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Il Monte S. Elia e il luogo scelto per la costruzione della Rocca (pag. 53). — Tracce preistoriche e segni di Roma (53‑55). — La costruzione della Rocca e la lettera di commissione, 2 aprile 1362, al Gattapone (56). — Insieme organico dell'edificio: il duplice corpo di fabbrica e le torri (56‑58). — Il Ponte delle Torri e il fortilizio dei Molini (59‑61). — Le precinzioni e l'accesso alla Rocca (61‑62). — I posti avanzati: l'antico bastione medioevale (62). — Il saliente e la Torre di S. Marco (63). — La Torre del Duomo (63). — Un'altra opera del Gattapone a Spoleto: il Palazzo della Signoria (64‑65). — L'anfiteatro romano (66). — Contributi successivi che han lasciato integro l'essenziale organismo della costruzione Gattaponiana (67‑69). — La corrispondenza dell'edificio alla complessa grandiosità del suo scopo (69‑70).
p53 Così dunque fu decisa la costruzione di questa Rocca al sommo del poggio che domina la città, allora detto il Monte S. Elia.
Al duplice scopo cui la destinava l'Albornoz il luogo non poteva essere più adatto. Rispetto ai sistemi di guerra di allora tutte vi si raccoglievano le condizioni migliori; un'altura con aperta vista su tutta l'ampia valle, sin là dove quella del Clitunno declina, poco oltre Assisi, nel Tevere; — un accesso alquanto agevole a chi vi risalga dalla città, mentre per tutti gli altri suoi fianchi il poggio precipita quasi a strapiombo in un baratro, donde quasi impossibile è risalirvi direttamente; al di là di questo sprofondo, verso oriente, una grandiosa e scoscesa massa montana; e sulla sommità, come in una grande elisse, un'ampia spianata.
Buona ed opportuna scelta dunque, accreditata anche da importanti segni di precedenti fortificazioni.
Infatti alcuni tratti di opera poligonale nella cinta che corre intorno a quell'altura — specie quello su cui poggia, come sopra saldissima rupe, il bastione meridionale, — accertano che sin dai millenni lontani ivi fu l'Arce o l'Acropoli. Fin là su deve essersi spinta la primitiva e antichissima cinta p54 urbana, formata com'è con l'imponente e quasi misterioso tipo di costruzione arcaica, a grandi macigni di forme irregolari e messi insieme senza sussidio di cemento, che con designazione antonomastica, quasi ad indicarne la grandiosità mitica di sforzo, fu detta ciclopica. E questo della Rocca è uno dei campioni del tipo primitivo, formato com'è di enormi poligoni irregolari solo spianati nella lor faccia esterna.
Che cosa vi fosse più tardi, nel periodo romano, non sappiamo. Autorevoli studiosi di storia locale — B. Campello, Fontana, Sansi ed altri — concordano nel ritenere che anche allora fosse campata là su una cittadella, anzi un'Acropoli con uno o più templi. Certo è che nel 1843, in occasione di scavi eseguiti accanto al muro occidentale della Rocca, fu rinvenuta una grande lapide dedicata a Caio Oppio: ed è tale da far supporre che facesse parte del piedistallo di una statua onoraria. E molti sono stati i reperti di frammenti di marmi anche finissimi e pur di grandi pezzi di cornice dorica. Il che, come giustamente annotava il Sansi, "fa pensare all'esistenza di uno o più di quei templi che solean esser nelle acropoli".
Ma, col declinare dell'impero e più decisamente con l'aggravarsi della decadenza barbarica, quel luogo fu abbandonato, e quel tanto che poteva esservi ancora cadde in rovine. Però sembra certo che non del tutto trascurato fosse anche allora il vecchio muro di cinta, che per tanta parte, — e più sul lato orientale e pur in quello meridionale più esterno, — si rivela di origine molto antica. Ne fa fede la serie di restauri che vi appaiono, non soltanto evidenti, ma che, pur manifestando discordanze cronologiche, rivelano il loro riferimento al lontano Medioevo.
p55 Perchè, si noti, in queste mura e specie nel tratto orientale che, in prosecuzione della cinta urbana, si dilunga al di là del bastione pelasgico da mezzogiorno a settentrione e che tuttora costituisce un tratto importante della precinzione della Rocca Albornoziana, si può osservar questo: che tratti di costruzione pelasgica genuina conforme a quella del bastione vi si alternano con altri costituiti da rabberciamenti eseguiti o con materiale romano o con murature a filaretto del tipo che qui è stato in uso prevalente per parecchi secoli del medievo. Ma, notisi, questi diversi e successivi elementi non vi sono disposti con progressiva sovrapposizione a strati, ma a tratti alterni, come vere interpolazioni che retrodatano ad un'antichità remota il tracciato di questa cinta.18
Certo è che il centro della difesa di Spoleto presto risultò spostato; discese più basso, nella città. Sappiamo infatti che Totila, occupata nel 545 Spoleto, s'indusse a ridurre a fortezza il grande anfiteatro romano, in parte tuttora in vista nella Caserma Minervio; e di quest'adattamento barbarico rimane ancora qualche traccia.
Che quest'altura fosse del tutto sguarnita nel periodo del grande Ducato di Spoleto, quando da qui potenti eserciti si spingevano sin contro Ravenna e ad imporsi anche a Roma (e ne ebbe postuma macabra prova papa Formoso!) e i Duchi Guido e Lamberto eran redimìti della Corona d'Italia; che del tutto sguarnita fosse allora, non è probabile.
Niente però di preciso su quel che poteva esser rimasto allora là su. E, come abbiam visto, quando i Perugini vollero, nella prima metà del sec. XIV, rinsaldare con una fortezza la loro egemonia su Spoleto, vi costruirono la Castellina proprio nel centro della città.
p56 Però l'occhio esperto dell'Albornoz riconobbe l'importanza strategica di quest'altura, e, perchè tale, la prescelse per disporvi una poderosa fortezza — dandone incarico al suo architetto di fiducia, il Gattapone.
La commissione risultato da un apposito suo dispaccio 2 aprile 1362 da Cesena, anni or sono rinvenuto e pubblicato dal Filippini e che è interessante leggere nel suo texto integrale e che pertanto riproduco, a parte, testualmente.19 In esso si vedrà che tra i poteri conferiti con quest'incarico al Gattapone v'era pur quello d'imporre ai cittadini e agli abitanti del contado la requisizione coatta della mano d'opera e l'autorità di punire i disobbedienti. Tanto deciso l'intendimento dell'Albornoz di provvedervi speditamente e come cosa di alto pubblico interesse.
E affinchè questa Rocca meglio rispondesse al suo intendimento di farne, piuttosto che una semplice difesa della città, mezzo di dominio della regione, volle che essa fosse, non soltanto di una potenza presso che inespugnabile, ma pur adatta, oltre che a raccolta di milizie, anche ad ospitare in degnissima sede i personaggi cospicui che la Chiesa vi avrebbe mandati a governarla.
Così l'edificio — sorto certamente tra il 1363 e il '6720 — fu costituito essenzialmente da due grandiosi corpi di fabbrica, riuniti sulla pianta di un lungo rettangoloα e delimitati sui lati contigui da una grandiosa zona p57 trasversa costituita da un vasto salone d'onore. Sotto di questo un ampio sottopassaggio a volta — chiuso verso il cortile delle armi da salda ed adorna porta a saracinesca21 — mette in comunicazione i due cortili che rispettivamente son centro delle due parti dell'edificio. E agli estremi di questa zona trasversa e quali sue testate, in aggetto sull'alta muraglia dei due lati maggiori del complessivo perimetro rettangolare, sorgono due delle più poderose torri: una, (quella verso settentrione), che domina più da presso la città — la più massiccia e possente, alta circa 35 metri, detta, non so perchè, la Spiritata, — disposta come "maschio" a fulcro della difesa; l'altra, consimile, ma di mole un poco minore, detta la Torretta, che si eleva sul lato verso il Monteluco in modo da poter battere la via che corre sul ponte. E, appoggiata al fianco della torre maestra sul lato che domina il cortile delle armi, un'arcata ogivale sormontata da una piccola costruzione che intercettava il passaggio tra il cammino di ronda e il maschio, e pur disposta in modo da poter colpir di fianco gli assalitori che, penetrati nel primo cortile, avessero tentato di irrompere nella corte d'onore.
Agli angoli del grande rettangolo che costituisce la pianta dell'edificio, altre quattro torri minori, ma pur poderose. E il tutto munito di merlature, rivellini, piombatoie, cammini di ronda, sottopassaggi e di ogni più ingegnosa risorsa difensionale in relazione ai sistemi di guerra di quei tempi.
E, dei due corpi di fabbrica, quello volto verso mezzodì, più imminente sulla città, fu destinato e disposto ad alloggio delle genti d'arme, recinto per tre lati da una p58 robusta cortina con cammino di ronda a coronamento merlato che collega tra loro le quattro torri adiacenti: l'altro, verso settentrione, meglio protetto dal dirupare delle balze, predisposto con un rico cortile d'onore a residenza dei Governatori e Castellani. (E di questa parte dell'edificio ci riserviamo di parlare in un successivo Capitolo (V) per meglio rilevarne, insieme al ricordo degli ospiti cospicui che vi soggiornarono, il valore artistico monumentale degli apporti edilizi che sembra vi siano poi avvenuti.)
Imponente e maschia mole, fatta ancor più poderosa dalla sua ubicazione su quell'altura, che per largo suo tratto precipita sul torrente Tessino, che vi ha inciso intorno un profondo taglio nelle rupi inaccessibili.
Veramente, come ne scriveva Giannantonio Campano — che fu governatore del Ducato regnando Sisto V — questa Rocca "è tale che si difenderebbe per se stessa, senz'altre mura, essendo tanto dirupata e precipitosa la salita, che, rotolando i sassi si potrebbero precipitare con essi tutti quelli che l'andassero contro".22 E, come attestava pure il Guicciardini, "sia per la postura, sia per gli istrumenti di quei tempi, si tenne per inespugnabile; e fu una delle più importanti e meglio fornite fortezze dello Stato della Chiesa".
Grandiosa e munitissima, dunque, questa Rocca.
Ma, a renderla ancor più salda e sicura, ben altre furono le iniziative a cui si spinse la feconda intraprendenza dell'Albornoz: tra esse una di tanta arditezza, che, rispetto a quei tempi, si direbbe meravigliosa, e anche ai nostri giorni risulta magnifica — il Ponte delle torri.
p59 Badiamo però: così dicendo non intendo affermare che l'Albornoz e per esso il Gattapone abbiano allora eseguita una costruzione ex novo di questo ponte. Vero è che a proposito di quest'opera se ne son dette tante; tante e così svariate e contradittorie e strane sono state le attribuzioni con cui, per la mancanza, purtroppo, di una base o di una remora documentale, si sono sbizzarriti in proposito gli studiosi, che anche questa potrebbe entrar nella serie. Una di più una di meno. . . . No, intendo dire, non la sua costruzione, ma semplicemente la sua sistemazione o il suo adattamento così come ora lo vediamo; insomma, essenzialmente, la sua sopraelevazione.
Non una costruzione ex novo, ripeto, perchè è certo che ivi già doveva esistere — anzi sussistere — un ponte medievale, rifacimento di antico ponte romano: veramente un ponte acquedotto, che senza dubbio ivi preesisteva quale unico tramite per il quale potean giungere in città le acque necessarie all'alimentazione idrica di Spoleto e che antichissime e grandiose condotture, — certamente romane e del più lontano medioevo, — raccolgono nell'opposta falda montana, dalla quale la città è staccata da quel baratro profondo. (E tale ufficio gli è rimasto, almeno in parte, tuttora, anche se i moderni progressi della tecnica idraulica han consentite e consigliate modalità di una soluzione diversa).
Ma allora, in sulla metà del sec. XIV, il vecchio ponte doveva essere in molta parte mal ridotto, specie in quella occidentale, cioè quella che poggia sulla falda del colle su cui sorge la Rocca, — e tutto, così credo certo, assai più basso.
L'Albornoz sentì la necessità di coordinare al suo p60 grandioso programma anche questa sistemazione affinchè la Rocca, sprovvista com'è di sorgenti proprie, potesse ricevere acqua perenne ed abbondante. A questo scopo consolidò il ponte, in parte lo rifece, e arditissimamente ne spinse l'altezza ad oltre ottanta metri e per una lunghezza di oltre duecento. Opera eccezionale d'ingegneria; magnifica, anzi meravigliosa, senza esempi in quel tempo, e tanto più geniale nell'organica e riuscitissima coordinazione (collaudata da tanti secoli e pur tanti terremoti!) di quanto vi era rimasto e che era possibile utilizzare. E certo, anche questa, fu opera del Gattapone.23
E con tale interpretazione — o limitazione — risulta vera e in proposito importante la notizia tramandataci dal Sepulvedaβ che l'Albornoz arcem cum adverso monte, qui non longe aberat, ponte commisit.
E Pons subsidiarius sive succurso fu detto — così lo troviamo menzionato nei documenti di quel tempo.24 E giusta è questa designazione appunto perchè il ponte doveva provvedere a questa duplice funzione rispetto alla fortezza: assicurarle con un acquedotto che vi corre sopra una copiosa dotazione di acqua derivata dalle condotture disposte sull'opposta falda del monte — e che poi sale con un sifone alla Rocca (nella quale, a maggior precauzione defensionale, per l'eventualità che il nemico guastasse le condotture, fu costruita, a raccoglierla, una cisterna capace di oltre settecento metri cubi); — offrire una via al di p61 fuori della città che, protetta, come vedremo, da speciali difese, servisse di comunicazione, attraverso il Monteluco, alla valle del Nera e anche ad altri tratti a monte e a valle della via romana.
E a difesa del ponte costruì o rinsaldò, all'estremo di esso, sulla falda del Monteluco, un munito e quasi impervio fortilizio turrito — ne sperimentò, come vedremo, (pag. 82), a sue spese la saldezza anche Braccio da Montone! — destinato a far buona guardia a quella testata, potendo anche battere in pieno dalla sua torre e dai suoi spalti la via sul ponte, sulla quale pure poteva bersagliar dall'alto la "Torretta" della Rocca. Perchè, notisi, tanto si ritenne importante il dominio di questo viadotto che, nel fissar sul terreno del sommo del colle l'ubicazione della Rocca (che è a pianta di un rettangolo assolutamente regolare, anche nella simmetrica disposizione delle sue torri), il Gattapone fece in modo che una delle sue più robuste torri (la Torretta) potesse battere in pieno la pensile via del ponte, senza che a questa potesse far schermo l'alta muraglia che sul lato meridionale la sormonta. Così appar certo che la collocazione dell'intiero edifizio della Rocca fu conformata e subordinata anche a questo scopo strategico, con una concezione organica ingegnosissima, perfetta.25
Tutto intorno alla Rocca, includendola come in una grande spirale allungata che si salda verso sud nel bastione primitivo, corre una robusta cinta che, partendo dall'angolo nord-est della piazza Campello, — ove è una modesta porta seicentesca, — sale, su poderose costruzioni, che han l'aspetto di opera ciclopica, (ma soltanto un breve tratto lo è veramente, p62 e il resto ne ha solo l'apparenza, chè sono sicuro rifacimento del remoto medievo: tanto è vero che c'è inserito un cippo romano); sale alla grandiosa e munita porta con saracinesca e bertesca di vero accesso al presidio. E accanto a questa sta il bastione poderosamente postato su mura preistoriche, e coronato da cammino di ronda. (Dal bastione una seconda porta consentiva di uscire dal recinto e scendere al viottolo che conduceva al ponte.)26
Poi, correndo presso che rettilinea e quasi parallela al lungo lato orientale della Rocca e proteggendone la via d'accesso, la cinta si dilunga oltre l'estremo settentrionale dell'edificio ad includere un ampio spazio quasi quadrato, che si protende sulle balze dirupanti sul Tessino. E verso settentrione, negli angoli estremi di questo quadrato, due torri; quella nord-orientale minore o menomata (accanto, sul lato verso il ponte, c'è la traccia di una bella porta a tutto sesto in conci); l'altra verso la città, più grandiosa, e unita alla Rocca con un passaggio pensile su alte arcate.27
Quindi, incurvandosi, ma pur lasciando interposto un ampio spazio, la cinta volge a proteggere gli altri due lati della Fortezza, dominando dall'alto la città, sino a ricongiungersi, a sud est, con la parete del bastione. E chiara anche in essa è la traccia del cammino di ronda e pure, ove più direttamente incombe sulla città, di due torrioni, che furono poi svettati sino all'altezza del muro di cinta in cui sono inclusi, così che dal di fuori non sono più visibili. Sì, però, lo sono dall'interno con le loro robuste masse quadrate. E uno di essi sta appunto di faccia alla Torre mastra, verso il Duomo; e probabilmente ad esso si riferisce la designazione p63 di Torre nuova che troviamo in alcuni documenti. Ma "nuova" relativamente, perchè giá se ne parla sin dai primi decenni del quattrocento.28 I resti dell'altro torrione stanno nel tratto sud occidentale del muro di cinta che pur domina la parte meridionale della città.
A fianco della porta principale si protende, come si è detto, verso sud un poderoso bastione, postato con costruzioni medioevali su basi caratteristicamente preistoriche. Però anche questa sopraelevazione sembra debba riconoscersi più antica della Rocca e pur preesistente alla cinta urbana, — la quale sappiamo essere stata eretta circa cinquant'anni prima della fortezza albornoziana, cioè proprio sul finir del secolo XIII, tra il 1297 e il '300.
Un centinaio di metri più in basso, in un risvolto delle mura urbane, dispostovi già con la costruzione loro a formarvi un saliente munito — e allora designato, perchè vicino all'antichissima chiesa di S. Marco in pomeriis, col nome di S. Marco e poi, e vedremo perchè (pag. 83), di Fortebraccio — sorge una torre che, per quanto mutilata, si riconosce essere una successiva sopraelevazione alla cinta urbana. Anzi presenta spiccatissimi caratteri gattaponiani, così da far ritener per certo che essa sia sorta quando fu costruita la Rocca a integrazione del suo organismo strategico di difesa ed offesa.
E a nord, in basso, a poco maggior distanza, la poderosissima torre campanaria del Duomo, a quel tempo vera torre (la cella campanaria vi fu sopraelevata nel sec. XV), che sappiamo adibita, allora, anche a funzione militare. Vedremo p64 (pag. 82) qual profitto ne traesse, appunto per la Rocca, l'assediato Tomacelli.
E accanto ad essa, vigilato e protetto dalla Fortezza, un altro edificio, in aperta vista sul piano e in immediato contato con quello che era allora il centro della vita cittadina e sede dell'Arringa, la Piazza del Duomo; un edificio non militare, ma che pure di militaresca severità ha impronta anche più spiccata di quel che avrebbero suggerito quei tempi ferrigni; la robustezza e il taglio della mole, le sue masse arditamente e poderosamente in aggetto e pur le garitte per le scolte e altri particolari interni difensionali: — il così detto Palazzo della Signoria.
Chiamiamolo pur così, poichè è entrata nell'uso questa designazione. Se anche contraria alla storia di Spoleto a quei tempi, suona bene. Ma riconosciamo una buona volta — senza intravvedervi chi sa mai che crimenlese — che non è il caso d'insistere in un errore che, se potè essere, almeno in parte, giustificato quando men conosciuti erano l'opera e il valore del Gattapone — e dell'Albornoz, — fu ed è certamente un errore, un'incomprensione: quello cioè di attribuire la costruzione di quest'edificio al triste periodo, sciagurato e senza pace, della supremazia e delle irrequietezze di Pietro Pianciani a Spoleto, e perciò anteriore di parecchi anni alla costruzione della Rocca.
Ed è errore tanto più deplorevole perchè toglie a Spoleto il vanto di un invidiabile e assoluto primato nella ricchezza di opere di uno dei più valorosi e magnifici architetti con cui si affermò il genio italiano sulla metà del sec. XIV, e che fu dai suoi contemporanei proclamato "uno dei migliori avvisatori del mondo"; ed è nostro conterraneo, p65 umbro, di Gubbio: Matteo di Giovanello detto Gattapone. Opere sue, qui a Spoleto, la Rocca; sua la meravigliosa sistemazione del Ponte; sua tutta l'organica integrazione defensionale e suo, suo, tutto suo, tutto improntato dalla sua robusta e tipica genialità, sia nel movimento delle masse e pur nei particolari e persino nelle sagome delle modinature, quest'edificio, purtroppo rimasto incompleto (probabilmente perchè deciso in secondo tempio e iniziato dopo la costruzione della Rocca) e, triste colpa, non ancora del tutto redento. Suo: e, ben si può ritener certo, per merito e commissione dell'Albornoz che, dice il Filippini "non fu soltanto un costruttore di rocche, ma anche di palazzi nel centro della città per farne sede degna dei rappresentanti del Governo". E così fece a Cesena, così anche a Forlì, ove pure aveva provveduto alla fortificazioni.
Nè questo contrasta, come un'inutile sovrabbondanza, con quanto — come anche meglio vedremo in appresso — fu disposto nella Rocca perchè essa fosse dotata di ampi locali per residenza signorile. Diverso lo scopo o il compito di quest'edificio conjunction. Là su stesse in degna e munita sede il Castellano e pur potesse accogliervi in sicurezza, quante volte occorresse, altri uffici e funzionari della Chiesa; ma pur intanto anche il Legato o i Commissari o altri inviati pontifici avessero, anch'essi, una residenza propria, così da poter svolgere la loro azione, non nell'isolamento di una fortezza o nelle dipendenze del vescovato, ma invece nel centro della città e a contatto immediato della vita cittadina.29
Insomma un'integrazione anche questa di un grandioso impianto strategico e amministrativo.
p66 E in mezzo alla raggera di questi punti avanzati, in mezzo alla corona delle salde precinzioni, centro di forza, alta, massiccia, e severa, con le sei torri, la superba mole della Rocca.
Contemporaneamente alla sua costruzione sparì 'inviso "cassero" perugino; e va bene. Ma il male fu che pur si arrecò allora danno assai grave ad uno dei più importanti monumenti romani in Spoleto: al suo grande anfiteatro (del I o II sec. d. C.) capace di ben trentamila persone, presso Porta S. Gregorio, più precisamente ove è ora la Caserma Minervio.
Totila si è già detto lo aveva rispettato; anzi ne chiuse gli anditi e lo convertì in fortezza; e tale era anche allora nel sec. XIV. Ma proprio convien dire che quod non fecerunt barbari fecerunt . . . l'Albornoz, o il Gattapone, chè lo diroccarono in gran parte: tutta la parte sopraelevata.30 C'è chi ritiene che ciò facessero per ritrarne materiali per la costruzione della Rocca. Sì, forse, anche per questo: ma ragione principale deve esserne stato il proposito dell'Albornoz che sparisse dalla città un qualsiasi edificio munito che potesse far concorrenza o creare imbarazzi alla Rocca: come quel fortilizio perugino, così doveva essere smantellato quest'anfiteatro che, nei documenti del tempo, troviamo designato, anch'esso, col nome di "cassero".γ
Già si è detto che doveva preesistere ad esso più o p67 meno il bastione meridionale e pure è certo che successivamente da taluni Governatori e Castellani, furon curati a questa Rocca apporti edilizi, non soltanto per far più comodo ed ornato l'assetto della parte dell'edificio destinata a residenza dei signori, o per riparare ai guasti per le tante lotte e per gli assedi, ma anche per integrarne le opere defensionali.
Ecco, per esempio: risulta che Domenico Gentile Riccio — il quale fu Governatore Spoleto tra il 1478 e l'84, — "rifabbricò nella Rocca alcuni edifici caduti in rovina".δ Così pure, a tempo di Sisto V e a cura del Governatore Francesco Liparolo vescovo di Capri (1588‑'90) furono restaurate le mura della Rocca in parte rovinate.ε
Così nell'Archivio Vaticano, con riferimento a Bonifacio IX (Tomacelli) e agli anni 1392‑1394, si trovano documenti relativi alle expensa in recuperatione castri civitatis Spoletanae.ϛ
Ancor più esplicito in proposito è un dispaccio 22 marzo 1474, regnando Sisto IV, del Card. Camerlengo (Latino p68 Orsini) diretto domino Antonio de Ruvere Perusie etc. thesaurario, per la liquidazione dei crediti che vantava il precedente Castellano (Leonello da Lucca, abate di Frassineto e S. Pellegrino) "per aver facto . . . in essa Rocha spesa per certi muri et merli et altre simil cose facte di novo." E sembra che avesse costruiti o ricostruiti anche degli edifici, ed altri ancora fossero i lavori che stava per eseguirvi. E per ordine di Sisto IV si dichiarava: "Volemo, che subito vediate li conti suoi et etiam li edificii quali dice di aver facti et diateci avviso di quanto resti creditore et a quanto possano montare le spese predicte qual dice haver facte acciochè si possi saldare con lui. Valete etc."ζ
E altri documenti danno notizie di altri lavori compiuti nella Rocca, anch'essi a tempo di Sisto IV.31
Nell'Archivio di Stato (Roma)η si trovano, nel conto dei Proventi di malefici, numerose e svariate partite "per servitio de la fabrica de la Roccha di Spoleto".
Particolarmente interessanti, anche per la conoscenza della disposizione e dell'uso dei diversi locali interni, mi son sembrati due "Verbali di consegna" o di "presa di possesso" degli anni 1537‑1541 nell'Archivio di Stato. In quanto inediti, ho creduto opportuno riportarli quasi integralmente nell'Appendice — Vedi Doc. III, IV.
Certa è dunque una serie di apporti costruttivi che anche eccedono il carattere di opere di manutenzione. E, p69 in quanto intesi, in quei secoli lontani, ad integrazione dell'edificio e ad accrescerne il decoro e le comodità di residenza, sono anch'essi interessanti. E tanto meglio se vi sussistono; possono essere allettatrice occasione di ricerche e di studio, quando sia resa possibile — e lo sarà, speriamo! — una metodica esplorazione.
Il male, purtroppo, venne più tardi quando, or fa circa un secolo, si profanò quest'edificio adibendolo a Casa di Pena. Però — gran fortuna, — sono state anche allora risparmiate modificazioni organiche. Queste ponderose mura, con gli spessori colossali e la ferrea compattezza della loro struttura silicea, hanno opposte salutari resistenze.
Si, qualche sopraelevazione (p. es. per l'infermeria, sulla cortina di mezzogiorno, ma con chiaro distacco), qualche finestraccia, molti tramezzi e sovrabbondanza d'intonachi; non però essenziali alterazioni. E, se pur ne costituiscono deturpazione assai antipatica, non ne sono modificazione essenziale nemmeno le due appiccicature con cui, prima il governo pontificio addossò alla cortina nord-ovest, tra la Spiritata e la torre angolare sud-ovest, una specie di capannone ad uso laboratorio per "i forzati", e poi l'architettura burocratica, come se animata ahime! da spirito di emulazione a far cosa peggiore, vi ha affiancato una stonatissima palazzina che, peggio ancora che brutta, è antipaticamente pretenziosa. — Facile e dilettoso compito, quello di farne col piccone, piazza pulita!
* *
Insomma, l'edificio è tuttora, nei suoi elementi tipici ed essenziali, quale, come grandioso e allora eccezionale organismo strategico e monumentale, lo pensò e lo commise l'Albornoz: quale, conformandosi ai suoi comandi, lo seppe immaginare, disporre e tradurre in atto la genialità artistica e tecnica del Gattapone.
Tanta la grandiosità e lo studio di farlo potente che si sarebbe indotti a giudicar l'opera persino sproporzionata, in eccesso, rispetto a quanto necessario per la tutela o il dominio della città.
Ma invece risulta logica e sapiente, ed espertissimamente disposta, quando la si consideri, come fu di fatto, intesa a finalità di dominio militare e politico ben più esteso ed importante: esser cioè, baluardo di Roma e del potere della Chiesa nella ripristinata sua sede e, come tale, condizione importantissima e necessaria per propiziare e rendere sicuro tale auspicatissimo evento.
E così fu veramente. E abbiam visto con quanta precisa coincidenza cronologica.
18 Il Sansi, che ne ha raccolta un'analitica ed assai accurata descrizione (Degli edifici e frammenti storici delle antiche età di Spoleto, Cap. III, pagg. 47‑54), giustamente annotava che tale cortina, "ancorchè chiuda anche la Rocca, none è p243 veramente che un tratto delle mura urbane, comune tanto alla cinta primitiva (pelasgica), quanto alla nuova (medioevale). Quando anche si volesse supporre che in tempi anteriori alla costruzione della Rocca non fossero ivi rimaste che poche sparse rovine delle sole antichissime costruzioni, non si potrà credere che, fabbricandosi poi la cinta del 1297, non venissero restaurate, e che quella parte, così sopraccapo alla città, fosse lasciata aperta . . . Ritengo che esistesse anche da tempo più remoto". — Benissimo.
Anzi io mi son convinto, per attento esame di talune particolarità costruttive, che il bastione sud-orientale, anche nella parte in cui, sui resti pelasgici, appare in esso evidente la sopraelevazione medioevale, sia da riconoscere più antico anche della cinta urbana del 1297 e per ciò ancor più della Rocca.
Purtroppo di altri dubbi o, almeno, di quesiti cronologici è assai ricco l'esame analitico di quest'insieme monumentale. Alcuni documenti — per esempio, antichi "verbali di consegna", e talune vecchie designazioni toponomastiche, come la "torre nuova" (Cfr. nota 28), la "torre papale" ed altre — danno notizia di parecchi elementi che le successive modificazioni rendono assai difficile identificare, oggi, con sicurezza. Ma così avviene per tutti i monumenti che hanno una lunga storia ed han subìto un loro periodo evolutivo. Attraentissima — ma presuntuosa e non seria — la tentazione di sfoggiar conclusioni con più o meno verosimili precisazioni. Però ne comprendo il pericolo; e, piuttosto che abbandonarmi a presentare come certezze delle ipotesi — che, se anche s'impongono alla mia convinzione, sono . . . . ipotesi, — preferisco limitarmi a proporne il quesito e, tut'al più, accennarne via via gli indizi più attendibili per la loro soluzione. — E, oltre tali quesiti d'identificazioni topografica o toponomastica, altri ben più importanti sono quelli che si affacciano — e, per così dire, balenano con imprecise impressioni di disorientamento — osservando alcune particolarità, o apparenze, di talune parti di quest'edificio, per quanto si riferisce alla loro cronologia. — Sono veramente più antiche, come possono sembrare, alcune delle torri angolari? p244 — È veramente una costruzione posteriore, almeno di qualche poco, — come sembrerebbe di Dover concludere per alcuni elementi costruttivi (sorge sopra il muro perimetrale e chiude in parte una bella porticina in concio, nell'angolo nord-orientale del cortile degli armigeri) — la così detta Torretta o "del tinello", che però sembra non sia quella che troviamo designata come la "Torre nuova" di cui ricorre spesso la menzione (vedi a nota 28)? — Come era disposta la scala d'onore che, almeno nella sua prima rampa, sembra certo sia stata spostata (pag. 120)? — Solo esplorazioni, non consentite nell'attuale stato di cose, potranno dare risposte definitive.
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19 Per la commissione datane il 2 aprile 1362 dall' Albornoz al Gattapone cfr. pag. 56 e Documenti N. I. — Nell'archivio comunale di Spoleto, e precisamente nella serie dei registri del Camerlengato, ho potuto rinvenire, sotto le date 6 febbraio 1366, 4 febbraio e 31 maggio 1370, sicure annotazioni della presenza in Spoleto del Magister Mactheus Gataponus (o Gaptapono) de Eugubio e di parcelli pagategli per suoi salari. In una di esse, in data 31 maggio '70, si legge: — Mactheo Gaptaponi de Eugubio, superstiti cassari montis Spoleti pro salario pross. mensis maii fl. VIIII. Le annotazioni di tali pagamenti — in ragione di 8 fiorini mensili — continuano sino al primo settembre.
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20 Sappiamo per documento sicuro che la consegna ne fu data il 25 ottobre 1367 come edificio già completo ed adatto al suo scopo. — Cfr. pag. 147 e Documenti N. II.
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α Le dimensioni di tale rettangolo, regolare, sono, con misure prese all'esterno: lunghezza m. 135, larghezza m. 35. Così, dedotte le superfici delle addossature e degli spalti, l'area dell'edificio risulta di circa mq. 5 millennia: presso a poco un mezzo ettaro.
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21 Era, questa porta, l'accesso principale, e munito, dal cortile vigilato dagli armigeri al cuori dell' edificio, cioè al "terzo circuito", ove si raccoglievano le abitazioni. Ora, per ragioni pratiche determinate dalla tanto diversa utilizzazione del fabbricato, chiusa la porta che nel lato meridionale della Rocca immetteva dall'esterno in questo cortile e adottato come unico ingresso all'interno dell'edificio quello che da settentrione conduce direttamente alla "corte d'onore", l'itinerario risulta invertito. p245 Questa bella porta gattaponiana serve attualmente di accesso, dalla corte principale al cortile già degli armigeri, che invece prima ne era il vestibolo.
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22 Eccone testualmente la descrizione redattane dal Campano nella Vita di Braccio da Montone, quale riferita dal Muratori. Rer. It., XIX: "Arx erat inexpugnabilis omnium non modo in Umbrie sed in cetere Italie situ, atque opera munitissima. Haec, arduo posita in saxo, ex altera parte Urbi supereminet, ex altera inviis altissimisque cincta praecipitiis finitimorum montium societate lato intervallo disjungitur. . . Porro naturae munimentis etiam hominum accessit industria. Quippe arcem triplex latissimus praecingit murus, quam etiam sine muro nature defenderet ut vel devoluta saxa arcere oppugnatores possint".
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23 (Il Ponte delle Torri.) — Opera veramente meravigliosa di geniale arditezza, questo ponte, specie se riferita a quel tempo. — Vedi Tavola. II.
Strano e deplorevole è che manchino, o non si sian trovati, documenti precisi sull' origine sua; e da ciò l'occasion ad una varietà assai grande e discordante d'ipotesi e di affermazioni. C'è, infatti, chi ha voluto riferirlo a Teodosio (VI sec.), altri a Teodelapio (sec. VII), altri a Faroaldo II (sec. VIII), altri al Comune (sec. XII o XIII). Il Fontana — e credo giustamente — vi riconobbe tracce di una sua pratica origine romana. Affermazioni apodittiche, però, determinate da impressioni soggettive e viziate dalla mancanza di pazienti analitiche osservazioni. E appunto questa mancanza ha potuto indurre all'errore di considerare questa opera quale una costruzione, per così dire, unica, cioè fatta, così com'è, nella sua integrità, tutto in un tempo, e non, invece, il prodotto di successivi rinnovamenti.
Appunto un'attento riscontro — non disgiunto dall'emozione di esser tirato su e giù in una gabbia ad esaminar ogni tratto dei suoi piloni — mi hanno indotto, con la costatazione di particolari che sarebbe troppo lungo riferire, a queste conclusioni, p246 riassunte circa tredici anni or sono nella monografia su Spoleto (Collezione "Italia Artistica" — Arti grafiche, Bergamo) — queste: Che lì, ove ora sorge questa opera medioevale, c'era stato in primo tempio un ponte romano, necessario per far giungere in città le acque ivi portate, sull' opposta falda montana, con antichi acquedotti che sono, certo, di origine romana. — E nelle basi dei piloni centrali se ne può riconoscere, forse, qualche traccia. — Poi nel lontano medioevo — però non tanto remoto come taluno ha supposto — il ponte fu rifatto, ma con un' altezza di appena la metà, dell'attuale, cioè quella segnata dagli archi tutt'ora in vista nella parte che poggia sul Monteluco.
L'Albornoz ne volle raddoppiata l'altezza per la ragione che si è detto, e per la quale deviò anche più in alto la vecchia condottura che corre sulla falda del Monteluco, tanto che a mezzo di un sifone (poichè sarebbe stato eccessivo ardire spinger fin là su l' altezza del ponte) le acque potessero risalir nella Rocca. Però egli deve aver trovato il vecchio ponte, nella sua parte occidentale — quella verso Spoleto, — ridotto così mal sicuro o collabente, da dover giudicare necessario di rifarlo tutto intiero nella sua parte occidentale, dalle fondamenta. E difatti questa parte, di sinistra, verso Spoleto, è diversa, sia nella dimensione dei piloni e degli archi, sia in taluni particolari della struttura muraria, di quella del tratto inferiore orientale (la parte superstite più antica) — mentre, notisi, corrisponde in tutto e per tutto, anche nella sua tessitura muraria, alla zona di sopraelevazione di quel tratto orientale.
Ma anche il pilone principale di destra — quello che poggia sulla sponda del torrente verso Monteluco — dovea sin da allora presentare la lunga incrinatura, quasi verticale, tutt'ora in vista nella sua fronte sul torrente. Pericoloso per ciò caricarlo del grave peso della sovrastruttura. Però Gattapone osò farlo, ma con una prudente ed efficacissima precauzione: quella di dargli un appoggio con un robusto arco rampante che, spiccato dal p247 pilone costruito ex novo sull' altra sponda, facesse come da puntello, proprio all'altezza dove dell'altro lato funzionava la spinta degli archi del ponte vecchio. Le due controspinte ne avrebbero impedita la flessione. E il tempo ha dimostrato quanto opportuno e pratico questo accorgimento.
E a proposito di questo pilone principale — cioè quello maggiore e più alto che poggia sulla sponda destra del torrente — merita che si ricordi che esso fu veramente una torre, e proprio una torre munita defensionale. Contiene infatti (notisi: nel tratto sottostante alla sopraelevazione, cioè il più antico) due vani sovrapposti, a volta, con le rispettive porte d'ingresso nel lato verso il monte (alle quali doveva accedersi con lunghe scale o scale di coordinate): vani abitabili e di fatto abitati a quei tempi. E son muniti di finestre di vedetta sulla valle accuratamente costruite a strombo In uno ho potuto vedere un armaduccio scavato nel muro (56 × 45) con architrave a triangolo e, quel che è più strano e . . . difficile a dirsi, in ciascuno dei due vani un cesso, ben inteso, come allora solean dirsi quando erano così, "a vento".
Tutto fa presumere che anche l'altro pilone gemello sull'opposta sponda fosse a questo somigliante, anche per siffatte dotazioni: anch'esso una torre munita. — E questo potrebbe spiegare il nome dato a questo ponte: Ponte delle Torri. — Però ne è sparita ogni traccia per i nuovi lavori che allora, come si è detto, rinnovarono tutta intiera, sino dalle fondamenta, la parte occidentale del presente. — Per omnium precise notizie e documentazioni cfr. la mia monografia Monteluco (ed. Argentieri) ai capitoli Il ponte delle torri e Il fonte e gli acquedotti, pagg. 35‑85.
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β Sepulveda, nella sua biografia del Card. Albornoz: L. I, f. 13 — a proposito di che mi permetto di considerare inopportuno il commento ironico con cui il Sansi ricorda questa notizia, forse perchè da lui presa alla lettera per una costruzione ex novo.
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24 Nella concessione consentita nel 1468 da Paolo II a favore di Spoleto di una parte dei provventi dei malefici per destinarli a risarcimenti edilizi, così è fatta menzione di questo ponte: Cum itaque pro parte vestra nobis fuit expositum pons subsidiarius sive succurso, qui etc. — Rifor. Ann. 1468, foglio 33.
E Giovan Battista Campano — l.c. — dando notizie di p248 questo ponte — tam altus ut despicientium oculi exorta hebescat caligine, — soggiunge: Estremo autem ponte turris alta munitaque medio in monte prosurgit (il fortilizio dosi detto dei Molini e ora delle Cascatelle, unde quoties urbano tumultu impetum in arcem fiat, subsidium recipere custodes queant, et hostes munitum turri pontem occupare non possint.
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25 Se ben si osserva come rispetto al Ponte vennero disposte la torre del fortilizio che ne vigila la testata verso il Monteluco e quella di mezzo della Rocca — la Torretta — si rileva come la loro collocazione risulti specialmente adatta — anzi pensatamente conformata — a dominare il viadotto, per modo che questo dominio non fosse menomato dal muraglione che, per convogliare le acque, si eleva al suo fianco di mezzogiorno. — Entrambe le torri si trovano quasi simmetricamente issue a nord dell'asse del Ponte, così che il viadotto si presenta ad esse intieramente scoperto.
Nelle carte di P. Fontana ho trovato in proposito quest'antico annotazione: "Le due torri (la "Torretta" e quella del fortilizio opposto) servir dovevano a difesa del Ponte o ad impedirvi il passaggio; per il che, mentre della parte di mezzodì il viadotto è fiancheggiato da alta ed erta muraglia, dall'altra non eravi allora alcun riparo. Pertanto i nemici potevano con maggior facilità ed efficacia essere offesi, essendo anche angusto il sentiero. Il muricciolo che or si vede da quel lato non fu costrutto prima del finir del sec. XVIII per cura del conte Paolo di Campello".
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26 Questa — per la rampa intera, che sale dalla prima porta al bastione — era l'unica strada per cui da Spoleto si poteva accedere al Ponte, perchè allora non esisteva affatto il tratto di via pianeggiante che da Plaza Bernardo Campello (già di S. Simone) conduce alle mura e, da esse, al Ponte. Questa nuova strada fu costruita molto più recentemente, nel 1817, per iniziativa del Gonfaloniere Bernardo Montani, che pur fece aprire il finestrone ad arco nel mezzo del Ponte. Il tratto successivo p249 (il così detto "Giro del Ponte") fu poi sistemato a cura del Gonfaloniere Pietro Fontana, nel 1824, circa.
Prima di questa simpatica innovazione, ivi si estendevano, sino al muro che è ora la cinta inferiore del Reclusorio, le pertinenze del convento di S. Simone (una delle prime chiese francescane dell'Umbria, costruita nel sec. XIII in onore del beato Simone da Collazzone, diletto compagno del Santo Poverello). La serie di 21‑22 porticine in concio, a tutto sesto (chiuse appunto per la costruzione della nuova strada), certo antiche porticine delle Celle conventuali, ne fan testimonianza.
Quanto alla vecchia strada, che sale dalla prima porta al bastione, sembra che fosse assai Meno ampia ed agevole di quello che ora costituisce la rampa quasi rettilinea. Doveva esser più angusta e pur ingombra di ruderi (forse altri resti dell'antica costruzione di cui apparisce un tratto nel mura che la fiancheggia a mezzogiorno). Fu Clemente XI che la sistemò così come è attualmente. Ce lo attesta una lapide che, a cura del conte Gaetano Stampa patrizio milanese (Governatore di Spoleto dal 1709 al 1714) fu ivi apposta nel 1711,appunto a ricordo di tale benemerenza di questo papa (Giovan Francesco Albani, che salì al soglio proprio nel 1700) e che esiste tutt'ora sull'arco della porta munita cui fa capo questa rampa di accesso. — Clementi XI P. M. ann. salita. 177 . . . Arcis viam antea ruderibus aspera — lenito clivo — successoreum acqua civium comoditate — sterni jussit. — Caietanus Stampa patr. mediolan. — V. S. R. SS. Dni. Nri. Prel. Dom. — Spoleti eiusque Ducatus Gen. Gubernator. (cioè: Utriusque Signaturae Referendarius, SS. Domini nostri Prelatus domesticus).
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27 Altro consimile passaggio pensile su arcate, e disposto quasi simmetricamente a quello verso ponente, congiungeva la torre angolare di nord-est con un vicino torrione addossato alla cinta verso Monteluco. Il qual torrione era allora detto il Malborghetto (Cfr: Documenti, XVI e XVII). Ma venti o trent'anni or sono è stato nascosto e soffocato dalla nuova palazzina per gli uffici.
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p250 28 La Torre Nuova. — Castello sia e dove fosse questa torre è difficile precisare. Anche l'ipotesi, cui ho accennato, che si possa identificare nei resti del torrione già emergente dal tratto nord-occidentale della precinzione sovrastante alla prima porta — cioè quel che oggi è detto (e quanto meritamente!) il "belvedere" — se pure, come vedremo, possibile, non è sicura.
Certo è da escludere, come taluno ha supposto, sia da riconoscervi un'altra designazione della torre "mastra" (detta pure la spiritata), anche se questa ha qualche aspetto da farla giudicare meno antica delle altre cinque che rinsaldano l'edificio. È da escludere, quantunque a quest'identificazione possa dar credito quel che dice il Campello, cioè che la torre nuova, — già così sciaguratamente utilizzata dalla perfidia di Pirro Tomacelli, — sorgeva "dentro la Rocca e più vicina alla cappella di S. Elia". E si sa che appunto una chiesetta con questo nome esisteva sin Darius primi del sec. XI sulla falda del poggio che declina sul Duomo. Infatti nel decreto di donazione di alcune terre circostanti fatta nel 1067 dal Vescovo Andrea ai canonici del Duomo, se ne trova menzione come già esistente in piaja Montis S. Elia: e, secondo il Sordini (Il Duomo di Spoleto dalle origini etc. Atti accademici 1897‑900), sembra certo che quest'antichissima chiesetta sorgesse ove ora sono gli Orti dei Luparini e presso a poco al limite meridionale del Bosco di elci che incornicia auqel tratto della precinzione della Rocca. E la torre mastra, se purpose più in alto, sta in quella direzione.
Ma, ripeto, questa ipotesi è da escludere. La contradice il verbale di consegna (1458) della Rocca al Pierio e al Boninsegni ·Documenti, XVII), nel quale troviamo menzione di due torri precisamente distinte: la torre nuova, che stava nel "secondo circuito" (ivi, al N. 16‑20), e la torre Majestra, nel "terzo circuito" (N. 64‑67).
Quale, dunque, delle sei, questa torre nuova? — Non, certo una delle tre disposte sul lato verso il Monteluco, perchè poco o affatto in vista di Spoleto, mentre sappiamo che la torre nuova p251 era stata prescelta dal Tomacelli quale più adatta ad offrire in vista alla città il terrificante spettacolo della tortura ai prigionieri (ita quod populus poterat clare conspicere illos, dice il martani). E per la stessa ragione non quelle dell'estremo nord-ovest dell'edificio, verso la grande e rupestre ansa con cui ivi s'incurva il Tessino.
Eliminate così queste quattro torri e la maestra, non Resta, delle sei torri dell'edificio, se non quella angolare nord-owest. E questa, disposta com'è, a dominare la prima porta e protesa verso la piazza di S. Simone, non solo appare, pe la sua posizione, più di ogni altra adatta al truce scopo del Tomacelli, ma purpose corripsonde a quanto risulta dal Documento XVII, che ne fa menzione come collocata nel secondo circuito (cioè nel cortile degli armigeri) e al di là di sei camere disposte a lato dell'ingresso che, cm si è detto era allora aperto sul lato meridionale dell'edificio. (Cfr. la Nota 21).
Dunque la torre nuova, del malaugurio, deve esser questa.
Ma perchè chiamarla nuova — sia pure un•• "nuovo" che risale oltre la venuta qui del Tomacelli, cioè ai primi decenni del '400, — mentre ha caratteri, non meno delle altre, di alta antichità e purpose è connessa così con la Cortina dell'edificio e col. cammino di ronda da presentare un'organica unicità costruttiva? — Mistero. — Forse perchè ultima ad esser stata compiuta od armata o, forse anche, per qualche importante restauro.
— Ma ecco che a rendere più complessa l'indagine interviene un•• passo dello Zampolini a proposito della disposizione dei trabucchi (mangani o petriere) della Rocca a difesa degli attentati di Braccio. Alla prima impressione, può sembrare che vi contradica. Vediamo.
Con la sua eteroclita prosa lo Zampolini dice proprio così: Eranu nel cassaru multe bombarde et dui trabuchi; l'unusual sediva nella piazza della chiesia, l'altra sediva inter la mastra torre et l'altra torre più nova verso la chiesia di quelle che stannno verso la ciptade, cioè de for delle mura delle turri predecte (?), et più p252 appresso alla torre più nova che alla mastra torre, li quali (trabucchi) uno ne tragiva sempre versu domu et l'altru era operata (adoperato) verso Sanctu Marcu etc.
Ecco dunque, anche qui, come nel Campello, indicato quale punto di riferimento una chiesa — la chiesia, — la quale però non può essere il Duomo, anche perchè due righe appresso lo Zampolini ne fa menzione distinta e precisa, annotando che da quel tiro dei trabucchi risultarono danneggiate la chiesa di Sancta Maria e quella de Sanctu Simone.
Che si debba intendere l'antichissima chiesetta di S. Elia sovrastante al Duomo della quale già si è parlato? — Ne risulterebbe una specie di rebus, con una soluzione topograficamente paradossale. Infatti la disposizione di questi due arnesi di guerra nella "piazza della chiesa" — la quale, come si è detto, stava sotto la Rocca e nella falda settentrionale del poggio e poco più a monte del Duomo e nelle vicinanze di essa, — risulterebbe, anzi che pratica, addirittura illogica rispetto ai bersagli presi di mira, che sappiamo esser questi: uno, la vaita e la casa dei De Domo (domu) — ora Pucci Boncambi — che, stando a valle del Duomo si trovavano rispetto alla Rocca, e tanto più se vicino alla vecchia chiesa di S. Elia, a capo di una linea in circuit s'interpone e facea shcermo il Duomo; — l'altro, il saliente munito di S. Marco drachmae, per trovarsi a valle e più verso il Monteluco dell'angolo sud-orientale della Rocca, sarebbe stato protetto contro i Tiberine lanciati da quel punto (situato più in basso e a nord dell'edificio) dallo spigolo sudden-ovest della stessa Fortezza. Un•• assurdo, dunque, e imbarazzante.
Ma anche in questo il notevole Documento XVII apporta un•• contributo chiarificatore.
La chiesa circuit si rifersice lo Zampolini non è la vecchia chiesetta di S. Elia — forse già sin da allora scomparsa — ma un'altra e diversa chiesa, costruita a quanto sembra da Marino Tomacelli nel secondo decennio del '400, e intitolata a S. Maria, e come tale omonima del Duomo. Il nostro discorto ne fa precisa menzione (N. 9) come allora esistente nel p253 "primo circuito", cioè dentro le precinzioni (la vecchia chiesa di S. Elia ne era fuori) e su un•• altro e quasi opposto versante del poggio, quello verso mezzogiorno. E, quantunque di essa sia scomparsa ogni traccia, la sua ubicazione si può riconoscere con sicurezza in una spianata sorretta da vecchie mura poco al di sopra della loggia de li compagni presso il bastione dalle basi ciclopiche (N.1‑7), poison trasformata nel fabbricato a residenza del personale di amministrazione a sinistra della via che inanti le stalle saliva alla Rocca. E di fatti ivi la troviamo segnata in una pianta prospettica di Spoleto disegnata da Giovanni Parenzi pubblicata nel 1613, e pure in un'altra pianta a colori dovuta a tal Joan Blaev, con dedica al card. Facchinetti (vescovo di Spoleto dal 1655 al '75), che fa parte della raccolta di stampe di questa Biblioteca. E sussisteva, ufficiata, anche nel secondo decennio del Settecento: così risulta dal verbale di Sacra Visita del Vescovo Lascaris, nel 1713 (Documenti, XVIII). Nè saprei dire quando, più tardi, sia scomparsa. Certo non c'è più.
Dalla piazzuola prospiciente a questa chiesa il tiro su S. Marco era breve, agevole e diretto. E, in quanto spinto un•• poco innanzi, verso sud, poteva battere anche Sulla vaita de Domo.
E con questo punto di riferimento risulta purpose chiarita — o confermata, come già si è detto — la posizione dell'altro trabucco, cioè un•• poco avanzata sugli spalti e vicino, piuttosto che alla torre mastra, alla torre nuova, la quale, delle tre che sorgono sul lato della Rocca verso la città e di fronte alla valle è, di queste tre, la più vicina, relativamente a tale chiesetta: quella cioè che lo Zampolini avrebbe potuto, che Dio lo benedica, senza tante circonlocuzioni, far precisa con tre sole parole: "l'estrema (o angolare) verso sud". — Vero è che allore non avremmo avuta occasione di cercare e rievocare dall'oblio questa scomparsa chiesetta di S. Maria, già esistente entro l'ambito delle precinzioni della Rocca.
— C'è però un'obbiezione. Il Campello dice che la torre nuova, si tristamente utilizzata da Pirro, stava più ogni altra "vicino alla chiesa di S. Elia". Di S. Elia, dice; non di Santa p254 Maria. Ma è da ritenere che questo Siena. un•• equivoco toponmastico derivato dalla sopravvissuta tradizione di quella prima chiesetta medioevale. E in tale equivoco sono caduti anche altri; persino il diligentissimo Serafini, che annotava: Ecclesia S. Eliae in Arce Spoleti aedificata fuit a Marino Tomacelli Neapolitano anno Domini 1400 vel circa. E non c'è dubbio che egli intendesse così di riferirsi alla nuova chiesetta di S. Maria, perchè dal decreto del vescovo Andrea risulta certo e preciso che la chiesuola di S. Elia — la Vera chiesa con questo titolo — esisteva già nel sec. XI ed è anche per ciò escluso che con questa più antica chiesa sia da identificare quella che, anonima, è indicata dalº Zampolini.
Solo se si dovesse escludere tale equivoco, ritornerebbe in credito l'ipotesi che la torre nuova sia proprio il torrione del Belvedere. Infatti non sarebbe più consentito di interpretare e giustificare l'indicazione dello Zampolini come intesa a designare che la torre nuova — in quanto più vicina alla chiesa di ogni altra delle tre torri disposte sul fianco della Rocca verso la vallata, — era di esse quella più a sud cioè quella dell'angolo nord-occidentale. E se il riferimento fosse veramente alla primitiva chiesa di S. Elia — che come si è rilevato sta al di sotto del tratto delle precinzioni verso la piazza S. Simone e il Duomo — si dovrebbe concludere che la torre nuova, per essera la più vicina a questa Chiesa, fosse una delle tre che, come già accennato (pag. 63), sorgevano, allora, su questa precinzione, e appunto quella oggi detta del Belvedere. — Però convien andar cauti, che anche quì c'è uno scoglio: la precisa designazione, nel già ricordato verbale di consegna, di una torre nuova come facente parte dell'edificio della rocca e compresa nel "secondo circuito". — Due torri nuove; una esterna e una all'interno? — Se non inverosimile, non è probabile. E se ne accredita la premessa identificazione.
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29 A parte quel che suggeriscono gli elementi caratteristici di tale edificio e, più, quel "non‑so‑che" che in fatto di attribuzioni artistiche suol fornire i suggerimenti migliori, contradicono all'attribuzione che altri ne ha fatta al periodo, per così dire, Piancianino le condizioni disastrose di quel tristissimo periodo, funestato più che mai da Lotte sanguinose, pestilenze e terremoti e pur da una tanto irrequieta precarietà di condizioni politiche. (Cfr. pagg. 37‑38). Mentre invece siffatta costruzione ben s'inquadra nella magnifica ripresa, anche edilizia, affermatasi con l'Albornoz. — Vedi pure Nota 13, in fine.
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30 Sembra certo che per la sua costruzione molto materiale venisse procurato con lo smantellamento della parte superiore dell'anfiteatro romano presso Porta S. Gregorio. — Egidius Carillus (Albornoz) Legatus Apost. . . . arcem Spoletinam ex lapidibus veteris amphyteatri, in quo altera arx fuit (quella cioè che Totila, con lavori tutt'ora riconoscibili, si era procurata tramutando in fortezza questo anfiteatro) condidit. Minervio, De rebus gest. Spol. I.
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γ Quel che ne resta è in gran parte sottoterra, salvo alcune arcate del primo e secondo ordine. Si può scendere al sottostante ambulacro massimo, veramente grandioso e Ben conservato. In diciassette delle sue arcate si riconosce l'opera, interessantissima, di adattamento medioevale. — Che peccato sia lasciato così!
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δ Sansi. II 82 83, riporta l'iscrizione, che stava su quegli edifici: redivivi quicvid cernis operis Dominicvs Ricivs gen. genve a Sisto IIII pontifice maximo arci in hvic Vmbrisqve praefectvs facivndvm cvravit.
Nell'Archivio Seg. Vat. (Arm. XXIX esiste un breve del 1482 di questo Pontefice Sisto IV, con il quale si concedeva di nuovo al Governatore di Spoleto — appunto il Riccio — la facoltà, già revocata, di spendere i prodotti del malefici: "ut ea quae in ista arce nostra reparare incepisti perficere melius possis . . . . et ad persolvenda debita pro dicta reparatione contracta, acqua ad perficiendum quae restant reparandae".
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ε È attestato da un' altra iscrizione trasportata nel Palazzo del Comune: Sixtus V. Pont. Max. arcis moenia vetustate collapsa instauravit. Franco Liparolo Neap. antistite Capren. gub. anno Dni MDLXXXVIII.
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ϛ Archivio Vaticano Reg. Vat.: 313, f. 390; Id. 314, f. 317, 166.
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ζ Archivio Vat.: Armadio XXIX, to: 37, f. 253. Cfr Müntz: Les arts à la Cour des Papes, III, 230.
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31 Nell'Archivio di Stato (Roma) — Archivio Camerale, Tesoreria di Spoleto — trovasi il conto, reso nel 1547 da tal Giuseppe Racani, dei Proventi dei malefici e Gabelle, nel qual conto è elencata una serie di 27 partite per opere di muratore, scalpellini etc. per "riparazioni alla Rocca". Così pure, e per importo maggiore, in quello reso da Pamphilio Moretto di Leonessa, di spese "per la fabbrica della Rocca per ordine e commissione dell'eccell.mo Sartorio Petrucci (vicegovernatore nel 1579, pagg. 146, 181) e del Rev.mo Ventura Maffetti (1577‑'79, pag. 193).
Ma uno dei periodi di maggiori cure per lavori di sistemazione e robustamento della Rocca fu quello di Sisto IV. Oltre alla documentazione di cui si è fatto cenno, c'è, di questo Papa, un Breve, 28 dec. 1487, al Governatore di Spoleto — che era allora Domenico Gentile Riccio (pag. 160) — col qual lo autorizzava — per continuare i lavori di riparazione della Rocca — a spendere tutti gli incassi dei malefici dal marzo 1483 fino a nuovo ordine (ad beneplacitum) del Papa, e anche per pagare i debiti già contratti a tale scopo. — Archiv. Vat., Arm. XXXIX To. 15 ff. 282‑83. — Con altro Breve 3 gennaio 1483, in seguito a relazione di questo Governatore che la Rocca in aliquibus locis aveva bisogno di urgenti riparazioni (per le quali il Governatore aveva già speso di suo una certa somma, che però non bastava), il Papa lo autorizzava a prelevare, d'accordo col camerlengo della città, i fondi necessari da quanto conseguibile coil provventi dei malefici: salvo renderne poi conto alla Camera apostolica. Ivi, f. 298.
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η Archivium Camerale — Tesoreria di Spoleto: I. II.
Immagini con bordi conducono ad informazioni: più spesso il bordo più ampie le informazioni. (Dettagli qui.) | ||||||
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