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Le Chiese di Roma nel Medio Evo

di Christian Hülsen

pubblicato da Leo S. Olschki
Firenze
MCMXXVII

Il testo è nel pubblico dominio.

seguente:

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 p224 

I II Gg

C1. S. CAECILIAE DE CAMPO ovvero A DOMO STEPHANI PETRI

Cenc. 223 (Stephani de Petro): den. VI — Paris. 226 (a domo Stephani Petri) — Taur. 329 (de Campo): habet I sacerdotem — Sign. 12 (de Campo).

La più antica memoria di questa chiesa è un'iscrizione del 1123 relativa alla consecrazione di un altare fatta il giorno 8 maggio di quell'anno (Forcella XII p459 n. 539; Armellini 2 349), sotto il pontificato di Callisto II. È senza fondamento l'asserzione di Giorgio Fabrizio (Roma p245 ed. 1587, da cui Martinelli 349) che sia stata costruita da Pasquale (secondo). Viene annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p132 n. 3) sotto il nome S. Caeciliae de Lupo Pacho, vocabolo derivato probabilmente da un nome personale. La casa e torre di Stefano di Pietro, dalla quale la chiesa suole essere appellata nel sec. XIII, è ricordata anche in altri fonti. L'Ordo Romanus XIII (Mabillon Museum Italicum II.229),º che viene attribuito al pontificato di Gregorio X (1272‑1276), nella descrizione del corteo sulla Via Papae dice: Item cum pervenerit ad Turrim Stephani Petri, qui est Parionis, et hodie dicitur Turris de Campo, unus de familia Papae facit ibi alium iactum (pecuniae). Il nome de turre Campi, ovvero de turri oppure de campo, resta usuale nei secoli seguenti: l'Armellini cita, da un libro censuale della Basilica Vaticana del 1394, una domus cum signo mulieris de parochia S. Caeciliae de turre Campi. Un istrumento di vendita del 13. luglio 1420 nel regesto del monastero di S. Anastasio ad Aquas Salvias (cod. Vat. 5844 f. 132 v.; Giorgi Arch. soc. romana I p67) descrive una casa sita in regione Pontis, cui ab uno  p225 latere tenet et est res ecclesiae sancte Sicilie de Turri dello Campo, ante et a latere et retro sunt viae publicae. Nel Liber Anniversariorum S. Salvatoris (sopra p55 n. 61) è detta S. Caecilie de Turri. Invece in quello del Gonfalone (p61 n. 55; p64 n. 66) apparisce col nome de Monte Iordano, e così anche nel Catalogo del 1555 (p81 n. 49), nella Tassa di Pio IV (p89 n. 57) e presso l'Anonimo Spagnuolo (p111 n. 175). Il luogo è indicato sulla pianta del Bufalini foglio FG e meglio sulla pianta della Chiesa Nuova con le vie adiacenti (del 1630 incirca) esistente nell'Archivio della Chiesa Nuova e pubblicata dalla Sig. Strong tav. III. Esso corrispondeva all'angolo della Via di Parione e della moderna Piazza dell'Orologio (occupavit spatium ubi nunc horologium conspicitur, dice il Fonseca p286). La facciata che si vede accennata, ma senza nome, sulla prospettiva del Maggi-Maupin-Losi f. 28, era rivolta verso occidentale, l'interno consisteva di una navata con tre cappelle da ogni lato. Gregorio XV (1621‑1623) concedette la chiesa ai padri Filippini per ampliare delle loro fabbriche. La cura delle anima fu ripartita, con breve del 20 marzo 1622, tra le parrocchie finitime di S. Tommaso in Parione, S. Biagio della Fossa e S. Stefano in Piscinula (Fonseca p286), ma l'edifizio restò ancora in piedi per qualche anno. Il Contelori nella sua copia del Catalogo del 1555 (sopra p81 n. 49) aggiunge: dirutum hoc anno 1629. Dei numerosi cognomi che l'Armellini, oltre ai surriferiti, volle attribuire a questa chiesa, quelli de saxo, de saffo, de taffo, Nicolai Marescalchi non hanno niente da fare con essa: v. più sotto n. 3 e n. 4.

Del Sodo Vallicell. f. 136 v., Vatic. p74 (S. C. a Monte Giordano); Panciroli 1 260 2-; Lonigo Barb. f. 14 v., Vallicell. f. 21 (profanata ultimamente); Martinelli 83. 349; Ciampini de Vicecancellario 169; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 282; Forcella XII p455‑460; Armellini 1 183 2 394; E. Strong La Chiesa Nuova (Roma 1923) p45. 144.

— S. CAECILIAE CAMPI MARTIS v. S. Caeciliae de Posterula.

C2. S. CAECILIAE DE FOVEA

Paris. 225 (de fossa) — Taur. 220: habet I sacerdotem — Sign. 297.

Chiesetta posta nel Rione Ripa, non lungi dal Ponte Rotto; il nome, come quello della vicina chiesa di S. Maria (v. più sotto M n. 48), deriva dalla contrada della Fossa. Un documento del 15. luglio 1364 nell'Archivio di S. Angelo in Pescheria (vol. II f. 101) ricorda  p226 una domus posita in regione Ripae in contrata pontis S. Mariae in parocchia S. Caeciliae de fovea; un'altra casa (vol. V f. 123), situata nella medesima contrada e parrocchia, viene descritta più acuratamente: ab uno latere tenet et est domus S. Angeli in foro piscium, ab alio tenet et est domus ecclesiae Sancte Cecilie, retro est placitella dicte ecclesie Sancte Cecilie. Dopo il principio del sec. XV non viene più menzionata. Forse è identica con S. Caeciliae Nicolai Marescalchi: v. sotto n. 6.

Lonigo Barb. f. 14 v., Vallicell. f. 21 (dal Cencio); Armellini 1- 2 634.

II Lk

C3. S. CAECILIAE DE MONTE FAFFO

Cenc. 143 (de Faffo): den. VI — Paris. 227 (de monte Falfi) — Taur. 228 (Montis Farfe): habet I sacerdotem — Sign. 306 (in monte suffone).

Il nome di Mons Faffo ovvero Faffi (travestito nel sec. XV nella forma classica Mons Fabiorum) appartiene, come ho dimostrato (Rendiconti dell'Accademia Pontificia I, 1923, -169 sg.) alla collina artificiale formatasi sopra i ruderi del Teatro di Marcello. Quindi la chiesuola è identica con S. Caeciliae in monte Sabellorum ricordata nel testamento di Donna Paola, consorte di Petronio dei Savelli, del 15. aprile 1364 (Archivio di S. Angelo in Pescheria II f. 68). Essendo il nome di Faffo andato in dimenticanza già nel sec. XV, nei codici deteriori di Cencio si trovano diverse corruttele: de saffo, de taffo, de scaffa, de saxo, le quali però dagli antiquarii del sec. XVII vennero prese per buone ed attribuite per lo più a S. Caeciliae de Campo. A titolo di curiosità si può citare l'opinione del Torrigio (cod. Vallicell. G, 19) il quale spiegò il nome "de saxo e in campo: perchè quivi era un campo ovvero piazza, dove S. Cecilia alle volte soleva predicare, salendo sopra un sasso o colonna". Nel secolo XVI la chiesuola viene registrata nella Tassa di Pio IV (sopra p89 n. 54) sotto il nome di S. Cecilia nelle case de Savelli, nel catalogo di S. Pio V (p104 n. 252) sotto il nome di S. Cecilia all'Arco Savello, con la nota: ruinata. Forse non è diversa dall'oratorium Montis Savellorum, del quale un prete e parecchi frati compariscono in un documento del 1460 (testamento del qm. Stefanello Magnactura del Rion di S. Angelo) citato del Lanciani Storia degli scavi IV p18. L'Arco dei Savelli, cioè un avanzo dei portici laterali della scena del Teatro di Marcello, è  p227 ben visibile sulla tavola 38 delle Vestigia di Roma Antica del Dupérac (1575), cf. Lanciani Ruins and Excavations p494.

Martinelli 349; Armellini 1 183 2 572, 622; Huelsen Rendiconti dell'Accademia Pontificia I (1923) p171 sg.

— S. CAECILIAE DE MUTIS v. S. Caeciliae de Posterula.

C4. S. CAECILIAE NICOLAI MARESCALCI

Cenc. 195: den. VI.

In nessun altro documento si trova una chiesa dedicata a S. Cecilia con questo cognome. Ma siccome al tempo del Camerario, secondo l'epitome di Giraldo Cambrense (sopra p18) non esistevano più di sei chiese di S. Cecilia in Roma, e di queste sei, registrate nel catalogo parigino sotto i numeri 223‑228 (sopra p22), cinque si trovano presso Cencio, mentre vi manca S. Caeciliae de fovea, mi pare assai probabile, che sia identica con quest'ultima.

Lonigo Barb. f. 14 v., Vallicell. f. 12 (dal Cencio); Armellini 1 183 2 394.

II Ki

C5. S. CAECILIAE DE PANTALEONIBUS

Cenc. 166 (Cencii Pathaleonis): den. VI — Paris. 288 (a domo Henrici Pantaleonis) — Taur. 354 (de Panthaleis):habet I sacerdotem — Sign. 41 (de Pantaleonibus), rel. 92 (de Pantaleis).

Questa chiesa viene mentovata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p132 n. 31. 32), d'ove però il copista del 1591 ha sbagliato facendone due chiese, una S. Caeciliae a domo, ed un'altra S. Pantaleonis, mentre nell'originale senza dubbio si leggeva S. Caeciliae a domo. . . . Pantaleonis. Dall'ordine topografico di questa bolla come pure del catalogo torinese e d quello del Signorili si ricava che era situata nel rione S.Angelo, non lontano dal Monte dei Cenci. Sulla famiglia dei Pantaleoni si trovano notizie nel repertorio dello Jacovacci cod. Ottobon. 2552 f. 279‑280; un Cencius Pantaleonis et Johannes filius eius appariscono come testimoni in un documento del 1153 nell'archivio di S. Prassede (secondo la pubblicazione del Galletti de primicerio p312, non in quella recente del Fedele Arch. soc. romana XXVIII, 1905 p51). Il Lonigo asserisce che "in aliis notulis (dopo la citazione della bolla di Urbano III) archivii S. Laurentii dicitur fuisse apud plateam Iudeorum". Da parecchi documenti dell'archivio  p228 della famiglia Boccapaduli (Bicci, Notizie della famiglia B. p598. 601 del 3. luglio 1428; p609 del 20. luglio 1452; p615 del 13. marzo 1456) e da un istromento nell'archivio Capitolino del 28. febbraio 1371 (Bicci l.c. p32) risulta che la chiesa confinava con l'antico palazzo dei Boccapaduli, il quale, secondo il Bicci p20, "rimaneva ora racchiuso dentro al recinto (del Ghetto) e mostrava il suo non ignobile prospetto di contro al portone della piazza che chiamano del Mercatello (= Piazza delle Scuole)". Anche in un documento del 1555, citato dal Lanciani (Storia degli scavi IV p18, dagli atti del notaio Camillo Manfredi, prot. 1016 f. 50) viene detta ecclesia S. Caeciliae in platea Hebreorum. Nel Liber Anniversariorum S. Salvatoris (sopra p57 n. 126) è ricordata col semplice nome di S. Cecilia, mentre la Tassa di Pio IV (sopra p89 n. 60) la chiama S. Cecilia nel rione di S. Angelo. Pare che sia stata profanata poco dopo il 1560; il catalogo di S. Pio V (p103 n. 240) nota: "S. Cecilia, la sua cura sta in S. Angelo".

Lonigo Barb. f. 21 v.; Martinelli 349; Ciampini de Vicecancellario 169. 187; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 341. 342; Armellini 1 182 2 572; Spezi Bull. arch. comun. 1906, 287‑297.

II Ei

C6. S. CAECILIAE DE POSTERULA ovvero CAMPI MARTIS

Cenc. 271 (Campi Martis): den. VI — Paris. 224 (de pusterulis) — Taur. 72 (de Mutis): habet sacerdotem et clericum — Sign. 110 (de posterula).

L'origine di questa chiesuola risale al sec. XII: il Martinelli ricorda un cippo marmoreo (che il Panciroli dice ritrovato nel 1604 sotto l'altare con l'iscrizione: HAEC EST DOMUS IN QUA ORABAT S. CAECILIA, e dall'altra parte il millesimo M.C. XXXI. CONSECRAVIT. Secondo una bolla di Celestino III del 7. maggio 1194 per il monastero di S. Maria in Campo Marzo (Martinelli 202; Kehr IP. I p89 n. 10), quel monastero possedette nel popolo di S. Cecilia 18 case. Il cognome de Mutis, dato alla chiesa nel codice di Torino, forse non è altro che una corruttela di de (campo) Martis: l'ordine topografico dimostra che non si può trattare di un'altra chiesa. Da un libro censuale della basilica Vaticana (a. 1372 p21) l'Armellini riporta la nota: domina Illuminata Vannutii de regione Campi Martii et parochia S. Caeciliae de Puzerato: l'ultima parola deve essere errore del copista per de Pusterula. Nel 1575 venne concessa alla Compagnia dei Materassai, istituitavi già nel 1521, e  p229 costoro, restaurandola, la dedicarono pure al loro padrone S. Biagio. Oggi volgarmente si chiama la Madonna del Divino Amore.

Del Sodo Vallicell. f. 92 (S. Biagio già chiamata S. Cecilia), Vatic. p49 (S. Biasio delli Mattarazzari a' Medici); Panciroli 1 249 2 432; Lonigo Barb. f. 14 v., Vallicell. f. 21 v. (in Campo Marzo); Martinelli 83; Bruti vol. 21 (to. XX) f. 149‑151 (ital.) = vol. 15 (to. XIV) f. 112. 113 (lat.); Piazza Opere Pie II p78; Nibby 132; Forcella XI p271‑278; Armellini 1 182 2 336.

II Mi

C7. S. CAECILIAE TRANS TIBERIM

Cenc. 30: sol. II — Paris. 223 Taur. 233: titulus presbyteri cardinalis habet X canonicos; 234 hospitale ibidem habet I servitorem. — Sign. 311, rel. 50.

Titolo antichissimo, esistente già nel secolo IV, come attesta il Martirologium Hieronymianum al 22. novembre (p146 ed. De Rossi-Duchesne); titolari di esso si trovano fra i sottoscrittori dei sinodi romani del 499 e del 595 (sopra p124. 125). La chiesa viene ricordata poi nelle biografie di papa Vigilio (537‑555; LP. LXI c. 4) e di Stefano IIIº (768‑772; LP. XCVI c. 11). Leone III (795‑816) e Gregorio IV (827‑844) l'arricchirono di doni (LP. XCVIII c. 37, 74; CIII c. 21), Pasquale I (817‑824) la restaurò (LP. C c. 14. 19, cf. 28. 38). Esiste tuttora sul posto antico.

Ugonio stazioni f. 129 v.; Del Sodo Vallicell. f. 65 v. 66, Vatic. p73; Panciroli 1 261 2 607; Lonigo Barb. f. 14 v., Vallicell. f. 21 v.; Martinelli 84; Bruti vol. 16 (to. XV) f. 258‑278 (ital.) = vol. 11 (to. X) f. 229‑239 (lat.); Alveri II 379; Lubin 331; Laderchi S. Caeciliae. . . . acta et transtyberina basilica (Romae 1722. 1733); Nibby 155; Forcella II p17‑46. XIII p24. 525; Armellini 1 179 2 669; Bianchi-Cagliesi S. Cecilia e la sua basilica nel Trastevere (Roma 1902); Marucchi 438; Angeli 86‑92; Kehr IP. I, 123; Calvi Bibliografia 57 sg.; I. P. Kirsch, Die römischen Titelkirchen (Paderborn 1918) p113 sg. • Titi 53‑55.

C8. S. CAESAREI DE APPIA ovvero IN TURRI Cenc. 272 (de Appia): den. VI — Paris. 269 (a porta Acie) — Taur. 274 (ecclesia S. C. in Turrim): non habet servitorem, 275 (hospitale in Turrim): habet fratres ordinis cruciferorum IIII — Sign. 345 (in Turre), rel. 33 (in Turri).

Chiesa situata presso il bivio delle vie Appia e Latina: il cognome in Turri si trova dato anche alla vicina chiesa di S. Agata (v. sopra p167 n. 12). Col medesimo cognome ricorre altresì nell'inventario dei beni di  p230 S. Giovanni a Porta Latina compilato da Niccolò Francipani sotto Bonifazio VIII (presso Crescimbeni, Storia di S. Giovanni p212 e 217). In quei mi la chiesa apparteneva ai vescovi di Tuscolo, come si rileva dalla bolla di Bonifazio VIII del 22 febbraio 1302 (vol. III p650 n. 5014 ed. Digeard), ma era divinis obsequiis et temporalibus favoribus destituta. Perciò il papa, annuendo al desiderio del vescovo tusculano, la concedette ai fratres cruciferi per fondarvi un ospedale (xenodochium in ipsa ordinare decrevit, in quo Christi pauperes elemosinarum alimoniis foveantur). Ai Crociferi venne imposto l'obbligo: quod in ecclesia sex clericos et quatuor conversos, et in praefato xenodochio viginti lectos ordinabitis et tenebitis pro recipiendis et alendis pauperibus et infirmis ibidem. Nel sec. XV, incirca dello spedale, troviamo presso S. Cesareo un monastero di monache benedettine; essendo questa in decadenza. Eugenio IV con bolla del 31 luglio 1439 (Torrigio Historia della ven. Imagine di Maria. . . Roma 1642 p63) ordinò che fosse unito a quello di S. Sito vecchio, e l'ordine fu eseguito quattro anni più tardi (documenti del 26. aprile e del 6. maggio 1443 presso Torrigio l.c. p64. 65, ove è detto monasterium monialium S. Caesarii in Turri tituli Tusculani). Leone X, nella grande promozione di trentun cardinali nel 1517, eresse la chiesa in titolo presbiterale; i quella occasione la cancelleria pontificia appose per errore alla chiesa sull'Appia il cognome in Palatio, non giustificato da memorie anteriori: e tale errore ha dato origine a grande confusione nelle ricerche sulle diverse chiese di S. Cesareo. Sisto V nel 1587 soppresse il titolo presbiterale, ma Clemente VII nel 1600 restituì la chiesa come diaconia. Il medesimo pontefice fece restaurare a fundamentis l'edifizio mezzo rovinato riducendolo in quella forma che tuttora conserva.

Del Sodo Vallicell. f. 135, Vatic. p72; Panciroli 1 265 2 668; Lonigo Barb. f. 15, Vallicell. f. 22 v.; Severano Sette Chiese 466, Vallicell. G, 26 f. 207 v.; Martinelli 85. 350; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 140 v.-144 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 110‑113 (lat.); Nibby 167; Forcella XII p249‑256; Armellini 1 186 2 595; Angeli 94 sg. • Titi 72.

II Kh

C9. S. CAESARII DE ARENULA

Cenc. 297: den. VI, sine clericis — Paris. 268 (de Aureula) — Taur. 342 (senza cognome): habet I sacerdotem — Sign. rel. 97 (de Arenula).

Una iscrizione del 1096 tuttora esistente nella chiesa di S. Paolino alla Regola (Fonseca p322; Forcella IV p517 n. 1265) contiene una  p231 lunga lista di reliquie di santi, preceduta da alcuni esametri barbari, l'ultimo dei quali dice: MARTIR SITQ(ae) DECVS TIBI XPI LEVITA CESARI. Il marmo probabilmente stava in origine nella vicina chiesuola dedicata a S. Cesario, della quale è il più antico monumento. Esse viene poi annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p132 n. 33; senza cognome). Col semplice nome di S. Cesario si trova anche nel Liber Anniversariorum del Gonfalone dell'anno 1470 (p61 n. 72) e nel catalogo del 1492 (p74 n. 175), nostre il catalogo del 1555 (p81 n. 51) la dice S. C. prope Tyberim regione Harenulae. Il Mazochio (Epigrammata antiquae Urbis, 1521, f. 114) pubblicò l'iscrizione CIL. VI, 1828 come esistente in S. Cesario prope Tyberim seguono altre in S. Anastasio ibi prope), e la stessa indicazione si ha pure presso lo Smezio (cr. 1550). Ma circa quei tempi sembra che sia stata unita con la vicina chiesa di S. Paolo; già in un documento del 1539 (negli atti del notaio Gabr. de Paula, prot. 288, Arch. S. C.; Lanciani Storia degli scavi II p211) si parla della ecclesia parochialis SS. Pauli et Caesarei regione Arenulae, e la Tassa di Pio IV (p93 n. 184) reggistra S. Paolo et Cesareo nel rione della Regola. La relazione sulla visita sacra alle chiese del 1566 (Arch. Vatic. misc. arm. VII vol. 2 f. 11, donde Armellini 2 397 dice: "Le reliquie della chiesa (di S. Paolo) si dice che furono trovate nella chiesa di S. Cesario, la quale chiesa di S. Cesario unita a detta parochiale è sulle rive del Tevere ivi appresso" (cf. il passo del cosiddetto Castallo Metallino citato del Martinelli 351, ove si parla della chiesa di S. Cesario "edificata presso l'Onda"). Pare quindi che la chiesa segnata, ma senza nome, dal Bufalini (foglio BC) in un luogo corrispondente al lato ovest del moderno Vicolo delle Zoccolette, non lontano dal Ponte Sisto, sia proprio quella di S. Cesario. Il Martinelli 270 asserisce che "ecclesia S. Caesarei reducta fuit a. 1572 ad capellam supra quam laici habitabant"; e si noti che manca nel catalogo di S. Pio V ed in quello dell'Anonimo Spagnuolo. Non posso decidere quel fede meriti l'asserzione dell'Armellini che "l'edifizio, come si ricava dagli atti delle Visite fatte in quell'anno stava ancora in piedi nel 1630": egli erra certamente sostenendo che fosse distrutto per la fabbrica dell'Ospedale della Trinità dei Pellegrini, che non arrivò mai al punto sopra indicato.

Lonigo Barb. f. 15 (dal Cencio), Vallicell. f. 22 v.; Martinelli 352; Ciampini de Vicecancellario 167; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 322; Armellini 1 185 2 398.

 p232  II Mn

C10. S. CAESARII DE GRAECIS ovvero DE PALATIO

Cenc. 53 (monasterium S. C. Grecorum): sol. II, id. lit. 7 (mon. S. C.): sol. III — Paris. 267 (de Graecis) — Taur. 248 (de Palatio): ordinis Saccitarum, habet I sacerdotem — Sign. 273 (in Palatio).

Monastero fondato nel principio del sec. IX fra le rovine dei palazzi imperiali. La più antica menzione si trova nella Translatio SS. Marcellini e Petri di Eginardo (AA. SS. Iuni tom. I p183; Migne PL. Patrol. XIV p542; Monum. Germaniae Scr. XV, p242) ove si racconta che un monaco Basilio esule da Costantinopoli nell'a. 825 "in monte Palatino apud alios Graecos, qui eiusdem professionis erant, cum quattuor discipulis suis hospitium habuit". Nel 990 vi fu ospitato e vi ebbe i funerali di S. Saba giuniore monaco basiliano (Pitra Analecta sacra I p311). Nel 1145 Eugenio III fu eletto apud monasterium S. Caesarei, ubi omnes fratres propter metum senatorum et populi Romani consurgentis ad arma convenerant in unum (Duchesne LP II p386). È ricordato più volte in documenti dell'archivio di S. Maria Nova, sotto il nome S. Caesarii Graecorum (Fedele Arch. soc. romana XXV, 1902, p199 n. 78 del 19. nov. 1157), oppure semplicemente S. Caesarii (ivi p185 n. 67 del 21. genn. 1153). Circa il medesimo tempo viene in uso il nome S. Caesarii de Palatio: così viene chiamato in una bolla di Alessandro III del 16. aprile 1166 (Monumenta Ordinis Servorum edd. Morini et Soulier tom. II, Bruxellis 1898 p296 n. 7; Kehr IP. I p77 n. 23) relativa ad una lite fra il monastero ed il cardinale di S. Marcello. Col medesimo cognome ricorre nella lista delle venti abbazie di Pietro Mallio e Giovanni Diacono (in palatio LXX regum: v. sopra p128). Per la situazione, oltre all'ordine topografico del catalogo torinese, è importante un documento del 27. febbraio 1238 nell'archivio di S. Maria Nova (Fedele l.c. XXVI, 190 p379), nel quale vengono descritti i limiti di un ortus positus in Palatio Maiore prope Palladiam. . . .: a primo latere est via qua itur ad Sanctum Caesarium, a secundo alia via qua itur per Palatium Maiorem et ab alio latere tenent Fraiapanes. La via qua itur per Palatium Maiorem deve essere l'ascesa Palatii spesso mentovata nelle carte dell'archivio di S. Maria Nova: essa diramava dalla Via Sacra presso l'Arco di Tito, piegava verso sud all'altezza di S. Bonaventura e finiva incontro a S. Gregorio in Clivo Scauri (Ehrle Mélanges Chatelain p27 not. 2; v. anche le piante prospettiche del Dupérac e del Maggi-Maupin-Losi); la via che da essa si partiva verso S. Cesario non poteva dirigersi est, ove era la chiesa di S. Maria in Pallara, ma dovea volgere ad ovest, ove si trova la  p233  Domus Augustana ed il cosiddetto Stadio. Ivi intorno alla metà del sec. XV sorgeva una chiesa rovinosa chiamata erroneamente S. Nicola dal Biondo (Roma instaurata lib. I § 75 f. X ed. 1510) e S. Andrea dal Ligorio. Quest'ultimo sulla pianta degli scavi Palatini (cod. Taurin. 20, cf. Römische Mitteilungen 1895 tav. IX) scrive il nome di S. Andrea quasi nel centro dello Stadio. Io non dubito che quella rovina in verità sia stata la chiesa di S. Cesario, non trovandosi notizie documentate sopra il culto di S. Andrea nè di S. Nicola sul Palatino. Al monastero attiguo possono aver appartenuto gli ambienti decorati con affreschi cristiani descritti dal Bartoli. Chiesa e monastero scomparvero nel principio del sec. XV; una delle ultime menzioni è quella del cosiddetto Anonimo Magliabecchiano (cr. 1410‑1415; Jordan Topogr. II p611; Urlichs Codex U. R. topographicus p156; un'altra copia del medesimo è il cod. Urbinate 410 [ora 984] citato dallo Zaccagni presso Mai Spicilegium IX p394): Mons Palatinus, ubi nunc est palatium maius et ecclesia sancti Caesarei. È affatto impossibile l'identificazione, proposta più volte dal Lanciani, con un gruppo di rovine comunemente chiamato Bagni di Elagabalo ad ovest della Sacra Via, fra l'arco di Tito e la Meta Sudante.

Lonigo Barb. f. 15, Vallicell. f. 22; Martinelli 350; Armellini 1 187 2 517; Duchesne Nuovo Bullettino di Archeologia cristiana 1900, 17‑28; Fedele Arch. soc. romana XXVII, 1903, p345; Lanciani Ruins and Excavations 171, FUR. f. 29, Storia degli scavi II p46; Kehr IP. I p103.

I Qq

C11. S. CAESARII IN MONASTERIO CORSARUM

Cenc. 313 (S. C. Crecarum): ignota et sine clericis, den. VI, id. lit. 33 (monasterium S. C. monachorum): sol. II — Paris. 270 (S. C. Greca).

Il monasterium Corsarum, ovvero de Corsis, situato presso la basilica di S. Sisto (vecchio), come attesta il biografo di Leone IV (847‑855; LP. CV) c. 25, viene mentovato, con l'oratorio di S. Cesario, fra quelli arricchiti con doni da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 79, cf. sopra p9 n. 104). Più tardi non viene più ricordato ma siccome Cencio Camerario, tanto nella lista del presbiterio dei turiboli quanto in quella delle litanie, registra due monasterii di S. Cesario, e l'epitome di Giraldo Cambrense conferma che circa il 1200 esistevano quattro santuarii del martire a Roma (v. sopra p18), io non dubito che il cognome crecarum sia corrotto da corsarum. Il cognome si dovrà derivare dall'isola di Corsica piuttosto che dalla famiglia dei Corsi, la quale venne  p234 a notorietà soltanto dopo, quod il monastero già era in decadenza. Alcuni autori moderni sostengono che fosse unito da Leone IV col monastero di S. Simmetrio: ma nel passo della biografia c. 58 ciò non è detto. V. sotto S n. 95.

Armellini 1 186 2 596; Kehr IP. I p120.

C12. S. CAESARII IN PALATIO LATERANENSI

Santuario antichissimo, mentovato già in una lettera di S. Gregorio (lib. XIII, 1) relativa alla traslazione dei ritratti dell'imperatore Foca e della sua consorte Leontia, che vengono riposti in oratorio sancti Caesarii intra palatio. Similmente nella biografia di Sergio I (687‑701; LP. LXXXVI c. 9) e da quella di Sergio II (844‑847; LP. CIV c. 25) risulta che era situato in vestiario, cioè nella parte occidentale del palazzo lateranense, vicino al Battistero. Più tardi non viene più mentovato; erroneamente il Duchesne volle riferire i passi di S. Gregorio e della biografia di Sergio II al monastero palatino.

Adinolfi Laterano 68, Roma I, 248; Armellini 1 187 2 108; Duchesne al LP. I p481 n. 16.

— S. CAESARII AD BEATUM PAULUM v. S. Stephani et Caesarii.

I Mg

C13. S. CALIXTI

Cen. 175 (S. C. trans Tyberim): den. VI — Paris. 358 Taur. 396: habet IIII clericos.

Presso l'antichissimo titulus Callisti (v. più sotto S. Maria in Trastevere) sorgeva già prima del sec. VIII una chiesa che si credeva costruita nella casa e sul luogo del martirio del santo. Questa chiesa fu restaurata da Gregorio III (731‑741; LP. XCII), ed esistente tuttora sul posto antico.

Del Sodo Vallicell. f. 64 v., Vatic. p66; Panciroli 1 253 2 582; Lonigo Barb. f. 15, Vallicell. f. 19; Severano Vallicell. G, 26 f. 187 v. Martinelli 86; Nibby 140; Forcella XI p517‑524; Armellini 1 173 2 648; Angeli 77; Calvi Bibliografia 51. • Titi 46‑47.

 p235  II Mg

C14. S. CATHARINAE prope S. Petri

Taur. 19 (monasterium S. C.): habet moniales VIII — Sign. 189, rel. 56 (S. C. ultra pontem).

Chiesa e monastero fondati sul principio del sec. XIV nella Portica di S. Pietro, all'ingresso della Piazza (ante basilicam principis apostolorum quasi in conspectu Romipetum ipsam basilicam causa devotionis peregre vistantium, dice la bolla di Bonifazio IX del 18. dicembre 1389, Bullarium Vaticanum II p33). Il più antico documento relativo ad esso è una licenza data, il 5. ottobre 1310, da Fra Isnardo, arcivescovo tebano e Vicario del Pontefice, di costruire un luogo di sepoltura dentro la chiesa o nel monastero (Bullar. Vatic. II p30 not.): ivi viene appellato novum monasterium in honore sanctae Catharinae vocabulo nuncupatur, in quo moniales nigri habitus sub regula sci. Augustini perseverant. Le monache accolte nel monastero erano di famiglie borghesi ricche e distinte, dei cosidetti Cavallerotti (de nobilium Romanorum generibus procreatae dietro il documento del 3. febbraio 1382 Bull. Vat. II p36; quae de nobilibus civibus Romanis Cavallerottis vulgariter nuncupatis procreatae estis la bolla d'Innocenzo VII del 10. febbraio 1404, l.c. p60), e perciò la chiesa nel sec. XVI suole essere appellata S. Catarina delle Cavallerotte: non so per quale ragione il ch. Lanciani (Memorie dell'Accademia Pontificia I, 1, 1924 p233) asserisca origo denominationis de Cavallerotis prorsus incerta permanet. Il papa Benedetto XII, con bolla del 23. marzo 1342, limitò il numero delle monache (Bullarium Vaticanum I p324; ivi è chiamato monasterium sanctae Catarinae de Portica Sancti Petri). Delle lunghe contese che le Cavallerotteº ebbero con l'attiguo monastero di S. Maria delle Vergini rendono testimonianza diversi documenti nel Bullarium Vaticanum (I p324 sg., altra bolla di Benedetto XII del 23. marzo 1342; II p34 sg. bolla di Bonifazio IX del 14. luglio 1391; istromenti del cardinale Nicolò Caracciolo del 3. febbraio 1382 e del cardinale Luca de' Gentili del 31 marzo 1383). La lite finì con l'incorporazione del locus sanctae Mariae de Virginibus al monastero di S. Caterina. Urbano VI con bolla del 20. gennaio 1389 (Bullar. Vatic. II p3) rinnovò il privilegio relativo al cimitero. Nel principio del sec. XV le monache cambiarono regola, adottando quella di S. Benedetto (v. la bolla sopra citata d'Innocenzo VII). Chiesa e monastero furono distrutti quando, sotto Alessandro  p236 VII, si costruirono i portici della piazza; gli editori del Bullarium Vaticanum II p56, da un libro censuale notane che l'ordine per la demolizione fu dato il 17. dicembre 1659, ed aggiungono che l'edifizio si trovava al principio dell'ala settentrionale dei portici, vicino al Palazzo Rusticucci. Con questo convengono parecchie antiche vedute della Piazza di S. Pietro (Egger, Römische Veduten II tav. 16. 19 cf. p23. 25), nonchè la pianta del Bufalini. L'Armellini 2 782 sostiene che la chiesa "in alcuni manoscritti del 1510 chiamavasi ad statuam", ma non trovo nessuna testimonianza a favore di questa asserzione (accolta come certa pes. dal Lanciani FUR. f. 13 e Memorie dell'Acc. Pontif. I l. c.), e temo che si tratti di un ricordo confuso del testo dell'Adinolfi p220, ove prima si cita il diploma di Fra Isnardo del 1310 e, poche righe dopo, il principio della bolla di Bonifazio IX del 1389 "ad statum monasterii sanctae Catherinae".

Del Sodo Vallicell. f. 74, Vatic. p76; Panciroli 1 255 superiore 509; Lonigo Barb. f. 13 v., Vallicell. f. 20; Martinelli 87. 352; Alveri II p140; Adinolfi Portica di S. Pietro 113‑122; Forcella XI p435‑442; Armellini 1 175 2 782.

C15. S. CATHARINAE EXTRA PORTAM

Taur. 305 (hospitae S. C. extra p.): habet I sacerdotem.

Dall'ordine topografico del catalogo si rileva che quell'ospedale si trovava fuori della Porta Asinaria (S. Giovanni), ma nulla si può stabilire sul luogo preciso e sulle vicende di esso.

C16. S. CATHARINAE de Porta Leone

Taur. 224 (senza cognome): habet I sacerdotem.

L'ordine topografico del catalogo dimostra che si tratta della medesima chiesuola che il Liber Anniversariorum di S. Maria in Porticu (sopra p59 n. 65) registra sotto il nome di S. Catherena ad Porta Leone. Essa forse era succeduta a S. Mariae de Berta (v. più sotto M n. 39). L'Armellini 2 628 cita, dalle schede del Torrigio sulla chiesa di S. Nicola in Carcere un documento del 1482 nell'archivio di quella chiesa ove è detto: Simon Calvionius confessus est possidere domum terrineam et solaratam. . . . in loco qui dicitur Portalione, cui retro est ecclesia S. Catharine hospitali S. Mariae de Porticu.º Pare che fosse abbandonata già verso la fine del Quattrocento: manca nel catalogo del 1492, nella  p237 Tassa di Pio IV, nel catalogo del 1555º ed in quello di Pio V. Il Marliani (Topographia ed. 1534 f. 9 e 75), ragionando della Porta Carmentale la descrive a dextera sub Capitolio inter saxum Tarpeium et Tyberim e regione aediculae diva Caterina nunc dirutae (cos f. 9, ubi diximus extare ruinas aediculae divae Caterinae f. 75). Dal Marliani dipendono gli astigrafi del sec. XVI, i quali, parlando del tempio e della porta di Carmenta, non mancano di ricordare la semidiruta aedicula; il Fabricio (Roma p90 ed. 1550) la chiama S. Catherinae sub rupe Tarpeia. Il medesimo nell'edizione del 1587 p286 registra: "S. Catherinae sub Tarpeio, dirutum" ma questa indicazione, ripetuta dal Martinelli sotto il nome dell'"auctor a. 1587" è senza valore per l'anno della demolizione. Il Lonigo dice che era "nel rione di Ripa a piazza Montanara non molto lungi da S. Nicola in Carcere, si diceva S. Caterina di Porta Leona, fu distrutta pochi anni sono et se ne vedono ancora vestigia" (se non si tratta di una confusione con S. Caeciliae de Monte Faffo, v. sopra p226).

Lonigo Barb. f. 13 v., Vallicell. f. 20; Martinelli 352; Armellini 1 177 2 615.

II Ff

C17. S. CELSI

Cenc. 107: den. XVIII,º id. lit. 41: den. XVIII — Paris. 312 (S. Celtisus) — Taur. 125: est cappella papae habet VIII clericos — Sign. 76 (S. Celsi et Iuliani).

Chiesa tuttora esistente, sebbene in forma ed orientamento diversa, nella via dei Banchi vecchi, non lontano dal Ponte S. Angelo. La più antica menzione sarebbe un documento del 1008 nel Regestum Sublacense (n. 135 p186), nel quale è ricordato un Georgius archipresbyter de venerabili ecclesia S. Celsi, se fosse sicuro che vi si tratti della chiesa urbana e non di un'omonima in Albano. Un presbyter Bernardus S. Celsi si trova fra i rectores Romanae fraternitatis nel 1127 nella bolla di Onorio II per SS. Apostoli (Kehr IP. I p13 n. 22 p72 n. 3; Liverani opp. IV 258 dal cod. Vat. 5560 f. 4‑7). Una bolla di Onorio III del 12. maggio 1218 (Adinolfi Canale di Ponte p78 sg.: Registrum Honorii ed. Pressuti p216 n. 1308) sottomette a S. Celse le tre chiesuole vicine di S. Salvatore de Inversis, S. Angeli de Miccinello e S. Pantaleone iuxta flumen. La chiesa è ricordata nei Libri Anniversariorum ed in tutti i cataloghi dei sec. XV-XVI.

Del Sodo Vallicell. f. 112 v., vapt 71; Panciroli 1 265 2 497; Lonigo Barb. f. 15, Vallicell. f. 21 v.; Martinelli 89; Nibby 166; Forcella II p145‑154; Adinolfi Canale di Ponte 24; Armellini 1 184 2 363; Angeli 92 sg.; Kehr IP. I p92; Calvi Bibliografia 59. • Titi 426.

 p238  I Mh

C18. S. CHRYSOGONI

Cenc. 29 (S. Crisogono): sol. II — Paris. 359 (S. Grisogonus) — Taur. 392 (ecclesia S. Crisogoni): titulus presbyteri cardinalis, habet VIII clericos — Sign. 73 (S. Crisogoni), rel. 52 (S. Crisogoni in Transtiberim).

Titolo antichissimo già ovvio fra le sottoscrizioni dei concilî romani del 499 e del 595 (v. sopra p124 n. 8 e p125 n. 19), spesso mentovato nel Liber Pontificalis. Ricorre pure nei Libri Anniversariorum ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI. Esiste tuttora sul posto antico.

Ugonio stazioni f. 280; Del Sodo Vallicell. f. 67, Vatic. p131; Panciroli 1 292 2 260; Lonigo Barb. f. 27 v., Vallicell. f. 40; Severano Sette Chiese 312; Martinelli 89; Lubin 344; Nibby 190; Forcella II p167‑192 p529‑533. XIII p500‑504; Armellini 1 202 2 686; Marucchi 452; Angeli 111 sg.; Kehr IP. I p124; Marucchi Bull. arch. crist. 1908 p149 sg.; Calvi Bibliografia 62. 138; Kirsch, Die römischen Titelkirchen p108 sg. • Titi 56‑57.

I Lqr

C19. S. CLEMENTIS

Cenc. 23: sol. II — Paris. 348 Taur. 181: titulus presbyteri cardinalis, habet VI clericos — Sign. 250, rel. 30.

Titolo antichissimo già ricordato nell'iscrizione di un collare da fuggitivo dell'epoca costantiniana CIL. XV 7192: tene me quia fugi et reboca me Victori acolito a(d) dominicu(m) Clementis, menzionata pure da San Girolamo de viris illustribus c. 15. Presbiteri del titulus Clementis si trovano fra i sottoscrittori dei sinodi romani del 499 e del 595 (sopra p124 n. 5 e p125 n. 3). Esiste tuttora sul posto originario.

Ugonio stazioni f. 122; Del Sodo Vallicell. f. 170 v., Vatic. p64; Panciroli 1 269 2 182; Lonigo Barb. f. 16, Vallicell. f. 24; Martinelli 90; Bruti vol. 4 (to. III) f. 230v.-244 (= lib. IIII c. XVIII), vol. 17 (to. XVI) f. 199‑208 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 146‑152 (lat.); Rondinini de S. Clemente eiusque basilica in urbe Roma (Roma 1706); Nibby 170; Forcella IV p499‑511, XIII p428‑432; Adinolfi I, 305‑317; Armellini 1 191 2 124; Marucchi 287; Angeli 96; Kehr IP. I p44; Calvi Bibliografia 60; Kirsch, Die römischen Titelkirchen p36 sg. • Titi 231‑233.

C20. S. CONSTANTIAE

Paris. 377 Taur. 22: non habet servitorem [et est infra ambitum monasterii S. Agnetis].

Il mausoleo di Constantina figlia di Costantino Magno e consorte del Cesare Gallo fu presto convertito in chiesa ed ebbe per titolare una santa Costanza, le cui leggende sono di origine abbastanza tarda. Già il  p239 biografo di Silvestro I (314‑335, LP. XXXIII c. 5) racconta: fecit et baptisterium Constantiae. L'edifizio esiste tuttora presso la basilica di S. Agnese sulla Via Nomentana.

Del Sodo Vallicell. f. 111 v., Vatic. p77; Panciroli 1 277 2 315; Lonigo Barb. f. 16, Vallicell. f. 24; Martinelli 92; Bruti vol. 8 (to. VII) f. 296 v.-301 (= l.º XI c. 14), vol. 18 (to. XVII) f. 486 v.-490 (ital.), vol. 13 (to. XII) f. 14‑17 (lat.); Nibby 190; Forcella XI p363‑369; Armellini 1 674 2 860; Marucchi 468; Angeli 108; Kehr IP. I p158; Calvi Bibliografia 62; Wilpert Mosaiken und Malereien I p272 sg.; Rivoira L'architettura romana, Milano 1921, p286 sg. • Titi 294.

C21. SS. COSMAE ET DAMIANI AD ASINUM FRICTUM

In un documento del Regestum Sublacense del 9 febbraio 938 (p63 n. 24) vengono descritti i confini del monastero di S. Erasmo sul Celio: a quarto latere domucella in qua est oratorio SS. Cosmae et Damiani. In un altro del medesimo regesto n. 114 (p161 del 15 febbraio 978) si menziona domus in qua est oratorium SS. martyrum Cosmae et Damiani posita Romae regione II iuxta formam Claudia.º È assai probabile che quest'oratorio sia annoverato fra le chiese urbane soggette alla badia di S. Erasmo col nome di SS. Cosmae et Damiani ubi dicitur asinum frictum (n. 183 p224, del sec. XII). Il cognome potrebbe aver conservato un nome di strada antica, forse, come quello dell'Ursus pileatus, preso dall'insegna di una taberna. Si noti però che il medesimo nome si trova anche nella Campagna romana; uno scopetum ad asinum frictum viene citato da un documento dell'Archivio di S. Maria in Campo Marzo (Galletti cod. Vat. 7929 f. 26) dal Tomassetti (Arch. soc. romana XIX, 1896, p131).

Lonigo Barb. f. 16 v., Vallicell. f. 24 v. (dal Regesto sublacense); Armellini 1 801 2 247.

II Eo

C22. SS. COSMAE (ET DAMIANI) AD S. MARIAM MAIOREM ovvero AD PRAESEPE

Cenc. 210 (S. C. sancte Marie Maioris): den. VI — Paris. 243 (S. C. ad S. Mariam Maiorem).

Oratorio antichissimo, fondato da papa Simmaco (498‑514; LP. LIII c. 9: ad S. Mariam oratorium SS. C. et D. a fundamentis construxit). Presso quell'oratorio probabilmente fu costruito un gerocomium che al tempo di Gregorio II (715‑731) fu convertito in monastero (Lib. XCI c. 3; sulle  p240 diverse redazioni cf. Duchesne p481). Questo monastero venne dotato con regali da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 77). Un documento del 998/99 nell'archivio di S. Prassede (fedele Arch. soc. romana XXVII, 1904, p40 n. 2) menziona un Petrus archipresbyter. . . . de monasterio Sanctorum. . . . Cosmae et Damiani quod appellatur Uspani, cognome di significato oscuro. Una bolla d'Innocenzo IV del 19. marzo 1244 parla della ecclesia SS. Cosmae et Damiani cum hortis et canapinis (Ferri Arch. soc. romana XXVIII, 1905 p34 n. XLV). Si ricava dal passo citato della biografia di Gregorio II che il nostro oratorio era situato post absidam s. Dei genetricis ad Praesepem: secondo il Grimaldi (presso Martinelli) sarebbe identico con S. Luca, che fu distrutta a tempo di Sisto V.

Lonigo Barb. f. 16 v., Vallicell. f. 24 v.; Martinelli 353; Lubin 336; Adinolfi II, 217; Armellini 1 200 2 236; Ferri Arch. soc. romana XXVII, 1905 p165; Duchesne Mélanges de l'École française XXVII, 1907, p480 sg.; Kehr IP. I p57.

I Ng

C23. SS. COSMAE ET AMIANI TRANS TIBERIM ovvero IN MICA AUREA

Cenc. lit. 11 (monasterium S. C. Transtyberim): sol. III — Paris. 240 (S. C. de Transtiberim) — Taur. 398: cum monasterio, habet moniales XXXVI et sunt ordinis Sce. Clarae, habent etiam fratres minores II. — Sign. rel. 53 (S. Cosmati).

Chiesa e convento, tuttora esistente nel Trastevere, fondato nel sec. X da un nobile romano Benedictus q. d. Campaninus (Fedele Arch. soc. romana XXI, 1898, p474). Viene mentovato, sotto il nome di SS. Cosmae et Damiani in mica aurea in parecchi documenti dei sec. X ed XI nel Regestum Sublacense (n. 39 p78 del 9. febbraio 973; n. 52 p91 del 1. febbraio 968) e nel Regestum Farfense (III p149 n. 437 del 2. dicembre 999; IV p216 n. 813 dell'aprile 1048; V p9 n. 1006 del 8 ottobre 1072; p16 n. 1013 del 10. dicembre 1073). Il cognome si trova leggermente corrotto nel catalogo delle abbazie di Pietro Mallio e Giovanni Diacono (sopra p128): intra urbem Ravennantium, scilicet Transtiberim, est abbatia scorum. Cosmae et Damiani in vico aureo. Così pure in un documento del luglio 1068 (Fedele Arch. soc. romana XXII, 1899 p390 n. 67) è detto S. Cosme et Damiani in Vichu auriu. La chiesa esiste tuttora sul posto antico.

Del Sodo Vallicell. f. 64 v., Vatic. p.º 70; Panciroli 1 287 2 579; Lonigo Barb. f. 17, Vallicell. f. 25; Martinelli 94, 353; Lubin 333; Bruti vol. 16 (to. XV)  p241 f. 21‑38 (ital.), vol. 11 (to. X) f. 19‑31 (lat.); Nibby 193; Forcella X p321‑324; P. Fedele Carte del monastero di SS. Cosma e Damiano in mica aurea, Arch. soc. romana XXI (1898) p459‑534, XXII (1899) p25‑107, 383‑447; Marucchi 456; Angeli 107; Kehr IP. I p129; Calvi Bibliografia p61. • Titi 50.

II Fi

C24. SS. COSMAE ET DAMIANI DE MONTE GRANATO

Cenc. 287 (S. C. Montis Granatorum): den. VI — Paris. 244 (de monte Granatorum) — Taur. 74 (de Monte Gravato): habet I sacerdotem — Sign. 105 (in Monte Granato).

Il sito di questa chiesuola, scomparsa dopo il sec. XV, si rileva approssimativamente dall'ordine topografico dei cataloghi: essa si trovava nei pressi di S. Trifone e di S. Salvatore delle Coppelle. Con questo concordano due bolle citate dallo Zaccagni p417 relative ad una compositio inter cardinalem S. Laurentii in Lucina et rectorem ecclesiae S. Apollinaris supra controversia de cappellis S. Mariae de Posterula, S. Blasii de Posterula et S. Cosmae de Monte Granatorum, la prima emanata da Innocenzo III (an. 8 ep. 159), la seconda da Onorio III (reg. a. 4 vel 5. ep. 162). Se il nome di una famiglia de Granatis, della quale lo Jacovacci (cod. Ottobon. 2250 f. 305) riporta una notizia dell'anno 1419, stia o no in relazione col nome del monte, non lo voglio decidere.

Lonigo Barb. f. 17, Vallicell. f. 24 v.; Armellini 1 197 2 444.

II Hk

C25. SS.º COSMAE

Cenc. 193: den. VI — Paris. 242 Taur. 141: habet I sacerdotem — Sign. 174.

Chiesuola il cui sito è segnato sulla pianta del Bufalini foglio GH, quasi dirimpetto a S. Giovanni della Pigna, ove la indicano pure il del Sodo e il Martinelli. È ricordata nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p56 n. 101), nel catalogo del 1492 (sopra p76 n. 204: S. C. et Damiani), nella Tassa di Pio IV (sopra p89 n. 56) e nel catalogo di S. Pio V (sopra p103 n. 218). Fu distrutta, come asserisce il Martinelli, al tempo di Gregorio XIII (1572‑1585).

Del Sodo Vallicell. f. 148 v., Vatic. p68 (S. Cosmo e Damiano alli Gabrielli ovvero in la piazza dei Porcari); Lonigo Barb. f. 16 v., Vallicell. f. 24 v.; Martinelli 353; Armellini 1 200 2 467.

II Gl

C26. SS. COSMAE ET DAMIANI IUXTA VIAM LATAM

La più antica menzione di questa chiesuola si trova nel Regestum Sublacense p37 n. 14 del 26 novembre 973, ove si parla dell'ecclesia. . . .  p242 Sancti Cosmae et Damiani. . . . posita infra hanc civitatem Romae sita iuxta via lata. Nel secolo undecimo fu oggetto di una lunga contesa fra i chierici di S. Marcello e l'abbate del monastero del S. Sepolcro di Acquapendente. I pontefici Leone IX, Vittore II, Stefano IX, Nicola II, ed Alessandro II fra il 1048 ed il 1073 emanarono varie sentenze, ma senza effetto (Kehr IP. I p75 sg. n. 10‑15); finalmente la causa fu decisa da Clemente III con bolla del 4 novembre 1084 (Monumenta Ordinis Servorum ed. Morini et Soulier II p191 n. 1; Kehr n. 16). In questa occasione viene descritta come ecclesiola SS. Cosmae et Damiani intra claustrum ecclesiae S. Marcelli sita. Dopo il sec. XII non viene più ricordata; non so donde il Lonigo, il quale ebbe conoscenza della bolla di Clemente III, abbia presa la notizia che i frati Serviti la demolirono per la fabbrica del loro chiostro.

Lonigo Barb. f. 17, Vallicell. f. 25; Armellini 1 201 2 256.

II Kn

C27. SS. COSMAE ET DAMIANI IN VIA SACRA ovvero IN SILICE ovvero IN TRIBUS FATIS

Cenc. 36 (S. Cosmato): den. XVIII — Paris. 241 (in silice) — Taur. 195 (senza cognome): diaconi cardinalis, habet VIII clericos — Signor. 274, rel. 28 (senza cognome).

Chiesa fondata da Felice IV (526‑530) nell'heroon del Divo Romolo sulla Sacra Via (Lib. Pont. LVI 3), più volte ricordato nel Liber Pontificalis col cognome classico, mentre il biografo di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 5) la chiama SS. Cosmae et Damiani in tribus Fatis (che. più sotto S. Hadriani). Esiste tuttora sul posto antico.

Ugonio stazioni f. 172 v.; Del Sodo Vallicell. f. 165, Vatic. p66; Panciroli 1 278 2 92; Lonigo Barb. f. 17, Vallicell. f. 25; Martinelli 93; Bruti vol. 3 (to. II) f. 529‑549 (= lib. III c. 42), vol. 18 (to. XVII) f. 245‑256 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 182‑192 (lat.); Poma la diaconale basilica SS. Cosma e Damiano nel Romano Foro, Roma 1727; Nibby 182; Forcella VI p59‑74, XII p427 sg.; Adinolfi I, 412; Armellini 1 195 2 152; Marucchi 355; Angeli 103; Kehr IP. I p68; Calvi Bibliografia 61 sg. • Titi 203‑204.

C28. SS. COSMAE ET DAMIANI IN XENODOCHIO TUCIO

Santuario menzionato soltanto nella biografia di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 81, cf. sopra p10 n. 116): oratorium Sanctorum Cosmae et Damiani qui ponitur in xenodochio qui appellatur Tucium. Il cognome si potrebbe mettere i relazione con la medievale Aqua Tucia o Tocia,  p243 sulla quale si veda la dotta dissertazione del Corvisieri (Buonarroti Ser. II vol. V 1870 p42 sg. 66 sg. 177 sg. 207 sg.).​a Per lo xenodochium iuxta palatium Lateranense si veda Kehr IP. I p34.

Lonigo Barb. f. 16 v., Vallicell. f. 24 v. (dal LP.).

I My

C29. S. CRUCIS IN HIERUSALEM

Cenc. 16: sol. II, id. lit. 18: sol. III — Paris. 370 Taur. 307: titulus presbyteri cardinalis, habet VIII clericos — Sign. rel. 10.

Basilica fondata da Costantino Magno nel Palatium Sessorianum (Lib. Pontif. XXIII,º vita Silvestri I, 314‑335, c. 22), ricordata più volte nel Liber Pontificalis, come pure negli Atti del sinodo romano del 501 (Cassiodor. ed. Mommsen p428: Hierusalem basilica Sessoriani palatii). Non di rado viene segnata col semplice nome di Hierusalem (LP. XCVII, vita Hadriani I, 772‑795 c. 75: basilica Hierusalem quae in Suxorio est; XCVIII, vita Leonis III, 795‑816, c. 72: ecclesia Hierusalem quae ponitur in Susurrio; nel catalogo dell'Einsidlense sopra p5 n. 25; nel Regestum Sublacense n. 92 p138, del 10. dicembre 929, e n. 97 p142 del 10. aprile 939: posita Rome regione tertia non longe de Hierusalem). Esiste tuttora sul posto antico.

Panvinius de praecipuis basilicis 199. 216; Ugonio stazioni f. 201; Del Sodo Vallicell. f. 49 v.-52 v., Vat. p57; Panciroli 1 295 2 149; Severano Sette Chiese 616; Lonigo Barb. f. 17 v.; Vallicell. f. 25 v.; Martinelli 94; Bruti vol. 7 (to. VI) f. 231‑265 (= lib. IX c. 7); Lubin 333; Besozzi Storia della Basilica di S. Croce in Gerusalemme, Romae 1750; Nibby 194 sg.; Forcella VIII 181‑202. 517 sg.; Adinolfi I, 271‑280; Armellini 1 203 2 795; Marucchi 345; Agnelli 113. 606; Kehr IP. I p35; Calvi Bibliografia p63; G. Biasotti e S. Pesarini, Studi Romani I, 265 ss. • Titi 223‑225.

II Hl

C30. S. CYRIACI DE CAMILIANO

Paris. 284 (S. C. monasterium) — Taur. 45 (ecclesia S. C. de C.): est monasterium, habet XL moniales — Sign. 207, rel. 78 (S. Quiriaci).

Le origini del monastero di S. Ciriaco rimontano al secolo decimo. Pare infondata la notizia che in origine si chiamasse S. Stephani; invece nella seconda metà del secolo X, dopo la traslazione di alcune reliquie di S. Nicola, fu appellato anche da questo. Già in un documento del 972 (Hartmann Tabularium p7 n. VI) viene detto monasterium sancti Christi martyris Cyriaci atque Nicolai confessoris, quod ponitur in Via Lata. Anche S. Nicola ebbe la sua chiesa propria dentro il convento (v. sotto S. Nicolai de Pinea). Il convento fu ricco ed importante nei secoli dopo  p244 il Mille, come attestano le numerose carte dell'archivio. Essendo decaduto nel secolo XV, fu soppresso da Eugenio IV con bolla del 19 marzo 1435 (Martinelli Primo Trofeo p154 sg.). Secondo il Lonigo, "la chiesa si vedeva ancora ma profanata vicino al cortile del palazzo dei principi Aldobrandini". Il Martinelli (Primo Trofeo p81) riferisce: "il Cemeterio (del monastero) s'è scoperto alcuni mesi sono. . . . mentre il Sig. principe Pamfilio spianava il giardino per fabricare la stalla nel Palazzo della Signora D. Olimpia Aldobrandini Prencipessa di Rossano sua consorte, per levarla dalla vicinanza dell'Oratorio di S. Paolo e della chiesa di S. Maria in Via Lata" (passo ripetuto quasi testualmente dall'Armellini "da un documento dell'Archivio Vaticano"). Questa "stalla" è situata nell'ala occidentale del Palazzo Doria verso la Piazza del Collegio Romano (v. la pianta presso Letarouilly Édifices de Rome I tav. 58). Anche il Bruti (p814) asserisce che "fino ai giorni nostri si sono conservate le vestigia del campanile nel cortile del palazzo annesso di D. Olimpia Aldobrandini-Pamphili". Il sito della chiesa e del monastero è indicato in una pianta fatta nel 1661, conservata nell'archivio di S. Maria in Via Lata e riprodotta dal Cavazzi (a p246). Il monastero, come si nota nelle carte dell'archivio (Cavazzi l.c.) non era situato nell'antica Via Lata, "ma nel venire da quella verso il campo di Camilliano", ed aveva l'ingresso da quella via (la moderna Via Lata); la chiesa di S. Ciriaco, "era posta fra la chiesa di S. Maria e lo stesso monastero" ed aveva pure l'ingresso dalla (moderna) Via Lata. Il sito corrisponde alla parte orientale della Piazza del Collegio Romano. Sulla Piazza di Camigliano, o Campigliano, che corrisponde all'attuale Piazza del Collegio Romano si trovano alcune notizia presso Adinolfi II, 298‑300; al suo lato occidentale, dirimpetto al monastero di S. Ciriaco, stava un arco antico, probabilmente del recinto dell'Iseo Campense, chiamato Arco di Camigliano: una falsa erudizione del sec. XVI ne ha fatto un Arcus Camilli. V. Lanciani Notizie degli scavi 1882 p349 sg., Storia degli scavi IV p29, Huelsen Römische Mitteilungen 1903 p54 sg., Topogr. I, 3 p370. Dall'Arco di Camigliano si deve distinguere l'arcus Diburi, situato nella vicinanza immediata del monastero presso la Via Lata, il cui nome forse ricorda l'antico Diribitorium.​b Cf. Huelsen Bullett. archeol. comunale 1893 p139 sg. L'Armellini asserisce che "il monastero dei SS. Ciriaco e Niccolò fu appellato anche ad gratam ferream": equivoco curioso nato dall'interpretazione erronea di un documento del 1379 presso Martinelli p81: Coadunata etc. abbatissa et moniales SS. Cyriaci et Nicolai de Urbe  p245 ad gratam ferream superiorem dicti monasterii in palatio solitae residentia dictae d. abbatissae constituerent procuratorem etc.

Lonigo Barb. f. 15 v., Vallicell. f. 23; Martinelli Primo Trofeo della S.ma Croce eretta in Roma nella Via Lata da S. Pietro apostolo (Roma 1655), Roma ex ethn. sacra 354; Bruti vol. 13 (to. XII) f. 212 sg. (ital.), vol. 19 (to. XVIII) f. 808 sg. (lat.); Adinolfi II 298 sg.; Armellini 1 188 2 476; L. M. Hartmann Ecclesiae Sanctae Mariae in Via Lata Tabularium (Vindobonae 1895); Kehr IP. I p78; Cavazzi la diaconia di S. Maria in Via Lata e il monastero di S. Ciriaco (Roma 1908); Calvi Bibliografia p99 sg.

I Dq

C31. S. CYRIACI IN THERMIS

Cenc. 25 (senza cognome): sol. II, id. lit. 34 (monasterium S. Ciriaci): sol. II — Paris. 285 (de Thermis) — Taur. 19: titulus presbiteri cardinalis, habet fratres III ordinis Cartusien. — Sign. 153.

Di questo titolo antichissimo si trovano presbiteri già fra i sottoscrittori dei sinodi romani del 499 e del 595 (sopra p124 n. 16 e p125 n. 23): sono numerose pure le menzioni nel Liber Pontificalis. Alla bolla di Paolo I del 4. luglio 761 (Federici Arch. soc. romana XXII, 1899, p262; Kehr IP. I p82 n. 2) sottoscrive un Saxolus presbyter S. R. E. tit. S. Cyriaci. Il monaco Benedetto del Monte Soratte, nella sua cronaca all'anno 921 (Mon. Germ. Script. III p715) fa menzione della ecclesia Sancti Cyriaci martyris iuxta portam Salariam. Un domnus Bonizzo . . . . rector et dispensator venerabilis monasterii Sancte Quiriace (sic) qui ponitur intro thermas Dioclitiano si trova in un documento del 24. maggio 1010 nell'archivio di S. Prassede (Fedele Arch. soc. romana XXVII, 1905, p43 n. 3). Una bolla, forse di Benedetto IX (1033‑1048), per S. Agnese e Costanza in Via Nomentana, attribuisce a questa chiesa, fra altri beni, ecclesiam sancti Ciriaci cum domibus ortis et puteo aquae vivae sita Romae in thermas Diocletianas (Kehr Göttinger Nachrichten 1900 p140 n. 2, IP. I p159 n. 1). Un documento nell'archivio di S. Maria Maggiore, del 10 luglio 1309 (Ferri Arch. soc. romana XXX, 1907, p144 n. 103) ricorda due pezzi di vigna dentro la città "ad termas Diocletianas iuxta medium modiolum positum ante portam ecclesiae S. Ciriaci", indicazione che ha qualche valore per l'ubicazione dell'edificio. Le ultime vicende della chiesa non sono ben chiare. Viene registrata nel catalogo del 1492 (sopra p71 n. 69), ma in fine del rione Monti ed insieme con altre chiese abbandonate, come S. Caesarii in Palatio. Il Panvinio (presso Martinelli 354, cf. de septem ecclesiis p29) asserisce: titulus cum prae vetustate corruisset, eo templo solo aequato titulus a Sixto IV ad ecclesiam SS. Quirici et Iulittae translatus est. Da ciò il nome dato alla chiesa nel catalogo del 1555 (sopra p82 n. 65): Cyriaci in Thermis, alias Quirici et Iulitae regione Montium prope palatium Ne(rve (cf. Cristofori Storia dei cardinali p144 sg.; erra l'Armellini sostenendo che "nella serie dei cardinali titolari della prima metà del secolo XVI troviamo nominati i due titoli").

Le rovine però della chiesa rimasero visibili sino al principio del sec. XVII: scrive ancora il Lonigo che "giace hoa quasi distrutta dentro la vigna dei Padri di S. Maria degli Angeli". Il Martinelli dice (p354): vestigia cernuntur in vinea monachorum Carthusianorum ea parte qua transactis horreis Urbani octavi (all'angolo delle moderne vie Venti Settembre e Patrengo) proceditur per Viam Piam ad urbis Portam. Il sito è indicato esattamente sulla bella pianta delle Terme Diocleziane attribuita ad Antonio da Sangallo il vecchio (Uffizj 1546; v. Geymüller Documents inédits sur le Panthéon etc., 1886 foglio. 10): stava fra l'angolo Nord dell'edifizio centrale e la grande esedra semicircolare del recinto esterno; quest'ultima è il "medius modiolus" ("mezzo moggio"; si ricordi il nome volgare di "capocce" dato alle rovine delle Terme di Traiano, Jordan Topogr. II 425; Mirabilia c. 27) menzionato nel documento sopra citato del 1309. Appunto in questo sito, che corrisponde alla fronte del padiglione sud-ovest del Ministero delle Finanze verso la Via Pastrengo, sono state ritrovate nell'1873‑74 le fondazioni dell'antichissimo santuario (Canevari Atti della R. Accademia dei Lincei Ser. II vol. 2 tav. 4; Lanciani FUR. f. 10). L'abside della chiesa è ben visibile tanto sul disegno di Martino van Heemskerck cod. Berolin. II f. 83 quanto sulla grande pianta prospettica del Dupérac (1575). Il Bufalini sul foglio RS segna il sito fuori del recinto delle Terme, e perciò il Lanciani FUR. f. 10 ascrive il nome alla pianta di una piccola sala antica situata sotto il padiglione nord-ovest del Ministero delle Finanze verso Via Venti Settembre (presso quell'altra decorata con pavimento di mosaico: Canevari l.c. tav. 6 e p21). Ma l'indicazione del Bufalini viene rifiutata dalle testimonianze surriferite.º

Lonigo Barb. f. 16 v., Vallicell. f. 23 v.; Martinelli 354, 449; Lubin 334; Adinolfi II, 264 sg.; Armellini 1 189 2 819 Kehr IP. I p60; Calvi Bibliografia 59; Kirsch, Die römischen Titelkirchen 76 sg.

C32. S. CYRI ET IOHANNIS extra portam Portuensem

Taur. 357: non habet servitorem — Sign. 359 (Sirii et Iohannis).

Chiesetta rurale tuttora esistente sul primo miglio della Via Portuense, nel luogo detto Pozzo Pantaleo quasi dirimpetto alla basilica di  p247 S. Paolo. Fu costruita, secondo la tradizione, in quel punto ove le salme dei sue santi alessandrini vennero sbarcate per essere trasferite nella città (v. sopra p161 S. Abbacyri Transtiberim). Dal secolo XI in poi appartenne al monastero di S. Ciriaco in Via Lata, nel cui archivio si trovano molti documenti relativi alla medesima. In quelli dei sec. XI-XIII suole essere chiamata S. Abbacyri (Hartmann Tabularium S. Mariae in Via Lata II p8 n. 82 del 1059, p55 n. 144 del 1115; Cavazzi p281 del 1158. 1206, dal Liber Transumptionum di S. Maria in V. L.) ovvero SS. Cyri et Iohannis (Cavazzi l.c. del 1265. 1272. 1274. 1289). Nel secolo XIV al nome di Abbaciro si sostituì, come per la chiesa sul Quirinale (cf. sopra p160) il nome corrotto di S. Pacera ovvero Passera: già in un documento del 1317 (Cavazzi p281 sg.) si parla di una pezza di terra posita extra portam Portuensem in loco qui dicitur S. Pacera in proprietate dicti monasterii et prope dictam ecclesiam SS. Ciri et Iohannis, ed in un altro del 1321 (Cavazzi p282) quoddam casale ipsius monasterii quod vocatur SS. Ciri et Iohannis, quod casale positum est in loco qui dicitur vulgariter S. Pacera. "Dall'anno 1376 fino al 1427 la chiesa viene sempre appellata (nel Liber Trans. dalla p366 alla 393) S. PaceraPassera" (Cavazzi p282). Nel sec. XIV si costruì, sopra l'antica una nuova chiesa; negli affreschi dell'abside, oltre ai due santi titolari Ciro e Giovanni, si veggono effigiate le due sante vergini Pudenziana e Prassede: quest'ultima è rappresentata pure in un affresco del sec. XIV nella chiesa sotterranea (Cavazzi p304). Sembra che il nome inaudito di S. Passera abbia dato occasione ad introdurvi il culto di S. Prassede, il cui natale, ai 21 di luglio, da parecchi secoli sino ai giorni nostri viene celebrato. Le memoria della chiesuola spesso vengono confuse con quelle delle chiese urbane di S. Abbaciro: v. sopra p159‑163.

Panciroli 1 705 2 571 (S. Prassede): Lonigo Barb. f. 47 v., Vallicell. f. 69 v. (S. Prassede); Martinelli Primo Trofeo 111 sg., Roma 287 (S. Praxedis) 355; Armellini 1 760 2 945;º Tomassetti Arch. soc. romana XXII, 189, p469 sg.; Angeli 459; Cavazzi S. Maria in Via Lata (1908) p278‑307; Calvi Bibliografia 108; P. Sinthem Römische Quartalschrift 1908 p211 sg.

— SS. CYRI ET IOHANNIS DE URBE v. S. Abbacyri de Militiis.


Note di Thayer:

a Vedi anche Platner s.v. Aqua Marcia con rinvio a Duchesne, LP.

b Per un altro parere, vedi Platner s.v. Templum Divorum.


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