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III.2
Questa pagina Web riproduce una parte di
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

di Mariano Armellini

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891

Il testo è nel pubblico dominio.

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 p925  (PARTE TERZA)
Notizie storiche e topografiche
delle chiese suburbane di Roma

Fine

Via Ostiense

S. Euplo

Quest'antico oratorio fu dal papa Teodoro (a. 642‑649) dedicato al santo diacono e martire di Catania Euplo: era contiguo alla piramide di Caio Cestio e stava fra questa e la porta ostiense. Di là continuava il porticus quae ducit a porta ad s. Paulum apostolum restaurato da Adriano I una cum ecclesia s. Eupli. Ave annessa un'abitazione per un eremita deputato a custodia di quella divota chiesolina. Fu demolita l'una e l'altra nel 1848 nella fazione militare di quell'anno combattuta fra i militi francesi e quelli della repubblica romana. Cotesta chiesolina dipendeva dal monastero di s. Saba. Nel secolo XIII sorgeva presso la chiesa un grandissimo ospedale a ricovero dei pellegrini infermi che frequentavano quella via per condursi alla basilica di s. Paolo. L'ospedale di s. Euplo forse fu il maggiore di Roma, e gli infermi vi erano assistiti da diciannove persone, siccome abm nel codice di Torino: Hospitale sancti Eupli habet XIX servitores. Non è da confondere questa chiesa, come fa il Martinelli, con un'altra vicina dedicata al s. Salvatore.

S. Salvatore della Porta

Dalla suddetta porta ostiense prendeva il nome anche questa chho dedicata al Salvatore e che era vicinissima a quella di s. Euplo ora distrutta. Nel secolo XIII era abbandonata, poichè il codice di Torino scrive: Ecclesia sancti Salvatoris de porta non habet servitorem. Da questa chiesa avea origine il grandioso portico che conduceva sino alla basilica ostiense, onde proteggere dalle intemperie i pellegrini che accorrevano notte e giorno al sepolcro dell'apostolo, e sotto le cui volte essi si riparavano dal lungo pellegrinare. Questo portico era il più insigne di Roma per la sua lunghezza e magnificenza, perchè le sue colonne erano di marmo, e la volta ricoperta di piombo: l'ultimo papa che lo restaurò fu Benedetto III nel 855: Procopio nelle sue descrizioni della guerra gotica ne parla minutamente. Anche i Libri indulgentiarum ricordano l'ecclesia s. Salvatoris extra portam s. Pauli. Nella contigua vigna del signor marchese Ricci, si legge un'epigrafe del secolo XVI che  p926 ricorda quest'oratorio medesimo, e ove si fa menzione dall'altare superior, segno evidente che ivi era un ipogeo con altare sotterraneo. È quindi probabilissima l'opinione del ch. De Rossi che sotto quell'oratorio esistesse una qualche cripta sepolcrale dei primi secoli ove uno o più fedeli furono sepolti. Le origini di questa chiesa si rannodano agli atti apocrifi di s. Paolo, perchè si dice fosse edificata nel luogo ove Plautilla andò ad attendere s. Paolo condotto al martirio e dove essa dette all'apostolo un velo per bendarsi gli occhi, che il santo le rese dopo la morte. Anche questa fu demolita nel 1849 durante l'assedio di Roma.

Cappella dei Ss. Pietro e Paolo
(Ss. Crocifisso)

A mezzo miglio circa dalla porta s. Paolo, a destra, v'ha una divota cappellina, oggi dedicata al ss. Crocifisso, la cui erezione si riferisce ad un racconto tolto dagli atti apocrifi dei ss. Pietro e Paolo, ove si legge che condotti i due apostoli pel martirio in questo luogo, furono separati. Questa cappella fu concessa da Pio IV all'arciconfraternita della ss. Trinità dei Pellegrini l'anno 1562. La primitiva non stava dove si vede ora, ma bensì dalla parte opposta e quasi nel mezzo della strada. Nel 1568 fu demolita e rifabbricata per cura di alcuni fratelli di detta arciconfraternita. Sulla porta leggesi: CAPELLA HOSPITALIS SS. TRINITATIS CONVALESCENTIVM ET PEREGRINORVM FVNDATA FVIT ANNO MDLXVIII.

Una edicoletta sostenuta da due colonne di marmo adorna la fronte della chiesina, ed ivi si vede un rozzo bassorilievo che rappresenta l'amplesso e il saluto dei due apostoli; sotto si legge:

IN QUESTO LUOGO SI SEPARARONO S. PIETRO E S. PAULO ANDANDO AL MARTIRIO ET DISSE PAULO A PIETRO: LA LUCE SIA CON TECO FUNDAMENTO DE LA CHIESIA ET PASTORE DI TUTTI LI AGNELLI DI CHRISTO ET PIETRO A PAULO VA IN PACE PREDICATOR DE BUONI ET GUIDA DE LA SALUTE DE GIUSTI.

Sul quadro dell'altare è dipinto s. Filippo Neri, attorniato dai fratelli della suddetta compagnia e dai pellegrini, in atto di raccomandarli alla ss. Trinità. Ai due lati sono dipinti i ss. Apostoli  p927 in grandezza naturale e con i loro nomi; sotto alle figure veggonsi due edicole con cornici di marmo ornate di musco cosmatesco.

S. Biagio della Porta

Tranne il codice di Torino, in verun altro documento troviamo notizia d'una chiesa di s. Biagio a porta s. Paolo. Era però allora fatiscente ed abbandonata, come risulta dalle parole del compilatore di quel catalogo, il quale scrive che la chiesa suddetta: non habet servitorem.

S. Martina

Giacque alcun tempo il corpo di questa gloriosa martire nella via Ostiense, ed in quel luogo fu edificata una chiesa in memoria di quelle reliquie, le quali furono poi trasferite al Foro Romano. Ma il sito dove quell'oratorio sorgesse è affatto ignoto.

S. Menna

Nel secolo VIII l'Anonimo di Einsiedeln, poco prima di giungere alla basilica di s. Paolo sulla via Ostiense, indica una chiesa dedicata al celebre martire d'Egitto s. Menna. Quella chiesa fu restaurata da Leone IV ed arricchita di molti doni dal papa Pasquale I. Vi recitò un'omelia s. Gregorio il Grande. Sparse per tutto il mondo romano e cristiano sono le ampolle in terra cotta di questo santo in cui si legge da un lato ΕΥΛΟΓΙΑ ΤΟΥ ΑΓΙΟΥ ΜΗΝΑ, da l'altro la sua imagine tra due croci e due cammelli. Queste contenevano l'olio che si facea ardere innanzi ai suoi santuarî: il suo sepolcro era a nove miglia da Alessandro ad occidentale. Poco dopo il secolo X se ne perde affatto ogni memoria. Nel mercoledì dopo la quarta domenica di Quaresima, nella stazione a s. Paolo, la colletta si facea nella detta basilica di s. Menna. Di questa però nessun cenno fanno i documenti del secolo XVI. La chiesa era corteggiata al famoso portico che dalla porta s. Paolo si protraeva alla basilica, come abbiamo dagli itinerarî del secolo VII: Inde per porticum usque ad ecclesiam Menna, et de Mennae usque ad s. Paulum apostolum.

 p928  S. Stefano

Presso la basilica di s. Paolo esisteva un'antica chiesa dedicata a s. Stefano, alla quale era cgto un monastero di sacre vergini. Di questa chiesa, precisamente nelle vicinanze del Tevere, non lungi dalla fronte della basilica, il Severano scrive che ai suoi giorni si vedeano le vestigia, cioè la porta della chiesa fra due colonne di marmo, ed i resti della tribuna. Del monastero si fa menzione nella celebre epigrafe della donazione che s. Gregorio fece alla basilica ostiense. I topografi del secolo VII ci additano questo santuario, nel quale venerarono sull'altare lapis quo lapidatus est s. Stephanus.

S. Mandalo

È ricordata una chiesa, in onore di questo santo, dall'Anonimo di Torino, il quale aggiunge che presso la medesima v'era un ospedale; non sembra fosse però lungi dalla porta, poichè nel codice suddetto è scritto: Hospitale sancti Mandali extra portam habet duos servitores.

S. Crocifisso

È il titolo di una cappelletta oggi abbandonata posta a sinistra della via, poco prima di giungere alla basilica ostiense, che era custodita da un eremita.

S. Paolo fuori le Mura

Nel luogo ove fu deposto l'apostolo delle genti, fino dai secoli della persecuzione fu eretto un edifizio simile a quello che sorgeva sulla tomba di s. Pietro in Vaticano, e che Caio disputando contro i montanisti appella: i trofei degli apostoli. Fu probabilmente un piccolo edifizio di quella forma sepolcrale detta dagli antichi cella memoriae, che per la religiosità dei sepolcri erano immuni da ogni violazione.

Appena fu promulgata la pace della chiesa, Costantino trasformò le due cellae memoriae degli apostoli in amplissime basiliche, come leggiamo nel Libro pontificale,º ed in un sarcofago  p929 marmoreo, sul quale si legge ancora l'epigrafe costantiniana, racchiuse il corpo di s. Paolo. Della edificazione costantiniana scrive così il Libro pontificale: Fecit basilicam s. Paulo apostolo cuius corpus recondidit in arca et conclusit sicut s. Petri. Questo stato di cose durò fino all'anno 386 in cui gli augusti Valentiniano II, Teodosio ed Arcadio si accinsero a rendere più ampia la basilica dell'apostolo ed a riedificarla di pianta. Si legge ancora il famoso rescritto imperiale a Sallustio prefetto di Roma, nel quale viene al medesimo ordinata la magnifica impresa della riedificazione della basilica ostiense; durante l'opera, Valentiniano morì nel 392, onde la fabbrica fu proseguita sotto Teodosio, arcadio ed Onorio; fu continuata da quest'ultimo, come si legge nell'epigrafe storica dell'arco superiore della basilica:

THEODOSIVS CAEPIT PERFECIT HONORIVS AVLAM
GAVDET PONTIFICIS STVDIO SPLENDERE LEONIS

Ivi pure leggesi l'epigrafe in musaico che ricorda i lavori della celeberrima Galla Placidia:

PLACIDIAE PIA MENS OPERIS DECUS OMNE PATERNI
GAUDET PONTIFICIIS STUDIO SPLENDERE LEONIS

Un rarissimo monumento e di storica importanza, edito dal Bianchini e dal Muratori ma da loro non compreso, ci richiama eziandio al tempo della fabbricazione della basilica fatta dai tre Augusti. È una tabella di bronzo ansata e forata da ambe le parti per essere sospesa al collo d'un animale e forse d'un cane da pecoraio. La targhetta porta incisa l'iscrizione seguente:

Α  Ω
AD BASILICA APOS
TOLI PAVLI ET
DD NNN
FILICISSIMI PECOR

cioè: ad basilicam apostoli Pauli et trium dominorum nostrorum felicissimi pecorarii. Il De Rossi dimostra che questa tabelletta era appesa al collo d'un cane di guardia in un tenimento di proprietà della basilica di s. Paolo e del suo pecoraio chiamato Felicissimo, al quale dovea esser ricondotto in caso di smarrimento. L'età poi del cimelio l'arguisce dall'appellazione di  p930 basilica trium Dominorum nostrorum che lo riporta all'epoca della sua costruzione ordinata a Sallustio. Fra le iscrizioni più importante di questa basilica v'ha quella di cui rimangono due frammenti affissi oggi alle pareti degli ambulacri del monastero spettanti ad un tal Eusebio, ove si legge che costui, uomo altrettanto pio che dovizioso, rinnovò tutto il cimitero: forse egli qui parla di quelanno sopratterra, giacchè prosegue a dire che risarcì o fabbricò i portici aggiungendovi colonne, li adornò con pitture, rifece i tetti, i bagni adiacenti secondo il costume delle antiche basiliche, i sedili, le finestre, il pavimento, ed eziandio i cardini delle porte che munì di chiavi; inoltre riadattò ciò ce ivi si chiama INTROITVS AD MARTYRES, condusse l'acqua, fece cancelli, mense ai sepolcri dei martiri, ecc.; insomma quest'iscrizione è un prezioso registro o meglio inventario dei lavori fatti nel secolo VI alla basilica e a tutte le sue varie parti. Nel medesimo chiostro rimane l'iscrizione di quel Felice prete che insiemoº con Adeodato levita ebbe da s. Leone la cura di restaurare la basilica e specialmente il tetto, come di fatto eseguì, e ne testifica l'altra iscrizione: EXVLTATE PII LACRIMIS IN GAVDIA VERSIS. Ivi pure si conserva un notabile avanzo d'un sarcofago che in origine fu posto probabilmente presso il sepolcro dei martiri Taurino ed Ercolano, celebri martiri d'Ostia e sepolti in Porto:

DEO PATRI OMNIPOTEN
TI ET XPO EIVS ET SANCTIS
MARTYRIBVS TAVRINO
ET HERCVLANO OMNI
ORA GRATIAS
agiMVS
NEVIVS LARI
stus eT
CONSTANT
ia . . . . V
RIA SIBI FEC
erunt
.

L'iscrizione è giudicata dal De Rossi appartenenti al secolo IVV, ed è assai preziosa perchè è fatta alla foggia della prece eucaristica colla gratiarum actio, cioè ευχαρισία.

Oltre il grande monastero, molti oratorî, basiliche minori, e case si aggrupparono attorno alla basilica stessa, che divenne quasi il centro d'un borgo o villaggio cristiano, il quale, per essere situato sulle sponde del fiume, fu esposto nel periodo delle incursioni dei Saraceni ai loro saccheggi. Ma Giovanni VIII circa l'anno 880, onde provvedere alla tutela del luogo, lo fece circondare di un fortilizio; cosicchè quella borgata ebbe il titolo di Giovannipoli. Sulla porta principale di questa vi fu scolpita l'epigrafe seguente, la quale ricorda l'erezione di quella  p931 città, sorta come il borgo leonino sull'altra sponda del Tevere presso il sepolcro di s. Pietro:

HIC MVRVS SALVATOR ADEST INVICTAQVE PORTA

QVAE REPROBOS ARCET SVSCIPIT ATQVE PIOS

HANC PROCERES INTRATE SENES IVVENESQVE TOGATI

PLEBSQVE SACRATA DEI LIMINA SCA PETENS

QVAM PRAESVL DOMINI PATRAVIT RITE IOHANNES

QVI NITIDVS FVLXIT MORIBVS MERITIS

PRAESVLIS OCTAVI DE NOMINE FACTA IOHANNIS

ECCE IOHANNIPOLIS VRBS VENERANDA CLVIT

ANGELVS HANC DOMINI PAVLO CVM PRINCIPE SANCTVS

CVSTODIAT PORTAM SEMPER AB HOSTE NEQVAM

INSIGNEM NIMIVM MVRO QVAM CONSTRVIT AMPLO

SEDIS APOSTOLICAE PAPA IOHANNIS OVANS

VT SIBI POST OBITVM COELESTIS IANVA REGNI

PANDATVR CHRISTO SAT MISERANTE DEO

Di sì prezioso marmo rimane tuttavia un frammento che sta affisso nelle pareti del corridoio dell'annesso monastero.

Anche l'Anonimo Magliabecchiano fa menzione di Ioannipolis, quae in hodiernis non videtur et antiquitus pulcherrime aedificata fuit e dice che aveva più di due miglia di circuito. Un documento di s. Gregorio VII dell'anno 1074, relativo a s. Paolo, conferma a questa chiesa totum castellum s. Pauli quod vocatur Ioannipolim cum mola iuxta se.

Ma torniamo alla basilica che vedemmo nel secolo V appellata Basilica trium dominorum nostrorum. Questo insigne tempio fu edificato tra il Tevere e la via Ostiense che gli correva innanzi, finchè, per le accresciute dimensioni, occupato ed intercetto quel tratto di via, nella seconda riedificazione fu dovuta tagliare una rupe che sovrastava alla sua tribuna e fra questa e quella aperto il nuovo tramite. La fronte era preceduta dal solito atrio basilicale circondato da quattro portici sostenuti da colonne, in mezzo al quale era il fonte consueto.

Le dimensioni della basilica ostiense erano maggiori di quelle dell'antica basilica vaticana. L'interno era formato da cinque fondi navi sorrette da 5k linee di venti colonne ciascuna, di vario ordine e dimensioni e di marmi diversi, perchè tolte ad edifizî preesistenti: il tetto della navata era ricoperto di bronzo dorato, e le pareti interne tappezzate di marmi. La nave di mezzo terminava coll'immenso arco trionfale che Galla Placidia sorella di Onorio avea adorno di musaici, e che  p932 era sostituito da due imponenti colonne ionie di marmo greco. Nel mezzo di quella colossale composizione spicca la figura divina e colossale di Cristo, tenente in mano la verga, simbolo della sua potestà. Ai due lati sono i quattro simboli degli evangelisti, al di sotto il ventiquattro seniori, ed all'estremità le imagini di Pietro e Paolo: sotto l'arco maggiore v'era la confessione, sotto la quale v'ha il corpo dell'apostolo deposto entro sarcofago di bronzo chiuso in altro di marmo.

In un documento vaticano dei tempi di Urbano VIII ne trovo questa sommaria descrizione:

In fronte habet quinque ianuas, quarum quatuor sunt obstructae, media patet, cum portis aeneis sexcentis fere abhinc annis sub Alexandro II papa impensa Hildebrandi de Suana monachi abatis huius monasterii qui postea ad pontificatum assumptus Gregorio VII fuit appellatus, Constantinopoli advectae.

Ante ianuas olim erat quadriporticus satis ampla, nunc pene tota diruta, et cuius vestigia supersunt in proximo atrio, ubi bibliothecarius refert Simmacum papam impluvium ad aquas recipiendas et gradus cum aediculis ad pauperum habitacula construxisse.

Quadriportico antiquitus adiungebatur porticus oblonga, a porta Urbis usque ad hanc basilicam pertingens, cuius adhuc vestigia et parietes supersunt.

Costantino avea a questa basilica donato immensi latifondi in Europa ed in asia, onde le sue ricchezze erano smisurate, e l'oro, l'argento, le gemme di cui abbandonava, la rendevano meravigliosa, come la descrive Prudenzio che la vide nel suo splendore ai tempi di Onorio. Nel demolirsi il campanile della basilica fu rinvenuta una quantità grandissima di monete d'argento di settanta e più zecche diverse d'Europa, tutte dei secoli XXI, di regni e città cristiane, prodotto evidente di elemosine venute da ogni parte della cristianità.

Nell'archivio vaticano abbiamo anche il seguente documento:

Concessio ad quinquennium omnium oblationum et reddituum provenientium de maiori altari maioris ecclesiae monasterii s. Pauli de Urbe, ad Rom. eccl. nullo medio pertinentium O. S. B. in quo venerabile corpus eius s. Pauli celeberrima memoria requiescit facta favore operis mosaici incepti in facie eiusdem ecclesiae.

 p933  Nell'architrave della nave maggiore vicino all'arco trionfale incominciava la serie dei ritratti dei papi, e continuava per tutto il lungo della medesima. Arrivata al fondo, passava sul muro interiore della facciata, poi sul muro settentrionale. Ma nel secolo XVII non rimaneva più nulla dei medaglioni del muro occidentale; la maggior parte di quelli del settentrionale erano disparsi, e solo sul muro a mezzogiorno si conservano intatti fino ai giorni nostri, perchè il grande incendio che incenerì la basilica il 17 luglio del 1823 li lasciò immuni. Nei nuovi restauri quei ritratti distaccati sono stati posti in serie nelle pareti dei corridoi del monastero: disgraziatamente quando furono staccati non si curarono le iscrizioni che li accompagnavano. I superstiti sono quarantadue, da s. Pietro ad Innocenzo I, compresovi Felice II. Non sono però propriamente ritratti, ma tipi ideali: quelli che erano nel muro settentrionale sono mantenuti in alcuni disegni di un codice barberino, dove furono eseguiti nel 1634 per ordine del card. Barberini, ma si trovano in grande disordine ed in mezzo a loro nel sesto posto di quella serie v'ha il ritratto dell'antipapa Lorenzo. Questa figura, siccome nota il De Rossi, è preziosa per stabilire la cronologia di quella insigne serie, giacchè non può essere stata posta che durante le pretese di questo antipapa, vivendo Simmaco nel secolo V; onde quei ritratti nel loro insieme debbono essere giudicati anteriori al secolo VI, e la congettura per ciò che li attribuisce a s. Leone il Grande deve essere ripudiata, perchè priva di fondamento.

Come la basilica vaticana, anche l'ostiense subì nel periodo delle invasioni degli Arabi la stessa sorte, ed i Saraceni vi depredarono tesori meravigliosi ai giorni di Benedetto III e di Leone IV. L'anno 937, venuto a Roma Oddone di Cluny, gli fu affidato da Alberico il governo del monastero e della basilica; ed egli fu che vi condusse altri fratelli per rialzare la scadente disciplina monastica, preponendovi Balduino di Monte Cassino. A quell'epoca s. Gregorio VII, prima di salire alla cattedra di Pietro, fu abate di quel monastero, e a lui si deve il restauro della basilica in quei tempi, in cui pure Pantalone di Amalfi la donò di porte di bronzo niellato d'argento e che furono fuse a Costantinopoli. L'incendio del 1823 distrusse anche quel monumento, ma gli avanzi si conservano nel chiostro. Dei monumenti medievali non rimane nella basilica che il candelabro marmoreo del cero pasquale, opera dei marmorari romani  p934 del secolo XII, adorno di rozzissimi bassorilievi ritraenti la storia della Passione, accompagnati dalla leggenda: EGO NICOLAVS DE ANGELO CVM PETRO BASSALECTO HOC OPVS COMPLEVI.

Nel volgere dei secoli la basilica fu ripetutamente restaurata ed adorna: e nella prima metà del secolo XIII vi fu aggiunto il magnifico chiostro, edificio bellissimo di qti Roma possegga di quella specie. L'iscrizione in musaico che gira intorno al medesimo ricorda che vi diè principio l'abate Pietro II (1193‑1208) e che lo compiè Giovanni V (1208‑1241). Il tabernacolo sulla confessione vuolsi edificato nel 1285 da Arnolfo di Cambio, celebre scolare di Niccolò Pisano, ed intorno vi si legge l'epigrafe:

ANNO MILLENO CENTVM BIS ET OCTVAGENO
QVINTO, SVMME DEVX TIBI HIC ABBAS BARTHOLOMEVVS
FECIT OPVS FIERI SIBI TV DIGNARE MERERI

e più sotto:

HOC OPVS FECIT ARNOLPHVS CVM SOCIO PETRO

Onorio III, fece poi coprire di musaici l'abside della basilica che Niccolò III, quando era abate di quel monastero, ridusse a compimento.

Il Terribilini riporta la seguente epigrafe che si leggeva in labro aquae lustralis:

HOC OPVS FEC. FIERI DNA STEPHANIA PRO ANIMA SVA ET IOHIS VIRI SVI SVB A . MCCCXXIX.

Il ch. don Gregorio Palmieri, dotto monaco cassinese e custode dell'archivio vaticano, ritrovò fra le carte dell'archivio medesimo un prezioso documento in ordine a quei musaici, dal quale risulta che il papa, per condurre a termine l'impresa, chiamò da Venezia operai musaicisti mandati a lui dal Doge, a cui ne avea scritto in proposito ai 23 di gennaio del 1218. Ma la storia di tanti secoli e tante opere d'arte perirono nel fatalissimo incendio del 1823, in cui bastò una sola notte per ridurre in cenere quella vasta basilica, la più insigne dopo la vaticana; e pitture, e marmi, e bronzi, e orientale, e musaici, tutto perì miserabilmente: ma da quelle ruine l'hanno ormai fatta risorgere a maggiore magnificenza Leone XII ed i suoi successori.

 p935 

Ss. Felice e Adautto

I topografi del secolo VII, presso s. Paolo e sul cimitero di Commodilla, videro una chiesa nella quale riposavano le reliquie dei due martiri: Et non longe inde ecclesia s. Felicis est ubi ipse dormit, cum quo, quando ad coelum migravit pariter properabat Adauctus et ambo requiescunt in uno loco.

La cripta di questi due martiri colle loro imagini fu ritrovata nel cimitero di Commodilla dal Boldetti, ma dopo quell'epoca di nuovo giacque nascosta fra le terre che vi si sono riaccumulate. era presso la via che da s. Paolo conduce a s. Sebastiano. I due martiri furono uccisi ai giorni di Diocleziano presso il luogo ove vennero sepolti, ed ivi fu poi edificata la chiesa della quale disccorriamo.

Damaso pose sul loro sepolcro uno dei suoi storici carmi, il cui testo ci è conservato dalle antiche sillogi. S. Giovanni I papa l'anno 525 restaurò la chiesa dei due santi, come si legge nel Libro pontificale, ed il suo esempio fu imitato da Leone III, di cui lo ss libro scrive che renovavit sarta tecta bb. Felicis et Adauctusº martyrum iuxta s. Paulum apostolum.

Di quell'oratorio ai tempi del suddetto Boldetti rimaneano ancora le vestigia, che dopo quell'epoca sono del tutto scomparse.

S. Tecla

Fra i monumenti cristiani più importanti di Roma, di cui gli archeologi moderni un si sono occupati, e dei quali lo stesso Bosio ed i suoi contemporanei nulla dissero, è da ricordare la basilica di s. Tecla sulla via Ostiense.

Ma prima di entrare in discussione su questo argomento non meno nuovo che importante, è necessario esaminare gli autori i più accrditati in fatto di topografia cristiana, cioè le testimonianze dei pellegrini che visitarono le catacombe romane fra i secoli VIVII, le cui indicazioni ci forniscono notizie preziosissime per la ricerca de' monumenti di Roma sotterranea.

Nell'itinerario conservato nell'unico codice di Salisburgo si trova la notizia seguente che io trascrivo qui testualmente: Et sic vadis ad occidentem et invenies s. Felicem episcopum et martyrem, et descendis per gradus ad corpus eius, et postea vadis ad s. Paulum via Ostiensi, et IN AUSTRALI PARTE CERNE ECCLESIAM S. TECLAE SUPRA MONTEM POSITAM in qua corpus  p936 eius quiescit in spelunca in aquilone parte. Nel libro detto De locis sanctorum martyrum troviamo, benchè in altri termini, la stessa notizia: Prope quoque basilica Pauli (sic) ecclesia s. Teclae est ubi ipsa corpore iacet. Si legge ancora nella Notitia portarum, viarum, ecclesiarum, inserita nel manoscritto di Guglielmo di Malmesbury: Ibidemque Timotheus martyr, et non longe in ecclesia s. Teclae sunt ecc.

Da queste indicazioni risulta evidentemente come all'epoca de' nostri pii visitatori e dei compilatori delle guide che abbiamo citato, una chiesa denominata di s. Tecla sorgesse a mezzogiorno dalla basilica di s. Paolo sulla via Ostiense, in una collina vicinissima a quella basilica e al cimitero di s. Timoteo.

Non è questo il luogo di riaprire una discussione non meno antica che ardua sulla personalità della celeberrima Tecla sepolta presso la tomba dell'apostolo, il cui corpo fu durante molti secoli venerato in una basilica che stava su quell'avello. La storia ecclesiastica e gli antichi martirologî fanno menzione di molte Tecle. Dal novero anzidetto bisogna escludere quella di cui la festa si celebra il 19 agosto insieme ai ss. Agapito e Timoteo, perchè questa patì il martirio in Palestina al tempo della grande persecuzione di Diocleziano, sub Urbano praeside. È da eliminare anche un'altra Tecla festeggiata ai 30 agosto, perchè fu martirizzata in Africa col suo marito Bonifacio e i suoi dodici figli. Infine si può eliminare egualmente la Tecla martirizzata in Aquilea sotto il regno di Nerone insieme a moltissime altre vergini sue compagne; poichè bisognerebbe ricorrere all'ipotesi d'una traslazione di cui non si fa alcuna menzione negli annali ecclesiastici. Non resta dunque altra Tecla per la via Ostiense se non quella la cui festa cade ai 26 di marzo e che fu martirizzata in Roma; ma il martirologio romano dice che il suo corpo fu deposto nei cimiteri della via Labicana e precisamente in quello di Castulo; ma questa indicazione è troppo chiaro che è errata. Che qui poi si tratti della celebre vergine s. Tecla, menzionata dagli antichi martirologî siccome discipula Pauli apostoli, la quale si condusse in Antiochia da Pisidia per ascoltare la predicazione dell'apostolo e il cui corpo potè esser trasportato da quella città a Roma, non ci sembra neppur questa una congettura ammissibile pce nessun ricordo si trova di una traslazione di quella vergine; quindi rimane ancora problematica la storia di questa Tecla. Checchè sia della santa venerata fino al VII secolo dai pii pellegrini in questo luogo, egli è certo che gli scrittori della Roma sotterranea, compreso il Bosio, nelle loro descrizioni dei santuarî e dei  p937 ricordi cristiani della via Ostiense non hanno fatto parola nè d'un cimitero, nè d'una basilica di s. Tecla. Il Libro pontificale non contiene menzione alcuna della suddetta chiesa veduta dai topografi, di cui noi abbiamo trascritte le parole, e frattanto testimonianze sì molteplici e sì autorevoli non permettono di dubitare del fatto. Or bene, uno studio ed un esame accurato dei monumenti cristiani della via Ostiense m'hanno permesso d'indicare con precisione il luogo ove sorgeva il cnt celebre, luogo che corrisponde esattamente alle notizie contenute nelle vetuste topografie; si tratta d'un cimitero esplorato in parte dal Boldetti nel secolo XVIII, ma di cui egli ignorò il nome e che designò coll'appellazione volgare della contrada col titolo del cimitero del ponticello. Ecco presso a poco le parole di quello infaticabile esploratore, la cui opera tuttavia non brilla nè per critica, nè per erudizione:

Tornando adesso nella via Ostiense non lungi dalla basilica dell'apostolo si trova un piccolo fiumicello che si traversa sopra un ponte e qui la via pubblica si biforca. A sinistra appena passato il ponte si trova la vigna dei signori Cucurni (oggi Serafini), piantata in gran parte sopra una collina al disotto della quale è escavato un antichissimo cimitero. Il Boldetti descrive in sèguito, brevemente secondo il suo costume, il cimitero di cui deplora lo stato di rovina, i guasti commessivi, la mancanza d'ogni iscrizione e d'ogni altra memoria notevole, salvo alcune pitture appena riconoscibili. Ora, questo cimitero non può essere altro che quello di s. Tecla, situato anch'esso in australi parte, di fronte e non lungi dalla basilica di s. Paolo, escavato sotto uno dei colli più alti che circondano la valle in mezzo alla quale sorge la basilica ostiense.

Questo cimitero è assolutamente distinto da quello dei santi Felice Adautto e Commodilla, dalla tomba di s. Timoteo scolpita alcuni anni fa nella collina di fronte alla basilica, e ad una grande distanza dal gruppo di s. Zenone alle acque Salvie. Ma ciò che è più importante si è che il nostro cimitero racchiude una basilica semisotterranea che nessuno prima di me avea riconosciuto per un antico edificio, e che è di proporzioni più grandi forse di molte altre simili nascoste in seno alle catacombe, come per esempio quella di s. Ermete sulla via Salaria Vetere. Molte gallerie sboccano nelle parti della basilica. Ora, dopo essermi inoltrato per uno di questi ambulacri, rinvenni, sono già molti anni, un elegante e grandioso cubicolo adorno di pitture rappresentanti il Salvatore docente, il sacrifizio mistico d'Abramo ecc.

Il mio carissimo amico signor Camillo Serafini, proprietario della vigna, per mio suggerimento ha fatto recentemente sterrare  p938 il cimitero, dal quale sono tornate in luce alcune iscrizioni del secolo III, di cui una con la formola storica:

PROPT . . .
SANCTV . . . . .

che si riferisce ad un martire del luogo. Si trovò pure un'epigrafe colla data consolare dell'anno 354.

Di questa basilica e delle sue scoperte ho trattato però in una monografia, alla quale rimando il lettore.

Insomma questa scoperta è di capitale importanza in ordine alla topografia di uno dei più antichi cimiteri cristiani, nel quale giacciono ancora nascosti preziosi ricordi che si riferiscono ad uno dei martiri fra i maggiormente illustri del cristianesimo, e al periodo più importante dei fasti ecclesiastici.

Chiesa della Decapitazione di S. Paolo

Lungo l'antico diverticolo dell'Ostiense, nel luogo detto alle Acque Salvie, v'è questa famosa chiesa, la più celebre delle tre di quel gruppo dedicato alla memoria del martirio di s. Paolo. Essa racchiude tre fonti di acque sgorganti a tre livelli diversi e che si dicono zampillate miracolosamente nei tre balzi che dette il capo dell'Apostolo reciso dal busto.

L'odierna chiesa è opera del card. Pietro Aldobrandini e fu terminata nel 1599. Il Baccio, poco prima della fabbrica del cardinale, nel suo trattato De Thermis compiuto nel 1563 ricorda quelle tre acque, che dice crassae, fumosae et cum aliquali tepore. Il Panvinio dice che ivi era "l'oratorio di s. Paolo e che ivi furono fabbricate tre cappellette l'una più bella dell'altra con tre fontane onde tutta la chiesa è stata nominata delle tre fontane."

Questo edifizio fu fatto restaurare nel 1865 dal signor conte de Maumigny con ricca elemosina, e in quella occasione il santuario fu affidato agli antichi custodi cistercensi della congregazione riformata dei Trappisti.

Allorquando fu distrutto il pavimento, si trovò a poca profondità l'antico pavimento di opera cosmatesca, fatto a livelli  p939 diversi per declivi coperti di grandi lastre di marmo bianco, i quali declivi erano in relazione evidene colle tre fonti.

Innanzi alle più basse furono trovate infisse due basi di colonne ancora al posto. Insomma l'edificio era disposto a guisa di portico girante e tre ripiani. Vi si trovarono decorazioni marmoree del secolo VI. Sopra una di quelle pietre si leggeva quest'epigrafe dell'anno 689:

† AC PALMA POSITA EST TEMPORIB. DOM
SERGI PAPA . ANNV SECVNDV

Io credo che l'epigrafe fosse adoperata come materiale in quel sepolcro, e che si riferisca alla piantagione d'un palmizio nell'annesso giardino. Nella stessa pietra era graffita un'epigrafe armena dell'èra di quella nazione 716, di Cristo 1267, e dicea:

STEFANO ANNO DCCXVI RICORDATEVI DI ME.

Dallo stesso scavo venne a luce altro frammento, in cui si legge il nome dell'apostolo Paolo e quello di papa Sergio. Difficile ne è il supplemento, ma evidentemente si ricava che la pietra ricorda un restauro rao di quell'edificio già cadente dal papa suddetto. Non lungi dal luogo medesimo, che già troviamo fatiscente nel secolo VII, si è trovato un tratto di via romana lastricata a poligoni di lava basaltina, che scende in linea retta alle tre fonti. Quelle pietre sono veramente preziose, perchè certamente calcate dall'Apostolo quando s'avviava a ricevere la corona iustitiae.

Un'epigrafe di Gregorio Magno nel monastero di s. Paolo ricorda: Massa quae aqua salvias nuncupatur . . . . in qua palmam sumens martyrii in capte est truncatus ut viveret, e l'epitome De locis sanctis martyrum ricorda il locus ubi decollatus est Paulus.

Negli atti anonimi greci dati in luce dal Tischendorff, non solo si legge che s. Paolo fu decapitato nella massa appellata ad Aquas Salvias, ma vi si aggiunge che il martirio avvenne presso un pino. Benchè apocrifo questo documento e ripieno di leggende, pure è scrittura assai antica e deve, come è ovvio comprendersi, meritare fede almeno nella parte che riguarda le notizie dei luoghi. Ora non sono molti anni, scavandosi dai rr. pp. trappisti non lungi dalla chiesa suddetta per  p940 un serbatoio d'acqua, si rinvenne a grande profondità del suolo un ripostiglio di monete antiche, precisamente dell'impero di Nerone, e molti frutti di pino (pigne), che l'azione del tempo aveva quasi fossilizzati. Una tale scoperta, della quale io detti un cenno nella Cronachetta mensuale, mi pare di qualche importanza in ordine alla circostanza narrata dagli atti suddetti dell'albero di pino sotto cui sarebbe stato decollato s. Paolo. Nel pavimento della chiesa odierna fu posto un antico musco scoperto in Ostia rappresentante leº quattro stagioni.

In un angolo della medesima si conserva un frammento di colonna appartenuto forse all'antica basilica, sul quale, secondo una tradizione, sarebbe stato decapitato l'Apostolo: il che va inteso in un senso alquanto ampio, giacchè è inaudito che le colonne servissero giammai ad uso di ceppo per i condannati. La chiesa è di semplice architettura, ma riccamente decorata, e gli altari sono ornati di colonne di porfido nero assai raro.

Della pietà dei pellegrini d'ogni nazione verso quel santuario un altro indizio è stato scoperto nei lavori ivi fatti dai padri Trappisti. Questi s'imbatterono in un piccolo gruppo di monete d'argento, tutte grossi turonesi, fra i quali uno di Florenzo conte di Olanda, gli altri di Filippo il Bello re di Francia: monete che appartengono alle elemosine elargite dai fedeli ai santuarî romani.

Ss. Vincenzio ed Anastasio alle Tre Fontane

È vicina alla chiesa delle tre fontane, già detta ad Aquas Salvias, luogo ove l'Apostolo delle genti venne decapitato. La chiesa di cui ora parliamo fu edificata in onore de' nominati santi martiri da Onorio I, insieme ad un monastero nel 625. Adriano I circa il 722 la ristorò, come scrive Riccard monaco Cluniacense, e poscia Leone III nel 796 la fece rifare dalla fondamenta. Carlo Magno la dotò di dodici terre nel territorio di Siena, come ricorda l'Ughelli nella sua Italia sacra, dove parlando de' vescovi ostiensi ne riporta anche il privilegio. Innocenzo II nel 1128 rinnovò il monastero e vi fece venire s. Bernardoº da Chiaravalle co' suoi monaci per abitarvi, assegnando poderi e vigne pel mantenimento di essi; s. Bernardo vi mandò per primo abate un monaco chiamato don Pietro Bernardo Pisano che, fatto papa nel 1145, assunse il nome di Eugenio III, ed a lui il medesimo santo scrisse il suo notissimo libro De consideratione.  p941 Ridotta questa chiesa in miglior forma, nel 1221 fu consacrata dal pontefice Onorio III, la cui effigie vedevasi dipinta sotto il portico insieme ad altre pitture antiche di maniera rozza, le quali dal tempo e dalle intemperie sono state guaste. Quelle però dell'altar maggiore si riguardano come antichissime e di stile anche migliore: i dodici apostoli nei pilastri di mezzo furono dipinti coi cartoni di Raffaello e si pretende inoltre che siano copie di quelli famosissimi dipinti dal Sanzio nel Vaticano entro la sala detta de' chiaroscuri.

In questa chiesa si conservano, oltre quelle de' santi titolari, molte reliquie di santi martiri, fra le quali quelle di s. Anastasio monaco persiano, martirizzato da Cosroe re di Persia nel 626, mandate in Roma dall'imperatore Eraclio insieme all'imagine di quel santo che si tiene in gran venerazione. Nella nave sinistra della chiesa si legge ancora la lapide ricordante la consecrazione fattane da Onorio con sedici cardinali. Annesso alla chiesa v'è l'antico chiostro e addossato al medesimo da un lato v'è un portico coperto, le cui pareti furono già ricoperte di pitture, ma danneggiate e guaste dall'umidità e dall'aria. Fra questi laceri avanzi di affreschi, che io giudico del secolo XIV, si scorge in parte l'interno d'una chiesa coll'altare nel fondo ed il messale su questo, intanto che un monaco vi si conduce. Al di là della chiesa e fuori del sacro edifizio si vede un altro monaco in atto di sonare la campanella del monastero, intanto che si avvicini una pompa funebre preceduta dalla croce.

Al disotto di questa scena si veggono epigrafi dichiarative della medesima in lettere bianche su fondo rosso, fra le quali si possono leggere le cose seguenti, ma di oscuro senso perchè troppo mutile:

. . . . QUARANTA ANNI . . . ET ONNUNO E TORNATO . . .
. . . DE GIRE A LO MORTO . . . . ESSE . . . .
LA PORTATO O SANO O INFA . . . .

Nel codice di Torino è scritto: Monasterium s. Anastasii habet abbatem et monachos praesentes XV. Nell'abbassare il suolo di quella chiesa per liberarla dell'umidità, furono trovate nel rovescio di alcune pietre delle iscrizioni armene. Ivi ai lati di una croce maggiore è scritto il nome di s. Gregorio, cioè dell'Illuminatore apostolo degli Armeni. Poi in basso sopra altrettante croci i nomi di s. Vartan, s. Paolo, s. Teodoro, s. Costantino, che è l'imperatore venerato come santo dalle  p942 chiese orientali. Sotto il nome di Costantino viene l'epitaffio seguente:

ERA DELL'ÈRA ARMENA L'ANNO DCCLIV QUANDO DA ME MOSÈ FU ERETTA QUESTA SANTA CROCE A NOME DEL SACERDOTE VARTAN RELIGIOSO MONACO DEFUNTO IN GESÙ CRISTO L'XI APRILE DOMENICA DELLE PALME. E IL SUO FRATELLO GREGORIO MONACO IL QUALE È SACRESTANO DI QUESTA CHIESA DELLA DECAPITAZIONE DEL SANTO APOSTOLO PAOLO, HA ERETTO QUESTA SANTA CROCE RICORDATRICE PER SÈ E PER GLI ALTRI SUOI CONFRATELLI. VOI CHE VISITATE QUESTO MONASTERO DOMANDATE PERDONO DA GESÙ CRISTO E RACCOMANDATEGLI ANCHE ME DI NAZIONE FRANCO COSTRUTTORE DI QUESTA CROCE ED INCISORE, UNITAMENTE AI MIEI GENITORI. GESÙ CRISTO ABBIA DI VOI MISERICORDIA. AMEN.

L'epigrafe corrisponde all'èra cristiana 1305 e nomina la Chiesa della Decapitazione del santo apostolo Paolo. È chiaro che un monastero di Armeni fiorì in questo luogo nel secolo XII, come pure presso s. Paolo.

S. Maria Scala Coeli

La terza delle chiesoline del nostro gruppo delle tre fontane è detta Scala coeli, perchè in quel luogo celebrando s. Bernardo il divino sacrifizio per i fedeli defunti, rapito in ispirito, vide una scala che giungeva dalla terra al cielo e per essa vi salivano le anime liberate dai tormenti. Fu riedificata l'anno 1582 dal card. Alessandro Farnese, e fu compiuta dal card. Aldobrandini. Nel sotterraneo, a cui si discende per doppia scala, v'ha un altare dedicato a s. Zenone, ed ivi si vuole edificato presso un grande poliandro ove si crede fosse sepolto s. Zenone e moltissimi altri martiri. Nella cappella a sradla chiesa rimangono le tracce dell'antico pavimento, lavoro della scuola dei Cosmati, e tra le pietre v'ha un frammento di epigrafe cimiteriale cristiano del secolo III, ma di niun interesse. L'esistenza di un antico cimitero cristiano in quel sito, cimitero che fosse fu demolito, è attestata anche dalla scoperta fattavi di un vaso vitreo affisso ad un sepolcro, scoperta che è registrata nei libri della lipsanoteca del cardinal vicario. Nel cornicione della chiesa fu posto in opera un pezzo di pluteo marmoreo del secolo IX adorno delle consuete croci e nodi, sulla cui fascia si legge l'epigrafe seguente da me scoperta, che è una delle rare memorie e forse l'unica superstite di papa Niccolò I (856‑857),  p943 il quale restaurò questa chiesa od un'altra dedicata al santo suo omonimo che esisteva pure in questo luogo:

. . . NICOLAVS PP. ANDREAS INDIGN. SERVVS D . . .

Questa chiesa anticamente si appellò Mansio s. Dei Genitricis Mariae, come abbiamo in un antico codice vaticano della vita di s. Anastasio citato dal Martinelli. L'antica chiesa rovinò improvvisamente l'anno 1582.

S. Niccolò de Aqua Salvia

Nel secolo XIV anche un'altra chiesolina, o distrutta, sorgeva in mezzo al gruppo dei santuarî ricordati, ed era dedicata a s. Niccolò. È recensita nel catalogo di Torino nel modo seguente: Ecclesia s. Nicolai de Aqua Salvia non habet sacerdotem; non ne ho trovato altrove notizia.

S. Giovanni Battista

Nel luogo medesimo v'era un oratorio dedicato a s. Giovanni Battista, le cui tracce si rinvengono nel piccolo antichissimo edifizio che serve oggi d'ingresso o vestibolo allo stabilimento dei Trappisti. Quell'edifizio è adorno di pitture preziosissime, ma disgraziatamente lacere, che sono dei tempi di Carlo Magno.

S. Timoteo

S. Timoteo prete antiocheno venne in Roma nei primi anni del secolo IV, fu sepolto sulla via Ostiense presso il sepolcro di s. Paolo da Teona matrona, in un suo predio. Non sembra che intorno a quella cripta si svolgesse un cimitero, ma che rimanesse un santuario isolato e veneratissimo dei primi secoli della pace, sul quale forse fu eretto un oratorio. Il monumento superiore è disparso, ma la cripta a cui s'accede per una profondissima scala fu rinvenuta nella vigna Salviucci dal chiaro comm. De Rossi: le pareti di quella scala sono ricoperte di graffiti e di vetusti proscinemi.

S. Ciriaco

Al settimo miglio della via Ostiense, quasi alla meta della strada da Roma ad Ostia, sopra un monticello vicino al Tevere si vedono i vestigî di un'antica chiesa. Essa ha quattro absidi  p944 o nicchie per parte; vicino ad essa rimangono tracce di fabbriche che vi erano una volta congiunte. Ivi ai tempi del Bosio si penetrava per alcune frane e spiragli in un cimitero cristiano di piccole proporzioni. Che quel luogo fosse altra volta la basilica e il cimitero di s. Ciriaco, oltre l'antica tradizione che tuttora vive e che ancora da la denominazione al possedimento, è dimostrato da molteplici sicure indicazioni storiche. Infatti nel Libro pontificale leggesi che Onorio I (a. 626) ristaurò una chiesa di s. Ciriaco situata al VII miglio della via Ostiense; il medesimo leggesi in Leone e Benedetto III che vi fecero doni e ricche suppellettili. Dagli atti poi di questo santo risulta che quivi a' giorni di Massimiano fu ucciso insieme con Largo, Smaragdo ed altri venti compagni, trasportativi dalla via Salaria ove erano stati provvisoriamente deposti. Stettero poi in questo luogo fino all'anno 817 allorchè Pasquale I li tolse di là e li pose in luogo più sicuro, cioè nella chiesa di s. Prassede, come risulta dell'antica iscrizione della chiesa stessa. Di là furono poi da Sergio II trasportati nel prossimo titolo di Equizio (s. Martino ai Monti) meno le loro teste, che furono date alla diaconia di s. Maria in via Lata, ove ancora si conservano, essendochè vicino a questa chiesa vi erano anticamente una chiesa e un monastero dedicati a questi santi medesimi fino dai giorni di Simmaco, come risulta dagli atti del sinodo romano tenuto sotto quel pontefice.

Via Portuense

S. Salvatore de Monte Aureo

Un'antichissima chiesa dedicata al Salvatore e detta de Monte Aureo, denominazione che ritiene ancora il culmine urbano delle colline gianicolensi detto Montoro (mons aureus) fu pure sulla via Portuense. Ve ne ha notizia in un documento dell'anno 945 in cui si ricorda il casalis quod vocatur mons aureus cum oratorio Salvatoris quae fuit Marozae foris portam portuensem iuxta murum eiusdem positus.

S. Maria del Riposo

È il nome d'una parrocchietta rurale che Massimo de' Massimi nel secolo XVI riedificò dai fondamenti.

 p945  Ss. Abdon e Sennen

Al primo chilometro circa della via a destra, sull'alto della collina che fiancheggia in quel punto la strada, e sotto la quale si svolge il cimitero di Ponziano, detto nei documenti ecclesiastici ad Ursum pileatum, sorgeva una basilica dedicata ai ss. martiri Abdon e Sennen regoli persiani, che furono sepolti in quel cimitero, ove ancora si veggono le loro imagini ritratte sul loro sepolcro medesimo.

I topografi dei secoli VIVII accennano a questa basilica, ed il più accurato di loro la chiama ecclesia magna: Deinde intrabis in ecclesiam magnam ibi ss. martyres Abdo et Sennes quiescunt; così l'itinerario salisburgense. Anche il Libro pontificale accenna a questa basilica che dice restaurata nel secolo VIII dal papa Adriano I. Dopo quell'epoca se ne perde affatto ogni traccia e memoria.

S. Candida

Non lungi dalla predetta ecclesia magna v'era pure una chiesa dedicata alla celeberrima s. Candida martire, che era stata sepolta nello stesso cimitero, e a cui anzi apparteneva il predio sotto al quale si svolgeva. I martirologî celebrano il natale di questa santa ai 6 di giugno: essa fu sposa di Artemio e madre di s. Paolina, ambedue martiri: gli itinerarî c'imparano a distinguere questa seconda chiesa dall'altra dei ss. Abdon e Sennen, colla quale e il Bosio e il Martinelli e tutti i loro seguaci la confusero: Deinde descendis ad aquilonem et invenies ecclesiam s. Candidae virginis et martyris cuius corpus ibi quiescit; così il suddetto topografo salisburgense. Anche di questa fanno menzione i restauri del papa Adriano I, il grande riedificatore di Roma cristiana. In quel cimitero anni sono scoprii una vasta scale che conduce ad una cripta assai grandiosa e adorna di musaici, che io credo sia quella in cui fu deposta la nostra martire.

Ss. Ciro e Giovanni
(S. Passera)

Dal secolo XV quest'antica chiesuola, per corruttela, viene chiamata dal volgo s. Passera. È situata sulla riva del fiume, quasi di fronte alla basilica di s. Paolo. Ai giorni di papa Innocenzo  p946 I furono in quel luogo deposti i corpi dei ss. Ciro e Giovanni. Il Martinelli confonde questa chiesa della via Portuense colla urbana che fu pure dedicata ai ss. Ciro e Giovanni e che era nel Foro Olitorio nel luogo detto ad Elephantum.

Abbiamo a suo luogo accennato per quale strana corruttela il nome dei due santi Ciro e Giovanni, nella pronuncia volgare, si trasformasse in quello di Passera e poi di Prassede. Infatti si disse prima Abbas Cirus, poi Appaciro, Appacero, Pacero, Pacera, PasseraPassero. Cosicchè tutte le chiese che a questi santi erano in Roma dedicate, oggi distrutte, cioè quella detta de Militiis, l'altra de Valeriis e la terza ad Elephantum per la stessa legge di pronuncia ebbero come la portuense i nomi di PaceraPassera, nel qual nome si volle trovare qualche simiglianza con il nome di s. Prassede. La nostra cappella portuense, come si è accennato, è la più antica di tutte quelle che furono dedicate ai due celebri martiri alessandrini Ciro e Giovanni, ed è l'unica superstite in Roma. Anche Giovanni Diacono nella vita di s. Gregorio fa menzione di quel sacello. L'origine della chiesa si attribuisce alla divozione di una matrona di nome Teodora, come si legge negli attorno dei due martiri suddetti. La chiesa appartiene alla diaconia di s. Maria in via Lata, nel cui archivio capitolare v'ha un antico codice nel quale si contengono molte notizie intorno agli atti dei due santi e alla traslazione delle loro reliquie in Roma, fatta da Sofronio, vescovo gerosolimitano. In questa chiesuola rimane ancora l'ipogeo ove giacquero le reliquie suddette, e sulla porta del medesimo, in due linee, si legge la seguente epigrafe:

CORPORA SANCTA CYRI RENITENT HIC ATQVE IOHANNIS
QVAE QVONDAM ROMAE DEDIT ALEXANDRIA MAGNA.

Allorquando il nome dei due santi si cambiò nell'inaudito di Passera, e si credette che sotto questo si nascondesse quello di Prassede, si cominciò a celebrare in questa chiesa anche la festa di s. Prassede, e ai 21 di luglio, giorno natalizio di detta santa, in cui però accadde la riposizione delle reliquie dei due eponimi della chiesolina, il popolo romano concorreva in folla a questo luogo.

 p947 

S. Pietro in Campo di Merlo

Più lungi della suddetta sorgeva pure sulla via Portuense una chiesa dedicata a s. Pietro: le origini della medesima sono antichissime, poichè ne fa menzione il Libro pontificale nella vita di papa Adeodato (a. 669), il quale la restaurò e la dedicò di nuovo: Hic ecclesiam s. Petri quae est via portuensi iu Campum Meruli, ut decuit restauravit atque dedicavit. Le rovine di questa chiesa erano ancora visibilissime nel secolo XV, poichè il Biondo scrive che ecclesia s. Petri, quae via portuense ad pontem Meruli dirupta cernitur, Adeodati primi pontificis opus fuit. Del Campus Meruli abbiamo notizie fino dal secolo XII e questo nome era comune a due masse situate sulla via Portuense, una al nono, l'altra al dodicesimo miglio, che in origine probabilmente formavano un corpo solo di terra. Infatti in un diploma del 1019 si legge che Benedetto VIII fra i privilegî del vescovo di Porto gli confermò un prato situm in Campo qui dicitur Merule constitutum via portuensi milliario ab urbe Roma plus minus XII. Anche nel bollario vaticano si riporta una bolla di Celestino III del 1192, ove si nomina il Campus Merui che fu donato da papa Giovanni XIX circa il 1033 alla chiesa di s. Maria Dominae Rosae, oggi s. Caterina de' Funari.

Ss. Simplicio, Faustino e Beatrice

Nel luogo detto volgarmente la Magliana, po il Tevere a destra della via Portuense, al sesto miglio da Roma, fu scoperta dal ch. De Rossi sul cimitero di Generosa la insigne basilichetta che il papa s. Damaso edificò sul sepolcro dei martiri suddetti. Questi furono gettati durante la persecuzione di Diocleziano nel Tevere, il quale, formando un ampio seno, scorre vicinissimo a questo luogo, e donde i sacri corpi furono ripescati dalla loro sorella Beatrice e da due preti, Crispo e Giovanni. Nelle scale del palazzo o canonica si s. Maria Maggiore si conserva il sarcofago del quarto secolo ove giacquero quelle  p948 sacre reliquie e sul quale si legge la preziosa epigrafe di che abbiamo già citato il testo:


MARTYRES SIMPLICIVS ET FAVSTINVS
QVI PASSI SVNT IN FLVMEN TIBERE
ET POSITI SVNT IN
CIMITERIVM GENEROSES SVPER PHILIPPI

Il luogo oggi detto la Magliana si chiamava adunque nel quarto secolo super Philippi ovvero ad sextum Philippi.

La scoperta del cimitero di Generosa e della basilica di s. Damaso, di cui restano ancora importanti ruderi, accadde nel 1868. Prima anzi ad apparire fu appunto la piccola basilica con sepolcri ed epitaffio degli ultimi anni del secolo IV, insieme a frantumi di basi, capitelli, colonne dell'epoca stessa. Sopra un frammento d'epistilio si leggevano i nomi dei martiri a cui la chiesa fu dedicata, scolpiti in belle lettere damasiane. Dell'edifizio resta tuttora in piedi quasi tutta l'abside colla nicchia per la cattedra episcopale nel centro, alzata su due gradini. Sul frammento del marmoreo epistilio, al quale ho accennato, si leggeva la finale dell'iscrizione dedicatoria di Damaso:

. . FAVSTINO VIATRICI

È evidente il supplemento proposto dal ch. De Rossi della intera epigrafe, nella quale si doveva leggere la dedica ai santi presso il cui cimitero e sepolcro era stata fondata quella basilichetta e che la storia del luogo c'insegna fossero Simplicio Fuatino e Beatrice. Circa quest'ultimo nome, importantissima è la osservazione del chiarissimo archeologo. Egli fa notare che Viatrice non è corruttela di Beatrice, ma cognome diverso; è il feminino di Viator, nome usato dagli antichi fedeli perchè tutto di senso cristiano, pei quali appunto via è la vita presente, viaticum l'eucaristia che li conforta al periglioso viaggio, viatores i petregrinanti dalla terra al cielo. E in vero, giusto questo concetto, Viatrix, non Beatrix, si chiamò la sorella dei due martiri Faustino e Simplicio, come insegnano anche i più antichi e autorevoli martirologî e codici liturgici, qual è il Missale Gelasianum del secolo V, ed uno dei più insigni esemplari dell'antichissimo martirologio geronimiano trovato a Berna dal De Rossi, nei quali documenti è scritto Viatricis e non Beatricis; dal che risulta che il nome Beatrix è corruzione postuma, priva di senso, del cristiano Viatrix. L'altare all'abside della piccola basilica, di che abbiamo superiormente discorso, è aperto un corridoio che conduce  p949 all'annesso cimitero, ma più direttamente ad una cripta situata dietro l'abside suddetta. Questo passaggio è l'introitus ad martyres, per cui si accedeva direttamente ai sepolcri (ad corpus) dei santi.

Infatti quel breve corridoio conduce ad una cripta illuminata da una finestra aperta nel muro dell'abside. Che quivi fossero deposti i martiri eponimi del cimitero, ce lo insegno il suo intimo rapporto colla piccola basilica, e un insigne dipinto condotto sulla parete sinistra di chi dalla basilica sintroduca in quella seplonca. Lo descriverò quasi colle parole medesime del De Rossi. Occupa il centro della parete il Salvatore seduto in mezzo a quattro si efgi in piedi sui quali erano scritti i loro nomi. Campeggia fra essi Viatrice situata ultima alla destra del Salvatore, sulla quale si legge chiaramente SCA . . . ATRIX: essa è riccamente vestita di tunica gialla e d'oro, adorna di fregi e di gemme; sulle braccia raccoglie il bianco pallio, mentre colla destra posata sul braccio sinistro tiene una gemmata corona. Presso il Salvatore sono i due fratelli della santa vestiti anch'essi di pallio giallo sopra tunica bianca listata di porpora. Del primo, Simplicio, il nome è perduto; presso il capo del secondo si legge intiero il nome FAVSTINIANVS; e dell'oppo lato una traccia del SCS. L'ultimo dei quattro personaggi conserva interissimo il nome così scritto: SCS RVFINIANVS. Chi egli sia iuna memoria topografica o storica dei martiri sepolti lungo la via Portuense lo dice, ma il De Rossi dimostra essere lo stesso che col nome di Rufus è ricordato nell'antichissimo martirologio geronimiano tra i santi sepolti nella via suddetta.

Il pittore però non lo ritrasse col semplice palio sulla tunica discinta, siccome i due fratelli di Viatrice, ma invece con una ricca tunica con maniche strette, la quale, rilevata e succinta, lascia vedere le strette calze, e sull'omero destro affibbiata un'ampia clamide preziosa, del genere ei quelle di cui si veggono vestiti gli ufficiali della corte bizantina dei tempi di Costantino nei musaici di Ravenna; insomma un'acconciature che dà al personaggio, del quale discorriamo, l'apparenza di un milite. Il De Rossi opina sia quel martire Rufo nominato negli atti di s. Crisogono, il quale nella persecuzione dioclezianea esercitava contro i cristiani la sua giurisdizione in qual=ità di vicario, e che poi, convertito da Crisogono, fu a sua volta martire anch'egli.

Il suo natale è così segnato ai 28 di novembre nel martirologio d'Adone: Natalis s. Rui martyris quem dominus noster  p950 Iesus Christus cum omni domo sua per Chrisogonum martyrum lucratus est, quem cum omni domo sua Diocletianus punitum Christo martyrem fecit. Ed infatti la clamide, come nota il De Rossi, fu l'insegna specialissima dei vicarî dell'imperatore, cosicchè era loro proibito severamente di comparire in pubblico non clamidati.

I corpi di questi martiri rimasero in quella cripta e nel loro primitivo sepolcro della via Portuense fino all'anno 682 o 683. Il Libro pontificale nella vita di Leone II, che sedette dal 17 agosto del 682 al 3 luglio del 683, ci dice che quel papa fecit ecclesiam in urbe Roma iuxta sanctam Bibianam ubi corpora sanctorum Simpicii, Faustini et Beatricis atque aliorum martyrum recondidit, et ad nomen beati Pauli dedicavit sub die XX mensis februarii. Dalla chiesa appunto di s. Bibiana fu trasportato a s. Maria Maggiore il rozzo sarcofago sulla cui fronte si legge l'epitaffio che abbiamo già ricordato, e che s'addice, come indicano i caratteri paleografici, ai tempi di Leone II.

S. Maria "Affoga l'Asino"

È il titolo d'una chiesa presso Pozzo Pantaleo. Vi si fa la festa di s. Eurosia in maggio. Fu riedificata da Pio IX e spetta ai padri Riformati di s. Francesco a Ripa.

S. Felice

Fu tanto celebre fin dai primi secoli della pace della Chiesa una basilica dedicata al martire s. Felice situata sulla via Portuense e nel luogo ove s. Felice fu sepolto, che da quella trasse il nome la porta stessa e la via Portuense che pur comunemente si dicevan porta e via s. Felice; così infatti troviamo nell'antica cosmografia attribuita ad Etico: denominazione che si mantenne per tutto il medio evo. Tutti gli itinerarî antichi sono unanimi nelle notizie di questa chiesa già veneratissima, della quale però, non rimanendone traccia alcuna, non si può precisare neanche il sito. La topografia salisburgense l'indica colle parole seguenti: In occidentali parte Tiberis ecclesia est  p951 b. Felicis M. in qua corpus eius quiescit: l'autore della topografia malmesburiense la indica presso la porta: Tertiadecima porta portuensis dicitur et via ubi prope in ecclesia sunt mm. Felix, Alexander ecc.; da che si può concludere che la chiesa era non lungi da quelle dei ss. Abdon e Sennen e di s. Candida. Adriano I la restaurò, come abbiamo nel Libro pontificale, ove si legge che ecclesiam s. Felicis positam foris portam portuensem a novo restauravit.

È questione non ancora risoluta circa il martire di questo nome a cui fu la chiesa dedicata. Il Bosio afferma che fosse quegli fra i molti martiri omi che fu compagno d'Ippolito portuense e del quale i martirologî fanno menzione ai 22 d'agosto; altri lo confondono con s. Felice II, papa e martire sotto Costanzo.

Via Aurelia

S. Pancrazio

La storia dell'origine di quell'edificio, il più insigne dell'Aurelia, è totalmente ignota. Però dal Libro pontificale sappiamo che nel secolo V il papa Simmaco o la innalzò di pianta o forse trasformò in più sontuoso edificio la piccola basilica che probabilmente fino dal secolo IV dovea colà sorgere sul sepolcro del martire ad (corpus). Ecco le parole di quel libro: Eodem tempore fecit (Simmacus) basilicam s. Pancratii, ubi et fecit arcum argenteum, qui pensat libras quindecim, fecit autem in eodem loco balneum. Il bagno rammentato dall'autore del Libro pontificale non deve credersi fosse un battisterio, ma sì veramente un luogo destinato ad uso termale annesso all'abitazione ed incorporato colla basilica. È noto infatti che alle chiese e slle basiliche erano annessi bagni per l'uso del clero, ed una celeberrima epigrafe che si conserva nel monastero di s. Paolo ricorda quelli della grande basilica ostiense; anche nel museo lateranense, fra le iscrizioni della classe seconda contenenti le pubbliche e sacre, v'ha precisamente quella d'un bagno; epigramma distinto in due colonne di buono stile e bella epigrafia del secolo V in circa. Ivi si leggono bellissimi ammonimenti  p952 diretti in modo speciale al clero sull'uso sobrio e cristiano dei bagni:

BALNEA QVAE FRAGILIS SVSPENDVNT CORPORIS AESTVM

ET REPARANT VIRES QVAS LABOR AFFICERIT

QVAE CONSTRICTA GELV VALIDIS AVT SOLIBVS VSTA

ADMISTO LATICI MEMBRA LIQVORE LEVANT

VTAMVR CAVSA PROPRIAE . . . . . . . . . . . . SALVTIS

AT CAVE NE MORS SI TROVA MEDICINA HOMINI

LVBRICA NE SENSVS RAPIAT TVRPETQVE BOLVPTAS

EFFERA NE MENTEM LVXVRIES STIIMVLET

EBRIA NEV VINO DAPIBVS SEV VISCERA CRIN . . . . .

DISSOLBAT FLVXO — CORDE LAB . . . . L'ABSIDE

SOBRIA SED CASTO FOVEANT . . . . . . . . . .

ET QVAE S . . . . . . . . . . . . . . . .

HAEC . . . . . . . . . . . . . . . ET ANGIT

. . . . . . . . . . . . . . NVM DICTA FVISSE . . . . .

TV TAMEN ISTA MAGIS CAVTVS SERVARE MEMENTO

GREX SACRATE DEO CORPORE MENTE FIDE

CVI BELLVM CVM CARNE SVBEST QVAE ET VICAT RESVRGIT

QVAM COHIBERE IVVAT SI REFOBERE PARAS

CLAV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

VVLNERE . . . . . . . . . . QVOD MEDITARE ITERVM

. . . . . . . . IN BENE PARTA REMEDIA CARNIS.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

NON NOSTRIS NOCET OFFICIIS NEC CVLPA LAVACRI

QVOD SIBIMET GENERAT VITA MALVM EST.

L'ultima sentenza di questo carme, come nota il De Rossi, dimostra che non la discreta severità della morale cristiana, ma sibbene le invasioni barbariche, le guerre, le miserie dei tempi, che congiurarono alla rovina degli antichi acquedotti e delle terme, le quali fino a tutto il secolo V almeno fecero parte degli edifizî annessi a tutte le basiliche ed ai monasteri, fecero abolire l'uso dei bagni presso le basiliche.

Onorio I riedificò la basilica di s. Pancrazio, e nel codice di einsiedeln si conserva l'epigrafe nella quale si ricordano i lavori di quel gran papa del secolo VI; ivi si dice appunto che il pontefice rinnovò quella chiesa vetustate confectam extra corpus martyris neglectu antiquitatis extructam: et corpus martyris quod ex obliquo aulae iacebat altari insignibus ornato metallis loco proprio collocavit. Questa celebre ed ora perduta epigrafe dimostra come prima delle celebri traslazioni delle reliquie dei martiri dai cimiteri e dalle loro basiliche a quelle della città, cominciarono i lievi e vicini mutamenti di posto, dai luoghi  p953 meno decorosi ai posti d'onore, dai sotterranei agli edificî superiori, dalle basilicae ad corpus alle basilicae maiores.

S. Gregorio di Tours racconta che a' suoi tempi i cittadini di Roma solevano accedere alla basilica di s. Pancrazio, dove sulla tomba del martire quattordicenne si pronunciavano i giuramenti, poichè fra la plebe cristiana era tenuto per cosa certissima che lo spergiuro sarebbe morto su quella, o in altra guisa punito.

Ha dimostrato il De Rossi che la nostra basilica col suquest cimitero, fino dagli anni 521, 522, era posta sotto la tutela e l'amministrazione dei preti del vetusto titolo trastiberino di s. Grisogono, i quali in alcune iscrizioni di quel tempo sono ricordati in qualità di assistenti a contratti di vendite di sepolcri, siccome aventi giurisdizione sul luogo.

Tuttociò sempre meglio conferma come anche nel secolo VI, allorchè la sepoltura nelle catacombe era totalmente andata in disuso, i preti dei titoli urbani avevano ancora autorità sui singoli cimiteri dipendenti da quelli, anzi erano essi deputati a turno o in altro modo a celebrare nelle chiese e basiliche cimiteriali. Queste poi avevano una specie di rettori, chiamati nel secolo VI praepositi, e le iscrizioni cristiane di Roma fanno menzione dei praepositi basilicae beati Petri, beati Pauli apostoli . . . . . . Laurentii martyris, beati martyris Pancratii (sic) vocabolo compendiato talvolta nelle sigle PP, da non confondere con quelle significanti Papa. Una delle più importanti iscrizioni di questo tempo, che appartiene, non al sepolcreto sotterraneo, ma sibbene a quello superiore adiacente alla basilica, è la seguente dell'anno 537, che si conserva oggi nel museo epigrafico cristiano lateranense. L'epitaffio appartenne al sepolcro di un cotal Severo di professione tintore; vi si dice che il luogo della sepoltura in quel luogo gli fu concesso dal papa Vigilio coll'inibizione che nessun altro sepolcro si sovrapponesse a quello. Ecco il testo della iscrizione:

HIC REQVIESCIT SEBERVS TINCTOR

V. H. Q. V. ANN. PLVS MINVS LXII EX QVIV.

ANN. XVII CVN IVGALE SVA QVIETA PACE TRANS

EGIT CVIVS CORPVS NE ALIVD VNQVAM

SVPERPONATVR PROHIBENS BEATISSIMO PAPA VIGILIO

CONCEDENTE IN HOC LOCO SITVM EST DEPOST . . . . . . . . .

IDVVM IVLIARVM PC VILISARII VIRI EXCELLENTISSIMI

 p954  Il papa Adriano I fece grandi risarcimenti alla nostra basilica e al monastero annesso che ai suoi giorni, non di s. Pancrazio si appellava, ma di s. Vittore, come riferisce il Libro pontificale nella biografia di questo papa. Volle poi più tardi Innocenzo III che in quella basilica, secondo l'antichissima consuetudine, Pietro d'Aragona prestasse solenne giuramento di fedeltà e d'obbedienza alla Sede Apostolica, come di fatto fece nel 1205 il giorno 11 di novembre; ultimo avvenimento d'importanza che ricordi la storia di quella vetusta basilica, la quale mantenne gran parte della sua primitiva forma sino alla fine incirca del passato secolo e alla prima metà del secolo nostro, in cui per le note vicende guerresche fu quasi del tutto distrutta e poscia posteriormente riedificata.

Pochissime reliquie avanzano oggi dell'antica e medievale basilica, cioè una colonna di marmo bigio di quelle che sostenevano la nave maggiore, e alcuni frammenti delle cornici dei pulpiti o amboni affisse nelle pareti del museo epigrafico cristiano pio lateranense: in una di queste rimane quasi per intiero a lettere di musaico il verso (qui) LEGIT ADTENDAT AD QVID SACRA LECTIO TENDAT, rima leonina la quale indica che il monumento è posteriore al mille; esso infatti è dello stile dei marmorari musaicisti romani, le cui scuole ed officine cominciarono nella seconda metà del secolo XI e nei tre seguenti fiorirono.

Qui fu sepolto il famoso Crescenzio, vissuto ai tempi di Gregorio V, la cui fazione fu potentissima in Roma, dal quale prese il nome la mole adriana, detta già castrum Crescentii, e che fu ucciso presso questa chiesa dalle genti di Ottone imperatore.

Anche il pavimento dell'odierna basilica è opera moderna; tuttavia, tra le lastre marmoree che restano delle antiche, in alcuna ho ravvisato delle tracce di lettere appena leggibili, perchè fortemente logore dall'attrito; ma vi ho riconosciuta la provenienza cimiteriale. In una ho osservato un frammento di iscrizione onoraria, in cui si legge il nome DiOCLETIANO, e che evidentemente conteneva una lunga iscrizione dedicata a quell'imperatore. La lastra sembra essere stata segata per chiudere un loculo del sotterraneo cimitero. Del resto è noto che le reliquie del santo martire furono manomesse e tolte via nelle vicende del 1798.

Sotto la basilica si svolge il coemeterium Octavillae, in cui fu deposto il giovinetto martire. Ma sventuratamente, se della primitiva basilica non restano nell'odierna che una sola colonna  p955 e alcuni miseri avanzi degli ambmedio evo medievali, non meno grande è la devastazione sofferta da quella nobilissima necropoli, spogliata di tutte le sue iscrizioni e d'ogni altro ornamento, e le cui medesime gallerie presentano l'aspetto d'informi e paurose grotte. Per due aditi si discende ora dalla basilica alla sottoposta necropoli, ambedue esistenti entro l'ámbito della odierna chiesa. Il primo e il più frequentato trovasi a destra incirca della nave di mezzo, si scende ad una galleria a bella posta troncata. Dicesi i gradini, si trovano due iscrizioni murate posteriormente sull'ambulacro della piccola ed irregolare porta per cui s'accede al sotterraneo. La prima è del secolo XIV incirca, come risulta dallo stile e dalla forma dei caratteri proprî di quel tempo, e che dal suo contesto mostrava essere in un luogo prossimo alla chiesa, o anche entro il perimetro della medesima, che una pia tradizione indicava ai pellegrini ed ai divoti come il sito in cui era stato ucciso il martire eponimo del cimitero. Essa infatti è del tenore seguente:

HIC FVIT DE
COLLATVS SAN
TVS PACRATIVS

La seconda iscrizione è del secolo IV, scolpita in una lastra marmorea della consueta forma oblunga, che fu rimossa dalla bocca di uno dei tanti loculi delle sottoposte gallerie. Un altro descenso è situato in fondo alla nave sinistra della chiesa, ed è veramente un antico e regolare adito, contemporaneo almeno alla prima edificazione della basilica, dalla quale gli innumerevoli pellegrini dei santuarî romani scendevano a visitare le cripte storiche del luogo. E ciò si riconosce non solo dalla sua regolarità e dalla sua positura rispetto all'altare della chiesa, ma eziandio dai gradini marmorei immensamente logori dall'atrio dei piedi. Da questa parte le gallerie sono assai alte e in molti luoghi rafforzate da solidi muri dei secoli IVV, dove tuttavia non un graffito sulla calce, ma solo resta un rozzo arcosolio mezzo distrutto in cui sembra di ravvisare alcuna traccia di colore e di pitture.

Ss. Bonifacio e Vittore

Di questo insigne monastero, cui fu congiunta una cappella dedicata al martire Vittore, la più antica notizia viene registrata dal Libro pontificale in Adriano I, ove si legge che il papa suddetto rinnovò la basilica di s. Pancrazio una cum monasterio s. Victoris ibidem posito. Con tutto ciò nei regesti di papa Gregorio (1370‑1388) si trova ancora notizia del suddetto monastero, il quale nello scorcio del secolo XIV sembra fosse tuttora fiorente, perchè in quel documento si legge un indultum pontificio pro Iuliana abbatissa monasterii ss. Bontifacii (sic) et Victoris cisterciensis ordinis de Urbe.

Il monastero era annesso alla basilica di s. Pancrazio e nel codice di Torino leggiamo che monasterium s. Pancratii habet XXXV moniales ordinis cisterciensium.

S. Agata

Il Libro pontificale nella vita di papa Simmaco dice che questi edificò sulla via Aurelia una chiesa in honorem b. m. Agathae in un fondo denominato lardario, il quale è ricordato pure in un falso diploma attribuito a Carlo Magno, opera del secolo XII. Anche in una bolla di Leone IV si fa menzione della chiesa di s. Agata con una casa lardaria ed un fundus adtalianus, chiesa però che in una bolla di conferma di quella di Leone IV, fatta da Leone IX, dicesi posta in colle pino. Tuttavia, benchè incerto, il sito preciso della chiesa sembra potersi fissare tra il primo ed il secondo miglio dalla porta s. Pancratii, perchè in una bolla di Innocenzo III è ricordato un luogo :. Dall'indice dei cimiter nel Liber mirabilium risulta che la chiesa sorgeva sopra uno dei cimiter dell'Aurelia e che la contrada, dai ruderi di un edifizio di forma circolare, veniva detta ad girolum: Coemeterium s. Agathae ad girolum; dove furono sepolti i celebri martiri Processo e Martiniano.

Il Bosio trovò gli avanzi della basilica che fu già, con i terreni annessi, dipendente da s. Pietro, nel luogo che si chiamava ancora Casale di s. Agata, ove il sommo esploratore delle catacombe riconobbe le antiche parietine della chiesa con qualche segno delle antiche pitture che in quelle dovevano essere.

Ss. Processo e Martiniano

I compilatori degli antichi itinerarî indicano ancora su questa via, dopo s. Pancrazio, il cimitero e la basilica superiore dei ss. Processo e Martiniano: Et ascendis sursum (cioè dalla basilica di s. Pancrazio) et pervenies ad ecclesiam; ibi quiescunt ss. Processus et Martinianus sub terra et s. Lucina virgo et  p957 m. in superiori. Non trovandosi menzione in quegli itinerarî della chiesa di s. Agata e il vedere che questi chiamavano vagamente ecclesia questa del cimitero di Processo e Martiniano, ne fa sospettare che fosse tutt'una colla medesima; dubbio proposto anche dal Bosio.

Chiesa dei due Felici

Era celebre sulla via Aurelia e nel suo primo tronco presso la città una chiesa che nel secolo VII veniva denominata dei due Felici: Deinde pervenies eadem via ad ss. pontifices et martyres duo Felices; e che in quel luogo fosse ai due santi dedicata una chiesa, risulta dalla topografia malmesburiense, ove si legge: Et in tertia (ecclesia) Felices duo.

Egli è certo che s. Felice I papa, ucciso sotto Aureliano nel 275, fu sepolto nella via Aurelia in una basilica che il papa stesso aveva già edificato, come abbiamo dal Libro pontificale; ed infatti negli antichi martirologî si celebra in quella via il natale del santo pontefice: Romae via Aurelia in coemeterio natalis s. Felicis papae. Sembra pure che il papa o antipapa Felice II, durante la persecuzione ariana sotto Costanzo fosse sepolto in quella stessa chiesa, ma i documenti sono oscuri su questo argomento. Checchè sia di ciò, egli è certo che questa basilica esisteva sull'Aurelia, e due santi omonimi, uno dei quali certamente il papa, vi furono sepolti.

Il Bosio trovò nel pavimento di s. Cecilia in Trastevere una pietra tolta dalla basilica dei due Felici, nella quale di questa si facea menzione:

GAVDIOSA DE
POSITA IN BAS
ILICA DOMNI
FILICIS . . .

L'epigrafe è del secolo IV ed è l'unico monumento che ricordi la basilica domni Felicis.

S. Callisto

L'ultima stazione della via nel tratto cimiteriale era quella formata dalla chiesa di s. Callisto, che sorgeva sul coemeterium Calepodii, confuso poscia con quella di s. Pancrazio. Gli itinerarî così ne fanno menzione: Postea eadem via pervenies ad ecclesiam,  p958 ibi invenies s. Calistum papam et martyrem, et in altero loco in superiore domo s. Iulius pp. et m.

È noto che il celebre papa istitutore del grande cimitero dell'Appia, che da lui ritiene tuttora il nome, non fu in quello sepolto, ma in uno dei cimiteri dell'Aurelia, sopra il quale al suo nome fu dedicata una chiesuola che è quella indicata dai sacri nostri itinerarî. Di questa sembravano affatto scomparse le vestigia, ma il ch. signor Stevenson ne ha trovato i ruderi, e parte dell'abside nascosta ed incorporata nel casolare della vigna Lamperini, al terzo miglio della via.

Oratorio del S. Crocifisso

Fra le chiesoline meno antiche, ma di storica importanza, della contrada percorsa dalla via Aurelia è pure da ricordare l'oratorio del Crocifisso. Era dall'altro lato del Vaticano allo sbocco di un ramo della via Aurelia, a cui era congiunta una piccola casa eremitica. Fu presso quella cappella che il Borbone, duce delle masnade che sorpreseo Roma nel pontificato di Clemente VIII, ricevette il colpo fatale. La cappella e il contiguo dormitorio furono demoliti nel 1848.

S. Angelo

Fuori la porta Cavalleggeri è situata questa chiesolina, nel luogo detto le Fornaci, e venne edificata, come narra il Sodo, dall'arte dei fornaciari di mattoni. Avanti la porta nel secolo XVII vi era un cortile che serviva per cimitero, ed avea una parrocchia di 564 anime; godeva una rendita neta di scudi 43. Clemente VIII con breve 19 novembre 1599 concesse alla chiesa una casetta adiacente. Nello stato temporale del 1662º leggesi: "È situata fuori porta Cavalleggeri all'incontro della porta detta Fabrica nella strada per andare a Civitavecchia. Per essere nei limiti della parrocchia di s. Pietro, il capitolo vi deputò un curato o vicario amovibile ad nutum ipsius. È d'una nave lunga palmi 50, larga palmi 40, alta 40 senza soffitto. Vi è un solo altare coll'imagine della Vergine, s. Pietro, s. Paolo, s. Angelo, s. Rocco. Avanti la porta vi è un cortile che serve per cimitero et nel medesimo vi sono tre piante di mori celsi, una di lauro et una di però che servono per uso del curato. Nel presente anno 1660º vi sono 564 anime. Ha una rendita di scudi 43 annui netta. Ultimamente si è trovo nell'archivio della confraternita de' Fornaciari che si conserva in una stanza nella casa del curato un breve  p959 di Clemente VIII 19 novembre 1599 in cui concede alla chiesa una casetta di contro detta chiesa, ma li fornaciari se l'hanno appropriata, ed affittano ad uso di hosteria e ne riscotono scudi 4 l'anno. Dentro i limiti della parrocchia vi sono distrutti cappellette, l'una è vicina al casaletto di s. Pio V contigua alla vigna del sig. Antonio Piovani chiamata la Madonna del Riposo, di cui la chiave, il calice e i parati si tengono dal vignarolo; l'altra è situata passato la chiesa di s. Pancrzio contigua a un orto del sig. Francesco Vespini detta la Madonna del Rifugio.

"Francesco Megali curato."

S. Maria delle Fornaci

Questa chiesa piglia il nome dalle suddette fabbriche di mattoni e di antichi materiali di argilla cotta. Clemente XI la concedette ai padri Riformati spagnuoli del Riscatto, i quali la riedificarono coi disegni di Francesco Multò nel 1683.

S. Maria de Rena

È nominata in una carta enfiteutica del 1280. Era presso la porta s. Pancrazio prope castrum molae ruptae. La ricorda il solo Mittarelli.

Via Cornelia

Ss. Rufina e Seconda

Prossima all'Aurelia era la via Cornelia, della quale, se il nome e la storia è celebre, un'è incerta l'origine, ed il primo suo andamento dalla città. Nei documenti del medio evo spesso è nominata la via Cornelia, perchè per quella si giungeva in basilicam sanctae Rufinae et Secundae. Intralciatissima è la topografia cristiana di questa famosa via, sulla quale patirono nei tempi eroici della Chiesa molti martiri, e nelle cui adiacenze molte chiese e cappelle furono edificate dal secolo quinto al IX, delle quali rimangono oggi appena le vestigia. A questo numero appartengono le sante vergini Rufina e Seconda, sepolte presso  p960 la selva di Buxetum (Buccea), più tardi detta Selva Candida. In quella medesima selva, nella persecuzione di Diocleziano, patirono il martirio i ss. Marcellino prete e Pietro esorcista, ivi condotti dalla via Aurelia ove si erano trovati presenti al martirio dei ss. Artemio, Candida e Paolina. In quel luogo poi nel IV secolo Giulio I papa edificò una chiesa in onore delle sante vergini suddette, Rufina e Seconda, chiesa la quale fu condotta a termine dal papa s. Damaso, e che, divenuta centro di abitazioni e nucleo d'un pago cristiano, ebbe l'onore di esser innalzata a sede episcopale col titolo di Selva Candida, ovvero di s. Rufina. Questo divenne uno dei titoli cardinalizî ai quali era congiunta la prepositura della basilica vaticana, da cui quel fondo dipendeva col suo cimitero e colla chiesa. Callisto II incorporò più tardi quella sede alla diocesi portuense. I corpi poi delle due martiri furono trasferiti nel Laterano e deposti in una cappella contigua al battistero di quella basilica. Al secondo miglio della via patì il martirio anche una santa di nome Afra, come si narra negli atti delle sante vergini romane Degna ed Emerita, delle quali quella martire fu collattanea, come già s. Emerenziana lo era stata di s. Agnese. Nel decimoterzo miglio della stessa via, in un luogo denominato ad nymphas Catabassi, occorse il segnalato martirio di un altro gruppo di martiri, cioè dei coniugi Mario e Marta e dei loro figliuoli Audiface ed Abaco, famiglia non romana, ma originaria della Persia come i ss. Abdon e Sennen e, come loro, denominati negli atti subreguli. Costoro patirono il martirio nella persecuzione di Claudio il Gotico, durante il quale erano venuti a Roma per pregar sulla tomba degli apostoli, siccome raccontano gli atti loro. I corpi dei medesimi furono con grande festa deposti da una donna appellata Felicita in un suo podere, dove certamente dovette istituirsi un cristiano cimitero per sepoltura dei villici del luogo stesso. Pasquale I, con innumerevoli altri corpi di martiri, trasferì nella chiesa di s. Prassede quelle sacre reliquie, come ci insegna la famosa iscrizione in cui quel papa fece incidere il catalogo dei nomi dei santi che trasferì dai suburbani cimiteri per metterli al sicuro dai violatori dei cimiteri romani, i Longobardi e i Saraceni. Ma siccome ho detto, tutte queste memorie sono perite, e le loro tracce restano ancora a scoprire sulla via Cornelia.


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