Lucina, si dovea celebrare la messa ogni domenica, e la confraternita solennizzarvi la festa il giorno del Nome di Maria. Sul quadro dell'altare era dipinto s. Raffaello col piccolo Tobia.
Nella stessa via Flaminia, poco dopo il pro chilometro dalla porta, v'ha un'altra chiesa dedicata allo stesso apostolo s. Andrea. È questo un capolavoro dell'architettura moderna, il monumento più insigne di Giacomo Barozzi da Vignola. Fu fatto innazlare da Giulio III in memoria d'essere stato liberato, quand'era prelato, dalle orde di Carlo V che mettevano a ruba e a sacco la città, nel giorno in cui celebravasi la festa del santo apostolo: liberazione che il Del Monte dovette al card. Pompeo Colonna. Scelse poi quel luogo perchè ivi il card. Bessarione si fermò alquanto colle sacre reliquie dell'apostolo.
Al IX miglio dalla porta Flaminia sulla via Cassia, non lungi dell'antica stazione postale detta la Storta, v'ha una chiesuola rurale. Essa si collega alla storia del grande patriarca s. Ignazio, poichè quivi l'anno 1537 gli apparve il Signore, assicurandolo della sua missione e confortandolo colla nota promessa fatta a lui e alla sua ammirabile compagnia: Ego vobis Romae p849 propitius ero. Nel 1700 il padre Gonzalez, preposito generale della compagnia, vi fece porre la seguente epigrafe:
Una basilica dedicata a questo santo vescovo di Brindisi sorgeva sul primo tratto della via Flaminia non lungi dal ponte Milvio. Era così antica che il Libro pontificale narra di restauri intrapresivi dal papa Adriano I. Ma sul luogo non ne resta la più piccola traccia. Ne fa menzione anche una volta s. Gregorio, e due volte se ne trova un cenno nella vita di Benedetto III; indi per l'ultima volta sotto s. Gregorio. Nel secolo XVIII se ne mostravano ancora le ruine presso Tor di Quinto.JJJ
In una lettera inedita dal Ciampini, che ho trovato nell'archivio vaticano diretta al card. Noris, leggo queste parole:
"Circa al V miglio dalla porta Flaminia vedonsi le vestigia d'un'antica chiesa quale a mio credere stimo possa essere quella di cui si fa menzione nella vita di Adriano I, sotto il nome di s. Leucio."
Nello stesso documento del Ciampini leggo quanto segue:
"Vicino a prima porta in un prato a mano destra osservammo una piccola chiesa abbandonata, nella quale eravi annesso il suo campanile. Di questa, riferisce il Martinelli nel suo trionfo della Croce, essere stata antichissima sotto il titolo di s. Lorenzo. V'era un ospedale servito da oblati et oblate di cui trovasi menzione nell'anno 1243."
È indicata dai topografici dei secoli VI e VII, che venerarono in quel santuario e nel luogo detto clivus cucumeris il capo del martire Giovanni, al quale quella chiesa era edificata sul cimitero detto ad septem columbas. La chiesa perciò fu anche chiamata dal compilatore dell'index coemeteriorum inserito nella Notitia: ad caput s. Ioannis. Il Giovanni predetto fu prete ai tempi di Giuliano l'Apostata, e dopo aver data sepoltura a s. Bibiana, fu decapitato nel luogo medesimo in cui fu deposto, innanzi ad un simulacro sul Sole che sorgeva appunto sul clivo del cocomero. Il capo di questo martire, come dissi, con eccezzione quasi unica nei primi secoli della pace della Chiesa, fu posto separatamente dal corpo sotto l'altare della piccola basilica, detta perciò ad caput s. Ioannis. Possiamo presso a poco indicare il sito dell'oratorio, poichè conosciamo che il clivo del cocomero era nell'ultimo tratto della Salaria Vetere laddove questa discendeva verso la Flaminia e il Tevere al secondo miglio dalla città. L'itinerario del codice di Salisburgo segna in quel luogo la chiesa nel seguente modo: Deinde vadis ad Orientem donec venies ad ecclesiam s. Iohannis M. via salinaria (sic).
Da un documento del secolo XVI nell'archivio di s. Pietro in Vincoli ricavo che in quell'epoca non era ancora del tutto dimenticata la denominazione antica Clivus cucumeris del luogo, poichè la contrada si chiamava Torre Cucumera (sic). ecco il documento: Vigne does posta fora de la porta Salara in loco dicto Torre Cucumera de le quali una fu de Francesco de Sancti, et l'altra de Ioanne Paulo Vazziner.
Nei primi tempi della pace, entro il cimitero di s. ermete sulla medesima via Salaria ed inviscerata nella collina cimiteriale fu eretta una basilica, della quale le sacre topografie concordemente fanno menzione, non meno che il Libro pontificalis ed altri innumerevoli documenti. Questa basilica è ancora accessibile, e le scoperte recenti ci insegnano a riconoscerla nella vigna del collegio germanico presso il luogo detto la Pariola, a sinistra della via, poco dopo il bivio delle Tre Madonne. Il p. Marchi, che diffusamente ha trattato di questa basilica sotterranea, crede che fosse a tal uso ridotto un più antico e grandioso edifizio pagano, il quale in origine alzavasi di molto sopratterra, e di cui si vedono tracce nel casino della vigna che su quella chiesa si appoggia. Nè è improbabile l'opinione questi questo autore, che in quei vecchi ruderi riconosce gli avanzi di un bagno.JJJ
L'edifizio fu ridotto poi alla forma prettamente basilicale, avente una sola nave nel fondo che termine in grandiosaº tribuna, nel centro della quale vi è la nicchia destinata per la cattedra episcopale: ma della cattedra, dei sedili del clero, dell'altare non vi rimane più traccia.
Sul principio del secolo XVII finirono di perire le pitture che adornavano le pareti dell'edifizio. Un ampio lucernaro aperto in fondo alla nave sul presbiterio illumina il sotterraneo edifizio, dal quale si accede al cimitero per due ingressi laterali ed uno situato a destra della tribuna.
Il Libro pontificale nella vita di Adriano I, ci fa certi che questo pontefice rifece per intero il nostro sotterraneo, cui il compilatore del libro dà il nome di basilica di meravigliosa grandezza. Damaso restaurò la basilica, e dopo la morte del Bosio, come si narra dal Severano, si trovò un frammento di cornice in marmo posta in opera sulla soglia di una porta del casino della vigna, sulla quale leggevasi il nome del santo eponimo ERME. . .: dopo molte vicende quella soglia di nuovo fu rimessa in opera, ma tre anni fa fu nuovamente rinvenuta nel luogo suddetto. Il Bosio aggiunge questa maz: Ho inteso da alcuni padri giesuiti vecchi che si ricordano havervi veduto l'imagine del santissimo Salvatore con alcuni angeli. Questo dipinto non mi sembra doversi giudicare anteriore ai tempi di Adriano I. Lungo le pareti e nel pavimento furono nel IV e V secolo aperti dei sepolcri.
È la prima chiesa che gl'itinerarî ci indicano nel primo tratto della via suddetta. Deinde venies ad s. Felicitatem altera via quae similiter Salaria dicitur, ibi illa pausat in ecclesia sursum; così la prima delle topografie salisburgensi. Sorgeva sul cimitero di Massimo, dove l'invitta madre dei sette figliuoli martiri fu sepolta con l'ultimo dei suoi, cioè Silano: ed oggi quella cripta è tornata alla luce ed alla venerazione dei fedeli. Ivi è rappresentata s. Felicita in mezzo ai suoi figli coronata dal Salvatore che appare in alto fra le nubi.
Bonifacio I successore di Zosimo, la cui elezione fu turbata dallo scisma di Eulalio, si rifugiò alcun tempo su questo cimitero e dimorò nelle fabbriche che vi erano al disopra. Rientrato il papa trionfalmente in Roma, costrui in quel luogo, già suo asilo, un oratorio ad onore di Felicita. Vi pose un carme che fu tscro da uno dei collettori d'epigrafi, la cui silloge contiensi nel codice di Verdun, e che fu sottoposto a due pitture nelle quali la martire era effigiata nell'atto di morire, e poi nel celeste giardino fra i suoi figli con una corona di fiori sul capo. Il carme è del tenore seguente:
INTONVIT METVENDA DIES SVRREXIT IN HOSTEM IMPIA TELA MALI VINCERE CVM PROPERAT CARNIFICIS SVPERARE VIAS TVNC MILLE NOCENDI SOLA FIDES POTVIT QVAM REGIT OMNIPOTENS CORPOREIS RESOLVTA MALIS DVCE PRAEDITA CHRISTO AETHERIS ALMA PARENS ATRIA CELESTIA PETIT INSONTES PVEROS SEQVITVR PER AMOENA VIRETA TEMPORA VICTRICIS FLOREA SERTA LIGAT PVRPVREAM RAPIVNT ANIMAM CAELESTIA REGNA SANGVINE LOTA SVO MEMBRA TENET TVMVLVS SI TITVLVM QVERIS MERITVM DE NOMINE SIGNAT NE OPPRIMERer . . . . . dux FVIT ISTA MIHI |
Avverte il De Rossi che questo epigramma fu fatto nella prima costruzione dell'oratorio sotto Bonifacio I; egli crede che nell'ultimo verso il papa suddetto parli in nome proprio, dando lode alla santa della protezione accordatagli perchè non fosse oppresso dagli scismatici. Venuto poi a morte, fu sepolto in quel cimitero presso le reliquie di s. Felicita, della quale era stato p853 in vita divotissimo. Molti restauri furono fatti a quella basilica dai pontefici successori di Bonifacio, ove il magno Gregorio X recitò nel natale della santa una delle sue più splendide omelie.
Le ultime tracce di quell'oratorio sparvero nel 1783, nel quale anno fu demolito l'edificio, donde una scala discendeva al sottoposto cimitero di Massimo e di Felicita.JJJ
Era un oratorio contiguo, ma distinto dall'anzidetto di s. Felicita, nel quale fu deposto il corpo del santo pontefice che in vita avea dimorato in quel luogo; e poichè questi due edificî erano congiunti l'uno all'altro, furono dal biografo di papa Adriano I detti uno cohaerentes solo: Coemeterium s. Felicitatis via Salaria una cum ecclesiis s. Silvani martyris et s. Bonifacii confessoris atque pontificis uno cohaerentes solo, mirae restauravit magnitudinis.
Questa chiesa sorgeva sul cimitero dei ss. Trasone e Saturnino nella via Salaria, e i nostri antichi topografi ce la descrivono accuratamente: deinde eadem via pervenies ad ecclesiam s. Saturnini; così abbiamo nel primo dei codici salisburgensi, e nell'itinerario malmesburiense leggiamo: ibidem in altera ecclesia sunt Chrisanthus et Daria et Saturninus ecc. Il Libro pontificale in Adriano I ricorda che il predetto pontefice la restaurò; sed et basilicam s. Saturnini in praedicta via salaria positam una cum coemeterio. . . . renovavit.
Felice IV la riedificò, essendo stata consumata da un incendio; Gregorio IV ne fece adornare le pareti di pitture. Durava ancora ai tempi di Niccolò IV, poichè nei suoi regesti si notano le indulgenze concesse alla chiesa che era lar ufficiata da eremiti benedettini.
Il Bosio narra che ai suoi giorni ne apparivano ancora i vestigî e parte delle antiche parietine, e ricorda inoltre nella sua Roma sotterranea che a quell'epoca il luogo riteneva tuttavia l'antico suo nome di s. Saturnino, sebbene dal volgo corrottamente si chiamasse s. Citronina; lo stesso Bosio vide l'antica scala, che dalla chiesa conduceva al sottoposto cimitero, nobilissimamente p854 ornata, la cui volta era messa a vaghi stucchi, lavorata da varii fogliami di vite e rami di uve.
Una moderna cappellina nella villa già Potenziani e della Porta, oggi Massimi, dedicata a s. Saturnino, fu sostituita all'antica chiesa.
Entro il cimitero detto dei Giordani, in questa medesima via Salaria, furono sepolti tre dei sette figli di Felicita, cioè Alessandro, Vitale e Marziale.
Benchè ignota sia l'origine della denominazione del cimitero nei vetusti documenti della chiesa romana, pure egli è certo che è antichissima ed anteriore all'uccisione di quei martiri immolati nel 162. Ivi pure furono sepolte sette famose vergini, delle quali gli scrittori del secolo VI videro solo i nomi ei sepolcri: esse erano Saturnina, Ilaria, Dominanda, Serotina, Paolina, Rogantina.º In quel cimitero una eretta nei primi tempi della pace una basilica che venne chiamata di s. Alessandro e che fu restaurata da Adriano I, come abbiamo nel Libro pontificale.
Anche questa chiesa sorgeva sul cimitero di Trasone e Saturnino non lungi da quella di s. Alessandro, come espressamente attestano gli itinerarî: et in altera ecclesia Daria virgo et martyr pausat et Chrisanthus martyr. Forse era sotterranea, e probabilmente alla medesima si riferisce la descrizione che fa il Bosio di un grande edificio sotterraneo di forma rettangolare preceduto da altro di forma circolare che egli vide. Egli trovò questi due edificî alla sinistra della via, da cinquecento passi incirca lontano dalle rovine di Saturnino.
Era l'ultima delle chiese cimiteriali nella via Salaria Nuova. Nella biografia di Adriano I si legge che questo papa non dimenticò quest'ultima chiesa, la quale sorgeva sul famoso cimitero di Priscilla: pariter in eadem via Salaria coemeterium s. Silvestri confessoris atque pontificis aliorumque sanctorum multorum in ruinis positum renovavit. Dalle quali parole risulta che la celebrità della basilica cimiteriale suddetta, chiamata portico p855 coemeterium, aveva quasi eclissato quella del sottoposto ipogeo di Priscilla che si dicea allora di s. Silvestro.
Il Bosio ne vide gli avanzi che rimasero fino quasi ai giorni nostri nella vigna, già del collegio irlandese, oggi Telfener. La stessa porta Salaria nel secolo VIII prendeva il nome dalla nostra basilica, e dicevasi di s. Silvestro, come risulta dalla topografia malmesburiense. Il sepolcro del grande papa della pace costantiniana fu venerato dallo stesso compilatore di quella biografia e descritto nel modo seguente: deinde basilica s. Silvestri ubi iacet marmoreo tumulo coopertus. Assai il Salisburgense che ad pedes eius, nella stessa basilica era sepolto il papa Siricio, e Celestino e Marcello: et in dextera parte Celestius papa et Marcellinus episcopus. Nelle escavazioni praticate quest'anno nell'area superiore del cimitero sono apparse le vestigia di quella basilica, dalle quali risulta che era grandissima ed ornatissima, intorno a cui si aggrupparono molti oratorî e cappelle absidate: ivi erano gli avelli di parecchi papi del secolo V e VI.
Sulla via Salaria, sotto Valeriano imperatore, s. Romano patì il martirio, sebbene il suo corpo fosse poi sepolto nlaTiburtina; nel luogo dove venne immolato fu edificata una chiesa, della quale si fa menzione negli atti del medesimo santo. Anche il Libro pontificale ne parla nella vita di Sergio II, il quale la restaurò: Nam et basilicam beati Romani martyris quae non longe ab urbe foris portam Salariam sita est a fundamentis perfecit.
Dopo quella del Gargano fu questa la chiesa più antica edificata ad onore dell'Arcangelo s. Michele. Sorgeva al settimo miglio della via salaria, e negli itinerarî salisburgensi venne indicata fra i santuarî della via: Per eamdem quoque viam venitur ad ecclesiam s. Michaelis septimo miliario ab urbe. Nel Libro pontificale nella vita di Leone III è detta Archangeli basilica in Septimo.
Insomma è la prima chiesa pubblicamente intitolata presso Roma a s. Michele e a tutta l'angelica milizia. La dedica della chiesa trovasi segnata nel codice liturgico leonino, ed è registrata nel martirologio geronimiano.
Sorgeva sul cimitero omonimo che si svolge a destra della via odierna fuori la porta Pia e precisamente nella villa già Patrizi. I descrittori e visitatori dei cimiter romani, dei quali abbiamo più volte parlato, che visitarono la Roma sotterranea nei secoli VI o VII, additano su quell'antichissimo cm di Nicomede, martire ai tempi di Domiziano, una basilica, la quale è a credere fosse edificata fino dal secolo IV. Gli atti anzi del martire eponimo del cimitero medesimo, accennano che quando furono per l'ultima volta compilati, la basilica era già semidiruta, poichè ivi si legge: In quo loco dedicata fuit ecclesia (s. Nicomedis) in kalendis iunii, quae nunc penitus destructa est. Anche molti vetusti martirologî fanno menzione di questa chiesa, non meno che il Libro pontificale in Bonifacio V ed in Adriano I, che la restaurarono essendo cadente.
La stessa non è da confondere con il titolo omonimo urgano di s. Nicomede, del quale abbiamo di già parlato. Nelle escavazioni fatte da alcuni anni nella villa Patrizi si rinvennero le tracce di questa basilica e del perimetro dell'abside, presso la quale si scorgeva la scala che conduceva al sotterraneo cimitero. Da quegli indizî risulta che l'edifizio era di mediocre dimensione e di forma quadrilunga. Intorno al medesimo fu poi costruito un grande sepolcreto sull'aperto cielo.
La costruzione di un nuovo sobborgo fuori la porta Pia e le trincere fatte attraverso la villa Patrizi per l'apertura delle nuove strade, mettono a un rischio l'esistenza di un monumento cristiano così insigne quel è il cimitero di s. Nicomede.
Quasi nell'area stessa del cimitero e della basilica di s. Nicomede è stato recentemente edificato un convento di religiose istituite dalla signora belga M. de Meuss. Le ottime religiose hanno per iscopo l'adorazione perpetua del ss. Sacramento e di provvedere le chiese povere di suppelettile. L'architettura della chiesa è gotica o per dir meglio belga, e l'annesso convento come architettura lascia molto a desiderare. La chiesa sorge p857 quasi nel luogo medesimo di quella di s. Nicomede e nel cimitero di quell'illustre martire. Perchè non ricordarne la memoria in un altare o cappella?
È una cappelletta situata fuori di porta Pia a sinistra. Eera dei Cenci Bolognetti, cui spettavano gli Orti Lucernari. Ma poi i principi Torlonia, cui era passata la proprietà di detti Orti e della chiesuola, vendettero gli uni e l'altra ai marchesi Patrizi.
La cappella fu fatta erigere da mons. Bolognetti nel secolo XVII, ma oggi ne è destinata la distruzione per l'allargamento della via Nomentana. L'affresco dell'altare è della scuola degli Zuccari. Vi furono sepolti il marchese Spinola, e il venerando card. Patrizi, vicario sotto il pontificato di Pio IX. Sotto l'altare si venera il corpo di un martire detto s. Giustino. Vi è anche m'imagine della Vergine sotto il titolo di Maria Mater nostra.
Presso il secondo miglio della via a sinistra e sopra l'antichissimo cimitero ove fu sepolta dai suoi genitori s. Agnese, sorgeva un gruppo di cristiani edî, dei quali ora non restano che grandiosi avanzi. Solo hanno sfidato i secoli i due più insigni fra quei monumenti, cioè il mausoleo costantiniano e la basilica di s. Agnese. Questo monumento, benchè nel corso dei secoli pei successivi restauri abbia più volte mutata la forma antica, presenta ancora tutti i caratteri architettonici dell'epoca in cui fu edificato, cioè del IV secolo dell'èra cristiana.
In una celeberrima epigrafe, di cui si legge il testo nelle antiche sillogi, si fa l'elogio della edificatrice di questa basilica, che viene in quest'iscrizione appellata col nome di Costantina. Il Libro pontificale afferma che fu dessa una figlia dell'imperatore stesso Costantino.
L'epigrafe è acrostica, e le iniziali dei versi danno la dedica Costantina Deo, e nel carme si legge che quella donna fu Christo dicata. Forse è la figlia di Minervina e la sorella dell'infelice Crispo. Quivi, nel periodo delle persecuzioni ariane, rifugiossi Liberio papa, come più tardi fece Bonifacio presso quella di s. Felicita; ciò risulta dal Libro pontificale: Liberius habitavit in coemeterio b. Agnetis apud germanam Constantii Constantiam Augustam.
La nostra basilica, come quella costantiniana di s. Lorenzo, è fornita di due piani di portici, il superiore dei quali era destinato, p858 secondo l'uso antico, a luogo di matroneo. Quattordici colonne corinzie, di lavoro e di marmi diversi, formano il peristilio inferiore; altrettante il superiore. La conca dell'abside è messa a musaico fino dal secolo VI, cioè dal pontificato di Onorio I, benchè qua e là in età posteriore sia stato rappezzato. Spicca nel mezzo la figura maestosa della giovanetta martire riccamente vestita alla foggia d'imperatrice bizantina; le sue vesti sono stracariche di perle e di gemme, ed ha sul capo un diadema o mitella. Sul suo capo si legge il nome SCA AGNES. Due papi le stanno ai fianchi; quello a destra tiene nelle mani, in atto di offrirlo alla martire, il modello della basilica da lui restaurata: ambedue vestono tunica listata, pallio e sacula ed hanno il capo raso colla corona clericale. Probabilmente sono queste le imagini di Simmaco e di Onorio, i quali nel quinto e sesto secolo fecero grandi lavori alla basilica. Alcuni distici di barbaro dettato sotto le figure suddette ricordano quei restauri. Innanzi alla tribuna, sotto l'altare giacciono tuttora, nel luogo stesso dove nella prima volta furono deposte, le candide ossa della più pura fra le martiri. Su quell'avello venerato sorge il ricchissimo tabernacolo, che la pietà di Paolo V edificò, sostenuto da quattro superbe colonne di porfido. Nell'anno 1605 quell'avello fu scoperto e si ritrovarono le preziose reliquie che custodiva, le quali furono di nuovo racchiuse in una ricchissima cassa d'argento.
Nella biblioteca pontaniana di Napoli il ch. comm. E. Stevenson trovò nei manoscritti di Marzio Milesio Sarazani una descrizione della nostra basilica e dei dipinti che la ornavano. Rappresentavano, questi, gli atti di s. Agnese e di altri martiri, con leggende esplicative e nomi di pittori fioriti nei secoli XII e XIV. Alcuni avanzi di cotesti dipinti furono staccati sotto il pontificato di Pio IX e trasferiti al museo lateranense.
Recentemente, nell'intercapedine fra un soffitto ed il tetto della canonica annessa, si trovarono altri affreschi esprimenti la Crocefissione.
Alcuni anni or sono il card. Lavigerie, titolare della basilica, avendo ordinato un restauro nella grande scalèa che mette alla basilica, la quale è inviscerata nella collina cimiteriale, ritrovò fra i marmi, che furono nel secolo XVII adoperati e messi in opera nlpmt, oltre a numerose iscrizioni e bassirilievi, anche la fronte della transenna pettorale del secolo IV che chiudeva il presbiterio della basilica costantiniana, dove è rappresentata per intero la figura di s. Agnese orante.
Quell'imagine è preziosa, poichè è la più antica e l'unica tramandataci dall'antichità in marmo della giovanetta eroina. p859 Il prezioso monumento è stato insieme agli altri infisso nelle pareti della suddetta scala.
Ogni anno il giorno 21 gennaio sull'altare della snasi benedicono due agnellini vivi che la basilica paga in canone a s. Giovanni in Laterano, e che il capitolo di questa presenta al pontefice; della lana di questi agnellini si intessono i pallî degli arcivescovi. Su questa graziosa cerimonia nell'archivio di s. Pietro in Vincoli si conserva il seguente documento:JJJ
"Agnelli a sto Giovanni laterano 1550. Nota che del 1550 il giorno di st.a Agnese in sedia vacante per la fe. re. de Paulo papa III noi frati si st.o Pietro in Vinl.a havemo dato il solito censo di due agnelli alli canonici di st.o Giovanni Laterano bianchi, et per loro furon consegnati a dui beneficiati et camerlengo che fu Fabio Transauro, ne fu rogato aggiunto da Philippo Bissone notario de Rota essendo priore il p. fra Stefano da eldola, e vic.o fra Usebio da Bologna etcet. Già anticamente venivano li detti canonici di st.o Giovanni Laterano in processione con la croce et così in ordine menavano uno somaro drieto coperto con un panno d'oro et dui cuscini, et sopra detti agnelli bianchi li presentavano al papa come episcopo di s. Giovanni in Laterano et fatte alcune cerimonie et oratione li mandava alle monache di st.a Cecilia quali allevavano detti agnelli per fino all'ottava di Pasqua, alhora amazando detti agnelli pigliavano la lana nutricandola, ne facevano et fanno anchora stole et palii da consecrare il papa e li archiepiscopi.
"L'origine di detti agnelli di censo al detto st.o Giovanni è che st.a Costantia come figliuola di Costantino imperatore quale dotò la chiesia (ma alcuni dicono che fu Carlo P.o re) havendo fabbrichato detta chiesia et monastero di st.a Agnese la dotò de molte facultà, et essendo detto monasterio feudo della prima chiesia del mondo, per recognitione le paga al anno li due agnelli per censo alli detti canonici, quali comunicato che è il sacerdote alla messa cantata, se benedicono detti agnelli, poi se consegnano alli canonici et per loro a qualche suo mandato, rogano il notaro ovver farli quitanza de mano loro che tanto fa. Et quelli che portano li agnelli al papa guadagna per buona mano uno paro de scudi.
"Nota che in tale giorno se dispensa uno rughio di fava et secolo tanto pane, ma non so per che causa et mai ho potuto trovare l'origine, et però non me posso render conto.
p860
"Quelli agnelli furon assegnati alli ditti sotto pretesto che fussero consegnati al futuro pontefice con le cerimonie et forma come è sempre stato stabilito presso tutti li nostri frati."
Presso la basilica suddetta vi ha un'altra non meno magnifica mole, la quale sorge nel mezzo di un'area ellittica circondata da monumentali muraglie. Gli eruditi delle trascorse età dettero a quel monumento un origine pagana e lo giudicarono un tempio di Bacco. Le recenti scoperte e l'esame accurato del monumento hanno dimostrato falsa quella sentenza, ed hanno confermato che l'edifizio fu eretto di pianta da mani cristiane e per uso sepolcrale. Cotesta rivendicazione è dovuta specialmente al p. Garrucci di chiara memoria, il quale nella biblioteca dell'Escuriale ritrovò la copia ed i disegni dei musaici che adornavano la cupola o tolo dell'edificio fino al secolo XV. Da quella copia risulta che in quei musaici, distrutti negli ultimi tre secoli, vi erano quadretti con scene tolte dal libro del Genesi, e fra queste il sacrifizio d'Abele. Da un'altra copia di quei lavori in musaico fattane innanzi l'ultima distruzione dall'Ugonio e conservata in Ferrara, si conobbe inoltre che nella nicchia principale del mausoleo si vedeva il Signum Christi, cioè il monogramma costantiniano ☧ messo a musaico sopra un fondo disseminato di stelle indicante il cielo dove a Costantino fu dato a vedere. Quell'insigne memoria si deplorava come perduta, ma dopo attento studio ne ho potuto con chiarezza ritrovare le tracce sul posto. Dopo ciò non è possibile dubitare dell'origine cristiana del monumento, che sappiamo da Ammiano Marcellino essere stato edificato siccome uno dei mausolei imperiali della gente Flavia.
Qualche infatti furono sepolti parecchi membri di quella imperiale famiglia. Ivi giaceva l'enorme sarcofago di porfido che ora si conserva nel museo pio-clementino in Vaticano, gemello all'altro proveniente dal mausoleo di s. Elena, detto Tor Pignattara. L'esistenza di questo mauso dei Flavii del secolo IV sul cimitero di s. Agnese, non solo conferma la divozione che quella famiglia nutrì verso la medesima santa, ma qualche luce arreca alle narrazioni in parte leggendarie di Costanza e di Liberio. Sotto il pavimento del mausoleo sono stati fatti recentemente degli scavi, dai quali si vorrebbe inferire che fosse stato anche bao, opinione che per me è inaccettabile. Infatti il muraglione ellittico, sul quale poggiano le colonne del p861 mausoleo, ostruisce una scala che conducea a quel luogo, segno evidente che quel sotterraneo era anteriore ed indipendente dal muraglione; ivi inoltre si trovarono tracce di una fornace, la quale non so che rapporto abbia con un battistero. Con ciò non escludo che potesse esistere un battistero presso s. Agnese.
Presso al cimitero di s. Agnese, al di là di un'antica strada detta oggi vicolo di Filomarino, che congiunge la Salaria colla Nomentana, si svolge il grande cimitero Ostriano detto dagli antichi maggiore. Questo è totalmente indipendente dal cimitero di s. Agnese, benchè dal secolo XVI in poi fosse chiamato per errore con tal nome. Le sue orini risalgono all'età apostolica ed un'antica tradizione accenna ad una cattedra di s. Pietro veneata nel sito medesimo. Qui nel secolo terzo fu deposta la catecumen Emerenziana, uccisa mentre pregava sul sepolcro della sua collattanea Agnese.
Anche ad Emerenziana venne eretto un oratorio sopo al di lei sepolcro nell'età della pace, oratorio oggi totalmente distrutto, ove dal sottoornato ipogèo erano state trasferite quelle benedettine reliquie. L'oratorio si mantenne nel suo splendore fino a tutto il secolo VII, in cui era ancora aperto alla divozione dei pellegrini che vi accorrevano a venerarla.
Il compilatore di una delle guide di quel tempo accenno allo stesso colle seguenti parole: postea vadis ad orientem, quousque pervenies ad s. emerentianam martyrem quae pausat in ecclesia sursum et duo martyres in crypta deorsum ecc.
La indicazione ad orientem s'intende, solo che si rammenti che il divoto topografia proveniva dalla Salaria verso la Nomentana.
Alcuni anni sono, demolendosi la chiesuola di s. Salvatore de pede pontis in Trastevere, venne a luce un preziosissimo latercolo marmoreo con epigrafe del quarto secolo. La pietra, siccome ha dichiarato il ch. De Rossi, proviene certamente dall'oratorio di s. emerenziana. È un monumento unico nel suo genere, poichè dal medesimo rimane confermata la storica denominazione di maggiore data al nostro cimitero negli antichi documenti della Chiesa romana, ed è ricordata la traslazione delle reliquie dei santi dal sottoposto ipogèo al sovrapposto oratorio. Il sito di quest'oratorio è indicato da alcuni ruderi, oggi demoliti, esistenti già presso la scala che mena alla necropoli sotterranea nella vigna ora Leopardi.
L'anno 1854 facendosi degli scavi in un tenimento appartenente al Monte Caraffa, al decimo chilometro della via Nomentana, in quella parte della tenuta di Capobianco detta il Coazzo, si scoprirono grandi tracce d'una basilica inviscerata entro un cimitero cristiano ricco d'iscrizioni e adorno di pitture. Non si esitò a riconoscere in quella basilica e nel cimitero annesso, quello di s. Alessandro; ed infa innanzi alla cattedra episcopale, di fronte al bema presso un cavo over era il posto dell'altare e del sepolcro dei martiri, si trovò parte della transenna marmorea, che circondavano la dedicazione dell'altare medesimo fatta da un vescovo di nome Ursicino nel secolo V: . . . . . E . T ALE . XANDRO DEL . IC . A . TVS VOTO POS . V . IT DEDICANTE EPISCOP. VRSO (episcopo Urso).
Questa scoperta pose il suggello della conferma alle induzioni degli archeologi fatte su quella basilica. È poi chiaro che innanzi al nome di Alessandro si dovevano leggere quelli degli altri due martiri suoi compagni Evenzio e Teodulo, il che è grave indizio che l'Alessandro qui ricordato non era il papa.
L'iscrizione votiva del personaggio di nome Delicato e del vescovo Urso od Ursicino che dedicò l'altare sul sepolcro dei martiri, spetta alla prima metà circa del quinto secolo; è contemporaneo perciò alla edificazione di quella basilica, la quale poscia fu con posteriori opere ed ampliamenti trasformata.
E qui cade in acconcio il far osservare, come la posizione dell'altare dei predetti santi, che sorge sul loro primitivo sepolcro, non sta nè sull'asse del edicio,º ma più a sinistra; nè in squadra, come suol dirsi, coll'asse medesimo, ma obliquamente a questo. Il fatto degli altari così obliquamente situati nelle basiliche e negli oratorî primitivi, dipende dalla grande venerazione che si aveva per i corpi dei santi, per la quale nei primi secoli della Chiesa non si ardì punto rimuoverli al loro primitivo luogo: avvene quindi che non volendosi toccar il sepolcro, e spesse fiate per le condizioni locali nnpotendosi, secondo le leggi della simmetria, coordinare all'avello celebrato l'oratorio che gli si edificava al disopra, ne conseguiva questa irregolarità. La basilica infatti è inviscerata nel cimitero, e parte delle sue gallerie furono appositamente distrutte, rimanendone gli sbocchi al fianco della medesima, che alla destra e alla sinistra del sacro edificio fanno capo.
p863 In fondo all'edificio, nel bema, resta la nicchia e parte della cattedra episcopale colle tracce dello scaglione o sedile pel clero: l'area del presbiterio è chiusa da una specie di abside opposta a quella della tribuna, ai lati della quale rimangono ancora le basi di due colonne. L'ingresso principale della basilica e la sua fronte guardano la via Nomentana, sul cui margine quasi sorgeva. Ivi presso la porta restano ancora le due colonne fiancheggianti il vestibolo.
Nel pavimento si vedono numerosissime iscrizioni, alcune delle quali stanno ancora al loro posto, corrispondente cioè ai rispettivi sepolcri; mentre altre, da quelli rimosse, furono adoperate come materiale qualunque ad uso di lastrico.
Fra questi preziosi avanzi resta ancora una delle piccole basi sostenenti le colonne del tegurium, cioè della confessione.
Nella sua frte si legge la fine di un'iscrizione votiva che ricordava la divozione e la generosità di due coniugi clarissimo verso il martire Alessandro e i suoi compagni; della dedica restano sol le parole seguenti:
IVNIA SABINA
C. F. EIVS FECERVNT |
SANCTORVM
ORNAVIT |
Ale altre iscrizioni appartengono a vescovi diversi. Una si riferisce ad Adeodato, il cui episcopato fu di due anni e nove mesi, e che visse alla fine del secolo V o sugli esordî del VI. Il secondo vescovo ricordato è alquanto posteriore; poichè sebbene il nome sia perito colonna marmo, vi resta la data della morte corrispondente all'anno 569, quando in Roma viveva Giovanni III, che morì nel 573.JJJ Assai più antico d'ambedue è il terzo vescovo di nome Pietro, che risale alla fine del secolo III o al principio del IV.
L'epigrafe è semplicissima, ed è così formulata:
Due volte è ripetuta la data della deposizione.
A queste memorie episcopali si collegano due epitaffi: l'un di un diacono; l'altro rarissimo, di un suddiacono, che è il seguente:
p864 È noto che nei tempi più antichi i diaconi ministravano ai soli vescovi.
L'iscrizione è dell'anno 448, segnato appunto dai consoli Flavio Zenone in Oriente e rufo Pretestato Postumiano in Occidente. A sinistra della basilica si trova un cubicolo storico col pavimento in musaico e colle tracce d'un sepolcro ornato. La stanza predetta dovette essere stata evidentemente una cripta storica annessa alla basilica, nella quale giacque uno dei martiri dell'insigne gruppo.
Moe altre epigrafi portano data consolare, tra la quale ricordo anche la seguente che spetta forse ad un chierico. Ad imitazione di tanti pii personaggi addetti al clero sia inferiore che superiore, si sa che i chierici presiedevano talvolta al canto dei salmi durante la liturgia.
L'epigrafe, cui è premessa la croce, è mutila:
La data dell'imperatore Giustino giuniore con cui si conchiude l'epitaffio, fa risalire questa memoria alla seconda metà del secolo VI, cioè fra gli anni 567 e 578.
Presso il sepolcro dei martiri vi ottenne il suo una defunta, sul cui marmo fu ricordato che essa ricevette prima di morire il battistero, e che perciò era nel catalogo di coloro, ai quali giustamente conveniva il titolo di fedeli:
Questa basilica dedicata ad un martire Alessandro, creduto il papa di questo nome, era retta da un clero locale che avea quivi la sua dimore e che provvedeva al governo degli abitanti del vicino pago di Ficulea e delle prossime ville di Sabina. Gli atti infatti che vanno sotto il nome di s. Alessandro, e che presentano i caratteri d'una narrazione scritta assai tardi, ricavata da documenti incerti ed oscuri e da racconti popolari, accennano all'istituzione di un vescovo proprio del luogo ove quei martiri furono sepolti: e le iscrizioni ivi ritrovate danno qualche valore ed accreditano così almeno il fondo storico di quel documento.
Sopra il cimitero e dintorno alla principale basilica eretta da Costantino sul primitivo sepolcro del grande levita romano s. Lorenzo, s'aggrupparono molti oratorî ed edificî minori, ai quali erano annessi monasteri e case d'abitazione, che al sito davano l'aspetto d'una vera borgata, simile, benchè in minori proporzioni, a quelle della basilica vaticana e della ostiense.
Questo gruppo di sacri edifizî e di abitazionî private fu più tardi circondato da un muraglione, del quale rimanevano vestigia ancora in tempi da noi non remotissimi. Così per esempio in un documento di Urbano VIII, contenente gli atti della Visita ordinata dall'autorità ecclesiastica di Roma, ho trovato a proposito della basilica di s. Lorenzo sulla Tiburtina le seguenti preziose notizie che qui trascrivo: Basilicam olim totam muro ad instar castri circumdatam fuisse, argumento sunt equidem muri reliquiae, quarum pars magna, viam tiburtinam attingens adhuc superest.
Fra gli edificî principali che sorgevano presso la chiesa costantiniana eretta supra coprus o ad corpus s. Laurentii, è da ricordare la basilica detta maior di —, che fu più tardi riunita ed incorporata alla prima, formandone anzi di quella l'aula maggiore; vengono poi gli oratorî di s. Agapito, quello dei ss. Stefano e Cassiano, del papa Leone, di s. Gennaro, del quale discorre s. Gregorio Magno nei Dialoghi; presso ai quali era eretta una grande abitazione gratuita pei poveri, come ne sorgevano anche presso le maggiori basiliche dei ss. Pietro e Paolo: Idem adº beatum Petrum et beatum Paulum apostolos et ad s. Laurentium martyrem pauperibus habitacula construxit. Di questi varî edifizî porgeremo un breve cenno, cominciando però dal monumento principale tuttora esistente, cioè dalla basilica di s. Lorenzo. Che l'imperatore Costantino innazlasse sul primitivo sepolcro del martire Lorenzo nel cimitero di Ciriaca una piccola basilica per non devastare troppo la sottoposta necropoli cristiana, è cosa attestata dal Libro pontificale, confermata inoltre dalle tradizioni, e dimostrata dall'analisi del documento.
p866 Eodem tempore (così il Libro pontificale) Constantinus Augustus fecit basilicam s. Lauentio martyri in Tiburtina in agro Verano supra arenarium cryptae, in quo loco construxit absydem et ornavit marmoribus porphireticis. Il medesimo leggesi nella recensione più antica del medesimo libro che termina in Felice IV. Colla testimonianza sopradetta va d'accordo anche Prudenzio, il quale nell'inno secondo del suo libro De coronis accenna a questa basilica medesima.
Ciò ornato, cerchiamo ora di ravvisare in tutto il complesso dell'edificio:
1o quale sia la vera e primitiva basilica di Costantino;
2o quali lavori intorno ad essa fossero fatti;
3o d'onde le provenne la sua forma presente.
La basilica costantiniana fu costruita nel seno del cimitero di maniera che il suo pavimento corrispondeva al piano delle inferiori gallerie del medesimo. Questo basta per riconoscere la basilica primitiva di Costantino in quella porzione dell'attuale chiesa di s. Lorenzo situata in un livello assai inferiore della rimanente, e precisamente sotto al presbiterio della medesima, la quale è eziandio dissimile dal resto della basilica per la sua forma architettonica, e per la regolarità delle colonne; il che la rende molto conforme all'altra basilica costantiniana di s. Agnese. Sisto III, come sappiamo dal Libro pontificale, per concessine di Costantino esercitava sulle basiliche imperiali quasi un alto giuspatronato; fecit basilicam b. Laurentio quod et Valentinianus Augustus concessit, ubi et obtulit dona e quivi volle poi esser sepolto, il che accadde tra gli anni 432, o 440. Ecco adunque, che dopo un secolo dalla sua fondazione, grandiosi restauri furono fatti alla basilica suddetta da Costantino.
E qui è da rammentare che le parole fecit, construxit, adoperate dal Libro pontificale furono iperbolicamente usate a indicare semplici restauri e nuove aggiunte. In che consistettero i restauri di Sisto ce lo avverte il medesimo libro; opera sua furono infatti le colonne porfiretiche della confessione, il ciborio, la transenna che girava tutt'intorno, l'altare coperto di grosse lastre d'argento, infine una nicchia ove pose la statua del santo pesante 200 libbre d'argento. I lavori di Sisto, come si vede, non alterarono punto le dimensioni della basilica di Costantino; essi furono semplici restauri. In tali condizioni rimane il luogo fino al secolo VI, cioè ai giorni di Pelagio II, dal 579 al 580. Sul cadere adunque di quel secolo, il papa di questo nome fecit supra corpus b. Laurentii basilicam a fundamentis constructam et tabulis argenteis ornavit. E qui bisogna di nuovo p867 applicare al fecit del Libro pontificale, quello che abbiamo detto parlando di Sisto III.
Una distinta ed accurata menzionata dei lavori da Pelagio operati in questa basilica ci furono trasmessi da un epigramma trascritto dagli antichi raccoglitori d'epigrafi nelle note sillogi, il quale può servire di commento e dichiarazione al nostro argomento. Egli però è da avvertire che nelle sillogi suddette colui che trascrisse i versi che ora ricorderemo, e che si leggono sull'abside della basilica rinnovata da Pelagio, li comppenetrò con quelli che si leggevano sull'arco maggiore della basilica ostiense di s. Paolo:
Inoltre il medesimo documento c'insegna che il papa liberò la basilica da un grave pericolo che ai suoi giorni le sovrastava in seguito alle terribili acque che allagarono la città sotto quel pontificato, e che produssero la più terribile inondazione del Tevere che sia ricordata dalla storia. Il pericolo, al quale allude il carme, era la collina dirupata sovrastante alla basilica p868 suddetta e che minacciava di giorno in giorno di schiacciare il piccolo edificio. Il papa isolò tutt'all'intorno la basilica dalla collina suddetta, tagliandone inoltre grandissima parte:
Infine il documento accenna alle tristi condizioni dei giorni di quei burrascoso pontificato, agli assedî e alle rappresaglie continue dei Longobardi contro la città eterna, le quali pure non riuscirono a far desistere il papa dai santi suoi propositi, e pur minacciato e offeso dai nemici, condusse a termine questa ed altre opere maravigliose:
L'iscrizione si conchiude con una divota prece al santo Levita, perchè renda a Roma e al suo Padre la sospirata pace:
L'ingresso della piccola basilica costantiniana, della quale abbiamo discorso, era dal lato opposto all'attuale e corrispondeva precisamente nel punto occupato oggi dal sepolcro del santo papa Pio IX, cosicchè il fondo della basilica era presso a poco sulla linea delle due scale per le quali dalla superiore aula odierna si discende of in quella inferiore costantiniana. Allorquando fu aggiunta la basilica maggiore alla piccola costantiniana che abbiamo descritto, fu distrutta l'abside della pelagiana, di cui resta ancora la parte superiore adorna di decorazioni a musaico fatte eseguire dal papa Pelagio II.
V'ha nel mezzo il Salvatore assiso sul globo in atto di benedire; alla sua destra é l'apostolo Pietro, il martire Lorenzo e Pelagio II colla scritta PELAGIVS SECVNDVS: alla sinistra stanno s. Paolo, s. Stefano ed il martire s. Ippolito.
Tale è dunque la primitiva basilica costantiniana eretta sul sepolcro di s. Lorenzo ed ampliata nel secolo VI da Pelagio, come ricorda il Libro pontificale, e come coi nostri occhi medesimi possiamo scorgere. Ad un superiore livello ed incorporata a quella, v'ha l'aula maggiore colle tre navi, che il Libro pontificale nella vita di Adriano I chiama basilica maior, le cui origini però sono certamente anteriori a quel papa, giacchè le topografie scritte nella prima metà del secolo VII c'insegnano p869 chiaramente a distinguere le due diverse basiliche, e ci guidano a riconoscere l'unione posteriore delle due in una sola. Dal più accurato fra i suddetti documenti, il codice salisburgense, risulta infatti che sugli esordî del secolo VII v'erano nel cimitero di Ciriaca sopra la memoria del glorioso martire Lorenzo due chiese: una detta maggiore, ed un'altra detta nuova ed ornatissima. Insomma due grandi e contigue basiliche erano dedicate a quel martire, dalla cui fusione risultò l'odierna. Ambedue erano antiche, giacchè l'una ebbe origine costantiniana, come dicemmo, e l'altra, cioè la maggiore, è ricordata anche nella vita del papa Ilaro dal Libro pontificale; il che ci fa risalire fino all'anno 461. Anche i documenti liturgici più vetusti nel giorno di s. Lorenzo distinguono chiaramente due messe e stazioni che si faceano nelle due sue contigue basiliche sopra il suo sepolcro col nome di missa prima ovvero mane primo, a differenza della missa publica o missa maior.
È chiaro che le due messe corrispondono a due stazioni diverse, ossia alla solenne iterazione del sacrificio in due chiese: esse erano la speciosior o nova e la maior. La prima detta nova era la più vetusta, cioè quella di Costantino, che i documenti dell'età pelagiana chiamano appunto con tal nome per essere stata del tutto rinnovata dal papa Pelagio I, come si disse; la seconda o maggiore invece era alquanto posteriore all'altra, perchè fu costruita nel V secolo. La prima era la basilica contenente l'altare del sepolcro, ove avea luogo la missa ad corpus del martire, la seconda più ampia per la missa publica: in modo che adiacenti erano le due chiese, ma l'una superiore all'altra con l'ingresso e la fronte opposta, in guisa che le due absidi si toccavano in modo che quella del maggiore edificio rispondeva immediatamente dietro l'altra, unicamente comunicando forse per mezzo di qualche apertura munita di transenne.
La basilica maggiore eretta da Sisto III e destinata alla grande adunanza dei fedeli nel giorno di s. Lorenzo, circa il secolo VIII fu dedicata alla beata Vergine Maria come si legge nella vita di Adriano: In basilica maiore quae appellatur s. Dei Genitricis, quae adhaeret iuxta basilicam beati Laurentii ecc.
Anche nella vita di Leone IV troviamo la stessa denominazione: Basilica sanctae Dei Genitricis iuxta basilicam s. Laurentii. I due edificî rimasero separati e distinti fino ai tempi di Onorio III, il quale d'ambedue ne fece un solo, e ridusse ad aula maggiore della basilica la chiesa della Vergine, abbattendo l'abside di Pelagio, e trasformando in presbiterio l'area della costantiniana, che da quel papa fu così quasi per metà dissepolta. Ai lavori suddetti spetta anche il portico che s'apre innanzi p870 alla basilica con le sue tre porte e le sei colonne: ed infatti nel suo fregio in musaico si vede ancora l'effigie del gran papa Savelli.
Anche le pareti del portico furono adorne di pitture, ma recentemente sono state restaurate e quasi del tutto rinnovate, nelle quali in altrettanti quadretti erano dipinte scene relative al martirio di s. Lorenzo, ad alcuni avvenimenti prodigiosi accaduti sul suo sepolcro e narrati dal magno Gregorio, e a fatti inoltre della vita di s. Antonio; ma ciò che è sopra ogni altra cosa pregevole è il quadro d'Onorio III che benedice e comunica l'infelice Pietro di Courtenay conte d'Auxerre, che da quel papa in questa basilica fu solennemente consacrato imperatore di Costantinopoli, insieme a Iole sua moglie, l'anno 1217.
Il presbiterio sembra fosse compiuto assai tardi, giacchè nello scaglione marmoreo, a destra di chi guarda la cattedra episcopale, si legge scolpita la seguente epigrafe colla data dell'anno 1254, epoca in cui sedeva sul soglio di s. Pietro il papa Alessandro IV:
Più secolo oww l'altare isolato, opera di uno dei più celebri maestri della scuola dei marmorari romani fioritie in Roma specialmente dal secolo XI al XII. Nell'interno infatti dell'architrave di quel tabernacolo, ossia tegurium, si legge:
ANNO DOMINI MCXLVII. EGO VGO HVMILIS ABBAS HOC OPVS FIERI FECI ☧ IOHANNES PETRVS ANGELO ET SASSO FILII PAVLI MARMORARII HVIVS OPERIS MAGISTRI FVERVNT.
Presso le due basiliche v'erano anche molte memoria di martiri: a questo numero apparteneva la piccola chiesuola di s. Agapito, che era alquanto discosta dall'edificio.
Nel portico fuori della chiesa era conservata la pietra che fu legata al collo di Abbondio quando i carnefici lo gettarono in un pozzo o in una cloaca. Nel medesimo portico e verso ponente era un piccolo cubicolo od oratorio dedicato ai martiri Abbondio ed Ireneo, corrispondente presso a poco al muro di cinta dell'odierno Campo santo e non lungi dal principale ingresso del medesimo. Nel gettarsi infatti le fondamenta di quell'edificio si rinvennero memorie cristiane, e tra queste il lacero avanzo d'un ignoto carme damasiano in cui si leggeva la parola . . . SVPPLEX . . . che il papa Damaso più volte usa nei suoi epigrammi, p871 parlando di sè allorchè si rivolge fiducioso all'intercessione dei martiri.
Nè basta, oltre il piccolo oratorio dei ss. Abbondio ed Ireneo, il Libro pontificale nella vita di Adriano I ricorda vicino a s. Lorenzo una chiesa di s. Stefano, ove riposava il corpo di un santo vescovo e martire di nome Leone, del quale tacciono tutti i topografi. Dal testo del libro citato si ricava che la chiesa di s. Stefano era situata alla destra della basilica di s. Lorenzo vicino al descenso del cimitero di Ciriaca.
Ora in questo luogo, dove ancor'oggi si sale sulla collina sotto alla quale si svolge il cimitero sotterraneo, furono nel 1857 rinvenute le vestigia d'un oratorio a tre absidi, intorno al quale giacea un cumulo d'epitaffi sepolcrali del secolo IV sino al VI. Fra quei marmi vide il De Rossi due brani d'un carme inciso sulla fascia posteriore d'una transenna, indizio di sepolcro assai illustre. Il chiaro scopritore riunì quei frammenti ad altro che si custodiva presso il monastero di s. Gregorio al Celio, uscito da questo luogo in altri tempi; e quei tre pezzi congiunti diedero presso a poco il notabile frammento del carme sottoposto.
Fortunatamente l'intiero carme era stato trascritto dagli antichi collettori d'epigrafi e conservato nel celebre codice palatino. Esso dice così:
OMNIA QVAEQVE VIDES PROPRIO QVAESITA LABORE CVM MIHI GENTILIS IAM DVDVM VITA MANERET INSTITVI CENSVM CVPIENS COGNOSCERE MVNDI IVDICIV POST MVLTA DEI MELIORA SEQVTVS CONTEMPTIS OPIBVS MALVI COGNOSCERE CHRISTVM HAEC MIHI CVRA FVIT NVDOS VESTIRE PETENTES FVNDERE PAVPERIBVS QVIDQVID CONCESSERAT ANNVS |
Qui comincia la parte residuale del marmo:
PSALLERE ET IN POPVLIS VOLVI MODVLANTE PROPHETA SIC MERVI PLEBEM CHRISTI RETINERE SACERDOS HVNC MIHICOMPOSVIT TVMVLVM LAVRENTIA CONIVX MORIBVS APTA MEIS SEMPER VENERANDA FIDELIS INVIDIA INFELIX TANDEM COMPRESSA QVIESCIT OCTOGINTA LEO TRANSCENDIT EPISCOPVS ANNOS DEP. DIE PRID. IDVS MARTIAS. |
L'epigramma è di grandissima importanza per le notizie che si somministra di questo santo vescovo, del quale ci dice che in origine era stato gentile, assai ricco e facoltoso, ma che dopo conosciuto Cristo dette il frutto delle sue dovizie ai poveri; p872 fatto vescovo volle presiedere nel canto al salmeggiare dei fedeli. Ebbe avversarî che con acceso livore lo peseguitarono fino alla morte, a lui sopraggiunta dopo gli ottant'anni di vita, a cui fibnk compose il sepolcro la veneranda sua coniuge Laurentia. Il penultimo verso del carme può rendere ragione del titolo di martire a lui dato dal Libro pontificale, alludendo alla persecuzione che ebbe a soffrire. Indubitatamente l'autore dell'epigramma è Damaso, circa i cui tempi visse Leone, trovandosi forse esposto alle feroci persecuzioni degli Ariani, e di Costanzo che cacciava in esilio e nelle carceri i vescovi e i sacerdoti cattolici.
Al gruppo delle basiliche predette si deve aggiungere una ecclesia s. Agapiti, il compagno di Felicissimo, della quale però non si hanno notizie, fuori di quelle che ce ne danno i nostri topografi: di questa non si è trovato o riconosciuto alcun indizio.
Nelle adiacenze per della basilica fu rinvenuta l'arca sepolcrale d'un Licentius v. c. (vir clarissimus) colla data consolare dell'anno 406. Questo Licenzio di grado senatorio è creduto dal ch. De Rossi il discepolo carissimo di s. Agostino e da lui raccomandato a Paolino di Nola perchè cercasse di distoglierlo dalla via fallace degli onori a cui si dirigeva. A lui il santo vescovo di Nola scrisse il bellissimo carme che termina nel modo seguente:
Insieme all'arca di Licenzio fu anche disotterrata quella di Flavio Magno rhaetor Urbis aeternae che assai illustra la storia letteraria e cristiana del secolo V.
Ragionando poi delle iscrizioni sparse per la chiesa di s. Lorenzo ed adoperate nei secoli di mezzo come materiale di costruzione, merita far quivi menzione d'una affissa alla parte posteriore dell'ambone del Vangelo, ove si parla di un tal Vittore prete del titolo di Nicomede, titolo di cui è ignota l'origine e il sito preciso. Anche nel pavimento della chiesa furono adoperate molte iscrizioni per la maggior parte tolte dal cimitero in tempi antichi. Tra queste mi sembra importante un frammento posto a caposotto nel pavimento del presbiterio d'Onorio, ove ho letto le lettere residuali:
p873 Le parole colle quali terina l'epigrafe deposita cum filiis super. . . . richiamano alla mente la frase usata per color che erano deposti vicino ai martiri retro sanctos, super sanctos. . . . onde in questo caso potrebbe dirsi depa cum filiis super sanctum Laurentium.
Ho accennato che un grandioso e lungo portico coperto moveva dalla porta Tiburtina e la congiungeva colla basilica di s. Lorenzo: di questo portico non restano oggi vestigia, ma ne ho trovato notizia negli atti delle Visite sotto Urbano VIII,JJJ ove si accennano agli avanzi di quel porticato come ancora esistente in quell'epoca. Da quel documento anche risulta che gli accessi dalla basilica al cimitero di Ciriaco erano ancora aperti: a tergo altaris (s. Ciriacae) loca conspiciuntur in modum cryptarum quae ut coniicitur sunt ex coemeterio praedicto, ideoque illorum aditus sunt cancellis recludendi.
Il Mellini racconta che ai tempi del card. Farnese, commenditario del monastero annesso, forse visti i corpi di s. Ippolito e degli altri martiri sepolti sotto l'altare della basilica: "e fra coloro che li videro v'era il p. D. Angelico da Bologna priore del monastero, il quale havendo più volte tentato di scendere in quel luogo che s'era aperto con una scaletta, non gli fu possibile per il gran timore et tremore che gli sopravveniva, ma che vi riuscì dopo molte orationi et digiuni, e dice che questi santi corpi stanno in terra distesi come in giro con una pietra sotto il capo."
Presso il cimitero di Ciriaco nell'agro Verano v'era una chiesa di s. Romano, ricordata negli atti di questo santo, dai quali risulta essere antichissima. ecco le parole dei medesimi: In loco autem ubi decollatus est s. Romanus, Christicolae condiderunt ecclesiam quae usque hodie b. Romani militis martirysº memoriam repraesentat.JJJ
Nel mezzo del Campo santo annesso alla basilica di s. Lorenzo sorge una monumentale chiesolina preceduta da un elegante portichetto. È la cappella del cimitero, dedicata alla Madonna della Misericordia. In origine fu di legno, poi da p874 Pio IX fu eretta di materiale quale oggi si vede. È a tre navi ed è architettata dell'illustre architetto Virginio Vespignani. Nel 1844 Luigi Alessi romano istituì in questo luogo una pia unione in suffragio delle anime dei defunti sotto il nome di Carità verso i trapassati. I fratelli si raccolgone sulle prime ore del mattino in quella cappella nei giorni festivi a recitarvi l'offizio dei defunti e nell'ottava dei morti tutti i giorni all'alba convengono colà per lo stesso nobilissimo scopo. Santa istituzione!
Gli autori degli itinerarî salisburgensi notano questa chiesa, in cui venerarono molte reliquie di martiri, e della quale abbiamo fatto cenno a proposito della basilica di s. Lorenzo: Eademque via ecclesia est s. Agapiti multum honorabilis martyrum corporibus.
Il Libro pontificale ne attribuisce la edificazione a Felice III, ed i restauri ai suo successori Adriano I e Leone III.
Il Severano vide in una vigna del monastero di s. Lorenzo presso questa basilica i vestigî di un'antica chiesa. Forse appartenevano a questa di s. Agapito. Ma non solo di questa si vedevano nel secolo XVII le vestigia, poichè aggiunge il Bosio che nelle circonvicine vigne (di s. Lorenzo) si vedono molte vestigia e antiche parietine, che crediamo siano reliquie delle sopradette chiese e monasteri.
Il martire eponimo di questa basilica tiburtina è il diacono compagno di Felicissimo, ucciso l'anno 258 insieme al papa Sisto II nel cimitero di Callisto, morte quivi teneva una sacra sinassi.
Fu eretta dal papa Simplicio e restaurata da Adriano I. Si narra che Leone IV, in una delle sue frequenti pellegrinazini alla basilica di s. Lorenzo, osservò che tenue era il numero dei monaci i quali uffiziavano quella chiesa, perchè resi inabitabili i due monasteri annessi alla basilica, uno dei quali era quello dei ss. Stefano e Cassiano; laonde ordinò un grandioso restauro ed assegnò abbondevoli rendite per sostentamento di una comunità di monaci greci, che ivi chiamò acciò attendessero al culto divino in s. Lorenzo. In questa chiesa era sepolto il corpo di s. Leone vescovo, del quale abbiamo già discorso. Nel 1857 alla destra della basilica di s. Lorenzo si rinvennero le vestigia di quest'oratorio, intorno al quale giacevano molte iscrizioni del secolo V e VI.
Presso la porta della città v'era una chiesa di s. Gennaro, che fu, come tutte le altre, restaurata dal pontefice Adriano I. Narra s. Gregorio nei suoi Dialoghi di un prodigio avvenuto in questa chiesa, presso il cadavere di un tintore che portato costì a seppellire, fu inteso la notte seguente gridare: ardeo, ardeo.JJJ Dio ci liberi dalla sorte di questo tintore disgraziato!
Anche quest'oratorio era presso la basilica, ed i topografi nella loro visiteº a quel gruppo di santuarî non lasciavano di entrarvi a venerare una pietra che i fedeli di Roma religiosamente toccavano, perchè si credeva avesse servito ad istrumento del supplizio di Abbondio, gettato con quella al collo entro un pozzo; ecco infatti le parole di uno dei topografi di quell'età: Foris in porticu lapis est qui aliquando in collo eiusdem Abundii pendebat in puteum missi; un altro di quei divoti e rozzetti pellegrini ingenuamente narrando il fatto che vedeva cogli occhi suoi, non sapeva rendersene ragione: Et est parvum cubiculum extra ecclesiam . . . . ubi pausat s. Abundius et hereniius (sic) et ibi est ille lapis quem tollunt digito multi homines nescientes quid faciunt. Dalle quali parole si raccoglie che l'oratorio suddetto era piccolissimo come una cappellina.
Vicino ai suddetti v'era un oratorio anche più insigne, dove Ciriaca, la padrona dell'agro verano confiscatgli nella persecuzione, ed istitutrice del cimitero, era stata sepolta; e presso al suo sepolcro eran quelli di Giustino e Crescenzio, ambedue martiri, e di s. Romano. La più accurata notizia l'abbiamo nella topografia malmesburiense, ove si legge: Et ibi prope in altera ecclesia pausant ss. martyres Cyriaca, Romanus, Iustinus, Crescentianus. Quest'oratorio fu poi incorporato alla basilica, benchè fosse ad un piano più profondo di questa; e da quello si entrava nel cimitero. Esiste tuttora, benchè cangiato di forma, a sinistra della medesima, e vi si discende per parecchi scalini. È la divotissima cappella di s. Ciriaca, sulla quale si p876 legge un'epigrafe del medio evo relativa alla stessa santa, a s. Lorenzo e alla potente intercessione d'entrambi per refrigerio delle anime dei defunti.
Anche alla celeberrima martire sepolta nel cimitero di Callisto era stato edificato un oratorio sulla via Tiburtina circa il quinto miglio, il quale venne ampliato e decorato dal papa s. Zaccaria, come abbiamo nella sua biografia. Presso a questo fu dal medesimo edificato anche una cappella ossia oratorio ai ss. Ciro e Giovanni, i quali nel medio evo, per corruttela di lingua, furono con una sola voce detti ss. Abbaciro.
Sulle colline che costeggiano la via Tiburtina a sinistra, quasi dirimpetto alla basilica di s. Lorenzo, si svolge il cimitero di s. Ippolito martire, sopra il quale pur erano stati eretti acli oratorî in corrispondenza colle cripte dei martiri, alla cui memoria erano dedicati. D'un di questi resta ancora un avanzo con parte dell'abside trasformata oggi in un rustico casolare entro la vigna Gori. Forse era questo il piccolo oratorio di s. Trifonia, di Cirilla e Concordia e del martire Genesio, il celebre mimo convertito ed ucciso sul teatro mentre parodiava i riti della chiesa! Vicino al santuario principale era la basilica di s. Ippolito, che Prudenzio, l'autore dell'altro De coronis, cantò nei suoi immortali versi sui martiri e sui cimiter di Roma. I nostri topografi la descrivono minutamente. Non ogni traccia è sparita di questa basilica sotterranea, che io fino da molti anni nelle esplorazioni sotterranee da me fatte nelle gallerie del cimitero, per primo riconobbi ed additai, e che la commissione di sacra archeologia ha del tutto rimesso in luce, restituendo così alla Roma sotterranea uno dei più nobili suoi monumenti.
La cripta presenta l'aspetto di una ecclesia sotterranea. Essa è terminata da una grandiosa abside rivestita ancora in parte del suo intonaco, sul quale si leggono nomi dei visitatori del secolo V e VI. Il suolo della tribuna è più elevato del livello della cripta, che è di pianta rettangolare; le pareti, in gran parte murate, non presentano che languide tracce delle pitture di cui erano adorne. Sul gradino che separa la tribuna dal resto della cripta restano le tracce del fulcro o pilastro che sosteneva la mensa dell'altare, sotto il quale era il locellus contenente le reliquie del martire.
p877 Il più grande esploratore dei cimiteri romani nel secolo XVI, il Bosio, era penetrato in una regione di questi sotterranei, ma le rovine accumulatevi non gli permisero di spingersi molto addentro. Tuttavia senza che egli se ne avvedesse, s'avviccinò assai alla cripta del martire Ippolito, poichè egli lesse l'epigrafe seguente che conteneva una prece rivolta al martire stesso, nella quale si impetrava ad un defunto il refrigerio della vita eterna per la intercessione d'Ippolito:
REFRIGERI (refrigeret) TIBI DO MNVS IPOLITVS SID . . . . |
Dello splendore primitivo del santuario, già si insigne e celebrato da Prudenzio, non restano oggi che le tracce d'una devastazione completa: tracce però che attestano la ricchezza della volta, specialmente pei frammenti di marmi preziosi che ne ornavano le pareti, fra i quali si rinvennero cornici di porfido. Oltre l'iscrizione sopraddetta edita dal Bosio, un'altra più tardi venne a luce da questo cimitero che ricordava pure il nome del martire eponimo di quello. Essa era scolpita su lapide cimiteriale ed indicava il sito di un loculo AT (ad) IPPOLITV SVPER ARCOSOLIV; il marmo venne al Vaticano, ma non vi fu chi curasse di indagare la provenienza di sì prezioso titolo, nel quale si accennava al sepolcro e alla cripta storica di quel martire.
Ivi pure si scoprì un frammento d'epigrafe che il chiaro De Rossi riunì ad altri pezzi che da più secoli faceano parte del pavimento della basilica dei ss. Quattro Coronati al Celio; da questo ravvicinamento, risultò che questa ornava la basilica sotterranea di che parliamo. Il contesto dell'iscrizione ci dà quasi per intero la storia della medesima dopo il periodo del suo più grande splendore; nel marmo infatti si dice che il luogo una orribilmente profanato e mutilato dai barbari, ma sotto il pontificato di Vigilio, Praesule Vigilio, un prete Andrea rese al luogo il suo splendore primitivo:
Circa questo personnaggio, opina il dero sia stato prete del titolo di s. Prassede; imperocchè tra le pietre precipitate colle macerie dal suolo superiore entro quella cripta, probabilmente dal sepolcreto attorno la basilica di s. Ippolito, giaceva la seguente dell'anno 491:
p878 Dal contesto della quale risulta che una donna di nome Fausta, figlia d'un cotale Argirio, comprò il sepolcro pel suo defunto genitore dai preti del titolo di Prassede; da che ci si rivela che il cimitero d'Ippolito era sotto la cura e giurisdizione speciale del clero del titolo Prassede.
Dei restauri della cripta, posteriori al saccheggio dei Goti, abbiamo prove positive, poichè il muro dell'emiciclo dell'abside è costruito sopra lastre marmoree scritte, di sepolcri del secolo IV: anche i gradini sono rivestiti di lastrine marmoree diverse, in una delle quali v'ha un titoletto inciso in bellissime lettere del vero tipo damasiano della calligrafia di Furio Donisio Filocalo:
Cotesta tabella non sta al suo posto primitivo e fu tolta dalla fronte d'un arcosolio dei tempi di Damaso a cui quel pontefice compose quel sepolcro, indizio che qui si tratta d'un personaggio importante nella storia del pontificato di Damaso, ma oggi a noi sconosciuto. Un'altra epigrafe storica fu trovata negli scavi del 1883 tra le macerie della cripta che ricorda l verso secondo lo stesso martire Ippolito; il primo distico infatti è del tenore seguente:
LAETA DEO PLEBS SANCTA CANAT QVOD MOENIA CRESCVNT ET REPARATA DOMVS MARTYRIS IPPOLITI |
Questa memoria parla di lavori fatti da un prete di nome Leone nel pontificato di Damaso, del quale si dice nel carme suddetto: natus qui antistes sedis apostolicae; frase, come spiega il De Rossi, che allude certamente all'essere stato Damaso fino dalla puerizia nel clero ed al servizio della sede apostolica.
Sul limitare del vestibolo sotterraneo dell'insigne santuario si legge l'epitaffio d'un lector tituli Pudentis, sepolto nell'anno 328:
☧ HIC REQVIESCIT IN PACE HILARVS LECTOR . DE PVDENTIS QVI VISIT . ANN . PL. M. XXX DEP . GI . IDVS . PC . . . . MABORT. V. C. |
Uno dei divoti visitatori che scrisse sulle pareti del santuario quella invocazione al santo martire, si sottoscrive coll'umile titolo di peccatore: Ippolite in mente (habe) Petru peccatore (sic).
p879 Moltissime poi sono le iscrizioni ed i frammenti sepolcrali di semplici fedeli dispersi nella cripta medesima e nelle sue adiacenti.
Al non miglio della via tiburtina esisteva questo santuario, di cui rimangono ancora tracce grandiose. L'epitome salisburgense De locis sanctorum martyrum ne dà un cenno aggiungendo il nome della nostra santa ai martiri più insigni della via: ibi Hereneus (sic) ecc. sunt sepulti et s. Cyriaci et. Sinferusa (sic).
Fino ai nostri giorni la reminiscenza di quel santuario resta ancor viva nelle trdi locali, poichè la contrada diceasi le sette fratte, corruttela evidente del nome septem fratres. Infatti ad septem fratres appellavasi quel sepolcro fino al secolo X, come risulta da una bolla di Martino II nel 944.JJJ Il Bosio vide i rdui di quella basilica e grande annessi antichi edificî, in cui si vedevano tracce delle pitture. Quei ruderi sono stati testè riconosciuti dal ch. signor E. Stevenson nella tenuta di Tavrnucole: ed essi sono incorporati al casale della tenuta stessa; ma il chiaro scopritore ha ritrovato le parti antiche della piccola basilica, che è di forma quadrilunga terminata da un'abside relativamente grandiossia. Il proprietario del fondo, il defunto duca Pio Grazioli, in seguito di questa scoperta, fece eseguire sul luogo escavazioni che furono feconde di risultati interessanti, dei quali lo Stevenson ha dottamente discorso in una sua monografia su quel monumento cristiano.JJJ Egli trovò infatti addossata al piccolo oratorio una seconda basilica, similissima a quelle che sorgono sul cimitero di s. Callisto, e che colla sua abside volge le spalle alla prima, nella guisa stessa delle celle del tempio dinao di Venere e Roma presso il Foro. Questa basilica misurava oltre 40 metri di lunghezza, poco meno di 20 in larghezza,º, ed era divisa in tre navi da sei pilastri. La prima cella fu eretta sul sepolcro di Sinforosa e dei suoi figli prima della pace, e dopo questa fu aggiunta la basilica maggiore, di che ho parlato. Dopo la traslazione di quelle reliquie entro la città di Roma, quel monumento cadde in abbandono e in dimenticanza; quando questa traslazione avvenisse è incerto, è probabile che Stefano III ne fosse l'autore e trasferisse dette reliquie nella basilica p880 di s. Michele in foro piscium. Infatti sotto Pio IV fu rinvenuta costà una lamina plumbea colla epigrafe:
HIC REQVIESCVNT CORPORA SANCTORVM MARTYRVM SINPHOROSAE VIRI SVI ZOTICI ET FILIORVM EIVS A STEPHANO PAPAE TRANSLATAE.
Nei documenti del secolo XII la chiesa di s. Sinforosa nella via TiburtinaJJJ è nominata come pertinente al monastero di s. Ciriaca in Roma. Sembra che un incendio finisse di consumare il monumento, poichè fra le rovine della basilica si trovarono strati di macerie annerite e corrose dal fuoco.
Immagini con bordi conducono ad informazioni: più spesso il bordo più ampie le informazioni. (Dettagli qui.) | ||||||
A
MONTE: |
Armellini: Chiese di Roma |
Chiese di Roma |
Roma |
Pagina principale |
VEDI
ANCHE: |
Topographia Urbis |
Una pagina o un'immagine su questo sito è libera di diritti soltanto se la sua URL reca un solo *asterisco. Se l'URL reca due **asterischi — insieme o separati da altri caratteri — il copyright appartiene a qualcun altro, e viene utilizzata qui con permesso o in applicazione del "fair use" del diritto americano. Se non reca nessun asterisco rimane © Bill Thayer. Vedere la mia pagina sul copyright per tutti i dettagli e per prendere contatto con me. |
Pagina aggiornata: 30 set 01