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Gli Ebrei
a Trevi

Questa pagina riproduce una parte di

Curiosità storiche trevane

di
Tommaso Valenti

pubblicato da F. Campitelli, editore,
Foligno, 1922

Il testo è nel pubblico dominio.

Questa pagina è stata attentamente riletta
e la credo senza errori.
Ciò nonostante, se vi trovate un errore, vi prego di farmelo sapere!

seguente:

[ALT dell'immagine: (collegamento alla parte seguente)]
Oliveti
ed olive

 p95  Le congregazioni delle arti

[ da La Torre di Trevi,
Anno II N. 23 del 30 Ottobre N. 24 del 13 Novembre 1898 ]

I.

Anche nel nostro Comune, come negli altri d'Italia, coloro che esercitavano un'arte o un mestiere, si riunivano in una specie di associazione regolata da un particolare statuto, a tutela degl'interessi della intera classe. Disgraziatamente non abbiamo nel nostro Archivio quasi alcuna traccia di questi statuti delle arti e non si può, quindi, precisare quali fossero le disposizioni in essi contenute: fatta eccezione per quella dei Notari, di cui abbiamo lo statuto del 1o gennaio 1524.

Nello Statuto Vetustiore e nel Recenzioreº del nostro Comune troviamo però alcune Rubriche nelle quali si fa espressa menzione delle diverse arti e delle loro congregazioni. Oltre di che nelle Riformanze dei diversi secoli, troviamo  p96 frequenti deliberazioni a riguardo degli artigiani. Ed altre memorie interessanti e curiose si trovano nel nostro Archivio su questo soggetto, dalle quali traggo le più importanti.

E, cominciando dallo Statuto Vetustiore, troviamo in esso disposizioni relative alle arti nelle Rubriche 45, 46, 47 e 48.

La Rubrica 45 prescrive che gli statuti ed i regolamenti delle arti non debbano contraddire alle disposizioni dello Statuto del Comune.

La Rubrica 46 prescrive che s'intitola De Congregatione artium ci dà la notizia che i Giudici, i Notari e i Medici facevano parte anch'essi della Congregazione delle arti, come del resto, accadeva in ogni Comune. Questi però avevano il privilegio di nominare due Rettori, e questi avevano diritto d'intervenire ai Consigli, come Consiglieri veri e proprii. Le altre arti, quelle cioè che facevano un sol cero per la festa di Sant'Emiliano, non potevano avere che un sol Rettore. Pena 10 libre di denari se avessero contravvenuto.

La Rubrica 47 contiene le disposizioni relative al Cero che le singole arti dovevano portare in onore di Sant'Emiliano, il giorno della Festa.

Per questo cero i Giudici, i Notari ed i Medici, dovevano pagare al Camerlengo della loro arte 10 soldi a testa, a cominciare da  p97 dieci giorni dopo l'apertura o promulgazione dello Statuto. Chi si rifiutava, incorreva nella multa di 20 denari, senza pregiudizio del pagamento della sua quota.

I componenti le diverse Società delle arti si adunavano in S. Francesco, agli ordini del Podestà. I Rettori nominati nelle adunanze duravano in carica un anno, e quelli della Congregazione dei Giudici, Notari e Medici potevano imporre ai loro dipendenti delle pene pecuniarie fino alla somma di 20 denari. Se alcuno si rifiutava pagare rimaneva escluso dalle cariche del Comune, e le scritture del contravventore non facevano più fede. Il Podestà era responsabile dell'esecuzione di queste disposizioni.

La Rubrica 48 prescrive che gli "ordinamenta" delle arti del nostro Comune siano invariabili ed abbiano forza di legge, purchè, ben inteso, non contengano disposizioni che ledano la giustizia della Santa Chiesa, o le costituzioni ducali, o quelle del Comune. Il Podestà che non vigilasse sull'osservanza di quegli "ordinamenta", incorreva nella multa di 10 libre di denaro. Queste disposizioni, contenute nell'antico Statuto trevano, vennero poi riprodotte quasi identicamente nello Statuto più recente.

La Rubrica 45 di questo richiama in vigore l'antica matricola dei Giudici, Medici e Notari,  p98 i quali, sembra, si erano disgregati e vivevano disordinatamente, non prendendo nemmeno più parte tutti insieme — collegiatim — alla festa di Sant'Emiliano, come facevano le altre arti.

La Rubrica 47 ordina che tutti gli artigiani di Trevi, cioè Giudici, Notari, Calzolai, Falegnami, Fornari ecc. che avevano avuto un Rettore prima del saccheggio di Trevi — ante ruptarum castri Trevii possano e debbano unirsi ed eleggere un Rettore. I Giudici, i Medici ed i Notari ne eleggevano due, come sempre.

Le Rubriche 48 e 49 dello Statuto più recente, sono la riproduzione delle Rubriche 47 e 48 del vetustiore, le quali si riferiscono come ho detto, al Cero delle arti ed alla validità degli Statuti e dei Regolamenti delle stesse.

Queste sono le regole fondamentali su cui basavasi tutta l'organizzazione delle Corporazioni d'arti nel nostro Comune. Per ciascuna di esse poi vi erano più dettagliate disposizioni e speciali regole per la fabbricazione, la vendita dei diversi oggetti, per l'esercizio delle diverse professioni e via dicendo.

E di queste particolarità parlerò brevemente.

*

* *

Non è da credere che gli artigiani di quei tempi, quantunque residenti in Trevi, appartennessero  p99 a famiglie trevane. Che anzi risulta da numerosi documenti che la maggior parte degli artigiani dimoranti a Trevi, erano venuti di fuori. E questo afferma Durastante Natalucci;​a ed io ho potuto dai documenti relativi rilevare la verità della sua affermazione fino ai tempi moderni. Infatti, anche nel 1727 troviamo memoria di certi Corradi, venuti a Trevi da Ravenna, per esercitarvi il mestiere di armaiuoli.

Barbieri facevano difetto a Trevi fino dal 1355. Poichè troviamo infatti una deliberazione consiliare di quell'anno, con la quale si pregavano alcuni forestieri di venire a mettere bottega di barbiere a Trevi. E per incoraggiarli si dette loro, nel 1371, l'uso gratuito di una delle botteghe municipali, e un compenso annuo di 30 denari.

Un'industria cessata fin dal '700 era quella dei Broccari, che tenevano la loro fabbrica alla Costarella, presso la strada delle Lagrime. Essi erano tenute a pagare al Comune una specie di canone annuo, e non potevano portare il loro lavoro fuori del Comune, se prima non avevano pagato la gabella, sotto pena di multa.

Bastari vennero a Trevi da Norcia, e tra qui fu un tal Bernardo Rossi, di cui il Natalucci parla nella sua Storia.​b

Calzolai erano assai numerosi a Trevi, ma  p100 erano anch'essi venuti di fuori. Troviamo infatti rammentato un tal Bellucci di Osimo ed altri forestieri. Essi eleggevano il loro Console, e in antico esercitavano una specie di monopolio, pretendendo una somma dai calzolai ambulanti che venivano a vendere scarpe a Trevi. Ma il 1565 parve al Consiglio che questa pretesa recasse danno al pubblico, e perciò proibì quell'usanza.

Calderari fecero istanza al Comune di venire esercitare il loro mestiere a Trevi fin dal 1456, domandando anche l'uso di una bottega, che fu loro concessa.

Candelottari vennero da Terni, e fra questi fu un tal Michelangelo De‑Angelis.

Cacciatori costituivano anch'essi una Congregazione di artigiani, che aveva la specialità di comprendere come dice il Natalucci,​c "varii e diversi individui tanto del ceto delle persone civili e delli artigiani, quanto dei contadini della campagna". Anch'essi portavano il Cero alla festa di Sant'Emiliano. Non potevano essere impediti di andare alla caccia alla lepre; però non era loro permessa la caccia delle quaglie che dal 3 di maggio a tutto giugno. Così deliberava il Consiglio nel 1585.

Fabbri che esercitavano in Trevi il loro mestiere erano in antico venuti da Foligno spontaneamente. Domandarono però al Comune  p101 che desse loro gratis la casa. Ciò accadde nel 1358, mentre precedentemente, cioè il 1354, il Comune aveva assegnato anche una specie di salario per i Fabbri forestieri. A loro accadde come ai Broccari; giacchè avendo voluto nel 1565 imporre una tassa ai venditori ambulanti che portavano lavori in ferro sul nostro mercato, il Comune, nell'interesse del pubblico, annullò questa deliberazione.

Nel 1731 i Fabbri, i Chiavari, i Calderari, gli Armaioli e gli Orologiari si riunirono in una sola Congregazione, e celebravano la loro festa annuale in S. Martino.

Fin dal 1375 eranvi a Trevi i Fabbricatori di panni, che continuarono ad esercitarvi il loro mestiere fino al secolo passato. Abitavano nell'antica casa Venturini, ed avevano illustri diritto all'uso dell'acqua del pubblico acquedotto.

Il 1722 furono chiamati in Trevi per tessere panni alcuni Napoletani, da un tal Francesco detto "il Lanaro" delle Coste.​1 Il principale chiamavasi Cosimo Della Calce. Costui tenne in Trevi una condotta scandolosa, e dovette anche dichiararsi fallito; perciò il 1722 i Tessitori furono espulsi da Trevi.

 p102  II.

L'industria olearia, la principale risorsa del nostro Comune, rimonta ad epoche remotissime. E saggi provvedimenti furono, da molti secoli in qua adottati per tutelarla e favorirla.

Molinari erano una classe speciale d'industriali. Non è molto remota l'abitudine dei possidenti trevani di macinare nei frantoi di loro proprietà le olive raccolte nei loro fondi. Questo lavoro era prima fatto dai Molinari.

E nello Statuto nostro più antico, come nel più recente, troviamo parecchie disposizioni relative a questo mestiere. Come pure le Riformanze municipali dei diversi secoli, più volte rammentano i "Molendinari". Non posso perciò, data l'abbondanza della materia, che riferire le principali di queste disposizioni.

Il 9 gennaio 1355 si deliberava che coloro che volevano aprire un molino da olio ne dovessero far dichiarazione al Podestà. E dopo venti giorni dall'apertura dovevano pagare 15 libre di danaro. Erano obbligati a macinare per chiunque si fosse presentato. La "molinata", in ragione della quale si doveva pagare la molitura era di quattro "coppe". Queste dovevano misurarsi in modo che, su cinque, tre fossero colme e due rase. I Molinari non potevano  p103 ritenere per loro utile la ciancia, o sansa, sotto pena di 100 libre di danaro. La sansa doveva riconsegnarsi al proprietario dell'oliva. Era proibito ai Molinari di riunirsi in società fra di loro, pena 25 libre. Dovevano tener provvisto il loro molino di tutti gli attrezzi necessari, e macinare coi sistemi usati a Foligno, "quae de hac materia locum tenet primum".

Il permesso di aprire un molino si concedeva per una sola volta ogni 20 anni, e chi avesse tentato aprirne un altro, durante quel tempo, per sè o per altri, incorreva nella multa di 24 libre.

Da quell'epoca in poi, 1355, non troviamo nelle Riformanze altre disposizioni, fino al 1394, quando, ai 21 di dicembre si dette permesso ai proprietarii di molini di restaurarli, rammentando ad essi l'obbligo di tenersi ben forniti di attrezzi necessari: fiscole, stanghe ecc. — "Farculas, stangas et alia artificia" — sotto le solite pene pecuniarie.

Più tardi, nel 1457, si ordinò ai Molinari di tenere misure bollate dal Comune, e si prescrisse la lunghezza delle stanghe, le quali dovevano essere almeno due: una di 7 piedi, l'altra di 5. Ciò perchè, usando stanghe troppo corte, la pressione dei torche era minore, con danno della resa in olio. I nostri antichi erano anche meccanici!

 p104  Coll'andar del tempo si modificò anche il prezzo della molitura; e fu portata a 40 denarimolinata, esclusa la zianzia. Se il proprietario lasciava la sansa, la molitura era di 2 Bolognini.

Era anche proibito dallo Statuto l'esportare la sansa fuori di Trevi, senza aver prima pagata la gabella di ½ Bolognino a salma, pena 10 libre. Per una deliberazione del 1438 i Molinari dovevano provvedersi di operai capaci di far bene riuscire l'olio. Se i proprietari delle olive le avessero consegnate stipulando un contratto a cottimo, i nostri Molinari dovevano rendere tant'olio quanto ne rendevano i molini di Spoleto. Era quindi un contratto aleatorio, che a priori, non poteva dar nessuna garanzia di buona riuscita; ma era l'uso dei tempi.

Nel secolo XVI, dopo che il Comune era già il proprietario del molino sul Clitunno, affittava di tre in tre anni quello Stabilimento. Il contratto si stipulava in seguito ad asta pubblica. E nel 1576 fu approvata dal Consiglio una proposta abbastanza curiosa.

Per assicurare al molino del Comune un buon numero di clienti, e per ottenere di conseguenza un maggior prezzo di affitto, si proibì a tutti i proprietari di portare fuori del Comune l'oliva raccolta. E la proibizione durava tre anni, quanto cioè il contratto d'affitto del  p105 molino comunale. Questo così si assicurava un forte lavoro, e il prezzo di locazione aumentava. Questi erano i criteri amministrativi nel 1576!

III.

C'è stato un tempo nel quale i Mercanti, ossia coloro che tenevano bottega di "generi diversi", come bruttamente si dice ora, non esistevano a Trevi, o se vi erano non erano sufficientemente provvisti per i bisogni del Paese. Le comunicazioni difficili, le guerricciole continue tra Comuni vicini influivano certamente su questo stato di cose. Però questo rimonta ai secoli XIIIXIV. Nel secolo seguente cominciarono i Mercanti a mettere bottega a Trevi. Il Mugnonio più volte da me rammentato, scrive sotto la data 1488:

Avanti detto tempo c'era un solo mercante, chiamato Bernardino di Nicola, et da quello tempo non erano più di tre o quattro homini che avessero scudelli e parossi (ossia piatti grandi e profondi) di stagno, et dicto Bernardino sempre teneva una cesta piene di scudelle, de legname, una de scudellini et una de taglioni (forse taglieri) et quelli prestava ad quilli volivano fare le nozze. Dalle 1448 in qua sono stati mercatanti fino ad otto".

 p106  Speciali disposizioni statutarie regolavano la posizione giuridica dei commercianti fino dai tempi anteriori al Mugnonio. Infatti la Rubrica 81 del libro 2o dello Statuto più antico di Trevi dispone: Quod credatur libro mercatorum. E in forza di questa, i libri dei commercianti dovevano far fede in giudizio fino alla somma di 40 soldi di danaro, come fossero un istromento pubblico. Se poi i libri erano stati approvati dal Consiglio dei XVIII, potevano far fede ogni anno, dopo accurato esame dei libri. Se in essi si fosse trovata qualche falsità, il Consiglio doveva deplorarla, salvo poi al Podestà il dovere di punirla, a norma dello Statuto, applicando le pene stabilite per i falsarii.

E queste, che erano severissime, sono contenute nella Rubrica 128 dello stesso Statuto nel Liber Maleficiorum.

Per chi falsificava o faceva falsificare atti privati, come per chi ne faceva uso, vi era la pena di 200 libre di denaro, e dell'infamia perpetua. Se si trattava, invece di scritture pubbliche la pena era di 300 libre di danaro, e il reo dovea esser messo in berlina con la Mitra del falsario, ed esser pubblicamente frustato. "Mitrietur et fustigetur per Terram Trevii". Dopo di che veniva espulso dal territorio del Comune. Nè la pena finiva lì. Che se, per caso, il reo poteva ricadere sottostante le mani delle Autorità  p107 trevane — in fortiam Comunis — gli veniva tagliata la mano destra. E tutto ciò senza pregiudizio dei danni da pagarsi alla parte lesa.

I crediti dei Mercanti, per una deliberazione del 1458, si prescrivevano nel termine di sei anni.

Coll'andare del tempo anche la piazza di Trevi migliorò le sue condizioni per l'accorrere dei commercianti dei vicini Comuni. Tanto che nella prima metà del secolo passato Durastante Natalucci scriveva che Trevi era fornito di tutto. Ed i Folignati erano quelli che specialmente esercitavano in Trevi il commercio dei "generi diversi". Essi però non avevano qui stabile dimora; ma vi si recavano a preferenza nei giorni di mercato. Solo nel 1709 tentarono di chiudere le loro botteghe, per non pagare la gabella, o tassa d'esercizio, che il Comune, con deliberazione del 1o gennaio di quell'anno aveva imposto.

Gli Osti, che erano anche Albergatori, hanno esercitato in Trevi il loro mestiere fino dalle più remote epoche, come dovunque. Nè la loro professione era regolata da speciali disposizioni, che meritino di essere ricordate.

Antichissima è l'Osteria di Borgo; troviamo infatti una deliberazione consiliare del 1378, in data 30 maggio, nella quale si discusse e si accolse la domanda dell'oste di Borgo per avere  p108 in prestito dal Comune un certo numero di letti per i forestieri, che numerosi passavano per la strada Romana o Flaminia.

Nel 1562 il Comune prescrive agli Albergatori di Borgo di tenere affissa nel loro esercizio la Tariffa dei commestibili.

Ed in vista, forse, degli straordinari guadagni che gli osti di tutto il Comune si procuravano nella rivendita del vino, il Consiglio deliberava, il 1566, che tal guadagno non dovesse essere maggiore di 3 Giulii a soma. In che modo però questa disposizione venisse effettuata e con quali mezzi di controllo, non ci sono documenti che lo dimostrino.

IV.

Bifolchi formavano a Trevi una delle più numerose Congregazioni; nè poteva essere altrimenti in un Comune come il nostro, che in antico e al presente ha sempre avuto nell'industria agricola l'unica risorsa economica. E i Bifolchi che rappresentavano appunto questa benefica industria avevano, a titolo di doveroso riguardo, la precedenza sugli altri artigiani, nella processione di Sant'Emiliano.

Era loro permesso di portare nei giorni di lavoro una piccola scure (accettìno), purchè non  p109 superasse la lunghezza di tre palmi! Eleggevano per i loro atti pubblici e privati un Notaro speciale. E del resto l'esercizio dell' agricoltura era regolato come quello delle altre arti, a norma dello Statuto.

A quelle che ho fin qui enumerate devonsi aggiungere altre arti di minore importanza, ma che avevano a Trevi i loro rappresentanti fin da tempi più remoti.

E così i Salnitrari, che venivano dalla Marca, i Macellari, gli Ortolani, i Pizzicaroli, i Funari, i Doratori, i Lanari, i Materazzari, i Sarti, i Segatori, i Vetrari, i Vetturali, i Tabaccari ecc. Ma sarebbe troppo lungo il parlare di tutti e forse non molto interessante, giacchè la maggior parte di questi artigiani non erano disciplinati con speciali disposizioni; nè le antiche carte ci somministrano documenti importanti che in modo particolare si riferiscano ad essi. Chiudo, quindi, questi brevi cenni sulle Congregazioni delle Arti, con qualche notizia intorno ai Notari, che, e l'ho già accennato altra volta — erano compresi fra gli esercenti le arti.

Avevano a Trevi, come in molti altri luoghi d'Italia, il diritto al titolo di Ser, e venivano chiamati anche giudici ordinari perchè avevano facoltà d'intervenire con un loro decreto nei contratti.

Notari a Trevi erano, nei tempi andati,  p110 molto più numerosi che non ora. Infatti nel 1524 se ne contavano trentacinque. Il loro numero però andò scemando col tempo: tanto che nel 1700 non erano più di sette.

Oltre alle disposizioni contenute nello Statuto del Comune i Notari dovevano obbedire a quelle che da loro stessi furono votate nel 1488, quando fu anche fatta la loro matricola. Narra infatti il Mugnonio, che nel "1488 et addi 27 gennaro, la vigilia de Santo Miliano fo facta congregazione dei giudici e notari in casa de Ser Io: Gabino. Lì furono fatti i capitoli et matricola de notari et io Francesco fui autore et principio ad fare et dittare et comporre ditti Capitoli et Ser Io: Gabino rogato".

Questi capitoli furono poi approvati dal Consiglio il seguente anno 1489, e modificati il 1524 per opera di Agostinangelo Natalucci.

Come ho detto altra volta, lo Statuto Trevano disponeva che i Notari si eleggessero due Rettori e un Camerlengo e che facessero il Cero per la festa di Sant'Emiliano. Nessun Notaro poteva esercitare la sua professione se non era approvato dal suo collegio. I Rettori dei Notari avevano facoltà d'aggiustare le liti in materia civile, con competenza limitata ad una certa somma. Per essere ammessi nella Congregazione dei Notari dovevasi anche pagare  p111 un Fiorino e prestare giuramento e farsi iscrivere nella matricola. Era proibito ai Notari esercitare arti meccaniche. Dovevano pagare le gabelle loro imposte dai Rettori, ed accompagnare alla sepoltura ogni loro collega che morisse.

Nelle feste dei quattro Santi Dottori principali della Chiesa non potevansi rogare atti pubblici, come pure in nessun altro giorni festivo.

I diritti dei Notari erano regolati da una speciale tariffa, che nel secolo XVIII fu uniformata a quella di Foligno.

Per i Notari che si rendessero rei di falso erano applicabili le pene sancite dallo Statuto trevano.

Per spiegare in qualche modo il numero straordinario di Notari che esercitavano nel nostro piccolo Comune la loro professione nei tempi andati, mi pare opportuno rammentare che l'ufficio del Notaro non era di quei tempi limitato alle attribuzioni che sono oggi proprie di questi pubblici ufficiali. È ancora controverso nella storia del nostro diritto quale sia l'origine vera del notariato, come ora s'intende: è certo però che in antico bastava forse il saper leggere e scrivere latino per essere annoverato fra i Notari, i quali potrebbero forse chiamarsi oggi più propriamente Segretari, o Cancellieri.

E che così dovessero stare le cose, ce lo  p112 prova la consuetudine invalsa fra quasi tutte le arti e i pubblici ufficiali di nominarsi ognuno un Notaio speciale.

Infatti, il Podestà ne aveva uno fino dal 1338; e più tardi, cioè il 1394, gli fu imposto l'obbligo di tenerne due, a condizione che non fossero Trevani. Uno di questi era il Notaio dei Maleficî, la competenza del quale era determinata dallo Statuto, nel libro de' Maleficî. Il Consiglio generale eleggeva un altro Notaro per le cause civili, detto anche l'attuario; e nel 1375 fu deliberato che fossero due e duravano in carica due mesi.

La Confraternita del Suffragio aveva un Notaro suo, e così i pacieri delle balle, l'ufficiale delle cavatine — ossia della bonifica dei terreni paludosi — e così pure tanti altri pubblici ufficiali ed enti morali.

Ma non mi è possibile in queste poche righe riassumere tutto quanto può riferirsi all'importante istituzione dei Notari. Sono perciò costretto a far punto augurandomi che l'interessante argomento venga più profondamente da altri studiato.

V.

Non trovo, purtroppo, memorie dei Tipografi a Trevi. Eppure la nostra piccola Città ebbe la fortuna di essere la quinta, dopo Subiaco,  p113 Roma, Venezia e Milano, ad avere una tipografia. Soltanto i bibliofili — credo — sanno che un Giovanni Reynhart, tedesco, impiantò a Trevi una tipografia nel 1470. Poi si trasferì in Roma. Parlano di questa, che è una delle glorie trevane, i principali autori di bibliografia antichi e moderni.

Ne scrisse l'illustre Comm. Mons. Faloci Pulignani in un opusculo edito nel 1882, trattando "Della storia del perdono d'Assisi stampata a Trevi nel 1470".

Ma neanche il Faloci trovò documenti nei nostri archivi. Forse potranno essere andati dispersi; visto che, il volume contenente le "Riformanze" del 1470 è incompleto; circostanza che sembra sfuggita al Faloci.

In ogni modo è bene che di questo primato che spetta a Trevi nell'arte tipografica resti e sia rinnovata qui la memoria.​2


Note dell'autore:

1 Un campionario delle stoffe che uscivano dalla fabbrica trevana di panni, trovasi presso lo scrivente.

2 Nel mio esemplare del libro trovo qui la seguente nota manoscritta:

Nota. Dopo la pubblicazione di questo libretto, lo scrivente riuscì a trovare nell'Archivio Notarile di Trevi una serie di otto documenti, relativi alla tipografia trevana. Furono pubblicati in "La Bibliofilia" di Olschki (1924) col titolo "Per la storia dell'arte della stampa in Italia". La più antica società tipografica — Trevi/Umbria/1470.

T. V.


Note di Thayer:

a Durastante Natalucci, Historia universale. . ., p938 del manoscritto (nell'edizione stampata a cura di Carlo Zenobi, p639):

Sendo le fameglie de' forastieri abitanti dentro di Trevi oggigiorno la maggior parte d'artegiani . . .

b Ib., p939 (p640):

Nell'arte de' bastari: Bernardo di Domenico del quondam Giuseppe Rossi oriundo da Norcia (Canc. com. in cat. cur. foren., f.51 et Franc. Cell. in rog. 1688) . . .

c Ib., p940 (p641):

Nel numero de' cacciatori — che non ponno essere impediti nel prendere le lepri (Ex rif. 1547, f.188) e non possono far la caccia delle quaglie che passato il terzo giorno di maggio (Ex rif. 1585, f.137) fino a tutto giugno (Ex d. rif., f.133) — varij e diversi, tanto del ceto delle persone civili e delli artegiani, quanto de' contadini della campagna.


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Pagina aggiornata: 28 mar 16