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p307 II Gk
M1. S. MAGUTI
Cenc. 155; den. XII, id. lit. 54 (cappella S. Macuto): den. XII — Paris. 342 — Taur. 48: habet sacerdotem et clericum — Sign. 125 (S. Magoti).
Chiesuola tuttora esistente presso la piazza di S. Ignazio. Innocenzo IV, con bolla del 5. marzo 1254 (III p. 379 n. 7323 ed. Berger), incaricò il vescovo di Civita Castellana di riformarla; Nicola II con bolla del 7. maggio 1279 (I p. 194 n. 508 ed. Gay) confermò la chiesa ai frati predicatori, mentre prima era stata soggetta a S. Marcello. Anche la bolla d'Innocenzo IV del 19. febbraio 1250 (II p. 258 n. 5406), indirizzata, secondo l'edizione del Berger, Paulo clerico ecclesiae S. Mauri de urbe, in realtà sembra riferirsi a questa chiesa. È ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 54 n. 42, p. 60 n. 33, p. 64 n. 49: S. Mauto), nel catalogo del 1492 (p. 71 n. 81: S. Macuti), nella Tassa di Pio IV (p. 92 n. 164) nonchè nei cataloghi di S. Pio V (p. 106 n. 317) e dell'Anonimo Spagnuolo (p. 108 n. 69: S. Mauto). Dal 1538 al 1729 fu della confraternita dei Bergamaschi, che la consecrarono pure ai loro santi protettori Bartolomeo ed Alessandro: nel 1729 la confraternita si trasferì nella chiesa recentemente edificata in onore di questi santi sulla Piazza Colonna, ed il vecchio nome di S. Mauto ritornò in uso.
Del Sodo Vallicell. f. 155, Vatic. p. 236; Panciroli 1 266 2 413 (SS. Macuto, Bartolommeo ed Alessandro); Lonigo Barb. f. 32, Vallicell. f. 46v. (S. M., B. ed A.); Martinelli 168; Bruti vol. 10 (to. IX) f. 168‑178 (pars II lib. I c. 21): S. Maclovii, nunc SS. Bartholomaei et Alexandri); Nibby 316; Forcella VI p. 507‑523; Armellini 1 322 2 317; Angeli 245. • Titi 183.
M2. S. MANDATI
Cenc. 142 (Mannato): den. VI — Taur. 320 (hospitale S. Mandati extra portam): habet II servitores.
Santuario che si deve cercare sulla via Ostiense, poco fuori della Porta S. Paolo; sparito dopo il sec. XIV senza che si possa precisare il sito. Il nome del santo titolare fu corretto, probabilmente a ragione, dallo Stevenson (presso Armellini l.c.) in S. Mandali. Un sanctus Madales o Mandalus viene ricordato, fra i compagni di S. Basilide e S. Tripodio martirizzati sulla via Aurelia presso Roma (AA. SS. Iunii tom. VII p. 570): sue reliquie furono conservate in S. Maria Traspontina (Panciroli 2 504), mentre il nome S. Mandatus è inaudito. Ciò nonostante, nel p308 codice di Torino tanto il Promis quanto il Falco ed io abbiamo constatata la lezione S. Mandati.
Lonigo Barb. f. 40, Vallicell. f. 59 (dal Cencio); Armellini 1 743 2 928 (S. Mandali), 1 450 2 386 (S. Mamiato).
M3. S. MARCELLI
Cenc. 5: sol. II — Paris. 336 — Taur. 71: titulus presbyteri cardinalis, habet VIII clericos — Sign. 169, rel. 76.
Titolo antichissimo, la cui fondazione viene attribuita al papa Marcello I (308‑309: LP. XXXI c. 4). È ricordato già nella lettera del prefetto Simmaco del 418 de electione Bonifatii (Collectio Avellana ed. Guenther p. 60); preti del titolo sottoscrivono ai sinodi romani del 499 e 595 (sopra p. 125). Spesso menzionata nel Liber Pontificalis e nei cataloghi, la chiesa esiste tuttora sul posto antico, ma con orientamento diversa: l'antica basilica aveva l'abside verso la Via Flaminia, là dove oggi si trova l'ingresso.
Del Sodo Vallicell. f. 83 v.-85, Vatic. p. 231; Ugonio stazioni f. 279 sg.; Panciroli 1 439 2 360; Lonigo Barb. f. 32 v., Vallicell. f. 47; Martinelli 168; Bruti vol. 19 (to. XVIII) f. 834‑843 (ital.), vol. 13 (to. XII) f. 229 v.-247 (lat.), vol. 9 (to. VIII) f. 172‑218 (= l. XII c. III); Nibby 316; Forcella II p. 229‑230. 535‑538. XII p. 497. 498; Adinolfi II, 277 sg.; Armellini 1 324 2 254; Marucchi 394; Angeli 245; Kehr IP. I p. 73; Calvi Bibliografia 80 sg.; G. Albarelli Nuovo bull. cristiano XV, 1909, p. 139 sg. XIX, 1913, p. 109‑129; Kirsch, die römischen Titelkirchen p. 77‑80. • Titi 321‑324.
M4. S. MARCI
Cenc. 7: sol. II — Paris. 337 — Taur. 148: titulus presbyteri cardinalis, habet X clericos — Sign. 172, rel. 85.
La fondazione di questo titolo viene attribuita al pontefice Marco ed all'anno 336; cf. LP. XXV c. 3: hic fecit basilicam iuxta Pallacinas. Un lector de Pallacine è ricordato in un'epigrafe del 348 incirca (De Rossi IChr. I p. 62 n. 97). Preti del titolo sottoscrivono ai sinodi romani del 499 e del 595 (sopra p. 125). Fu restaurata da Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 49) e da Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 8: a fundamentis restauravit); Leone III, nell'806, l'arricchì di doni (795‑817; LP. XCVIII c. 44, cf. sopra p. 8 n. 45: titulus beati Marci martyris atque pontificis, qui appellatur in Via Lata). Racchiusa, circa il 1477, da papa pao2 entro il circuito del Palazzo Venezia, esiste tuttora sull'antico posto.
Del Sodo Vallicell. f. 94, Vatic. p. 230; Ugonio stazioni 155 v.; Panciroli 1 443 2 834; Lonigo Barb. f. 33, Vallicell. f. 48 v.; Martinelli 170; Bruti vol. 19 p309 (to. XVIII) f. 770‑808 (ital.), vol. 13 (to. XII) f. 199 v.-212 (lat.), vol. 22 (to. XXI), f. 160‑168 (= pars IV lib. I c. 18); Nibby 321; Forcella IV p. 341‑376, XIII p. 426; Armellini 1 327 2 459; Marucchi 384; Angeli 247; Kehr IP. I p. 100; Calvi Bibliografia 81; Dengel Palast und Basilika San Marco, Roma 1913; Tulli, Nuovo bull. cristiano XX, 1914, -20; Kirsch, die römischen Titelkirchen p. 87‑90. • Titi 179‑182.
M5. S. MARCI DE TAURELLO
Cenc. 305: den. VI, est sine clericis.
Chiesa d'altronde sconosciuta; sul cognome v. sopra p. 297 n. 33 s. v. S. Laurentii ad Taurellum.
Lonigo Barb. f. 33, Vallicell. f. 48 (dal Cencio); Armellini 1 329 2 170.
M6. S. MARGARITAE
Taur. 335 (Margarete): habet I sacerdotem — Sign. 15 (Margerite).
Dall'ordine topografico dei cataloghi si rileva che questa chiesuola doveva trovarsi non lungi da S. Lorenzo in Damaso: ma nulla si sa sul sito preciso e sulle sue vicende.
M7. S. MARIAE ANNUNTIATAE EXTRA URBEM
Santuario situato sul terzo miglio della Via Ardeatina, volgarmente chiamato la Nunziatella. Esisteva già nel principio del sec. XIII, come prova un'iscrizione di Onorio III del 12. agosto 1220 esistente nella chiesa, e fu annoverata fra le nove chiese di Roma. Dal sec. XVII in poi appartenne alla Confraternita del Gonfalone.
Del Sodo Vallicell. f. 28 v., Vatic. p. 21; Panciroli 1 469 2 660; Lonigo Barb. f. 36 v., Vallicell. f. 53; Severano Sette Chiese 418; Martinelli 183; Ruggeri L'Arciconfraternita del Gonfalone 92‑100; Armellini 1 729 2 913; Tomassetti Campagna Romana II (1910) p. 417.
— S. MARIAE quae appellatur AMBROSII v. S. Mariae de Maxima.
M8. S. MARIAE ANTIQUAE
Chiesa antichissima, costruita prima del sec. VI nelle rovine della bibliotheca templi Divi Augusti, ingrandita e decorata sotto Martino I (649‑653), Giovanni VII (75‑708: LP. LXXXVIII c. 2), Zaccaria (741‑752), Paolo I (757‑767) ed Adriano I (772‑793), arricchita di doni da Gregorio p310 III (731‑741; LP. XCII c. 10) e da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 52. 70. 83). Papa Leone IV (845‑847) decise di abbandonare la chiesa minacciata dai ruderi fatiscenti dei soprastanti palazzi imperiali; in sua vece fu dedicata, non lungi da essa, la basilica di S. Maria Nova (s. sotto n. 68). Sopra i ruderi di S. Maria Antiqua, sepolti dalle mura crollanti della domus Tiberiana, sorse, in un livello assai più alto, nel secolo XIII la chiesuola diº S. Maria de Inferno (vedi sotto n. 50). Gli avanzi di S. Maria Antiqua, dopo essere stati scoperti in parte e per poco tempo nel 1702, sono stati messi alla luce dai grandi scavi del 1900 e 1901.
Martinelli 230; Armellini 1 431 2 149;º Lanciani Memorie dei Lincei I, 497‑499; Grisar S. Maria Antiqua differente da S. Maria Nova (Roma 1895); Rushforth Papers of the British School at Rome I (1902) p. 1‑123; Angeli 260 sg.; Huelsen Foro Romano (1905) 141‑157; de Grueneisen Sainte Marie Antique (Rome 1911); Calvi Bibliografia 32 sg.; Marucchiº 247; Wilpert Mosaiken und Malereien I. II passim.
M9. S. MARIAE DE AQUARICARIIS
Cenc. 251 (de aquarichariis): den. VI.
Questa chiesa, sconosciuta a tutti gli altri cataloghi, si dovrebbe cercare, secondo il cognome, nelle vicinanze di Piazza Navona, verso la Pace; è assai probabilmente la medesima, che nei cataloghi di Torino e del Signorili si chiama S. Andreae de aquaricariis (sopra p. 176 n. 82).
Lonigo Barb. f. 34, Vallicell. f. 49 v. (dal Cencio); Armellini 1 352 2 369.
M10. S. MARIAE IN AQUIRO
Cenc. 47: den. XVIII — Paris. 46 — Taur. 51: diaconi cardinalis, habet V clericos — Sign. 124, rel. 68.
Chiesa antichissima, tuttora esistente nel Campo Marzio non lungi dal Pantheon. La forma originaria del nome è S. Maria a Cyro ovvero in Cyro: v. LP. XCII, Gregorio II (731‑742) c. 12: basilicam S. Dei genetricis quae appellatur a Cyro, in qua antea diaconia et parvum oratorium fuit, a fundamentis longiorem et latiorem fecit; XCVII, Leone III (795‑816) c. 45. 70: in diaconia sanctae Mariae in Cyro fecit coronam ex argento; CIII, Gregorio IV (827‑844) c. 17: in diaconia quae vocatur Cyro. . . . obtulit vestem de fundato; CV, Leone IV (847‑858) c. 62: fecit. . . . in venerabile diaconia sanctae Mariae virginis quae vocatur Cyro, regnum. . . . ex argento. p311 Un documento del 964 nel Regestum Sublacenseº (p. 112 n. 69) ricorda un mansionaribus beate dei genitri[ci]s virginis Marie qua ponitur in Cyra (sic). Il nome sarà derivato da qualche nobile e pietoso romano; parecchi personaggi del basso impero chiamati appunto così (fra cui il più noto è il console del 441 d. C.) si trovano raccolte nell'Onomasticon del De Vit. s. v. Dopo il Mille, il cognome diventa Aquiro: questa forma si trova già nell'ordine di Benedetto canonico del 1143 (Jordan Topogr. II p. 665) e nei cataloghi sopra citati. Una falsa erudizione dell sec. XV ha sostituito a questa forma l'altra in Equiro: su quest'ultima si basano, dal sec. XVI in poi, le numerose congetture che mettono la chiesa in relazione con gli Equirria oppure con il Campus Equiriorum dell'antica Roma, e che sono tutte senza valore (cf. Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 476 n. 31). Nel Liber Anniversariorum di S. Maria in Portico (sopra p. 58 n. 21) è detta S. Maria in Naciro, in quello del Gonfalone (p. 60 n. 32) S. Mariae nacuiri, nel catalogo del 1492 (p. 73 n. 115) S. Mariae nazzura.
Del Sodo Vallicell. f. 154, Vatic. p. 190; Panciroli 1 497 2 415; Lonigo Barb. f. 36 v., Vallicell. f. 53 v.; Martinelli 215; Nibby 338; Imperi Della chiesa di S. Maria in Aquiro (Roma 1866); Adinolfi II, 388; Forcella II p. 429‑479; Armellini 1 2 315; Angeli 264 sg.; Kehr IP. I p. 85; Calvi Bibliografia 84. • Titi 359‑360 (S. Maria degli Orfanelli).
— S. MARIAE DE ARA CELI v. S. Mariae in Capitolio.
M11. S. MARIAE DE ARCHA NOE
Cenc. 105: den. VI — Paris. 71.
Col nome di Arca Noe vengono designati nei secoli XII-XVI i ruderi del Foro di Nerva e specialmente l'avanzo del muro di cinta oggi conosciuto sotto il nome delle Colonnacce (Adinolfi II p. 58; Jordan Topogr. II, 469; Lanciani Bull. comun. 1901 p. 30‑42). Probabilmente la chiesuola tuttora esistente sotto il nome di S. Maria degli Angeli in macello (martyrum) è identica con quella registrata da Cencio e nel Parigino.
Lonigo Barb. f. 33 v., Vallicell. f. 49 v. (dal Cencio); Armellini 1 2 171; Duchesne Mélanges de l'École franç. XXV, 1905, p. 153.
M12. S. MARIAE DE ARCIONIBUS
Nella bolla di Giovanni XII del 8. marzo 962 (Federici Arch. soc. romana XXII, 1899, p. 269; sopra p. 137) è ricordata, fra altre chiese p312 soggette a S. Silvestro in Capite, quella di S. Maria que ubi dicitur Arciones. Secondo il cognome, si deve cercare fra S. Silvestro e l'angolo nordovest del Quirinale, vicina alle chiese di S. Lorenzo e di S. Nicola de Arcionibus. Forse è identica con S. Maria in Sinodochio (sotto n. 86).
M13. S. MARIAE DE ARCU AUREO
Cenc. 85 (arcu auri): den. VI — Paris. 83 — Taur. 198: habet I sacerdotem — Sign. 277.
La regione detta Aura nel medio evo si stendeva sotto la pendice del Monte Oppio, dietro la Basilica di Costantino, sino al lato orientale del Foro di Nerva: si vedano i documenti citati più sotto per S. Maria de Cambiatoribus (31620), nonchè un altro conservato nell'Archivio di S. Maria Nova del 4. novembre 1055 (Fedele Arch. soc. romana XXIII, 1900, n. 16 p. 213): posita in Aura regione iuxta templum Romuli. L'arcus Aurae ovvero arcus aureus è quell'arco d'ingresso al Foro di Nerva, che esistette fino alla metà del secolo XVII nel muro di cinta orientale, accanto al tempio di Minerva (mentre arcus Nerviae fu chiamato quell'altro nel muro opposto occidentale, visibile ancora sulla grande prospettiva del Dupérac del 1577, ma distrutto non molto dopo). V. Jordan Topogr. II p. 474; Duchesne, Römische Mitteilungen 1907 p. 427‑433. Da quell'arco traggono il cognome due chiese, S. Andrea, che probabilmente è identica con S. Andrea in Portogallo, e la nostra di S. Maria. Ambedue, nei cataloghi di Torino e del Signorili, sono registrate fra S. Lorenzo in Miranda e S. Giovanni in Campo da una parte, S. Biagio dell'Ascesa e S. Pantaleo dall'altra: si dovranno quindi cercare fuori del recinto del Foro di Nerva. La nostra potrebbe essere quella segnata nella Tassa di Pio IV (sopra p. 91 n. 112) dopo S. Maria in Portogallo, sotto il nome S. Maria in arco nel rione delli Monti, come pur nel catalogo di S. Pio V (p. 97 n. 42): S. Maria della scala nel palazzo di Messer Eurialo. Ruinata. Intorno ad Eurialo Silvestri e alla sua collezione di antichità, raccolta nel palazzo e giardino dietro l'abside della Basilica di Costantino, che passò poi in proprietà del cardinale Alessandro dei Medici, ed ora è occupato dal Conservatorio delle Mendicanti un Via del Colosseo, si veda Lanciani Storia degli scavi II p. 210 sg.; FUR f. 29.
Lonigo Barb. f. 33 v., Vallicell. f. 49 v. (dal Cencio); Martinelli 369; Armellini 1 2 170; Duchesne Mélanges de l'École française XXV, 1905, p. 149.
M14. S. MARIAE DE ARMENIS
Sign. rel. 57: S. M. de A. ultra pontem.
Nel catalogo del Signorili questa chiesuola viene registrata fra S. Maria Traspontina e S. Caterina (delle Cavallerotte). Un documento nell'Archivio di S. Pietro, del 13. aprile 1325 (Bullarium Vaticanum II p. 34 not.), è datum Romae apud ecclesiam S. Maria de Harmenis. Gli stabilimenti degli Armeni (S. Gregorio, S. Giacomo ecc.; v. sopra p. 256 n. 6, p. 264 n. 3) stavano, come ha dimonstrato l'Em̃o Ehrle, in un'isola stradale situata presso l'angolo SE della scalinata della vecchia basilica, incirca là dove recentemente fu costruito il Museo della R. Fabbrica; ma nulla si può stabilire sul sito preciso della chiesa di S. Maria.
Martinelli 369; Armellini 1 248 2 768; Ehrle Dissert. dell'Accad. Pontificia Ser. II vol. XI (1907) p. 32 sg.
M15. S. MARIAE DE ASTARIIS
Cenc. 243 (Astariorum): den. VI — Paris. 106 (de Astariis) — Taur. 145 (de Astara): habet I sacerdotem — Sign. 179 (de scinda).
Il cognome di questa chiesa deriva dalla famiglia degli Astalli, che ne aveva il patronato (Zaccagni 422 dal cosidetto Caffarelli de familiis Romanis cod. Vat. 6311 f. 111: S. Marie de Astiliis dominor. de Astallis). Secondo il Panciroli, nel frontispizio dell'altare maggiore si leggevano questi due versi leonini:
Un presbiter Christianus ecclesiae S. Mariae de Astariis sottoscrive, il 9. maggio 1337, al testamento di Giovanni de Rubeis detto Capoceppo (Archivio di Stato in Roma, not. de Pacificis; Marchetti-Longhi p. 707). Il cognome della chiesa venne poi alterato in diverse maniere: nell'Inventario dei beni di S. Giovanni avanti Porta Latina, compilato da Nicola Frangipani al tempo di Bonifazio VIII (Crescimbeni Storia di S. Gio. p. 212), è ricordato un Iacobus presbyter de Campitello iuxta ecclesiam S. Mariae de Stara. Più usuale diventò la forma S. Maria de strata o della strada: già in un documento del 27. marzo 1288, nell'archivio di S. Maria Maggiore (Ferri Arch. soc. romana XXX, 1907, p. 133 n. 78), comparisce un Anibaldus presbiter ecclesiae S. Mariae de Strata. Il cognome, p314 sia nella forma latina sia in quella italiana, si trova poi nel Liber Anniversariorum (sopra p. 56 n. 109, p. 66 n. 106), nel catalogo del 1492 (p. 76 n. 108) e nella Tassa di Pio IV (p. 92 n. 153). Anche la forma ovvia presso il Signorili de scinda non è altro che una corruttela invece di strada. Paolo III con bolla del 5. aprile 1549 ordinò che la chiesa fosse soppressa ed in sua vece eretto un altare con una cappellania nella vicina basilica di S. Marco: tre anni dopo, il cardinale Francesco Pisani, titolare di S. Marco, rinnovò quell'ordine (v. la lettera pubblicata presso Dengel, Palast und Basilika S. Marco, Roma 1913 p. 84 n. 95). Ciò non ostante trascorse parecchio tempo prima che il decreto fosse messo in esecuzione. Il Bufalini segna il luogo della chiesa sul foglio GH apponendovi il nome S. Mariae Alteriorum. Nel 1561, la cappella fondata nel 1483º dalla famiglia de Grassis fu trasferita nella basilica di S. Marco (v. l'iscrizione presso Galletti, Inscr. Romanae II p. 417 n. 8; Armellini 2 466). Sotto S. Pio V, l'edifizio apparteneva ai Gesuiti (v. sopra p. 102 n. 213), e fu abbattuto per la splendida fabbrica della loro chiesa. Il Dupérac sulla sua grande prospettiva (1577) segna già il Templum societatis Jesu.
Panciroli 1 329 2 841; Lonigo Barb. f. 34, Vallicell. f. 49 v. (dal Cencio); Martinelli 118. 369. 375; Armellini 1 422 2 465; Tacchi-Venturi Studj e documenti di storia e diritto XXI, 1899, p. 314; Marchetti-Longhi Memorie dei Lincei Ser. V vol. 16 p. 704 sg. 711.
M16. S. MARIAE DE AVENTINO
Paris. 43 (de monte Aventini — Taur. 263: non habet servitorem — Sign. 335.
Circa l'anno 939, Alberico principe dei Romani trasformò il suo palazzo, sull'estremità meridionale dell'Aventino, in un monastero di monaci benedettini (Constructio Farfensis mon. p. 536), monastero che fiorì specialmente nei sec. X e XI, e fu fra le venti abbazie della città (sopra p. 128). Il monastero scomparve nel sec. XV; la chiesa di S. Maria, restaurata e trasformata più volte, esiste ancora sotto il nome di S. Maria del Priorato, perchè già appartenente all'ordine dei Cavalieri di Malta.
Del Sodo Vallicell. f. 130 v., Vatic. p. 224; Panciroli 1 477 2 647; Lonigo Barb. f. 36 v., Vallicell. f. 53; Severano Sette Chiese 374; Martinelli 186; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 108‑114 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 82‑86 (lat.); Lubin 338; Nibby 473; Forcella VII p. 255‑264; Armellini 1 375 2 587; Angeli p315 382 sg.; Kehr IP. I p. 116; Calvi Bibliografia 84; G. Tomassetti Bull. arch. comunale 1905 p. 339‑336.º • Titi 65.
— S. MARIAE DE AUGUSTA v. S. Marinae de Posterula.
M17. S. MARIAE A DOMO IOHANNIS BOVIS ovvero BOBONIS
Cenc. 130 (S. M. Io. Bovis): den. VI — Paris. 85 (a domo Io. Bovis) — Sign. 333 (S. M. Io. Bobonis).
La famiglia dei Bovi ovvero Boboni era potente e facoltosa in Roma durante i secoli XII e XIII, e parecchie chiese (S. Lorenzo, sopra p. 282 n. 5, S. Salvatore) presero da essa il cognome. Secondo l'ordine topografico del catalogo signoriliano, la chiesa di S. Maria deve cercarsi nella pianura sotto l'Aventino, nella regione degli horrea. Nei codici deteriori del Signorili il cognome è corrotto in Robobonis ovvero Yojobonis. Il Marchetti-Longhi (Memorie dei Lincei Ser. V vol. 16 p. 682) a torto la volle identificare con S. Maria de Curte sotto il Campidoglio (più sotto n. 35): il codice Vaticano 4909 f. 247. 248, da lui citato, non è altro che un estratto del catalogo signoriliano, fatto dal famoso falsario A. Ceccarelli.
Lonigo Barb. f. 35, Vallicell. f. 51 (dal Cencio) Armellini 1 439 2 362.
M18. S. MARIAE DE CACCABARIIS
Cenc. 173 (cacabari): den. VI — Paris. 93 — Taur. 350 (de cacchabariis): habet sacerdotem et clericum — Sign. 37 (de catthabariis).
Chiesa tuttora esistente nei pressi di Piazza Branca: il cognome è derivato dai lavoratori di cacabi o caldaie, che esercitavano il loro mestiere in queste vicinanze (v. anche più sotto S. Salvatore de c.) È ricordata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 35: de cacavariis). Ad un documento del 27. luglio 1277, nell'archivio di S. Silvestro in Capite (Federici Arch. soc. romana XXII, 1899, p. 290‑291) sottoscrive un Bartholomeus presbyter S. M. de che. cleri Urbis vel Romanae fraternitatis rector. La chiesa ricorre nei Liber Anniversariorum (sopra p. 56 n. 92, p. 58 n. 1, p. 61 n. 76, p. 65 n. 92) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI (p. 75 n. 182, p. 101 n. 184, p. 111 n. 163).
Del Sodo Vallicell. f. 123, Vatic. p. 222; Martinelli 187; Ciampini de Vicecancellario p. 172; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 347; Nibby 337; Forcella XI p. 123‑130; Armellini 1 367 2 400. • Titi 95 (S. Maria in Publicolis).
M19. S. MARIAE DE CACCHABELLIS
Taur. 286: non habet servitorem.
Chiesuola ricordata, oltre dal Torinese, soltanto nella bolla di Onorio III del 25. febbraio 1217 per S. Tommaso in Formis (Bullarium Vaticanum II p. 101; Potthast 5470; Pressuttiº I p. 67 n. 874), ove ai frati di S. Tommaso vengono assegnate, fra altri beni, duae petiae vinearum positae inter ecclesiam S. Mariae in Caccabellis, et clausuram in castro S. Gregorii, et clausuram S. Thomae. Da ciò si rileva la situazione sulla parte ovest del Monte Celio, senza che il luogo si possa precisare. Erroneamente l'Armellini la identifica con S. M. de Candelabro (più sotto n. 44).
Armellini 1 367 2 574.
M20. S. MARIAE DE CAMBIATORIBUS
Cenc. 137: den. VI — Paris. 67 (in Camatoris) — Taur. 192 (in cambiatoribus); habet sacerdotem et clericum — Sign. 270 (de cubiatoribus).
Il cognome di questa chiesuola è tratto da una contrada medievale posta nelle vicinanze del Colosseo e della basilica di Costantino. Un documento del luglio 1052, nell'archivio di S. Maria Nova (Fedele Arch. soc. romana XXIII, 1900, n. 15 p. 212) descrive un terreno posita Romae regione quarto in Aura infra locum qui dicitur Domus Noba, quod est inter affines. . . . a quarto latere introito comune qui exit foris a Tribio cambiatoris. Un altro del 13. ottobre 1042 (Fedele la chiesa n. 13 p. 208) si riferisce ad una vigna cum introitu et exitu suo comune ad locum qui dicitur Trivio. . . . cum uno alium introitum per viculo exiente usque invia publica. . . . positum Rome regione quarta in Aura infra locum qui dicitur Domus Nova, quod est inter affines. . . . a quarto latere templum Romuli et ortuo de ecclesiam sancte Mariae Novae. Un terzo documento del 9. gennaio 1180 (Fedele la chiesa XXVI, 1903, n. 114 p. 185) ricorda una casa posita in regione Colexei in contrada Cambiatorum, sub is affinibus: a II lateribus sunt vie puvlice.º . . . Il trivium cambiatoris deve essere stato pertanto non lontano dalla odierna Piazza delle Carrette, oppure là dove la Via di S. Pietro in Vincoli si stacca dalla Via del Colosseo. Ho sospettato (Topogr. I, 3 p. 319) che il vocabolo cambiatores abbia conservato la memoria dell'antica schola quaestorum et caplatorum, la quale nei Regionarii costantiniani è annoverata fra il lacus pastorum (v. più sotto s. v. S. Pastoris) e le thermae Titianae. La chiesa era filiale della vicina basilica di S. Pietro in Vincoli; nel 1156, p317 i parrocchiani tentarono di sottrarsi a questa, e perciò Adriano IV, con bolla del 18. marzo1156, diede ai rectores Romanae fraternitatis l'ordine: quatenus populus ecclesiae S. Mariae in Candiatore, qui ecclesiae S. Petri ad Vincula manum obedientiae exhiberi contradicit, commoneant ut a contradictione illa penitus de cetero cessent (Baronius ann. ad a. 1149; Jaffé-Lowenfeld 10158; Kehr IP. I p. 14 n. 24 e p. 48 n. 3). Nicola IV, con bolla del 7. maggio 1290, limitò a due il numero dei clerici in ecclesia Sanctae Mariae de Campsoribus de Urbe, cuius facultates tenues sunt (Reg. ed. Langlois I p. 449 n. 2696). Un documento del 24 novembre 1387 nell'Archivio Capitolino (not. Vendettini prot. 785) ricorda l'ecclesia S. Mariae in campsoribus iuxta viam publicam sita in regione Montium in Portugalli (Lanciani bull. comun 1901 p. 41). Il nome della contrada del Portogallo (sul mente si veda Lanciani bull. l.c.), dal sec. XV in poi diventò usuale anche per la chiesa: la quale nel catalogo del 1492 (sopra p. 70 n. 44) è chiamata S. Mariae portualia, nella Tassa di Pio IV (sopra p. 70 n. 44) S. Maria in Portogallo appresso il Colosseo, nel k15 (p. 83 n. 123) S. Mariae Portugallen(sis) prope Forum Traiani. Andrea Fulvio Antiq. l. V f. XXXVIIIv. ed. 1527 dice: inter hortos nunc S. Mariae Novae, Colosseo et Exquilias fuerunt olim busta Gallica, qui locus hodie ab imperito vulgo dicitur corrupto vocabulo Portus Gallus: extat rei testimonium turris et aedis S. Mariae et S. Andreae in Portugallo. La falsa erudizione, che ha messo il nome del Portogallo in relazione con i busta Gallica conosciuti da Livio, si è propagata in molti libri di topografia fino a tempi recenti: anche il Bufalini (foglio HJ) ed il Dupérac (1577) sulla grande prospettiva segnano S. Mariae ad busta Gallica non lontano dalla torre ricordata dal Fulvio, la quale, come sembra, era fondata sulla base del Colosso di Nerone. L'Anonimo Spagnuolo (sopra p. 113 n. 269) nota: S. Maria de Portogallo, arrovinata. Girolamo Ferrucci, nelle aggiunte alle Antichità del Fulvio (1588) dice: "Il tempio o chiesuola di santa Maria in Portogallo non è più in essere da gran tempo in qua, ma in quel luogo vi è ancora nel muro l'imagine di santa Margherita, et hora vi è il giardino dell'illustrissimo Signor Alessandro cardinale de Medici, detto di Florenza. . . . La torre che fa mentione l'autore qui è chiamata la torre della Contessa, et si crede che presto si buttarà a terra per la via Capitolina Lateranense da farsi". Dopo la distruzione della chiesa pare che sia stato eretto nella chiesa di S. Pietro in Vincoli un altare dedicato a S. Maria e S. Margherita, con una cappellania: v. il documento del 14. marzo 1591, pubblicato dal Lanciani Storia degli p318 scavi II p. 214. Il Del Sodo (Vallicell. 167, Vat. 210) dice: qui già era una chiesa di tal nome, qual ve ne resta un altare.
Lonigo Barb. f. 34 v., Vallicell. f. 50 v. (dal Cencio); Martinelli 236. 369; Armellini 1 351 2 212.
M21. S. MARIAE IN CAMPITELLO
Cenc. 103 (Campitelli): den. VI — Paris. 103 (de Campitello) — Taur. 378: habet sacerdotem et clericum — Sign. 57.
Le origini di questa chiesa rimontano forse al sec. XI (sebbene il racconto di S. Pier Damiano epist. lib. III, citato dall'Erra, dall'Armellini e da altri, si riferisce a S. Maria in Capitolio = Araceli, e le due lapidi del 1073 riferite dal Forcella XIII p. 338 n. 785. 786 provengano da S. Maria in Portico). Fu consacrata, o piuttosto restaurata, nel 1216 da Onorio III, come attestava una lapide ora perduta, ma desunta dall'Erra p. 44 "dal libro delle sagre visitazioni apostoliche p. 2096", e ripetuta dall'Armellini. Due documenti dell'Archivio di S. Gregorio ad clivum Sauri, del 1260 e del 1271 (Mittarelli Annal. Camaldul. V p. 133 n. 90, p. 214 n. 127) menzionano beni del monastero fuori della porta S. Paolo, confinanti con altri di S. Maria in Campitello. Il sito si trova segnato sulla pianta del Bufalini foglio GH, e sulla grande prospettiva del Dupérac: esso corrisponde all'angolo orientale del Palazzo Serlupi, ora Lovatelli, con la facciata verso la Torre del Merangolo. Essendo la vecchia chiesa fatiscente, fu, come racconta il Panciroli, "nell'anno 1619 per ornamento pubblico distrutta e pochi passi lontano in luogo di questa fabbrica un'altra più bella". Secondo l'Erra p. 44, questa seconda chiesa si trovava "all'estremità della Piazza di Campitelli dicontro al Palazzo Serlupi". Ma anche essa non durò molto, perchè, dopo la terribile peste dell'anno 1656, Alessandro VII decretò dapprincipio di trasferirvi la venerata imagine della Madonna di S. Maria in Porticu (v. il chirografo del 31. agosto 1661 presso Marracci-Corrado 118‑121, che termina con le parole: "e che la detta chiesa di S. Maria in Campitelli, subito seguita la traslatione di detta imagine, si denomini da indi in poi con il titolo suddetto di S. Maria in Porticu in Campitelli, e la chiesa antica di S. Maria in Portico con il titolo di S. Galla"), poi decise di costruire una nuova e magnifica chiesa, la quale con architettura di Carlo Rainaldi fu condotta a termine nel 1675.
Del Sodo Vallicell. f. 124 v., Vatic. p. 223 (s. Maria in Campitelli a Tor de' Merangoli); Panciroli 1 479 2 53; Lonigo Barb. f. 36v., Vallicell. f. 53v.; p319 Martinelli 187; Bruti vol. 3 (to. II) f. 326 v. (= lib. III c. 28: S. Maria in Campitello, hodie S. Mariae in Porticu), vol. 23 (to. XXII) f. 171‑172v.; Lud. Maracci Memorie di S. Maria in Portico ora Campitelli (Roma 1666. 1675; nuova edizione di G. M. Corrado, Roma 1871); C. Erra Storia dell'immagine e chiesa di S. Maria in Portico di Campitelli (Roma 1750); Nibby 357; Forcella V p. 365‑396, XII p. 338‑347; Armellini 1 362 2 552; Pasquali S. Maria in Portico (Roma 1902); Angeli p. 283; Calvi Bibliografia 85. • Titi 83‑85.
— S. MARIAE DE CAMPO v. S. Mariae de puteo Probae.
M22. S. MARIAE DE CAMPO CARLEI
Cenc. 306 (in Campocaruleonis): den. VI, sine clericis — Paris. 74 (de campo Carlei) — Taur. 7 (Campi Carlei): habet sacerdotem et clericum — Sign. 166 (in campo Carlei).
Il cognome di questa chiesuola ricorda un nobile romano del sec. X o XI che portò il nome greco di Kaloleo; anche le origini della chiesa possono quindi rimontare a poco prima o poco dopo il Mille. È ricorda sotto il nome di S. Maria in Campo Carleo nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 53 n. 18), e nei cataloghi di S. Pio V (p. 98 n. 71) e dell'Anonimo Spagnuolo (p. 110 n. 130). Ma dalla fine del sec. XV in poi venne in uso il cognome di Spoglia Cristo, da una imagine rappresentante il Salvatore spogliato dagli Ebrei, che esisteva sopra la porta principale. Sotto questo nome è registrata nei Liber Anniversariorum di S. Maria in Porticu (p. 50 n. 35) e del Gonfalone (p. 63 n. 29), nonchè nella Tassa di Pio IV (p. 94 n. 296). Il catalogo del 1555 (83124) lo dice: Spoglia Christi alias in Campo Carleo prope Forum Nervae. Nel catalogo del 1492 (sopra p. 70 n. 56) viene chiamato S. Salvatoris in spolia Christi. Il sito è notato sulla pianta del Bufalini f. GH col nome S. Salvatoris e su quella del Nolli n. 121. Fu demolita nell'anno 1864.
Del Sodo Vallicell. f. 96 v., Vatic. p. 217; Panciroli 1 481 2 199; Lonigo Barb. f. 37, Vallicell. f. 53v.; Martinelli 187; Bruti vol. 19 (to. XVIII) f. 768‑770 (ital.), vol. 13 (to. XII) f. 197‑199 (lat.), vol. 6 f. 17v.-22 (= ib. VII c. 6); Cancellieri de secretariis IV p. 1765; Nibby 360; Adinolfi II 55; Forcella XI p. 425‑534; Armellini 1 333 2 168. • Titi 235.
M23. S. MARIAE IN CAMPO A DOMO GREGORII
Cenc. 296 (S. M. in Campoconi): den. VI, est sine clericis — Paris. 97.
Che il nome ovvio nel catalogo di Cencio sia una corruttela di quello che si legge nel catalogo parigino, è probabile ma non certo. La chiesa, abbandonata p320 già sulla fine del sec. XII, è scomparsa senza vestigia: è una congettura infondata dall'Armellini che fosse identica con S. Maria in Candelabro (v. sotto n. 44).
Lonigo Barb. f. 34v., Vallicell. f. 50v. (dal Cencio); Armellini 1 366 2 574.
M24. S. MARIAE IN CAMPO MARTIO
Cenc. lit. 22 (mon. Campi Martis): sol. II — Paris. 47 (S. M. monasterii de Campo Mar.) — Taur. 64 (monasterium S. M. in campo Martis): habet moniales XVII — Sign. 209, rel. 71.
Le origini di questo monastero vengono dalla tradizione connesse con il conflitto fra gl'iconoduli e gl'iconoclasti nell'impero bizantino: alcune monache profughe da Costantinopoli avrebbero portato, con altre reliquie, il corpo di S. Gregorio Nazianzeno a Roma, e sarebbero state insediate da papa Zaccaria (741‑752) in quella parte del Campo Marzo. Il documento più antico riferibile al monastero è una carta del 6. ottobre 937 nel Regestum Sublacense (p. 169 n. 121), che ricorda una monaca Maria quae et Marozza. . . . de monasterio S. Mariae et S. Gregorii quod ponitur in Campo Martio. Una epigrafe del 1088 esistente in S. Nicola in Carcere (Galletti Inscr. Rom. I p. 421 cl. V n. 7; Armellini 2 625) menziona la ecclesia S. Mariae in Campo Martio. Innocenzo II (1130‑1143) concedette al monastero la chiesa di S. Andrea de mortarariis (sopra p. 188 n. 44) e questa concessione fu confermata da cel2 con bolla del 7. maggio 1194 (Kehr IP. I p. 89 n. 10). Circa il medesimo tempo il monastero ebbe una contesa con le chiese di S. Trifone, S. Salvatore de Sere, S. Nicolai de Praefecto e S. Biagio de Monte Acceptabili: vi si riferiscono varie bolle di Lucio III, Urbano II e Clemente III, dal 1181 al 1188 (Montfaucon Diar. Ital. 243; Migne PL. CCII p. 469 n. 82; Marini Dipl. pontif. 67. 102; Migne CCIV p. 1391 n. 92; Kehr IP. I p. 88 n. 3‑9, p. 91. 92 n. 2‑8). La chiesa è ricorda nei Liber Anniversariorum (sopra p. 54 n. 52) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI (sopra p. 72 n. 108, p. 84 n. 146, p. 99 n. 102, p. 109 n. 100). Narra il Nobili (presso Martinelli p. 197) che "le due chiese. . . . l'una dedicata a santa Maria, ove sta la sua imagine, e l'altra a san Gregorio Nazianzeno, ove riposava il suo corpo, fossero assai picciole per il numeroso concorso di gente, che a quelle convenivano: onde pensorno le monache di fabbricare un novo tempietto et chiesa, che fosse per uso de' secolari, e racchiudere le due nella clausura del monastero per uso loro et devotione; il quale fu cominciato l'anno 1563 p321 et compito l'anno 1564 ha M. R. Donna Chiarina Colonna. . . . a spese del monasterio". Questa nuova chiesa, ridotta alla forma attuale da Giannantonio Rossi, esiste tuttora; il sito delle due antiche, di S. Maria e di S. Gregorio, è indicato sulla pianta del Nolli f. 19 e 25.
Del Sodo Vallicell. f. 153 v., Vatic. p. 227; Panciroli 1 482 superiore 429; Fra Giacinto de' Nobili Cronaca del venerabile monastero di S. Maria in Campo Marzo (Viterbo 1618; Ronciglione 1666; Roma 1750. 1864, ripetuta dal Martinelli 188‑201); Lonigo Barb. f. 37, Vallicell. f. 53v.; Martinelli 187‑208; Bruti vol. 16 (to. XV) f. 89=97 (ital.), vol. 11 (to. X) f. 79‑84 (lat.); Lubin 332; Nibby 361; Forcella X p. 507‑515; Armellini 1 340 2 334; Angeli 285; Kehr IP. I p. 86; Calvi Bibliografia 85. • Titi 364‑365.
M25. S. MARIAE DE CANNAPARA
Cenc. 82 (Canaparie): den. VI — Paris. 100 (de Canapara) — Taur. 210 (in Cannapara): habet I sacerdotem — Sign. 287.
La contrada della Cannapara, più volte mentovata in documenti dei sec. XII-XIV (Casimiro Storia di Araceli 348 sg.; Jordan Topographie II p. 250; Lanciani Storia degli scavi I p. 132) si stendeva al lato occidentale dell'antico Foro Romano, fra S. Teodoro e le pendici del Campidoglio presso la Consolazione. Deve essere stata di un'estensione considerevole: è uno errore volerla limitare alla Basilica Giulia ("la Cannapara ou Corderi n'est autre chose que la basilique Julia" Duchesne p. 55); neppure si può accettare l'opinione (seguita anche da me) che la chiesa costruita nel sec. VII ovvero VIII nell'ala occidentale della basilica sia S. Maria in Cannapara menzionata nei cataloghi dei sec. XI-XV. Quest'ultima deve essere stata ad un livello assai superiore a quello della basilica: essa non può credersi diversa da quella chiamata, dal sec. XV in poi, S. Maria de Gratiis, incorporata nell'ospedale della Consolazione e profanata soltanto nel sec. XIX. Il sito è indicato sulla pianta del Bufalini ed ancora in quella del Nolli (n. 968).
Del Sodo Vallicell. f. 127, Vatic. p. 208 (S. M. delle Grazie); Lonigo Barb. f. 34, Vallicell. f. 50 (Canaparie, dal Cencio), Barb. f. 37, Vallicell. f. 54 (delle Grazie); Martinelli 218 (Gratiarum); Bruti vol. 3 (to. II) f. 416‑418 (= l. III c. 35); Armellini 1 352 2 530; Duchesne Le forum Chrétien (Roma 1899) p. 55 sg.; Huelsen Foro Romano (1905) 24. 51. 56. • Titi 206 (S. Maria delle Grazie).
M26. S. MARIAE DE CANNELLA
Cenc. 110: den. VI, lit. 55 (cappella S. M. de canella): den. XII — Paris. 75 — Taur. 43: habet I sacerdotem — Sign. 137 (in cannella).
p322 La più antica menzione di questa chiesa (perchè la bolla di Leone IX del 1051 citata dall'Adinolfi si riferisce a S. Maria de Cella, più sotto n. 32) si trova in un privilegio di Pasquale II del 1104 (Kehr Quellen p. 32), dal quale risulta che in quel tempo vi era annesso un monastero di monache. Due altre bolle, una dell'antipapa Gregorio VIII (Burdinus) del 19. marzo 1118 (Kehr L. c. p. 324, IP. I p. 76 n. 19), l'altra di Eugenio III del 4. giugno 1145 (Kehr L. c. p. 35, IP. I p. 77 n. 20) sottomettono la chiesa alla basilica di S. Marcello. Un documento dell'archivio di S. Maria in Via Lata si riferisce ad un giudizio fatto dai senatori il giorno 18. aprile 1163 di alcuni pezzi di terra posita in ratellina iusta rivum qui vocatur olivectii. . . . a III latere est questa ecclesia sancte Marie de cannella (Amati Bibliografia Romana I p. CLXVI). Viene ricordata nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 54 n. 30), nella Tassa di Pio IV (p. 91 n. 121), nel catalogo di S. Pio V (p. 99 n. 98) ed in quello dell'Anonimo Spagnuolo (p. 112 n. 232). Il cognome è derivato dai condotti dell'acqua di Trevi ivi sboccanti: il Del Sodo chiama la chiesa "vicino alla fontana di Trevi", oppure "vicina all'horatorio della Compagnia del Crocifisso". Il Lonigo scrive che "era sopra la strada delle Morate". Questa strada non è, come credono l'Armellini ed il Kehr, il Vicolo dei Tre Ladroni, ma invece la Via delle Vergini; la chiesa di S. Maria in Cannella deve essere stata allo sbocco meridionale di quest'ultima, vicina alla chiesa delle Vergini, ivi costruita nel 1613 o 1615. A titolo di curiosità si può citare l'etimologia data dal Panciroli: "Fu del collegio delli spetiali, che nel giorno della festa per spargere buoni odori l'ornavano di vasi aromati ed in particolare di canella, donde poi ebbe il cognome".
Del Sodo Vallicell. f. 83v., Vatic. p. 214; Panciroli 1 488 2-; Martinelli 249. 370; long 34v., Vallicell. f. 50v.; Adinolfi II, 309; Armellini 1 338 2 289 Kehr Quellen und Forschungen herausg. vom histor. Institut XIV, 1911, p. 32‑37.
M27. S. MARIAE IN CAPELLA
Paris. 102 — Taur. 240: habet sacerdotem et clericum — Sign. 316 (in capcella).
Una lapide affissa alla parete destra di questa chiesuola (Forcella XI p. 537 n. 766) attesta che ANN. DNI MILL.XC IND. III MEN. MAR. D. XXV DEDICATA E(ST) HEC ECCLESIA SCE. MARIE p323 QVE APPELL(ATUR) AD PINEAM etc. Il Martinelli espresse la strana congettura che il cognome in Capella provenisse da una lezione erronea di quest'epigrafe, ove le parole QUEAPPELLA nel principio della terza riga sarebbero state congiunte dal volgo, e fu in questa seguito dall'Armellini. È più verosimile l'opinione del Nibby, che vi si debba riconoscere la parola cappella (o piuttosto cuppella: v. anche S. Salvatoris de Cuppellis) o recipiente per l'acqua: i barilari, cioè i fabbricanti di tali cuppelle, che servivano per il trasporto dell'acqua del Tevere, ebbero la loro Compagnia in questa chiesa dal 1540 i poi (Fanucci Opere Pie I. IV c. 14). Esiste tuttora in Trastevere sulla riva del fiume.
Del Sodo Vallicell. f. 67, Vatic. p. 212; Panciroli 1 489 2 613; Lonigo Barb. f. 37, Vallicell. f. 54; Martinelli 10; Nibby 370; Forcella XI p. 533‑539; Armellini 1 369 2 672; Angeli 288. • Titi 57.
M28. S. MARIAE IN CAPITOLIO ovvero DE ARA CELI
Cenc. 61 (in Capitolio): sol. II, id. lit. 13 (monasterium Capitolii): sol. III — Paris. 48 (de Capitolio) — Taur. 209 (de Araceli): habet fratres minores L — sign. rel. 87 (de Araceli).
Le origini di questa chiesa antichissima rimontano al sec. VII: il nome del santuario e dell'annesso monastero fino al sec. XIII è sempre S. Mariae in (ovvero de) Capitolio. Così viene chiamato in due documenti del Regestum Sublacense del 944 (p. 94 n. 54) e del 965 (p. 181 n. 13), negli Atti del Concilio romano del 1015 presso Ughelli Italia Sacra II 998, nella bolla di Anacleto II (113‑1137) che conferma al monastero le sue possessioni, specialmente il Campidoglio (Urlichs Codex topogr. 147; Jordan Topogr. II 667; Kehr IP. I p. 101 n. 1), nella bolla d'Innocenzo III del 1199 relativa ad una lite fra essa e la chiesa di S. Sergio e Bacco (Migne PL. CCXIV, p. 651 n. 102; Jordan Topogr. II p. 668; Potthast n. 754), nell'elenco delle venti abbazie di Roma (sopra p. 128) ed in molto altri documenti. Il nome di Araceli non si trova prima del sec. XIV: la testimonianza più antica a me nota è un documento del 1323 nell'Archivio di Stato a Roma, fra le pergamene del fondo di S. Silvestro (archivio storico italiano 1899 p. 336). Ho esposto (Journal of the British Archaeological Society of Rome IV, 1907, p. 46) la congettura, che questo nome popolare tragga origine dalla iscrizione dell'altare maggiore, la quale termina
p324 La parola CELI, che appartiene alla seguente PROLES, sarebbe stata per errore congiunta con la precedente ARA. Certo, mentre i Mirabilia, il catalogo delle abbazie ed altri documenti parlano di una ara filii Dei esistente ivi nella camera Octaviani, solo più tardi vi si sostituisce una Ara celi (Journal l.c. p. 39 sg.) Questa ipotesi mi pare meno artificiale delle altre che vogliono derivare il nome della arx Capitolina, da un'ara della Virgo caelestis (Gatti Notizie degli scavi 1892 p. 404) o dall'aureo coelo (Gregorovius Geschichte der Stadt Rom IV, 448).
Del Sodo Vallicell. f. 143 v., Vatic. p. 179; Panciroli 1 470 2 67; Lonigo Barb. f. 36 v., Vallicell. f. 53 v.; Martinelli 184; Bruti vol. 3 (to. II) f. 207 v.-303 v. (= lib. II c. 14‑25), vol. 23 (to. XXII) f. 58‑162; Lubin 338; Casimiro Memorie istoriche della chiesa e convento di S. Maria in Araceli (Roma 1736); Nibby 341; Forcella I p. 111‑286. 541‑544; Armellini 1 376 2 540; Kehr IP. I p. 11; Marucchi 238; Angeli 26; Calvi Bibliografia 84; Colasanti Chiese illustrate n. 2 (1923). • Titi 189‑196.
M29. S. MARIAE IN CAPUT PORTICI
Il biografo di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 66) racconta: constituit diaconias tres foris porta b. Petri apostoli, id est: (S. Mariae in Adriano) . . . . alia vero S. Mariae quae ponitur foris porta b. Petri apostoli in caput portici. . . . (nec non et alia quae appellatur S. Silvestri). La medesima diaconia però viene menzionata come esistente già sotto Stefano II (752‑757; LP. XCIV c. 4): secus basilicam b. Petri apostoli duo fecit xenodochia . . . . quae et sociavit venerabilis diaconiis illic foris existentibus perenniter permanere, id est diaconiae S. Dei genetricis et b. Silvestri. Ambedue questi passo fanno credere che la diaconia sorgesse nelle vicinanze immediate della basilica, all'estremità occidentale del portico di Spei: è inammissibile l'in dell'Adinolfi seguito dall'Armellini che fosse identica con S. Maria Traspadina. Fu arricchita, nell'806, di doni da Leone III: il biografo (LP. XCVIII c. 70; v. sopra p. 6 n. 10) la chiama diaconia b. Dei genetricis foris porta b. Petri apostoli. È forse ricordata pure nella bolla di Leone IV del 10 agosto 854 per il monastero di S. Martino in Vaticano (Bullar. Vatic. I, 15; Marini Papiri diplomatici p. 14 n. 13; Urlichs Codex topogr. p. 200; Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 432 n. 2; Kehr IP. I p. 145 n. 1) sotto il nome di S. Mariae in oratorio quae est in capo de portico. Dopo il Mille non se ne trova più menzione.
Adinolfi Portica di S. Pietro 68; Armellini 1 348 2 773; Duchesne al LP. I p. 456 n. 6, p. 520 n. 80; Kehr IP. I p. 150.
M30. S. MARIAE DE CASTRO S. PAULI
Taur. 319: habet I servitorem.
Il Castrum S. Pauli menzionato dal Torinese è la Iohannipolis fondata da papa Giovanni VII nell'880‑882, abbandonata dopo il 1300. Dell'esistenza di una cappella della Madonna in questo borgo non si ha altra testimonianza.
Tomassetti Archivio della soc. romana XVII, 1894, p. 97.
M31. S. MARIAE IN CATERINA
Cenc. 262 (in Catener): den. XII, lit. 46 (cappella S. M. in Catener.): den. XII — Paris. 60 — Taur. 334 (Sanctarum Mariae et Catherinae): habet II clericos — Sign. 17 (S. Mariae et Katerinae), rel. 98 (S. M. et Catherinae, alias dicta S. M. in Catemeri).
La più antica menzione di questa chiesa si trova nei Mirabilia c. 20 (Jordan Topogr. II p. 642; Urlichs Codex topogr. 112): ad pontem Antonini circus Antonini, ubi nunc est S. Maria in Caterino (Cataneo Ottobon. 3057, Kathincio Vat. 4265 dal quale Zaccagni p. 425; Armellini 2 615); le redazioni più tardi hanno invece, nell'articolo de Palatiis: Palatium Antonini fuit iuxta Pontem ruptum et sanctam Mariam in Caterine (Anon. Magliab. ap. Jordan II p. 614; Urlichs Codex topogr. p. 158; il cod. Urbin. 410 [ora 984] citato dallo Zaccagni p. 422 s.v. S. Maria in cartine non è altro che un secondo esemplare del Magliab.). Il Circus oppure Palatium Antonini pare si riferisca agli avanzi di un edifizio monumentale esistenti sotto il Palazzo Farnese (v. Huelsen-Jordan Topogr. I, 3, 596). La chiesa viene annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 19), ma nel medesimo tempo è oggetto di una contesa fra questa basilica ed i canonici di S. Pietro, a favore dei quali sono emesse le bolle di Alessandro III (1166‑1181; Kehr IP. I p. 143 n. 41), di Urbano III del 13. giugno 1186 (Bullarium Vaticanum I 68; Schiaparelli Arch. soc. romana XXV, 1902 p. 331 n. 7; Kehr L. c. n. 42), d'Innocenzo III del 15. ottobre 1205 (Bullar. Vatic. I p. 83; Potthast 2592) e di Gregorio IX del 22. giugno 1228 (Bullar. Vatic. I p. 113). Cf. sopra p. 136.
In tutte le bolle è detta S. Mariae in Cat(h)erina, mentre in un diploma del senatore Annibaldo del 12. marzo 1224 (Bullar. Vatic. I p. 69; Cancellieri p. 1414) si chiama S. Mariae et S. Catherinae. Il nome deriva probabilmente da qualche pia fondatrice, come S. Lorenzo in Lucina p326 e S. Lorenzo in Miranda. Quando il significato del cognome non fu più inteso, esso venne corrotto in diverse maniere: in Catemeri (Sign. re.; Martinelli 371 dal cosidetto Castallo Metallino); in Catinieri (Liber Anniversariorum del Salvatore, sopra p. 56 n. 82); in cateneri (Liber Anniversariorum di S. Maria in Porticu p. 58 n. 6, Lib. Ann. di S. Maria in Araceli p. 67 n. 2), in catinara (Tassa di Pio IV, p. 92 n. 150). Autori recenti hanno voluto correggere il cognome in de catenariis, ed inventata la fiaba, che i prigioneri riscattati delle mani dei Barbareschi di Tripoli e di Tunisi abbiano appese le loro catene presso l'altare della Vergine: fiaba che dall'Armellini e ad altri viene riferita come documento autentico per il nome e la storia della chiesa. Il cognome male interpretato fece, dal sec. XVI in poi, subentrare al culto della Vergine quello di S. Caterina: così già nel Liber Anniversariorum del Gonfalone del 1490 (sopra 65 n. 82) viene detta S. Catherine in cathenieri, nei cataloghi del 1492 (sopra p. 75 n. 171) ed in quello dell'Anonimo Spagnuolo (p. 111 n. 166) semplicemente S. Catherinae, nel catalogo di S. Pio V (p. 102 n. 188) S. Catharinae in catinari. Ora la chiesa è conosciuta sotto il nome di S. Caterina della Rota.
Del Sodo Vallicell. f. 119, Vatic. p.º 76 (S. Caterina a corte Savella); Panciroli 1 258 2 763; Lonigo Barb. f. 13 v., Vallicell. f. 20 v.; Martinelli 371; Ciampini de Vicecancellario p. 174 n. 25; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 313; Cancellieri de secretariis III p. 1413‑1416; Forcella IV p. 263‑283, XIII, p. 373‑378; Armellini 1 176 2 412; Angeli 83. • Titi 118.
M32. S. MARIAE CELLA FARFAE ovvero DE THERMIS
Cenc. 230 (Celle de Frassa): den. VI — Paris. 62 (de Therimis) — Taur. 77 (monasterium S. Mariae de Cella): habet moniales VIII — sign. 100 (de thermis q. dr vecell).
Questa chiesa coll'annesso monastero già prima del Mille era posseduta dal celebre monastero di Farfa, e viene ricordato spesso, con nomi diversi, nel Regestum Sublacense. I due documenti più antichi sono del 998; nel primo di essi viene appellata: ecclesia S. Mariae sita Romae regione nona in thermis Alexandrinis (III p. 137 n. 426); nell'altro (III p. 142 n. 428) si narra: coadunaverunt se infra hanc civitatem Romanam, iuxta thermas Alexandrinas, intra venerabilem ecclesiam sanctae Mariae quae est sub iure praedicti monasterii. Segue un documento del 1012 (IV p. 56 n. 658): ecclesia S. Mariae cellae ipsius monasterii posita Romae regione nona ubi dicitur agones; p327 uno del 1019 (III p. 233 n. 524): monasterium sanctae Mariae quod dicitur cella suprascripti monasterii (Farfensis); uno del 1044 (IV p. 182 n. 775): monasterium S. Mariae. . . . quod positum est Romae in thermis Alexandrinis, non longe a cripta agonis, et hoc monasterium est cella venerabilis monasterii sanctae. . . . Mariae. . . . quae appellatur in Pharpha; uno del 1079 (V p. 29 n. 1026): ecclesia S. Mariae quae est Romae in therma Alexandrina et est cella venerabilis monasterii S. Mariae Pharphensis; uno del tempo di Gregorio VII (1073‑1085; V p. 251 n. 1278): ecclesia sanctae Mariae dominae nostrae, cella videlicet huius monasterii, infra ipsam urbem in loco qui vocatur cripta agonis; uno del 1093/94 (V p. 136 n. 1134): cella suprascripti monasterii in sancta Maria iuxta criptas Agonis; uno del 1097 (V p. 158 n. 1154): cella de Roma. È menzionata pure più brevemente nei privilegî di Enrico III del 1050 (IV p. 274 n. 879), di Leone IX del 1051 (IV p. 280 n. 884), di Enrico IV del 1084 (V p. 97 n. 1084: cella S. Mariae in cripta agonis) e di Enrico V del 1118 (V p. 302 n. 1318: cella S. Mariae in cripta agonis). L'elenco delle chiese che dovevano, nel 1295, un censo annuo al monastero di Farfa (V p. 330) la chiama ecclesia sancte Marie de cellis de ubre. Dai documenti surriferiti apparisce chiaro, che la parola cella ha il significato medievale di monastero, e non si riferisce, come vollero il Nibby e l'Armellini, alle camere o grotte delle Terme Neroniano-Alessandrine, fra le quali fu costruita la chiesa. Col nome S. Mariae de Cellis viene ricordata ancora nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 54 n. 49). Quando, nel 1478, la nazione francese cambiò la piccola chiesa di S. Luigi presso Torre Argentina con il sito già posseduta dalla Badia di Farfa, la vecchia chiesa di S. Maria cadde in disuso; nel catalogo del 1555 (sopra p. 84 n. 129) è chiamata S. Mariae de celis iuxta Sanctum Ludovicum Gallorum, nella Tassa di Pio IV (sopra p. 91 n. 136) S. Maria della Cella in S. Loisio. Essa scomparve completamente quando fu costruita la nuova chiesa di S. Luigi dei Francesi, circa il 1585.
Panciroli 12 807; Lonigo Barb. f. 34, Vallicell. f. 50; Martinelli 167. 371; Nibby 311; La Croix Mémoire historique sur les Institutions de France à Rome (1868) p. 166; Armellini 1 345 2 435.
M33. S. MARIAE IN COSMEDIN ovvero DE SCHOLA GRAECA
Cenc. 41 (scole grece): den. XVIII — Paris. 39 (de Scola greca) — Taur. 250 (in Cosmedin): diaconi cardinalis, habet X clericos — Sign. 324 (in Cosmedin id est scole grece), rel. 39 (S. M. in Cosmedin alias scola Greca).
p328 Celebre diaconia, fondata già nel sec. VI sopra le rovine del Templum Herculis Pompeiani (?) e della Statio annonae, ricostruita sul principio del sec. XII da Alfano, camerario di Callisto II, recentemente restaurata con somma cura sotto la direzione dell'Associazione artistica fra i cultori d'architettura. Il cognome de schola Graeca ricorda i numerosi stabilimenti bizantini esistiti in quella parte della città dal sec. VII in poi. Per l'altro, in Cosmedin (derivato dal greco κοσμεῖν), è notevole il passo della biografia di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 72: praedictam basilicam a fundamentis aedificans, ultro citroque spatiose largans, tresque absidias in ea constituens praecipuus antistes veram Cosmidin amplissime noviter reparavit. Chiese col cognome in Cosmedin si trovavano pure a Napoli ed a Ravenna.
Del Sodo Vallicell. f. 129 v., Vatic. p. 196; Panciroli 1 574 2 633; Severano Sette chiese 345; Lonigo Barb. f. 39, Vallicell. f. 56 v.; Martinelli 213; Bruti vol. 17 (to. XV) f. 19‑27 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 17‑27 (lat.); Crescimbeni Storia della Basilica di S. M. in Cosmedin (Roma 1715), Stato della basilica di S. M. in C. (Roma, 1719); Nibby 367; Forcella IV p. 303‑327; XIII p. 420 sg.; Armellini 1 391 2 600; Giovenale Annuario dell'Associazione artistica fra i cultori di architettura 1895; Huelsen Dissertazioni dell'Accademia pontificia Ser. II vol. VI (1896) p. 231 sg.; Angeli 295 sg.; Marucchi 270; Kehr IP. I p. 113; Calvi Bibliografia I p. 86 sg. • Titi 62‑63.
M34. S. MARIAE DE CRYPTA PINCTA
Taur. 362 (de Criptapincta): habet I sacerdotem — Sign. 32 (in gricta penca).
Chiesa annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 40) sotto il nome di S. Maria in Gripta pinta. È notevole che non si trova registrata nei cataloghi di Cencio e del parigino fra le chiese dedicate alla Madonna. Ricordata nei Liber Anniversariorum (p. 55 n. 77, p. 61 n. 64, p. 65 n. 78) ed in altri cataloghi dei sec. XV (p. 74 n. 163) e XVI (p. 84 n. 151, p. 92 n. 143, p. 101 n. 167) sotto il nome di S. M. in grota penta, esiste tuttora, benchè profanata da pochi anni, sulla piazza omonima. Il cognome deriva da qualche stanza sotterranea appartenente alle sostruzioni della cavea del Teatro di Pompeo. Il Torrigio (Storia di S. Teodoro p. 251) la chiama S. Salvatoris ad arcum in cryptis, hodie S. Maria Grottapenta, senza però addurre prove.
Del Sodo Vallicell. f. 140, Vatic. p. 226 (S. Maria della Concezione sopra Grotta pena); Panciroli 1 507 superiore 787; Martinelli 214; Lonigo Barb. f. 37, p329 Vallicell. f. 54; Nibby 376; Ciampini de Vicecancellario p. 176; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 354; Forcella X p. 325‑332; Armellini 1 401 2 382; Angeli 308.
M35. S. MARIAE DE CURTE IN CAMPITELLO
Cenc. 201 (in Campitello): den. VI — Paris. 95 (de Curte in Campitellis) — Taur. 379 (in curte): habet sacerdotem et clericum — Sign. 64 (de Curte).
Chiesuola che corrisponde a quella tuttora esistente dentro il monastero di Tor de' Specchi sotto il nome dell'Annunziata oppure di S. Francesca Romana (Nolli n. 986). Un presbyter Bartholomeus ecclesiae S. Mariae d'una curia de Campitello è ricordato nell'Inventario dei beni di S. Giovanni a Porta Latina, compilato da Niccolò frangipani sotto Bonifazio VIII (Crescimbeni S. Giovanni avanti Porta Latina p. 212). Secondo l'Armellini la chiesa è menzionata anche in una bolla di Clemente VI del 1342 (ann. I part. IV tom. IV f. 353). Una domus in regione Campitelli et parrocchia ecclesiae S. Mariae de curte viene ricorda in un atto del 13. giugno 1372 (Arch. di Stato, not. de Scambiis VII f. 35; Marchetti-Longhi Memorie dei Lincei Ser. V vol. 16, 1923, p. 699). Al testamento di Lorenzo de Amadeis del 31. ottobre 1387 (Galletti cod. Vat. 8051 ex cart. S. Mariae Transtiberim; Marchetti-Longhi l.c. p. 697) sottoscrive un dns. presbiter Bartholomeus rector ecclesie S. Marie de curte. È registrata pure nei Liber Anniversariorum (sopra p. 57 n. 113: de curte; p. 59 n. 38: della corte), nel catalogo del 1492 (p. 76 n. 216: de la curte), nella Tassa di Pio IV (p. 92 n. 156: della corte nel rione di Campitello) e nel catalogo di S. Pio V (p. 103 n. 228: de curte). Restò parrocchia sino alla fine del sec. XVI, ma nel principio del seguente ("pochi anni or sono", dice il Lonigo) venne concessa alle monache di Tor de' Specchi per ampliare la clausura. Il sito è disegnato sulla pianta del Bufalini foglio GH e nella grande prospettiva del Dupérac (n. 82: "S. Mariae").
Del Sodo Vallicell. f. 143, Vatic. p. 227; Lonigo Barb. f. 34, Vallicell. f. 50v.; Martinelli 371; Bruti vol. 3 (tom. II) p. 358; Armellini 1 353 2 554. • Titi 204‑205.
M36. S. MARIAE IN CURTE DOMNE MICINE
Cenc. 113 (Curtis domne Miccine): den. VI — Paris. 88 (de Curte miccine) — Taur. 217: habet sacerdotem et clericum — Sign. 294 (in corte).
L'anonimo Magliabecchiano (p. 21 ed. Mercklin, p. 164 Urlichs) dice che in summitate arcis a latere porticus Crinorum fuit templum Iovis Optimi Maximi, id est supra corte domne Micina (v. più sotto s. v. S. Salvatoris de Maximinis): p330 quindi la corte di Donna Miccina doveva trovarsi fra la pendice occidentale del Campidoglio e la piazza Montanara (v. anche più sotto n. 74 S. Mariae in Petrochia). Da ciò si rileva la situazione approssimativa della chiesuola scomparsa, senza lasciar vestigia dopo il sec. XV. Donna Micina sarà stata di una famiglia nobile romana del sec. XI o XII: il suo nome ricorre pure nella località detta balneum Micinae nella regione del Circo Flaminio (v. più sotto s. v. S. Valentini). Erra l'Armellini (p. 599 e 651) sostenendo che "un palatium Micinae fino al sec. XV (sic) sia notato nella pianta di Leonardo Bufalini nel Trastevere presso S. Lorenzo in Ianiculo"; ivi invece si trova segnato il palazzo della famiglia Micinelli, del sec. XV-XVI (cf. Ehrle Pianta del Bufalini p. 32).
Lonigo Barb. f. 34 v., Vallicell. f. 54 v. (da Cencio: S. M. in corte Dne. Nuzzine); Armellini 1 353 2 599; Lanciani Bull. comun. XLV, 1917, p. 186.
M37. S. MARIAE A CURTE PRAEFECTI
Cenc. 228 (in curte) — Paris. 59.
Chiesuola annoverata sotto il nome di S. Maria de curte fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 7). Si deve cercare, secondo l'ordine topografico di questo documento, non lungi dal Tevere, nei pressi di S. Nicola de furcis e S. Biagio de Captosecutae: la curtis praefecti potrebbe essere la Corte Savella. Non si può ammettere l'identificazione proposta dal Fonseca (de basilica S. Laurentii in Damaso p. 292) con S. Simeone e Giuda sul Monte Giordano: v. più sotto s. v. S. Mariae in Monticello.
M38. S. MARIAE DOMNAE BERTAE
Cenc. 203 (de Berta): den. VI — Paris. 86 (Dompna Berta) — Sign. 301 (de Berta).
Chiesuola registrata dal Signorili fra S. Maria in porticu e S. Lorenzo de Mondezariis, da cercarsi quindi presso la Via di Porta Leone. Un documento del 1238, pubblicato dalla Schiaparelli (Arch. soc. romana XXV, 1902, p. 29), contiene il ragguaglio di un processio di un Gualterius presbyter ecclesiae S. Marie dompne Berte contro due tintori ebrei qui tinctam et aquam tincte ante domum ipsorum proiciunt, quae per viam rectam ante praefatam ecclesiam decurrit. La chiesa scompare dopo il 1400. V. anche sopra p. 236 n. 16 s. v. S. Catharinae de Porta Leone.
Lonigo Barb. f. 34, Vallicell. f. 50 (da Cencio); Armellini 1 440 2-.
p331 II Jk
M39. S. MARIAE DOMNAE ROSAE
Cenc. 55 (monasterium domine Rose): sol. II; id. lit. 23 (mon. domine Rosae): sol. II — Paris. 49 (de Rosa) — Taur. 357 (ecclesia S. M. dompne Rosae): habet primicerium et V canonicos — Sign. 52, rel. 84.
Monastero con chiesa fondato prima del Mille da alcuni membri della nobiltà romana, Gratianus, Gregorius, Domina Rosa et Imilla (bolla di Celestino III del 4. ott. 1192 nel Bullario Vaticano I p. 74; Schiaparelli Arch. soc. romana XXV, 1901, p. 345 n. 74; Kehr IP. I p. 109 n. 5). Giovanni XIX (1024‑1033) concedette al monastero, come si rileva dalla medesima bolla, pratum unum infra campum de Meruli extra portam Portuensem. La chiesa era costruita fra le rovine del Circo Flaminio chiamato allora Castrum Aureum, cf. Anonymus Magliabecch. p. 164 ed. Urlichs: ad monasterium dominae Rosae fuit oraculum Iunonis et castrum aureum; nell'elenco delle venti abbazie è ricordata col nome di S. Mariae in castro aureo (sopra p. 129 n. 20). Essa viene pur mentovata nel Liber Anniversariorum del Gonfalone (sopra p. 62 n. 86 p. 66 n. 120:º monistero della Rosa), mentre in altri cataloghi dei sec. XV-XVI è menzionata la cappella di S. Saturnino (catal. a. 1492 sopra p. 77 n. 227; Liber Anniversariorum S. M. de Porticu p. 59 n. 40; Liber Anniversariorum S. M. de Araceli p. 67 n. 109; cf. Marchetti-Longhi p. 716 sg.). Fu riedificata nel 1564 dal Cardinale Donato Cesi sotto il nome di S. Caterina dei Funari, che tuttora ritiene.
Del Sodo Vallicell. f. 142, Vatic. p. 75 (S. Caterina, monastero di s. Maria della Rosa); Panciroli 1 256 2 733; Lonigo Barb. f. 35v., Vallicell. f. 52; Martinelli 374; Lubin 335; Nibby 148; Forcella IV p. 329‑339, XIII p. 373‑378; Armellini 1 177 2 567; Angeli 82; Kehr IP. I p. 108 sg.; Calvi Bibliografia 57; B. Cettan, Bessarione XVIII, 1914, fasc. 2. 3; Marchetti-Longhi Memorie dei Lincei Ser. V vol. 16 (1923) p. 668 sg.
M40. S. MARIAE IN DOMNICA
Cenc. 31 (in Domnica): sol. II — Paris. 72 (de Dompnica) — Taur. 286 (in Dompnica): habet II clericos — Sign. 262.
Diaconia antichissima, mentovata nel Liber Pontificalis XCVIII (Leone III, 795‑816) c. 29, 52, 62, 70, 98 e C (Paschalis I 817‑820) c. 11 e 40. Dal secolo XVI in poi viene chiamata della navicella, da una piccola nave antica di marmo eretta sulla piazza dinanzi alla chiesa e proveniente forse dalla vicina edicola di Iuppiter redux in castris peregrinis, p332 ove in tempi antichi era stata posta a causa di un voto di qualche miles frumentarius (v. Huelsen-Jordan Topographie I, 3, p. 235).
Del Sodo Vallicell. f. 169, Vatic. p. 202; Panciroli 1 492 2 122; Lonigo Barb. f. 37v., Vallicell. f. 36v.; Martinelli 214; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 194‑199 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 143v.‑146 (lat.), vol. 4 (to. III) f. 201‑209 (= lib. IIII c. 16); Nibby 371; Forcella VIIII p. 171‑179; Armellini 1 398 2 501; Angeli 302; Marucchi 217; Calvi Bibliografia 88.
Per un riassunto storico-artistico e una foto, si veda il mio sito.
M41. S. MARIAE DE EPISCOPIO
Paris. 107 (S. M. de e. in monte Aventino) — Taur. 259: est sine hostiis, non habet servitorem — Sign. 332 (de Piscopio).
Secondo l'ordine topografico dei cataloghi, questa chiesa dovrebbe cercarsi sul versante occidentale dell'Aventino: tanto il Torinese quanto il Signorili la registrano fra i due gruppi di chiese in Marmorata ed in horrea. Scomparve dopo il sec. XV senza lasciar vestigia, di modo chè il sito esatto non si può indicare. L'Armellini sospetta con ragione che il cognome significhi che ivi presso fu la residenza di uno dei vescovi suburbicarî e probabilmente dell'ostiense.
Armellini 1 439 2 607.
M42. S. MARIAE IN FALCONE
Paris. 76 — Taur. 107: non habet servitorem — Sign. 95.
Chiesa suburbicaria situata al di là di Ponte Molle. Il Martinelli cita un istrumento di enfiteusi concessa dal capitolo di S. Eustachio a Girolamo Basso cardinale di S. Crisogono il 12. aprile 1483 (notaio Antonio de Albertis de Orvieto), nel quale si ricorda la chiesa; egli aggiunge: creditur esse ecclesia in fundo Farnesiorum, et in loco ubi dicitur Costantino castra posuisse contra Maxentium, cuius ruinas vidimus ex gratia D. Alexandri Siri. La vasta tenuta denominata Falconis è menzionata già nella bolla di Gregorio VII (1073‑1085) per S. Paolo fuori: ivi si conferma al monastero casale Falconis quod vocatur, situm ex integro, usque ad pontem Molli et usque ad S. Leucium (= Tor di Quinto; Coppi Dissertazioni dell'Accademia Pontificia XV, 1864, p. 215; Kehr IP. I p. 168 n. 16; Tomassetti Campagna Romana III, 1913, p. 239). L'Armellini cita pure una carta del 484 nell'Archivio vaticano (Excript. arch. Vat. 2), relativa alla donazione di una vigna extra Portam Castelli in loco qui dicitur Falconi. La chiesa viene registrata nel catalogo di Torino insieme con il gruppo vaticano, mentre in quello del Signorili il nome p333 erroneamente è trasferito fra le chiese del Campo Marzo (fra S. Eustachio e S. Luciae de apothecis). Probabilmente era situata sotto il Monte Mario, nei pressi di Villa Madama.
Martinelli 372; Armellini 1 660 2 840.
M43. S. MARIAE DE FERRARIIS
Cenc. 259: den. VI — Paris. 70 — Taur. 189: habet I sacerdotem — Sign. 258.
Chiesa situata nelle vicinanze del Colosseo, verso orientale, scomparsa dopo il sec. XV. Un presbyter Johannes ecclesiae S. Mariae de ferrariis comparisce in un documento del 1205 presso Nerini, storia di S. Alessio p. 415, un . . . . clericus S. Mariae de Ferrariis de Urbe in una bolla d'Innocenzo IV del 18. marzo 1254 (III p. 450 n. 7213 ed. Berger). Nell'elenco dei beni di S. Giovanni avanti Porta Latina compilato da Niccolò Frangipani a tempo di Bonifazio VIII viene ricordata una domus posita extra Coliseum in parochia ecclesiae S. Mariae de ferrariis que dicitur cripta balnearia (Crescimbeni, Storia di S. Gio. avanti Porta Latina p. 207). Essendo fatiscente, la chiesa fu da Eugenio IV unita con l'ospedale di S. Giacomo presso il Colosseo (v. sopra p. 265 n. 5) mediante bolla del 17. gennaio 1433. In questo documento (stampato presso Adinolfi Laterano p. 154 sg.) si ordina ut ecclesiae Sanctorum Quadraginta . . . . nec un Sancte Marie prope dictum hospitale S. Jacobi consistentes illustre diversis respectibus multum accomodae ecclesiae, sine cura etiam ruine deformitati supposite et fere prorsus destructe, eidem hospitali S. Iacobi unirentru. Si attribuiscono con probabilità alla chiesa alcuni avanzi scoperti nel 1895 fra il Colosseo e le Terme di Tito.
Lonigo Barb. f. 34 v., Vallicell. f. 50 v.; Adinolfi Laterano e Via Maggiore 113, Roma I 319 sg.; Armellini 1 428 2 139; Gatti bull. comun. 1895 p. 124 sg.; Lanciani FUR. f. 29.
M44. S. MARIAE DE FLUMINE
Cenc. 224 (a flumine): den. VI; id. lit. 52 (cappella S. M. a flumine): den. XII — Paris. 82 (de flumine), 99 (a flumine) — Taur. 355 (a flumine): non habet servitorem — Sign. 40, rel. 93 (iuxta flumen).
Chiesuola annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 30), sotto il nome S. Mariae p334 a capite molarum: da quel cognome (v. più sotto S. Thomae in capite molarum) e dall'ordine topografico dei cataloghi si ricava che fu nei pressi del Monte dei Cenci, sul terreno occupato poi dal Ghetto degli Ebrei. Secondo il Lonigo, fu "nei Giudei, lì dove è la scuola loro" (Nolli n. 1030): il cimitero, secondo una notizia nel Diario Vaticani del Terribilini, fu scoperto "incontro alla tribuna di S. Tommaso a Cenci". Il sito, senza nome, ma con l'indicazione "chiesa" è segnato sulla pianta del Ghetto di Bartolomeo dei Rocchi (Uffizi 4206). Nel sec. XV era rinomata per una imagine miracolosa della Madonna; i Libri Indulgentiarum che la ricordano (sopra p. 150 n. 62) la chiamano S. Mariae in molendinis. Il norimberghese Nicola Muffel che visitò Roma nell'anno del Giubileo del 1450, racconta un curioso aneddoto relativo all'imagine ed alla chiesa, ch'egli chiama "Unser Frawen. . . . kirchen in der mül und der prucken an der Tiber" (Bibliothek des literarischen Vereins in Stuttgart vol. 128, 1876, p. 51). Il cognome fu alterato, nei secoli XV e XVI, in diverse maniere. Un documento del 20. luglio 1452 nell'archivio Boccapaduli (Bicci Famiglia Boccapaduli p. 610) è rogato in regione sci. Angeli in domo sive camera presbiteri Iotii de Tybure rectoris ecclesiae sancte Marie prope flumen: il medesimo personaggio, in un altro documento del 13. marzo 1456 (Bicci p. 616 sg.), che si riferisce fra altro ad una domus sancte Marie in Ceriola situata nella contrata merchatelli, è detto dominus Iossius Antonii de Tibure rector ecclesie sancte Marie in Ceriola. Quest'ultimo cognome lo trovo anche in un atto del 20. giugno 1460 (Arch. Capitol. not. Amati prot. 255; Lanciani Storia degli scavi IV p. 67), ove comparisce un dominus Laurentius rector ecclesie sancte Marie de Ceriola. Più usuale è il cognome in candelora (candeloro, candelaria) che si legge nel Liber Anniversariorum S. Mariae in Porticu p. 59 n. 51 ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI (p. 75 n. 178; p. 84 n. 132; p. 92 n. 158; p. 103 n. 238; p. 110 n. 140). Invece i nomi S. Maria in Cacabellis e S. Maria in Campocori, che l'Armellini attribuisce a questa chiesa (lo segue il Lanciani, Storia degli scavi l.c.), non hanno niente da fare con essa; v. sopra p. 316 n. 19 e p. 319 n. 23. La chiesa essendo ruinosa, fu dissacrata per motu proprio di Gregorio XIII del 1. febbraio 1573, e la cura unita a S. Maria in Monticellis: in questa bolla (secondo il Fonseca p. 340) viene chiamata S. Mariae in candelabro a capite molarum. Non si deve confondere con la chiesa delle benedettine nell'isola tiberina presso S. Giovanni Calibita, la quale nei secoli XV e XVI qualche volta viene chiamata S. Maria cantofiume. È diversa pure p335 la chiesuola di S. Maria candelora in Banchi (Anon. Hispan. sopra p. 113 n. 254; Adinolfi Canale di Ponte p. 42; Armellini 1 448 2 352.
Panciroli 1 471 2 626; Lonigo Barb. f. 35, Vallicell. f. 51; Ciampini de Vicecancellario 173; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 336; Martinelli 370. 450; Armellini 1 366. 381 2 574. 619.
M45. S. MARIAE IN FORMOSA
Chiesuola annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 48). Dall'ordine topografico di questo documento e del catalogo Signoriliano si rileva ch'era nelle vicinanze di S. Maria de Publico e di S. Valentino. Non si possono accettare le identificazioni proposte dal Fonseca con S. Maria de Maxima (S. Ambrogio), e dal Duchesne (Mélanges de l'École franç. XXV, 1905, 153) con S. Maria Domnae Rosae.
Ciampini de Vicecancellario 176; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 374; Armellini 1 428 2 565.
M46. S. MARIAE IN FORO
Cenc. 286: den. VI — Taur. 205: habet I sacerdotem — Sign. 283.
Secondo l'ordine topografico dei cataloghi questa chiesuola doveva trovarsi presso S. Adriano e S. Basilio, vale a dire sul terreno del Foro di Augusto. Non si può ammettere l'opinione del Duchesne che sia identica con S. Maria in macello (v. sopra p. 311 n. 11), e molto meno pensare con l'Armellini che sia quella chiesa assai antica innestata fra i ruderi della basilica Giulia.
Lonigo Barb. f. 34 v., Vallicell. f. 51 (da Cencio); Armellini 1 440, 1 329, 2 171, 2 537; Duchesne Mélanges de l'École française XXV, 1905, p. 147‑154.
M47. S. MARIAE DE FOVEA ovvero DE FOSSA
Cenc. 190 (de Fossa): den. VI — Paris. 87 (de Fossa) — Taur. 219 (de Fovea): habet I sacerdotem — Sign. 296 (de fovea).
Chiesa tuttora esistente a sud del monte Capitolino, in prossimità di Piazza Montanara, sotto il nome di S. Giovanni Decollato. Questo nome, secondo il Panciroli, gli fu dato quando Innocenzo VIII, con bolla del 23. agosto 1490 la confermò alla compagnia della Misericordia dei Fiorentini. La contrada Sce. Marie de Fovea in regione Ripae viene menzionata p336 in un documento del 1. giugno 1345 nell'archivio di S. Alessio (Monaci Arch. soc. romana XXVIII, 1905, p. 409 n. 97). V. anche sopra p. 225 n. 2 s.v. S. Caeciliae de Fovea.
Del Sodo Vallicell. f. 126 (S. Giovanni decollato. . . . prima S. Maria della Fossa) Vatic. p. 126; Panciroli 1 351 2 719; Lonigo Barb. f. 34 v., Vallicell. f. 50 v.; Martinelli 372; Armellini 1 428 2 632. • Titi 80‑81 (S. Giovanni Decollato).
M48. S. MARIAE DE GRADELLIS
Cenc. 121: den. VI — Paris. 80 — Taur. 244: habet sacerdotem et clericum — Sign. 321.
Chiesa situata, come l'omonima di S. Gregorio (sopra p. 258 n. 9) sotto l'Aventino presso la Schola Greca. L'opinione molto diffusa (v. anche Lanciani Storia degli scavi I p. 90) che le gradellae siano i gradini del Circo massimo è inammissibile. Più verosimile mi pare che il nome stia in relazione con le gradinate che in quella sponda del fiume scendevano per il servizio dei numerosi aquimolia. Il nome della contrada occorre per la prima volta in una bolla d'Innocenzo II del 27. ottobre 1140 (Kehr, Nachrichten von der Göttinger Gesellschaft der Wissenchaften 1900 p. 166 n. 17), nella quale alla chiesa di S. Stefano Rotondo (= delle Carrozze) viene confermata fra altri beni una domus posita iuxta gradellas, quam tenet Io. Francenspanem. Quasi contemporaneo è il passo nei Mirabilia c. 28 (Jordan Topogr. II p. 641; Urlichs Codex topographicus p. 112): ad gradellas fuit templum Solis. Che nel sec. XV il templum Solis fu creduto il pseudoperittero presso il Ponte Rotto, si ricava da due testimonianze. Quando, nel 1571, il cardinale Santori fece restaurare la chiesa, tornò in luce fra i ruderi una epigrafe metrica:
Hoc dudum fuerat fanum per tempora prisca Constructum Phoebo mortiferoque Iovi Quod Stephanus veteri purgavit stercore iudex Atque decora. . . . |
(Torrigio Grotte Vaticane p. 359 ed. 1639; Brutius f. 287; Terribilini f. 195). Racconta poi il cosi detto Anonimo Magliabecchiano (Jordan Topogr. l.c. Urlichs p. 168): ad gradellas fuit templum Solis, et non fuit de eo multa mentio facta, quia qui ipsum aedificavit non multum dives in eo tempore fuit, et constituit illud in parvam rem, et est nunc quasi memoria. Con l'ultima frase l'autore vuol dire che l'edifizio ha l'aspetto di una cappelletta sepolcrale: e tutta la descrizione ben si addice ad un edifizio costruito esclusivamente di pietra locale, senza marmo.
p337 Dagli scavi del 1571 tornò alla luce pure una sa epigrafe metrica, che nella copia fatta per ordine del cardinale ed affissa all'altare maggiore, fu confusa con la prima:
Virginis in variis radiat domus alta figuris, Quae dominum castis visceribus tenuit, Cuius amore pius Stephanus cum coniuge fretus Cum genitisque pium quod nitet auxit opus. Nobilis, ingenuus, doctissimus, integer, almus Aethereum est et erit culmen is Ausoniae. Praesulis octavi nunc tempore iure Ioannis Templa dicenda dei plena favore pio, Ut simul angelicum teneat super aethera thronum, Sitque sui pulchrum seminis inde genus. |
(Torrigio l.c., contaminandola con la prima, mentre il Bruzi ed il Terribilini la distinguono espressamente, riferendosi a copie nell'archivio della chiesa). Questa seconda iscrizione attesta, che il tempio antico fu trasformato in chiesa della Madonna fra l'872 e l'882. Un documento del 2. marzo 1181 nell'archivio di S. Maria Nova (Fedele, Archivio della società romana XXV, 1902, p. 62 n. 116) ricorda un presbiter Albertus sancte Marie de Gradellis. Una carta dell'Archivio di S. Alessio dell'11. febbraio 1243 (1245?) si riferisce all'affitto di una domus solarata. . . . posita in porticu Gallatarum ante ecclesiam S. Mariae de Gradellis (Nerini, Storia di S. Alessio p. 432; Monaci Arvo della soc. romana XXVIII, 1905, p. 164 n. 40). Il cardinale Giacomo Savelli, poi pontefice Onorio IV, nel suo testamento del 24. febbraio 1279 (Prou, Régistre d'Honorius IV p. 578 n. 823) divide i suoi beni urbani in due parti: una comprende omnes domus, turres seu ruinas turrium quas habemus ab ecclesia S. Mariae de Grandellis (sic) supra versus Marmoratam, et munitionem montis qui supra Marmoratam (est); l'altra alias domos et turres seu ruinas turrium quas habemus a dicta ecclesia Sanctae Mariae citra versus Ripam et in tota regione Ripae, et munitionem montis Fabiorum se de Sasso. La munitio supra Marmoratam è il castello dei Savelli presso S. Sabina, la munitio montis Fabiorum seu de Faffo (così bisogna leggere; cf. Rendiconti dell'Accademia Pontificia I, 1923, p. 169 sg.) è l'altro castello dei Savelli fra le rovine del Teatro di Marcello; la chiesa di S. Maria Egiziaca si trova proprio in mezzo fra questi due punti.
In un documento del 1358 citato dal Fedele (Arch. della soc. p338 romana XLII, 1919 p. 380) si descrive una casa cui a duobus lateribus vie publice, ab alia et retro est platea ecclesie S. Marie de Gradellis. Quella piazzetta viene ricordata ancora in un documento del 13. novembre 1521 (Arch. stor. Capitolino, Fr. Galleanus clericus Laudensis not., script. Arch. vol. XXXIX p. 164; Lanciani Bull. comun. 1917 p. 179), col quale d. bernardinus Jubilei rector ecclesiae S. Mariae de Gradellis dà i affitto quoddam ecclesia predicta. Il nome di S. Maria Egiziaca occorre per la prima volta nel catalogo del 1492 (sopra p. 77 n. 249) e diventa comune nel sec. XVI (catalogo del 1555 sopra p. 84 n. 134; Tassa di Pio IV p. 91 n. 122; catalogo di S. Pio V p. 104 n. 253; dell'Anonimo Spagnuolo p. 112 n. 214).
Del Sodo Vallicell. f. 129 v., Vatic. p. 241 (S. Maria Egiptiaca); Panciroli 1 611 2 629 (S. Maria Egizziaca); Lonigo Barb. f. 35, Vallicell. f. 51 (S. M. de gradellis, da Cencio); Martinelli 180 (S. Mariae aegyptiacae); Bruti vol. 20 (to. XIX) f. 267‑275, vol. 14 (to. XIII) f. 202 v.- 208 v. (lat.); Terribilini cod. Casanat. 2183 f. 194‑203; Nibby 373; Forcella X p. 421‑444; Armellini 1- 2 599 (S. M. de Gradellis) 1 400 2 612 (S. M. Egiziaca); Angeli 305; Lanciani Bull. arch. comunale 1917 p. 175‑180.
M49. S. MARIAE DE GUINIZO
Cenc. 83 (de Guinizzo): den. VI — Paris. 78 (de Guinosa) — Taur. 384 (de Guiniço): habet sacerdotem et clericum — Sign. 65 (in Grumezo).
L'ordine topografico del Torinese e del Signorili c'insegna che questa chiesa va cercata sul versante occidentale del Campidoglio: il cognome quindi senza dubbio sta in relazione con una famiglia nobile, che nei secoli XII e XIII possedeva quella parte dello storico colle. Nella bolla di Anacleto II (1130‑1138), ripetuta in quel d'Innocenzo IV del 5. luglio 1252 (Jordan Topographie II p. 667; Urlichs Codex topogr. 147; Jaffé-Lowenfeld 8425; Kehr IP. II p. 101 n. 1) che precisa i confini dei beni appartenenti al monastero di Araceli, vien detto: ab alio latere via publica, quae ducit sub Capitolium et exinde descendit per limitem et appendicem supra hortos quos olim Ildebrandus et Iohannes de Guinizo tenuerunt, usque in templum maius quod respicit super Alaphantum. Quest'ultima indicazione si riferisce, come è stato riconosciuto da tempo, ai ruderi del tempio di Giove Capitolino: quindi gli orti dei figli di Guinizo debbone essere stati a piè del monte verso la Piazza Montanar e la linea di confine in parte identica con la Via dei Saponari. In questa via esiste tuttora la chiesuola detta S. Maria in Vincis, il cui cognome non p339 è altro che una corruttela della medievale de Guinizo o de Guinizis. La tassio di Pio IV (sopra p. 91 n. 127) registra la chiesa sotto il nome di S. M. in Vinchi nel rione di Ripa, il catalogo di S. Pio V (p. 104 n. 249) la chiama S. M. in vincis. Gli autori del secolo XVI, non conoscendo il casato della famiglia da lungo tempo estinta, generalmente mettono il vocabolo vincis in relazione con vincula (v. sopra p. 185 n. 38 s.v. S. Andrea de funariis); non di rado il de vincis (catalogo del 1492 p. 76 n. 1222). Nel sec. XVII, secondo che dicono il Martinelli ed il Bruti, era più usuale il nome di S. Maria in Monte Caprino. Non si può ammettere l'opinione del Duchesne (Mélanges de l'École française XXV, 1905, p. 151) che S. Maria de Guinizo sia identica con S. Maria de Macello (v. più sotto p. 341 n. 54).
Del Sodo Vallicell. f. 155, Vatic. p. 224 (S. Maria in Vincis vicino a Piazza Montanara); Panciroli 1 610 2 63; Lonigo Barb. f. 39 v., Vallicell. f. 57 v. (in Vincis), Barb. f. 53, Vallicell. f. 51 v. (de Guinizo, da Cencio); Martinelli 211 (S. M. in Camprino monte; dicebatur in Vincis); Bruti vol. 3 (to. II) f. 390 v. 391 (= lib. III c. XXXIII; S. M. in Vincis hodie S. M. de monte Caprino); Crescimbeni Storia di S. Anastasi 107; Forcella II p. 89‑93; Armellini 1 443 2 527 (S. Mariae de Guinizo) 1 374 2 558 (S. Maria in Vincis).
— S. MARIAE IN HADRIANO v. S. Mariae Transpadina.
M50. S. MARIAE DE INFERNO
Taur. 311: non habet servitorem — Sign. 288.
Chiesuola costruita, prima del sec. XIV, sopra quella antichissima di S. Maria Antiqua. Il locus qui dicitur infernus presso la chiesa di S. Antonio (v. sopra p. 199 n. 64) è menzionato nei Mirabilia c. 24 (Jordan Topogr. II p. 636, cf. 499 sg.). Nei sec. XVI e XVII spesso viene detta S. Maria libera nos a poenis inferni (nella Tassa di Pio IV, sp p. 91 n. 117, S. Maria libera nos) oppure S. Maria Liberatrice senz'altro (così nel catalogo del 1492, sopra p. 77 n. 242). L'Anonimo Spagnuolo (p. 107 n. 46) la chiama S. Maria liberatrice, als. S. Silvestro in lago: ma quest'ultimo nome è una invenzione degli astigrafi del sec. XVI; v. più sotto fra le chiese apocrife. Fu demolita nel gennaio del 1900 (v. de Grueneisen, S. Marie Antique p. 54) per gli scavi che dovevano rimettere alla luce l'insigne basilica antica.
Del Sodo Vallicell. f. 164, Vatic. p. 209 (S. Maria libera poenis inferni); Panciroli 1 512 2 702; Lonigo Barb. f. 37 v., Vallicell. f. 54 v.; Martinelli 222; p340 Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 74‑82 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 57 v.- 63 (lat.), vol. 4 (to. III) f. 104‑113 (= lib. IIII cap. 6); Nibby 377; Forcella VII p. 402‑410; Armellini 1 357 2 527; Lanciani Bull. arch. comunale 1900, 307‑317. • Titi 205.
M51. S. MARIAE INTER DUO ovvero INTER DUAS
Cenc. 278 (inter duas): den. VI — Paris. 69 (in Terdoa) — Taur. 190 (inter duo): habet I sacerdotem — Sign. 259 (inter duas).
Chiesa situata nei pressi del Colosseo, probabilmente (come l'altra S. Nicolai inter duo) fra le due grandi strade antiche, delle quali l'una (il Vicus Cyprius) costeggiava il versante sud delle Carine, mentre l'altra (il Compitum Acili) conduceva in cima al colle. La congettura del Lanciani (Ruins and Excavations 347) che il cognome abbia conservato la memoria di una località detta inter duos lucos, ricordata dagli Scriptores Historiae Augustae (Trig. tyrann. c. 25), non mi pare ammissibile, perchè quella località si trovava in monte Caelio. V. Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 242 not. 57.
Lonigo Barb. f. 35, Vallicell. f. 51; Armellini 1 354 2 140.
M52. S. MARIAE IN IULIA ovvero DE IULIA
Cenc. 57 (monasterium de Iulia): den. XVIII, id. lit. 20 (monasterium Iuliae): sol. II — Paris. 50 (de Iulia) — Taur. 364 (monu S. M. in Iulia): habet moniales XL — Sign. 45 rel. 82 (in Iulia).
Chiesa con annesso monastero, ricordata per la prima volta nella biografia di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 77, cf. sopra p. 9 n. 89) sotto il nome di monasterium S. Mariae quae appellatur Iuliae. Da due documenti del 1046 e del 1185 citati, ma senza indicazione di provenienza, da Domenico Tordi (Corriere di Roma anno III p. 129, ripetuto presso Armellini 2 450) risulterebbe che nei sec. XI e XII fosse chiamato pure monasterium S. Mariae et Anastasii quod vocatur de Iulia. La chiesa viene annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 41), sotto il nome di S. Mariae Iulia. Il Liber Anniversariorum del Gonfalone (p. 65 n. 96) la chiama S. Maria in Iulia. Il cognome ricorda senza dubbio una pia e nobile fondatrice. Dal principio del sec. XVI, al nome della Madonna si sostituì quello di S. Anna: il catalogo di S. Pio V (sopra p. 102 n. 182) ricorda S. Anna in Iulia con S. Salvatore in Iulia. Sotto il nome di S. Anna dei Funari, ovvero dei Falegnami, ha esistito sino al cadere del sec. XIX: fu demolita nel 1887 (Not. degli scavi 1887 p. 235 sg; Bull. arch. comunale 1887 p. 177 sg.).
Del Sodo Vallicell. f. 141, Vatic. p. 42 (S. Anna delle moniche alli funari); Panciroli 12 741 (S. Anna alli funari); Lonigo Barb. f. 35; Vallicell. f. 51; Martinelli 60. 372; Bruti vol. 16 (to. XV) f. 97‑99 (ital.), vol. 11 (to. X) f. 84‑85 (lat.); Ciampini de Vicecancellario p. 178; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 371; Cancellieri Notizie istoriche della chiesa di S. Maria in Iulia ecc. (Bologna 1823); Nibby 98; Forcella X p. 73‑82; Armellini 1 355 2 447; Calvi Bibliografia 88.
M53. S. MARIAE DE LUTARA
Il solo biografo di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 80; sopra p. 9 n. 109) menziona un oratorium S. Mariae quod ponitur in monasterio de Lutara: nulla si sa intorno al luogo ed alle vicende del monastero e della cappella. È asserzione gratuita del Grimaldi (seguito dal Martinelli e dall'Armellini) che sia identica con S. Mariae in monasterio.
Lonigo Barb. f. 33 v., Vallicell. f. 49 v. (dal Lib. Pont.); Martinelli 373; Armellini 1 332 2 142.
M54. S. MARIAE E MACELLO
Cenc. 84: den. VI — Paris. 96 — Taur. 386: habet I sacerdotem — Sign. 68.
La bolla di Anacleto II, che conferma al monastero di S. Maria in Araceli il Monte Capitolino (Jordan Topogr. II p. 667; v. sopra p. 338 n. 49) dopo aver menzionato gli horti de Guinizo ed il templum maius quod respicit super Alaphantum, continua: a tertio latere ripae quae sunt super fontem de Macello. Questo macello con il fonte doveva trovarsi sotto la pendice meridionale del Campidoglio, non lungi da S. Maria de Guinizo e la Piazza Montanara. Siccome poi le chiese denominate da quel macello, S. Maria e S. Nicola, appartengono alla Parte di S. Tommaso, debbono essere state assai vicine al Campidoglio: non soltanto le chiese di S. Gregorio a Ponte Quattro Capi e S. Nicola in Carcere ricordate dal Duchesne p. 152 not. 1, ma anche quelle S. Caeciliae de Monte Faffo e S. Salvatoris de Maximinis, che stanno a pochi passi da S. Maria de Guinizo, appartengono alla Parte di S. Cosma e Damiano. Il sito esatto per ora non si può stabilire; ma non si può identificare, come volle il Duchesne, con S. Maria de Guinizo, nè, come fecero p342 l'Armellini ed altri, con la chiesa sul Foro Transitorio chiamata modernamente S. Maria degli Angeli in macello martyrum.
Lonigo Barb. f. 35, Vallicell. f. 51 v. (da Cencio); Martinelli 373; Armellini 1 434 2 170; Duchesne Mélanges de l'École française XXV, 1905, p. 147‑154.
M55. S. MARIAE MAIORIS
Cenc. 2: sol. IV, id. lit. 3: sol. V — Paris. 35 — Taur. 149: est patriarchalis et habet XVII canonicos et XVIII benefitiatos et capellanos — Sign. 213, rel. 4.
Questo insigne santuario, fondato da papa Liberio (352‑366) iuxta macellum Libiae (LP. XXXVII c. 6), splendidamente restaurato da Sisto III (432‑440; LP. XLVI c. 3):hic fecit basilicum S. Mariae quae ab antiquis Liberi cognominabatur, iuxta macellum Lybiae), porta dal sesto secolo al non quasi costantemente il cognome S. Mariae ad praesepe, da una delle principali reliquie ivi conservate. Il cognome oggi usuale si trova, per quanto vedo, per la prima volta la biografia di Sergio II (844‑847; LP. CIV c. 20): basilica b. Dei genetricis quae maior ab omnibus nuncupatur. Il cognome ad nives, che si riferirebbe alla pia leggenda sulla fondazione della basilica, non occorre in documenti ed autori medievali.
Panvinius de praecipuis Urbis basilicis p. 234; Ugonio Stazioni f. 64 v.; Del Sodo Vallicell. f. 55 v.-60; Vatic. p. 166‑176; Panciroli 1 516 2 249; P. de Angelis Basilicae S. Mariae Maioris. . . . descriptio et delineatio, Romae 1621; Lonigo Barb. f. 38, Vallicell. f. 55; Severano Sette Chiese 689; Martinelli 223; Bruti vol. 7 (to. VI) f. 1‑176 (= lib. VIII c. 1‑26); Nibby 380; Forcella XI p. 1‑168; Adinolfi II p. 148‑213; Armellini 1 383 2 226; Marucchi 149; Ferri Arch. della soc. romana XXVII (1904) p. 147‑202, 441‑458, XXVIII (1905) p. 23‑39, XXX (1907) p. 119‑168; Kehr IP. I p. 53; Calvi Bibliografia 89‑91; G. Biasiotti La basilica Esquilina di S. Maria ed il Palazzo Apostolico apud S. Mariam Maiorem (Roma 1911). • Titi 249‑266.
Per un riassunto storico-artistico e alcune foto, si veda il mio sito.
M56. S. MARIAE IN MAIURENTA
Cenc. 309 (in Maiurenta): den. VI, ignota et sine clericis — Paris. 90 (Mavirente).
Chiesuola scomparsa già nel sec. XIV, situata nel Campo Marzo, probabilmente non lungi della Piazza Navona. I Mirabilia c. 22 (Jordan II p. 629; Urlichs Codex topogr. p. 107) rano, dopo fatta menzione del Pantheon e del Palatium Alexandri (Thermae Neronianae): p343 ad concam Parionis fuit templum Gnei Pompei mirae magnitudinis et pulchritudinis; monumentum vero illius quod dicitur maiorentem (maioretum, maurentum var.) fuit oraculum Apollinis: alia(s) fuere alia oracula. Ecclesia S. Ursi fuit secretarium Neronis. Pare quindi probabile che la conca Parionis ed il maiorentum si debbono cercare nella parte settentrionale del rione (mentre lo Jordan p. 436 volle identificare il templum Pompei con il Teatro di Pompeo oppure l'Ecatostilo). Un Romanus de Maiurente figura nella bolla di Onorio II del 117 (Liverani opp. IV p. 258; Kehr IP. I p. 13 n. 22) fra i rectores Romanae fraternitatis. Il Lonigo erroneamente volle derivare il cognome dal supposto fatto "che fosse fabbricata da qualcheduno di quelli officiali del palazzo apostolico che si chiamavano Maiurenti".
Lonigo Barb. f. 35, Vallicell. f. 51 v. (da Cencio); Armellini 1 431 2 829.
M57. S. MARIAE DE MANU
Cenc. 289: den. VI — Paris. 104 (de mano) — Taur. 249: habet I sacerdotem.
Chiesuola posta fra le sostruzioni del lato orientale del Circo Massimo, sotto le pendici del Palatino. Nel sec. XII appartenne al monastero di S. Gregorio ad clivum Scauri, come si rileva dalle bolle d'Innocenzo IV del 25. giugno 1249 e Bonifazio VIII del 17. giugno 1299 (Mittarelli Annales Camaldulenses V p. 342 n. 202). Gai in un documento del 20. dicembre 1215 (Mittarelli IV app. p. 337 n. 209) si menziona, come pertinente al monastero ecclesia S. Mariae de Manu, si facta fuerit et presbyter ibi fuerit; non si deve però, come fece il Mittarelli, conchiuder che la chiesuola fosse edificata per la prima volta nel 115, perchè già si trova ricordata da Cencio: si tratterà piuttosto di un restauro. Per la ubicazione è di speciale importanza uno strumento pubblicato dal Lanciani Storia degli scavi I p. 179 (dagli atti del notaio Amanni prot. 61 f. 391), col quale l'abate di S. Gregorio il 30. novembre 1515 loca duas criptas in palatio maiore, quarum una posita est sub dictum palatium versus Circum Maximum in strada publica Sancte Marie de manu versus S. Gregorium. Cf. anche Röm. Mittheilungen IX, 1894, p. 5. Nel testamento di Gabriele di Matteo de Rubeis, del 29 maggio 1517 (Arch. di Stato di Roma, not. Lutinus de Masiis, prot. 1904 f. 158; ed. Marchetti-Longhi Memorie dei Lincei Ser. V vol. XVI, 1923, p. 78) sono registrate duae criptae ad circulos in pede Palatii Maioris. . . . versus Sanctum Gregorium et iuxta ecclesiam S. Mariae della Mano. Quanto al p344 cognome, giova ripetere ciò che ne racconta Gius. Tomassetti (Campagna Romana II, 1910, p. 16): "una gran mano di pietra, con l'indice alzato, appartenente a qualche antico colosso, doveva giacere in questo sito. La provvida mano moderna, cioè del sec. XVI, di un architetto capriccioso la collocò sull'alto di quel prospetto destinato ad ornamento di un giardino di quel tempo, e che si vede sulla sinistra. Il prospetto è decorato con i gigli della casa Farnese, proprietaria degli orti palatini. Il volgo la dice mano di Cicerone. . . la detta mano, che deve aver dato il nome alla chiesa, è stata rimossa e surrogata con una moderna di stucco". Credo che la chiesuola sia identica con quella chiamata nei sec. XVIII e XIX S. Maria dei Cerchi (Nolli n. 960) e profanata circa il 1885. Tanto sul bel disegno del Cronaca (Uffizj, Raccolta Santarelli n. 158; Bartoli Cento vedute di Roma antica tav. XXV), quanto sull'incisione del Dupérac (Vestigia di Roma tav. 11; Bartoli l.c. tav. XXVI) in quel sito si vede un edifizio in forma di chiesuola.
Lonigo Barb. f. 35 v., Vallicell. f. 51 v. (da Cencio); Armellini 1 431 2 605 (S. M. de manu) 1 447 2 534 (de' Cerchi).
— S. MARIAE AD MARTYRES v. S. Mariae Rotundae.
M58. S. MARIAE DE MAXIMA
Cenc. lit. 26 (monumento Maximae): sol. II — Paris. 92 — Taur. 376 (monumento S. M. de Maxima): habet moniales XII — Sign. 54.
Chiesa e monastero tuttora esistente sotto il nome di S. Ambrogio della Massima. Se ad esso già si riferisca il passo della biografia di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 77; sopra p. 9 n. 88): fecit in monasterium S. Mariae quae appellatur Ambrosii canistrum ex argento, resta incerto. Il cognome sembra derivato da una pia fondatrice chiamata Maxima. La chiesa occorre nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 57 n. 121) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI sotto il nome di S. Maria de Maxima, mentre nei Liber Anniversariorum di S. Maria in Portico (p. 95 n. 44) e del Gonfalone (p. 62 n. 82, p. 66 n. 118) è nominata S. Ambrosio della Massima. Anche nei cataloghi del 1492 (p. 77 n. 224), del 1555 (p. 80 n. 8) e di S. Pio V (p. 103 n. 234) comparisce sotto il nome di S. Ambrogio: per uno sbaglio di amanuense nella Tassa di Pio IV (sopra p. 88 n. 30) viene appellata S. Antonio della Massima. Erra l'Armellini identificandola con S. Maria in Formosa (sopra p. 335 n. 40) e con S. Stefano de Maxima.
Del Sodo Vallicell. f. 124, Vatic. p. 34 (Sant'Ambrogio della Massima in Pescaria); Panciroli 1 190 2 735 (S. Ambrogio della Massima); Lonigo Barb. f. 3, p345 Vallicell. f. 4 v. (S. Ambrosii de M.), id. Barb. f. 35, Vallicell. f. 41v. (S. Mariae de M.); Martinelli 54; Bruti vol. 16 (to. XV) f. 99 v.-103 (ital.), vol. 11 (to. X) f. 85‑89 (lat.); Nibby 72; Forcella IX p. 305‑316; Armellini 1 110 2 564; Angeli 28; Calvi Bibliografia 47. 137. • Titi 92‑93.
M59. S. MARIAE MEDIANAE
Nelle biografie di Leone III (795‑816; LP. XCVIII) c. 55. 101 e di Gregorio IV (827‑844; LP. CIII) c. 44 viene mentovato un oratorium sanctae Dei genetricis Mariae quod Mediana dik, ed in un documento del Regestum Sublacense dell'anno 929 (n. 94 p. 138) è ricordato un mansionarius venerabilis basilicae beati Petri apostoli scole sancte Dei genetricis Marie qui appellatur Meiana. Dai passi surriferiti del Liber Pontificalis si rileva che era situata nel portico della basilica; ma non se ne può indicare il posto esatto.
Armellini 1 444 2 764; Duchesne al LP. II p. 42 not. 70.
M60. S. MARIAE DE METRIO
Taur. 187: habet I sacerdotem — Sign. 257 (de Metrio).
Secondo l'ordine topografico dei cataloghi, questa chiesa si deve cercare nelle Venezia dell'arco di Costantino, e forse con ragione sospettò l'Armellini che il cognome derivi dalla Meta sudans, la fontana monumentale posta ad orientale dell'arco presso il principio della Sacra Via. Alessandro IV con bolla del 9. aprile 1256 (ed. Bourel de la Roncière I p. 391 n. 1310) prese la chiesa, che viene chiamata S. Mariae de Metri de Urbe, sotto la sua protezione; egli assegnò, fra altri beni, due chiese oltremontane, S. Mariae et S. Elisabeth in Ailesvelt, nonchè S. Petri de Insula Cuiavien., al monastero di frati Agostiniani congiunto in quei tempi con la chiesa. Una bolla di Bonifacio VIII del 17. giugno 1299, che ne conferma una precedente d'Innocenzo IV del 27. giugno 1249, è pubblicata dal Mittarelli (Annal. Camaldul. V p. 342 n. 202): per essa, la chiesa S. Mariae de Metriis viene attribuita al monastero di S. Gregorio in clivo Scauri. L'Armellini cita pure una bolla di Urbano V (1362‑1370), nel quale è detta S. Mariae de Metrii (reg. tom. VIII fol. 160). A poca distanza della Meta sudante, proprio sul principio della Sacra Via, fra questa e l'altura del Palatino, gli scavi recenti hanno portato alla luce gli avanzi di una chiesa con celle annesse, innestate nelle rovine di case private dell'età romana: ad essa fu attribuito erroneamente il nome S. Caesarei de Palatio (Lanciani Ruins and excavations p170 sg., cf. p201; v. la confutazione data dal Duchesne Nuovo Bullettino cristiano 1900 p. 16‑28; Huelsen-Jordan Topogr. I, 3 p. 24 not. 53). Mi pare molto probabile che questi avanzi appartengano alla chiesa ed al monastero di S. Mariae de Metrio.
Armellini 1 430 2 522.
06. S. MARIAE IN MINERVA ovvero SUPRA MINERVAM
Cenc. 136 (in Minerva): den. XII — Paris. 42 (de Minerva) — Taur. 138 (in Minerva): habet fratres praedicatores L — Sign. 176 (supra Minembrum), rel. 78 (supra Minervam).
Insigne chiesa edificata sopra le rovine del tempio di Minerva Chalcidica (v. Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 573) nel Campo Marzo. Una tradizione riferita tanto dal Panciroli, il quale la prese "da scritture antiche che si conservano nell'Archivio del Convento della Minerva", quanto nella Cronica del Monistero di S. Maria in Campo Marzio di Fra Giacinto dei Nobili (presso Martinelli 191; cf. sopra p. 321 n. 24) vuole che la chiesa sia stata data alle monache di Campo Marzo da papa Zaccaria (741‑752); ma resta dubbio quanta fede si debba attribuire a tale tradizione. Certo è che la chiesa esisteva già verso l'800, perchè nell'Itinerario dell'Einsidlense si nota Minervium, ibi S. Maria (v. sopra p. 5 n. 43). Che le monache di Campo Marzo la possedessero sino all'anno 1275, quando passò, per donazione del Senato e popolo di Roma, ai padri Domenicani, si asserisce, sull'autorità dei due scrittori sopradetti, in tutte le opere moderne; ma certo è che quel cambiamento di possesso non fu immediato. Da due bolle di Alessandro IV si rivelaº un fatto notevole per la storia della chiesa. Nella prima, del 24. settembre 1255 (Potthast 16020; Bourel de la Roncière vol. I p. 247 n. 821), la chiesa è conceduta mulieribus quae repentitae dicuntur et salutari pudore confessae super his quae in carnis suae corrutione gesserunt, in semitam mandatorum Dei decreverunt. . . de viis inquinationis praeteritae pedes suos; e che queste "Convertite" siano entrate effettivamente nel possesso della chiesa, si rileva dalla seconda bolla del 1. dicembre 1255 (Bourel de la Roncière l.c. p. 265 n. 895), per quale alle mulieres poenitentes quae in S. Mariae de Minerva de urbe sub habitu et observantia Cistercensium commorantur, viene assegnata anche la chiesa di S. Pancrazio, a cagione del luogo troppo ristretto della prima. Ma quest'episodio non fu di lunga durata. I Domenicani erano in possesso della chiesa già nel 1276, come si vede dalla bolla di Giovanni XXI del 3. novembre di quell'anno p347 (p. 8 n. 16 ed. Cadier), per la quale il papa Priori et conventui fratrum praedicatorum de Urbe arbitrium quo ecclesia S. Mariae in Minerva de Urbe iuris alla chiesa potestatis eorum et ab omni iurisdictione capituli S. Marci immunis declaratur, confirmat. Si noti che in nessuno di questi documenti si parla del monastero di Campo Marzo. I Domenicani, come è ben noto, edificarono poco più tardi, in luogo dell'antica e piccola chiesa, la splendida basilica gotica, che tuttora esiste.
Del Sodo Vallicell. f. 149 v., Vatic. 181; Panciroli 12 819; Lonigo Barb. f. 38, Vallicell. f. 55; Martinelli 225; Bruti vol. 22 (to. XXI) f. 28‑130 (= pars IV lib. I c. 7‑14); Nibby 414‑432; Masetti Memorie storiche della chiesa di S. Maria sopra Minerva (Roma 1855(; Forcella I p. 407‑539. 545‑547. XIII p. 378‑402; Armellini 1 406 2 485; Angeli 335; Calvi Bibliografia 93. • Titi 155‑165.
M62. S. MARIAE IN MONASTERO
Cenc. 54: sol. II, id. lit. 19 (monasterium S. M. in monasterio): sol. II — Paris. 44 (S. Maria Mon. ad S. Petrum ad Vincula) — Taur. 176: est capella episcopatus Tusculanensis, habet VI clericos — Sign. 245.
La più antica menzione di questo monastero si trova in un placito di Benedetto VIII del 1014, nel Regestum Farfense (III p. 199 n. 492), ove è ricordato un Petrus abbas monasterii S. Mariae ante venerabilem titulum Eudozie. Gli si dovrebbe ascrivere un'antichità più alta, se fosse giusta la congettura del Duchesne, che lo crede identico con il monastero di S. Agapito ad Vincula, menzionato già nel sec. IX nel Liber Pontificalis (v. sopra p. 165 n. 7). Certo è che il monastero nei secoli dopo il Mille ebbe qualche importanza; nel sec. XII, viene annoverato, fra le venti abbazie della città (s. sopra p. 129 n. 19). Un Romanus yconomus ecclesiae S. Mariae quae appellatur monasterium que posita est ante titulum S. Petri qui dicitur Eudoxiae è in una sentenza emessa dal secondicerio Gregorio l'11. aprile 1155 (Galletti Del primicerio p. 313; Fedele p. 155 n. 1). Da Onorio III con bolla del 19. novembre 1219 venne assegnata ai vescovi tusculani come residenza (Potthast 6162; Pressuti I p. 375 n. 2261). Fra i numerosi documenti raccolti e pubblicati dal Fedele si noti uno del 1. dicembre 1281 (p. 212 n. 2), ove viene parecchie volte chiamata S. Mariae ad Vinclam. La chiesa esistette sino alla metà del sec. XVI; intorno alla sua distruzione si veda la notizia che l'Armellini e meglio il Fedele (p. 226) trassero da un libro catastale di S. Pietro in Vincoli: "questa chiesa è quella che hora è ruvinata in fronte al porticale della nostra chiesa di S. Pietro in Vincola: quale fu profanata da p348 uno certo messer Antonio Sacromone da Rimini procuratore 1544 havendo comprato la vigna . . . . . quale vigna tiene hora Mgr. Dandino vescovo de Imola 1549. Et la detta chiesia.º . . . . . ha case et casalini et sodo confinato con ditta chiesia, dove già fu il palazzo del titolario; quale però perchè ruinava tutto fu dalli frati rovinato con consenso della Sedia Apostolica con un motu proprio di Clemente papa VII doppo il sacco" (l'ultimo periodo relativo al palazzo, presso Armellini viene erroneamente riferito alla chiesa). Il catalogo di S. Pio V la registra sotto il nome "chiesa rovinata nella piazza di S. Pietro in Vincola". Da ciò risulta erronea l'opinione del Marini e del Nibby (seguita dal Forcella X p. 335 e dal Kehr) che essa sia identica con la chiesa della Purificazione nella vigna di S. Pietro in Vincoli (Nolli n. 60).
Martinelli 373; Lubin 339; Adinolfi II p. 114 sg.; Armellini 1 364 2 211; Fedele Arch. soc. romana XXIX, 1906, p. 183‑204; Kehr IP. I p. 48.
M63. S. MARIAE IN MONASTERIO MICHAELIS
Il biografo di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 79; cf. sopra p. 9 n. 98) ricordo un oratorium S. Mariae qui ponitur in monasterium Michaelis. Una bolla di Pasquale II del 24. maggio 1116, pubblicata dal Guiraud (Études d'histoire du moyen-âge dédiées à Gabriel Monod, Paris 1896 p. 241) e dal Kehr (Göttinger Nachrichten 1898 p. 379; IP. I p. 41 n. 5) fa vedere che era situato non lungi dalla basilica dei SS. Quattro Coronati, alla quale fu unito dal papa. In questa bolla, unico documento che ne faccia menzione oltre il Liber Pontificalis, viene chiamata ecclesia b. Mariae quae dicitur in Michaele.
Martinelli 374; Armellini 1 444 2 759.
M64. S. MARIAE DE MONTERONE
Cenc. 241 (S. Martino in Monterone): den. VI — Paris. 63 — Taur. 135 (de Montarone): habet I sacerdotem — Sign. 97
Questa chiesuola viene menzionata per la prima volta fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 53: S. M. in Monterone). Il Ciampini cita una iscrizione ivi esistente per provare che fosse consecrata nel 1051: ma la lapide in verità porta la data del 1351 (Forcella II p. 75 n. 205). Ad un archipresbyter S. Mariae de Monterone de Urbe è diretta la bolla d'Innocenzo IV del 23. magio 1246 (I p. 275 n. 1847 ed. Berger). Un presbyter Matheus rector ecclesie S. Mariae in Monterone è ricordato in un documento del p349 1. maggio 1278 inserito nel Liber Censuum (II p. 50 n. 14 ed. Fabre-Duchesne). Viene ricordata nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 56 n. 97: de M.) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI (sopra p. 76 n. 201, p. 84 n. 130: Monteronis; p. 92 n. 151: in Montarone; p. 102 n. 203: Monterone; p. 110 n. 123: de Monterone) ed esiste tuttora sul posto antico. Il nome si crede derivato dalla famiglia Monteroni di Siena, che la fondò insieme con un piccolo ospizio per i pellegrini senesi.
Del Sodo Vallicell. f. 152, Vatic. p. 227; Panciroli 1 536 2 813; Lonigo Barb. f. 38, Vallicell. f. 55; Martinelli 229; Ciampini de Vicecancellario 178; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 382; Nibby I 438; Forcella II p. 73=87. XIII p. 478‑479; Armellini 1 413 2 453; Angeli 352. • Titi 153.
M65. S. MARIAE IN MONTICELLIS regione Arenulae
Cenc. 261 (in Monticello): den. VI — Paris. 51 (S. M. de Monticellis avil') — Taur. 346: est capella papalis, habet XIIII clericos — Sign. 26 (in Moncello), rel. 95.
Chiesa consecrata da Pasquale II (1099‑1118; LP. ed. Duchesne II p. 305: hic consecravit ecclesiam S. Mariae positam in regione Areolae in loco qui vocatur in Monticelli), e di nuovo da Innocenzo II il 6 maggio 1143 (iscrizione tuttora esistente nella chiesa; Forcella V p. 517 n. 1353). Un Benedictus archipresbyter ecclesiae Sanctae Mariae in Monticello sottoscrive il decreto dell'elezione di Callisto II nel 1119 (Martène et Durand Veterum Scriptorum nova collectio I p. 697; Duchesne LP. II p. 324 n. 4). Fra i clerici che nel 1160 assentirono all'elezione dell'antipapa Vittore vi è anche l'archipresbyter Sanctae Mariae in Monte celso (Otto Frisingensis sive Raewinus de gestis Friderici imperatoris l. IV c. 67, Monumenta Germaniae Script. XX p. 482). In ambedue i casi di dovrà intendere piuttosto questa chiesa che non l'omonima sul Monte Giordano. Per distinguerla da questa, qualche volta fu aggiunto il nome del rione: così una bolla di Urbano IV del 1. luglio 1264 citata dall'Armellini tratta di un canonicato Sanctae Mariae in Monticellis Arenulae de Urbe; e anche nell'archetipo del catalogo parigino si leggeva il nome Arenulae. Nei documenti relativi ad acquisti di terreni che Nicola II comprò per il suo palazzo e giardino al Vaticano (Liber Censuum ed. Fabre-Duchesne II p. 43‑59), la chiesa ritorna più volte col nome Sanctae Mariae in Monticellis de Aureolis (l.c. p. 49 n. 12 e 13, del 30 aprile 1278: Guido presbyter. . . . Romane fraternitatis rector; p. 52 n. 19, 9. maggio 1278: p350 Egidius clericus; p. 53 n. 20, del 11. maggio 1278, beni fuori Porta Castello appartenenti all'ecclesia Sanctae Mariae in Monticellis de Aureolo). La chiesa occorre nei Liber Anniversariorum (sopra p. 56 n. 86: de Monticellis; p. 61 n. 74: in Monticelli; p. 65 n. 90: Monticelli; p. 67 n. 5: in Monticelli) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI (p. 75 n. 183, p. 83 n. 125, p. 92 n. 146, p. 101 n. 175, p. 110 n. 148). Esiste tuttora sul posto originario. Per il cognome merita di essere ricordata la notizia tramandataci dal Panciroli: "Il Monticello fu d'altezza tale che nel 1598 il Tevere inondando per questi contorni la notte del santo Natale di N. Signore, questa restò intatta dall'inondazione".
Del Sodo Vallicell. f. 122, Vatic. p. 207; Panciroli 1 538 2 748; Lonigo Barb. f. 37 v., Vallicell. f. 54 v.; Martinelli 229; Ciampini de Vicecancellario 180; O. Piselli-Ciuccioli Notizie istoriche della chiesa di S. Maria in Monticelli (Montefiascone 1719); Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 400 sg.; Nibby 439; Forcella V p. 513‑534; Armellini 1 370 2 404; Kehr IP. I p. 96; Angeli 356; Calvi Bibliografia 94. • Titi 99.
M66. S. MARIAE IN MONTICELLO ovvero DE MONTE IOHANNIS RONZONIS
Cenc. 236 (S. Martini in Monticello): den. VI, id. lit. 35 (in Monticello): den. XVIII — Paris. 52 (de Monticellis de scorte[claria]) — Taur. 128 (de monte Iohannis Ronçonis): habet I sacerdotem — Sign. 79 (de Monucellis).
Chiesa ricordata per la prima volta nella bolla di Alessandro III del 21. febbraio 1178 per S. Elia di Falleri (Jaffé-Lowenfeld 13027; Corvisieri Arch. soc. romana I p. 164 sg; Kehr IP. I p. 180 n. 1), nella quale sono annoverate le chiese S. Salvatoris (de Inversis) cum ortis iuxta se positis in scorticlara, et ecclesia S. Simeonis, et ecclesia Sancte Marie de Monticellis iuxta eandem ecclesiam Sancti Salvatoris. Pochi anni dopo comparisce fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (v. sopra p. 133 n. 63 in Monticello). Nel sec. XV suole essere chiamata S. Mariae de Monte Iordano: così nei Liber Anniversariorum (sopra p. 55 n. 62, p. 61 n. 49, p. 64 n. 62) ed in altri cataloghi (p. 84 n. 149, p. 92 n. 141). Più tardi, il nome si cambiò in S. Simonis et Iudae: così nel catalogo di S. Pio V (p. 100 n. 135) ed in quello dell'Anonimo Spagnuolo (p. 113 n. 263). La chiesa fu profanata nel principio del secolo corrente. Il Ciampini ed il Fonseca la confondono con S. Maria in Monticelli nel rione Regola, ed attribuiscono, non meno falsamente, a S. Simone e Giuda il nome di S. Mariae de Curte ovvero de Curtibus. Per i diversi nomi p351 del monte è notevole un istromento del 1286 nell'archivio di S. Spirito citato dall'Armellini, che si dice rogato in domibus in quibus dominus Iordanus de Ursinis morabatur, videlicet in monte qui dicitur Ioannis Ronzonis.
Del Sodo Vallicell. f. 91, Vatic. p. 318 (SS. Simone et Iuda, già S. Maria de Monte Giordano); Panciroli 1 538 2 481; Martinelli 305; Alveri II p. 93‑95; Ciampini de Vicecancellario 180; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 292. 393; Nibby 719; Forcella II p. 193‑204; Armellini 1 364 2 362.
M67. S. MARIAE MONTIS BALNEANAPOLIS Cenc. 111 (S. M. Balneanapolim): den. VI — Paris. 68 (de monte Baionapoli) — Taur. 11 (S. M. Vanionapolis): habet sacerdotem et clericum — Sign. 163 (montis Valneanapolis).
Chiesa situata sul versante occidentale del Quirinale, ove una contrada detta Balnei Neapolis (o similmente) esistette già prima del Mille. Un privilegio di Leone VII, del 9. febbraio 938, nel Regestum Sublacense (p. 63 n. 24) nomina un Adrianus quondam de banneo Neapolim; altri documenti del sec. XIII, nei quali è ricordato il Mons Balnei Napolis e la contrada montis Manianapoli, sono citati dall'Adinolfi II p. 43. Il nome quindi esisteva parecchi secoli prima che i Colonnesi si stabilissero in questa parte del Quirinale, ed è impossibile derivare il cognome della chiesa da un'epigrafe riguardante un Magnus Neapolis Connestabilis di quella famiglia, come volle l'Armellini. È registrata nel catalogo del 1555 (sopra p. 84 n. 153) sotto il nome di S. Mariae Magnanapolis prope S. Agatam in Quirinali, nella Tassa di Pio IV (p. 91 n. 113) ed ancora dall'Anonimo Spagnuolo (p. 114 n. 279) sotto S. Maria in monte Mangianapoli. Fu concessa da S. Pio V alle monache di S. Sisto vecchio costrette a lasciare quella dimore a cagione della malaria. Perciò nel catalogo di S. Pio V (sopra p. 97 n. 45) è registrata un monastero di monache a Monte Magnanapoli dell'ordine di S. Domenico (l'indicazione simile nel catalogo del 1492, sopra p. 69 n. 6, è una delle aggiunte panviniane). Le monache, sotto il pontificato di Urbano VIII, costruirono in luogo dell'antica chiesa quella tuttora esistente dei SS. Domenico e Sisto.
Del Sodo Vallicell. f. 100, Vatic. p. 81 (S. Domenico a Monte Magnanapoli, già si chiamava S. Maria); Panciroli 1 303 2 291; Lonigo Barb. f. 34, Vallicell. f. 50; Bruti vol. 16 (yoXV) f. 103‑123 (ital.), vol. 11 (to. X) f. 89‑105 (lat.); Martinelli 187. 369; Nibby 209; Adinolfi II, 47; Forcella X p. 371‑376; Armellini 1 334 2 176.
M68. S. MARIAE NOVAE
Cenc. 33: den. XVIII, id. lit. 5: sol. II den. XII — Paris. 38 — Taur. 193: dyaconi cardinalis, habet canonicos regulares V — Sign. 271, rel. 29.
Diaconia insigne fondata da Leone IV (847‑855) fra le rovine del tempio di Venere e Roma per sostituire quella di S. Maria Antiqua sotto il Palatino, che minacciava rovina (v. sopra p. 310). Distrutta da un incendio sotto Onorio III, fu restaurata nel 1216. Nel 1440 ebbe ivi sepoltura Francesca de' Ponziani, detta S. Francesca Romana (canonizzata da Paolo V nel 1608), dalla quale nei secoli seguenti la basilica viene spesso nominata. Ricostruita di nuovo nel 1615, esiste sul posto antico.
Del Sodo Vallicell. f. 166, Vatic. p. 201; Panciroli 1 538 2 99; Lonigo Barb. f. 38, Vallicell. f. 55 v.; Martinelli 230; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 228‑249 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 170‑182 (lat.), vol. 4 (to. III) f. 1‑91 (= lib. IIII c. 1‑4); Lubin 338; Nibby 763 sg.; Forcella II p. 1‑16. 527. 528; Armellini 1 311 2 150; Marucchi 361; Fedele Arch. soc. romana XXIII (1900) p. 171‑238, XXIV (1901) p. 159‑196, XXV (1902) p. 169‑209, XXVI (1903) p. 21‑137; Kehr IP. I p. 65; Angeli 136; Calvi Bibliografia 82 sg.
M69. S. MARIAE DE OBLATIONARIO
Un privilegio di Onorio II del 7. maggio 1128 (che ne conferma uno precedente di Pasquale II, 1099‑1118, e viene rinnovato da Innocenzo II il 21. giugno 1138) concede al ptochium presso il Palazzo Lateranense cappellam S. Mariae de oblationario ad sepulturam peregrinorum et totam adiacentem terram cum horto et oliveto suo, a silice subtus palatio usque ad viam quae ducit ad S. Crucem a superiori bivio usque ad muros civitatis (Corvisieri p. 78; Jaffé-Lowenfeld 7312; Kehr IP. I p. 35 n. 2; cf. Jaffé-Lowenfeld 7903; Kehr p. 35 n. 3). Da ciò si rileva che la chiesa era situata non lungi dalla mura della città, fra la porta Asinaria e la basilica di S. Croce. Più tardi non viene più ricordata sotto questo nome, ed è probabile che sia identica con S. Maria de spazolaria (v. più sotto n. 87).
Corvisieri Buonarroti Ser. III tom. I (1870) p. 78; Armellini 1 373 2 802.
M70. S. MARIAE IN PALAZZOLO
Paris. 56 — Taur. 123: habet I sacerdotem — Sign. 195 (Pulaczola).
Il nome di Palatiolum viene dato, dal sec. XI in poi, a quell'ultimo contrafforte del Gianicolo che si stende verso S. Pietro (v. LancianiFUR. f. 13). La chiesa della Madonna ivi esistita sino al sec. XV è p353 scomparsa senza lasciare vestigio. Secondo il Grimaldi (presso il Severano e Martinelli) "erat in civitate Leonina in monte S. Michaelis, destructa in aedificanda vinea Caesiorum vel Vercellorum". È ricordata fra le chiese soggette alla basilica Vaticana dal sec. XI al XIV (v. sopra p. 136).
Martinelli 374; Severano Sette Chiese 294; Alveri II p. 247; Armellini 1 350 2 770; Schiaparelli Arch. soc. romana XXV (1903) p. 310.
M71. S. MARIAE IN PALLARIA
Cenc. 50 (monasterium Paladii): sol. II, lit. 10 (mon. de Palleria): sol. II — Paris. 66 (de Pallaria) — Taur. 194 (S. M. in Palaria): non habet servitorem — Sign. 272 (in Palaria).
Verso la fine del secolo decimo, un Petrus "medicus sophusque illustris" fondò sull'altura meridionale del Palatino sovrastante all'arco di Costantino un monastero che dapprincipio fu appellato "venerabile monasterium de Petro medico"; vi era annessa una chiesa dedicata alla Madonna. Il giorno della consecrazione è conosciuto da un martirologio del sec. X, già appartenuto ad essa (cod. Vat. lat. 378), ove f. 33 v. al 19. giugno è notato: "dedicatio huius ecclesiae S. Mariae in Palladio"; ma l'anno resta incerto. L'epitafio di un monaco di nome Merco, posto il 1. novembre 977 (Torrigio Grotte vaticane p. 355; Doni Inscr. antiquae p. 530; Uccelli p. 28), del quale si dice: ad d(omi)ni confugit opem su[b praeside Christo] Sebastiani simul bene. . . . . . è il più antico monumento con data certa.
L'abside della chiesa è decorata con affreschi che in parte si conservano ancora, ed è insignita dell'iscrizione dedicatoria di Pietro medico. Vi si vede rappresentato, in mezzo, il Salvatore in atto di benedire, ed accanto S. Sebastiano, S. Zotico, S. Lorenzo e S. Stefano (De Rossi Musaici tav. XVI f. 2; Fedele p. 351 sg.); in una zona inferiore, la Madonna con angeli e quattro sante. Un'altra pittura oggi non più esistente, ma conservata nelle copie fatte circa il 1630 da Antonio d'Eclissi, rappresentanti il domnus Petrus (medicus) con in mano il modello di una chiesa, in atto di offrirla a S. Sebastiano (Fedele p. 353). Da ciò si spiega come nei secoli seguenti chiesa e monastero qualche volta vengono appellate dai santi aggregati alla titolare. Così già nel 1001 Thangmar nella Vita Bernwardi episcopi (Mon. Germ. script. IV p. 768) racconta che coadunata est synodus. . . . in palare in aecclesia Sancti Sebastiani martyris; un documento nel Regesto di Pietro Diacono nell'Archivio di Montecassino, che si dice dell'anno 999, numera ricchi doni fatti al monastero p354 di S. Sebastiano "in loco qui dicitur Pallaria" (Fedele p. 375, il quale propende a crederlo una falsificazione del sec. XI). Alessandro II (1061‑1073) attribuì al monastero di Montecassino l'abbatia sanctorum martyrum Sebastiani et Zosimi (sic), quam vulgares usitato nomine Pallariam solent nuncupare (Migne PL. CXLVI p. 1395; Mon. German. Scriptores VII p. 729; Jaffé-Lowenfeld 4725). Nel sopra citato Martirologio (cod. Vat. lat. 378 f. 33 v.) è chiamato monasterium S. Marie de Palladio et Sancti Sebastiani martiris et sancti Zotici martiris. Una bolla di Onorio III del 1216 (Bullarium Romanum III, 175 ed. Cherubini) ricorda il monasterium S. Sebastiani quod dicitur Palladia. Sembra invece che per mero errore un documento del 24. maggio 1010 nell'archivio di S. Prassede (Arch. soc. romana XXVII, 1904, p. 45) parli di un monasterium S. Laurentii qui appellatur de Petrus medico. Però la denominazione vigente sino al secolo XV rimi S. Mariae in Pallaria, de Pallaria (o simile), come risulta dai numerosi documenti raccolti dal Fedele (p. 367. 378‑380).
Il monasterium Palladii nella vita di Gelasio II di Pandolfo diacono (LP. II p. 313 ed. Duchesne) viene qualificato "locus tutissimus veluti qui curiae cedit"; esso occorre più volte come località di elezione dei papi nei secoli XI-XIII. Apparteneva in quei tempi al monastero di Monte Cassino, finchè, nel 1352, fu unito alla chiesa di S. Maria Nova (Fedele p. 372). Nel secolo XV cadde in rovina; il catalogo del 1492 lo registra sotto il nome di S. Sebastiani in Palatio (sopra p. 77 n. 244), ma non viene ricordato nel catalogo del 1555 nè nella Tassa di Pio IV. Il Catasto del Sancta Sanctorum del 1525 nell'Archivio di Stato a Roma (presso Fedele p. 372) la chiama "quella chiesuola ruinosa. . . . quale era fra de Culiseo et l'orto per de retro a S. Maria Nova, et quella intitulavase Santa Maria della Pallara", ed il catalogo di S. Pio V (sopra p. 98 n. 65) la dice "una chiesa dentro alla vigna del vescovo di Capranica" (Sulla vigna v. Lanciani stor. degli scavi I p. 105). Il Doni (cr. 1620) indica la lapide del monaco Merco come esistente "in pavimento aedis antiquae S. Sebastiani in monte Palatino, quae nunc nunc profanis usibus inservit". Non è da maravigliare perciò, se nei sec. XV e XVI al santuario abbandonato spesso viene dato il nome non autentico di S. Andrea in Pallara. Ma dopo il 1630, alcuni membri della famiglia Barberini lo fecero restaurare, intitolandolo a S. Sebastiano, loro patrono e sotto questo nome esiste tuttora.
Quanto al significato del cognome "in Pallara", il Fedele ha rilevato p355 con ragione, che nelle fonti dei sec. XI-XIII è sempre ben distinta la regio Palladii o Pallaria dal Palatium maius. La prima si limita a quell'altipiano artificiale, ove in antico sorgeva il tempio di Apollo, distrutto da un incendio nel 363 d. Cr. A proposito del medesimo nome è stato citato da tempo una iscrizione trovata a Piperno nel sec. XVIII (CIL X.6441; Henzen Bullett. dell'Istituto 1863 p. 212), posta ad un consularis Campaniae della metà del secolo IV d. Cr., fra le cui cariche si ricorda anche quella singolare di praepositus Palladii Palatini. Dunque in quell'epoca il famoso Palladium, pignus salutis atque imperii, serbato per lungo tempo nel tempio di Vesta (rapito soltanto temporaneamente da Elagabalo, che lo trasportò nella sua dimora), si trovava sul colle Palatino, allora naturalmente non più nel palazzo imperiale, i cui abitatori erano diventati cristiani, ma nell'ultimo centro del culto pagano sul colle, il tempio di Apollo.
Faccio osservare in fine che il nome di S. Maria in Palerna, che lo Zaccagni p. 428 e l'Armellini p. 150 citano, dal cosidetto Nicola Caffarelli de familiis romanis (cod. Vat. lat. 6311 f. 110: forse appartiene alle falsificazioni del Ceccarelli), come "denominazione poco conosciuta della basilica di S. Maria Nuova", non è altro che una corruttela del nome S. M. in Pallaria; così pure quello di S. Maria in Polonia, che ili Martinelli p. 451 cita "ex libto ms. Mirabilium Urbis", cioè dal Vaticano 4265 (cf. sopra p. 150 n. 67 e Zaccagni p. 429).
Lonigo Barb. f. 38, Vallicell. f. 55 v.; Martinelli 231. 302. 374; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 82‑85 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 63‑65 (lat.), vol4 (to. III) f. 113 v.-120 (= lib. IIII c. 7: S. Sebastiano in Pallara, olim S. Mariae S. Andreae et Zotici); Nibby 711; Forcella XII p. 412‑416; Armellini 1 440 2 524; Uccelli La chiesa di S. Sebastiano sul colle Palatino e Urbano VIII (Roma 1876); Marucchi 265; Angeli 554; Fedele Arch. soc. romana XXVI (1903) p. 343‑380; Calvi Bibliografia 128.
M72. S. MARIAE IN PARVI
Paris. 37 (in Parna) — Taur. 314: habet I sacerdotem.
La menzione più antica di questa chiesuola occorre in una epigrafe del 1088, murata nella basilica di S. Nicola in Carcere (Galletti Inscr. Romanae I p. 421 cl. V n. 7; Armellini 1 478 2 625). Essa attesta che il prete Romano, rettore di San Nicola, donò alla chiesa, fra altri beni, VII petias vinearum ad Scam. Mariam quae appellatur in Parvi. Se ne può conchiudere che S. Maria in Parvi era nella papa disabitata della città, o fuori delle mura; e siccome gli altri beni ceduti da Romano sono nel p356 territorio Albano, nasce spontanea la congettura che fosse sulla Via Appia. Con questo ben si accorda il fatto che nel catalogo di Torino a S. Maria in Parvi seguono S. Sebastiano e S. Urbano. Finalmente una bolla di Onorio III del 18. aprile 1217 (Bullarium Vaticanum I p. 100‑104; Potthast 5525; Pressutti I p. 91 n. 517) attribuisce alla chiesa di S. Tommaso in Formis anche hortum in valle Appiae super ecclesiam sanctae Mariae in Par[v]i inter rivum maiorem et cacumen montis; turrim in hortis perfectis. Da un altro passo della medesima bolla (p. 103) risulta che il rivus è la Marrana di Grotta Perfetta, che nasce nei pressi della Nunziatella sulla Via Ardeatina e sbocca nel Tevere a valle di S. Paolo fuori. La chiesetta rurale di S. Maria in Parvi deve quindi essere stata ad ovest della Via Appia, forse nella vasta tenuta di Tor Marancia; ma il sito esatto non si può stabilire. A torto il Duchesne (Mélanges de l'École française XXV, 1905, p. 183), riferendosi unicamente al catalogo parigino, volle identificare S. Maria i Parna con S. Maria in Foro.
Lonigo Barb. f. 35 v., Vallicell. f. 52 (in Parvi, dalla lapide in S. Nicola); Armellini 1 443 2 628.
M73. S. MARIAE IN PEREGRINO
Secondo l'ordine topografico del catalogo signoriliano, questa chiesuola dovrebbe cercarsi nelle vicinanze di S. Angelo in Pescheria; ma nulla si sa intorno al suo luogo preciso ed alle sue vicende.
Armellini 1 443 2 559.
M74. S. MARIAE IN PETROCHIO
Cenc. 97 (in Petrocio): den. VIº, id. lit. 58 (cappella S. M. in Petrochia): den. XII — Paris. 84 (in Petrocio) — Taur. 214 (monasterium S. M. in Petrochia): habet moniales XV — Sign. 291 (in Patroc[h]io).
Il cognome di questa chiesa, come quello della vicina S. Maria in Cosmedin, ha suono bizantino, ciò che farebbe credere ad un'alta antichità; essa però viene ricordata la prima volta nel sec. XII, da Cencio Camerario nel secolo XIII appartenne al monastero di S. Gregorio ad clivum Scauri: i documenti pubblicati dal Mittarelli negli Annales Camaldulenses "ex manuscripto Gregoriano" (transunto notarile del sec. XV) forniscono anche un'indicazione utile per stabilire il sito. Il giorno 17. gennaio 1216 Octavianus clericus dispensator et rector ecclesiae S. Mariae in p357 Petroccio (Mittarelli IV app. p. 340 n. 210) affittò una casa posita Romae regione curtis dompne Micine prope dictam meam ecclesiam: la curtis domnae Miccinae, come abbiamo detto altrove (sopra p. 330 n. 36), era sotto la pendice meridionale del Campidoglio, presso Q. Omobuono. Nelle bolle d'Innocenzo IV del 25. giugno 1249 e di Bonifazio VIII del 17. giugno 1299 (Mittarelli v. p. 342 n. 202), che confermano al monastero i suoi possedimenti, è anche la ecclesia S. Mariae in Petratia. Viene ricordata poi nell'Inventario dei beni di S. Giovanni in Laterano compilato da Niccolò Francipani sotto Bonifazio VIII (Crescimbeni S. Giovanni avanti Porta Latina p. 209: in contrata Cannepariae tres domos simul iunctas. . . . ab un latere tenet ecclesia S. Mariae in Petrocia, ab alio ecclesia S. Theodori cet.: e p. 212: infra muros urbis per viam Appiam in loco qui vocatur Antinianum. . . . unius peti vineae. . . . . . ab alio latere tenet ecclesia S. Mariae in Petrocia, ab aia est via publica). Il 21. marzo 1303, Andrea abate di S. Gregorio concedette la chiesa S. Mariae in Petroccia a due nobildonne, Maria de Papareschis ed Egidia vedova di Pietro Scotti per erigervi un monastero, e questa concessione venne confermata da papa Benedetto XI con bolla del 22 dicembre del medesimo anno (p. 130 n. 162 ed. Grandjean: S. Mariae in Petrocio). Un documento del 1473 nell'Archivio di Stato a Roma (Not. de Taglientibus prot. 1727 f. 246, citato dal Lanciani stor. degli scavi I p. 132) nomina, fra i confinanti di un terreno in regione Canaparae non lungi da S. Giorgio al Velabro, anche l'ortus ecclesiae S. Mariae in petroccia.
Per l'ubicazione, gli scrittori moderni sono stati indotti in errore dall'asserzione infondata del Torrigio (storia di S. Teodoro p. 251) essere la chiesa di "S. Maria in Patrocerio" identica con S. Giovanni decollato. Ma questa è identica invece con S. Maria de Fovea (v. sopra p. 335 n. 47), e finanche il catalogo del 1492 (sopra p. 77 n. 247. 248) distingue S. Iohannis decollati e S. Mariae patrozzo. Sembra piuttosto che sis tutt'una con quella chiesuola all'angolo di Via Bocca della Verità e Via dei Cerchi, che nel 1614 fu concessa alla compagnia degli Scarpinelli e da loro dedicata a S. Antonio. Ch'essa era dedicata prima alla Madonna, viene confermata dal Panciroli ed altri; ma anche qui il Torrigio ha sbagliato indicando come cognome quello in Tufella, che appartiene ad un sito ben diverso (v. più sotto p. 368 n. 89).
Lonigo Barb. f. 35 v., Vallicell. f. 52; Armellini 1 406 2 632.
— S. MARIAE AD PINEAM trans Tiberim v. S. Mariae in Cappella
p358 I Ai
M75. S. MARIAE DE POPULO
Paris. 36 — Taur. 56: habet fratres ordinis heremitarum XII — Sign. 134, rel. 73.
Le origini di questo celeberrimo santuario sono oscure; la tradizione che Pasquale II (1099‑1118) edificasse presso la Porta Flaminia una cappella defossis eodem loco ossibus Neronis et in Tiberim proiectis non rimonta oltre il sec. XV (cf. il racconto nei Libri Indulgentiarum sopra p. 150 sg. n. 68). Si noti che il nome manca nel catalogo di Cencio. È anche tradizione che Gregorio IX, dopo la peste del 1231, vi trasportasse la imagine achiropita della cappella Sancta Sanctorum (v. sopra p. 151) e che in questa occasione in luogo della cappella fosse costruita una nuova e più nobile chiesa. La più antica memoria monumentale è una iscrizione del 1263, che ricorda qualche opera decorata con musaico (forse la cornice dell'altare maggiore) per ordine di due donne di casa Annibaldi (Martinelli Roma ricorda p. 113 sg. ed. 1689; Forcella I p. 315 n. 1175). Chiesa e monastero ebbero grande notorietà nei sec. XV e XVI, ed il nome non manca in nessuno di cataloghi dell'epoca (sopra p. 72 n. 99, p. 84 n. 145, p. 91 n. 132, p. 99 n. 112). Riedificata splendidamente sotto Sisto IV, esiste tuttora sul posto antico.
Quanto all'origine del cognome, mi sembra assai attendibile l'opinione dell'Armellini, che populus stia qui nel significato di Pieve o parrocchia, e che ricordi "la prima borgata sorta sulla Via Flaminia dopo l'abbandono della città e la rovina dei monumenti romani del Campo Marzio". Altri l'hanno voluto mettere in relazione con pretesi alberi di pioppo piantati presso il sepolcro di Nerone (si noti però che la leggenda parlava piuttosto di una arbor nucis: v. sopra p. 150), oppure col popolo Romano supposto edificatore della chiesa sotto pas2. — L'Armellini asserisce che 'in alcuni documenti del secolo XV la chiesa è denominata talvolta S. Maria ad Flaminiam' senza però dare indicazione esatta di tali fonti.
Del Sodo Vallicell. f. 78 v.-80, Vatic. p. 204; Alberici Historiarum. . . deiparae de popolo almae Urbis compendium, Roma3 1599; Panciroli 1 551 2 448; Lonigo Barb. f. 38 v., Vallicell. f. 55 v.; Landucci Origine del tempio. . . . della Vergine Madre di Dio Maria presso alla porta Flaminia, detta hoggi del Popolo (Roma 1646); Martinelli 233; Bruti vol. 13 (to. XII) f. 292 v.-303 (lat.); Alveri II p. 3‑38; Nibby 456; Forcella I p. 311‑406. XIII p. 433‑436. 510‑524; Armellini 1 339 2 319; Colantuoni La chiesa di S. Maria del Popolo (Roma 1899); Kehr IP. I p. 86; Angeli 371; Calvi Bibliografia 95 sg. • Titi 388‑393.
M76. S. MARIAE DE PORTA
Paris. 73 — Taur. 20: habet I sacerdotem — Sign. 155 (de ponta).
Secondo l'ordine topografico del catalogo di Torino, questa chiesuola dov essere stata nei pressi della Porta Nomentana. Non viene più registrata nel catalogo del 1492, neppure in quelli del 1555 e di S. Pio V. Se la chiesa di S. Maria del Porto in regione Montium ricordata nella Tassa di Pio IV (sopra p. 91 n. 114) sia la medesima, mi rimane dubbio.
Martinelli 374; Armellini 1 334 2 820.
M77. S. MARIAE DE PORTICU
Cenc. 42: den. XVIII — Paris. 81 — Taur. 223 (in porticu): dyaconia cardinalis habet VI clericos — Sign. 300, rel. 18.
Secondo una pia tradizione, la patrizia Galla, figlia di Simmaco, avrebbe eretto nel proprio palazzo un santuario per esporvi alla venerazione una imagine miracolosa della Madonna. Però i diplomi dei papi Giovanni I (523‑526), Gregorio Magno (590‑604) ed Alessandro II (1061) riferiti presso scrittori dei sec. XVII e XVIII, sono ritenuti falsi dalla critica moderna (Kehr IP. I p. 110 n. 1‑3). Il primo documento autentico è una iscrizione già sotto l'altare maggiore della chiesa, secondo la quale Gregorio VII consecrò di nuovo la chiesa il giorno 8 luglio 1073 (Forcella XIII p. 338. 339 n. 785. 786; De Rossi IChr. II, 1 p. 436; Kehr L. c. n. 4). Un documento del 2. marzo 1108 nell'archivio di S. Maria Nova (Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 162 n. 34) ricorda, fra i confinanti di una vigna, anche Sancta Maria de lo Portico. Un Iohannes diaconus S. Mariae in Portico compare nella bolla di Onorio II diretta ai rectores Romanae fraternitatis (Liverani opp. IV p. 258 dal cod. Vat. lat. 5560 f. 4; Kehr IP. I p. 13 n. 22). È annoverata fra le antiche diaconie della città (sopra p. 117 n. 10) e menzionata nei cataloghi dei sec. XV e XVI. Il suo Liber Anniversariorum (sopra p. 58 sg.) dimostra l'importanza che la chiesa e la compagnia stabilitavi ebbero in molte parrocchie della città. Quando nel 1656 una terribile peste infierì in Roma, moltissimi fra gli abitanti si raccomandarono alla protezione della Madonna di S. Maria in Portico. Nel novembre 1656 i Conservatori si rivolsero al papa, dimandando "che possino spendere qualche somma di denaro per collocare la santa imagine in luogo più decente, nella medesima chiesa, ed ornata, in quella forma e modo che più giudicherà la pietà generosa di V. B." (Marracci-Corrado p. 104‑106). Il papa annuì il p360 giorno 29. novembre: però il sito dell'antica che parve al pontefice "troppo sequestrato dal commercio ed alquanto sordido e vile, e insomma poco a proposito per farvi la fabbrica che pretendeva, la quale. . . . doveva essere molto grande e sontuosa" (l.c. p. 107). Quindi egli decretò di trasferire dalla chiesa di S. Maria in Portico in quella vicina di S. Maria in Campitello, posseduta pure dai chierici regolari della Congregazione della Madre diDio. Nel medesimo tempo la chiesa del Campitello fu chiamata S. Mariae in Porticu in Campitelli (v. sopra p. 318 n. 21), mentre la vecchia chiesa del Portico ricevette il nome di S. Galla. La traslazione dell'imagine fu effettuata il 14. gennaio 1662. Poco più tardi, la chiesa di S. Galla fu riedificata a spese di Donna Livia Odescalchi con architettura di Mattia de Rossi. La porticus alla quale la chiesa deve il suo cognome è la Porticus Gallatorum, sulla quale si vedano Jordan Topogr. p. 353. 531; Lanciani bull. arch. comun. 117 p. 180‑184.
Del Sodo Vallicell. f. 128 v., Vatic. p. 197‑201; Panciroli 1 479. 555 2 721; Gio. Leonardi Memorie di S. Maria in Portico (Roma 1605); G. Matraia Historia della miracolosa imagine della b. Maria vergine detta Maria in Portico (Roma 1627. 1638. 1694); Lonigo Barb. f. 38 v., Vallicell. f. 56; Severano Sette Chiese 331; Martinelli 234; L. Marracci Memoria di S. Maria in Portico (Roma 1667. 1675, ristampata 1871 per cura di G. M. Corrado); Erra Storia dell'imagine e chiesa di S. Maria in Portico di Campitelli (Roma 1650); Nibby 357; Forcella XII p. 405‑410; Armellini 1 360. 362 2 629; L. Pasquali S. Maria in Portico in Campitelli (Roma 1899); id. S. Maria in Portico nella storia di Roma dal sec. VI al XX (Roma 1902); Angeli 143; Kehr IP. I p. 110; Calvi Bibliografia 85. • Titi 61.
M78. S. MARIAE DE POSTERULA
Cenc. 222 (in Pusterulis): den. VI — Paris. 61 (de Pusterulis) — Taur. 87: habet I sacerdotem — Sign. 83.
Chiesuola rimasta in piedi sino al principio di questo secolo, sulla riva del Tevere, quasi dirimpetto l'Albergo del'Orso (Nolli n. 522), abbattuta per la costruzione del Lungo Tevere. La posterula dalla quale prende il nome è la posterula Dimizia (Corvisieri Arch. soc. romana I p. 115). La chiesa viene ricordata in due documenti relativi ad una compositio inter card. S. Laurentii et rectorem ecclesiae S. Apollinaris super controversia de cappellis S. Mariae de Posterula, S. Blasii de Posterula et S. Cosmae de Monte Granatorum (bolla d'Innocenzo III del 7. dic. 1205: Migne PL. CCXV p. 739; Potthast 2617; di Onorio III dell'11 gennaio 1222: p361 Pressutti II p. 30 n. 3714). Nel sec. XVI viene chiamata anche S. Mariae de Urso. Il catalogo del 1492 (sopra p. 73 n. 138) la registra col nome di S. Mariae ad flumen, il Liber Anniversariorum del Salvatore (p. 55 n. 71), il catalogo del 1555 (p. 84 n. 147), la Tassa di Pio IV (p. 92 n. 140), i cataloghi di S. Pio V (p. 100 n. 132) e dell'Anonimo Spagnuolo (p. 108 n. 75) la dicono S. Mariae in Posterula (postierla).
Del Sodo Vallicell. f. 90 v. (S. Maria dell'Orso), Vatic. p. 211 (S. Maria in Posterula all'Orso); Panciroli 1 546 2 479 (S. M. all'Orso, anticamente si diceva di Pusterula); Lonigo Barb. f. 38 v., Vallicell. f. 56 (in Posterula); Martinelli 253 (Ursi); Alveri II p. 91; Nibby 472; Forcella X p. 115‑122; Armellini 1 348 2 347. • Titi 409‑410.
M79. S. MARIAE DE PUBLICO
Cenc. 208 (in Publico): den. VI — Paris. 79 — Taur. 358: habet I sacerdotem — Sign. 44 (in Publico).
Chiesa tuttora esistente presso il Palazzo Santacroce, nel Rione Regola. È annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 47) col nome S. Maria de Publico, e così viene detta anche nei Liber Anniversariorum (sopra p. 61 n. 80: dello piubico, p. 65 n. 95: dello publico), nel catalogo del 1492 (sopra p. 75 n. 189), nel catalogo di S. Pio V (p. 101 n. 185), mentre la Tassa di Pio IV (sopra p. 92 n. 147) la chiama S. Maria in Publico. Il cognome potrebbe ricordare la località delle divisioni del (frumentum) publicum, la Porticus Minucia frumentaria (Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 547), nelle rovine della quale fu eretta la chiesuola. Nel sec. XVI poi la chiesa fu detta in Publicolis, perchè la nobile famiglia Santacroce, che ebbe il palazzo vicino ed il giuspatronato della chiesa pretese far risalire il suo albero genealogico ai Valerii Publicola dell'antica Roma (gens alta Crucis Publicolaque si dice in due epitafî del 1471 e 1472, Forcella IV p. 450 n. 1110. 1111, similmente in un altro del 1643 ivi n. 1119), e quel cognome pseudoantico è rimasto sino ad oggi.
Del Sodo Vallicell. f. 123, Vatic. p. 222 (in Publicolis); Panciroli 1 557 (in Publico) 2 (in Publicoli); Lonigo Barb. f. 38 v. Vallicell. f. 56 (in Publico ovvero in Publicolis); Martinelli 236 (de Publicolis); Ciampini de Vicecancellario 180; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 372; Nibby 474; Forcella IV p. 445‑562. XIII p. 465‑467; Armellini 1 425 2 400; Angeli 384. • Titi 95.
p362 II Io
M80. S. MARIAE DE PUTEO PROBAE ovvero IN CAMPO
Paris. 91 (in Proba) — Taur. 169 (de Puteo Probae): habet I sacerdotem — Sign. 235 (in puteo Probae). 236 (in Campo).
La contrada detta Pozzo di Proba si estendeva sulla pendice del Viminale fra S. Vitale e S. Agata della Subura (v. Adinolfi II p. 97 sg.): alla sua estremità meridionale sorgeva una chiesuola dedicata alla Madonna con annesso ospedale degli Albanesi. Ne parla Andrea Fulvio Antiquit. lib. II (f. 22 ed. 1527) de monte Viminale in valle Quirinali fuit etiam puteus d(ominae) Probae quem Proba fecit — (cf. Pomponius Laetus de Urbis anteriori. p. 61 ed. de Rossi: in Quirinali est templum S. Agathae, et in ipsa valle, non longe a templo S. Vitalis, est puteus qui dicitur puteus donne. Probae: nam Proba virgo fecit) — sub proximo templo S. Agathae et iuxta S. Mariam in Campo, ubi a fronte incisae litterae huius rei indices iuxta hospitale Epirotarum. La menzione più antica occorre nei Mirabilia c. 24 (Jordan Topogr. II p. 634; Urlichs Codex topogr. p. 165; il cod. Urbin. 410 f. 223 citato dallo Zaccagni p. 422 non è altro che un secondo esemplare del cosidetto Anonymus Magliabecchianus), ove si nota in clivo S. Mariae in Campo fuit templum Titi (passo riferito erroneamente dallo Jordan II p. 468 alla chiesa di S. Maria in Campo Carleo). Quasi contemporaneo è la menzione di un Petrus presbiter Sce. Maria de Campo in un documento nell'Archivio di S. Maria Nova del 28. settembre 1147 (Fedeli, Arch. soc. romana XXV, 1902, p. 180 n. 63). Alessandro IV con bolla del 22. gennaio 1257 (Martinelli p. 369 del cod. Vat. 3457) concedette delle indulgenze ecclesiae S. Mariae de campo in puteo. Nei Libri Indulgentiarum dei sec. XIV e XV comparisce qualche volta col nome S. Maria de (ovvero in) campo, altre volte S. Maria de puteo (v. sopra p. 149 n. 60, p. 151 n. 70). Dopo la metà del sec. XV pare che sia stata abbandonata: non figura nei cataloghi del 1492 e del 1555 e neppure nella Tassa di Pio IV. Il catalogo di S. Pio V (sopra p. 97 n. 33) registra: una chiesa ruinata detta S. Maria in Puteo quale era degli Albanesi. Il luogo è segnato sulla pianta del Bufalini foglio MN. Giorgio Fabricio (Roma p. 240 ed. 1587) erroneamente la dice S. Annae Albanensium sub Viminali desertum (da lui Schrader p. 122 e Schottus II p. 23; Martinelli p. 342 dal cosiddetto Auctor anni 1587). Nel catalogo del Signorili doveva essere S. Mariae de puteo Probae in campo, S. Andreae ibidem: la lezione è corrotta per colpa dei copisti.
Martinelli S. Agatha in Subura p. 33, Roma ex ethnica sacra 369 sg.; Armellini 1 389. 435 2 207.
M81. S. MARIAE DELLO RIPOSO extra urbem
Parrocchietta rurale tuttora esistente sotto il Monte Mario alla Via Trionfale. Il 'Diar. ms. in cod. Vat. 5389 f. 414. 415' citato dallo Zaccagni p. 430 a proposito di essa è quello del Notaio di Nantiporto nel cod. Vat. 6389; i passi ivi occorrenti (13. febbraio e 20. aprile 1486) sono stampati presso Muratori Script. III2, p. 1101º (v. più sotto n. 104 S. Mariae Magdalenae). Non si deve confondere con la chiesuola omonima sul primo miglio della Via Portuense, costruita nel sec. XV dalla famiglia Massimo.
M82. S. MARIAE ROTUNDAE
Cenc. 102: den. XVIII, id. lit. 39: den. XVIII — Paris. 41 — Taur. 137: est capella papae, habet VIII clericos — Sign. 98, rel. 67.
Narra il biografo di Bonifazio IV (608‑615; LP LXVIII c. 2) che quel pontefice petiit a Focate principe templum qui appellatur Pantheum, in quo fecit ecclesiam beatae Mariae semperque virginis et omnium martyrum. Al nome S. Mariae ad martyres si sostituì dopo il mille quello di S. Maria Rotonda, che l'insigne santuario tuttora ritiene. L'ospedale annesso alla chiesa, (Catalogo torinese n. 81) deve essere stato nell'area delle Terme Alessandrine, ma il posto esatto non si conosce.
Ugonio stazioni 309; Del Sodo Vallicell. f. 152, Vatic. p. 188; Panciroli 1 565, 2 417; Lonigo Barb. f. 39, Vallicell. f. 44 v.; Martinelli 237; Bruti vol. 24 (to. XXIII) f. 104‑185; Nibby 406; Forcella I p. 289‑310; Adinolfi II 407 sg.; Armellini 1 346 2 483; Marucchi 412; Angeli 330; Kehr IP. I p. 99; Calvi Bibliografia 91‑93. • Titi 360‑363.
M83. S. MARIAE IN SAXIA
Cenc. 76 (S. M. Saxie): den. XII, id. lit. 44 (cappella di S. M. in Saxia) den. XII — Paris. 55 — Taur. 124 (S. M. in Saxiis, quae est hospitale Sci. Spiritus): habet fratres et familiares XXX — Sign. 193 (S. Maria in Saxia) 194 (S. Spiritus in Saxia).
Chiesa antichissima, che trae il suo nome dalla schola Saxonum fondata dal re Ina di Wessex circa l'anno 727. Già circa l 850, papa Leone IV ecclesiam S. Mariae a fundamentis super schola Saxonum noviter construxit (Lib. Pontif. II p. 128 ed. Duchesne). Il medesimo pontefice, con bolla del 10. agosto 854, attribuì la chiesa (S. Mariae quae vocatur Schola Saxonum) al monastero di S. Martino al Vaticano (Bullarium Vaticanum I, 15; Jaffé-Ewald 2653; Schiaparelli Arch. soc. p364 romana XXIV, 1901, p. 433 n. 2; Kehr IP. I p. 145 n. 1). Questo atto fu poi confermato da Leone IX il 21 marzo 1053 (Bullarium Batu I, 22; Schiaparelli l.c. p. 470 n. 16; Jaffé-Lowenfeld 4292; Kehr p. 146 n. 4). In una lettera di Alessandro II del 1068 al re Guglielmo d'Inghilterra (Deusdedit coll. canon. lib. III c. 150; Baron. ad a. 1068) relativa al denaro di S. Pietro, è chiamata S. Mariae quae vocatur schola Anglorum. Callisto II vi consecrò, il 24 febbraio 1123, un altare in onore della Madonna, come attestava una iscrizione monumentale conservata da Pietro Sabino e da altri (de Rossi IChr. II, 1 p. 434 n. 98; Kehr IP. I p. 151 n. 3). Da Innocenzo III fu affiliata alla basilica Vaticana per mezzo di una bolla del 13. marzo 1198 (Migne PL. CCXIV p. 254 n. 296; Potthast n. 46). Sotto il medesimo pontefice, accanto alla chiesa, fu costruito il grande ospedale di S. Spirito: il nome della chiesa dopo il 1500 (forse, come crede il Panciroli, per il grande restauro eseguito sotto Paolo III e Pio IV; v. l'iscrizione del 19 maggio 1561 Forcella VIII p. 395 n. 1210) fu cambiato in S. Spiritus in Saxia.
Del Sodo Vallicell. f. 70 v. 71, Vatic. p. 308; Panciroli 1 770 superiore 554 (S. Spirito in Sassia); Lonigo Barb. f. 35 v., Vallicell. f. 52; Martinelli 307; Alveri Roma in ogni stato II p. 252 sg.; Bruti vol. 14 (to. XIII) f. 22‑30 (lat.), vol. 20 (to. XIX) f. 35‑50; Adinolfi Portica di S. Pietro p. 166 sg.; Forcella VIII p. 381‑464; Armellini 1 444 2 772; Kehr IP. I p. 151; Calvi Bibliografia 129 sg. • Titi 26‑29.
M84. S. MARIAE SECUNDICERII
Cenc. 123: den. VI, id. lit. 59 (cappella S. M. secundicerii): den. XII — Paris. 98 (de sancto Cerico) — Taur. 243 (secundi Cerei): habet sacerdotem et clericum — Sign. 320.
Chiesuola esistita già nel principio del sec. XII, come si rileva da un passo spesso citato nella biografia di Gelasio II, a tenore del quale il pontefice, durante le fazioni dell'antipapa Gregorio VIII (Burdinus) fu ospitato da Stefano e Pandolfo Normanno ad S. Mariae secundicerii (Lib. Pont. II p. 315 ed. Duchesne in Secundo cereo; ivi p. 347, Annales Romani: Secundicherio). Al beneplacito per l'elezione di Callisto II (1119) sottoscrive un Sinebaldus archipresbyter S. Mariae secundi cerei (Martène et Durand Vett. Script. ampl. collectio I p. 648). Secondo l'ordine topografico dei cataloghi, la chiesa si deve porre nelle vicinanze del Ponte Rotto; e con questo conviene un documento dell'11. febbraio 1243 (Nerini S. Alessio p. 433; Monaci Arch. soc. romana XXVIII, 1905, p. 164 n. 40), ove si descrive una casa in porticu Gallatorum ante ecclesiam S. Mariae de Gradellis p365 (= s. Maria Egiziaca, v. sopra p. 336 n.48) . . . . a III latere tenet S. Maria secundiceri. Forse stava immediatamente presso l'estremità orientale del Ponte.
Panciroli 1‑2478; Lonigo Barb. f. 35 v., Vallicell. f. 52 v. (da Cencio); Martinelli 375; Armellini 1 435 2 598.
M85. S. MARIAE AD S. SILVESTRI
Nella bolla di Giovanni XII dell'8 marzo 962, che conferma i beni alla basilica di S. Silvestro in Capite, sono ricordate duae ecclesiae, una maiore et alia minore, que dicitur S. Maria namque site ante portam suprascripti monasterii (Di Federici Arch. soc. romana XXII, 1899 p. 269; nella bolla analoga di Agapito II, del 955, manca questo passo). Siccome non è probabile che si tratti di due chiese affatto ignote della Vergine, poste in quella parte quasi disabitata della città, forse si deve pensare a S. Maria in Sinodochio e a S. Maria in Via (S. Maria in Arcioni viene ricordata più tardi nella medesima bolla).
M86. S. MARIAE IN SINODOCHIO
Cenc. 295 (in Sinesia): den. VI, lit. 45 (cappella S. M. Synodochio): den. XII — Paris. 65 (in Sinodorta) — Taur. 41 (in Sinodochno): habet sacerdotem et clericum — Sign. 135 (in Sinodochio dicti Intertrigio).
Le origini di questa chiesuola rimontano fino al sec. VI: il cognome ricorda lo xenodochium fondato da Belisario nella regione di Via Lata (LP. LXI vita Vigilii c. 2, cf. Duchesne I p. 296 e II p. 46; Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 459 not. 36). Belisario è ricordato come fondatore della chiesa già in una epigrafe in versi Leonini (riportata dall'Adinolfi e dall'Armellini) che tuttora si legge sul muro della chiesa in Via Poli. Il nome si trova in parecchi documenti dell'archivio di S. Maria in Via Lata del 1019 (Hartman Tabularium S. Mariae p. 51 n. 41: regione nono iuxta S. Maria quae vocatur Isichineo; p. 52 n. 42: regione sexto ad sancta Mariae in sinixeus; ib. p. 53 n. 43: regione sexto ad sancta Maria in sinikeo) e del 1020 (ivi p. 55 n. 44: regione sexto iusta sancta Maria in sinicheo). Dal sec. XV vi fu sostituito il nome di S. Mariae in Trivio; l'Adinolfi cita un passo del catasto del S. Salvatore del 1419, ove si dice S. Mariae inter Tregio; in un'altro del medesimo catasto (pag. 77) sarebbe denominata S. Mariae in Synodochio o Super aquam vivam regionis Colunae. I Libri Anniversariorum (sopra p. 54 n. 35, p. 60 n. 23, p. 65 n. 39, p. 68 n. 19) la registrano sotto il nome di S. Mariae inter Trivio (inter Tregio), il catalogo del 1492 (p. 72 p366 n. 93) la dice S. M. in Trivio, il catalogo del 1555 (p. 84 n. 142) ad fontem Trivii sive Aquae Virginis, l'Anonimo Spagnuolo (p. 107 n. 18) S. M. in treve. Invece nella Tassa di Pio IV (p. 91 n. 129) è chiamata S. Mariae in Sinodo nel rione Treio. Ora si chiama S. Maria in Trivio. — Erroneamente l'Armellini mette in relazione con essa una chiesa ricordata nella biografia di Leone III (795‑817; LP. XCVIII c. 5) che nelle vecchie edizioni si appella S. Mariae in fonticana opposto in fornicata; la vera lezione è in Fonteiana, cioè nella Massa Fonteiana situata a mezzogiorno della bocca del Tevere, presso l'antico Laurentum. Cf. Duchesne I p. 438 n. 40, II p. 34 not. 11.
Del Sodo Vallicell. f. 83, Vatic. p. 214 (in Sinodo); Panciroli 1 593 2 405 (S. Maria in Trivio); Lonigo Barb. f. 34 v., Vallicell. f. 57; Martinelli 248. 375; Bruti vol. 19 (to. XVIII) f. 700‑705 (ital.), vol. 13 (to. XII) f. 154 v.-161 (lat.), vol. 10 (to. IX) f. 83 v.-90 (= tom. III lib. I c. 11); Nibby 505; Forcella IX p. 519‑528; Adinolfi II p. 336; Armellini 1 366 2 277; Angeli 402; Marucchi 402; Calvi Bibliografia 98. • Titi 354‑355.
M87. S. MARIAE DE SPATULARIA
Paris. 105 (Saxolaria) — Taur. 306: habet sarabaitas VI.
Secondo l'ordine topografico del catalogo torinese questa chiesuola o cappella era situata non lungi da S. Croce in Gerusalemme. Da una bolla d'Innocenzo III citata dal Martinelli (ep. 150 lib. 3 reg. XV) si rileva che le era annesso un ospedale, il che conviene con la menzione dei sarabaitae nel codice di Torino. Nell'inventario dei beni di S. Giovanni a Porta Latina, compilato da Niccolò Frangipani sotto Bonifazio VIII si fa menzione di una vigna infra portam Lateranam iuxta ecclesiam S. Mariae de Spazolaria in loco qui vocatur Mons Cipollarius (Crescimbeni S. Giovanni avanti Porta Latina p. 214). Il Monte Cepollario era una prominenza di terreno, appianata soltanto nel sec. XVIII, quando Benedetto XIV drizzò il viale fra S. Giovanni e S. Croce (Lanciani FUR. f. 31. 37). Viene annoverata fra le filiali di S. Giovanni in Laterano nelle bolle di Onorio III del 1216 e di Gregorio IX del 1228 (v. sopra p. 131: Sec. Marie de Spazellaria. Secondo il Panvinio (de basilica Lateran. lib. II) citato dell'Adinolfi, Sisto IV avrebbe fatto demolire ospedale e chiesa guasti e disabitati, costruendo nel medesimo luogo (nel 1476 secondo l'iscrizione Forcella XIII p. 531 n. 1328) una cappella intitolata a S. Maria del Soccorso o del buon Aiuto, che tuttora esiste. Il Nolli la segna (n. 19) sotto il nome di "Cappella di S. Maria dei Cisterciensi", all'angolo delle mura presso l'Anfiteatro Castrense. Probabilmente è identica con S. Mariae de oblationario (sopra p. 352 n. 69) Ma p367 quando l'Armellini aggiunge: "credo che si chiamasse anche de Collepapi, che il Lonigo dice prossima a S. Daniele e filiale di S. Giovanni, a cui fu confermata da Adriano II; forse Collepape si chiamava anticamente il Cipollaro perchè contiguo al patriarchio" cade in un errore manifesto. Nella bolla di Adriano IV (non Adriano II) del 18. aprile 1155 (Kehr IP. I p. 28 n. 22), che un conferma una precedente di Anastasio IV (Crescimbeni S. Giovanni avanti Porta Latina p. 249) del 19. maggio 1154, si menziona, dopo la chiesa di S. Daniele, il Castrum Perlate e poi l'ecclesia S. Mariae Colliscipii, vale a dire di Collescipoli presso Terni (cf. anche la sopra citata bolla di Gregorio IX presso Crescimbeni p. 253). Erra pure il Forcella confondendo S. Maria del Buon Aiuto con la cappelletta di S. Margherita posta nelle mura della città fra Porta S. Giovanni e l'Anfiteatro Castrense (Nolli n. 18).
Lonigo Barb. f. 35 v., Vatic. p. 52; Martinelli 375; Adinolfi II p. 274; cor Buonarroti Ser. II vol. 5 (1870) p. 77 sg.; Armellini 1 372 2 802.
M88. S. MARIAE IN TEMPULO ovvero IN TEMPORE
Cenc. lit. 24 (monasterium Tempuli): sol. II — Paris. 101 (in Tempore) — Taur. 279 (in Tempore): est destructa, non habet servitorem.
Il monasterium Tempuli è ricordato già nella biografia di Leone III fra quelli arricchiti di doni dal pontefice nell'806 (LP. XCVIII c. 798, cf. sopra p. 9 n. 103): allora si trovava incorporato al monastero un oratorio di S. Agata (v. sopra p. 167 n. 12). Il fondatore del monastero, Tempulus, greco esiliato da Costantinopoli insieme con i fratelli Servulus e Cervulus, in seguito ad una visione avrebbe trasportata in quell'oratorio una imagine della Madonna ritenuta di S. Luca; i molti miracoli della quale avrebbero poi indotto a cambiare il nome del santuario: quae scilicet aula. . . . cum a priscis eatenus S. Agathes nomine titularetur, ab eo tempore crescentibus miraculis, quae per saepe nominatam imaginem Dominus operari dignatus est, Sancta Mariae competenter accepit vocabulum. Così racconta la leggenda pubblicata dal Martinelli (Imago B. Mariae Virginis. . . . vindicata, Romae 1642, p. 5 sg.). La medesima leggenda attribuisce la installazione dell'imagine al pontificato di un Sergio, che dovrebbe essere il primo di questo nome (687‑701): ma un sappiamo quanta fede meriti quella tradizione. Certo è che il monastero sino al secolo XII continuò a portare il nome del fondatore. In un documento del 4. giugno nel Regestum Sublacense (p. 168 n. 120, ove erroneamente viene attribuito all'anno 967; cf. Kehr IP. I p. 122 n. 1, p. 161 p368 n. 6) comparisce una Constantia abbatissa venerabilis monasterii sanctae Mariae qui vocatur Tempuli; due altri nel medesimo Regesto (p. 143 n. 98 p. 144 n. 99) del 1035 ricordano una terra de monasterio sancte Marie in Tempuli, foris porta Mitrobi in locum qui vocatur prata Decii. Una bolla di Adriano IV del 14. marzo 1155 decide una lite fra Cecilia, badessa di S. Maria in Tempulo, e l'economo del monastero di S. Anastasio ad aquam Salviam (Ann. ord. Praed. I app p. 16 n. 5; Kehr IP. I p. 122 n. 4). Altri documenti del 1172. 1177. 1183. 1204, che esibiscono il cognome in ovvero de Tempulo, vengono citati dal Torrigio (Historia della venerabile imagine di Maria Vergine. . . . Roma 1641 p. 39. 44). Però già nel sec. XIII il nome del fondatore cadde in obblio, ed il cognome fu cambiato in Tempore. Onorio III con bolla del 25. aprile 1221 (Potthast 6631; Pressutti I p. 536 n. 3285), "cum ecclesia S. Mariae in Tempore usque adeo in spiritualibus esset collapsa et in temporalibus deminuta", trasferì le monache nel vicino convento di S. Sisto vecchio. L'abbandono nel sec. XIV viene attestato dal catalogo di Torino. Da un "Libro delle risposte delle vigne ecc. di S. Sisto vecchio", del 1496, il Torrigio (l.c. p. 43) cita il passo seguente: "Tomaxo todesquesti tiene una vigna nostra posta a S. Sisto vegio, nella quale è lo campanile e rovine di S. Sisto vegio, alias detto S. Maria in Tempolo". Chiesa e monastero, secondo i documenti citati dal Torrigio, si trovavano presso la Marrana e le Terme di Caracalla (l'Antignano): probabilmente quel casale in rovina, sul principio della nuova passeggiata Archeologica (corrispondente a quello della Vigna Calcagnini, Nolli f. 14), nel quale si trova innestato un rudere di campanile, è un avanzo della chiesa di S. Maria in Tempulo (è meno appropriata l'indicazione sulla FUR. del Lanciani f. 42, che pone il monastero nelle vicinanze immediate di S. Sisto vecchio).
Lubin 346; Armellini 1 366 2 518; Kehr IP. I p. 121; Huelsen Miscellanea Ehrle II p. 387 sg.
M89. S. MARIAE IN TOFELLATO ovvero IN TOFELLA
Cenc. 114 (in Tofellato): den. VI — Paris. 94 (de Tofellato) — Taur. 226 (in Tufella): habet I sacerdotem — Sign. 303 (in Tosella).
Chiesuola del Rione Ripa, registrata dal Torinese e dal Signorili fra S. Nicola in Carcere e S. Lorenzo de Mondezariis (sopra p. 289 n. 20). Un Petrus rector ecclesiae S. Mariae in Tufollata sottoscrive a due documenti p369 del 17. luglio 1367 e del 1375 nell'archivio di S. Alessio (Monaci Arch. soc. romana XXVIII, 1905, p. 433 n. 124, p. 437 n. 129). È ricordata come parrocchiale nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 57 n. 130: in Tofella) e di S. Maria in Portico (p. 59 n. 64: in Tophella), ma sembra sia stata abbandonata poco dopo il 1500. Dei cataloghi del sec. XVI la registra solo di S. Pio V (sopra p. 104 n. 250: S. Maria in Toffelato) ascrivendo: ruinata; così pure nell'elenco delle chiese filiali di S. Anastasi del 1565 e 1585 è notato: parochialis ecclesia S. Mariae in Trofella — profanata. Nondimeno la rettoria continuò ad esistere; il Torrigio (presso Cancellieri f. 221 v.) cita un documento dall'archivio di S. Nicola in Carcere, nel quale un certo Gregorius Blancus Fabrianensis presbyter Camerinensis diocesis si qualifica, nel 1572, come rector ecclesiarum S. Stephani rotundi et S. Mariae in Toffella. Aggiunge il Torrigio: "In una nota di Nicolo Polletti canonico (di S. Nicola in Carcere) si legge: a dì 1. di giugno 1577 mi ha dato Antonio Ricchio la chiave della porta di S. Maria in Tuffella, come procuratore di Gregorio abitante in Fabriano". Il capitolo di S. Nicola pensò in questi tempi a sostituire alla chiesuola destinata ad essere demolita una cappella nella basilica: vi si riferisce la nota tolta dal Torrigio (l.c. f. 221) dal "Libro dei nostri decreti": die 5. Iulii 1574. Quid respondendum Ill.mo Card. de Sabellis vicario Ill.mi de translatione della cappella iurispatronatus S. Mariae de Tufellis in nostra ecclesia. Canonici. . . . omnes unanimiter dixerunt: Concedatur locus ubi possit fieri et erigi cappella sine aliquo onere nostrae ecclesiae. . . . et de assignatione loco predicti fuit datum onus R. D. Ascanio de Alexandris et R. D. Thomae Spica canonicis praesentibus: ma di ciò non fu fatto altro". L'edifizio fu abbattuto prima della fine del 1579; una patente di scavo rilasciata dal Camerlengo il 21. gennaio 1580 (arch. di Stato, provincia. camer. a. 1580) permette al conte Nicola della Genga di scavare in novo seralio seu ghetto Hebreorum urbis, et proprie circa situm ubi alias ecclesia sancte Marie in Toffella edificata et postmodum diruta fuit (Lanciani Storia degli scavi IV p. 19). Sembra erronea l'asserzione del Torrigio (l.c. f. 221) che "la chiesa, sotto il nome di S. Maria in Toppella viene nominata nella Tassa di Clemente VIII pubblicata nel 1601", come è sbagliata certamente l'opinione del medesimo Torrigio (presso Crescimbeni, Storia di S. Anastasia p. 106) che sia identica con la chiesuola di S. Aniano (v. più sopra p. 357 n. 74 s.v. S. Mariae in Petrochio). Il cognome in Tofellato (questa è la forma più antica, e non, come sostiene l'Armellini, una trasformazione del sec. XVI) potrebbe significare una costruzione di piccole pietre di tufo, quali ancora esistono fra la Via di Porta Leone e S. Galla, la dove si deve cercare la chiesuola.
Lonigo Barb. f. 36, Vallicell. f. 52 v. (da Cencio); Martinelli 375; Torrigio presso Cancellieri cod. Vat. 9166 f. 221 sg.; Armellini 1 436 2 635.
M90. S. MARIAE IN TRASPADINA ovvero IN HADRIANO
Cenc. 77 (S. M. Traspadine): den. VI, lit. 62 (capella S. M. in Trespadin): den. XII — Paris. 57 (Traspadina) — Taur. 94 (in Transpadina, que est capella papalis): habet V clericos — Sign. 183 (in Turrispadina), rel. 58 (in Transpidina).
Il pontefice Adriano I (772‑795), come riferisce il suo biografo, constituit. . . foris porta b. Petri apostoli. . . . (diaconiam) S. Mariae quae ponitur in Adrianum (LP. XCVII c. 66; Duchesne I p. 521 not. 79). Leone III arricchì la diaconia di doni (LP. XCVIII c. 70; sopra p. 6 n. 10). Dopo il Mille, la chiesa ebbe il cognome (in) Tra(n)spadina, il cui significato mi rimane oscure. Già nella biografia di Pasquale II (LP. II p. 376 ed. Duchesne) è detto che quel pontefice, nel 1118, defunctus est apud ecclesiam Transpadinam. In una bolla di Urbano III del 12. marzo 1186‑1187 (Jaffé-Lowenfeld 15799; Kehr IP. I p. 88 n. 5) un presbyter Ingo S. Mariae in Transpadina apparisce fra i rectores Romanae fraternitatis. Fra le reliquie venerate nella chiesa erano le colonne alle quali si diceva fossero stati legati e flagellati S. Pietro e S. Paolo: v. i Libri Indulgentiarum sopra p. 152 n. 73 (S. Maria Transpadina, Turrispodiana). Alla dedica dell'altare delle Colonne fatta da Celestino III nel 1194 si riferisce un documento del 1606 presso Alveri II p. 130, cf. Kehr IP. I p. 154 n. 2. Nell'ordine della coronazione dell'imperatore del sec. XII (Watterich Vitae pont. II, 711‑712)º è detto: descendit ad S. Mariam transpadinam, quae est iuxta terebinthum (su quel monumento v. Jordan Topogr. II p. 430). Da Innocenzo III con bolla del 13. marzo 1198 fu affiliata alla basilica Vaticana (Migne PL. CCXIV p. 254 n. 296; Potthast 46). L'Anonimo Magliabecchiano (Jordan II p. 626; Urlichs Codex topogr. p. 161) ricorda pure la chiesa, ch'egli chiama erroneamente S. Maria Cosmedina, fra la Meta Romuli ed il Terebinthus. È singolare anche la denominazione S. Maria in crisparia che si trova presso Girolamo epigrafisti della fine del sec. XV (v. CIL. VI 12934 ecc.). Il Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 55 n. 57) la registra sotto il nome S. M. in Transpondina, mentre il catalogo del 1492 (p. 73 n. 151) la chiama S. M. Transpontine. La forma del cognome (in) Tra(n)spontina diventa poi usuale nel sec. XVI: v. sopra p371 p. 84 n. 152, p. 92 n. 139, p. 101 n. 157. Il sito è segnato sulla pianta del Bufalini f. FG nell'ingresso del Borgo presso il Mausoleo di Adriano. Quando Pio IV nel 1564 volle ampliare le fortificazioni di Castel S. Angelo, egli fece abattere la vecchia chiesuola; cf. il Diario di Francesco Fermano presso Adinolfi Portica p. 69: die 13. Iulii 1564 causa fortificationis arcis eiusdem fuerunt disiectae in terram quaedam domunculae, quae erant versus dictam arcem alla chiesa etiam paries ecclesiae beatae Marie Transpontina; e quello che racconta l'Anonimo Spagnuolo f. 287: Pio IV comenco a derribar esta yglesia para nazer fossa al redondo al castello de San Ange, al qual esta casa estava coniuncta. Sua Santidad Pio V edifico altra yglesia dentro del burgo. La nuova chiesa, in mezzo del Borgo Nuovo, appellata Transpontina, venne compiuta nel 1566 (medaglia con l'iscrizione OB MVNIT CASTRI HVC TRASL AMPL EREX 1566; Bonanni Numismata Pontificum p. 320 tav. XXIV; Katalog De Rossi Sammlung Lanna vol. III, Berlino 1911, p. 18 n. 218 e tav. 14).
Del Sodo Vallicell. f. 76, Vatic. p. 191; Panciroli 1 583 2 503; Martinelli 246; Alveri II p. 124‑130; Nibby 485; Adinolfi Portica di S. Pietro 67 sg.; Forcella VI p. 347‑375; Armellini 1 348 2 773; Angeli 393; Kehr IP. I p. 154; Calvi Bibliografia 97. • Titi 429‑430.
M91. S. MARIAE TRANS TIBERIM
Cenc. 28: sol. II — Paris. 4 — Taur. 395: titulus presbyteri cardinalis, habet XII canonicos. — Sign. rel. 54 (in Transtiberim).
Celeberrima basilica fondata, secondo la tradizione, da Callisto I (217‑222), compiuta da Giulio I (337‑352; LP. XXXVI c. 2), spesso mentovata nel Liber Pontificalis. Si notino i passi nella biografia di Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 23): ecclesia Dei Genetricis, quae mor veterum nunc usque Calisti trans Tiberim dicitur; ed ivi c. 30: ecclesie Sanctae Dei Genetricis. . . . quae appellatur Callisti et Cornelii. Ricostruita quasi dalle fondamenta da Innocenzo II (1130‑1143), con materiali in parte presi dalle Terme di Caracalla (v. Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 191 not. 24), restaurata più volte nei secoli seguenti, esiste tuttora sul posto antico.
Panvinius de septem ecclesiis 63 sg.; Del Sodo Vallicell. f. 61 sg., Vatic. p. 176; Ugonio stazioni f. 135 v.; Panciroli 1 253. 586 2 582; Severano Sette Chiese 301; long 39 v., Vallicell. f. 57; Martinelli 246; Alveri II p. 331‑344; Lubin 339; Moretti de S. Callixto PP. et M. eiusque basilica S. Mariae trans Tyberim (Roma 1752); Nibby 488 sg.; Forcella II p. 335‑379. 540 sg.; Armellini 1 414 2 637; Kehr IP. I p. 127 sg.; Calvi Bibliografia 97 sg.; Marucchi 2 428 sg.; Tulli Nuovo bull. cristiano XVI, 1910, p. 259‑262; Kirsch, Die römischen Titelkirchen p. 104 sg. • Titi 43‑46.
Per un riassunto storico-artistico e alcune foto, si veda il mio sito.
p372 I Ni
M92. S. MARIAE IN TURRE trans Tiberim
Cenc. 88 (in Turrim): den. VI — Paris. 53 (in Mirre) — Taur. 239: habet sacerdotem et clericum — Sign. 315.
Chiesuola già esistita sulla ripa del Tevere, presso il porto di Ripa Grande: il nome deriva da una torre costruita da Leone IV (847‑855) per difesa del porto. Il sito si vede chiaramente disegnato sulla bella veduta del Codice Escorialense f. 56, nonchè nelle grandi piante prospettiche di Giovanni Maggi (1625) e del Falda. Una bolla di Onorio III del 7. novembre 1217 decide una lite sopra le sepolture dei conversi del monastero di S. Cosimato contro la ecclesia S. Caeciliae et cappella S. Mariae in Turri (p. 146 n. 184 ed. Pressutti). Il Torrigio (Historia della imagine di nuovo Maria Vergine nella chiesa di S. Sisto e Domenico, Roma 1641, c. 13) ne dice: "sino al presente giorno sta in Trastevere, e ritenendo l'antico suo nome, chiamasi S. Maria in Torre a Ripa, e se ne veggono anche adesso le antichissime vestigia dietro alla più moderna tribuna, e di fuori in quella parte del muro, che è volta verso il Tevere, si legge in lettere grandi non così moderne: S. MARIA DE TURRI"; cf. Grotte Vaticane p. 517: "S. Agata ad Colles iacentes in Turri vicina a S. Cecilia in Trastevere, hora S. Maria in Turri a Ripa". Erra l'Armellini identificando S. Maria in Turri con la cappella di S. Maria del Buon Viaggio esistente nella parte meridionale dell'Ospizio di S. Michele.
Del Sodo Vallicell. f. 67, Vatic. p. 212; Panciroli 1 582 2 613; Lonigo Barb. f. 39 v., Vallicell. f. 57; Martinelli Dilucidatio notarum. . . . ad narrationem de. . . . imagine b. Mariae Virginis Monasterii S. Sixti et Domenici (1643) p. 33 sg., Roma ex ethn. sacra 249; Armellini 1 382 2 688; Huelsen al Codice Escorialense p. 140. • Titi 57.
M93. S. MARIAE IN TURRI ovvero IN TURRIBUS in Vaticano
Questa chiesa era situata all'ingresso del Paradisus S. Petri, fra i due campanili costruiti da Stefano II e Adriano I (752). La più antica menzione si trova nella bolla di Giovanni XIX per Silva Candida del 17‑31 dicembre 1026 (Ughelli Italia sacra I p. 112. 113; Kehr IP. I p. 139 n. 18, II p. 26 n. 3), ove è detta S. Mariae in Turri. È ricordata come filiale di S. Pietro nella bolla d'Innocenzo II del 23. maggio p373 1138 (sopra p. 136 n. 11: S. M. in Turri). Sono frequenti le menzioni negli ordines antichi (Ordo XI presso Mabillon p. 161: in Turri; ordo XIV ib. p. 398: in Turribus; Ordo coronationis imperatorum presso Watterich, Vitae Pontificum II p712: in Turri) perchè da essa movevano le processioni verso l'interno della basilica. Pietro Mallio nella sua descrizione della basilica Vaticana (AA. SS. Iunii tom. VII) la ricorda sotto il nome S. Mariae in Turri ( p49 n. 122; p54 n. 162). L'ultima menzione si trova in una bolla d'Innocenzo VI del 1355 relativa alla coronazione dell'imperatore Carlo IV (Bullarium Vaticanum I p. 356) ove è detta S. Mariae in Turribus. Circa quel tempo pare che sia stata abbandonata: ma la memoria fu conservata per mezzo di un altare segnato sulla pianta dell'Alfarano (n. 149). Erroneamente viene attribuito alla chiesa il nome in Atrio ovvero in Atriano; quest'ultima forma è corrotta da S. Mariae in Adriano (sopra p. 370 n. 90).
Lonigo Barb. f. 36, Vallicell. f. 52 v. (in Turri), Barb. f. 34, Vallicell. f. 50 (in Atrio ovvero de Adriano); Martinelli 369. 375; Cancellieri de secretariis III p. 1344‑1352; Armellini 1 381 2 746.
M94. S. MARIAE IN VALLICELLA
Cenc. 131: den. VI — Paris. 89 (de vallicella) — Taur. 328: habet sacerdotem et clericum — Sign. 13 (de vallicella).
Questa chiesa sarebbe mentovata per la prima volta (secondo il Baronio de origine Oratorii) sotto Eugenio III (1145‑1153), il quale avrebbe conceduto ad essa delle indulgenze speciali: ma il relativo documento pare non sia conservato. Una carta poi del 19. marzo 1179, nell'archivio di S. Pietro ricorda una domus posita in Parrione ante ecclesiam S. Mariae in Vallicella (Schiaparelli Arch. soc. romana XXV, 1902, p. 323 n. 63). Bene annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 4). Il cognome ricorda una depressione del terreno, esistita ivi in tempi assai remoti, per la quale passava un ruscello, vicino all' Ara Ditis in Terento (Lanciani Monumenti dei Lincei I, 547, Huelsen-Jordan Topogr. I, 3 p. 474 sg.). È ricorda nei Liber Anniversariorum (sopra p. 55 n. 72, p. 64 n. 70: in Vallicella; p. 61 n. 57: in Varicella) e nella Tassa di Pio IV (p. 92 n. 142: in Vallicella). Nei secoli XV e XVI viene detta anche spesso S. Mariae in puteo albo (catalogo del 1492, sopra p. 74 n. 155), ovvero di Pozzo p374 Bianco (catalogo di S. Pio V p. 100 n. 126). Questo secondo cognome provviene da un puteale (antico?) di marmo, che stava avanti la porta maggiore della chiesa e dava nome a tutta la contrada (Strong p. 49). Il sito è segnato sulla pianta del Bufalini f. FG (col nome falso D. Johannes) e, più esattamente, sopra una pianta esistente nell'Archivio della Chiesa Nuova e pubblicata presso Strong tav. II. In luogo dell'antica chiesa, S. Filippo Nerio cominciò nel 1575 la costruzione dello splendido santuario chiamato volgarmente Chiesa Nuova, mentre ritiene ufficialmente il nome di S. Maria in Vallicella.
Del Sodo Vallicell. f. 136 v., Vatic. p. 225 (S. Maria in S. Gregorio alias la Vallicella); Panciroli 1 597 2 781; Lonigo Barb. f. f. 36‑39, Vallicell. f. 52v-57v; Martinelli 249; Ciampini de Vicecancellario p. 180; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 286; Nibby 508 sg.; Forcella IV p. 141‑204. XIII p. 447‑465; Armellini 1 359 2 390; Angeli 404; Calvi Bibliografia 98; E. Strong La Chiesa Nuova (Roma 1923). • Titi 124‑129.
M95. S. MARIAE DE VERGARIIS ovvero VIRGARIIS
Cenc. 67 (S. Martini bergariorum): den. VI — Paris. 54 (de virgariis) — Taur. 100: habet I sacerdotem — Sign. 188.
Chiesuola situata nella cortina di S. Pietro, al principio della portica. I confini vengono descritti nella bolla di Leone IX del 20. marzo 1053 (Bullar. Vaticanum I, 20; Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 467 n. 16; Kehr IP. I p. 146 n. 4): a primo latere viculum a cortina in porticum, in secundo via per porticum, a tertio via quae exit per arcum, a quarto silice usque in cortina. È registrata fra le filiali di S. Pietro nelle bolle di Adriano IV del 10. febbraio 1158 (Bullar. Vatic. I p. 57; Kehr IP. I p. 142 n. 34), di Urbano III del 13. giugno 1186 (Bullar. Vatic. I p. 68; Kehr p. 143 n. 42), d'Innocenzo III del 15. ottobre 1205 (Bullar. Vatic. p. 83) e di Gregorio IX del 22. giugno 1228 (Bullar. Vatic. p. 113). Nella descrizione della basilica vaticana di Pietro Mallio è detto: in eadem platea ante sanctum Petrum, videlicet ante ecclesiam Sanctae Mariae virgariorum (l'antica edizione negli AA. SS. Iunii tom. VII p. 50 n. 129 secondo codici deteriori ha Vngariorum, locchè ha dato occasione all'Ugonio, Stazioni p. 97 ed al Piazza, Ephemer. Vatic. p. 232, di parlare di una chiesa S. Mariae de Ungaris; cf. Cancellieri p. 736) est quoddam aliud cantharum, in quo de consuetudine schola virgariorum praeparat D. Pape lectum in letania maiore veniendo ad S. Petrum. Sui virgarii, cioè i cantores divinis laudibus iuxta D. Petri altare celebrandis addicti, p375 che portavano come insegne delle verghe di argento v. Cancellieri p. 736. Nell'ordine di Benedetto Canonico (n. XI presso Mabillon, Museum Italicum I p. 147) è notato: venientes ad S. Laurentium in porticu maiore (= S. Laurentii in Piscibus, v. sopra p. 294 n. 28), ubi incipit simplicem litaniam, usque ad lectum cantari ante sanctam Mariam in Virgari in fine cortinae. Il posto corrisponde approssimativamente a quello occupato oggi dall'obelisco. Una bolla di Gregorio XIII del 5, settembre 1580 (Bullar. Vatic. III p. 137) ricorda la ecclesia seu cappella B. M. de Virgariis in platea dictae basilicae, postea suadente ornatu et amplificatione dictae plateae inter alia aedificia disiecta, et a felicis recordationis Pio pp. IV ad basilicam et altare S. Marci translata.
Lonigo Barb. f. 36, Vallicell. f. 52 v.; Martinelli 375; Cancellieri de secretariis II p. 736‑738, III p. 1402 sg.; Adinolfi Portica di S. Pietro 126 sg.; Armellini 1 349 2 779.
M96. S. MARIAE IN VIA
Cenc. 192: den. VI — Paris. 64 — Taur. 40: habet tres clericos — Sign. 131.
La più antica menzione certa di questa chiesa si trova in un istromento del 1042 nell'archivio di S. Maria in Via Lata (Hartmann Tabularium S. M. in Via Lata p. 97 n. 74), ove si parla di una casa posita Romae regione nona non procul a venerabili ecclesia S. Mariae in Via. Però sopra (p. 365 n. 85) fu accennato alla possibilità, che una delle due chiese di S. Maria sitae ante portam monasterii S. Silvestri (in capite) ricordate nella bolla di Giovanni XII del 962 fosse addirittura S. Maria in Via. Un altro istromento di vendita, pure dell'archivio di S. Maria in Via Lata (Galletti cod. Vat. 8049 f. 30) dell'anno 1165 ricorda una domus posita Romae in regione columnae Antoninae in loco qui vocatur prope sanctam Mariam in Via. Alla vidimazione della copia della bolla di Agapito II (955) per S. Silvestro in Capite, fatta nel 1277, sottoscrive fra altri un Iacobus archipresbyter S. Mariae in Via (Arch. soc. romana XXII, 1899, p. 290). La chiesa, registrata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 54 n. 36, p. 58 n. 18, p. 60 n. 26, p. 64 n. 42, p. 68 n. 18) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI, esiste tuttora sul posto antico. Il nome, come osservò il Marucchi (presso Armellini l.c.) deriva probabilmente da una strada antica, che dalla Via Flaminia si dirigeva verso l'arco monumentale dell'acqua Vergine con l'epigrafe di Claudio (v. Lanciani FUR f. 16).
Del Sodo Vallicell. f. 81 v., Vatic. 193; Panciroli 1 599 2 404; Lonigo Barb. f. 39v, Vallicell. f. 57; Martinelli 252; Bruti vol. 19 (to. XVIII) f. 703‑712 (ital.), p376 vol. 13 (to. XII) f. 161‑167 (lat.), vol. 10 (to. IX) f. 71‑83 (= pars III lib. I c. 9. 10); Forcella VIII p. 353‑382; Adinolfi II p. 342; Armellini 1 334 2 274; Angeli 407; Calvi Bibliografia p. 99. • Titi 350.
M97. S. MARIAE IN VIA LATA
Cenc. 46: den. XVIII — Paris. 45 — Taur. 70: diaconi cardinalis, habet VI clericos — Sign. 170, rel. 77.
Antichissima diaconia, il cui nome ricorda quello della parte intramurana della Via Flaminia. Menzionata per la prima volta fra le chiese arricchite di doni da Leone III nell'806 (LP. XCVIII c. 70, cf. sopra p. 6 n. 8), poi nelle biografie di Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 16, 17) e di Sergio II (844‑847; LP. CIV c. 22). La tradizione che sia stata fondata da Sergio I (687‑701) non si basa su documenti contemporanei. Eugenio IV, con bolla del 19. marzo 1433, unì ad essa il vicino monastero di S. Ciriaco e Niccolò (sopra p. 243 n. 30). Riedificata da Innocenzo VIII nel 1491, la chiesa esiste tuttora sul posto antico.
Del Sodo Vallicell. f. 93 v., Vatic. p. 195; Panciroli 1 602 2 357; Lonigo Barb. f. 39 v., Vallicell. f. 57; Martinelli Primo trofeo della S.ma Croce eretta in Roma nella Via Lata da S. Pietro apostolo (Roma 1655), Roma ex ethnica sacra 252; Bruti vol. 9 (to. VIII) f. 139 v.-176 (= l. XIII c. 2); Nibby 519; Forcella VIII p. 383‑416. XIII, 499; Adinolfi II 289; Armellini 1 341 2 471; L. M. Hartmann Ecclesiae S. Mariae in Via Lata tabularium (Vienna 1895‑1911); Kehr IP. I p. 77 sg.; Angeli 409; Cavazzi La diaconia di S. Maria in Via Lata (Roma 1908); Calvi Bibliografia 99; Marucchi 2 392. • Titi 318‑319.
M98. S. MARIAE DE VIRGINIBUS
Nel principio del sec. XIV un prete della diocesi sabinense, Paulus de Podio Donadei, con una sua nipote Agnese e cinque altre donne, acquistò una casa in Borgo, accanto al monastero di S. Caterina delle Cavallerotte (sopra p. 235 n. 14) per tenervi vita comune: le donne adottarono l'abito delle Agostiniane e si chiamarono canonichesse, come le Cavallerotte vicine. Cominciarono pure la costruzione di un piccolo oratorio, che in un documento dell'archivio di S. Pietro del 13. aprile 1325 (Bullar. Vatic. II p. 34 not.) è detto S. Mariae Virginium. Le Cavallerotte protestarono contro quella fondazione, considerandola come illegittima: e Benedetto XII da Avignone, con bolla del 24. marzo 1341, ordinò al suo vicario di proibirla. Però quest'ordine rimase senza effetto, e quindi il capitolo di S. Pietro si rivolse al successore di Benedetto ripetendo la querela contra le donne asserentes se canonicas loci de Virginibus, quem monasterium ordinis S. Augustini falso praetendebant. . . . (ubi) quoddam oratorium p377 temeritate propria construere inceperunt (Bullar. Vatic. I p. 344). In seguito a questa protesta, Clemente VI, l'11. luglio 1344, intimò la scomunica alle inquiline del "locus de Virginibus" (Bullar. l.c.): ma le donne poco si curarono della terribile minaccia, ed il loro stabilimento continuò ad esistere, rimanendo pure in relazione con il monastero delle Agostiniane di Poggio Donadei. Anzi sotto Urbano VI (1362‑1370) ottennero una bolla (secondo l'Armellini "Reg. Urb. tom. XVIIII f. 2, tom. XIX f. 309"; probabilmente identico con Zaccagni p. 430: "Urbani VI regest. comun. an. 6 ep. 29") per la quale venne permesso ut ecclesiam earum, monasterium et altaria alla chiesa coemeterium per catholicum episcopum valeant consecrari et in dicto coemeterio canonicae et familiares ipsius monasterii tantum sepeliantur. Ma continuarono le discordie (plurimae seditiones, clamores et scandal saepius surgebant) coll'attiguo monastero delle Cavallerotte (quod mediante pariete iungebatur: Bullar. Vatic. II p. 35), e papa Bonifazio IX incaricò due cardinali, Niccolò Caracciolo di S. Ciriaco e Luca Gentili, di occuparsi della faccenda. La relazione del Caracciolo, del 3. febbraio 1382 (Bullar. Vatic. II p. 36) dipinge in colori abbastanza foschi lo stato del "locus S. Mariae de Virginibus", nel quale si trovavano scandalosae et plurimum dissolutae sorores, viventes adeo dishoneste quod pudor erat de ipsarum moribus per religiosas et honestas personas aures Suae Sanctitatis implere (Bullar. Vatic. l.c.). Visto questo stato, il cardinale Gentili, il 31. marzo 1393, ordinò che il locus de Virginibus" fosse incorporato al monastero di S. Caterina. Lo stabile, in questo documento, viene descritto: ab una parte tenet et est monasterium Sanctae Catherinae; retro sunt muri urbis, via mediante; ab aliis lateribus sunt viae publicae (Bullar. Vatic. l.c.); il sito corrisponde all'isola stradale fra il moderno Vicolo del Colonnato ed il Corridoio di Borgo. Le inquiline del "locus" in parte furono mandate al convento delle Agostiniane a Poggio Donadei, in parte a monasterî urbani. Dalle suesposte vicende del "locus" si spiega perchè S. Maria de Virginibus non comparisce in nessun catalogo dei sec. XIV e XV: manca nel torinese perchè considerato come illegale, nel Signorili perchè non più esistente.
Adinolfi Portica di S. Pietro 119; Armellini 1 374 2 744.
M99. S. MARIAE IN XENODOCHIO FIRMIS
Oratorio menzionato solamente nella biografia di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 42), di situazione affatto incerta. Deve essere stato diverso p378 da S. Mariae in sinodochio (Belisarii), v. sopra p. 365 n. 86. Cf. Duchesne al LP. II p. 46 n. 108.
M100. S. MARIAE ET S. BLASII
Pietro Sabino, nei suoi codici Marc. f. 171 e Chis. f. 85v., riferisce un frammento di lapide da lui veduto (circa il 1495) "in domo cuiusdam marmorarii prope radices Caballi":
Tempore quo Gregorius Romanae Urbis septimu . . . ad laudem Matris Virginis simulq. almi Blasii. . . . |
Il testo fu pubblicato per la prima volta dal De Rossi (IChr. II, 1 p. 454 n. 2), il quale notò che si tratta di una dedica fatta nel pontificato di Gregorio VII (1073‑1085), ma aggiunse di non poter accertare a quale santuario della Vergine e di S. Biagio possa riferirsi. La chiesa S. Benedicti in Thermis qualche volta, già prima del pontificato suddetto, viene appellata S. Benedicti et S. Mariae et S. Blasii (sopra p. 212 n. 18).
— S. MARIAE ET PETRI MARTINI BENEDICTI IN HORREA v. S. Petri in Horrea.
— S. MARIAE AEGYPTIACAE v. S. Mariae in Gradellis.
M101. S. MARIAE MAGDALENAE in Burgo
Taur. 103: habet I sacerdotem; id. 104: hospitale S. Mariae Magdalenae non habet servitorem.
Chiesa ed ospedale annoverate dal Torinese fra S. Peregrino e S. Giustino. In un catasto della basilica Vaticana dell'anno 1454 (Arch. Vat. misc. arm. VI vol. 30 f. 77 v.) trovo ricordata l'aecclesia S. Mariae Magdalenae prope muros civitatis Leoninae; onde si può arguire che fosse nei pressi della Porta Viridaria. Una bolla di Martino V del 1. ottobre 1421 si riferisce ad una lite tra Matteo Giovanni della Novizia di Rieti e la Badessa del monasterium Sanctae Mariae Magdalena in porticu Sancti Petri de Urbe ordinis S. Benedicti (Adinolfi Portica di S. Pietro p. 243, cf. 125).
Armellini 1 324 2 788.
M102. S. MARIAE MAGDALENAE in Quirinali
Taur. 18: habet I sacerdotem — Sign. 152.
Chiesuola registrata dai cataloghi fra S. Agata de Caballo e S. Susanna, situata forse nei pressi delle Quattro Fontane. Non si deve confondere p379 con quella moderna di S. Maria Maddalena delle Sacramentale, costruita nel 1581 sull'angolo della Piazza di Monte Cavallo (Nolli 175), e demolita nel 1888 (Armellini 1 323 2 183.
Armellini 1 323 2 290.
M103. S. MARIAE MAGDALENAE prope Rotundam
Chiesa non ricordata nei cataloghi più antichi, e le cui origini non rimontano oltre il 1400. L'Adinolfi p. 394 cita un documento del 1403 (testamento di Madonna Rosuccia nell'Archivio del Salvatore, catasto del 1435 f. 67), ove si ricorda una "casa del quondam Andrea de' Grattuli, situata presso alla chiesa di Santa Maria Maddalena e presso l'arco pel quale si va alla piazza delli Cancellieri" (= Piazza Colonna). Quasi contemporaneo (1410‑1414) è il passo dell'Anonimo Magliabecchiano (Jordan II p. 611 sg.; Urlichs Codex topographicus p. 155): archus pietatis ad Sanctam Mariam rotundam triumphalis est versus ubi est hospitale iuxta Magdalenae et Bactentium, deformatus nimis fuit: ubi historia imperatoris cum paupercula cet. Nel sec. XV e XVI la chiesa apparteneva all'Arciconfraternita del Gonfalone, nell'Archivio del quale si trovano molte notizie relative ad essa. Una pianta dell'antica chiesa è contenuta nel "Libro delle piante delle chiese ecc." (1584) dello stesso Archivio f. 72, insieme con le piante di molte case del vicinato. Da Gregorio XV (1621‑1623) fu concessa ai Ministri degli Infermi, i quali costruirono la chiesa tuttora esistente, che fu dedicata nel 1727 (iscrizione presso Forcella VIII p. 426 n. 1008).
Del Sodo Vallicell. f. 153, Vatic. p. 238 (S. Maria Maddalena del Confalone alla Rotonda); Panciroli 1 613 2 422; Lonigo Barb. f. 40, Vallicell. f. 58; Martinelli 254; Bruti vol. 10 (to. IX) f. 213‑221 (= pars III lib. I c. 28); Nibby 533; Forcella VIII p. 417‑436; Ruggeri Arciconfraternita del Gonfalone (Roma 1866) p. 101‑104; Armellini 1 323 2 318; Angeli 313; Calvi Bibliografia p. 89. • Titi 348‑349.
M104. S. MARIAE MAGDALENAE extra urbem
L'Ordo Romanus di gr10 (1271‑1276), presso Mabillon Museum Italicum I p. 231, descrivendo il rituale dell'incoronazione del pontefice, dice: si vero dominus Papa consecratur vel eligitur extra Urbem, cum venerit ad Romam ad cappellam Sanctae Mariae Magdalenae ad radices montis p380 Mali, descendit, ecc. Un documento dell'11. maggio 1278, inserito nel Liber Censuum (II p. 53 n. 20 ed. Fabre-Duchesne), ricorda certe vigne poste extra portam Auream seu castri sancti Angeli, prope ecclesiam sancte Marie Magdalenae ad pedem Montis Mali, in extrema Subereti (sulla tenuta dell'Insugherata vedi Nibby Dintorni di Roma II p. 156; Tomassetti Campagna Romana II, 1910, p. 21) . . . ab uno latere est strata Subereti, ab alio tenet . . . .ecclesia S. Mariae in Monticellis, ab alio heredes Pauli Gottifredi, et ab alio est via quae vadit ad Suberetum et Iohannis Aurati. Un presbiter Iohannes sancte Marie Madalene de Monte Malo apparisce come testimonio in una carta dell'11. gennaio 1315 nell'archivio di S. Alessio (Nerini p. 495). Nel Diario del Notaio di Nantiporto (Muratori Script. III p. 1100. 1101) all'anno 1486 viene ricordata più volte la chiesa di S. Maria Maddalena insieme con quella di S. Maria del Riposo (sopra p. 363 n. 81). Nel sec. XVI, il nome fu cambiato in S. Lazzaro (delli leprosi: Catalogo di S. Pio V sopra p. 100 n. 142), e sotto questo esiste tuttora alla destra della Via Trionfale.
Armellini 1 661 2 842.
M105. S. MARINAE A COLISEO
Cenc. 289 (senza cognome): den. VI — Paris. 306 (a celog') — Taur. 180 (S. Marinae ibidem): habet I sacerdotem — Sign. 248 (senza cognome).
Di questa chiesuola, oltre alla menzione nei quattro cataloghi, non rima nessuna memoria. L'ordine topografico del torinese e del Signorili dimostra che stava fra S. Clemente e l'Anfiteatro, ma la posizione esatta non si può indicare.
M106. S. MARINAE DE POSTERULA
Cenc. 291 (in pusterula) — Paris. 307 (Pusterulis) — Taur. 60 (senza cognome): habet III clericos — Sign. 110 (senza cognome).
Chiesa ricordata già nel sec. XI in documenti dei vescovadi di Porto e Silva Candida, ai quali apparteneva. La bolla di Giovanni XIX del 1026 (Ughelli Italia Sacra I p. 96; Kehr IP. II p. 26 n. 3), un'altra di Benedetto IX del 1033 (Ughelli p. 104; Kehr II p. 26 n. 5), una terza di Gregorio IX del 2. agosto 1236 (Ughelli p. 132) la dicono prope montem Augustum ovvero non longe a monte qui Augustus dicitur (il nome, almeno nei testi stampati, viene corrotto in S. Mariae, ovvero nella terza p381 S. Martinae). Un presbiter Petrus S. Marine de Posterula comparisce in un documento del 16. giugno 1213 nell'archivio di S. Silvestro in Capite (Federici Arch. soc. romana XXII, 1899,º p. 529 n. 69). In un documento del 12. dicembre 1242 nell'Archivio di S. Silvestro in Capite (Arch. soc. romana XXIII, 1900, p. 77 n. 98) viene descritta una casa posita in regione S. Laurentii in Lucina. . . . a III latere est via publica et tenet ecclesia S. Marinae. Verso la metà del sec. XV la chiesa era diruta e discoperta: papa Nicolò V con bolla del 21. aprile 1453 la donò alla compagnia degli Schiavoni, che in luogo di essa edificò la chiesa di S. Girolamo tuttora esistente a Ripetta.
Lonigo Barb. f. 40 v., Vallicell. f. 58 v.; Martinelli 373. 374; Alveri II p. 71; Armellini 1 454 2 326 (S. Martina in monte Augusto); Lanciani Storia degli scavi I p. 56 sg.
M107. S. MARTINAE
Cenc. 135: den. XVIIIº; id. lit. 57: den. XVIII — Paris. 366 — Taur. 207: est capella episcopi Ostiensis, habet III clericos — Sign. 285, rel. 26.
Antica e celebre basilica, costruita nelle rovine del Secretarium Senatus, menzionata per la prima volta nella biografia di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 51 e 96). Fu restaurata da Leone III: il passo relativo (LP. XCVIII c. 90) la dice S. Martinae sita in tribus fatis (v. sopra p. 260 n. 1 s.v. S. Hadriani). Fu restaurata un'altra volta sotto Alessandro IV e consacrata di nuovo nel 1256, come attesta una iscrizione tuttora esistente (Galletti Inscr. Rom. I p. 313 cl. I n. 231; Forcella VII p. 415 n. 838). Nel 1588, Sisto V la concedette alla Compagnia dei pittori, in sostituzione della loro chiesa soppressa di S. Luca presso S. Maria Maggiore (sopra p. 300 n. 39). Da quel tempo, il nome di S. Luca fu associato o sostituito a quello di S. Martina. Riedificata in luogo più alto sotto Urbano VIII, esiste tuttora.
Del Sodo Vallicell. f. 163, Vatic. p. 238; Panciroli 1 427 2 79 (S. Lucae e S. Martina); Lonigo Barb. f. 40 v., Vallicell. f. 59; Martinelli 255. 376; Bruti vol. 3 (to. II) f. 432‑488 (= lib. III c. 37); Nibby 539; Forcella VII p. 411‑424. XIII p. 531; Armellini 1 451 2 159; Angeli 233; Calvi Bibliografia 100; Marucchi 2 234. • Titi 200‑201.
M108. S. MARTINI DE MARDONIS
Paris. 198 (a domo Mardonis) — Taur. 83: habet I sacerdotem — Sign. 104 (de Mardonibus).
Chiesa annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 56: a domo iudicis Mardo(n)is). p382 Secondo l'ordine topografico dei cataloghi si deve cercare sul lato ovest delle Terme Alessandrine, verso l'estremità settentrionale del Circo Agonale. È impossibile crederla identica con S. Cosma dei Barbieri, come vollero il Ciampini ed il Fonseca. Il fondatore della chiesa potrebbe essere quel domnus Mardo protoscrinarius et iudex, alla cui presenza fu rogato il documento del 22. febbraio 1158 esistente nell'archivio di S. Maria Nova (Arch. soc. romana XXV, 1902, p. 209 n. 79). Notizie sui Mardone dei sec. XIV e XV si hanno nel Repertorio dello Iacovacci cod. Ottobon. 2551 f. 398 sg.
Martinelli 377; Ciampini de Vicecancellario 181; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 388; Armellini 1 455 2 437.
M109. S. MARTINI DE MONTE (TITO) ovvero DE MAXIMO
Cenc. 188 (de Maximo): den. VI — Paris. 200 (de Monte de Maximo) — Taur. 218 (de monte Tito): habet sacerdotem et clericum — Sign. 295 (de monte).
Chiesuola scomparsa dopo il sec. XV: si deve cercare nel versante sud del Campidoglio, non lontana da S. Salvatore in Maxim(in)is.
Lonigo Barb. f. 41, Vallicell. f. 59 v. (da Cencio); Armellini 1 413 2 453. 2 566.
M110. S. MARTINI IN MONTIBUS
Cenc. 10: sol. II — Paris. 195 (de montibus) — Taur. 156: titulus presbiteri cardinalis, habet fratres XV ordinis Carmelitani — Sign. 221, re12.
Il titolo antichissimo di Equitio fondato da papa Silvestro I (314‑335, LP. XXXIIIº c. 33), in origine chiamato S. Silvestri, fu ampliato da papa Simmaco (498‑514), coll'aggiunta di una chiesa di S. Martino: beati Martini ecclesiam iuxta S. Silvestrum Palatini inl. v. pecuniis fabricans et exornans, eo ipso insistente dedicavit (Fragmentum Laurentianum presso Duchesne LP. I p. 46; Mommsen Liber Pont. p. X). Preti del titulus Equitii sono fra i sottoscrittori del sinodo romano del 499 (sopra p. 124), mentre in quello del 595 si dicono tituli S. Silvestri. Verso la fine del sec. VIII fu restaurata da Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 73: ecclesiam b. Martini sitam iuxta titulum S. Silvestri. . . . renovavit). Leone III l'arricchì di doni: in questa occasione viene detta diaconia SS. Silvestri et Martini quae ponitur iuxta Orfeam (LP. XCVIII c. 75, v. sopra p. 8 n. 62). Sergio II (844‑847) rifabbricò a fundamentis la basilica di S. Martino (LP. CIV c. 27 - 31). Nelle biografie dei pontefici dei sec. IX e X viene più volte detta basilica SS. Silvestri et Martini tit. Equitii; poi p383 il nome di S. Silvestro cadde in dimenticanza. Nei cataloghi, da Cencio in poi, troviamo soltanto quello di S. Martino, che tuttora ritiene.
Del Sodo Vallicell. f. 103. 104, Vatic. p. 235; Ugonio Stazioni 250 sg.; Panciroli 1 618 2 217; Lonigo Barb. f. 41, Vallicell. f. 60; Filippini Ristretto di tutto quello che appartiene all'antichità e veneratione della chiesa dei SS. Silvestro e Martino de' Monti (Roma 1639); Martinelli 255; Lubin 345; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 342‑376 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 253 v.-268 v. (lat.), vol. 6 (to. V) f. 240‑272 (= l. VII c. 27); Nibby 543 sg.; Forcella IV p. 3‑34. XIII p. 421; Adinolfi II, 121 sg.; Armellini 1 459 2 214; Angeli 417; Calvi Bibliografia 101; Marucchi 2 319; Silvagni Arch. soc. romana XXXV, 1912, p. 1‑117; Wilpert Mosaiken und Malereien I p. 323‑337; Kirsch, Die römischen Titelkirchen 41‑45. • Titi 243‑244.
M111. S. MARTINI DE PANARELLA
Cenc. 200 (de pannarella) den. VI — Paris. 109 — Taur. 360: habet I sacerdotem — Sign. 30.
Chiesetta già esistita nel Rione Regola, non lungi dal Ponte Sisto (Nolli n. 723), demolita sotto Benedetto XIV. È annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 37), menzionata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 56 n. 88 p. 58 n. 4, p. 61 n. 71, p. 65 n. 87) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI (p. 75 n. 187, p. 85 n. 161, p. 101 n. 183, p. 112 n. 195). In tutti questi è chiamata, per la sua piccolezza, S. Martinello. Nei sec. XVI e XVII viene appellata anche S. Martino ai Pelamantelli (la strada dei Pelamantelli corrisponde alla moderna dei Giubbonari) opposto S. Martino al Monte della Pietà. La tradizione ripetuta del Martinelli da "auctores antiquitatum Romanarum a centum fere abhinc annis impressarum" che fosse riedificata nel 1220 da un monaco di S.Salvatore di Rieti di nome Gualterio, può essere vera, ma non si deve riferire, come fece l'Armellini, alla prima fondazione, perchè la chiesa comparisce già nel catalogo di Cencio. Una relazione di Gio. Marangoni sulle scoperte fatte in occasione della demolizione della chiesa nel settembre del 1747 si trova nel cod. Vatic. 9023 f. 85‑109. Il nome di S. Martino in Monticello, che l'Armellini (dal Lonigo) ripete come occorrente nel catalogo del Cencio, è un semplice sbaglio di copista; v. sopra p. 350 n. 66.
Del Sodo Vallicell. f. 120, Vatic. p. 236 (S. Martino vicino ai Catinari); Panciroli 1 617 (S. M. alli Catinari) 2 771; Lonigo Barb. f. 41, val 59 v.; Martinelli 257; Ciampini de Vicecancellario 182; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 348; Armellini 1 454 2 402.
M112. S. MARTINI POST S. PETRUM
Monastero e chiesa assai antico, ricordato già nel costituto sinodale di Gregorio III del 732 (De Rossi, Due monumenti inediti spettanti a due concilii romani, Roma 1854; Duchesne al LP. II p. 422 n. 137), restaurato da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 90, cf. c. 77. 101). Papa l34, il quale fu ivi educato (LP. CV c. 2, vol. II p. 106 Duchesne: in monasterio b. Martini quod foris muros huius civitatis Romanae iuxta ecclesiam b. Petri apostoli situm est), gli dimostrò speciale affetto. Con bolla del 10. agosto 854 (Bullarium Vaticanum I, 15; Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 432 n. 2; Kehr IP. I p. 145 n. 1) concedette al monasterium S. Martini quod situm est post absidam in introitu ecclesiae b. Petri le seguenti chiese: S. Salvatore ad sepeliendos omnes peregrinos; S. Mariae q. v. Schola Saxonum; S. Michaelis q. v. Schola Frisonum; S. Iustini q. app. Schola Langobardorum una cum ecclesia S. Zenonis. Il medesimo pontefice la restaurò (LP. CV c. 108: monasterium beati M. quod longo senio erat casurum miris domorum aedificiis restauravit) e l'arricchì di doni (LP. CV c. 21: monasterium S. M. quod basilicae beati Petri apostoli coheret). Nel secolo XI appartenne al vescovado di Silva Candida (Bolla di Giovanni XIX del 17. dicembre 1026: Ughelli Italia Sacra I p. 96; Kehr IP. II p. 26 n. 3; di Benedetto IX del 1037 ivi p. 104; Kehr p. 26 n. 5). In una carta del 1042 nell'archivio di S. Maria in Via Lata è detto venerabile monasterium S. Martini post hecclesiam S. Petri apostoli (Hartmann Tabularium S. Mariae in Via Lata I p. 95 n. 72). Un documento del 6. giugno 1043 (Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901 p. 464 n. 14) si riferisce alla vendita di una vigna foris porta Aurea. . . . iuxta formam Sabatinam fatta da un Crescentius archipresbyter venerabilis monasterii S. Martini qui vocatur de Sassa; il medesimo Crescenzo, in un documento del marzo del medesimo anno (Schiaparelli l.c.º p. 461 n. 13) è detto archipresbyter venerabilis monasterii S. Martini qui ponitur post absidas beati Petri apostoli. Alcune note pubblicate dal Cancellieri (p. 1497 sg.) da un Necrologio della basilica Vaticana attestano che la cappella di S. Martino fu restaurata ed ornata nel principio del sec. XV dal cardinale Giovanni (de Broniaco) Vivariense, vescovo di Ostia e vicecancellario sotto Benedetto XIII e Martino V (morto nel 1426; cf. Ughelli I p. 75). Fu abbattuta quando Nicolò V cominciò la costruzione della nuova basilica di S. Pietro (Mafeo Vegio de rebus antiquis basilicae S. Petri, Acta Sanctorum Iun. VII app. p. 72 cf. p. 145). Il sito è indicato sa pianta dell'Alfaran corrispondente p385 all'attuale pilastro della Veronica; cf. la descrizione dell'Alfarano presso Cancellieri p. 1492. — Quale autorità abbia il nome S. Martini ad (ovvero iuxta) ferratam riferito dal Martinelli (sull'autorità del Grimaldi) e dal Torrigio (Sacri trofei p. 152. p. 154; Grotte vaticane p. 357) "da un'antico manoscritto", non saprei decidere.
Martinelli 376. 377; Lubin 339; Cancellieri de secretariis III p. 1489‑1498; Armellini 1 457 2 739; Kehr IP. I p. 145.
M113. S. MARTINI DE PILA ovvero DE POSTERULA
Cenc. 220 (de pila): den. VI — Paris. 196 (de pusterulis) — Taur. 61 (de posterula): habet I sacerdotem — Sign. 111 (de posterula).
Chiesuola già situata fra le posterule tiberine dette di S. Agata (ovvero de Guilielmo) e della pila, vale a dire presso il Porto di Ripetta. La prima menzione, secondo il Corvisieri p. 97, si troverebbe in un documento del 1026 nell'archivio di S. Maria in Via Lata, nel quale comparisce un domnus Bernardus religiosus archipresbiter de venerabili oratorio S. Christi martiris Martini. Viene appresso un atto di donazione fatto il 29. dicembre del 1045, da un Iohannes. . . . qui voc. de Adamo, qui residet a pusterula de Guglielmo a Boniza abbadessa del monastero di S. Ciriaco in via Lata (Hartmann S. Mariae in via Lata tabularium I p. 104 n. 80). Egli offre ecclesia una in integrum in onore sancti Martini. . . . posita iuxta iam dicta pusterula; e da quel tempo le monache di S. Ciriaco erano in possesso della chiesa. Un atto del 17. nov. 1128 nel medesimo archivio (Hartmann III p. 3 n. 150) si riferisce all'affitto di un terreno positum Rome in Campo Martius (sic) in Pusterula non longe ab ecclesia sancti Martini. Il giorno 211. dicembre 1148, Cencio e Pandolfo figli di Gregorio Cenci concedettero venerabili ecclesiae sci. Martini a flumine et presbitero Iohanni rectori una vigna fuori Porta Flaminia ed altri terreni (Hartmann III p. 23 n. 175). Più tardi, i preti di S. Lorenzo in Lucina contestarono alle monache il diritto di nominare il rettore della chiesa: nel 1206, Innocenzo III decise in favore delle monache, ed il prete Egidio investito dai preti di S. Lorenzo fu obbligato a farsi nominare legittimamente dall'abbadessa Ermingarda. Una simile contesa fra le monache ed il prete Cosmato di S. Martino fu pure deciso in favore delle monache da Innocenzo IV nel 1244 (Cavazzi 276). Il Corvisieri osserva che in carte dell'Archivio di S. Maria in via Lata sono ricordati i preti Avvocato e Giacomo nel 1250, un arciprete Lorenzo nel 1272; e che nel 1272 il prete Ilperino, nel 1301 il prete Antonio si dicono p386 ecclesiae S. Martini ut flumen (cf. Martinelli Primo trofeo della SS.Croce p. 109). Due altri documenti relativi ad investiture di preti, del 1326 e del 1376, sono citati dal Cavazzi (p. 276. 277 dall'"Arch., Mem. p. 339"). La chiesuola fu distrutta nel sec. XV, ed il culto trasferito nella chiesa vicina di S. Rocco.
Lonigo Barb. f. 41, Vallicell. f. 59 v. (da Cencio); Corvisieri Arch. soc. romana I, 1877, p. 96 sg.; Armellini 1 455 2 327; Cavazzi S. Maria in Via Lata 275‑277.
M114. S. MARTINI DE PORTICA
Cenc. 73 (de curtina): den. VI — Paris. 197 (de portica) — Taur. 97 (de porticu): habet I sacerdotem — Sign. 186 (de pontica).
Chiesa del Borgo, sul confine della portica e della cortina di Spiet. È annoverata, colonna nome S. Martini iuxta porticum, fra le chiese soggette al Capitolo Vaticano nelle bolle d'Innocenzo III del 15. ottobre 1205 (Bullarium Vaticanum I p. 84) e di Gregorio IX del 22. giugno 1228 (ivi p. 113). I censuali della basilica Vaticana della fine del sec. XIV (sopra p. 136 n. 9) ed il catalogo del 1492 (p. 73 n. 112) la chiamano S. Martinelli. Nel sec. XVI spesso fu sostituito i nome di S. Martina a quello di S. Martino. In quell'epoca la chiesuola fu incorporata nel palazzo fabbricato dai Cavalieri di Malta per il loro priorato di Roma: perciò nel catalogo di S. Pio V (p. 100 n. 151) viene appellata S. Martina nel Palazzo del Priore di Roma. Essa esistette così finchè, sotto Alessandro VII, il Palazzo dei Cavalieri fu distrutto per l'ampliamento della Piazza di S. Pietro. Il sito preciso della chiesetta è stato dimostrato dall'E.mo. Ehrle, Dissertazioni dell'Accademia Pontificia Ser. II tom. 10, 1910, p. 36. 37.
Del Sodo Vallicell. f. 74, Vatic. p. 239 (Santa Martina al Priorato); Panciroli 1 617 (Santa Martina a San Pietro) 2 509 (Santa Martina del Priorato); Lonigo Barb. f. 41, Vallicell. f. 54 v. (de curtina, da Cencio), Barb. foro 40 v., Vallicell. f. 54 v. (S. Martina del Priorato); Martinelli 257; Adinolfi Portica di S. Pietro 128; Armellini 1 456 2 764.
M115. S. MATTHAEI IN MERULANA
Taur. 296: hospitale S. Matthaei de Merulana habet priorem et fratres ordinis Cruciferorum VIII — Sign. 224, rel. 9.
Chiesa antichissima, la quale si trova già, fra i titoli, nelle sottoscrizioni del sinodo romano del 499 (sopra p. 124 n. 17). Probabilmente durante il sec. VI perdette il carattere di titolare, ed il titolo fu trasferito p387 alla vicina chiesa dei SS. Pietro e Marcellino. Restaurata sotto Pasquale II nel 1110 e sotto Innocenzo III nel 1212, la chiesa fu distrutta sotto il governo francese circa il 1810; nel medesimo luogo fu costruita quella moderna nel 1883.
Del Sodo Vallicell. f. 173 v., Vatic. p. 221; Panciroli 1 622 2 171; Lonigo Barb. f. 41 v., Vallicell. f. 60; Martinelli 257; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 221‑228 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 163‑170 (lat.), vol. 4 (to. III) f. 276 v.-295 (= lib. IIII c. 22); Forcella X p. 445‑456; Adinolfi I, 292 sg.; Tomassetti Cenno storico sulla chiesa di S. Matteo in Merulano (Roma 1883); Armellini 1 464 2 244; Kehr IP. I p. 39; Calvi Bibliografia 11; Kirsch, Die römischen Titelkirchen p. 11. 56. sg. Henze Miscellanea Ehrle II (1924) 404‑414. • Titi 229.
M116. S. MENNAE
Paris. 339 (S. Mennas).
Chiesa assai antica, menzionata già in una iscrizione del 589 (De Rossi IChr. II p. 455); circa il medesimo tempo Gregorio Magno vi proferì la sua omelia XXXVI in Evang. (Migne PL. LXXVI p. 1259). L'Itinerario di Einsiedeln (De Rossi RS. I p. 183; Huelsen Dissert. dell'Accademia Pontificia Ser. II vol. 9 1907, p. 418; sopra p. 5 n. 45) dopo aver ricordata la Porta Ostiensis, continua: inde per porticum usque ad ecclesiam Mennae et de Mennae usque ad S. Paulum apostolum. Che non fosse nella vicinanza immediata della porta, i può dedurre dalle parole colle quali S. Gregorio comincia la sua predica: quia longius ab urbe digressi sumus, ne ad revertendum tardior hora praepediat. È menzionata pure nelle biografie di Leone III (795‑816; LP. XCVIIIº c. 5) e di Pasquale I (817‑824: LP. C 26. 27). Dopo il sec. XIII se ne perde affatto la memoria.
Armellini 1 742 2 927; Duchesne LP. II p. 54 not. 10.
M117. S. MICHAELIS ARCHANGELI
Narra il biografo di papa Simmaco (498‑514; LP. LIII c. 9): ad archangelum Michahel basilicam ampliavit et grados fecit et introduxit aquam. Probabilmente si tratta della basilica di S. Arcangelo ed Eufemia in vico patricio (LP. XCVIII, Leo III c. 47; v. sopra p. 249 n. 2). V. la mia nota nell'edizione del Lib. Pont. del Mommsen p. 283; Levison Neues Archiv De Rossi Ges. für ältere deutsche Gesch. 1910 p. 355.
118. S. MICHAELIS (DE PORTICU)
Cenc. 75 (senza cognome): den. VI, id. lit. 43 (cappella S. Michaelis): den. XII — Paris. 111 (S. M. de Porticu) — Taur. 121 (S. Michaelis quae est capella papae): habet III clericos — Sign. 192 (senza cognome).
Chiesa assai antica, della schola Frisonum, menzionata già nella bolla di Leone IV per S. Martino al Vaticano del 10. agosto 854 (v. sopra n. 112). Esiste tuttora sotto il nome di S. Michele e Magno nel Borgo S. Spirito.
Del Sodo Vallicell. f. 72, Vatic. p. 229; Panciroli 1 207 2 551; Torrigio Origine dell'antichissima chiesa di S. Michele e Magno (Roma 1629); Severano Sette Chiese 294; Martinelli 259; Alveri II p. 242‑247; Nibby 553; Adinolfi Portica di S. Pietro 209; Forcella VI p. 263‑278; Armellini 1 143 2 770; Kehr IP. I p. 152; Blok Bull. arch. comunale XXXIV, 1906, p. 42‑60; Calvi Bibliografia p. 103. • Titi 25.
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