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Le Chiese di Roma nel Medio Evo

di Christian Hülsen

pubblicato da Leo S. Olschki
Firenze
MCMXXVII

Il testo è nel pubblico dominio.

seguente:

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 p488 

T1. S. TATIANAE

Cenc. 231 (S. Tatiano): den. VI — Paris. 364 (S. Taciana) — Taur. 24: habet I sacerdotem — Sign. 150 (S. Ticianae)

Nella lista dei santuari di Roma inserita, da fonti più antiche, nel libro di Guilelmus Malmesburiensis de gestis regum Anglorum (saec. XII; Urlichs Codex topographicus p. 89) si trova ricordato in fine: (intra urbem) in monte Nola sancta Tatiana pausat. Il nome di monte Nola non si riscontra altrove; ma dall'ordine topografico dei cataloghi si vede che con esso viene designato l'estremità orientale del Quirinale. Con questo conviene il passo degli atti greci di S. Tatiana: ἦγον τὸ ἄγιον λείψανον αὐτῆς εἰς τὴν ἕκτην ῤεγεῶνα καὶ ἔθαψαν . . . . ἐν κήπῳ καλοθμένῳ Θαυμασίῳ, essendo notissimo che la sesta regione di Augusto comprendeva appunto l'Alta Semita ed il Quirinale. La chiesuola è scomparsa dopo il sec. XV.

Lonigo Barb. f. 57 v., Vallicell. f. 85 v. (da Cencio); Armellini 1 639 2 267; Franchi de' Cavalieri Römische Quartalschrift 1903 p. 227 sg.

T2. S. THECLAE

Un monastero di S. Tecla vicino alla basilica vaticana è ricordato nelle bolle di Giovanni XIX del 17. dicembre 1026 e di Benedetto IX del novembre 1037 per Silva Candida (Ughelli Italia sacra I p. 108 e 116; Kehr IP. II p. 26 n. 3. 5). Il sito non si può precisare: rimane incerta la congettura del Cancellieri che sia identico col monastero di S. Vincenzo (ovvero Hierusalem). L'Armellini lo confonde colla chiesuola del conservatorio di S. Tecla nell'ospedale di S. Spirito (Nolli n. 1240),  p489 fondata da Clemente VIII nel 1600, come nota il Panciroli (2 558) appunto perchè "d'una tale vergine apostolica e discepola di s. Paolo non era in Roma alcuna chiesa".

Martinelli 403; Cancellieri de secretariis III p. 1564 sg.; Armellini 1 640 2 744. 791.

II Lm

T3. S. THEODORI

Cenc. 39: den. XVII, lit. 6: sol. III den. XII — Paris. 338 Taur. 212: diaconi cardinalis, habet IV canonicos — Sign. 289, rel. 25.

Diaconia antichissima decorata con musaici non più tardi del secolo VII. È ricordata fra le chiese benefiziate con doni da Leone III (LP. XCVII c. 45. 75 795‑816) e da fre4 (827‑844; LP. CIII c. 15). Esiste tuttora a piè del Palatino.

Del Sodo Vallicell. f. 128, Vatic. p. 342; Panciroli 1 792 2 704; Lonigo Barb. f. 57 v., Vallicell. f. 86; Martinelli 311; Torrigia Historia del martirio di S. Teodoro (Roma 1643); Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 64‑75 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 50‑57 (lat.), vol. 4 (to. III) f. 92‑104 (= lib. IIII c. 5); Cecconi Memorie storiche della diaconia di S. Teodoro martire (Roma 1716); Nibby 736; Forcella vol. X p. 281‑316, vol. XIII p. 504‑509; Armellini 1 640 2 530; Angeli 579; Calvi Bibliografia 132; Marucchi 2 243. • Titi 206.

I Lw

T4. S. THEODORI IUXTA PORTAM MAIOREM

Di questo piccolo santuario si sarebbe persa ogni memoria, se non avesse appartenuto al monastero di Subiaco, e quindi se ne facesse spesso menzione nel Regestum Sublacense. Il più antico documento (p. 67 n. 27) è del 20. agosto 924: in esso Sergio primicerio e sua moglie Agata donano al prete Floro una domus maiore signino opere...... cum oratorio sancti Christi martyris Theodori et corticella ante se.... nec non et parietinis destructis post se.... simulque et ortuo maiore.... posita Rome regione IIIa iuxta Porta Maiore. I limiti del terreno vengono descritti: ab uno latere via que descendit ad Portam Maiorem et a quarto latere domus de te... Floro presbitero. Da ciò si desume che era situato dentro le mura ad occidentale della porta, nella parte settentrionale della già Villa Conti. Nel 937 l'abate Orso del monastero di S. Vito concedette la casa con l'oratorio a Maria detta Marozia monaca di s. Maria in Campo Marzo (l.c. p. 169 n. 121); lo stabile in questo documento è detto posito infra hanc civitatem Romanam iuxta Porta Maiore respiciente ante eadem porta. La medesima Marozia lo cedette al monastero di Subiaco nel 952 (l.c. p. 171  p490 n. 122); ivi si dice: ab huno latere silice publica et casa de Urso Bledanu, et a secondo latere via publica que ducit subtus forma et a tertio latere predicta forma et a quarto latere ortua et case qui fuerunt de quoddam Sergio primicerio. Nel 967 l'imperatore Ottone I conferma al Monastero di Subiaco, fra altri beni, corte . . . . que fuit Flori episcopi in qua est ecclesia S. Theodori (l.c. p. 6 n. 3). La chiesuola viene ricordata anche nei privilegi di papa Benedetto VI del 973 (l.c. n. 14 p. 36; Kehr IP. II p. 90 n. 20), fino allo Giovanni XII del 998 (l.c. n. 12 p. 29), di Giovanni XVIII del 1005 (l.c. n. 10 p. 24. 25; attribuita erroneamente dal Corvisieri e dall'Armellini a Giovanni VII ed all'anno 706; Kehr p. 91 n. 24), di Benedetto VIII del 1015 (l.c. n. 15 p. 43; Kehr p. 91 n. 25) e di Leone X del 1051 (l.c. n. 21 p. 60; Kehr p. 92 n. 29), ove è detto semplicemente iuxta vel infra portam Maiorem. Viene annoverata ancora nella lista dei beni del monastero di Subiaco compilata nel sec. XII (l.c. n. 183 p. 224): poi se ne perde ogni traccia. Il Corvisieri ha riferito a quel santuario la memoria 115 di Flaminio Vacca (Fra miscell. I p. 101; Schreiber Ber. Der sächs. Gesellschaft 1881 p. 87): "me ricordo appresso la porta di S. Croce in Gerusalemme vi era un'anticaglia, fabbrica assai sotto terra, nella quale sono molti Santi depinti, et li Christiani se ne sono serviti per chiesa. Hora è rovinata, conversa in vigna. Appresso essa fu scoperta un'antica strada seliciata e molto spatiosa, e viddi che si partiva da Porta Maggiore et andava a San Giovanni Laterano". Ma si noti che nel principio lo Schreiber legge: appresso a S. Croce in Gerusalemme.

Corvisieri Buonarroti 1870 p. 74‑76; Armellini 1 642 2 803.

II Ki

T5. S. THOMAE IN CAPITE MOLARUM ovvero FRATERNITATIS ovvero DE CINCIIS

Cenc. 170 (fraternitatis): den. XVIII, id. lit. 36 (de fraternitate): den. XVIII — Paris. 251 (caput malorum) — Taur. 353 (senza cognome): habet I sacerdotem — Sign. 38 (de capite molaris), rel. 94 (in capite molaris).

Questa chiesa, che nei secoli XII-XIV aveva importanza come capo della Fraternitas Romana, è annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 29: in c. m.). Il nome in capite molarum deriva dalle mole che per molti secoli galleggiarono numerose in questa parte del fiume, fra la sponda sinistra e l'isola. Esiste tuttora sotto il nome di S. Tommaso dei Cenci: quest'ultimo cognome si trova già nei Liber Anniversariorum (sopra p. 56 n. 94, p. 61 n. 78, p. 65 n. 94). Il Liber Anniversariorum di  p491 s. Maria in porticu (p. 59 n. 50) la chiama S. Thoma di Merchatello, il catalogo del 1492 (p. 75 n. 177) S. Th. in foro Iudeorum.

Del Sodo Vallicell. f. 124, Vatic. p. 340 (S. Tommaso alli Cenci); Panciroli 1 793 2 747; Lonigo Barb. f. 58, Vallicell. f. 86 v. (S. Thomae fraternitatis, da Cencio), Barb. 58 v., Vallicell. f. 87 v. (de Cenci); Martinelli 312. 404; Ciampini de Vicecancellario p. 203; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso p. 338; Forcella X p. 393‑400; Armellini 1 646 2 572; G. Tomassetti Studj e Documenti di Storia e diritto 1881 p. 153‑163. • Titi 95.

T6. S. THOMAE DE CASTRO S. ANGELI

Cenc. 300; den. VI, ignota et sine clericis — Paris. 254 Taur. 93: non habet servitorem.

Chiesuola o cappella situata sulla Moles Hadriani oppure nelle vicinanze immediate, abbandonata già al tempo di Cencio e del Torinese, scomparsa dopo il sec. XIV senza lasciar vestigia.

Lonigo Barb. f. 58, Vallicell. f. 86 v. (da Cencio); Armellini 1 643 2 775.

I Np

T7. S. THOMAE DE FORMIS

Cenc. lit. 28 (monasterium S. Th. de formis):sol. II — Paris. 255 Taur. 285 (hospitale S. Th. de f.): habet fratres IIII — Sign. 263.

Chiesuola tuttora in piedi, sebbene chiusa, sul Celio presso l'arco di Dolabella. Il monastero annesso, che fu annoverato nel sec. XII fra le venti abbazie della città (sopra p. 129: S. Th. iuxta formam Claudiam) fu da Innocenzo III concesso ai frati Trinitari, che ivi costrussero pure un ospedale. Onorio III con bolla del 25. febbraio 1217 confermò ad esso i beni: la bolla (Bullar. Vatic. I p. 100; Potthast 5470; Pressutti I p. 67 n. 374) è diretta fratribus S. Thomae apostoli et S. Michaelis archangeli de formis. Ad altre possessioni del medesimo monastero si riferisce la bolla del medesimo pontefice del 18. aprile 1217 (Bullar. Vatic. I p. 104; Potthast 5525; Pressutti I p. 91 n. 517). Bonifacio IX nel 1395 unì al capitolo vaticano, il quale la fece restaurare più volte, ultimamente nel 1787.

Del Sodo Vallicell. f. 169 (S. Tommaso alla Navicella), Vatic. p. 341; Panciroli 1 793 2 116; Lonigo Barb. f. 58 v., Vallicell. f. 87 v. Martinelli 312. 404; Bruti vol. 17 (to. XVI) f. 192 v.-194 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 142. 143 (lat.), vol. 4 (to. III) f. 198 v.-200 v. (= lib. IIII c. 15); Nibby 739; Forcella VII p. 189‑194; Adinolfi II p. 348; Armellini 1 647 2 504. • Titi 207.

Per un riassunto storico-artistico e fotografico, si veda il mio sito.

 p492  II Jg

T8. S. THOMAE DE HISPANIS

Cenc. 159 (de Spanis): den. XII — Paris. 253 (de Yspanis) — Taur. 339 (de Yspanis): habet III clericos — Sign. 20.

Chiesa annoverata fra le filiali di s. Lorenzo in Damazo nella bolla di Urbano III nel 1186 (sopra p. 132 n. 20). È ricordata col cognome degli Spagnuoli nel Liber Anniversariorum del Salvatore (sopra p. 56 n. 83), nella Tassa di Pio IV (p. 95 n. 238) e nel catalogo dell'Anonimo Spagnuolo (p. 111 n. 164), mentre il catalogo del 1555 la chiama S. Thomae prope palatium Farnesiorum, e quello del 1492 (p. 72 n. 160) la registra senza cognome. Nel sec. XVI fu chiamata anche S. Tommaso della Catena (catal. di s. Pio V sopra p. 101 n. 180) per esservi stata, come asserisce il Panciroli, "una compagnia, i cui fratelli si disciplinavano con una catena di ferro". Sotto Gregorio XIII fu conceduta alla compagnia dei Bolognesi, che la restaurarono e la dedicarono ai loro patroni SS. Petronio e Giovanni. Esiste tuttora, sotto il nome di S. Petronio dei Bolognesi, nella via del Mascherone.

Del Sodo Vallicell. f. 119a, Vatic. p. 341 (S. Tommaso della catena); Panciroli 1‑2754; Lonigo Barb. f. 58 v., Vallicell. f. 87; Martinelli 126. 404; Ciampini de Vicecancellario 203; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 315; Nibby 268; Forcella VIII p. 127‑140; Armellini 1 646 2 426; Calvi Bibliografia 133. • Titi 105‑106.

II Gg

T9. S. THOMAE DE PARIONE

Cenc. 141 (de Parrioni): den. VI — Paris. 252 Taur. 129: habet I sacerdotem — Sign. 90 (de Parionis)

Chiesa tuttora esisteva nella via e nel rione omonimo. Fu consacrata da Innocenzo II il 21. dicembre 1139, come attesta la lapide esistente in essa (Forcella VII p. 535 n. 1139). È annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 2), ricordata nei Liber Anniversariorum (sopra p. 55 n. 74, p. 61 n. 58, p. 64 n. 71) ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI.

Del Sodo Vallicell. f. 137, Vatic. p. 340; Panciroli 1 794 2 784; Lonigo Barb. f. 53 v., Vallicell. f. 87 v.; Martinelli 312; Ciampini de Vicecanc. 204; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 280; Nibby 739; Forcella VII p. 531‑544. XIII p. 498 sg.; Armellini 1 644 2 384; Angeli 584; Kehr IP. I p. 94. • Titi 129‑130.

I Bk

T10. S. THOMAE DE VINEIS

Cenc. 274 (vinearum): den. VI — Taur. 55: non habet sacerdotem — Sign. 118.

Per l'ubicazione di questa chiesuola è importante un passo di Francesco Albertini (l. II de arcubus triumphalibus foglio P ed. 1510), ove egli  p493 racconta che i frammenti dell'elogio di C. Mario (CIL. VI, 1315) furono trovati inter Augustam et ecclesiam S. Thomae in vinea fratrum S. Mariae de Populo; la medesima località da Pietro Sabino (cod. Marc. f. 74) viene detta: via Flaminia a dextra euntibus sub colle hortulorum. Un presbiter Nicolaus S. Tomei de vineis compare in un documento del 1269 nell'archivio di S. Silvestro in Capite (Federici Arch soc. romana XXIII, 1900 p. 114 n. 146).

Lonigo Barb. f. 58 v., Vallicell. f. 87 (da Cencio); Martinelli 403; Armellini 1 643 2 327.

I No

T11. S. TRINITATIS IN CLIVO SCAURI

Taur. 283 (senza cognome): non habet servitorem — Sign. 268 (in clivo Scaurii).

La più antica menzione di questa chiesuola s'incontra nella prima redazione di Mirabilia c. 10 (Jordan II p. 616; Urlichs Codex topographicus p. 94): gradus Eliogabali in introitu Palatii et insula catenata; post S. Trinitatem arcus stillans ante Septemsolium (così credo che si debba distinguere). Il cod. Vat. 4265 (Mirabilia ed. Parthey p. 13) interpone dopo catenata un passo relativo al Monte testaccio, alle colonne ecc. e prosegue: ad sanctam Trinitatem est arcus stillans. Sulla posizione dell'arcus stillans, il quale conserva il ricordo della madida Capena, v. sopra s.v. S. Laurentii post S. Gregorium (p. 287 n. 17). La chiesa quindi deve essere stata ad ovest di S. Gregorio, presso il principio della Via Appia. La chiesa S. Trinitatis in Palatio, citata dallo Zaccagni p. 465 dal Bullarium Cassinese II, 112, il cui cognome diede occasione all'Armellini di sospettare che "sorgesse alle falde del colle suddetto dal lato di s. Gregorio", non è urbana, ma albana. V. più sotto fra le chiese apocrife.

Armellini 1 650 2 524.

II Jg

T12. S. TRINITATIS SCOTORUM ovvero ANGLICORUM

Cenc. 56 (monasterium S. Tr. Scottorum): sol. II, id. lit. 20 (monasterium S. Trinitatis): sol. II — Paris. 314 (senza cognome) — Sign. 18 (sci..... Anglicorum).

Chiesa con annesso monastero ed ospizio per i pellegrini d'Inghilterra, annoverato nel sec. XII fra le venti abbazie principali (v. sopra p. 129). La tradizione che sia fondato già circa il 630 da Offa re di Mercia non basa su documenti. Una bolla di Bonifacio VIII del 17. giugno 1299 (Mittarelli Annal. Camaldulenses V p. 342 n. 202; Potthast 24844; Reg. ed. Digeard II p. 418 n. 3074), che ne conferma una precedente  p494 d'Innocenzo IV del 26. giugno 1249, attribuisce la chiesa S. Trinitatis de Scotis al monastero di S. Gregorio ad clivum Scauri. Sedente Gregorio XIII, l'ospizio fu cambiato in collegio ecclesiastico per giovani studenti inglesi, sotto la direzione dei Gesuiti. Allora, e precisamente nel 1575, il cardinale di Norfolk riedificò la chiesa, che fu dedicata a S. Tommaso di Canterbury. Con questo nome dura tuttora.

Del Sodo Vallicell. f. 118 v. (la SS.ma Trinità e San Tomaso vescovo di Conturbia); Panvinio 1 794 2 762; Lonigo Barb. f. 58 v., Vallicell. f. 87 v. (S. Tomaso di Canterbori), Barb. f. 59, Vallicell. f. 88 (S. Trinitatis); Martinelli 313; Nibby 738; Forcella VII p. 161‑188 XIII p. 495; Armellini 1 645 2 413; Angeli 580; Calvi Bibliografia 132. • Titi 119 (della SS. Trinità, o S. Tommaso degl'Inglesi).

II Fi

T13. S. TRIPHONIS

Cenc. 99 (S. Trifo): den. XII, id. lit. 38 (S. Triphonis): den. XVIII — Paris. 311 (S. Triphon) — Taur. 73 (S. Triphi, quae est capella papae): habet fratres ordinis hermeitarum XXV — Sign. 107 (S. Trifonis) rel. 70 (S. Trifonis, seu Augustini).

Lasciando da parte le tradizioni infondate, che voglione far risalire la fondazione di questa chiesa al sec. VII e renderla contemporanea a S. Maria in Campo Marzio, giova dire che fu ricostruita nel 1006 con i mezzi offerti da Crescenzio prefetto della città (v. la bolla di Giovanni XVIII, falsamente attribuita a Giovanni XII, presso Corvisieri, Arch. soc. romana I p. 161 sg.; cappellina I p. 91 n. 1). Un Leonardus archipresb. S. Triphonis è ricordato nella bolla di Onorio II del 1127 (Liverani opp. IV 258; Kehr IP. I p. 13 n. 22) fra i rectores Romanae fraternitatis; fra i medesimi rettori occorre, nel 1222, 3. luglio, un presbiter Angelus sancti Trifonis (Ferri Arch. soc. romana XXVIII, 1905 p. 24 n. 26, dell'archivio di S. Maria Maggiore). Verso la fine del secolo XII ebbe, insieme con S. Salvatoris de Sere, S. Nicolai de Praefectis e S. Blasii de Monte Acceptabili, una lite contro il monastero di S. Maria in Campo Marzio: le diverse bolle emesse perciò da Lucio III e Clemente III dal 1181 al 1188 sono annoverate presso Kehr p. 91 sg. n. 2‑8. Onorio IV con bolla del 20. febbraio 1287 (Potthast 22571; p.631º n. 962 ed. Prou) la concedette agli eremiti dell'ordine di S. Agostino. Questi aggiunsero al nome di S. Trifone quello del loro santo protettore: già nei Liber Anniversariorum accanto al nome antico (v. p. 54 n. 54) si trova anche l'altro di S. Agostino (p. 60 n. 39, p. 64 n. 56). Nel 1424 (il giorno 11. aprile, secondo il Bruti vol. 21 [to. XX] f. 116) vi furono trasferite da Ostia le reliquie di S. Monica. La chiesa di S. Trifone rimase  p495 pure in piedi quando il cardinale d'Estouteville costruì ivi presso la magnifica chiesa di S. Agostino (1484), e non fu nemmeno, come sostiene il Lanciani (Storia degli scavi II p. 67), abbattuta nel 1537 dai frati del convento di S. Agostino. Essa ricorre nel catalogo del 1555 (p. 87 n. 227), in quelli di s. Pio V (p. 99 n. 117) e dell'Anonimo Spagnuolo (p. 108 n. 79). Una incisione in legno rappresentante la facciata si trova nella edizione delle "Cose maravigliose di Roma" fatta da Girolamo Francini a Venezia nel 1588 f. 40 v (ripetuta nella Pilgerfahrt des Jakob Rabus, München 1925, p. 63). Pier Martire Felini, nella edizione delle Cose maravigliose del 1625 p. 206, dice: "la chiesa di S. Trifone adesso serve per oratorio della Compagnia del Santissimo sacramento di S. Agostino." L'edifizio, come sembra, fu demolito soltanto verso il 1750, allorquando il Vanvitelli ingrandì il convento di S. Agostino.

Ugonio stazioni f. 33; Del Sodo Vallicell. f. 158 v., Vatic. p. 342 (S. Trifone); Panciroli 1 799 2 471; Lonigo Barb. f. 59, Vallicell. f. 88 v.; Martinelli 316; Armellini 1 651 2 350; Kehr IP. I p. 90.

II Ji

V1. S. VALENTINI DE BALNEO MICCINE

ovvero DE PISCINA

Cenc. 171 (Banio mizino): den. VI — Paris. 283 (de vanio miccine) — Taur. 365 (senza cognome): habet I sacerdotem — Sign. 47 (de piscina).

Chiesa annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 133 n. 49, senza cognome). Il cognome che ricorda una nobile Donna Miccina, probabilmente la medesima della quale si conosce pur la curtis sotto il Campidoglio (v. sopra p. 329 n. 36 s.v. S. Mariae in curte domnae Miccinae), deve rimontare sino al secolo decimo. Un Gratianus a balneo Miccine è ricordato in un documento del Regestum Farfense del 1017 (III n. 504 p. 215). Nel sec. XV il vecchio cognome cade in dimenticanza: gli viene sos l'altro de piscina, il quale, oltre che presso il Signorili occorre in un istrumento di donazione del 1417 pubblicato dall'Adinolfi, Via Sacra p. 120 sg., dove si menziona una domus.... sita in regione S. Eustachii, cui ab uno latere tenet ecclesia S. Valentini de Piscina. Più spesso la chiesa viene ricordata senza verun cognome: così nei Liber Anniversariorum sopra p. 57 n. 123, p. 62 n. 84, p. 66 n. 119, p. 67 n. 8, ed in altri cataloghi dei sec. XV e XVI. Nel sec. XVII suole appellarsi S. Sebastiano dei mercanti, e con questo nome è segnata pure sulla pianta del Nolli n. 1009. Fu abbattuta dopo il 1870 per la fabbrica del Palazzo Guglielmi a Piazza Paganica. In codici  p496 deteriori del catalogo di Cencio (e nell'edizione del mabillon) il nome è corrotto in S. Valentini de Romomiximo: fu una idea poco felice di Emiliano Sarti voler correggere il cognome in de Bomu maximu mettendo in relazione con la pretesa chiesa di S. Valentino presso la Scuola Greca (sotto n. 3): il suo cognome avrebbe così conservato la memoria dell'Ara Massima di Ercole — dalla quale la chiesuola registrata dal Cencio distava in realt quasi un chilometro. Non di meno il Lanciani (Storia degli scavi III p. 42) ha ripetuta la congettura del Sarti, e disegna sul foglio 28 della sua Forma Urbis la chiesa di S. Valentino de Bomo maximo presso S. Maria in Cosmedin.

Del Sodo Vallicell. f. 141 v., Vatic. p. 350 (S. Valentino alli Mattei); Panciroli 1‑2740; Lonigo Barb. f. 59 v., Vallicell. f. 89; Martinelli 316; Ciampini de Vicecancellario p. 205 n. 65; Fonseca de Basilica S. Laurentii in Damaso 377; Armellini 1 652 2 570; Marchetti-Longhi Arch. soc. romana XLII, 1918, p. 455‑457.

V2. S. VALENTINI EXTRA PORTAM

Cenc. lit. 60 (hospitale S. Valentini extra urbem): den. XII — Paris. 282 — Taur. 57: sine muris, non habet sacerdotem — Sign. 206.

Basilica cimiteriale antichissima, fondata da Giulio I (337‑352; LP. XXXVI c. 2), restaurata da Teodoro (642‑649; LP. LXXV c. 5), e da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 90), decorata da Benedetto II (683‑685; LP. LXXXIII c. 2), arricchita di doni da Adriano I (772‑795; LP. XCVII c. 49. 61), da Leone III (LP. XCVIII c. 29. 72, cf. sopra p. 7 n. 27: b. V. foris murum) e da Gregorio IV (827‑844: LP. CIII c. 22). La chiesa nell'itinerario Salisburgense (De Rossi Roma Sotterranea I p. 142; Urlichs Codex topogr. p. 85) viene appellata ecclesia mirifice ornata. Non prima del sec. X vi fu annesso un monastero ch'è registrato nell'elenco delle venti abbazie (sopra p. 129). Nei secoli X-XIII appartenne al monastero di S. Silvestro in capite, nei documenti del quale si trova ricordato più volte (bolla del 955: Federici Arch. soc. romana XXII, 1899, p. 269 n. 2; docum. dell'1192: ivi p. 508 n. 39; del 1221: ivi p. 536 n. 80). Una iscrizione nel portico di S. Silvestro in Capite (Sette Dissertazioni dell'Accademia Pontificia II, 1829, p. 242) attesta che l'abate Teubaldo, sotto il pontificato di Nicolao II, restaurò la chiesa ed il monastero; i lavori furono terminati il giorno 3. febbraio del 1060. Dopo che nel sec. XIII il corpo del martire fu trasferito in S. Prassede, la basilica pare che sia decaduta. Il sito esatto  p497 e l'architettura sono messi in chiaro dagli scavi eseguiti nel 1888 nella Vigna Tanlongo a destra della Via Flaminia, presso Ponte Molle.

Lonigo Barb. f. 59 v., Vallicell. f. 89; Martinelli 405; Armellini 1 662 2 843; Marucchi Il cimitero e la basilica di S. Valentino (Roma 1890); Federici Arch. soc. romana XXII, 1899 p. 226 sg.; Kehr IP. I p. 157; Calvi Bibliografia 27. 133; Tomassetti Campagna Romana II (1913) p. 219 sg.

V3. S. VALENTINI in schola Graeca (?)

Nel 1625 fu trovato nei pressi della basilica di S. Maria in Cosmedin fra le rovine di una costruzione (secretarium) medievale una iscrizione metrica (Crescimbeni Storia di S. Maria in Cosmedin p. 81; Galletti Inscr. Rom. I p. 420 colonna. V n. 6), posta, come dicono gli ultimi versi,

tempore pontificis noni sumique Iohannis

est sacrata die supremo hec aula Novembris

dum quinta elabentem indictio curreret annum.

Il breve pontificato di Giovanni IX 898‑900 non contiene una indictio quinta; e volendo correggere l'epiteto strano summique in decimique, questa difficoltà rimane, perchè anche nel pontificato di Giovanni XIX, 1024‑1033, non cade una indictio quinta. Il dedicante si professa nei primi versi:

Sume Valentine martir hec dona beate

que tibi fert opifex Teubaldus corde benigno.

Si noti la omonimia con quell'abate che restaurò nel 1060 la basilica di S. Valentino sulla via Flaminia. Fra i doni offerti al santo martire sono: domos duas solaratas iunctas in vicino tuae ecclesiae, cellam iuxta eandem ecclesiam, orticellum cum olivis retro ecclesiam Sci. Nicolai, vineam in Antoniano. Una iscrizione moderna posta, sotto quella medievale, dai canonici di S. Maria in Cosmedin attribuisce l'epigrafe ad una ecclesia S. Valentini quae e regione huius S. Diaconiae extabat: però di una tale chiesa non si ha altra memoria. L'unica indicazione topografica certa, la vinea in Antoniano (= Terme di Caracalla), converrebbe ad un santuario situato nella parte meridionale della città; se così fosse, la chiesa di S. Nicola potrebbe essere la vicina S. Nicola in Carcere. Altri hanno voluto riferire l'epigrafe a S. Valentino de balneo Miccine, prendendo la chiesa di S. Nicola per quella de calcarario.

Martinelli 404 (S. Valentini in Cosmedin); Crescimbeni Storia di S. Maria in Cosmedin (1715) p. 81 sg.; Marchetti-Longhi Arch. soc. romana XLII, 1918, p. 455.

— Monasterium S. VICTORIS v. S. Pancratii.  p498 

V4. S. VINCENTII

Cenc. 62: den. XVIII, id. lit. 42 (cappella S. Vincentii): den. XII — Taur. 110: est cappella papae, habet III clericos — Sign. 191.

Chiesa già situata nel lato settentrionale dell'antica basilica di s. Pietro, presso la facciata; il sito è indicato sulla pianta dell'Alfarano. La più antica menzione si trova in una bolla di Eugenio III del 5. settembre 1151 nell'archivio di Castel S. Angelo (Kehr IP. I p. 198 n. 5): in civitate Leonina ante ecclesiam S. Vincentii et ante palatium novum supradicti pontificis. Nei documenti relativi ad acquisti di terreni, fatti da papa Nicola III per il suo palazzo al Vaticano, compariscono fra i testimoni due clerici ecclesiae Sci. Vincentii (Liber Censuum ed. Fabre-Duchesne II p. 46‑47 n. 5. 6. 7. dell'11. aprile 1279). Benedetto XI con bolla del 4. giugno 1304 affidò la riforma del capitolo al cardinale Matteo Orsini (Bullar. Vat. III app. p. 6; Potthast 25438; p. 798 n. 1275 ed. Grandjean). Una bolla di Clemente VI del 1343, citata dall'Armellini 2 731 (Arch. Vat. Clem. VI tom. XIX fol. 225), è diretta all'archipresbyter ecclesie S. Vincentii de Urbe. La chiesa fu chiusa sotto Nicola V, poi trasformata in cantina e finalmente demolita sotto Paolo V nel 1611. È senza fondamento l'identificazione col monasterium Hierusalem quod ponitur ad b. Petrum; il Duchesne invece è disposto a credere che S. Vincenzo sia stato sostituito ad un oratorium beati Gregorii, ubi eius lectus, menzionato più volte nei sec. VIII e IX. — L'Ordo Romanus XV auctore Io. Caietano, presso Mabillon,Museum Ital. II p268, descrivendo la processione solenne che seguiva l'incoronazione del papa, contiene il passo: cum autem pervenerit ad plateam (S. Petri) ante ecclesiam sancti Nicenii, aliquis familiaris domini pape sans in aliquo loco eminenti facit alium iactum pecuniae. Probabilmente il nome inaudito S. Nicenii si deve correggere in S. Vincentii.

Lonigo Barb. f. 60; Vallicell. f. 90; Alpharanus de basilicae Vaticanae structura ed. Cerrati (1914) p. 98; Severano Sette Chiese 67; Martinelli 333. 405; Cancellieri de secretariis III p. 1567 sg.; Armellini 1 654 2 760; Duchesne Mélanges de l'École franç. XXII, 1902, p. 418‑421.

V5. S. VITALIS

Cenc. 14: sol. II — Paris. 343 Taur. 167: titulus presbyteri cardinalis, sine muris, habet IV clericos — Sign. 233, rel. 46.

Basilica antichissima, fondata sotto Innocenzo I (401‑417) dalla pia matrona Vestina, dedicata in origine ai SS. Gervasio e Protasio (LP. XLII c. 3). Preti del titulus Vestinae sottoscrivono al sinodo romano  p499 del 499 (sopra p. 124 n. 2), mentre nella sottoscrizione del sinodo del 595 (sopra p. 125 2) vi è titulus S. Vitalis. L'epitafio di un acol(lythus) reg. quarte tit. Vestine (De Rossi IChr. I n. 1185) si attribuisce alla fine del sec. VI. È ricordata pure nelle lettere di S. Gregorio Magno (XI, 2: tit. Vestinae; XIII, 2: S Vitalis.) Fu restaurata da Leone III (795‑816; LP. XCVIII c. 5). Il medesimo pontefice l'arricchì di doni (l.c. c. 37. 74. 108 cf. sopra p. 7 n. 41).º e così fecero pure Gregorio IV (827‑844; LP. CIII c. 20) e Nicola I (858‑867; LP. CVII c. 36: tit. Vestinae). I restauri del tempo di Sisto IV (1475) e di Clemente VIII (1595) hanno lasciato pochi avanzi dell'edificio primitivo.

Del Sodo Vallicell. f. 100, Vatic. p. 351; Panciroli 1 802 2 299; Lonigo Barb. f. 60 v, Vallicell. f. 91; Martinelli 318; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 450‑460 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 314‑320 (lat.), vol. 8 (to. VII) f. 85 v.-95 (= lib. X c. 9); Nibby 758; Forcella IX p. 217‑222; Adinolfi II p. 260; Armellini 1 244 2 187; Angeli 601; Kehr IP. I p. 63; Marucchi 2 378; Kirsch Die römischen Titelkirchen 68‑70. • Titi 284.

V6. S. VITI IN CAMPO

Cenc. 311: den. Vi, est ignota et sine clericis — Paris. 278 Taur. 311: non habet servitorem.

Il catalogo di Torino ricorda questa chiesuola sulla fine della seconda parte (SS. Cosmae et Damiani), fra S. Lorenzo fuori e S. Giuliano. Il catalogo di S. Pio V (sopra p. 96 n. 11, 12) registra dopo S. Giuliano "due chiese di S.to Vito vicine l'una all'altra". Forse la seconda fu detta in campo, e conservava la memoria del monasterium Sardorum (n. 8).

V7 S. VITI IN MACELLO

Cenc. 35 (senza cognome): den. XVIII — Paris. 279 (in Marcellis) — Taur. 152 dyaconi cardinalis, habet II clericos — Sign. 216.

Chiesa antichissima, il cui cognome conserva la memoria del classico Macellum Liviae. Come diaconia apparisce per la prima volta nella biografia di Leone III (LP. XCVIII, 795‑816, c. 45. 75; sopra p. 7 n. 60). Che il monasterium S. Viti abbia appartenuto alla diaconia, è probabile, ma non certo; v. l'articolo seguente. La congettura spesso ripetuta che il monasterium ad Lunam, menzionato una sola volta nella vita di Papa Hilario (461‑468; LP. XLVIII c. 12; Kehr IP. I 158), gli sia stato congiunto,  p500 è senza fondamento. Essendo la vecchia chiesa rovinata, Sisto IV eresse l'odierna in un luogo poco distante.

Del Sodo Vallicell. f. 107 v., Vatic. p. 350;º Panciroli 1 805 2 842; Lonigo Barb. f. 60, Vallicell. f. 89 v.; Severano Sette Chiese 678; Martinelli 405; Bruti vol. 18 (to. XVII) f. 310‑316 (ital.), vol. 12 (to. XI) f. 230‑235 (lat.), vol. 7 (to. VI) f. 197‑295 (= lib. IX c. 3); Nibby 760; Adinolfi II 225; Forcella XI p. 147‑156; Armellini 1 656 2 811; Angeli 602; Kehr IP. I p. 39; Calvi Bibliografia 134.

V8. S. VITI IN MONASTERIO SARDORUM

Fra le cappelle arricchite da Leone III nell'806 (LP. XCVIII c. 78, cf. sopra p. 9 n. 95) vi è anche l'oratorium S. Vitii qui ponitur in monasterio qui appellatur de Sardas. Nella suddetta lista l'oratorio sta fra S. Agnetis ad duo furnaS. Vivianae: può essere quindi che abbia asistito pure nelle Esquilie. Siccome la suddetta lista annovera pure la diaconia di S. Vito, ma nessun altro monastero di quel titolo, mi pare assai probabile che anche in altri passi, ove si parla di un monasterium S. Vitii senza cognome, sia da intendere il monasterium Sardorum. Così nelle biografie di Stefano III (768‑772; LP. XCVI c. 10) e di Benedetto III (855‑858; LP. CVI c. 24), nonchè in diversi documenti del Regestum Sublacense (p. 162 n. 115 a. 913; p. 67 n. 27 a. 924; p. 169 n. 121 a. 937; p. 123 n. 79 a. 976). Nel medesimo regesto (p. 171 n. 122 a. 952) è chiamato monasterium S. Viti qui appellatur maiore.

Lonigo Barb. f. 60, Vallicell. f. 89 v.; Martinelli 405; Duchesne al Lib. Pont. II p. 45 n. 92.

V9. S. VITI IN TRASENDA

Il privilegio di Giovanni XII per il monastero di Subiaco del 10. maggio 998 (Rege Sublacense p. 29 n. 12) ricorda una domus posita Romae regione septima in trasenda, in quam domum est ecclesia S. Viti; una indicazione uguale si trova nel privilegio di Benedetto VI del 26. novembre 973 (p. 36 n. 14). La menzione della regione settima fa sospettare che fosse situata in Trastevere; ma nulla si può stabilire di certo.

V10. S. URBANI

Taur. 6 (monasterium S. Urbani); habet XVIII moniales — Sì. 208.

Chiesa con annesso monastero, consecrata, come attesta l'iscrizione tuttora esistente (Forcella IX p. 505 n. 999), il 15. agosto 1264 da Urbano IV con i mezzi forniti dalla nobil donna Iacoba figlia di Petrus  p501 Blancus in domo patris sui. La chiesa primitiva, sulla fine del secolo XV era tanto fatiscente, che per il giubileo del 1600 ne fu costruita una nuova; però quella più antica rimaneva, come dice il Martinelli, post absidem novi templi profanata et in foenile redacta. La seconda chiesa esiste ancora nella Via Alessandrina.

Del Sodo Vallicell. f. 97, Vatic. p. 350; Panciroli 1 805 2 194; Lonigo Barb. f. 60v., Vallicell. f. 91; Martinelli 319; Bruti vol. 6 (to. V) f. 11‑13 (= lib. VII c. 4); Nibby 750; Forcella IX p. 501‑508; Adinolfi II p. 57; Armellini 1 651 2 169; Angeli 595; Calvi Bibliografia 133. Titi 233‑234.

V11. S. URBANI VIA APPIA

Taur. 316: non habet servitorem.

Chiesuola fondata, forse già prima del Mille, nelle mura di un nobile mausoleo dell'età imperiale, decorata con pitture ad istanza di Benno de Rapiza e sua consorte Maria Macellaria nel sec. XI. Modernamente suol chiamarsi S. Urbano alla Caffarella.

Lonigo Barb. f. 60 v., Vallicell. f. 91; Martinelli 320; Nibby 750; Armellini 1 725 2 909; Angeli 593.

V12. S. URSI

Cenc. 266: den. VI — Paris. 317 Taur. 322: habet monachos nigros III — Sign. 2.

La più antica menzione di questa chiesuola si trova nei Mirabilia c. 22 (Jordan II p. 630; Urlichs Codex top. 107): ecclesia S. Ursi fuit secretarium Neronis. È annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso nella bolla di Urbano III del 1186 (sopra p. 132 n. 9) sotto il nome S. Ursi de ponte. Col nome di S. Orso ricorre ancora nel Liber Anniversariorum del Gonfalone del 1470 (sopra p. 61 n. 53) ed in quello di S. Maria in Araceli (p. 67 n. 1: S. Urso in Ponte). Ma verso la fine del sec. XV al nome di S. Orso si sostituì quello di S. Orsola. Questo si trova già nel Liber Anniversariorum del Salvatore (p. 55 n. 59), mentre in quello del Gonfalone del 1490 la dicitura originale S. Orso è cambiata da mano antica in S. Orsola. Il catalogo del 1492 (p. 74 n. 149) la dice S. Ursi alias Ursulae, quello del 1555 (p. 87 n. 131) e la Tassa di Pio IV (p. 95 n. 242) S. Ursulae (Orsola). Clemente VII nel 1526 la concedette ai Fiorentini, i quali la demolirono per costruire nel medesimo luogo un oratorio della Pietà; perciò nel catalogo di s. Pio V (sopra p. 99 n. 121) è notato: S. Orsola, unita con S. Gio. de' Fiorentini, ed in quello dell'Anonimo  p502 Spagnuolo (p. 111 n. 171): S. Ursula, oratorio degli Fiorentini. Anche questo oratorio, il luogo del quale si trova segnato sulla pianta del Nolli n. 550, fu distrutto nel 1886 per il prolungamento del Corso Vittorio Emanuele.

Panvinio 1 795 2 496 (S. Tommaso ed Orso); Martinelli 406; Ciampini de Vicecancellario p. 205 n. 66; Fonseca de basilica S. Laurentii in Damaso 296; Armellini 1 494 2 551.ºCHECK THIS

Z1. S. ZENONIS

Cenc. 66: den. VI — Paris. 319 Taur. 119: habet I sacerdotem — Sign. 196.

Chiesa del territorio vaticano, soggetta al monastero di S. Martino, come attestano le bolle di Leone IV del 10. agosto 854 (Bullariumº Vat. I, 15; Schiaparelli Arch. soc. romana XXIV, 1901, p. 432 n. 2; Kehr IP. I p. 145 n. 1) e di Leone IX dal 21 marzo 1053 (Bullar. Vatic. I, 22; Schiaparelli p. 467 n. 16; Kehr p. 145 n. 4). L'Armellini cita un documento dell'Archivio Vaticano (lib. III de exhibitis vol. III fol. 122 — De div. ex Bonifacio IX a. I) per provare che nel sec. XVI era parrocchiale (v. anche il documento del 21. aprile 1347 nell'archivio basilicale presso Ehrle l.c. not. 3). Per mezzo dei Libri censuali della Basilica Vaticana, l'Em. Ehrle ha stabilito ch'era vicinissima a S. Salvatore in Terrione (sopra p. 454 n. 41): il sito corrispondeva ad una parte dell'odierno Palazzo dell'Inquisizione. L'Armellini asserisce che fu restaurata da Nicola V: ma egli ha male inteso un passo del Cancellieri, (de secretariis III p1495), il quale si riferisce al restaurato di S. Salvatore in Terrione, eseguito da quel pontefice. Dopo il sec. XV non viene più menzionata: forse fu distrutta fra il 1513 ed il 1531, quando il cardinale Pucci vi fabbricò il suo palazzo. — Vedi anche S. Ivonis fra le chiese apocrife.

Lonigo Barb. f. 61, Vallicell. f. 91 v. (da Cencio); Martinelli 406; Armellini 1 657 2 768; Ehrle Dissertazioni del'Accademia Pontificia Ser. II vol. 10 (1910) p. 35.


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