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Le Chiese di Roma nel Medio Evo

di Christian Hülsen

pubblicato da Leo S. Olschki
Firenze
MCMXXVII

Il testo è nel pubblico dominio.

seguente:

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 p429 

I Qm

S1. S. SABAE

Cenc. lit. 15 (monasterium sancte [sic] Sabe): sol. III — Paris. 354 Taur. 271 (monasterium sancte sancti Sabbe): habet abbatem et monachos XVI — Sign. 339 (sce. Sabe), rel. 36.

Chiesa e monastero antichissimo, le cui origini già nel sec. XII furono connesse con S. Gregorio Magno e con la sua famiglia. Narra Giovanni Diacono (vita S. Gregorii I, 9; Migne PL. LXXV p. 66) che S. Silvia,  p430 madre di Gregorio, ebbe la dimora nel luogo detto Cella Nova, quo hactenus famosum s. Sabae monasterium. . . . constitutum videtur; e papa Lucio II nella bolla per Cluny del 19. gennaio 1145 (Migne PL. CLXXIX p. 931; Jaffé-Lowenfeld 8707) asserisce che quel monastero fu a temporibus beatissimi papae Gregorii in religione et honestate fundatum atque magnis et amplissimis possessionibus ditatum. I monaci greci che nei secoli seguenti a S. Gregorio abitarono il monastero, forse provenivano dal celebre convento di S. Saba a Gerusalemme, chiamato "Laura nova", e diedero il nome di "Cella Nova" al monastero romano per ricordo della loro dimora primitiva. Il nome di Cella Nova occorre nelle biografie di Stefano III (768‑772; LP. XCVI c. 12 e 14) e di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 21 e S.:monasterium S. Sabe qui appellatur Cella nova), di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 30. 76, cf. sopra p. 8 n. 65) e di Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 28). Il catalogo delle venti abazie lo novera sotto il titolo S. Sabae Cellae novae (sopra p128). Al monastero apparteneva una chiesa, del quale sono stati scoperti recentemente notevoli avanzi: essa era di dimensioni più piccole di quel attuale e la sua decorazione si può attribuire in papa ai sec. VI e VII. Essa fu forse distrutta durante l'invasione dei Normanni del 1084. La nuova chiesa venne edificata dai Cluniacensi, ai quali Lucio II assegnò il monastero nel 1145; da essi passò nel 1503 ai Cisterciensi. Gregorio III, nel 1573, unì la chiesa a quella di S. Apollinare per la fondazione del Collegio Germanico-Ungarico dei Gesuiti.

Del Sodo Vallicell. f. 131, Vatic. p. 328 (S. Andrea apostolo e S. Savo abbate); Panciroli 1 734 2 682; Severano Sette Chiese 378; Lonigo Barb. f. 50 v., Vallicell. f. 74; Martinelli 295; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 122‑128 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 93‑99 (lat.); Lubin 329; Nibby 688; Forcella XII p. 131‑136; Armellini 1 581 2 589; Kehr IP. I p. 118; Calvi Bibliografia 123; Marucchi 2 176; Cannizzaro e Carini, Bollettino d'Arte 1915, 129‑135. • Titi 73.

I Ok

S2. S. SABINAE

Cenc. 26: sol. II — Paris. 360 (Savinna) — Taur. 265: titolo presbyteri cardinalis, habet fratres praedicatores XXX — Sign. 337, rel.38.

Basilica antichissima, fondata sotto Celestino I (422‑432) da un prete Pietro di nazione illirica, come attesta l'iscrizione monumentale in musaico che tuttora si legge sopra l'ingresso, compiuta sotto Sisto III (432‑440; LP. XLVI c. 9: huius temporibus fecit Petrus episcopus basilica in  p431 urbe Roma scae. Sabinae). La chiesa, come hanno dimostrato gli scavi recenti, occupa il posto di una casa signorile romana, e non, come spesso fu creduto, del tempio di Giunone Regina. Al secolo quinto appartiene pure l'epitafio di un presbyter Basilius tituli Sabinae conservato in S. Paolo fuori le mura (Margarini Inscr. basilicae S. Pauli p. 12 n. 166; Muratori Inscr. 1841, 4). Titolari di essa sottoscrivono ai sinodi romani del 499 (sopra p. 124) e del 595 (sopra p. 125). Fu restaurata da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 4: basilicam b. Sabinae. . . . studiose renovavit), e da lui arricchita molti di doniº (ivi c. 29. 40. 42. 43. 73. 81. 85. 103). Il restauro fu compiuto da Eugenio II (824‑827: LP. CI c. 3). Dei lavori di e p2 rimase sino alla fine del sec. XVI la cancellata di bronzo dinanzi all'altare maggiore con le parole EVGENIVS PAPA sec. VNDVS, "le quali cose dando impedimento alla cappella papale sono state levate ora", come scrive Giulio Rossi (1585: Vat. lat. 11904 f. 16 sg.). Sotto Onorio III fu concessa ai domenicani, che tuttora la posseggono.

Ugonio Stazioni f. 7; Del Sodo Vallicell. f. 132 v., Vatic. p. 371; Panciroli 1 735 2 638; Lonigo Barb. f. 50 v., Vallicell. f. 74 v.; Martinelli 296; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 85‑101 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 65‑75 (lat.); Nibby 688; Forcella VII p. 289‑326; Armellini 1 582 2 581; Angeli 533; Calvi Bibliografia 123; Marucchi 2 184; Berthier L'église de Sainte Sabine, Roma 1910; Muñoz Studî romani II p. 329‑342, Dissert. dell'Accad. Pontif. Ser. II vol. 13, 1918, p. 119 sg.; Kirsch, Die römischen Titelkirchen 96‑100. • Titi 64.

Per un riassunto storico-artistico e delle foto, si veda il mio sito.

II Lo

S3. S. SALVATORIS DE ARCU DE TRASI

Paris. 53 (de arcu Trasonis) — Taur. 186: habet I sacerdotem — Sign. 255 (ad arcum Trasi).

Chiesuola ctua già presso l'arco di Costantino, probabilmente fra l'arco ed il Colosseo. È scomparsa dopo il sec. XV senza che si possa precisarne il posto.

Armellini 1 587 2 521.

S4. S. SALVATORIS DE BALNEO MICCINE

Paris. 16.

Questa chiesuola stando al cognome, si dovrebbe cercare nella parte sud del rione Pigna, ad ovest dei ruderi del Circo Flaminio (v. più sotto s. v. S. Valentino); ma non può essere identica, come vuole il De Rossi  p432 (presso Fabre Mélanges 1887 p. 436), con S. Salvatore in pensulis (de Sorraca), neppure con S. Salvatore de Gallia nè con S. Salvatore de Iulia, tutte annoverate nel catalogo parigino accanto ad essa.

II Ki

S5. S. SALVATORIS DE BARONCINIS

Cenc. 269 (Barancinorum): den. VI — Paris. 23 Taur. 356: habet I sacerdotem — Sign. 42 (de Varoncinis).

Chiesuola annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 33: de Barunchin). Il cognome ricorda una famiglia romana; un tenimentum turris Baroncin(orum), nei pressi di Grottaferrata o Frascati, è menzionato in una bolla di Bonifacio VIII del 18. maggio 1303 (vol. III p. 812 n. 5312 ed. Digeard). Nei sec. XV e XVI spesso vie chiamata in Piazza Giudea ovvero in foro Iudaeorum (Liber Anniversariorum di S. Maria in porticu sopra p. 59 n. 49; catalogo del 1492 p. 77 n. 228; Tassa di Pio IV p. 94 n. 227), mentre il catalogo di S. Pio V (sopra p. 103 n. 237) la registrata senza cognome. In un documento del 12. dicembre 1449 presso Bicci, famiglia Boccapaduli p. 603, viene ricordata una domus Aloysii (Boccapaduli) posita in regione S. Angeli in loco qui dicitur piazza Iudei inter hos fines, cui ab uno latere tenet et est domus ecclesiae S. Salvatoris etc. Fu distrutta in vigore di un motu proprio di Alessandro VII del 23. novembre 1657: il Ciampini, che l'aveva veduto ancora in piedi, la dice situata al lato nord della Piazza, laddove poi fu costruita la fontana.

Del Sodo Vallicell. f. f. 124, Vatic. p. 316 (S. Salvatore a Piazza Giudea); Panciroli 1 749 2 739 (S. S. a Piazza Giudea); Lonigo Barb. f. 50 v., Vallicell. f. 74 v. (Baroncinorum, da Cencio); Martinelli 299. 391 (in platea Iudaeorum); Ciampini de Vicecancellario p. 192; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 344; Armellini 1 598 2 571.

S6. S. SALVATORIS DE BIBERATICA

Cenc. 162 (inde, precede S. Laurentio Beberaticae): den. VI — Paris. 4 (de Beneratica).

Secondo il cognome, questa chiesuola deve essere stata sul versante ovest del Quirinale verso il Foro Traiano; ma nulla si può stabilire sul sito preciso e sulle vicende del piccolo santuario.

II Ki

S7. S. SALVATORIS DE BORDONIA

La bolla di Leone IX del 24. marzo 1053 (Bullarium Vaticanum I p. 29; Migne PL. CXLIII p. 717 n. 80; Schiaparelli Arch. soc. romana  p433 XXIV, 1901, p. 469 n. 17; Kehr IP. I p. 147 n. 6) conferma al monastero di S. Stefano Maggiore presso S. Pietro duo burgica dicta Frisonum et Saxonum cum omnibus pertinentiis et ecclesiis S. Zenonis, S. Nicolai, S. Mariae, S. Salvatoris de Bordonia. Il Torrigio (Storica narrazione di S. Giacomo in Borgo p. 5 sg.) propose di identificarla con S. Salvatore de Scossacavallo, e tale coniettura è stata generalmente accettata. Ad essa però si oppone il fatto che S. S. de Scossacavallo sta nella Portica di S. Pietro, regione ben distinta dai due borghi dei Frisoni e Sassoni (Ehrle Dissertazioni dell'Accademia Pontificia Ser. II vol. 10, 1910, p. 3 sg.).

Martinelli 388; Armellini 1 247 2 776.

II Ki

S8. S. SALVATORIS DE CACCABARIIS

Cenc. 172 (Cacabari): den. VI — Paris. 17 Taur. 351: habet sacerdotem et clericum — Sign. 37 (de catthabariis).

Chiesa annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 34), ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 56 n. 91, p. 61 n. 77, p. 75 n. 93) ed in altri catalogo dei sec. XV e XVI (p. 75 n. 181, p. 86 n. 194, p. 101 n. 172). Nel 1546 il giorno 10. gennaio, secondo una iscrizione riferita dal Bruti che manca nel Forcella), fu veduta piangere una immagine della Madonna dipinta sulla porta di una casa vicina: da quel tempo la chiesa cambiò il nome in quello di S. Maria del Pianto, sotto il quale tuttora esiste.

Del Sodo Vallicell. f. 123, Vatic. p. 222 (S. Maria del pianto); Panciroli 12 746 (S. M. del Pianto); Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75 (S. Salvatoris de c. dal Cencio), Barb. f. 38 v., Vallicell. f. 55 v. (S. M. del pianto); Bruti vol. 21 (to. XX) f. 125‑128 (ital.), vol. 15 (to. XIV) f. 92 v.-95 (lat.); Martinelli 388; Ciampini de Vicecancellario p. 193; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 381; Nibby 454; Forcella V p. 469‑486, XIII p. 472, 473; Armellini 1 598 2 570;º Angeli 370; Calvi Bibliografia 95. • Titi 94.

II Hl

S9. S. SALVATORIS DE CAMILIANO

Taur. 46: habet I sacerdotem — Sign. 126.

Chiesuola già situata presso la Piazza di Camigliano corrispondente all'odierna Piazza del Collegio Romano. Il Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 54 n. 31) la registrata nel Rione di Trevi, e perciò sembra probabile che stasse sul lato orientale della piazza. Da questa parte, sotto l'ala occidentale del Palazzo Doria-Pamfili, la pianta di  p434 s. Maria in Via Lata, rilevata nel 1661 e conservata nell'archivio della basilica (riprodotta dal Cavazzi a p. 246) segna il luogo di una chiesa del Salvatore, alla quale però vien dato il cognome, certamente erroneo, de Gallia. La confusione si spiega col fatto, che anche la chiesa di S. Salvatore de Gallia era soggetta al monastero di Via Lata (v. più sotto n. 16), e che, mentre essa occorre spesso nelle carte dell'archivio di S. Maria in Via Lata, quella di S. Salvatore in Camiliano è ricordata raramente: il Cavazzi dice espressamente: "nei documenti del nostro archivio se ne fa me in una sola pergamena del 1324 (Depretis Inventarium p. 247)". Anche scrittori moderni, come l'Adinolfi e l'Armellini, confondono le due chiese. Quella denominata in Camiliano dopo il 1470 non viene più ricordata, e forse fu abbattuta per la costruzione del palazzo del cardinale Santoro.

Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75 v.; Martinelli 388; Adinolfi II p. 301; Armellini 1 592 2 476; Cavazzi S. Maria in Via lata p. 274.

II Jh

S10. S. SALVATORIS DE (DOMNO) CAMPO

Cenc. 217 (de dõ cãpo): den. VI, id. lit. 47 (Campi): den. XII — Paris. 19 (de Dompcampo) — Taur. 344; habet I sacerdotem — Sign. 29 (de Campo), rel. 96 (dompni Campi).

Il nome originario di questa chiesuola era S. Salvatoris de domno Campo, cognome che, secondo lo Schuster (Liber Sacramentorum vol. V, Roma 1923, p. 31), ricorda "il domnus Campo, famigerato abbate di Farfa verso la prima metà del secolo X, il quale eresse o restaurò quella prepositura". Ancora nella Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 220) è detta S. S. in onecampo. Però il predicato domnus viene omesso per tempo: nella bolla di Urbano III del 1186 per S. Lorenzo in Damaso (sopra p. 133 n. 38) è detto S. S. de Campo e così pure nel Liber Anniversariorum del Salvatore (p. 56 n. 87). Dalla fine del sec. XV in poi si sostituisce la forma in campo (sopra p. 58 n. 3, p. 61 n. 69, p. 65 n. 86, p. 86 n. 192, p. 102 n. 186, p. 112 n. 197). La chiesa medievale non sorgeva là dove si trova quella moderna; narra il Ciampini che l'antica era e conspectu ecclesiae Smae. Trinitatis Convalescentium, e che nel 1690 furono scavati avanzi di sepolture ad essa appartenenti in via quae a platea Montis Pietatis ad ecclesiam S. Trinitatis ducit (= Via dei Pettinari). Fu demolita nel 1639 per la costruzione del palazzo del Monte di Pietà.

Del Sodo Vallicell. f. 120 (in Campo), Vatic. p. 316 (in Campo alla Regola); Panciroli 1 742 2 771; Lonigo Barb. f. 52, Vallicell. f. 76 v.; Ciampini de Vicecancellario p. 193; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 251; Nibby 693; Forcella VII p. 477‑484; Armellini 1 594 2 407; Tamilia Il Sacro Monte della Pietà (Roma 1900) p. 105.

 p435  II Hn

S11. S. SALVATORIS DE CORNUTIS ovvero DE CABALLO

Cenc. 199 (de caballo): den. VI — Paris. 2 Taur. 13: habet sacerdotem et clericum — Sign. 157.

Il cognome riferito da Cencio accenna alla vicinanza della chiesuola con il gruppo dei Dioscuri di Monte Cavallo; quello notato negli altri catalogo probabilmente deriva da una famiglia romana. La congettura del De Rossi (Bull. arch. crist. 1890 p. 87) che il cognome sia nato dall'iscrizione greca di un ΚΟΡΝΟΥΤΟϹ ΙΑΤΡΟϹ, la quale nei secoli XV e XVI esisteva in quelle vicinanze (nel giardino dei Colonnesi presso il Frontispizio di Nerone; v. IGr. XIV n. 1786), per quanto ingegnosa, ha questo d'improbabile, che una iscrizione greca già nella prima metà del secolo XIII sia stata adibita per creare un cognome ad una chiesa. Del resto, il testo dell'epigrafe non si trova nelle sillogi antichissime, ma soltanto in quella di Sabino e Giocondo, compilate poco prima del 1500. Una bolla d'Innocenzo III del 4. giugno 1205 (Migne PL. vol. CCXV p. 657; Potthast 2531) attesta che la chiesa S. Salvatoris de Cornutis apparteneva a quella di S. Agata in Diaconia (sopra p. 166 n. 10). Nel sec. XV, il nome de Cornutis venne mutato nella forma pseudo-antica de Corneliis, da un supposto vicus Corneliorum (l'iscrizione Grut. 621, 4 citata anche da autori moderni, che contiene il nome di un vicus Cornelii, è falsa o interpolata; v. CIL. VI, 5 n. 3297*). Così viene chiamata la chiesa già nei Liber Anniversariorum (sopra p. 53 n. 27, p. 60 n. 15, p. 63 n. 24, p. 68 n. 39) come pure nel catalogo dell'Anonimo Spagnuolo (p. 109 n. 101), mentre la Tassa di Pio IV la registrata sotto il nome sbagliato di S. Salvatore de coronatis nel rione delli monti (p. 94 n. 203). In un documento del 1. aprile 1510 (Lanciani Bull. arch. comunale 1895 p. 103, dagli atti del notaro Augustin Bruno nell'Archivio storico Capitolino) vien mentovato un rector ecclesiae sancti Salvatoris de Corneliis alias Cornutis in Montecavallo. Il sito è segnato sulla pianta del Bufalini foglio GH e sulla prospettiva del Dupérac (sul foglio MN del Bufalini il nome si trova ripetuto erroneamente, v. sotto S. Stephani de caballo). I cataloghi del 1492 (sopra p. 69 n. 2) e quello di S. Pio V (p. 96 n. 5) la registrano ancora sotto il nome di S. Salvatore a Monte Cavallo, ma nella seconda metà del sec. XVI cambiò nome. "Sendo molt'antica fu molt'anni sono buttata a terra", narra il Lonigo (Barb.) "e in suo luogo fabbricata la chiesa di S. Hir(onim)o, che sotto Paolo V pur fu distrutta; era lì dove è hora il cortile del palazzo del Sig. Cardinal Bentivoglio". Col Lonigo conviene il Martinelli nell'asserire  p436 che la chiesa fu distrutta sotto Paolo V "pro ampliando palatio Cardinalis Burghesi, quod postea fuit Ducis ab Altaemps, tum Bentivolorum, postremo Mazarinorum" (attuale Palazzo Rospigliosi). Deve essere quindi erronea a notizia ripetuta dallo Zaccagni p. 408 (s. v. S. Hieronymi) dagli avvisi del 15. marzo 1589: diruta ad ampliandum palatii Quirinalis plateam (la quale platea non si estese punto fino al sito della chiesa di S. Salvatore). La distruzione pare sia accaduta nel 1612, perchè in quell'anno la chiesa di S.Vincenzio ed Anastasio a Trevi fu ceduta ai frati Gesuati di S. Girolamo.

Del Sodo Vallicell. f. 109, Vatic. p. 137 (S. Girolamo a Monte Cavallo); Lonigo Barb. f. 50 v., Vallicell. f. 74 v.; Martinelli 361. 388; Adinolfi II p. 253 sg; Armellini 1 587 2 182.

II Lh

S12. S. SALVATORIS COXAE CABALLI

Cenc. 74: den. VI — Paris. 6 (de cossa cavallo).

Chiesa tuttora esistente sotto il nome di S. Giacomo a Scossacavalli in Borgo, detta nei sec. XIV e XV S. Iacobi de Porticu (sopra p. 267 n. 9). Col nome S. Salvatoris de coxa caballi viene annoverata fra le chiese soggette ai quattro monasteri presso S. Pietro, nella bolla di Adriano IV del 10. febbraio 1158 (Jaffé-Lowenfeld n. 10387; Schiaparelli Arch. soc. romana XXV, 1902, p. 296 n. 48) ed in altre che la confermano. Il Torrigio p. 8 cita da un Inventario nell'archivio di S. Pietro fatto per ordine del cardinale Gio. Caetano Orsini (Nicola III) nel 1277, il passo: ecclesia S. Salvatoris de Scossa Caballo, que modo ecclesia S. Iacobi nuncupatur. Si crede, ma senza ragioni convincenti, identica con S. Salvatoris de Bordonia.

Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75 (da Cencio); Torrigio historica narratione della chiesa di S. Giacomo in Borgo (Roma 1649) p. 7 sg.; Alveri Roma in ogni stato II p. 131‑135; Adinolfi Portica di S. Pietro 87 sg.; Armellini 1 247 2 776. • Titi 431.

II Fi

S13. S. SALVATORIS DE CUPELLIS

Taur. 75: habet V clericos — Sign. 106, rel. 69.

Chiesa tuttora esistente nella via omonima a nord-ovest del Pantheon. Una iscrizione murata nell'interno della chiesa attesta che fu consecrata da papa Celestino III il giorno 26 novembre 1195 (Galletti Inscr. Romanae I p. 40 cl. I n. 52; Forcella VII p. 499 n. 1156). È perduta invece una iscrizione metrica che il Ciampini trascrisse da un Liber Visitationum del 1574:

Illustris mulier Abbasia nomine quondam
Praebuit expensas, unde sacrata fuit
Haec domus; ante locus Pietatis nomen habebat,
Dicitur ecclesia nunc pietate Dei.
Papa Deo mulierque simul haec templa dicarunt:
Hic facit officium, foemina donat opem.
Pontificabat tunc Coelestinus in urbe
Tertius et praesens . . . . . . . .
Cum Salvatoris templum hoc dicavit honori
Et veniae munus contulit ipse pater,
Tempore quo rector Romanae alla chiesa archisacerdos
Hoc opus providit presbyter . . . .
Is et magni Boldini virtute inde praebenda
. . . . . . . . . . . .

Questa epigrafe secondo la sua dicitura (v. 1 quondam, v. 7 pontificabat) dovette essere più recente della prima, forse del sec. XIII o della prima metà del XIV. Mentre però l'iscrizione del 1195 è stata più volte copiata, dal tempo di Pietro Sabino (De Rossi IChr. II, 1 p. 447 n. 207) in poi, per quella metrica non trovo altra fonte che il suddetto Liber Visitationum. Non di meno deve essere stata conosciuta dagli antiquarii del sec. XVI, i quali parlano di un preteso templum Pietatis in Campo Martio, ubi nunc aedes S. Salvatoris de Pietate (Marliani Topogr. lib. VI f. 142 v. ed. 1534; Fauno lib. IV c. 16 f. 131 ed. 1548 ed altri). Ma i documenti medievali non conoscono il cognome de Pietate: la bolla di Onorio III del 23. giugno 1222 (II p. 36 n. 3757 ed. Pressutti), ed un'altra d'Innocenzo IV (an. 5 ep. 747) citata dallo Zaccagni p. 454 la chiamano de Cupellis. Anche i Liber Anniversariorum (sopra p. 54 n. 45, p. 60 n. 36, p. 64 n. 52, p. 67 n. 15) ed i cataloghi del sec. XVI conoscono soltanto questo cognome, che si crede derivato dal fatto che in quelle vicinanze avevano le loro botteghe i fabbricanti di coppelle o barili. Nell'iscrizione di Abbasia il terzo verso mi sembra significhi che la contrada ove sorgeva il piccolo santuario aveva il nome della Pietà, dal non lontano Arcus Pietatis. Probabilmente la chiesa è identica con S. Salvatoris de Sere, v. più sotto n. 37.

Del Sodo Vallicell. f. 154; Vatic. p. 317 (S. Salvatore della Pietà, alias delle copelle); Panciroli 1 743 2 423; Lonigo Barb. f. 52, Vallicell. f. 77; Martinelli 298; Bruti vol. 10 (to. IX) f. 228‑232 (pars III liv. I c. 29‑31: S. Salvatoris Pietatis vulgo de Cuppellis); Ciampini de Vicecancellario 191; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 398 sg. (S. Salvatoris in Versis); Nibby 693; Forcella VIII p. 495‑512; Armellini 1 592 2 442; Angeli 539; Calvi Bibliografia 124. • Titi 364.

S13A.º S. SALVATORIS A CURTE ASTALDI

Paris. 27.

Chiesuola non ricordata in alcun altro documento e di sito affatto incerto, se non si vuol credere identica con la seguente. Non mi pare probabile che il nome Astaldi stia in relazione con la famiglia degli Astalli.

II Mi

S14. S. SALVATORIS DE CURTIBUS

Cenc. 204 (curtium): den. VI — Taur. 389 (de Curtis): habet V clericos — Sign. 170, rel. 51 (S. S. de curtibus trans Tiberim).

Chiesa annoverata fra le filiali di S. Crisogono nella bolla di Callisto II del 17. aprile 1121 (sopra p. 130) sotto il nome S. Salvatoris de curte q. d. Felix aquila. Nel sec. XII il clero di essa ebbe una contesa con quello di S. Crisogono sostenendo che Alessandro III (1159‑1182) avesse concesso alla chiesa il privilegio quod nulli alii nisi Romanae ecclesiae subtaceat; ma quel documento fu dichiarato falso da Innocenzo III (v. la bolla del 23. luglio 1199. Migne PL. CCXIV p. 706 n. 153; Potthast 803). Cf. Kehr IP. I p. 126 sg. Ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 58 n. 138 p. 66 n. 128) ed in altri cataloghi dei sec. XVI e XVI (sopra p. 78 n. 280, p. 86 n. 195, p. 94 n. 234, p. 105 n. 287, p. 110 n. 151) esiste tuttora in Trastevere sotto il nome di S. Maria della Luce. È favolosa la tradizione che ne fa rimontare le origini al secolo quarto; e non meno arbitraria la congettura che il cognome derivi dall'excubitorium della settima coorte dei Vigili, scolpite in queste vicinanze nel 1867.

Del Sodo Vallicell. f. 67 v., Vatic. p. 314; Panciroli 1 744 2 603; Lonigo Barb. f. 52, Vallicell. f. 76 v.; Martinelli 298; Dom. Maoro Descrizione della ven. chiesa parrocchiale di S. Salvatore della Corte (Velletri 1677); Nibby 694; Forcella IX p. 317‑332, XIII p. 489; Armellini 1 660 2 678; Angeli 311; Kehr IP. I p. 124; Calvi Bibliografia 124. • Titi 58.

S15. S. SALVATORIS DE DIVITIIS ovvero IN CRIPTIS

Cenc. 112 (Divitiarum): den. VI — Paris. 24 Taur. 10: habet sacerdotem et clericum — Sign. 161 (in criptis)

Chiesa creduta identica dall'Adinolfi ed altri, ma a torto, con S. Salvatoriº de militiis, mentre, come osserva l'Armellini, ambedue le chiese si trovano distinte in tutti i cataloghi. Però, secondo l'ordine del torinese e del Signorili, erano assai vicini fra loro: il cognome de cryptis ne addita la ubicazione tra i ruderi del Foro Traiano, ed in ispecie  p439 della grande esedra orientale. Il cognome sarà derivato da un nome personale; una donna chiamata Divitia compare in una iscrizione del 1248 nell'oratorio di S. Silvestro ai SS. Quattro Coronati (Adinolfi I p. 331; Armellini 2 500 dal d'Agincourt).

Lonigo Barb. f. f. 51, val5 75 (da Cencio); Adinolfi II p. 49; Armellini 1 599 2 176.

II Jk

S16. S. SALVATORIS DE GALLIA DE CALCARARIO

Cenc. 233 (de Gallia): den. VI — Paris. 21 (de Gallia) — Taur. 37 (de Gallia de calcarario): non habet servitorem — Sign. 50 (de Gallia).

Chiesa annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 50: S. S. de Gallia). Poco più tardi però apparisce posseduta dal monastero di S. Ciriaco in Via Lata: un documento del 7. febbraio 1202 nell'archivio di S. Maria in Via Lata (Martinelli Primo trofeo della SS. Croce p. 104; Galletti cod. Vat. 8049 p. I f. 91, cf. del Primicerio p. 258 n. 2) menziona un presbyter Nicolaus ecclesiae S. Salvatoris de Gallia yconomu nostri monasterii. Dal medesimo archivio proviene un documento più antico, del 21. giugno 1168 (Hartmann tabularum S. Mariae in Via Lata III p. 46 n. 2031, col quale dompnus Nicolaus archipresbiter ecclesiae S. Salvatoris de Calcario concede ad un certo Pietro Contilde utilitatem in pariete antico que vocatur Tofara Salvatoris, senza però che vi si accenni ad una dipendenza della chiesa dal monastero. Il Galletti (cod. Vat. 8550 f. 88) ha copiato un altro documento dell'archivio S. Maria in Via Lata, del 25. luglio 1309, nel quale comparisce come testimone un presbyter Paulus rector S. Salvatoris de Gallia in calcarario. Il miles Nicolaus Bucimazza nel suo testamento del 1300 (Martinelli p. 109; Galletti cod. Vat. 8050 f. 84) dispone che centum floreni restituantur et exhibeantur primo damnis datis i ecclesia, domibus et inclaustro ecclesiae S. Salvatoris de Gallia, et nihilominus dicte domus et claustrum restituantur eidem ecclesiae S. Salvatoris seu ecclesie S. Ciriaci de Urbe. Nel sec. XV, la chiesa era deserta e ruinosa: nel 1433 le monache di S. Maria in Via Lata diedero in enfiteusi "una chiesa allora diruta detta volgarmente il Salvatore de Gallia. . . . della quale rimane solo un casalino scoperto ed alcuni muri, nei quali solea essere concorso per fare delle sporcizie e fetori" (Cavazzi, S. Maria in Via Lata p. 270 sg., dal Liber memoriarum nel suddetto archivio; Marchetti-Longhi p. 441).

Quanto al sito della chiesa, non occorre occuparsi dei vecchi errori del Ciampini e del Fonseca, che la credettero identica con S. Salvatore  p440 de Thermis, e neppure dell'Adinolfi, che la confuse con S. Salvatoris de Camiliano: opinioni discusse e rifiutate con prolissità inutile dallo Spezi. Era pure il Lonigo asserendo che "S. Salvatoris de Gallia ovvero de Gulia era una chiesa antica da dietro il monastero di S. Anna, vicino a S. Carlo de' Catinari", mentre quella è S. Salvatoris de Iulia. Tanto il cognome de calcarario quanto l'ordine topografico dei cataloghi dimostra che la chiesa deve cercarsi nella parte meridionale del rione Pigna, ed a sud della Via Papale, perchè viene registrata nella Regio S. Thomae. Ma per stabilire il posto preciso mancano i documenti. Nel documento del 1433 viene descritta come "posta nel rione di Pigna, nella contrada de' Calcaresi, ai confini di Angelo di Pietruccio Alexii, d'una casa del monastero (di S. Ciriaco) abitata da Andreozzo de Fabiano, dietro con il portico ed il pozzo appartenente al monastero, avanti con una piazzetta". Un altro documento dell'archivio di S. Maria in Via Lata (Marchetti-Longhi p. 440) descrive una casa appartenente a Philippus Rogerii Petri Bobili. . . . posita in regione vineae Thedemarii inter hos fines: a duobus lateribus tenet dicta ecclesia (S. Salvatoris de Gallia), a III Iohannis de Attis clericus dicte ecclesie, a IIII ante est via publica. Da ambedue le descrizioni, come anche dal testamento di Nicola Bucimazza, si desume che lo stabile era di qualche estensione, avendo il suo chiostro ovvero portico, e casa o case per abitazione. I confinanti però sono sconosciuti: si noti soltanto che in nessuno si nominano i Bucimazza come adiacenti. Nè dagli Acta fatta (a. 1281) coram senatoribus Urbis contra Iohannem Mathei Malabranca occupatarum duarum domuum prope ecclesiam S. Salvatoris de Gallia monasterii S. Ciriaci et prope domum de Buccamatiis (Marchetti p. 422 dal Liber transcript. instrum. antiq. in pergam. vol. 318 in Bibl. Vatic., Arch. S. Maria in Via Lata 7, 40 f. 1061 n. 864) si può conchiudere che il palazzo dei Bucimazza e la chiesa di S. Salvatore stessero nel medesimo blocco stradale. I cataloghi la nominano fra S. Laurentii de calcarario e S. Luciae de calcarario (Taurin.) oppure fra S. Nicolai de cacariis e S. Laurentii in calcarariis (Sign.), oppure fra S. Valentini e S. Nicolai de Calcarariis (bolla di Urbano). Sembra quindi che fosse fra le moderne vie di S. Nicola ai Cesarini e dell'Arco dei Ginnasi. L'abbandono della chiesuola fece sì che nel sec. XVII spesso venisse confusa con S. Salvatoris de Camiliano (sopra p. 433 n. 9): la pianta del 1661 nell'Archivio di S. Maria in Via Lata (Cavazzi p. 246) segna il luogo dentro il recinto del palazzo Doria-Panfili, e le scritture (del sec. XVII) nell'archivio citato dal Cavazzi p. 271 sg. commettono il medesimo errore.
 p441  Anche l'origine del cognome resta oscuro. Le congetture fantastiche dello Spezi, il quale sullo sbaglio di copista nel catalogo signoriliano — Galla invece di Gallia — basa l'ipotesi, che il nome originario fosse de Galla, che questo fosse connesso con gli stabilimenti di carità della patrizia Galla (presso S. Maria in Portico: dunque tutt'altro che vicini) e che "per l'influenza sempre crescente dei Francesi a Roma fosse mutato in de Gallia" — non meritano considerazione. Nè la presenza di alcuni abitanti francesi in questa parte della città nei sec. XIV e XV (Marchetti-Longhi p. 444 sg.) può spiegare un cognome già in uso alla fine del sec. XII.

Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75; Martinelli Primo trofeo della S.ma Croce (1655) p. 109; Ciampini de Vicecancellario p. 194; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 378; Adinolfi II p. 310; Armellini 1 602 2 495; P. Spezi Bull. arch. comunale 1905, 62‑103, 233‑263; Cavazzi S. Maria in Via Lata p. 270‑274; Marchetti-Longhi Arch. soc. romana XLII, 1918, p. 440 sg.

II Jp

S17. S. SALVATORIS DE TRIBUS IMAGINIBUS

Cenc. 98 (trium ymaginum): den. VI — Paris. 5 Taur. 175 (tribus ymaginibus): habet I sacerdotem — Sign. 243.

Questa chiesuola, situata sulla pendice settentrionale del monte Oppio, era nel sec. XIII soggetta a S. Maria Maggiore, come risulta da una bolla d'Innocenzo IV del 1244, citata dall'Adinolfi. Il nome, secondo il Marangoni (Istoria dell'oratorio di Sancta Sanctorum p. 186), derivava da una scoltura rappresentante "la SS. Trinità in tre figure di Cristo Salvatore, una seduta accanto all'altra e nei volti e negli abiti somigliantissime". Una contrada trium imaginum è ricordata nell'epitaffio di un Petrus Rubeus del 1359 (Adinolfi p. 100, da un codice della biblioteca Borghese n. 756 f. 5; manca nel Forcella). Nel sec. XV fu anche chiamato S. Salvatoris ad (h)ulmos (Liber Anniversariorum del Salvatore sopra p. 53 n. 5) ovvero S. Salvatoris ad tres imagines alli olmi (Liber diversorum dell'Arciconfraternita del Gonfalone 1489, presso Adinolfi), S. Salvatoris ad tre imagine alli holmi (Liber Anniversariorum S. Mariae in Araceli, sopra p. 68 n. 34; sulla piazza degli Olmi v. Adinolfi p. 101 sg.). Rimaneva però in uso anche il nome delle tre imagini, oppure de tribus imaginibus, sotto il quale la chiesa fu restaurata da Stefano Coppo al tempo di Alessandro VI (iscrizione tuttora esistente sulla Piazza della Subura: Adinolfi l.c.; Forcella XIII p. 176 n. 345) e si trova registrata tanto nel Liber Anniversariorum del Gonfalone (p. 63 n. 13) quanto nella tassa  p442 di Pio IV (sopra p. 93 n. 199) ed in altri cataloghi (p. 96 n. 20, p. 108 n. 53). Dopo che nel 1582 era stata unita da Gregorio XIII a S. Sergio e Bacco de Subura, fu profanata nel 1650 e venduto per scudi 550 ai frati del vicino monastero di S. Francesco di Paola (Bruti 21, il quale cita una iscrizione relativa al fatto ora perduta, e ch'io non trovo fra le pubblicate). I frati la cambiarono in oratorio dedicato a S. Francesco; sotto questo nome ha esistito (il luogo è segnato sulla pianta del Nolli n. 66) sino al 1888, quando fu demolita per i lavori di Via Cavour.

Del Sodo Vallicell. f. 103, Vatic. p. 316; Panciroli 1 744 2 208; Lonigo Barb. f. 52 v., Vallicell. f. 77 (trium imaginum in Subura), Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 76 (agl'Olmi nel rione de' Mt); Martinelli 392; Bruti vol. 21 (to. XX) f. 190 v., vol. 6 (to. V) f. 228 v.-230 (= l. VII c. 24); Adinolfi II p. 100 sg,; Armellini 1 598 2 223. • Titi 238.

S18. S. SALVATORIS DE INSULA

Cenc. 247 (insule de Coloseo): den. VI — Paris. 31; — Taur. 184: habet I sacerdotem — Sign. 253.

Chiesuola situata nei pressi del Colosseo, e probabilmente dal lato sud-est; il torinese la registrata fra S. Stephani de caput Africe e S. Salvatore de Rota, il Signorili fra quest'ultima e i SS. Quattro Coronati. È scomparsa, senza lasciar vestigia, dopo il sec. XV.

Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75 v. (da Cencio); Armellini 1 601 521.

II Gg

S19. S. SALVATORIS DE INVERSIS

Cenc. 258 (In Bersorum): den. VI — Paris. 15 (de Nubersis) — tar p127 (de Impersis): non habet servitorem — Sign. 77 (de conversis).

Una bolla di Alessandro III del 20. marzo 1177, per il monastero di S. Elia di Falleri (Corvisieri Arch. soc. romana I, 1877, p. 164 sg.; Kehr IP. II p. 180 n. 1), registrata, fra i beni da esso posseduti, in civitate Romana ecclesia S. Salvatoris cum ortis iuxta se positis in scorticlaria, et ecclesia Sancti Simeonis, et ecclesia Sancte Marie de Monticellis iuxta eandem ecclesiam Sancti Salvatoris: da ciò si rileva il sito della chiesa di S. Salvatore presso il Monte Giordano. È ricordata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 61: in Versis): poco dopo però da Onorio III, con bolla del 20. maggio 1218 (Adinolfi Canale di Ponte p. 78; Pressutti I p. 216 n. 308) fu assoggettata, insieme con le chiese di S. Angelo e di S. Pantaleone (iuxta flumen) a S. Celso e Giuliano: in quel documento è chiamata S. Salvatoris de Imbersis.  p443 I frati di S. Elia pare che abbiano aggiunto una cappelletta sotto il nome del loro protettore; secondo una iscrizione ora perduta (Galletti Vat. 7929 f. 311 v.; Corvisieri l.c. p. 114, da cui Forcella XII p. 369 n. 470), vetustissimorum hoc S. Eliae eremitorum. . . . reparata et contecta ecclesia. . . . pristino nitori et clutui restituit Marius del Drago Rivi Frigidi basilicae Vaticanae canonicus anno salutis MDCLXXXI. Sembra peraltro che quel rinnovamento non sia stato di lunga durata, e si vedono ora, secondo il Corvisieri, soltanto alcuni muri del santuario in una delle corti del Palazzo del Drago in Via dei Coronari (Nolli n. 594). Il cognome de Inversis probabilmente deriva da una famiglia; l'altro citato dell'Armellini d Rambertis, non si trova in documenti del medio evo. L'Armellini asserisce, pure erroneamente, che "fu anche dedicata a s. Leonardo".

Lonigo Barb. f. 50 v., Vallicell. f. 74 v. (da Cencio: Bersorum), Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 75 v. (de Niversis); Ciampini de Vicecancellario p. 197; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 397; Armellini 1 595 2 368.

S20. S. SALVATORIS IOANNIS BOVIS

Cenc. 297: est sine clericis, den. VI.

Chiesuola situata probabilmente nei pressi del Campidoglio; sulle case dei Bovi ovvero Boveschi nel rione di Campitelli, v. Marchetti-Longhi Memorie dei Lincei Ser. V vol. 16 (1923) p. 681 sg.

Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75 (da Cencio: Ioannis Leonis); Armellini 1 602 2-.

II Ji

S21. S. SALVATORIS DE IULIA

Paris. 14 (de Nilia) — Taur. 72: habet I sacerdotem.

La più antica menzione di questa chiesa si trova in un documento del 1046, col quale Susanna, badessa di S. Maria in Iulia "investe per 29 anni l'attigua chiesa" (Dom. Tordi presso Armellini 2 450). Vien annoverata, senza cognome ma accanto a S. Maria in Iulia, fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 45). Lo Zaccagni p. 454 cita il testamento del cardinale Giovanni Bucimazza del 1309 "intr Panvinii schedas de cardinal. p. 54". È ricordata pure, senza cognome, dopo S. Anna (= S. Maria in Iulia) nel catalogo del 1492 (sopra p. 76 n. 200). Il Panciroli (2 741) attesta che fu incorporata nel 1538 nel monastero di S. Anna; e perciò nel catalogo  p444 di S. Pio V (sopra p. 101 n. 182) occorre sotto il nome di S. Anna in Iulia con S. Salvatore in Iulia. È ricordata, col semplice nome, ancora nella Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 224) e nel catalogo dell'Anonimo Spagnuolo (p. 109 n. 119).

Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75 (de Gallia ovvero de Gulia); Martinelli 387. 389; Ciampini de Vicecancellario 190; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 370; Armellini 1 591 2 451.

— S. SALVATORIS IN LATERANO v. S. IOHANNIS IN LATERANO.

II Fg

S22. S. SALVATORIS DE LAURO

Cenc. 237: den. VI — Paris. 11 Taur. 91: habet sacerdotem et clericum — Sign. 80.

Chiesa annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 60), ricordata nei Liber Anniversariorum (p. 55 n. 70, p. 58 n. 9, p. 61 n. 48, p. 64 n. 61) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI (sopra p. 73 n. 153, p. 86 n. 197, p. 93 n. 196, p. 100 n. 137, p. 108 n. 76), tuttora esistente nel rione di Ponte. La congettura del Nibby, che il cognome provenga "dall'esservi stato il famoso portico di Europa, in mezzo al quale eravi, per quanto si crede, un boschetto di allori", è giustamente rigettata dall'Armellini. Piuttosto sarà derivato, come quello della vicina chiesa S. Silvestri de Palma (più sotto n. 59), dal nome di una contrada medievale e forse pure antica.

Del Sodo Vallicell. f. 90v., Vatic. p. 315; Panciroli 1 747 2 480; Lonigo Barb. f. 52, Vallicell. f. 77; Martinelli 299; Ciampini de Vicecancellario p. 195; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 395; Nibby 695; Forcella VII p. 77‑106. XIII p. 489; Armellini 1 589 2 366.º Titi 407‑409.

S23. S. SALVATORIS DE LUDO

Taur. 247: est sine tecto, non habet servitorem.

Chiesuola che, secondo l'ordine topografico del stata torinese, si deve cercare sul versante ovest del Palatino non lungi da S. Anastasia e S. Caesarei in Palatio. Un atto notarile del 10. gennaio 1558, pubblicato dal Lanciani Storia degli scavi II p. 37 (dall'Archivio di Stato a Roma, not. de Meis prot. 996 f. 75) descrive un certo orto dei Filippuzzi situm in conspectu hortorum Circi prope locum Palazo Maiore, cui ab una parte sunt res ecclesiae S. Salvatoris de Ludo, ab alia sunt res Romanelli de Persionibus, ante est via publica. Deve essere scomparsa verso  p445 la fine del sec. XV. Col suo nome forse sta in relazione quello di una chiesa S. Salvatoris in Tellude, che gli astigrafi del sec. XVI collocano sotto il monte Capitolino, presso le otto colonne del Tempio di Saturno. V. più sotto fra le chiese apocrife. Per una nuova confusione, autori moderni credono che una chiesa di tal nome abbia esistito sulle Carine, e ne traggono argomenti per la ubicazione del templum Telluris.

Armellini 1 603 2 171; Huelsen Römische Mitteilunger 1893 p. 301, Topographie I, 3 p. 324 not. 6.

S24. S. SALVATORIS A S. MARIA (IN) MONASTERIO

Cenc. 294º (Salvatoris de bono ecclesie S. Mariae in monasterio): den. VI — Paris. 30 (S. S. a S. M. monasterio).

Questa chiesuola, da lungo tempo scomparsa, deve essere stata sulle Esquilie, nelle vicinanze di S. Pietro in Vincoli: il nome presso Cencio fu nella giusta forma restituito dal Fabre Mélanges de l'Éc. franç. 1887 p. 437. Sul sito della chiesa v. le osservazioni P. Fedele, Arch. soc. romana XXIX (1906) p. 190.

Lonigo Barb. f. 50 v., Vallicell. f. 74 (S. Salv. de Bono; da Cencio); Armellini 1 599 2 831.

S25. S. SALVATORIS DE MARMORATA

Cenc. 120 (in Marmorata): den. VI — Paris. 25 Taur. 256: habet I sacerdotem — Sign. 331.

Chiesuola situata sotto l'Aventino nei pressi della Scuola Greca, scomparsa dopo il sec. XV senza lasciar vestigia.

Lonigo Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 75 v. (dal Cencio); Armellini 1 602 2 607.

II Li

S26. S. SALVATORIS DE MAXIMINIS

Cenc. 165 (Maximinorum): den. VI — Paris. 26 Taur. 221 (de Maximis): habet tres clericos.

Chiesa già situata sul versante occidentale del Campidoglio, verso il fiume. Per la posizione sono d'importanza tre passi dell'Anonymus Magliabecchianus: (Jordan II p532: Urlichs Codex topogr. 164) in summitate arcis a latere porticus Crinorum fuit templum Iovis Optimi Maximi, id est supra corte domna Micina, quod adhuc satis de eo apparet et introitus vocatur Salvator in Maximis; (Jordan p633; Urlichs p165): ubi nunc dicitur S. Maria de porticu, ibi supra ad ecclesiam Salvatoris in Maximis fuit introitus portici Iovis, ubi ut dicitur fuit pergula quae producebat uvas  p446 aureas; (Jordan p642; Urlichs p168): ad Salvatorem Maximinorum, ut superius dictum est, fuit porticus Iovis, ubi pergula scilicet vitis quae producebat uvas aureas. Ibi erat, ut dicitur, et templum Iovis optimi maximi, et vocabulum est corruptum, quod hodie dicitur Salvatore in Maximinis, et valde repraesentat vestigia sua. Flavio Biondo poi (Roma Instaurata II § 52, f. 17 v. ed. 1510), dopo aver parlato di un clivus che egli credeva scendesse verso S. Giorgio in Velabro ed il Giano quadrifronte: cui clivo etiam respondet quasi e regione Capitolii porta ingens ruinis supra medietatem obruta ad ecclesiam Salvatoris in Maximinis (è la medesima porta menzionata dal Poggi de varietate fortunae p. 5 ed. Giorgi, p. 235 presso Urlichs Codex topograph. L in ipsis Tarpeias arcis ruinis. . . . unde magna ex parte prospectus urbis pate; cf. Jordan Topogr. I, 2 p. 33 not. 33, il quale però erroneamente volle distinguere le due porte). Il medesimo Biondo ( l. I § 73, p. 9 ed. 1510) dice: Iovis Optimi Maximique templum ad eam situm fuit partem, ubi nunc dicitur Salvator in Maximis (anche il cod. Vat. 6311 citato dallo Zaccagni p. 455 non è altro che un testo del Biondo, e da lui dipende pure "Fabricio Varanon de Urbe Roma in fine" = De Roma prisca et nova varii auctores, Mazochi a. 1523 f. 145). La ubicazione del tempio di Giove presso la chiesuola fece sì che il cognome de Maximinis venisse mutato in de Maximis: cf. Franc. Albertinus lib. II f. N ii ed. 1510: templum Iovis optimi maximi erat ubi nunc est ecclesia S. Salvatoris in maximis. Il Marliani poi nell'edizione del 1534 della sua topografia (l. II c. 3 f. 24 v.; nella seconda edizione del 1544 il passo è omesso) asserisce Templum Iovis Optimi Maximi in ea Capitolii parte fuit, quae plateam nunc Montanariam dictam despicit: ad radices cuius paucis abhinc anis fuerat templum S. Salvatoris, ab illo prisco Iovis templo, in Maximis cognominatum. La chiesa dunque pare sia stata distrutta fra il 1509 ed il 1534. Il Bufalini, il quale, come recentemente fu dimostrato dall'Em. Ehrle, rappresenta nella sua pianta le teorie archeologiche del Marliani, segna (foglio GH) il TEMPIO IOVIS OPTIMI MAXIMI in un sito sopra la Piazza Montanara, accanto alla Via dei Saponari quasi incontro al Palazzo che fu dell'Istituto Archeologico Germanico. In quel posto quindi deve essere stata la chiesa di S. Salvatoris de Maximinis. Il nome deriva da una  p447 famiglia romana (v. Jacovacci cod. Ottobon. 2551 f. 710). Il Fabricio p. 289 ed. 1587 nota "S. S. de Maximis, olim Iovis Capitolini, nunc eversum"; il Martinelli ha cambiato le ultime due parole in "anno 1587 eversum", e l'Armellini in seguito asserisce: "questa chiesina fu distrutta nella seconda metà del secolo XVI, e precisamente nel 1587", citando "Catalogerà tom. XX", ove non se ne parla affatto. L'Armellini aggiunge: "stava sulla pendice del Campidoglio, che oggi dicesi Salite delle Tre Pile" — errore grossolano, ripetuto pure dal Lanciani Storia degli scavi IV p. 170.

Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75 v. (da Cencio); Martinelli 390; Armellini 1 597 2 559.

II Jn

S28.º S. SALVATORIS DE MILITIIS

Cenc. 79 (Militiarum): den. VI — Paris. 3 Taur. 9: habet sacerdotem et clericum — Sign. 162.

Il sito di questa chiesuola è segnato, col semplice nome S. Salvator, sulla pianta del Bufalini foglio GH, sul lato orientale dell'odierna Salita del Grillo. Ivi, nei sotterranei della casa n. 17 il Fonteanive scoprì nel 1886 due grossi muraglioni di opera quadrata con resti di affreschi appartenenti alla chiesa (v. Lanciani FUR. f. 22). Una iscrizione sulla pittura diceva EGO BE. . . . . . PINGE. . . . . Se il supplemento Ego Be[no de Rapiza] pinge[re feci] coglie nel segno, queste pitture sarebbero contemporanee a quelle della chiesa sotterranea di S. Clemente e dell'oratorio di S. Arcangelo (Sette Dormienti) sulla Via Appia. Il Grimaldi poi (de canonicis basilicae Vaticanae, cod. Vat. 6437 e presso Martinelli p. 322) descrive la chiesa (alla quale e però erroneamente attribuisce il nome S. Abbacyri in xenodochio) in questi termini: imminet huic ecclesiae monumento S. Sixti in clivi descensu, eundo versus sanctum Quiricum sinistrorsum; extat ad clivi medium, nunc profanata et in domum conversa, quae domus habet in fronte imaginem antiquam Salvatoris. . . . cernitur ibi et campanile ad Balnea Pauli. La immagine del Salvatore esisteva non soltanto al tempo del Martinelli, ma anche sino alla fine del sec. XIX. La chiesa è ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 63 n. 23, p. 68 n. 41), nel catalogo del 1492 (sopra p. 69 n. 7: S. Salvatoris ad occidentem montis), nel catalogo del 1555 (p. 86 n. 191), nella Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 201), nel catalogo di S. Pio V (sopra p. 97 n. 44) e finanche dal Del Sodo fra le esistenti, mentre manca nel catalogo dell'Anonimo Spagnuolo, nonchè nel Panciroli, e vien registrata dal Lonigo fra le chiese soppresse. Pare  p448 dunque che sia stata profanata sotto Sisto V; cf. anche Martinelli 333: in libris S. Visitationis Apostolicae agebatur de unienda parochia sancto Quirico et ecclesia monialibus S. Sixti, eamque solo aequare; nunc redacta est in domum S. Sixti.

Del Sodo Vallicell. f. 98, Vatic. p. 315; Lonigo Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 75 v.; Martinelli 333. 390; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 426‑427 (ital.: chiesa parrochiale di S. Salvatore alli Monti detta anticamente S. Salvatore delle Militie), vol. 12 (to. XI) f. 301‑302 (lat.); Adinolfi II p. 49; Armellini 1 588 2 179; Borsari e Fonteanive Bull. arch. comunale 1886 p. 305‑307.

S29. S. SALVATORIS DE MOLELLIS

Taur. 251: non habet servitorem.

Chiesuola situata, secondo l'ordine del catalogo, nei pressi della Schola Greca, senza che se ne possa precisare il posto; il cognome sembra alludere alle mole galleggianti nel fiume. L'Armellini a torto voleva mettere in relazione con essa "una chiesa segnata sulla pianta del Bufalini in Via Bocca della Verità col nome del Salvatore", che realmente non è altro che S. Nicola in Carcere. Pure il documento del 987, che il medesimo Armellini cita dal Nerini (de templo et coenobio S. Alexii p. 379), non ha niente da fare nè con questa chiesa nè con S. Salvatoris de Marmorata, ma si riferisce ad una chiesa suburbana ("in insula Asturia"; cf. il documento del 1140 presso Nerini p. 394; Kehr IP. I p. 116 n. 4).

Armellini 1 603 2 606.

S30. S. SALVATORIS DE PEDE PONTIS

Cenc. 93 (Pedepontis): den. XII — Paris. 12 Taur. 242: est cappella papalis, habet sacerdotem et clericum — Sign. 318, rel. 49.

Chiesa del rione Trastevere, all'estremità occidentale del Ponte Rotto (Pons S. Mariae), distrutta per i lavori del Tevere nel 1884. Nel secolo undecimo appartenne ai monaci benedettini di S. Paolo fuori, come si rileva dalla bolla di Gregorio VII (sopra p. 135), nella quale è detta S. Salvatoris in capite pontis S. Mariae. È ricordata pure nei Liber Anniversariorum (sopra p. 58 n. 141: S. S. in pede Pontis; p. 59 n. 59: S. S. in ponte de Sancta Maria; p. 67 n. 130: S. Salvatore de ponte S. Maria; p. 68 n. 29: S. S. del Ponte) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI.

Del Sodo Vallicell. f. 67, Vatic. p. 314; Panciroli 1 750 2 614; Lonigo Barb. f. 52, Vallicell. f. 77; Martinelli 299. 390; Nibby 698; Forcella IX p. 259‑268; Armellini 1 593 2 674.

 p449  II Jk

S31. S. SALVATORIS IN PENSILIS ovvero DE SORRACA

Paris. 13 (de Sorraca) — Taur. 373 (de Sorrata): habet sacerdotem et clericum — Sign. 59 (de Sorraca) 182 (de Pesulis).

La più antica menzione di questa chiesa si trova in una carta dell'archivio di S. Prassede del 1174 (Fedele Arch. soc. romana XXVIII, 1905, p. 63 n. 35), ove è ricordata una petia extra porta Nomentanam ad aquam Tuziam. . . iuris ecclesiae sancti Salvatoris Pensilis d Surraca. I medesimi beni sono menzionati in un altro documento del medesimo archivio, del 16. agosto 1209 (Fedele l.c. p. 87 n. 51). Una epigrafe copiata in casa Busiri (Via dell'Aurora 25) dall'Armellini, e da lui pubblicata come "inedita e sconosciuta agli illustratori della storia del pontificato romano" (invece si trova pubblicata dal Galletti Inscr. Roman. I p. 49‑51 cl. I n. 63 e dal Forcella III p. 319 n. 721; fu veduta già dall'Anonimo Spagnuolo Chigiano circa il 1565 in S. Stanislao dei Polacchi) si riferisce alla dedica, o piuttosto alla ricostruzione della chiesa, fatta il 27, ottobre 1285 per venerabilem Hieronymum episcopum Prenestinum. La lettera è diretta rectori et clerico ecclesie S. Salvatoris de Sorraca et cappellae S. Mariae iuxta eandem sita. La chiesa del Salvatore era posta fra le rovine dell'ambulacro settentrionale del Circo Flaminio, e perciò nei sec. XIV e XV viene detto S. Salvatoris de apothecis obscuris oppure S. Salvatoris super arcum obscurum. Il primo nome si trova p. es. nel testamento di Lorenzo de Amadeis del 31. ottobre 1387 (Galletti cod. Vat. 8051 "ex arch. S. Mariae Transtiberim"; Marchetti-Longhi Memorie dei Lincei Ser. V vol. 16, 1923, p. 697), al quale sottoscrive un dns. presbiter Leonardus rector ecclesiae S. Salvatoris de apothecis, la seconda nel Liber Anniversariorum S. Salvatoris (sopra p. 56 n. 108). Accanto a questo si trova il nome in pesolin pensulis (Gatti Statuti dei mercanti, Studî e documenti di storia e diritto 1881 p. 161; Liber Anniversariorum S. Mariae in Porticu p. 59 n. 42). Nella Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 226) e nei cataloghi di S. Pio V (sopra p. 102 n. 214) e dell'Anonimo Spagnuolo (p. 106 n. 10, p. 109 n. 104) è chiamata S. Salvatore delle Botteghe oscure. Il Fabricio (Roma p. 290 ed. 1587, da cui dipende Martinelli p. 390) la registrata sotto il nome di "S. Salvatoris in Palco in circo Flaminio, prope S. Catharinam, ubi nunc torquentur funes"; ma non trovo altre testimonianze per quel cognome, se non si vuol credere che la Tassa di Pio IV la ricordi un'altra volta sotto il nome di S. S. in  p450 falci (p. 94 n. 222). La chiesa venne concessa da Gregorio XIII al cardinale Osio, il quale la rifabbricò "tutto di nuovo nel 1582", come asserisce il Del Sodo. Allora fu dedicata al nome di S. Stanislao, sotto il quale ancora esiste. — Il cognome de Sorraca deriva da una famiglia, della quale si possono leggere notizie presso Marchetti-Longhi p. 678. Si noti che il Signorili riporta la chiesa due volte nel suo catalogo: nella parte di S. Tommaso col nome de Sorraca, ed in quella dei SS. Apostoli col nome de Pesulis. — Il Marchetti-Longhi l.c. dice che "nel catalogo di Cencio l'appellativo è alterato in de Sere" (v. più sotto p. 452 n. 38). Lo Spezi poi (Bull. comun. 1905 p. 253) prende lo sbaglio del Signorili come base di congetture inutili. Ma se egli biasima l'Armellini di aver "intitolato il suo articolo S. Salvatore in Pensili de Sorraca, senza dare alcuna prova che la chiesa avesse anche il secondo cognome" dimostra di non aver letto la surriferita iscrizione, che occupa la metà del testo dell'articolo dell'Armellini.

Del Sodo Vallicell. f. 142, Vatic. p. 317; Panciroli 1 741 2 839; lonob 51 v., Vallicell. f. 76 (S. Salvatoris in Pesoli), Barb. f. 56 v., Vallicell. f. 84 (S. Stanislao, ovvero S. Salvatore super arcum obscurum); Martinelli 390; Cancellieri Piazza Navona p. 26; Nibby 724; Forcella III, p. 314‑328. XIII p. 437‑440; Armellini 1 602 2 568; Marchetti-Longhi Memorie deiº Lincei ser. V vol. 16, 1923, p. 678.

I Sl

S32. S. SALVATORIS DE PORTA

Taur. 269: non habet servitorem.

Chiesuola situata sulla destra della Via Ostiense, poco fuori della Porta S. Paolo: il posto è segnato sulla pianta del Nolli f. 5. Occorre nei Libri Indulgentiarum (sopra p. 154 n. 92). Nel sec. XVI appartenne all'abbadia di S. Saba e fu, come attesta il Panciroli, insieme con essa data al Collegio Germanico da Gregorio XIII. Venne demolita nel 1849 durante l'assedio di Roma.

Del Sodo Vallicell. f. 130 v., Vatic. p. 317 (ristaurata di nuovo dall'Abbazia di S. Savo); Panciroli 1 750 2 650; Lonigo Barb. f. 52 v., Vallicell. f. 77; Martinelli 301; Armellini 1 741 2 925.

S33. S. SALVATORIS DE PRAEFECTO

Cenc. 240: den. VI — Paris. 20 (de domo praefecti) — Taur. 337 (de prefectis): habet I sacerdotem — Sign. 16.

Chiesa annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 41: de prefecto). Secondo l'ordine topografico di questo documento e pure dei cataloghi dovrebbe cercarsi  p451 non lungi da S. Lorenzo in Damaso, nelle vicinanze di Campo di Fiore; ma il sito non si può accertare. Sbaglia il Fonseca volendola identificare con S. Nicola de praefectis nel rione di Campo Marzo, ma è pure senza fondamento la congettura dell'Armellini che sia menzionata nella Tassa di Pio IV col nome di S. Salvatore in falci.

Lonigo Barb. f. 52, Vallicell. f. 76 v. (da Cencio); Ciampini de Vicecancellario p. 196; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 357; Armellini 1 599 2 398.

II Fg

S34. S. SALVATORIS DE PRIMICERIO

Cenc. 185 (primicerii): den. VI — Paris. 10 (de primicerio) — Taur. 88 (primicereis): habet I sacerdotem — Sign. 85.

Chiesa consecrata, come attesta una lapide tuttora ivi esistente, sotto Pasquale II, nel 1113 dal cardinale vescovo Leone di Ostia. È annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 57: de primicerio). Il cognome si riferisce alla dipendenza dal primicerio della chiesa romana, cuius insignia — asserisce il Fonseca citando un codice della sacra visitazione di Alessandro VII — olim gestabat in fronte. Un rettore della chiesa ottenne nel 1443 dall'abate di S. Paolo fuori le mura tutte le rendite della chiesa di S. Stefano di Sutri, cum ecclesie S. Salvatoris fructus ad victum et vestitum nullo modo sufficiant (documento dell'archivio di S. Paolo presso Galletti, Del Primicerio p. 355). Viene menzionata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 55 n. 64, p. 64 n. 65), nella Tassa di Pio IV e nel catalogo dell'Anonimo Spagnuolo (p. 94 n. 217, p. 113 n. 262: in primoscero), mentre il catalogo del 1492 (p. 73 n. 193) lo dice S. Salvatorello. Il catalogo di S. Pio V (sopra p. 100 n. 133) la chiama S. Salvatore alla Volpe: un vicolo di questo nome curre ancora fra la Piazza Navona e la Via dei Coronari. La chiesa nel 1604 fu concessa alla compagnia del SS. Sacramento, denominata dei SS. Trifone e Camillo, e da quel tempo fu spesso chiamata S. Trifone, senza che l'antico nome sparisse. Una lapide posta già sulla porta della chiesa (Galletti p. 365; manca nel Forcella) attestava che haec aedes S. Salvatori in Primicerio. . . . consecrata, vetustate dilapsa bi dismembrata et depauperata fu ricostruita da un suo rettore nel 1676. Esiste tuttora nel vicolo omonimo presso Piazza Fiammetta (Nolli n. 532).

Del Sodo Vallicell. f. 90 v., Vatic. p. 314 (S. Salvatore de primicerio a Piazza Fiammetta); Panciroli 1 753 2 478; Lonigo Barb. f. 52, Vallicell. f. 77; Martinelli 300; Ciampini de Vicecancellario p. 196; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 390‑392; Galletti Del primicerio 364 sg.; Nibby 699; Forcella XI p. 175‑180; Armellini 1 590 2 349.

 p452  II Gh

S35. S. SALVATORIS DE ROGERIIS

Paris. 9 (de Sancto Apollinari) — Taur. 84: non habet servitorem — Sign. 88.

Chiesuola registrata dal torinese e dal Signorili immediatamente dopo S. Apollinare: da questo fatto, come altresì dal cognome riferito nel parigino, si rileva la situazione approssimativa. È scomparsa dopo il sec. XV, senza che se ne possa precisare il luogo. Erra l'Armellini volendola identificare con S. Salvatore della Volpe nel catalogo di S. Pio V (v. l'articolo precedente): l'ordine dei cataloghi dimostra che si deve cercare ad est di Piazza Navona. Sulla famiglia de Rogeriis si trovano notizie nel Repertorio dello Jacovacci cod. Ottobon. 2552 f. 243‑255.

Armellini 1 590 2 368.

S36. S. SALVATORIS DE ROTA

Cenc. 183 (de rota colosei): den. VI — Paris. 32 Taur. 185: habet I sacerdotem — Sign. 254.

Chiesuola che, secondo l'ordine dei cataloghi, si dovrebbe cercare presso il Colosseo, nella parte verso sud e forse immediatamente accostata alla rotonda (rota) dell'Anfiteatro. Una bolla di Eugenio IV del 9. gennaio 1442 (Reg. Lateran. 392 f. 32) parla di alcune petiae terrarum. . . . ad ecclesiam discopertam alla chiesa dirutam S. Salvatoris de Rota Colissei. . . . pertinentes. Ma se l'edifizio era disfatto già nella metà del Quattrocento, nondimeno continuavano ad esisterne le rendite. Una bolla di Pio II del 13. aprile 1461 (Reg. Vat. 482 f. 137 v.) attribuisce al cardinale di S. Eustachio, Francesco (Piccolomini) duo beneficia in ecclesia S. Salvatoris in Rota Colisei. Dopo il 1500 non viene più ricordata.

Lonigo Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 75 v (da Cencio); Armellini 1 601 522.

S37. S. SALVATORIS SCOTTORUM

Cenc. 157: den. VI — Paris. 28 (de Scrote in cavill').

Il cognome ricordato dal Camerario probabilmente deriva dalla nobile famiglia degli Scotti domiciliati nel rione della Regola: e quindi il nome corrotto nel codice parigino potrebbe correggersi in S. Salvatoris de Scotis in harenula. Ma nulla si può stabilire sul luogo preciso e le vicende del piccolo santuario.

Lonigo Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 75 v. (da Cencio); Armellini 1 601 2 832.

II Fi

S38. S. SALVATORIS DE SERE

Cenc. 104: den. VI — Paris. 7.

Per il sito di questa chiesa è importante il fatto ch'essa, verso la fine del sec. XII, insieme con S. Trifone, S. Nicola dei Prefetti e S. Biagio  p453 di Monte Citorio ebbe una contesa col monastero di S. Maria in Campo Marzo. A questa lite si riferiscono le bolle di Urbano III del 12. marzo 1186‑87 (Montfaucon Diarium Italicum p. 243; Migne PL. CCII p. 1469 n. 82; Jaffé-Lowenfeld 15799; Kehr IP. I p. 88 n. 5), di Clemente II del 12. marzo 1188 (Kehr Göttinger Nachrichten 1903 p. 581 n. 22, IP. I p. 88 n. 6), e di Clemente III d 4. novembre 1188 (Marini Diplomi pont. p. 67; Migne PL. CCIV p. 1391 n. 92; Jaffé-Lowenfeld 16344; Kehr IP. I p. 92 n. 8), dalle quali si rileva che la lite era cominciata già sotto Lucio III (1181‑1185; v. Kehr IP. I p. 14 n. 25, p. 88 n. 3). È probabile che la chiesa stasse vicino alle tre suddette, e quindi fosse identica con S. Salvatoris de cuppellis. Il significato del cognome rimane oscuro: il Montfaucon, nell'edizione della bolla del 1186‑1187, stampa de Serra, ma questa forma è priva d'autorità.

Lonigo Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 75 (da Cencio); Armellini 1 600 2 831.

II Li

S39. S. SALVATORIS DE STATERA

Paris. 29 Sign. 298.

La più antica menzione di questa chiesuola si trova nei Mirabilia c. 26 (Urlichs Codex topographicus p. 109; Jordan II p. 635): ex alia parte (precede la menzione di S. Sergio e Baccio, del templum Concordiae e dell'aerarium publicum) fuit arcus miris lapidibus tabulatus, in quo fuit historia, qualiter milites accipiebant a senatu donativa sua per sacellarium, qui administrabat hoc, qui omnia pensabat in statera, antequam darentur militibus: ideo vocatur Salvator de statera. Il rilievo descritto dall'autore esisteva forse ancora nel sec. XVI nelle vicinanze del Campidoglio (v. Huelsen nel periodico Ausonia VII, 1912, p. 88). Viene annoverata fra le filiali di S. Sergio e Baccio nella bolla d'Innocenzo III del 2. luglio 1199 (Migne PL. CCXIV p. 651 n. 102; Potthast 754; Jordan Topogr. II p. 668). Al nome de statera gli astigrafi del sec. XVI hanno sostituito quello pseudoantico di S. Salvatoris in aerario, cognome preso sul serio finanche dall'Armellini, il quale lo considera come prova dell'antichissima origine della chiesuola, mettendolo in relazione o col tempio di Saturnio oppure con quello di Giunone Moneta, che ne dista mezzo chilometro. La chiesa nel 1573 fu concessa alla compagnia dei sarti, che la riedificarono dedicandola al loro protettore S. Omobuono. Sotto questo nome esiste ancora nel Via della Consolazione.

Del Sodo Vallicell. f. 125, Vatic. p. 316 (S. Salvatore in portico, ora S. Homobuono); Lonigo Barb. f. 51, Vallicell. f. 75; Martinelli 387. 391; Jordan Topographie II p. 483‑486; Armellini 1 586 2 534.

 p454  II Jo

S40. S. SALVATORIS DE SUBURA

Cenc. 164 (Sibure): den. VI — Paris. 1 Taur. 174: habet I sacerdotem — Sign. 240.

Chiesuola tuttora esistente, ma ridotta ad uso di oratorio e congiunta all'ospizio dei Catecumeni presso la Madonna dei Monti. Nicola IV, con bolla del 5. maggio 1289 (I p. 192 n. 888 ed. Langlois) le concedette alcune indulgenze. Il Panciroli ricorda una iscrizione del 1342 posta nella chiesa e relativa al dono di una casa fatto in quell'anno: la lapide andò forse perduta nel restauro eseguito nel 1762. Un presbiter Laurentius rector ecclesiae S. Salvatoris de Subura ricorre in un documento del 12. agosto 1357 nell'archivio di S. Maria Nova (Fedele Arch. soc. romana XXVI, 1903, p. 39); il medesimo prete Lorenzo comparisce come testimonio in un documento del 21. luglio 1365 nell'archivio di S. Prassede (Fedele Arch. soc. romana XXVIII, 1905, p. 110 n. 90). Nei Liber Anniversariorum è detta S. Salvatoris de Secura (sopra p. 53 n. 9) ovvero Sancto Salvatore ad Torre secura (p. 58 n. 33, p. 63 n. 14, p. 68 n. 36); in alcune carte dell'Archivio del Gonfalone, citate dall'Adinolfi II p. 90, viene chiamata della Torre Suburra (1497) oppure della Torre della Subura (1499). Il catalogo del 1492 (p. 70 n. 41) la registrata sotto il semplice nome S. Salvatoris, la Tassa di Pio IV (p. 94 n. 200) e l'Anonimo Spagnuolo (p. 108 n. 54) la chiamano S. Salvatore in Subura, il catalogo di S. Pio V (sopra p. 97 n. 38) S. Salvatore al Borgo di S. Agata. Sulla Torre della Subura (Secura, Scura) v. Adinolfi II p. 88. Secondo Andrea Fulvio (Antiq. lib. I f. 12 v. ed. 1527) extabat nuper ni media via turris cognomento secura primo Subura, quae hodie a magistris viarum diruta est viae ampliandae causa.

Del Sodo Vallicell. f. 98, Vatic. p. 316; Panciroli 1 753 2 204; Lonigo Barb. f. 52, Vallicell. f. 77 (de Subura, al. in Turre Secura); Martinelli 300. 392; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 426‑427 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 301‑302, vol. 6 (to. V) f. 59 v.-61 (= lib. VII c. 14: S. Salvatoris ad Montes olim a Militiis); Adinolfi II p. 87 sg; Forcella IX p. 389‑397; Armellini 1 598 2203. 223; Angeli 543.

II Mf

S41. S. SALVATORIS DE TERRIONE

Cenc. 65 (Terrionis): den. XII — Paris. 34 (de Terionis) — Taur. 120 (de Turrionis): habet I sacerdotem — Sign. 197 (senza cognome).

Chiesa annoverata fra le filiali della basilica Vaticana già nelle bolle di Leone IX del 21. marzo 1053 (sopra p. 136: Sancti Salvatoris. . . posita. . . . super Terrionem), di Adriano III del 10. febbraio 1158 e di Urbano  p455 III del 13. giugno 1186 (sopra p. 136: S. Salvatoris iuxta Terriones). Il cognome deriva da un fondo o da una contrada chiamata Terrione posta fuori la Porta Cavalleggieri verso la valle delle Fornaci (v. Ehrle p. 1 sg.); la forma in TurrioneTurrionis è senza autorità, e quindi l'etimologia del cognome derivata dalle torri della città Leonina, senza fondamento. L'Armellini cita, da un censuale della basilica vaticana del 1384, una domus cum signo aquilae cum duobus capitibus sita in paroecia S. Salvatoris de terione, abitata da una Margherita theotonica, e da un'altro del 1395 una domus cum signo leonis de paroecia S. Salvatoris de terione. Alla chiesa era annessa la Schola Francorum. Fu restaurata sotto Niccolò V (Grimaldi cod. Barb. 2733 f. 326 presso Ehrle p. 10), ma non molto più tardi pare che sia stata abbandonata. Manca nel catalogo del 1492, nella Tassa di Pio IV, nel catalogo di S. Pio V e presso il Del Sodo. Il Panciroli narra che "per aggrandire le carceri del Sant'Offitio si vede che fu distrutta parte di questa chiesa", e pure il Lonigo asserisce che "fu alcuni anni sono per la maggior parte distrutta per fabbricare il tribunale del s. Uffizio". La parte rimanente si vede ancora "dietro il Palazzo del S. Uffizio, all'ingresso della fonderia Mazzocchi a Porta Cavalleggieri" (Ehrle p. 6): essa recentemente è stata restaurata. Non si deve confondere, come fecero l'Armellini ed il Kehr (IP. I p. 151. sg.), con la cappelletta S. Salvatoris in ossibus ovvero in macello, i cui ruderi esistono tuttora nel Campo Santo Teutonico (Alveri Roma in ogni stato II p. 223; de Waal La Schola Francorum e l'ospizio Teutonico al Campo Santo, Roma 1897).

Panciroli 1‑2550 sg.; Lonigo Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 76; Severano Sette Chiese p. 98. 293; Martinelli 300; Armellini 1 596 2 765; Angeli 549.

II Gi

S42. S. SALVATORIS DE THERMIS

Paris. 8 (de Thermis) — Taur. 79 (hospitale S. Salvatoris de Termis): non habet servitorem — Sign. 102 (in Thermis).

Chiesa fondata fra le rovine delle Terme Neroniano-Alessandrine, posseduta già prima del mille dall'Abbazia di Farfa, nel Regesto della quale è spesso ricordata. Il più antico documento (III p. 137 n. 426) è il proto­collo della contesa trattata fra l'abbate Ugo ed i preti di S. Eustachio, il giorno 4. aprile 998, circa le due ecclesiae sanctae Mariae et sancti Benedicti quae sunt aedificatae in thermis Alexandrinis, cum casis, criptis. . . . . . et oratorio Salvatoris infra se. Con documento del 2. giugno 1011 la nobil donna Stefanio, figlia di Marozia, concedette al monastero portionem  p456 qm habeo acquisitam. . . . . . de oratorio quod est in honore Salvatoris domini nostri Ihesu Christi . . . . Romae regione nona in scorticlari iuxta Thermas Alexandrinas vel deintus easdem thermas (l.c. IV n. 650 p. 48). Viene appresso un documento del 23. gennaio 1017 (l.c. p. 217 n. 506) ove è detto oratorium S. Salvatoris . . . . positum Romae regione nona in scorticlari; poi le conferme dei beni del monastero fatte dall'imperatore Enrico III il 15. settembre del 1050 (l.c. IV n. 879 p. 275: ecclesia sancti Salvatoris) e da papa Leone IX il 10. dicembre 1051 (l.c. n. 884 p. 281). Nel 1478, l'abbazia di Farfa cedette, con altri beni, anche la cappella Sancti Salvatoris alla nazione francese (Atti del notaro Marius Durandi, del 10. 11. gennaio 1478; La Croix, Mémoire historique sur les Institutions de France à Rome, Paris, 1868 p. 164 sg.), e questo atto fu confermato da Sisto IV con bolla del 2. aprile dello stesso anno. La chiesuola esistette sino alla fine del secolo scorso incorporata nel Palazzo Madama e dipendente da S. Luigi dei Francesi.

Del Sodo Vallicell. f. 156 v.; Vatic. p.º 313; Panciroli 1 748 2 805; Lonigo Barb. f. 51 v., Vallicell. f. 76; Martinelli 300; Forcella III p. 201‑206; Armellini 1 590 2 438; Angeli 548; P. Spezi Bull. arch. comunale 1905 p. 92‑99. • Titi 150.

S43. S. SALVATORIS DE TRIPICTONE

Paris. 22.

Il cognome di questa chiesuola ricorda, come giustamente ha rilevato il Valeri, la Turris Tripinzonis presso Ponte Molle, ricordata parecchie volte nella storia della spedizione dell'imperatore Enrico II contro Roma (1313): si vedano le testimonianze raccolte dal Tomassetti (Arch. soc. romana VI, 1883 p. 215, 220). Probabilmente una cappella dedicata al Salvatore esistette presso la detta torre nel sec. XIII; ma le congetture del Valeri, che fosse da in occasione dei combattimenti èº tutt'altro che certa, e molto meno l'altra, che abbia già esisto nell'alto medio evo, perchè la litania maior del 25. aprile faceva stazione ancora al Pons Milvius (Duchesne al Lib. Pont. II p. 35 not. 17). Siccome la Torre di Trepizone stava sulla riva destra del Tevere, nelle immediate vicinanze dell'ingresso settentrionale del Ponte Molle (v. lo schizzo presso Tomasseti l.c. p. 220), è impossibile cercare la cappella del Salvatore presso quella di S. Andrea sulla riva sinistra, più di cento metri dal ponte.

A. Valeri (Carletta) Fanfulla della Domenica 1902, 8. giugno; G. Tomassetti Campagna romana III (1913) p. 238.

 p457  II Kg

S44. S. SALVATORIS DE UNDA

Paris. 18 (de nuda) — Taur. 338: habet I sacerdotem.

La più antica menzione di questa chiesa si trova nella bolla di Onorio II del 1127 (Liverani opp. IV p. 258 dal cod. Vat. 5560 f. 4; Kehr IP. I p. 13 n. 22 p. 72 n. 3), nella quale fra i rectores Romanae fraternitatis comparisce un presbiter Crescentius Salvatoris in Unda. Viene poi annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 22: de Unda). Il Panciroli tolse dall'opera del Sansovino delle famiglie nobili d'Italia (Venezia 1587) la notizia che fosse fondata nel 1260 da Cesario Cesarini, notizia ripetuta tanto dal Nibby quanto dall'Armellini, ma che sembra di dubbia autenticità. La chiesa esiste tuttora presso il Ponte Sisto; il cognome si deriva dalla prossimità del fiume, le cui onde la toccavano nelle crescenze anche minime.

Del Sodo Vallicell. f. 120, Vatic. p. 316 (S. Salvatore a Ponte Sisto); Panciroli 1 749 2 752; Lonigo Barb. f. 52 v. Vallicell. f. 77; Martinelli 301; Nibby 698; or X p. 55‑64; Armellini 1 597 2 427; C. M. Orlandi, Memorie storiche della chiesa del S. Salvatore in Onda Roma 1888; Angeli 544; Calvi Bibliografia p. 125.

II Gm

S45. S. SATURNINI DE CABALLO ovvero DE TRIVIO

Cenc. 8: den. VI — Paris. 272 (S. Saturinus de caballo) — Taur. 25 (de Trivio): habet sacerdotem et clericum — Sign. 146.

La prima menzione di questa chiesuola si trova in un documento del 1160 nell'archivio di S. Ciriaco in Camiliano (Hartmann S. Mariae in Via lata tabularium III p. 36 n. 191) nel quale si dice che confinava con una casa regionis equi marmorei. Un passo della Polistoria di Giovanni Caballini de Cerronibus (presso Urlichs Cod. topogr. p. 141): ca[r]narium secundum erat in summo montis Quirinalis supra domos Metelli pontificis maximi Romani et ecclesiam S. Saturnini sub imaginibus caballi marmorei accenna alla situazione sulla pendice del monte: e con questa va d'accordo il cognome de Trivio. È ricordata nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 53 n. 22) e nel catalogo del 1492 (p. 71 n. 72) col semplice nome S. Saturnino; il catalogo di S. Pio V (sopra p. 96 n. 4) la dice S. Saturnino in Montecavallo delli frati di Sto. Paulo (ai Benedettini era stata concessa da Giulio II: Bullar. Cassin. I p. 114 II p. 392). Fu restaurata sotto Sisto IV, come attesta una iscrizione copiata dal Grimaldi (cod. Vat. 6438 f. 56 v.) nel 1615 "supra portam ecclesiae parvae S. Saturnini sitae in vertice montis Quirinalis, inclusa in palatio seu coenobio monachorum Cassinensium. . . . e regione portae palatii  p458 Apostolici" (Lanciani Storia degli scavi III p. 197; il testo, presso Adinolfi ed Armellini, che non indicano la fonte). Siccome l'iscrizione ricorda che sex captivos Turcas card. Neapolitanus sacro baptismate hic Christo initiavit, il restauro deve essere posteriore all'ingresso trionfale del cardinale Oliviero Carafa dopo la spedizione contro i Turchi, il 23. gennaio del 1473 (Pastor Geschichte der Päpste II p. 473 sg.). Sisto IV per bolla del 10. luglio 1483 unì la ecclesia S. Saturnini de regione Montium con la chiesa di S. Susanna (Trifone, carte del monastero di S. Paolo fuori le mura, Arch. soc. romana XXXII, 1909, p. 88 n. 236). Il sito con lo scritto Fratri S. Bened. è indicato sulla grande pianta prospettica di Antonio Tempesta (1593; cf Huelsen Römische Antikengärten, Abhandlungen De Rossi Heidelberger Akademie 1916 p. 95 figlio. 62) conforme all'indicazione del Grimaldi, quasi dirimpetto al torrione rotondo anche oggi esistente. Il monastero è effigiato ancora sulla grande veduta del Palazzo Quirinale di Giovanni Maggi (1612; cf. Huelsen l.c. p. 89 figlio. 60): sulla pianta prospettica del Maupin-Losi si vede invece una piazza sterrata. Il Martinelli dice: nos vidimus solo aequatam tempore Pauli V ad aream ampliandam; il Torrigio (presso Adinolfi) aggiunge la data "alli 14. di maggio 1615", ma l'asserzione di quest'ultimo autore che fosse "sopra parte dell'aia dell'odierno Palazzo della Consulta e precisamente sull'angolo del Palazzo ch'è rivolta alla Piazza di Monte Cavallo" appare erronea.

Martinelli 393; Adinolfi II p. 259; Armellini 1 605 2 286.

S46. S. SATURNINI EXTRA MUROS

Paris. 271 (de foris). — Taur. 33: non habet servitorem.

Chiesa antichissima eretta sopra il cimitero dei SS. Trasone e Saturnino presso la Via Salaria; restaurata già da papa Felice IV (526‑530; LP. LVI c. 2), ed un'altra volta da Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 5). È ricordata nel catalogo Salisburgese del sec. VII (sopra p. 4 n. 37). Un documento del sec. X o XI, pubblicato dal Kehr Göttinger Nachrichten 1900 p. 141 dall'archivio di S. Pietro in Vincoli, ricorda la ecclesia S. Saturnini quae est posita iuxta viam Salariam, qm Andreas iudex primo redemptione animae suae obtulit ecclesiae SS. Agnetis et Constantiae. Nicola IV, con bolla del 13. dicembre 1289 (p. 330 n. 1789 ed. Langlois), concedette delle indulgenze a coloro che ecclesiam . . . . fratrum heremitarum ordinis S. Benedicti, sitam in coemeterio Priscillae et Bassillae, vistaverint in festa S. Saturnini martyris. Il Bosio (Roma sotterranea l. II c. 57) ne  p459 vide ancora i vestigj; il luogo corrisponde ad una cappella moderna nella villa Potenziani-Massimi.

Lonigo Barb. f. 52 v., Vallicell. f. 77 v.; Martinelli 293; Armellini 1 669 2 853; Marucchi Catacombe Romane (Roma 1903) p. 400 sg.; Calvi Bibliografia 27.

II Fr

S47. S. SCOLASTICAE IN MASSA IULIANA ovvero SUPRA SUBURA

Chiesa antica dipendente dal celebre monastero di Subiaco, nel cui regesto si trovano le uniche memoria dalle sue vicende. In un documento del 977 (p. 168 n. 120 ed. Allodi et Levi) si descrive un orto positus Rome regione tertia in massa Iulian, affines: a primo latere monasterium Sce. Scolastice. . . . et a quarto latre via publica iuris monasterii Sce. Scolastice. Una bolla di Benedetto VI del 28. novembre 973 (ivi p. 37 n. 14; Jaffé-Lowenfeld 3769; Kehr IP. I p. 90 n. 20) annovera fra i beni del monastero dentro Roma: domum seu curte maiore cum ecclesia infra se qui est in onore Sancti Benedicti et Sancte Scolastice, que posita Rome regione tertia in loco qui appellatur Massa Iuliana. Il possesso viene confermato da Giovanni XVIII con bolla del 21. luglio 1005 (Reg. n. 10 p. 25; Jaffé-Lowenfeld 3945; Kehr IP. II p. 91 n. 24): cellam in integro ad honorem sancte Christi virginis Scolastice cum casis cortis ortuis et olivetis, posita Romae regione quarta ad macellum non longe ab ecclesia sancti Andreae et sancti Viti; da Benedetto VIII con bolla del 1015 (Reg. n. 15 p. 43; Jaffé-Lowenfeld 4007a; Kehr IP. II p. 91 n. 25) e da Leone IX con bolla del 31. ottobre 1051 (Reg. n. 21 p. 60; Jaffé-Lowenfeld 4263; Kehr IP. II p. 92 n. 29), ove viene descritta con quasi le medesime parole. Esisteva ancora nel sec. XII: in un elenco delle chiese e dei monasterî spettanti all'abbazia di Subiaco, che fu compilato in quel secolo (Reg. p. 183 n. 224), appare sotto il nome di S. Scolastica super Subura ed attribuita al monastero di S. Erasmo sul Celio. La località detta Massa Iuliana, dalla quale prendeva il cognome anche la chiesa di S. Andrea (sopra p. 187 n. 41), come si rileva da queste testimonianze, si stendeva a sud-ovest di S. Maria Maggiore, nei pressi delle chiese di S. Vito e di S. Giuliano (il cui nome sta forse in relazione con quello della massa), laddove il Clivus Suburanus saliva verso la Porta Esquilina (arco di Gallieno; cf. Huelsen_Hordan Topogr. I, 3 p. 333). Il Clivo, come sembra, divideva la regione terza ecclesiastica dalla quarta (v. Huelsen Forma Urbis Romae d. 2 tav. III): il monastero di S. Scolastica si trovava proprio su quel confine, e perciò venne attribuito qualche volta alla  p460 regione III e altre volta alla regione IV. Dopo il sec. XII non si hanno più documenti della sua esistenza.

Lonigo Vallicell. f. 77 v.; Zaccagni 392; Armellini 1 606 2 812.

S48. S. SEBASTIANI AD CATACUMBAS

Paris. 289 (a catacumbis) — Taur. 315 (monasterium S. Sebastiani): habet abbatem et monachos X — Sign. 352, rel. 102.

Le origini di questo insigne santuario rimontano al pontificato di S. Damaso (366‑384), il quale secondo il suo biografo (LP. XXXIX c. 2) fecit basilicam in catacumbis et dedicavit platomam, ubi corpora apostolorum iacuerunt,º id est beati Petri et Pauli. Presso la basilica fu istituito il monasterium in Catacymbas da Sisto III (432‑440; LP. XLVI c. 7), che fu rinnovato da Nicola I (858‑867; LP. CVII c. 53). Nella basilica gr1 recitò la 37. delle sue omelie supra evangelia (Migne PL. LXXVI p. 1274). Fu restaurata da Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 76), arricchita da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 47). Papa Alessandro III, con bolla del 30. settembre 1161, concedette il monastero a S. Maria Nova (Fedele Arch. soc. roman. XXV, 1902, p. 207 n. 84; Kehr IP. I p. 67 n. 9); nel decennio seguente, i due conventi ebbero una lite, alla quale si riferiscono i documenti presso Fedele l.c. XXVI, 1903, p. 51. 52. n. 107. 108 (Kehr L. c. n. 12. 13). È menzionato nei Libri Indulgentiarum (sopra p. 142 sg.) ed in tutti i cataloghi dei sec. XV e XVI.

Del Sodo Vallicell. f. 29 v.- 32 v., (manca nel Vatic.); Panciroli 1 754 2 661; Lonigo Barb. f. 53, Vallicell. f. 78; Severano Sette Chiese 443 sg.; Martinelli 302; Lubin 343; Nibby 704; Forcella XII p. 145‑160; Armellini 1 709 2 896; Kehr IP. I p. 162; Calvi Bibliografia 26 sg. 127 sg.; Marucchi 2 490, Catacombe Romane 202‑215; Lietzmann, Petrus und Paulus in Rom (Bonn 1915) p. 106 sg.; Styger Dissertazioni dell'Accademia Pontificia serie II tom. 13 (1918) p. 1‑115; Lanciani ivi tom. 14 (1920) p. 55‑111; A. Ratti ivi p. 137‑146; Marucchi ivi p. 247‑260; Duchesne Memorie dell'Accad. Pontif. I, 1 (1923) p. 1‑23.

II Hh

S49. S. SEBASTIANI DE VIA PAPAE

Cenc. 144: den. VI — Paris. 299 (via papae) — Taur. 363: habet I sacerdotem — Sign. 33 (in via papae).

Chiesa annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 43). Nel sec. XIII sorse una lite incirca la pertinenza fra i preti di S. Lorenzo in Damaso e quelli di S. Eustachio, che fu composta da Gregorio IX con bolla del 9.  p461 aprile 1231 (Potthast 8072; I p. 406 n. 631 ed. Auvray). Si trova menzionata nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 56 n. 96) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI (sopra p. 75 n. 191, p. 86 n. 203, p. 94 n. 225): in quello di S. Pio V (p. 102 n. 201) si dice S. S. pin piazza di Siena. Il sito è segnato sulla pianta del Bufalini f. GH. Fu demolito sotto Sisto V per dat luogo alla fabbrica di S. Andrea della Valle.

Del Sodo Vallicell. f. 140 v. (manca nel Vatic.); Panciroli 1‑2799; Lonigo Barb. f. 52 v., Vallicell. f. 78; Martinelli 393‑398; Ciampini de Vicecancellario p. 198 n. 56; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 360‑368; Adinolfi Via Sacra p. 65; Armellini 1 606 2 455; Calvi Bibliografia 128.

II Km

S50. S. SERGII ET BACCHI SUB CAPITOLIO

Cenc. 38: den. XVIII — Sign. 286, rel. 86 (SS. Sergii et Bacchi retro Capitolium).

Antica diaconia, disfatta già sotto Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 90) propter metum templi quod situm super eam videbatur e ricostruita dal medesimo pontefice. L'Anonimo di Einsiedeln (sopra p. 5 n. 56) nota: S. Sergii, ibi umbilicum. I confini dei beni ad essa pertinenti si trovano descritti nella bolla d'Innocenzo III del 26. giugno 1199 (Migne PL. CCXVI p. 651 n. 102; Jordan Topogr. II p. 668; Potthast 754), nella quale sono inde come filiali S. Salvatoris de statera (sopra p. 453 n. 39) e S. Laurentii sub Capitolio (= S. L. Nicolai Nasonis, p. 290 n. 22). Fu arricchita di doni da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 38. 75) e Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 12). Ritorna nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 57 n. 117) e nel catalogo del 1492 (sopra p. 77 n. 240). Fu profanata sotto Pio IV; il Lonigo racconta: "sendo ridotta a cativi termini, fu distrutta molti anni sono, et le reliquie dei SS. Feliccissimo et Agapito con il corpo di S. Vincenzo martire che qui stavano furono riposte nella chiesa vicina della Consolazione". Questa traslazione fu effettuata, secondo il Panciroli, "l'anno 1562, Pio IV havendo fatto vistatore il cardinale Ascanio Cesarini": (la "tabella pone aram maiorem S. Mariae Consolationis" riferibile al trasferimento e citata del Martinelli p. 400 sembra perduta): quindi il medesimo anno segna anche la fine dell'edifizio. Il catalogo di S. Pio V (sopra p. 104 n. 265) dice: "Sto. Sergio e Baccho sotto Campid(oglio); ruinato". La congettura del Valesio (Spiegazione d'una bolla d'Anacleto II antipapa p. 130), accettata da molti moderni (Cancellieri de secretariis II p. 1603; Jordan Topogr. II p. 451) che la chiesa fosse abbattuta  p462 nel 1536 per l'assettamento della Via trionfale in occasione della venuta di Carlo V, come si vede, è erronea. — Per stabilirne il luogo sono d'importanza alcune vedute del sec. XVI come pure un disegno di Luigi Rossini, il quale nel 1812, durante gli scavi presso il tempio di Vespasiano, vide ritornare alla luce gli avanzi dell'abside che poi fu definitivamente distrutta (v. Huelsen Römische Mitteilungen 1905 p. 27, The Roman Forum p. 92, Zeichnungen Marten van Heemskercks II p. 56 sg.).

Panciroli 1 759 2 205; Lonigo Barb. f. 53, Vallicell. f. 78 v.; Martinelli 399; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 267‑278 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 201 v.-211 (lat.); Armellini 1 609 2 538; Kehr IP. I p. 102; Marucchi 2 242.

I Ms

S51. SS. SERGII (ET BACCHI) DE FORMA ovvero IUXTA ARCUM BASILI

Cenc. 132 (S. Sergii de forma): den. VI — Paris. 281 (S. Sergi o forma) — Taur. 293 (S. Sergi de formis).

Narra il biografo di Pasquale I (817‑824: LP. C c. 22) che quel pontefice trovò il onu SS. Sergii et Bacchi post formam aquaeductus patriarchii Lateranensis rebus omnibus desolatum, dimodochè egli, invece del convento di monache allora ivi esistente, vi collocò un monastero di frati, arricchendolo di molti beni. Probabilmente questo convento di monache occorre già nella biografia di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 79 v. sopra p. 9 n. 99) col semplice nome di monasterium S. Sergii. Innocenzo II, con bolla del 21. maggio 1138 lo concedette insieme con la chiesa dei SS. Quattro Coronati al monastero di Sassovivo in Umbria (Jaffé-Lowenfeld 7898; Kehr IP. IV p. 47 n. 2). L'attribuzione fu confermata da Alessandro IV con bolla del 28. agosto 1256 (Bourel de la Roncière I p. 446 n. 1445) e da Bonifacio VIII con bolla del 29. settembre 1301 (Digeard III p. 142 n. 4132). Tutti questi documenti chiamano il santuario semplicemente S. Sergii et Bacchi, e perciò furono anche recentemente riferiti per errore alla basilica sotto il Campidoglio; ma è decisivo un documento del 1253 nell'archivio di Sassovivo (M. Faloci-Pulignani Arch. stor. eccl. dell'Umbria II, 1915, p. 561 sg.), nel quale la chiesa occorre stono di SS. Sergii et Bacchi iuxta arcum Basili(i). L'indicazione del luogo (cf. sopra p. 208 n. 11) concorda con ciò che possiamo dedurre dall'ordine topografico del catalogo torinese. Dopo il sec. XIV non viene più menzionata.

Lonigo Barb. f. 53, Vallicell. f. 78 v. (da Cencio); Martinelli 400; Armellini 1 610 2 117; Kehr IP. I p. 34.

S52. S. SERGII PALATII CARULI

Cenc. 63: den. XII.

Gregorio III (731‑741; LP. XCII c. 13) diaconiam SS. Sergii et Bacchi ad beatum Petrum apostolum, in qua pridem parvum oratorium erat, a fundamentis ampliori fabrica dilatavit. Il Duchesne sospetta (al LP. I p. 424 n. 25. II p. 43 n. 79) che la diaconia sia stata trasformata nel secolo nono in quel palazzo che serviva da residenza al missus imperatoris, detto palatium S. Petri. In esso potrebbe bene essere rimasto un oratorio dei due Santi, ricordato dal Camerario appunto nella regione Vaticana.

Lonigo Barb. f. 53, Vallicell. f. 78 v. (dal LP. e da Cencio); Cancellieri de secretariis III p. 1602‑1666; Armellini 1 610 2 745; Kehr IP. I p. 49.

II Jo

S53. SS. SERGII ET BACCHI DE SUBURA ovvero IN CALLINICO

Cenc. 248 (S. Sergi de Subura): den. VI — Paris. 280 (S. Sergii de Subura) — Taur. 170 (S. Sergii de Subura): habet I sacerdotem — Sign. 238 (SS. Sergi et Bacchi in Subura).

Fra i piccoli santuari arricchiti da Leone III (795‑816), il biografo (LP. XCVIII c. 24) ricorda anche l'Oratium sanctorum Sergi et Bacchi quod ponitur in Calinico. Più tardi, Benedetto III (855‑858; LP. CVI c. 26) fece doni al monasterium sanctorum Christi martyrum Sergii et Bacci qui appellatur Callinici. Nel sec. XI apparteneva a monaci dell'ordine di S. Benedetto. Una bolla di Gregorio VI del 1045 (falsamente attribuita a Gregorio IV ed all'anno 835) attribuisce al convento di S. Pietro di Perugia il monasterium S. Sergii quod nuncupatur Canelicum situm Romae regione quarta in Subura cum ecclesia S. Euphemiae iuxta se posita (Margarini Bullar. Casinense I p. 6; Bullarium Romanum ed. Coquelines I p. 176; Kehr IP. V p. 68 n. 13). Poco più tardi passò ai benedettini di S. Paolo fuori; la bolla di Gregorio VII (sopra p. 135) conferma ad essi monasterium S. Sergii cum omnibus suis pertinentiis situm in Subura. Nel Regesto d'Innocenzo IV viene spesso ricordato un magister Thomas archipresbyter (ovvero presbyterrector) ecclesiae SS. Sergii et Bachi de Subura (Berger I p. 21 n. 96 del 2. settembre 1243, p. 233 n. 1538 del 20. settembre 1245, p. 575 n. 3795 del 1. aprile 1248; II p. 159 n. 4919 del 17. novembre 1250; III p. 341 n. 7121 del 13. dicembre 1253, p. 490 n. 7912 del 7. agosto 1254); il medesimo Tommaso occorre in una bolla di Urbano IV del 9. dicembre 1261 (Guiraud I p. 4 n. 17). Nicola IV, con bolla del 5. marzo 1290 (Langlois I p. 412  p464 n. 2363), accordò alla chiesa alcune indulgenze. I Libri Anniversariorum la registrano per lo più col semplice nome SS. Sergio e Bacco (sopra p. 53 n. 7, p. 60 n. 9, p. 63 n. 20, p. 68 n. 35), quello di S. Maria in Porticu la chiama S. Syrii et Baccho ad Torre Secura. Nel Diario di Antonio di Pietro presso Muratori SS. XXIV p. 1033 sg.º è ricordato un Iacobus archipresbyter sanctorum Sergi et Bacchi de Turre Suburrae. Anche i cataloghi dei sec. XV e XVI in parte hanno il nome semplice (p. 70 n. 42, p. 97 n. 35); la Tassa di Pio IV (p. 93 n. 198) la chiama SS. S. et B. nel rion di monti, l'Anonimo Spagnuolo (p. 108 n. 52) S. S. y B. Subura. Il Bufalini (foglio NO) segna il luogo, ma ascrive il nome sbagliato S. Pantaleonis. Da Urbano VIII fu affidato ai monaci basiliani ruteni, che tuttora la posseggono. Da una devote immagine scoperta nel 1718 sotto l'incrostatura del muro contiguo alla sagrestia e collocata nel 1730 sull'altare maggiore si chiama pure La Madonna del Pascolo.

Del Sodo Vallicell. f. 100, Vatic. p. 323; Panciroli 1 759 superiore 205; Lonigo Barb. f. 53 v., Vallicell. f. 79; Martinelli 303. 400; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 420 v.-423 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 297‑299 (lat.), vol. 6 (to. V) f. 106‑109 (= l. VII c. 19); Ignazio Kulczynski, Il diaspro prodigioso di tre colori, ovvero narrazione istorica delle tre immagini miracolose della Beata Vergine Maria, la prima di Zyrowice in Lituania, la seconda del Pascolo in Roma, e la terza copia della seconda parimenti in Zyrowice, detta da quei popoli Romana (Roma 1832); Adinolfi II p. 98 sg.; Nibby 712; Forcella IX p. 333‑342; Armellini 1 611 2 206; Angeli 556.

S54. S. SEVERINI IN MERULANA

In una lettera scritta nel gennaio del 593 (Reg. lib. III ep. 19) S. Gregorio Magno dà ordine a Petrus subdiaconus Campaniae ut transmittat reliquias b. Severini, in cuius honore ecclesiam positam iuxta domum Merulanam regione III, quam superstitio diu Ariana detinuit, cupit consecrare. La chiesa non viene mai ricordata in documenti posteriori, e neppure si sa a quale chiesa ariana alluda S. Gregorio. L'ubicazione approssimativa si rileva dalle surriferite parole.

Armellini 1 611 2 247; Kehr IP. I p. 40.

S55. S. SILVESTRI

Cenc. 250: den. VI.

Resta dubbio quale delle chiese di S. Silvestro sia da intendersi. Per S. Silvestro in Capite, il presbiterio di sei denari sembra troppo piccolo, e quel nome si aspetterebbe fra i monasterî (n. 49‑60). Potrebbe trattarsi di S. Silvestro de Palma.

 p465  II Hn

S56. S. SILVESTRI DE ARCIONIS ovvero DE BIBERATICA

Cenc. 140 (de Biberatica): den. VI — Paris. 265 (de Venratica) — Taur. 12 (de Archione): habet sacerdotem et clericum — Sign. 158 (de Artioninis), rel. 23 (de Archioninis).

Chiesa tuttora esistente in Via del Quirinale, annoverata fra le filiali della basilica dei SS. Apostoli (v. sopra p. 130 n. 7: de Arcioninis). Sui possedimenti degli Arcioni in questa parte del Quirinale v. Lanciani Storia degli scavi III p. 197. Nicola IV con bolla del 5 gennaio 1290 (I p. 367 n. 2069 ed. Langlois) accordò indulgenze alla chiesa di S. S. de Archioninis; un presbyter ecclesiae S. S. de Arzoninis occorre in una bolla di Benedetto XI dell'8. aprile 1304 (p. 768 n. 1240 ed. Grandjean). È registrata neil Liber Anniversariorum (sopra p. 53 n. 24: de Archionibus; p. 60 n. 16: delli Arcioni; p. 63 n. 26: in cavall), nei cataloghi del 1492 (p. 69 n. 1: in monte Caballo) e del 1555 (p. 88 n. 204: in Quirinali), nella Tassa di Pio IV (p. 94 n. 205: S. Salvatore de Archionibus, per errore) e nel catalogo di S. Pio V (p. 96 n. 6: S. S. in Monte Cavallo).

Del Sodo Vallicell. f. 109, Vatic. p. 326; Panciroli 1 762 2 297; Lonigo Barb. f. 53 v., Vallicell. f. 79 v.; Martinelli 304; Bruti vol. 19 (to. XVIII) f. 552‑585 (ital.), vol. 8 (to. VIII) f. 141‑182 (lat. = part. II, lib. XII c. 1).

I II El

S57. S. SILVESTRI DE CAPITE

Cenc. lit.12 (monasterium S. S. in c.): sol. III — Paris. 261 Taur. 36 (Monasterium S. S. de capite ordinis Sancte Clare): habet moniales XXXVI et II fratres — Sign. 129, rel. 74.

Il biografo di papa Paolo I (758‑762; LP. XCV c. 5) racconta che il pontefice in sua propria domo monasterium. . . . in honorem S. Stephani et beati Silvestri. . . . constituit. Nella bolla del 4. luglio 761 (Federici p. 46 n. 1; Kehr IP. I p. 82 n. 2) il papa dice di averlo fondato in domo quae mihi parentali successione obvenit, in qua natum me constat atque nutritum: da ciò il santuario ebbe il cognome cata Pauli, ovvio già nel sec. X e più frequente nei tempi successivi. La storia della fondazione del santuario sembra quindi accertata da documenti contemporanei (sebbene vi sia qualche dubbo sulla tradizione esatta del bolla del 761: v. Duchesne al LP. I p. 466 not. 8). Ma è notevole che già in tempi abbastanza antichi si trova un'altra tradizione, la quale attribuisce la fondazione del monastero a Stefano II, predecessore di Paolo (752‑757). Il monaco Benedetto del Monte Soratte, che scrisse poco prima del mille,  p466 asserisce che Stephanus papa cepit hedificare domum ecclesiam in onore sancti Dionisii, Rustici et Heleutherii iuxta viam Flaminea et † ereio non longe ab Agusto iuxta formas, species decorata sicut in Francia viderat (Mon. Germ. SS. III p. 706). I Martinelli p. 356 pubblica, da una Vita SS. Dignae et Meritae nel cod. Vat. 1192 p. 165, il passo seguente: Stephanus papa cepit infra hanc urbem construere in domo patris sui monasterium in honore sanctorum Dionysii, Rustici et Eleutherii, ubi sanctorum corpora reconderet, sed dum fundamenta ipsius ecclesiae poneret, ab hac luce subtractus est. Tunc populi Romani uno consensu elegerunt et ordinaverunt fratrem eius virum venerabilem Paulum. At ubi ordinatus est, perfecit atque complevit monasterium, quod frater suus Stephanus inchoavit. Pietro Mallio (sopra p. 128) registra l'abbatia S. Silvestri inter duos hortos, quam hedificare cepit Stephanus papa II, sed Paulus papa explevit; presso Giovanni Diacono (sopra p. 128) si trova la notizia confusa: Sci. Sylvestri inter duos hortos, quam edificavit Dionisius papa, qui et ibi requiescit.

Il Liber Pontificalis narra che Paolo oraculum in superioribus eiusdem monasterii moeniis aedificans, infra claustra ipsius monasterii ecclesiam mirae pulchritudinis a fundamentis noviter construxit; sembra quindi distinguere un oratorio più piccolo e la basilica grande; e questa opinione si direbbe confermata da un passo della biografia di Benedetto III (855‑858; LP. CVI c. 23), ove si descrive uno straripamento del Tevere: ingressus est in ecclesia S. Silvestri, ita ut ex grados qui ascendunt in basilica beati Dionisii prae multitudine aquarum ne unus videretur, excepto unus qui superius erat Invece il Federici osserva che quel passo ritorna quasi letteralmente nella biografia di Nicola I (858‑867; LP. CVII c. 15), se non che nel principio si legge: ingressus est in monasterium S. Silvestri. Egli crede che l'oraculum fosse una parte della basilica, in cui erano deposte le reliquie più venerande, e propriamente nel chorus ecclesiae. Certo l culto del santo pontefice Dionisio era assai importante nel santuario: perciò il biografo di Nicola I (l.c. c. 5. 6) riferisce che quel pontefice fu eletto dal clero e dal popolo radunati in basilica beati Dionisii confessoris atque pontificis, ed il monastero nei sec. XI e XII viene spesso chiamato monasterium SS. Christi martyrum Stephani et Dionisii et Sylvestri confessoris (Federici p. 220). Il cognome inter duos hortos impostogli da Pietro Mallio e da Giovanni Diacono non ricorre mai nei documenti dell'archivio di S. Silvestro. Il cognome de capite, che s'incontra per la prima volta in una pergamena del 1194 (Federici p. 510 n. 41) ed è usuale nei Liber Anniversariorum ed i cataloghi dei sec. XV e XVI, proviene dalla reliquia  p467 del capo di S. Giovanni Battista, trasferita nel monastero al tempo d'Innocenzo II (1130‑1143; Federici p. 221; v. anche sopra p. 270 n. 17). Restaurata più volte, l'ultima sotto Clemente XI, esiste tuttora sul posto originario. L'Ospedale di S. Silvestro in Capite ricordato dal Torinese 68 colla nota: habet I sacerdotem, secondo l'ordine topografico dovrebbe cercarsi fra S. Niccolò dei Prefetti e S. Lorenzo de Pinea; ma non saprei precisarne la situazione.

Ugonio stazioni f. 241; Del Sodo Vallicell. f. 80 v.-82, Vatic. p. 324‑326; Panciroli 1 760 2 389; Severano Sette Chiese p. 346; Lonigo Barb. f. 54, Vallicell. f. 80; Martinelli 303 401; Bruti vol. 16 (to. XV) f. 55‑72 (ital.), vol. 11 (to. X) f. 49 v.-64 (lat.), vol. 10 (to. IX) f. 30‑55 (= pars III lib. I c. 5); Lubin p. 332; Carletti Memorie della chiesa e del monastero di S. Silvestro in Capite (Roma 1795); Nibby 713 sg.; Forcella IX p. 75‑90; Adinolfi II p. 348; Armellini 1 220 2 296; Federici Arch. soc. romana XXIIº (1899) p. 213‑300. 490‑538. XXIII (1900) p. 68‑128. 412‑447; Duchesne Mélanges de l'École franç XX (1900) p. 317 sg.; Angeli 557; Kehr IP. I p. 81‑83; Calvi Bibliografia 128 sg.; Marucchi 2 395. • Titi 346‑348.

Per un riassunto storico-artistico e una foto, si veda il mio sito.

S58. S. SILVESTRI DE PALATIO LATERANENSI

Paris. 266 Taur. 302 (senza cognome): non habet servitorem.

Oratorio posto dentro il patriarchio Lateranense; fondato da papa Teodoro (642‑649; LP. LXXV c. 5), ornato con pitture e musaici da Zaccaria (741‑752; LP. XCIII c. 18), arricchito da Leone IV (847‑855; LP. CV c. 62). È ricordato anche nelle biografie di Sergio I (687‑701; LP. LXXXVI c. 2) e di Onorio II (1124‑1130; LP. CLXIIII). Dei cataloghi dei sec. XV e XVI, soltanto quello del 1555 lo registra (sopra p. 86 n. 206). Fu demolito da Sisto V per la fabbrica del nuovo palazzo.

Lonigo Barb. f. 54, Vallicell. f. 79 v.; Martinelli 401; Adinolfi Laterano p. 48, Roma I p. 229; Armellini 1 613 2 104; Duchesne al LP. I p. 334 not. 11.

II Ff

S59. S. SILVESTRI DE PALMA ovvero DE POSTERULIS

Chiesuola annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 59) sotto il nome S. Silvestri de pusterolis. Fra i preti di S. Lorenzo e quelli di S. Eustachio, nel sec. XIII, era sorta una lite circa il patronato di questa chiesa, che fu composta da Gregorio IX per mezzo di una bolla del 9. aprile 1231  p468 (Potthast 8702; Auvray I p. 406 n. 636). Il cognome de posterulis accenna ad una situazione presso il fiume; secondo l'ordine topografico del bolla e dei cataloghi, si deve cercare nelle vicinanze di S. Salvatore de Lauro e S. Simeone. Ivi già nel sec. XIV si trovava una contrada della Palma (Adinolfi Canale del Ponte p. 17 sg.: carta del 1322 nell'archivio di S. Spirito, e numerose carte del sec. XV), il cui conservava fino a poco fa il Vicolo della Palma vicino al Ponte S. Angelo. Dopo gl'inizî del sec. XV non viene più ricordato; il posto non si può precisare.

Ciampini de Vicecancellario 199; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 394; Armellini 1 612 2 366.

S60. S. SILVESTRI PROPE S. PETRUM

Il biografo di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 66) racconta: constituit diaconiam quae appellatur S. Silvestri quae ponitur iuxta hospitale S. Gregorii. La medesima diaconia però viene ricordata già nella biografia di Stefano II (752‑757; LP. XCIIII c. 4) insieme con quella di S. Maria (in caput portici; v. sopra p. 324 n. 29) come fondazione di quel pontefice. Leone III nell'806 l'arricchì di doni (LP. XCVIII c. 75, cf. sopra p. 8 n. 63). Secondo il Grimaldi (presso Martinelli) sarebbe stata dinanzi al locale della Penitenzieria e demolita sotto Pio IV per l'allargamento della piazza di S. Pietro.

Lonigo Barb. f. 54, Vallicell. f. 79 v. (dal Lib. Pont.) Martinelli 400; Armellini 1 614 2 765; Duchesne al LP. I p. 456 not. 6, p. 520 not. 81.

I Kf

S61. S. SILVESTRI DE PORTA SEPTIMIAN ovvero DELLA MALVA

Cenc. 180 (senza cognome): den. VI — Paris. 262 (Porta Septentrionis) — Taurin. 406 (senza cognome): habet I sacerdotem.

Chiesa annoverata fra quelle soggette a S. Maria in Trastevere nella bolla di Callisto II del 1123 (sopra p. 135) col nome S. Silvestri iuxta portam Septimianam; che presso Cencio si abbia da intendere la medesima chiesa, è certo, perchè egli sotto i n. 175‑182 registra appunto le filiali della basilica transtiberina. È ricordata nel Liber Anniversariorum del Gonfalone (sopra p. 6 n. 137) col nome S. S. ad porta Sottigniano, nel catalogo del 1492 (sopra p. 79 n. 292) senza cognome, nella Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 232) sotto il nome S. Silvestri della Malva. Nel sec. XV venne in uso pure il nome di S. Silvestro e Dorotea (Anonimo  p469 Spagnuolo sopra p. 112 n. 195), o semplicemente S. Dorotea, dal corpo della martire ivi conservato: così è chiamata nel catalogo di S. Pio V (sopra p. 105 n. 279), e così viene detta tuttora.

Panciroli 1 304 2 596 (S. Dorotea); Del Sodo Vallicell. f. 69 v., Vat. p. 82 (S. Dorotea); Lonigo Barb. f. 53 v., Vallicell. f. 79; Martinelli 401; Alveri Roma in ogni stato II p. 326‑328; Nibby 210; Forcella IX p. 357‑372; Armellini 1 614 2 652; Angeli 125.

S62. S. SILVESTRIIº DE TAURO ovvero DE THERMIS

Cenc. 198 (de thermis): den. VI — Paris. 263 (de Thermis) — Taur. 178 (de Tauro): non habet servitorem — Sign. 246 (de Tauro).

Una carta del 1391 nell'archivio di S. Pietro in Vincoli, citata dal Fedele p. 191, si riferisce ad una locazione fatta dal Priore e dai canonici di S. Pietro in Vincoli di un terreno qui vocatur et dicitur Corte vecchia, positum prope dictam ecclesiam, cui ab uno latere tenet et est quaedam ecclesiola quae vocatur S. Silvestruolo, ab alio latere tenet et est hortus et pastinum Curtii Nardi ardicchio, ab aliis lateribus sunt viae publicae. Questo sito conviene perfettamente con l'ordine topografico dei cataloghi di Torino e del Signorili, mentre il fatto che essa era situata fra le rovine delle Terme di Traiano, rende assai verosimile la sua identificazione con la chiesa ricordata da Cencio e dal Parigino. Donde derivi il cognome de Tauro rimane oscuro: certo è che non ha alcuna relazione, come volle l'Armellini, con la regio caput Tauri o col Forum Tauri presso S. Bibiana e la porta Tiburtina (v. Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 369).

Armellini 1 613 2 217; Fedele Arch. soc. romana XXIX (1906) p. 191 sg.

II Fg

S63. S. SIMEONIS DE POSTERULA ovvero DE PONTE

Cenc. 174 (de pusterula): den. VI — Paris. 326 (S. Symon) — Taur. 89 (S. Symeonis): habet sacerdotem et clericum — Sign. 81 (S. Simeonis), rel. 60 (S. Simeonis de Ponte).

La prima menzione di questa chiesuola si trova in un documento del Regestum Farfense del 23. gennaio 1017 (III p. 217 n. 506), per il quale i preti di S. Eustachio ricevono dall'abate di Farfa terram. . . . in qua stare videntur parietini ad domum faciendam. . . . sicuti extenditur ab ipsis parietinis usque in ecclesiam sancti Symeonis et usque in terram Ursi qui vocatur Pirolus. Viene annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 59). La chiesa fu titolo cardinalizio dal tempo di Giulio III fino a Sisto V (Cristofori Storia dei Cardinali  p470 p. 180). Ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 55 n. 63 p. 61 n. 47, p. 64 n. 64) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI esiste tuttora sulla Piazza Lancellotti (Nolli n525).

Del Sodo Vallicell. f. 90 v., Vatic. p. 327; Panciroli 1 764 2 479; Lonigo Barb. f. 54 v., Vallicell. f. 80 v.; Martinelli 305; Ciampini de Vicecancellario p. 199; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 393; Alveri Roma in ogni stato I p. 93‑95; Nibby 719; Forcella II p. 193‑204; Armellini 1 615 2 350; Angeli 562.

S64. S. S. SIMEONIS oratorium

Nel documento surriferito del Regestum Farfense n. 506 (del 23. gennaio 1017) i preti di S. Eustachio ricevono pure medietatem de oratorio quod est in honore sancti Symeonis cum terra iuxta eam. . . . cum introitu et exitu earum per viam communem quae est pergens ad viam pontificalem euntium ad beatum Petrum apostolorum. . . . positas Rome regione nona in scorticlari inter hos fines: ab uno latere terra heredum cuiusdam Bonittonis, a secundo latere domus Iohannis presbiteri qui vocatur de Sergio, a tertio latere terra et domus suprascripti Ursi qui vocatur Pirlus, a quarto latere via communis. In un altro documento del 20. agosto del medesimo anno (l.c. p. 214 n. 504) si dà ragguaglio di una lite fra l'abate Ugo di Farfa ed i monaci di S. Elia di Nepi, i quali pretendevano che la terra cum medietate oratorii sancti Symeonis appartenesse a loro, come infatti fu stabilito dai giudici. Quindi la ecclesia S. Simeonis, la quale insieme con S. Salvatore (de Inversis) e S. Mariae in Monticello vien confermata da Alessandro III, con bolla del 20 febbraio 1177, a S. Elia di Falleri (Jaffé-Lowenfeld 1302; Corvisieri Arch. soc. romana I p. 164 sg.; Kehr IP. II p. 180 n. 1; cf. sopra p. 350 n. 66) è probabilmente quest'oratorio e non la chiesa presso il Tevere. Deve essere stata presso il Monte Giordano, non lungi dalla Via Papale, ma non si può indicare il luogo preciso. Pare che sia sparito o abbia cambiato nome già nel sec. XIII.

I Pq

S65. S. SIXTI via Appia

Cenc. 20 (s. Xisto): sol. II — Paris. 351 Taur. 278 (monasterium S. Sixti): habet moniales LXX et fratres praedicatores XVI — Sign. 347, rel. 34.

Questa basilica antichissima si trova menzionata, sotto il nome S. Xysti, per la prima volta fra le sottoscrizioni del concilio romano del 595 (sopra p. 125 n. 12); se per il titulus Tigridae, che occorre nelle sottoscrizioni del concilio del 499 (sopra p. 124 n. 18) sia da intendersi  p471 questo, o quello di S. Balbina (Kirsch, Die römischen Titelkirchen p. 94‑129), resta dubbio. Comparisce fra le chiese benefiziate da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 45. 73). Nell'alto medio evo accanto al titolo esisteva il monasterium Corsarum (v. sopra p. 233 n. 11 e più sotto p. 488 n. 98). Invece di questo, Onorio III, con bolla del 17. dicembre 1219, costituì presso S. Sisto un monastero di monache domenicane, a quale venne unito altresì quello decaduto di S. Maria in Tempore (v. sopra p. 367 n. 88). Le monache però lasciarono il posto nel 1575 "per non essere qui buono l'aere" (Panciroli). Sisto V vi fece l'ospedale dei poveri mendicanti​a (Bruti vol. 20 [to. XIX] f. 93 v.). La chiesa esiste tuttora sul principio della Via Appia dal lato di orientale. — Il cognome in piscina riferito da autori moderni, non si trova nelle fonti medievali.

Ugonio Stazioni f. 167 v.; Del Sodo Vallicell. f. 134 v., Vatic. p. 323; Panciroli 1 764 2 671; Lonigo Barb. f. 55, Vallicell. f. 81 v.; Severano Sette Chiese p. 473; Martinelli 305; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 136‑140 v. (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 105‑110 (lat.); Lubin 333. 345; Nibby 719; Forcella X p. 535‑546; Armellini 1 616 2 518; Angeli 562; Kehr IP. I p. 120; Marucchi 2 168.

II Hp

S66. S. SIXTI IN GALLINA ALBA

Cenc. 252 (de gallinis alberti): den. VI — Paris. 352 (in Gallina) — Taur. 164 (in Gallinariis): non habet servitorem et est sine muris — Sign. 231.

Il cognome di questa chiesuola ricorda il nome della località Gallinae albae assegnata nei regionarii costantiniani alla regione sesta: questa località, ma non la chiesa (come erroneamente asserisce l'Armellini) è ricordata pure nelle lettere di S. Gregorio Magno (lib. III ep. 17: domus posita. . . . regione IV iuxta locum qui appellatur Gallinas albas). La situazione approssimativa fra S. Lorenzo in Fontana e S. Lorenzo in Panisperna sulla pendice del Viminale si deduce dall'ordine topografico dei cataloghi. Cf. anche Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 374 not. 6. Dopo il principio del sec. XV la chiesuola non viene più mentovata.

Lonigo Barb. f. 55, Vallicell. f. 81 v. (dal Cencio); Armellini 1 616 2 201.

— S. SPIRITUS IN SAXIA v. S. Mariae in Saxia.

S67. S. STEPHANI

Cenc. 184: den. VI.

Quale chiesa di S. Stefano si debba intendere per quell'indicazione, resta dubbio. Siccome non sta fra le chiese vaticane (n. 62‑77), è meno probabile che sia indicato S. Stephani de agulia; piuttosto si potrà pensare a S. Stephani de arenula, oppure a S. Stephani de Trullo.

II Le

S68. S. STEPHANI DE AGULIA

Taur. 116 (de auglia): habet I sacerdotem; id. 99 (hospitale de Unagaris): habet IV servitores.

Stefano II (752‑757; LP. XCIV c. 40) ai tre monasteri fin allora addetti alla basilica di S. Pietro aggiunse un quarto sotto il nome di S. Stefano, il quale, per distinguerlo da S. Stephani cata Galla (v. più sotto n. 79) spesso fu chiamato S. Stephani Minoris. Viene ricordato fra i monasteri arricchiti da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 76, cf sopra p. 8 n. 75: monasterium primi martyris Stephani qui ponitur ad beatum Petrum apostolum). Poco dopo il Mille, Stefano I re di nuovo Ungheria (97‑1038) costruì ivi presso un ospizio per gli Ungheresi; papa Benedetto X, con privilegio dell'8. maggio 1058, stabilì ut Hungari omnes causa orationis aut legationis Romam venientes non habeant licentiam hospitandi in aliquo loco intra muros urbis Romae nisi ad sanctum Stephanum proto­martyrem qui appellatur minor (Kehr Göttinger Nachrichten 1900 p. 146 n. 5, IP. I p. 148 n. 2; Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 483 n. 21). Innocenzo III, con bolla del 15. ottobre 1205 (Bull. Vatic. I p. 84; Potthast 2592), confermò il monastero e l'ospizio ai canonici di S. Pietro; se ne fa menzione pure nella bolla di Gregorio IX del 22. giugno 1228 (Bullar. Vatic. I p. 114; Potthast 8214). Niccolò IV, con bolla del 2. . marzo 1290 (I p. 405 n. 2088 ed. Langlois), concedette all'ospedale alcune indulgenze. Il posto è segnato sulla pianta dell'Alfarano sul lato meridionale della basilica costantiniana, a pochi passi dall'obelisco, dal quale prende uno dei suoi cognomi. Fu demolita nel 1776 per la costruzione della nuova sagrestia vaticana. — V. anche più sotto p. 478 n. 81 s. v. S. Stephani miccino.

Del Sodo Vallicell. f. 73 v., Vatic. p. 322; Panciroli 1 778 2 547; Lonigo Barb. f. 56, Vallicell. f. 83 v.; Martinelli 309; Lubin 334; Cancellieri de secretariis III p. 1534‑1540. 1545‑1563. Armellini 1 623 2 747; Kehr IP. I p. 148; Alpharanus De basilica Vaticana p. 139 ed. Cerrati (Roma 1914).

S69. S. STEPHANI DE ARCIONIBUS

Cenc. 264 (Artionum): den. VI — Paris. 203 (de Arcione) — Taur. 31 (de Archionibus): habet I sacerdotem — Sign. 140.

Una bolla di Celestino III del 7. maggio 1194 (Martinelli 202; Kehr IP. I p. 89 n. 10) annovera fra i beni del monastero di S. Maria in Campo Marzo: nel popolo di S. Stefano delli Arcioni nove case: un documento del 10. febbraio nell'archivio di S. Silvestro in Capite (Federici Arch. soc. romana XXII, 1899, p. 513 n. 47) ricorda  p473 unam domum in regione Trivii prope ecclesiam S. Stefani de Arcionibus; cf. anche p. 533 n. 75 del 18. novembre 1218. Il Lonigo (Barb. f. 11, Vallicell. f. 16 v.) s.v. S. Biagio de Vaccionibus asserisce che nell'anno 1463 fu da Pio II unita alla chiesa di S. Marcello. Nell'elenco delle chiese soggette a S. Marcello (sopra p. 134 n. 12) figura fra quelle distrutte; nondimeno il catalogo del 1492 (sopra p. 71 n. 76) la registra col semplice nome S. Stephani; manca nei cataloghi del sec. XVI. Dall'ordine topografia dei cataloghi si rileva che la chiesa si deve cercare sotto la pendice settentrionale del Quirinale verso il Pincio: ma nulla si può stabilire sulla ubicazione precisa. Erra l'Adinolfi (Roma II p. 322 not. 3) identificandola con S. Stephani de caballo.

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v.; Martinelli 401; Armellini 1 627 2 266.

II Kh

S70. S. STEPHANI DE ARENULA ovvero DE VACCINARIIS ovvero DE VICTIMARIIS

Paris. 211 (de baccinariis) — Taur. 349 (de arenula): habet I sacerdotem — Sign. 25 (in victimariis).

Che annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 28) sotto il nome S. Stephani de cacabariis (che potrebbe essere uno sbaglio di copista invece di baccinariis; il nome S. Stefano in cacabaris riferito nella yap4, p. 94 n. 223, è un errore per S. Salvatoris de c.). L'Armellini cita due passi di libri censuali della basilica Vaticana, del 1372 e del 1380, nei quali si ricorda la parochia S. Stephani de Benedictinis de regione Arenulae; il Galletti (cod. Vat. 7881 p. I f. 33) da un necrologio Vaticano all'anno 1408 ha tolto il nome S. Stephani de silice. Col medesimo nome è registrata nel catalogo del 1555 (sopra p. 86 n. 212, 213), nella Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 218) e nel catalogo dell'Anonimo Spagnuolo (p. 110 n. 146), mentre il catalogo di S. Pio V (p. 101 n. 174) la chiama S. Stefano alli Vaccinari. La chiesa fu concessa nel 1570 da s. Pio V all'università dei conciatori, i quali la riedificarono dedicandola al loro patrono S. Bartolomeo. Esiste tuttora sotto il nome di S. Bartolomeo dei Vaccinari.

Del Sodo Vallicell. f. 122 v., Vatic. p. 48 (S. Bartolomeo e Stefano in silice); Panciroli 12 748; Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v.; Martinelli 77. 403; Bruti vol. 15 (to. XIV) f. 238‑145 (ital.), vol. 21 (to. XX) f. 277‑283 (lat.); Ciampini de Vicecancellario 200; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 336; Nibby 128; Forcella XII p. 257‑263; Armellini 1 628 2 399.

 p474  I Oq

S71. S. STEPHANI DE CABALLO ovvero DE EQUO MARMOREO

Cenc. 206 (de caballo): den. VI — Paris. 202 (de caballo) — Taur. 14 (de caballis): habet sacerdotem et clericum — Sign. 147 (de equo marmoreo).

Chiesuola scomparsa dopo il sec. XV, situata già sull'altura del Quirinale, non lontano da S. Salvatore de Cornutis.

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v. (da Cencio); Armellini 1 625 2 264.

I Oq

S72. S. STEPHANI IN CAELIO MONTE

Cenc. 17: sol. II — Paris. 201 Taur. 287: titulus presbyteri cardinalis, habet IIII clericos — Sign. 261, rel. 32.

Basilica antichissima, fondata da papa Simplicio (468‑483; LP. XLIX c. 1) fra le mura del tholus Macelli magni. La decorazione con marmi e musaici fu continuata da Giovanni I (523‑526) e compiuta da Felice IV (526‑530; v. le iscrizioni presso de Rossi IChr. II, 1 p. 152 n. 29. 32). Papa Teodoro (642‑649) la dedicò nuovamente, dopo avervi riposto i corpi dei santi martiri Primo e Feliciano (LP. LXXV c. 4; iscrizione presso De Rossi p. 152 n. 30). Fu rinnovata un'altra volta da Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 82), arricchita dal medesimo papa (l.c. c. 61), da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 47. 71. 104), da Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 16) e da Leone IV (847‑855; LP. CV c. 56). Un documento del 938 nel Regestum Sublacense n. 24 p. 63 parla del monastero di S. Erasmo (sopra p. 249 n. 1) positum Romae regione secunda ante venerabili titulo S. Stephani in Celio monte; donde si rileva che, mentre non comparisce fra i titoli antichi, fu assunto fra essi prima del Mille. Dopo parecchi altri restauri esiste ancora sul posto antico. Si noti che il nome oggi corrente S. Stefano rotondo nelle fonti medievali non viene mai adibito per questa chiesa, ma si bene per quella più piccola presso il Ponte Rotto (v. p. 484 n. 92).

Del Sodo Vallicell. f. 169 v., Vatic. p. 318; Panciroli 1 784 2 123; Lonigo Barb. f. 56, Vallicell. f. 83; Martinelli 309; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 257‑267 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 192‑201 (lat.), vol. 4 (to. III) f. 209 v.-230 (= l. IIII c. 17); Nibby 727; Forcella VIII p. 203‑212; Adinolfi I 336‑343; De Rossi Studj e documenti di storia e diritto VII (1886) 217‑233; Armellini 1 631 2 119; Angeli 573; Kehr IP. I p. 42; Calvi Bibliografia 130 sg.; Marucchi 2 219. • Titi 207‑208.

Per un riassunto storico-artistico con due foto, si veda il mio sito.

 p475 

S73. S. STEPHANI A CAMPO

Nella bolla di Giovanni XII per S. Silvestro in Capite, dell'8. marzo 962 (Federici Arch. soc. romana XXII, 1899 p. 269; Kehr IP. I p. 83 n. 7), fra le filiali di quella basilica viene annoverata anche una ecclesia S. Stephani qui dicitur a Campo. Trovandosi il nome fra S. Anastasii (de Trivio) e S. Maria que dicitur Arciones, forse si tratta della stessa chiesa che più tardi fu chiamata S. Stephani de Archionibus (sopra n. 69).

I Mq

S74. S. STEPHANI IN CAPITE AFRICAE

Cenc. 284 (de Capite Africe): den. VI — Paris. 214 (in Caprafice) — Taur. 183 (in Caprafice): habet I sacerdotem — Sign. 251 (in capite Africes).

Il cognome di questa chiesuola ricorda il classico Vicus Capitis Africae, sull'ubicazione del quale ha trattato con molta dottrina il Gatti (Annali dell'Istituto 1882 p. 200). La bolla di Anastasio IV del 19. maggio 1154, che la registra fra le cappelle soggette a S. Giovanni a porta Latina (sopra p. 131), conferma una precedente bolla di Leone IX del 1050: quindi le origini del santuario rimontano al Mille. Alla dipendenza da quella basilica si riferiscono pure le bolle di Onorio III del 10. novembre 1216 e di Gregorio IX del 3. febbraio 1229 (sopra p. 131). Verso la fine del sec. XII vi fu una controversia fra i canonici di S. Giovanni a Porta Laina ed il clero di S. Clemente circa i diritti di giurisdizione sulla chiesa. A questa controversia si riferiscono le bolle di Onorio III dell'8. novembre 1217 (Crescimbeni S. Giovanni avanti Porta Latina p. 191; Pressutti I p. 147 n. 869) e d'Innocenzo IV dell'8. marzo 1244 (Crescimbeni l.c. p. 193). Nell'inventario dei beni di S. Giovanni avanti Porta Latina, compilato da Niccolò Frangipani circa il 1300, il sito della chiesa è descritto come segue: ab uno latere tenet ecclesia sanctorum Quatuor Coronatum, ab alio dicta ecclesia S. Iohannis ante portam Latinam, ab omnibus aliis lateribus sunt viae publicae. Un documento dell'8. dicembre 1289 nell'archivio di S. Maria in Via lata (Galletti cod. Vatic. 8050 f. 63) riguarda 'affitto di due case positas in urbe in contrata viae Maioris inter hos fines: a I latere tenet Thomas de Bono et nosmet (scil. Gregorius Fraiapane et Nicolaus canonicus basilica principis apostolorum) et domus de viculo capitis Africae, a II tenet ecclesia Sci. Stephani de Capite Africae; a III et via et nosmet tenemus domum in qua habitat Petrus ferrarius; a IIII ante est via publica. Con la scorta di questi e d'altri documenti il Gatti ha stabilito il posto della chiesuola sull'incrociamento  p476 del Vicus Capitis Africae (Via della Navicella) ed un kh vicolo trasversale, che dal lato meridionale del Templum divi Claudii (nel giardino dei Passionisti presso S. Giovanni e Paolo) si dirigeva verso la basilica dei SS. Quattro Coronati. La chiesa è sparita senza lasciar vestigia dopo il principio del sec. XV.

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v. (da Cencio); Armellini 1 635 2 504; Gatti Annali dell'Istituto 1882 p. 200‑204.

S75. S. STEPHANI DE CURTE

Cenc. 150: den. VI.

Chiesuola non ricordata in nessun altro documento (se non vuol credersi identica con S. Stephani de fovea, n. 77) e di ubicazione affatto incerta. Erra l'Armellini identificandola con S. Stephani de Rapignano (n. 89)

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v. (da Cencio).

S76. S. STEPHANI IN DULCITI

Nella biografia di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 78) viene riferito: in oratorio sancti Stephani qui ponitur in Dulciti fecit canistrum argenteum. Siccome questo passo si trova nella grande lista dei doni fatti dal papa nell'806 (v. sopra p. 9 n. 91) agli stabilimenti monastici, probabilmente l'oratorio di S. Stefano era incorporato in un monumento Dulciti (il nome proprio è assai frequente nel sec. V e nei seguenti; v. De-Vit s. v.). Ma nè dell'uno nè dell'altro si hanno ulteriori notizie.

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v.; Martinelli 402; Armellini 1 637 2 832.

S77. S. STEPHANI DE FOVEA

Paris. 208

Chiesuola d'altronde affatto sconosciuto. Se il suo cognome stesse certamente in relazione con la contrata foveae a sud del Campidoglio, nell'antico Velabro (s. sopra p. 335 n. 47 s. v. S. Mariae de fovea), si potrebbe credere identica con S. Stephani de Curte scil. Domnae Miccinae (v. sopra n. 75). Ma siccome un'altra contrata foveae si trova nel rione Parione (v. sopra p. 216 n. 23 s.v. S. Blasii de fovea), questa congettura non si può dare per certa.

 p477 

S78. S. STEPHANI IUXTA LATERANUM

Fra i santuari di Roma arricchiti da Leone III nell'806 (795‑817; LP. XCVIII c. 76, v. sopra p. 8 n. 74) comparisce ancora il monasterium S. Stephani qui ponitur iuxta Lateranis. Questo monastero non viene ricordato in altri ft; ma è probabile che l'oratorium Sancti Stephani in baptisterio Lateranense fondato da papa Ilario (461‑468; LP. XLVIII c. 11) abbia relazione con esso. Il Duchesne sospetta che l'oratorio sia identico con quello di S. Venanzio contiguo al battistero.

Lonigo Barb. f. 55 v. Vallicell. f. 83 (dal Lib. Pont.); Martinelli 402; Adinolfi I 214; Armellini 1 619 2 105; Duchesne al LP. I p. 247 not. 11, II p. 43 not. 80; Kehr IP. I p. 33.

II Le

S79. S. STEPHANI MAIORIS ovvero CATA BARBARA ovvero CATA GALLA PATRICIA

Taur. 114 (maioris): habet I sacerdotem — Sign. 201 (maioris).

Monastero assai antico, esistente già al tempo di Gregorio III come si rileva dal suo constitutum synodale del 732. Nella biografia di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 53) è ricordato sotto il nome di monasterium S. Stephani cata Barbara patricia situm ad S. Petrum apostolum. Invece il biografia di Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 90), parlando del restauro fato da quel pontefice, lo chiama monasterium sancti . . . . Stephani qui appellatur cata Galla patricia, e così pure nel grande lista dei doni fatti nell'806 (l.c. c. 77, cf. sopra p. 8 n. 78), mentre egli nel c. 47 lo chiama oratorium S. Stephani a sancto Petro quae appellatur Maiorem. Che quest'ultimo cognome designi il medesimo stabilimento, resulta da un documento del 1073‑74 nell'archivio di S. Pietro (Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 490 n. 26) ove si ricorda il Monasterium S. Stephani maioris q. app. cata Galla. Anche il privilegio di Stefano II del 757 per l'abate Fulrado di S. Denis (Jaffé-Ewald 2333) menziona una domus posita iuxta monasterium b. Martini iuris monasterii S. Stephani cata Galla patricia. Sotto il nome S. Stephani maioris è ricordato nella biografia di Pasquale I (817‑824: LP. C c. 2.27), nel Regestum Sublacense (n. 70 saec. IX, n. 113 a.947, n. 112 114. a. 964, n. 118 a. 981, n. 111 a. 988, n. 115 a. 1042) e in molte carte dell'archivio di S. Pietro. Fra queste ultime è di speciale interesse il privilegio accordata da Leone IX il 24. marzo 1053 al monastero, nel quale si descrivono esattamente i suoi beni (Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 473  p478 n. 17). L'asserzione del Torrigio (Grotte Vaticane p. 328), secondo la quale già Alessandro III nel 1159 avrebbe consegnato il monastero agli abissini, non merita fede; il Panciroli narra che Eugenio IV, circa il 1439 la concesse agli Indiani. Il catalogo del 1492 (sopra p. 73 n. 117) lo chiama S. Stephani retro basilicam S. Petri, quello di S. Pio V (sopra p. 160 n. 146) S. Stefano Maggiore dietro a S. Pietro, delli Indiani, quello dell'Anonimo Spagnuolo (p. 109 n. 89) S. Stefano degli Indiani. Essendo la vecchia chiesa fatiscente, Clemente XI nel 1706 la restaurò, pur riducendone le dimensioni; l'abside della chiesa antica rimane ancora visibile dietro la moderna. Attualmente suol chiamarsi S. Stefano degli Abissini o dei Morì.

Del Sodo Vallicell. f. 73, Vatic. p. 324 (S. Stefano degli Indiani); Pasquale I 778 2 546; Lonigo Barb. f. 56, Vallicell. f. 83 v.; Martinelli 308; Alveri Roma in ogni stato II p. 218‑220; Lubin 334; Cancellieri de secretariis III p. 1513‑1538; Nibby 726; Forcella VI p. 305‑312; Armellini 1 620 2 750; Angeli 569; Kehr IP. I p. 146 sg.

S80. S. STEPHANI DE MAXIMA

Taur. 377: non habet servitorem. — Sign. 55.

Chiesa d'altronde non conosciuta, menzionata dal Torinese accanto a S. Mariae de Maxima (sopra p. 344 n. 58): è impossibile perciò identificarla con quest'ultima, come volle l'Armellini.

Armellini 1 637 2 565.º

S81. S. STEPHANI MICCINO

Cenc. 64 (miczion): den. XII — Paris. 206 (miccino).

Chiesa ricordata da Cencio fra quelle del Borgo: il presbiterio attribuitole di dodici denari dimostra che si tratta di un santuario di qualche importanza. Oltre ai cataloghi ne fa menzione un documento del 974 nel Regestum Sublacense (p. 109 n. 66), ove è descritto un filo di salina: ab uno latere fila de sancto Stephano qui appellatur miccino. La parola miccinus nel dialetto romano dell'alto medio evo pare sia stata equivalente a parvusminor; p. es. nel medesimo Regesto di Subiaco p. 196 n. 145 (sec. X-XI?) sono ricordati due fondi, Longiano miccinoLongiano maiore (nel testo greco ivi n. 147 è: Λονγιανὸν μικρόν, Λονγιανὸν μέγα). Mi sembra quindi probabile che s. Stefano miccino non sia altro che  p479 S. Stephani de agulia ovvero minoris (sopra p. 472 n. 68) che altrimenti mancherebbe nei due cataloghi sopra citati. Il cognome Nuczino, ripetuto anche dall'Armellini, proviene da codici deteriori di Cencio.

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v (da Cencio: S. St. Nutini al Nuzini; Armellini 1 637 2 832.

S82. S. STEPHANI ORPHANOTROPHII ovvero DE SCHOLA CANTORIS

Cenc. 257 (orfanotrofii): den. VI — Paris. 212 (orphonotrophium) — Taur. 297 (de schola cantoris): non habet servitorem, est destructa.

Nella biografia del papa Sergio II (844‑847; LP. CIVº c. 24) è narrato ch'egli scholam cantorum quae primum orphanotropheum vocabatur [cf. anche LP. CXII, Stephanus V, 885‑891 c. 7: in scola cantorum quae pridem orphanotrophium vocabatur; Reg. Sublacense n. 112 p. 159 a. 919: primicerius scholae cantorum qui appellatur orphanotropio] cum prae nimia vetustate iam emarcuerat et pene in ruina posita atque confracta a priscis temporibus videretur. . . . a fundamentis. . . . restauravit. Ceterum etiam in oratorio b. Stephani proto­martyris quod positum est in ipsa schola. . . . (segue una lista di doni). Il Torinese la registra fra S. Matteo in Merulana e S. Bartholomaei un capite Merulanae; da ciò si stabilisce il sito approssimativo della chiesa e della schola cantorum. Su quest'ultima v. Kehr IP. I p. 17: essa fu definitivamente soppressa da Urbano V con bolla del 13. giugno 1370 (Casimiro nella pubblicazione per il XVI centenario della basilica Lateranense, Roma 1925, p. 56‑59).

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v. (da Cencio); Armellini 1 619 2 105; Duchesne al LP. II p. 102 n. 18.

S83. S. STEPHANI (ET CAESAREI) AD B. PAULUM

Monastero ricordato già da S. Gregorio Magno (Reg. XIV, 14 a. 604, 25. giugno; cf. Galletti Inscr. Romanae I cl. 1 n. 9 p. 6; Kehr IP. I p. 166 n. 3) sotto il nome di monasterium S. Stephani quod est ancillarum Di. positum ad Scm. Paulum. Più tardi l'oratorium Stephani martyris ante frontem basilicae (S. Pauli) è menzionato da Guglielmo di Malmesbury (De Rossi R. S. I p. 182). Un privilegio nel Liber Diurnus (p. 114 n. 87 ed. Sickel; Kehr IP. I p. 170 n. 1) ordina che il monasterium S. Stephani quod intro atrio b. apostoli Pauli fundatum est, iam elapso tempore congregatione servorum aut ancillarum Dei nudatum, sia unito col monastero  p480 di S. Cesario. Il documento viene attribuito dal Sickel ad Adriano II (772‑795), dal Duchesne e dal Kehr a Gregorio II (715‑731), e forse con più ragione, perchè il suo biografo (LP. XCI c. 3) asserisce ch'egli monasteria, quae secus basilicam s. Pauli apostoli erant, ad solitudinem deducta innovavit. Il monasterium S. Stephani qui ponitur ad beatum Paulum apostolum comparisce fra le chiese benefiziate con doni da Leone III nell'801 (LP. XCVIII c. 77, cf. sopra p. 8 n. 80). Due documenti del sec. X nel Regestum Sublacense (n. 239 p. 190 a. 961; n. 127 p. 177 a. 967) ricordano un abbas venerabilis monasterii beati. . . . Stephani et Caesarii qui vocatur quattuor angulos situs ad b. Paulum apostolum. Il privilegio di Gregorio VII (1073‑1085; sopra p. 135) registra fra i beni della basilica anche S. Stephani monasterium ancillarum Dei positum ad S. Paulum apostolum. L'Ugonio ed il Severano asseriscono che "insino ai tempi nostri si vedeva (del monastero di S. Stefano) una porta con due colonne di marmo, et una mezza tribuna"; ma il luogo da loro indicato (vicino alla chiesa di S. Paolo et al luogo dove si divide la strada che va alla porta maggiore della medesima chiesa) pocos conviene alle indicazioni dei documenti surriferiti.

Ugonio Stazioni f. 234 v.; Lonigo Barb. f. f. 15, Vallicell. f. 22 (monastero di S. Cesario vicino S. Paolo); Severano Sette Chiese p. 384 sg.; Martinelli 403; Armellini 1 743 2 928; Duchesne al Lib. Pont. II p. 44 not. 82; Kehr IP. I p. 170; Calvi Bibliografia 131.

S84. S. STEPHANI DE PAULUNI

Paris. 209.

Chiesa non menzionata in altri documenti, se non vuol credersi identica con la precedente, di modo che il nome sia corrotto da S. Stephani ad b. Paulum.

S85. S. STEPHANI A DOMO PETRI GREGORII

Paris. 204.

Chiesuola d'altronde non conosciuta e di ubicazione affatto incerta. La chiesa di S. Nicola cognominata de curte Cinthii Gregorii (Paris. 172) stava nel Campo Marzo, fra la Rotonda ed il Circo Agonale (sopra p. 342 n. 8).

 p481  II Ei

S86. S. STEPHANI DE PILA

Cenc. 100: den. VI — Paris. 205 (a pila) — Taur. 62: habet I sacerdotem — Sign. 109.

Chiesuola menzionata già nella bolla di Giovanni XVIII del 28. novembre 1006 per S. Trifone (Corvisieri Arch. soc. romana I, 1877, p. 162 sg.; falsamente attribuita a Giovanni XII ed all'anno 957: Kehr IP. I p. 91 n. 1). In essa si conferma a S. Trifone oratorium quod edificatum est in honore sancti Stephani proto­martyris cum. . . . porticali iuxta se et terra vacante ad tumulandum in circuitu suo; il medesimo santuario poi viene chiamato oratorium sancti proto­martyris Stephani a pila. Era situata presso la posterula de pila (v. Corvisieri l.c. p. 100), nelle vicinanze della moderna Piazza Nicosia. Erra l'Armellini identificandola con S. Stephani de ponte.

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 (da Cencio); Armellini 1 627 2 352.

II Hk

S87. S. STEPHANI DE PINEA

Chiesa tuttora esistente sotto il nome di S. Stefano del Cacco, derivato dal simulacro di un cinocefalo egiziano che si vedeva dinanzi alla porta della chiesa dal sec. XIV in poi (cf. CIL. VI, 857). Ne fa menzione già Iohanne Caballini de Cerronibus (cr. 1345‑1347, p. 145 ed Urlichs Codex topographicus): ecclesia Sancti Stephani de pinea, penes quam stat simulacrum Caci pastoris Euandri, quem pueri et infantes a bimatu et infra plurimum perhorrescunt, non solum cum vident, sed etiam cum nominatur eisdem. Notano il Panciroli ed il Bruti, che "avanti il 1607, che di dentro la ristorarono i monaci silvestrini, apparivano l'insegne di S. Pasquale I" (817‑824). È ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 56 n. 102: de pinea; p. 58 n. 24, p. 61 n. 66, p. 66 n. 105: dello cacco) ed in altri catalogo dei sec. XV e XVI (p. 76 n. 206: in cacco; p. 86 n. 214, p. 103 n. 219, p. 109 n. 105: del cacco). La Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 223) erroneamente la chiama S. Stefano de cacabariis.

Del Sodo Vallicell. f. 149 v., Vatic. p. 322 (S. Stefano del caccho); Panciroli 1 775 2 832 (S. Stefano del Cacco); Lonigo Barb. f. 56, Vallicell. f. 83 v.; mll309. 401; Bruti vol. 22 (to. XXI) f. 150‑160 (= pars IV lib. I c. 17); Nibby 725; Forcella VII p. 485‑512; Armellini 1 629 2 469; F. Tomassetti Bull. arch. comunale 1905 p. 337‑340; Calvi Bibliografia 130.

 p482  II Hf

S88. S. STEPHANI DE PISCINA

Cenc. 219: den. VI — Paris. 207 Taur. 325: habet I sacerdotem — Sign. 4 (in piscinula).

La più antica menzione di questa chiesuola si trova nei Mirabilia c. 29 (Jordan II p. 642; Urlichs Codex topographicus p. 112): ad S. Stephanum in piscina palatium Cromatii prefecti (cf. Jordan II p. 535). È annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 5) sotto il nome S. Stephani de piscibus. Ritorna nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 55 n. 79: de Pisciola), nel catalogo del 1492 (p. 74 n. 153: senza cognome), nella Tassa di Pio IV (p. 94 n. 216: in pescola), nei cataloghi di S. Pio V (sopra p. 101 n. 164: alla ciavica di S. Lucia) e dell'Anonimo Spagnuolo (p. 108 n. 27: in pisciola). Il luogo è segnato sulla pianta del Nolli n. 660, nella Via dei Banchi vecchi quasi dirimpetto a S. Lucia del Gonfalone. Fu distrutta poco prima del 1870.

Del Sodo Vallicell. f. 117, Vatic. p. 321 (in pescivola); Panciroli 1 779 2 781; Lonigo Barb. f. 56, Vallicell. f. 83 v.; Martinelli 309; Nibby 726; Armellini 1 636 2 393; Calvi Bibliografia 130.

II Gf

S89. S. STEPHANI DE PONTE

Chiesuola annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 10), accanto a S. Ursi de Ponte. Il Fonseca cita un passo dagli Atti delle sacre visite sotto Urbano VIII (cod. visit. tom. 2 pag. 802 3. Iulii 1626): ecclesia S. Mariae Purificationis Transalpinorum olim erat sub invocatione S. Stephani infra fines paroeciae S. Ursi de Urbe, quae cum ruinam minaretur, anno 1473 societati Ultramontanorum seu Transalpinorum de Urbe. . . . tempore Sixti IV concessa fuit (secondo il Fanucci lib. 4 c. 20 la concessione sarebbe stata fatta già da Eugenio IV nel 1444). La chiesa di S. Maria della Purificazione, ovvero de Candelora, in Banchi e ricordata nel catalogo di S. Pio V (sopra p. 99 n. 120: S. M. Canneloro) e dell'Anonimo Spagnuolo (p. 113 n. 254); essa esistette sino al 1888 all'angolo delle vie dei Banchi vecchi e del Consolato (Nolli n. 553) e fu distrutta per il prolungamento del Corso Vittorio-Emanuele.

Del Sodo Vallicell. f. 113 v., Vatic. p. 219 (S. M. della Purificazione in banchi); Panciroli 1 558 2 496; Lonigo Barb. f. 38 v., Vallicell. f. 55 v.; Ciampini de Vicecancellario 202; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 298; Adinolfi Canale di Ponte p. 41; Forcella III p. 193‑200; Armellini 1 148 2 352; Bull. archeo. comunale 1888 p. 164 sg.

 p483  I Mh

S90. S. STEPHANI RAPIGNANI ovvero TRANS TIBERIM ovvero AD S. GRISOGONUM

Cenc. 95 (trans Tiberim): den. VI — Paris. 215 (ad S. Grisogonum) — Taur. 393 (Rapigranu): habet I sacerdotem — Sign. 74 (Rapigrani).

Il cognome di questa chiesuola nei cataloghi di Torino e del Signorili sembra corrotto per colpa dei copisti, mentre la vera forma sarebbe Rapignano ovvero Rapignani. Nella chiesa vicina di S. Salvatore de curtibus esisteva la sepoltura di un Iohannes Bonioanni de Rapencannis defunto nel 1392, nel cui epitafio metrico si dice

hic vir sensatus Iohs. Noianni vocatus. . . .

Rapencana stirpe clara. . . .

(Forcella IX p. 322 n. 652 dal Gualdo Vat. 3253, II f. 168; Magalotti cod. Vat. 8251 p. II f. 248; Armellini 2 680 da "una filza di manoscritti dell'Archivio Vaticano"; notizie sulla famiglia Bonioanni, ovvero Bongiovanni, si trovano presso Iacovacci cod. Ottobon. 2548 f. 471‑477). Mi pare probabile che il cognome della chiesa stia in relazione con quello della famiglia trasteverina, e che ambedue, come pur la ben nota Porta Ravegnana della Basilica di S. Pietro (petrus Mallius presso De Rossi IChr. II, 1 p. 220), abbiano conservato il ricordo della regio Ravennatium dell'alto medio evo e dei castra Ravennatium dell'epoca imperiale (v. Huelsen-Jordan Topogr. I, 3 p. 647). La chiesa viene registrata (senza cognome) fra le filiali di S. Crisogono nella bolla di Callisto II del 1121 (sopra p. 130). Secondo l'ordine topografico dei cataloghi, si deve cercare nelle vicinanze di S. Crisogono, ad ovest della chiesa. Una bolla di Martino V del 30. gennaio 1425 (Reg. Lateran. 257 f. 277) parla di alcuni orti esistenti prope domum ecclesiae S. Crisogoni in Transtiberim de Urbe, quos in unum reducere desideras. Sed quia quaedam semita public stricta admodum et fere per iactum lapidis longa, per quam olim de via publica ad ecclesiam Sancti Stephani. . . iam prorsus desertam et pro maiori parte destructam ibatur, ortos ipsos ab invicem dividit, si dà licenza di sopprimere il suddetto vicolo. Si spiega facilmente come il nome della chiesuola non comparisca più nei cataloghi del sec. XVI, e come sia impossibile di precisarne il sito. L'Armellini erroneamente asserisce che fu fondata da Gregorio III, riferendo ad essa un passo della biografia di quel pontefice (LP. XCII c. 9) che realmente parla del monastero di S. Crisogono, dedicato anche a S. Stefano e a S. Lorenzo.

Armellini 1 636 2 685.

 p484 

S91. S. STEPHANI REGINAE

Un documento del sec. X, forse emanato da Stefano VIII l'anno 940, nel Regestum Sublacense (p. 105 n. 63) si riferisce al lascito di un filo di salina positum in Liciniana pedica scilicet vetere quest inter affines: ab uno latere filum quoddam Placidie, et ab alio latere fila iuris monasterii sancti Stephani qui appellatur Regina ecc. Non trovo ricordato altrove un monastero di tal nome a Roma: è congettura infondata dell'Armellini che sia identico con S. Stefano miccino (sopra 478 n. 81).

Armellini 1 637 2 832.

II Ml

S92. S. STEPHANI ROTUNDI​b

Cenc. 126: den. VI — Paris. 210 Taur. 253: habet I sacerdotem — Sign. 326.

La più antica menzione di questa chiesuola si trova nella bolla d'Innocenzo II del 27, ottobre 1140 (Kehr Göttinger Nachrichten 1909 p. 166 n. 17, IP. I p. 113 n. 1), nella quale si dice: quia vestra ecclesia S. Stephani rotundi occasione guerrae nostri apostolatus a scismaticis fere distructa est. Quasi contemporaneo è il passo nella redazione più antica dei Mirabilia c. 29 (Jordan II p. 641; Urlichs Codex topographicus p. 112): S. Stephanus rotundus fuit templum Fauni. Gli astigrafi dei sec. XV e XVI (Fl. Blondus Roma instaurata lib. I § I f. 11 v. ed. Venet. 1510; Andreas Fulvius lib. II f. Fiii ed. 1527; Marliani f. 90 v. ed. 1534) hanno riferito questo passo alla basilica celimontana, e questa confusione si è continuata fino ai giorni nostri (cf. Huelsen Röm. Mitt. 1902 p. 342). È ricordato nella Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 211: S. Stefano rotondo nel rione di Ripa) e nel catalogo di S. Pio V (sopra p. 104 n. 254: S. Stefano ritondo alle carozze). Il cognome alle carrozze diventa più usuale dalla metà del sec. XVI in poi; quello di S. Maria del Sole non occorre prima della fine del sec. XVII. Fu profanata verso la fine del sec. XIX.

 p485 

S93. S. STEPHANI SINODOCHII

Un istrumento di vendita del 6. febbraio 989 nell'archivio di S. Maria in Via Lata (Hartmann Tabularium S. M. in Via Lata I p. 23 n. 17) si riferisce ad una vinea posita Romae regione . . . . iuxta monasterium Sancti Silbestri et inter affines: a primo latere ortu de Johannis de Panfino et a secundo viculum qui pergit a Tre[i]o, a tertio latere terra et ecclesia S. Stephani qui sionodochyi vocatur. L'ubicazione approssimativa si rileva dalla vicinanza di S. Silvestro in Capite nonchè del cognome che ricorda lo xenodochium Belisarii (v. sopra p. 365 n. 86 S. Mariae in sinodochio): ma nulla si sa intorno le vicende del piccolo santuario.

Adinolfi II p. 337.

II Gk

S94. S. STEPHANI DE TRULLO

Taur. 49: habet sacerdotem et clericum — Sign. 127.

Chiesuola demolita sotto Alessandro VII: sorgeva sulla Piazza di Pietra, all'imbocco della moderna Via dei Bergamaschi. Il luogo è segnato sulla pianta del Bufalini foglio GH; ivi appunto gli scavi del 1878 hanno portato alla luce i bei rilievi delle cosiddette "province", che in tempo antico ornavano l'Hadrianeum (Lanciani Bull. arch. comunale 1878, p. 10‑27; Huelsen-Jordan Topographie I, 3 p. 609) e che debbono la loro conservazione al fatto di essere stati adibiti per il pavimento della chiesa. È ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 54 n. 40: dello truglo, p. 58 n. 22, p. 60 n. 31, p. 64 n. 47: dello trullo) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI. Nella Tassa di Pio IV (sopra p. 94 n. 213) per errore di copista è chiamata S. Stefano di millo nel rione Colonna. Apparteneva alle filiali di S. Marcello (sopra p. 113 n. 234). Nel 1614 fu concessa alla compagnia degli Albergatori, i quali nel 1642 la dedicarono di nuovo ai SS. Martino e Giuliano (iscrizione presso Forcella II p. 488 n. 1488). Venne profanata e poi distrutta sotto Alessandro VII. Un "Inventario delle lapidi, inscrittioni, depositi e simili esistenti nella chiesa profanata dei SS. Martino e Giuliano in Piazza di Pietra" si ha nel codice chigiano Secolo, VI, 205 f. 188 sg. Il cognome de trullo accenna a qualche rudere antico a cupola; ma mi rimane dubbio se si possa intender, come propose il Lanciani Stor. d. scavi I p. 132, quello esistito sin dal principio del sec. XVII sotto il Palazzo Capranica (cf. Huelsen Jahreshefte  p486 des Oesterr. arch. Instituts 1911 p. 124‑142), che ne dista più di cento metri.

Del Sodo Vallicell. f. 92 v., Vatic. p. 321; Panciroli 1 780 2 412 (SS. Stefano e Giuliano); Lonigo Barb. f. 56, Vallicell. f. 83 v. (S. Stefano e Giuliano); Martinelli 310. 402; Bruti vol. 10 (to. IX) f. 141 v.-143 (= pars III lib. 1 c. 17: SS. Stephani et Iuliani hospitalar.); Forcella II p. 461‑488; Adinolfi II p. 378‑380; Armellini 1 625 2 308.

S95. S. STEPHANI VAGAUDA

Il biografo di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 71) narra come quel pontefice restaurò il monastero di S. Lorenzo in Pallacinis coniungens ei alium monasterium iuxta ipsum positum, scilicet S. Stephani qui cognominatur Vagauda. Il Duchesne ed il Kehr lo credono identico con S. Stephani de pinea (del Cacco): ciò che per me è improbabile, stando quest'ultimo ad una distanza considerevole da S. Lorenzo in Pallacinis. Il cognome è derivato da un nome personale di origine gallica: un Bacauda presbyter è fra i sottoscrittori del concilio romano del 531 (Mansi VIII p. 740); altri esempi si possono desumere dall'Altkeltischer Sprachschatz dell'Holder e dal Thesaurus Linguae Latinae II p. 1681. La etimologia proposta dall'Armellini e ripetuta dal Tomassetti che si tratti di "denominazione di origine araba; onde la radice dei vocaboli bagarino, bazar e simili", non è da prendersi in considerazione. Se i due suddetti autori mettono poi il preteso vocabolo bagauda = mercato in relazione col mercato medievale sotto il Campidoglio, essi dimenticano la distanza considerevole da S. Stefano del Cacco alla Piazza Araceli: nè vi è indizio che tale mercato abbia esistito già nel secolo ottavo.

Lonigo Barb. f. 55 v., Vallicell. f. 82 v. (dal Lib. Pont.); Martinelli 365. 401; Armellini 1 629 2 551; Duchesne al LP. I p. 520 n. 87; F. Tomassetti Bull. arch. comun. 1905 p. 337; Kehr IP. I p. 101; Huelsen Atti dell'Accad. Pontificia Ser. II vol. 9 (1907) p. 407.

I Ep

S96. S. SUSANNAE

Cenc. 15: sol. II — Paris. 363 Taur. 23: titulus presbyteri cardinalis, habet sex clericos — Sign. 153, rel48.

Titolo antichissimo, il quale, sotto il nome di titulus Gai, apparisce già nelle sottoscrizioni dei sinodi romani del 499 e del 9595 (sopra p. 124‑125). Già il Martyrologium Hieronymianum all'11. agosto nota (nel codice di Berna): Romae ad duas domos iuxta dioclecianas (du clecinas cod.)  p487 natale Sce. Susanne. Il cognome ad duas domos si trova in più di un passo del Liber Pontificalis: nella biografia di Sergio I (687‑701; LP. LXXXVI c. 1) ed in quella di Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 70: tectum tituli beatae Susannae martyris qui appellatur Duas Domos situm iuxta S. Quiriacum. . . . restauravit. Sergio I, il quale era stato prete di quel titolo, l'arricchì di doni, come fa fede una iscrizione già esistita nella chiesa, della quale esiste un frammento nella Galleria lapidaria del Vaticano (De Rossi p. 93 e tav. VIII): anche in questo documento del sec. decimo, pubblicato dal Kehr Göttinger Nachrichten 1900 p. 141, si parla di case e beni situati Romae regione tertia iuxta venerabilem titulum sancte Susanne). leo3 restaurò la basilica dalle fondamenta e la decorò con musaici (LP. XCVIII c. 9; iscrizione ora perduta presso De Rossi IChr. II, 1 p. 441 n. 149); il medesimo pontefice (l.c. c. 74 v. sopra p. 7 n. 42) e Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 20) la benefiziarono di doni. Il monaco Benedetto del Monte Soratte nella sua cronaca all'anno 921 (Mon. Germ. Script. III p. 715) fa menzione della ecclesia S. Susannae iuxta portam Salariam. Restaurata più volte, in ultimo dal card. Rusticucci fra il 1595 e 1603 (v. le iscrizioni Forcella IX p. 534 n. 1038‑1041) esiste ancora sul posto originario.

Ugonio stazioni f. 190; Del Sodo Vallicell. f. 109 v. 110, Vatic. p. 330; Panciroli 1 787 2 334; Lonigo Barb. f. 57 v., Vallicell. f. 85; Martinelli 310; Bruti vol. 16 (to. XV) f. 191‑212 v., vol. 11 (to. X) f. 162‑182 (lat.), vol. 9 (to. VIII) f. 20‑64 (= lib. XII c. 2); Nibby 732 sg.; Forcella IX p. 529‑544; Adinolfi II p. 328 sg.; De Rossi Bull.arch. crist. Ser. II vol. I, 1870, p. 89‑112; Armellini 1 637 2 268; Marucchi 2 380; Kehr IP. I p. 61; Calvi Bibliografia 132; Duchesne Mélanges de l'École française XXXVI, 1916, p. 33 sg.; Kirsch, Die römischen Titelkirchen p. 70‑74.

S96a. Hospitale S. SUSANNAE

Taur. 67: habet III servitores.

Secondo l'ordine topografico del catalogo, questo ospedale doveva trovarsi nelle vicinanze di S. Maria in Campo Marzo e di S. Nicola dei Prefetti; ma nulla si sa circa la sua ubicazione esatta e le sue vicende.

S97. S. SYMMETRII

Monastero assai antico, già ricordato in una lettera di S. Gregorio Magno del luglio 599 (Reg. IX, 191), ove si trova un Fortunatus abbas monasterii S. Semetrii. Fra i santuari arricchiti da Leone III  p488 (LP. XCVIII c. 80: cf. sopra p. 9 n. 105) è anche il monasterium S. Simmitrii. Leone IV (847‑855; LP. CV c. 58) poi fecit. . . . . in aede propria, quam ipse a fundamentis fieri disposuit, quam ex iure parentorum suorum sibi etenim accesse videbatur, monasterium ancillarum Dei in honorem sanctorum Simetri et Cesarii. Il Duchesne osserva con ragione, che nella lista di Leone III il nome di S. Simmetrio segue immediatamente quello di S. Cesareo in monastero de Corsas, e che quindi Leone IV probabilmente riunì due stabilimenti vicini. Ambedue (v. sopra p. 233 n. 11) erano situati sul principio della Via Appia, presso il bivio della Via Latina.

Lonigo Barb. f. 54 v., Vallicell. f. 80 v. (dal Lib. Pont.); Martinelli 398; Armellini 1 608 2 596; Duchesne al LP. II p. 45 not. 99; Kehr IP. I p. 120.


Note di Thayer:

aere . . . ospedale dei poveri: !!

S. Stephani Rotundi: Sembra stranissimo che il Hülsen abbia mancato di accennare qui che quest'edifizio, prima di essere una chiesa cristiana, era un tempio romano antico. Fino ad alcuni decenni fa, era conosciuto come il "Tempio di Vesta", ma è ora attribuito ad Ercole (Olivario ovvero Vincitore). Per la storia precristiana del tempio, si veda l'articolo Hercules Victor (Invictus) del Platner.


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