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Notizie Storiche e Laudi

della Compagnia di Disciplinati
di S. Maria Nuova e S. Croce
nella Terra di Fratta (Umbertide)

stampato ad Umbertide, 1899
ripubblicato dalla Pro-loco di Umbertide, 1998

Il testo è nel pubblico dominio.

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Notizie Storiche e Laudi
della
Compagnia di Disciplinati

di S. Maria Nuova e S. Croce
nella
Terra di Fratta (Umbertide)

 p5 

. . . . . non sia inutile avere evocato il ricordo di quella gente poverella dei flagellanti che alla nostra contrada fu già viva fonte di puri entusiasmi che non ebbe altra fede che il sacrificio, altro amore che i poveri, altra patria che il Cielo.

Gradassi Luzi — Ricordo di Terni 1886.

. . . . . le nostre confraternite furono pel passato molto benemerite delle arti delle lettere della beneficenza della civiltà sicchè è molto interessante occuparsene ampiamente specialmente studiandone le vicende nei secoli XIIIXIV e di quei tempi specialmente studiandone i documenti, inventari, laudi etc. . . . . .

Dalla recensione dell'Opera del Gradassi Luzi "Gli antichi statuti della Confraternita della Misericordia di Terni" Archivio storico per le Marche e per l'Umbria Pag. 815 anno 1885 Volume III Fascicolo VIIVIII.

Il Castello della Fratta dei figli di Uberto (Umbertide), trentaquattro chilometri soltanto distante da Perugia alla quale era stato sottomesso fino dal 1189 dal Marchese Ugolino di Castiglione,​1 doveva ben presto risentire gli effetti di quella subitanea commozione religiosa accesasi nel 1258 all'apparizione del vecchio Eremita Raniero Fasano. Giacchè erasi da poco formata in quella città la prima compagnia di Disciplinati o Battuti al nome di Gesù Cristo (1258‑1260)​2 e  p6 già troviamo che tale pia pratica aveva varcato i confini d'Italia ed erasi dilatata in Provenza​3 in Germania e fino in Polonia sicchè mezza Europa fu invasa da questo esercito di deliranti, finchè l'ultimo fiotto andò a rompersi nei lontani lidi della Scizia.​4

Non conosciamo la data precisa del sorgere della Compagnia dei Flagellanti in Fratta e l'anno in cui fu canonicamente sanzionata, ma non crediamo d'essere in errore fissandola sul finire del secolo XIII o sul principiare del seguente poichè il primo documento che possediamo e che ci attesta della sua esistenza, consistente in un privilegio concesso da Pietro di Rosso Gabrielli trasferito nel 1326 dalla sede Episcopale di Fossombrone a quella di Gubbio sua patria, porta la data del 1337.

Che se taluno osservasse esservi forse troppo lasso di tempo fra il sorgere della prima compagnia di Battuti in Perugia e il costituirsi della nostra rispondiamo: che se presso di noi tali istituzioni non furono avversata dai Rettori di quella maggiore comunità (come lo furono in altre parti di Italia e fuori)​5 i quali anzi coltivarono ed eccitarono quel risveglio religioso sperando che questo contribuisse a mettere pace tra guelfi e ghibellini mentre essi in quelle circostanze non eran disposti ad impegnarsi in una guerra nè per gli uni nè per gli altri;​6 furono però sempre guardate con occhio sospettoso dall'autorità Ecclesiastica la quale, timorosa che esse porgessero esca al sorgere di nuove eresie, ne andò decretando e promuovendo lo scioglimento.​7

È poi anche da aggiungersi che dovette passare alquanto tempo prima che, quetato il subitaneo fervore che aveva spinto confusamente fuori dei casali, dei presbiterii, dei tugurii dei palazzi, patrizii, plebei e sacerdoti ad andare processionalmente per le strade e per le piazze e di paese in paese percuotendosi con fruste di cuoio (scope) fino sangue implorando con gemiti e lacrime la divina misericordia, dovette passare alquanto tempo, ripetiamo, prima che si andassero  p7 lentamente ordinando e raccogliendo nelle Parrocchie a forma di Confraternite laiche rette da uno statuto.

Il contenuto del breve già citato del Vescovo di Gubbio per il quale si concedono 40 giorni d'indulgenza a favore di tutti coloro che daranno aiuti (pia juvamina elemosinaque ac grata charitatis subsidia) per condurre a termine la fabbrica iniziatasi dell'ospedale, non deve trarci in errore facendo apporre all'ordinarsi della nostra confraternita una data assai vicina all'anno in cui il privilegio fu concesso, poichè se è vero che nei nuovi capitoli della Compagnia stabiliti nel 1567 ma che di poco dovevano scostarsi dai vecchi statuti andati disperatamente perduti e dei quali abbiamo solo un cenno negli inventari redatti da Vanne di Ceccolo di Agostino a dì primo Gennaio 1341 (carta capitulorum et regulae fraternitae) viene dichiarato che l'attendare alli spedali et ricevere li poveri forastieri è il fondamento; e l'ufficio dello Spedaliere è detto il principale officio della compagnia; pur tuttavia è certo che le limitate rendite appena sufficienti all'esercizio delle pie pratiche di religione e all'elargizione di qualche rara elemosina in danaro, in pane e legumi,​8 non avrebbero potuto rendere possibile l'impianto dell'ospedale (e il breve di sopra citato ne fa ampia fede) se non fosse intervenuto qualche fatto straordinario che avesse reso possibile l'inizio dei lavori.

Questo fatto deve ricercarsi più che nell'ardore delle prediche di frate Venturino da Bergamo (1334) le quali dalla vicina Toscana dovevano aver avuto una ripercussione nelle nostre località perchè fecesi anche allora, se non eguale alle prime, certamente una gran commozione di popoli​9 devesi ricercare nel fatto di qualche lascito straordinario che possiamo in qualche molto stabilire.

Nell'inventario infatti più sopra citato si trovano notati tra gli unici beni immobili posseduti dalla fraternita l'Oratorio (Domus oraculi) e una Domus sita in burgo inferiore de Fracta quae olim fuit Petri fabri cui a duobus vie publice et ab (alio) haeredes Simoni Gionis et (ab alio) Ranutius Partutii.

 p8  Questa casa molto probabilmente è quella stessa che nell'anno 1337 si cominciò a trasformare in ospedale secondo le disposizioni testamentarie lasciate da mastro Pietro fabbro a noi ignote perchè l'archivio notarile comunale solo cogli atti di messer Giunta Loli nel 1374 e non troviamo nell'archivio della fraternita documenti anteriori al 1337. A questo punto potrebbe porsi in campo una obbiezione e cioè che nel breve più sopra citato del Vescovo Pietro parlandosi dell'ospedale si dice: Quod ad laudem Dei et pauperum subsidium est inceptum, colle quali parole sembrerebbe si volesse accennare ad una fabbrica ex novo; ma se si pone mente al fatto che meno di 3 anni dopo e cioè nel 1340 in un successivo breve emanato dallo stesso Vescovo si viene a concedere un nuovo privilegio in subsidio pauperum confluentium ad hospitale et ad alios pios usus hospitalis praedicti; è facile comprendere come la costruzione dell'ospedale in quell'epoca già dovesse essere finita, ciò che sembrerebbe impossibile dati gli scarsi mezzi e le piccole entrate della fraternita e la discreta ampiezza del fabbricato qualora si fosse trattato d'una fabbrica ex novo e non di un adattamento ad ospedale d'una casa già costruita.

Del resto la enumerazione dei beni immobili appartenenti ai nostri disciplinati fatta dal diligente Camerlengo Vanne di Ceccolo non ammette dubbio che si trattasse della trasformazione per quel pio uso della casa quae olim fuit Petri fabri.

Con queste ultime parole indicanti un avvenuto passaggio di proprietà, come noi supponiamo a titolo gratuito, intese Vanne dare un semplice accenno di ciò che doveva essere ben noto ai confratelli; mentre con più accuratezza, andò notando nel redigere l'inventario dei beni mobili spettanti alla compagnia, quelli che furono o semplicemente regalati (emit de suis denariis et donavit fraternitae) o donati in suffragio delle Anime dei defunti parenti del donatore (habuimus ab Artinello pro anima Nute Iacomelli) e quelli che furono  p9 acquistati per conto della confraternita (reddidimus sibi denarios quos expendidit).

Un'altra considerazione che può aiutarci a stabilire l'antichità della nostra confraternita, la quale già nel 1341 doveva contare vari anni di vita, si è quella che congregato in quell'anno il capitolo della Confraternita ordinatus et reformatus fuit che si eleggesse un Camerlengo il cui ufficio dovesse durare fin che paresse al capitolo dei confratelli di revocarlo, e che questo officiale avesse l'obbligo di tenere l'inventario delle cose appartenenti alla compagnia, e il registro delle spese e dell'entrate, et officium faceret secundum formam dicti ordinamenti et reformationis; e tali riforme debbono indubbiamente riferirsi ad uno statuto di vari anni anteriore all'epoca in cui queste furono redatte.

In ogni molto il supporre la istituzione dell'ospedale posteriore di qualche tempo al costituirsi della fraternita e in occasione di un lascito ad hoc non è cosa straordinaria; ma confortata dall'osservazione di quanto avveniva presso le compagnie di Disciplinati delle altre città,​10 ed è poi cosa naturale che i lasciti tardassero alquanto tempo a venire in favore di questa istituzione circondata dalle diffidenze dell'autorità Ecclesiastica e dalle incertezze e dubbiezze che trae sempre con se il costituirsi di una cosa nuova.

La nostra confraternita prese il nome di S. Maria Nuova dalla piccola chiesa ove i fratelli si adunavano per attendere alle pie pratiche di religione e recitare laudi e uffizi drammatici. La chiesa era situata nel borgo inferiore della Fratta fuori di porta Romana, ove numerose sorgevano le officine dei fabbri, officiata da pochi monaci appartenenti all'Ordine Eremitico di S. Agostino, i quali nel costruirla verso la metà del secolo XIII11 facilmente adottarono quel nome per distinguerla da altra che sorgeva fra la Pieve di S. Erasmo e  p10 la chiesa di S. Andrea chiamata S. Maria de' Meriti di Castel Vecchio (a Castre Veteri).​12 Non sarebbe neppure fuori di luogo la supposizione che quei pochi Eremiti fossero una emanazione o meglio una colonia degli Eremitani di Gubbio nella cui diocesi era ed è ancora compresa la Fratta; i quali avrebbero data alla nostra, quello stesso nome che avevano imposto alla loro chiesa in Gubbio, resa celebre dall'affresco del Nelli, e che in quello stesso turno di tempo avevano costruito entro le mura ma non molto lontano dalla chiesa, ospedale e convento di S. Agostino situati fuori di Porta Romana.

Il sorgere poi della chiesa fuori delle mura e presso all'antico e grandioso ponte sul Tevere era consentaneo agli scopi degli eremiti i quali se non furono talvolta alieni dalla buona tavola e dalle liete brigate​13 si mostrarono però sempre benefici esercitando l'ospitalità in conventi costruiti per lo più presso i ponti come luoghi più pericolosi ai pellegrini nei viaggi e presso le porte come luoghi più frequentati dai viandanti i quali colti dalla notte non potendo entrare in città si trovavano obbligati a restarne al di fuori.​14

La preferenza dimostrata dai Disciplinati per le chiese e per gli ospedali (ove questi già esistevano) appartenenti all'Ordine Eremitico di S. Agostino è un fatto assai comune in quel tempo, facilmente originato dalla circostanza che gli Agostiniani non erano alieni come già si è detto, dall'esercizio della beneficenza​15 però se per la mancanza di documenti non è dato a noi il sapere a qual titolo i nostri Disciplinati ottennessero la cessione della chiesa ove si adunavano, è certo che i rapporti fra i nostri Disciplinati e gli Eremitani di S. Agostino se furono frequenti al sorgere della Confraternita divennero ben presto assai scarsi tanto, che già fin dall'anno 1341 l'uffiziatura della chiesa veniva affidata, almeno nei giorni di feste solenni, ad ecclesiastici appartenenti a vari ordini religiosi,​16 mentre nelle domeniche sembra venisse affidata ad un proprio cappellano.​17 Nei primi poi del Secolo  p11 XVI l'ufficiatura della chiesa era stata definitivamente concessa ai frati del vicino convento di S. Francesco, e in seguito ad uno speciale cappellano retribuito con la somma annuale di scudi 30 dei quali 10 da rimuoversi ad arbitrio della fraternita, con l'obbligo espresso di fare la scuola ai fanciulli del paese; e solo eccezionalmente troviamo nei libri contabili, che vanno dal 1504 al 1559 e dal 1608 al 1656 (nel quale anno il convento degli Agostiniani, costruito nel 1616 nella contrada di Castel Nuovo con licenza del Consiglio generale di Perugia e sotto la sorveglianza del conte Guido Ranieri, fu dal papa Alessandro VII (Ghigi) soppresso); qualche elemosina di grano e qualche corresponsione in danaro passata agli Eremiti di S. Agostino per messe dette all'altare di S. Croce.

Il nome di Confraternita di S. Maria Nuova fu mantenuto fino al 1338 nel quale anno avendo il Papa Benedetto XII concesso un'indulgenza di 40 giorni a coloro i quali avrebbero visitato l'oratorio e l'ospedale in giorni prestabiliti tra i quali quello in cui la chiesa fu dedicata a S. Croce (in die dedicationis Ecclesiae sanctae Crucis); appare chiara la ragione per cui in un successivo breve emanato due anni dopo dal Vescovo Pietro di Gubbio venga chiamata fraternita dei Disciplinati di S. Maria Nuova e di S. Croce.

Il Canonico Guerrini​18 e il Professor Lupatelli​19 il quale facilmente desunse la notizia dall'opera del primo asseriscono che la confraternita prese definitivamente il nome di Compagnia di S. Croce nel 1566 quando fu aggregata per la prima volta alla compagnia di S. Girolamo della Carità di Roma; ma noi non crediamo ciò esatto avendo rilevato dai pochi documenti rimastici che già fino dai primi del secolo XVI non venisse chiamata altrimenti.

Solo per breve tempo, durante l'occupazione francese e cioè dal 1798 al 1814 cambiò il proprio nome in quello di Compagnia del Sacramento in S. Croce all'unico scopo di sfuggire alla minacciata soppressione della fraternita e tale scopo venne completamente raggiunto in virtù dei buoni uffici  p12 del Presidente della Comunità Reggiani il quale appoggiò colla sua autorità la dichiarazione fatta dai Priori della Confraternita di avere per principale obiettivo il servizio speciale della chiesa di S. Croce tendente a promuovere nella medesima nella più decorosa maniera il divin culto.

In base ai documenti rimastici è dato a noi stabilire che la chiesa ove i fratelli si radunavano per attendere alle loro pratiche religiose doveva essere ben piccola e cioè limitarsi a quasi un terzo dell'attuale, poichè sappiamo che dinanzi alla chiesetta sorgeva un porticato (trasenda de fuora della chiesa) riattato nell'anno 1536 e demolito nel 1556 quando la chiesa subì un primo ingrandimento (acrescimento de la ciesa) per il quale venne occupato un muro di proprietà dei frati di S. Francesco. Nello schizzo a penna della Fratta di Perugia fatto da Cipriano Piccolpasso tra il 1559 e il 1568,​20 si vede la chiesa di S. Croce dopo questo primo ampliamento. Nel 1606 subì un secondo ampliamento per eseguire il quale venne domandata alla Comunità ed ottenuta la licenza di poter occupare alquanto terreno pubblico nella piazza di S. Francesco o prato de' Frati, come allora chiamavasi; per la lunghezza di 6 piedi e per la larghezza di 4 per eguagliarne la facciata.

Nuovi lavori vennero fatti nel 1635 ed ultimati nel 1647 per i quali venne la chiesa ridotta nello stato attuale, avendo i Conventuali di S. Francesco conceduto in vendita nuovo terreno, dietro istanza firmata da tutti i fratelli, per costruire il campanile e la sagrestia. Tali lavori furono eseguiti sotto la direzione dei concittadini Bernardino Sermigni e Filippo Fracassini e per opera del maestro muratore Baldino di Pasquino Milli e dei suoi figli Antonio e Niccolò.

Queste notizie relative alla piccolezza della chiesa ci sono necessarie per comprendere le ragioni del privilegio concesso  p13 dal Vescovo di Gubbio per il quale tra l'altro si permetteva alla compagnia di poter fare celebrare i divini uffizi januis seu hostiis apertis, privilegio confermato nel 1352 da Giovanni Vescovo di Camerino con breve spedito nel convento di San Francesco di Fratta, facilmente in atto di visita. Tuttavia una nota fatta in margine d'una copia della bolla del Vescovo Giovanni esistente nell'archivio della fraternita e tolta dal Sinodo di Monsignor Alessandro Sperelli (ex sinodo diocesana Sperelli foglio 152) spiega oltre il fatto di trovarsi questo privilegio conesso dal Vescovo di Camerino e non da quello di Gubbio, anche la causa del privilegio e diversamente da quello che noi pensiamo.

"È da notarsi che questa indulgenza fu data dal Vescovo di Camerino che allora era Vicario Generale del Vescovo di Gubbio chiamato fra Giovanni di Morlacco Fiorentino religioso dell'Ordine dei Minori di S. Francesco, perchè questo partì da Gubbio e andato in Fiorenza ivi morì; e per esso governò la Chiesa di Gubbio il detto Vescovo di Camerino in qualità e col titolo di Vicario Generale. La causa poi della partenza di fra Giovanni di Morlacco Vescovo di detta Città fu perchè essendo egli molto rigoroso nell'esigere i canoni e laudemii dei beni livellarii della Chiesa e nel concedere le nuove investiture il popolo di Gubbio gli tolse le scritte e le brugiò e peròº fu interdetta la città ed atteso tale interdetto fu conceduto all'Ospedale dei Disciplinati il poter celebrare i divini uffizi a porte aperte."

Tralasciando di occuparci delle cause più o meno certe della fuga del Vescovo Giovanni cause alle quali l'Oderigi Lucarelli non acenna, ma che forse più che nel rigore usato nell'esigere le rendite della Mensa Vescovile dovrebbero ricercarsi negli avvenimenti politici che si andavano svolgendo durante il governo di Giovanni Gabrielli che da solo due anni si era reso colla forza Signore di Gubbio e la teneva in nome della fazione Ghibellina​21 noi non crediamo che il privilegio concesso alla fraternita possa avere per motivo (almeno unico)  p14 l'interdetto onde fu colpita Gubbio, ma principalmente la piccolezza della chiesa. Poichè pur ammettendo che in causa del suaccennato interdetto fosse dal vicino contado di Gubbio maggiore l'afluenza dei fedeli desiderosi di ascoltare i divini uffizii pure giova credere che tale concorso non fosse tanto numeroso, abbenchè il territorio dell'antica Fratta si estendesse poco al di là delle mura, e ciò a causa della distanza e della scarsità dei casali, tanto più che tra quel di Gubbio e la terra di Fratta si estendeva il feudo dei Conti Ranieri; per cui nullo sarebbe stato il vantaggio e rimarrebbe poi assai difficile spiegare la ragione per la quale si trova questo privilegio già concesso dal Vescovo Pietro di Gubbio quindici anni prima (1337).

Quest'ultimo breve già più volte formò oggetto delº nostro studio; ora è prezzo d'opera rivolgere la nostra attenzione al privilegio concesso tre anni dopo (1340) dal medesimo Vescovo, con il quale privilegio si veniva a permettere ai Priori della Confraternita di potere fare quietanza fino al valore di 25 libbre di danari Ravennatensi od Anconitani​22 delle cose mal tolte incerte (male ablatis incertis) allo scopo di venire in aiuto alla Compagnia affinchè potesse accogliere tutti i poveri affluenti all'ospedale e adempiere a tutti gli altri pii usi (in subsidium pauperum confluentium ad hospitale et ad alios pios usus hospitalis praedicti).

Questa concessione fatta in favore di un ospedale di Disciplinati di ricevere cioè fino ad un dato valore il male tolto di cui incerto fosse il proprietario appare storicamente naturale e come quasi ad essi specialmente e preferibilmente dovuta. Infatti uno dei principali sebbene poco duraturi effetti della commozione religiosa avvenuta nel 1258, da cui originarono tutte le varie compagnie dei Frustati, si fu quello di innumerevoli restituzioni del mal tolto; oltre al cessare degli odi, al ritornare della pace e della concordia, alla restituzione della patria ai fuorusciti, e alla conversione di usurai, meretrici e ribaldi.

 p15  È poi da aggiungersi che già covava (1340) sotto le ceneri quel nuovo risveglio religioso che sotto il nome di devozione dei Bianchi doveva improvvisamente diffondersi nel 1399 per la penisola, venendoci dalla Spagna secondo alcuni, e secondo altri dalla Francia, dall'Inghilterra o dalla Scozia;​23 del quale risveglio religioso già si era avuto un primo e formidabile scoppio nel 1258 per opera dell'eremita Raniero Fasano, ed un secondo nel 1334 dovuto a frate Venturino da Bergamo e questo stava per essere seguito dal terzo (1349) che ci doveva venire dalla Germania sconsolata dalla scomunica, spopolata dalla terribile peste che devastò l'Europa col nome di Morte Nera (1348).​24

A questa nuova, ma quarta della serie, commozione dei Bianchi (1399) somigliante nella forma esagerata e fanatica del sentimento religioso,​25 e nei molteplici e buoni effetti all'altra che si era veduta nel precedente secolo, sappiamo non essere stata indifferente la nostra Terra dalla quale si partirono molte brigate e a tutte fu provveduto dal vicino Comune di Città di Castello, di pane, vino e alloggio.​26

Considerando la tristezza dei tempi nei quali la miseria, acutizzata dalle pestilenze divenute intermittenti al pari delle carestie e delle guerre, doveva rendere i furti specialmente campestri, un fatto considerevole se non per l'entità, certo per la loro frequenza; e considerando il rifiorire e il riaccendersi a brevi intervalli e in molto, se così anche vuolsi, esagerato del sentimento religioso in ogni classe sociale; la concessione fatta dal Vescovo di Gubbio ai nostri Disciplinati doveva essere di non poco giovamento alle finanze della Compagnia.

E che fosse necessario venire in qualche molto in aiuto alle meschine rendite della Confraternita nostra, lo apprendiamo dagli inventarii e dai registri delle entrate e delle uscite più volte citati dai quali appare come la Compagnia  p16 verso la metà del secolo XIV non possedesse in beni immobili che "una Domus oraculi" e "una Domus quae olim fuit Petri fabri" entrambe "positae in burgo inferiore de Fracta" e poche suppellettili ad uso della chiesa e alcuni oggetti e biancherie di pertinenza all'ospedale, e avesse una rendita annuale inferiore alle lire 300 in nostra moneta.​27 Non aveva ancora avuto principio quella sequela di pestilenze della prima delle quali ce ne fu lasciata descrizione dal Boccaccio (1348), e che dovevano esser causa "per testamenti fatti nella mortalità" di grandi ricchezze per le Confraternite,​28 come il timore del finimondo sul finire del secolo XI lo era stato per gli enti ecclesiastici.​29

A formare in questa epoca la parte attiva del bilancio della fraternita concorrevano: le spontanee oblazioni all'altare nelle domeniche e nelle principali feste dell'anno, le multe pagate dai fratelli che non intervenivano alle funzioni religiose prescritte dalle loro costituzioni (punctaturae) e una corrisposta (lanpossta)º di 12 danari al mese (per impositioneº expensarum ad ratam XIJ denariorum pro qualibet mense) che i fratelli dovevano versare alla cassa comune; le donazioni fatte pro anima del defunto parente del donatore,​30 le elemosine raccolte in una speciale cassetta posta nell'interno della chiesa, chiamata con vocabolo toscano ceppo;​31 e le offerte infine in granaglie e in cera che piuttosto scarsamente i devoti andavano portando all'altare. (Item: entraro che vendemmo a Giorgio de Venturello legume che era entrato alaltare in più volte . . . . . iij s. v i d. Item die xxiijj mensis martij in vigilia Sancte Marie . . duas candelas).

Il Camerlengo Ser Vanne di Ceccolo di Agostino compilatore dei primi inventarii e registri delle spese e delle entrate, da noi posseduti; il quale nel 1346 troviamo priore della Compagnia, e che otto anni prima si era recato a Roma per ottenere un privilegio a favore della Confraternita dal Papa Benedetto XII, come di fatto ottenne, fu dai nostri storici paesani​32 supposto parente od almeno della medesima stirpe  p17 di Ceccolo di Vane di Angiolo fratello di S. Francesco, del quale parla il Giacobilli nelle sue Vite dei Santi e Beati dell'Umbria (Tomo I pag. 440), tanto più; essi aggiungono; che la chiesa di S. Croce confina col convento di S. Francesco che vuolsi fabbricato poco prima della morte del Santo, il quale vi alloggiò quando si recò al convento della Verna.

Il passaggio per la valle del Tevere insieme a tre compagni nel 1314 dell'umile Poverello d'Assisi è storicamente accurato; ma la dimora fatta nella nostra Terra è una pura tradizione che si vuole in qualche molto basare sul fatto che il Padre Serafico avrebbe scelto per fare una sosta al suo viaggio un luogo prope rivam Tyberis. È pure storicamente certo che S. Francesco avesse un fratello: Angiolo di madonna Pica; e che questi procreasse Picardo e Vanne (Joannettus) dal quale nacque Ceccolo;​33 ma il credere ad una parentela basata sopra una fortuita ed incompleta omonimia (Vanne di Ceccolo di Agostino — Ceccolo di Vanne di Angiolo) e sulla occasionale vicinanza di un convento e di una chiesa, non torna certo a troppa lode dei nostri storici paesani; sebbene abbiano espresso tale loro opinione semplicemente in forma dubitativa.

L'opera magistrale del D'Ancona sulle Origini del Teatro Italiano, e gli scritti e le monografie del Mazzatinti​34 del Gradassi Luzi​35 del Degli Azzi​36 del Monaci​37 del Padovan​38 sui disciplinati di alcune città dell'Umbria tra i quali nacque il dramma italiano di sagro argomento, ci dispensano dal fare considerazioni generali su tale argomento; solo accenneremo come anche la nostra confraternita ben presto ordinò in apposito libro le sue laudi come ne fa fede l'inventario redatto da Vanne nel 1341 ove leggiamo "unum librum cartarum bombicinarum in quo sunt laudes" andato irreparabilmente perduto.

 p18  Queste laudi risguardanti per lo più i fatti della passione di Gesù Cristo per la cui memoria essi andavano flagellandosi, erano l'espressione naturale degli affetti intimamente e straordinariamente sentiti dai nostri disciplinati posseduti dallo spirito della penitenza e della carità.

Queste conationes poenitentium lugubres39 essi andavano recitando non solo mentre si recavano processionalmente alle chiese del paese, e di ciò ne conserva qualche reminiscenza il Capitolo IV delle nuove costituzioni della Fraternita redatte nel 1567, ove si prescrive che i fratelli durante le processioni "vadino cantando o dicendo qualche cosa divota . . . . e chi non sa cantar dica la corona e facci oratione per tutti"; ma anche nell'oratorio ove erano soliti adunarsi i fratelli per la preghiera: ed allora si usava aggiungere qualche apparato scenico onde avvivare la fantasia degli ascoltatori; specialmente dopo che alla laude a canto univoco subentrò quella a canto alterno; e quando al modo narrativo subentrò il dialogico distribuito fra varii personaggi.​40

Se disgraziatamente il libro antico delle laudi andò disperso ci è dato però in qualche molto supporne almeno in parte del contenuto.

Al fondamento comune a tutte le raccolte di laudi di disciplinati, voglio dire ad alcuni componimenti poetici di Jacopone da Todi il giullare di Dio; così cari di solito ai Flagellanti,​41 molto probabilmente si doveva aggiungere qualche poesia in lode dei Santi Erasmo ed Andrea protettori della Terra; una divozione da cantarsi nella solennità dell'Epifania (Item: a Giardino pro laboritio in devotione Ephifanie . . . . . XVIIJ d.) forse in ricordo dell'antichissimo rito figurato del Presepe, che fino dal 1223 S. Francesco aveva istituito e reso popolare nell'Umbria;​42 probabilmente un'altra devozione da recitarsi per la festa della Natività (Item: solvi Moni priori pro expensis nativitatis . . . . . XX s.); forse anche un'altra devozione nel giorno festivo di S. Croce (Mone Cangnuoli debet recipere quos expendidit d'suo in festo Sancte Crucis . . . . VI s.);​43  p19 una laude a canto univoco avente per oggetto la passione di Gesù Cristo; e una vera e propria rappresentazione drammatica con molti personaggi ed apparato scenico, avente per titolo "l'aspero martirio di Sancta Apolonia."

Di queste due ultime devozioni fortunatamente ci furono conservati due frammenti trascritti fra le pagine degli inventarii e bilanci dei Camerlenghi Vanne di Ceccolo, Petruccio de Cortona, Filippo de Cepolone, Mone de Broçuolo; da mano che sembra diversa per le due composizioni, delle quali la seconda, evidentemente scritta in tempo posteriore; porta in alto la data 1496 sotto il celebre monogramma di Cristo introdotto, secondo alcuni, per la prima volta da S. Bernardino.

Abbiamo detto che i due frammenti di devozioni dovevano far parte della raccolta della quale fa cenno Vanne nei suoi inventarii, ed ecco brevemente le ragioni che confortano la nostra supposizione.

I due frammenti sono contenuti tra le pagine degli inventarii e dei bilanci che sappiamo venissero gelosamente custoditi dal Camerlengo e quindi non dovevano andare troppo per le mani degli altri confratelli; la carta si è conservata bianca e senza alcun logoramento ai margini o vivagni che dimostri essere stato un manoscritto frequentemente usato; nessuna sgocciolatura di cera imbratta quei fogli ove l'inchiostro si mantiene più nero nel frammento di dramma, più chiaro in quello della laude, sebbene scritto in tempo posteriore ma da diversa mano; e sempre visibilissimo.

Queste osservazioni congiunte al fatto dell'essere le due devozioni incomplete portano naturale la conseguenza che quei due scritti giammai dovettero servire da libretto come si direbbe con parola affatto moderna.

Noi pensiamo che due tra gli altri confratelli successi nel Camerlengato ai depositari sopra nominati essendo andata dispersa l'antica raccolta delle laudi, andassero scrivendo quei due componimenti che parvero loro i più meritevoli di tutta la raccolta fino a che la memoria o la volontà non vennero loro  p20 meno. In fatti ci sembra che gli anonimi scrittori avrebbero forse usato una lingua più pura e un verso meno frequentemente mancante di qualche sillaba o ricco di più sillabe che non dovrebbe se si fosse trattato di una semplice copiatura; mentre la quasi completa assenza di cancellature ci prova che non ci troviamo dinanzi ad un tentativo di nuove composizioniº drammatiche; tanto più che già fino dai primi del secolo decimoquinto attenuatosi il fervore religioso e modificatisi i sentimenti, le tendenze, i costumi, si vanno facendo sempre più rari i ricordi di devozioni sacre il cui carattere non troppo allegro e festevole aveva reso sempre assai scarso il numero degli spettatori.​44

Lo spoglio diligente degli inventarii e dei bilanci che vanno dal 1341 al 1346 da un risultato favorevole al nostro assunto.

Troviamo infatti notato tra gli altri oggetti ed utensili necessari per i sacri spettacoli una "vesta de camoscio"​45 la quale evidentemente si riferisce ad una laude o rappresentazione avente per oggetto la passione di Gesù Cristo e non è a supporsi che nella non grande raccolta vi fossero state più laudi trattanti lo stesso soggetto.

Mettendo poi insieme la spesa registrata sotto lo stesso anno 1341 di 6 denari passati a Venturello Bureste "de mandato Monis prioris per una die qua laboravit die IIJ aprilis in loco fratruum ad balcum"​46 e il fatto di trovare registrati tra gli oggetti di pertinenza della Fraternita distinti da quel appartenenti alla medesima; ma notati "in ratione rerum quae sunt ex parte hospitalis" una "letica pro lecto;" torna subito alla mente la parte più elevata sul fondo del palcoscenico (balcone) a mezzo della quale devono interloquire due angeli; e il letto ove deve stare a principio della rappresentazione del martirio di Santa Apollonia, la protagonista cum duo camereri (sic).

 p21 

Sono essi due componimenti originali, o copiati dalle raccolte di laudi di Disciplinati di qualche vicina città e rivestiti delle forme dialettali proprie al nostro luogo?

A tale domanda è assai difficile rispondere con piena sicurezza essendo assai poche le laudi fino ad oggi rese di pubblica ragione, però confrontando i nostri due frammenti con le devozioni a noi note appartenenti alle Confraternite di Battuti e specialmente a quelle delle vicine città di Perugia​47 di Città di Castello​48 di Gubbio​49 e di Cortona​50 non rinvenimmo alcun che di eguale e nemmeno di consimile.

Nella biblioteca Riccardiana in Firenze abbiamo trovato in una rara e preziosa raccolta di sacre rappresentazioni, una di queste senza nome di autore, avente per titolo "Santa Apollonia vergine e martire" edita in Siena alle Loggie del Papa nel 1614, già citata dal Professor D'Ancona nel suo libro sulle Origini del Teatro Italiano, e che egli giudica appartenere al secolo XV.​51

Nel leggere questa sacra rappresentazione rimanemmo vivamente colpiti dalle molte rassomiglianze che vi abbiamo riscontrate col frammento appartenente alla nostra confraternita; i personaggi sono i medesimi e si succedono con ugual ordine sulla scena, identici sono i concetti sebbene enunciati nella rappresentazione stampata in Siena in forma meno compendiosa e diluiti in maggior numero di parole se non anche di versi. Basti un solo esempio: nel nostro frammento si pongono in bocca ad Apollonia queste parole:

O padre io so cita

La mia verginità al alta riva

Et sposo in questa vita

Altro non volgio chella somma potencia

. . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . .

 p22  Va padre e qui conduce

Non pur un savio ma quanto n'è a lu mundo

Con christo vera luce

Vederai che tutto lo mettarò al fundo.

Nella rappresentazione facente parte della raccolta posseduta dalla biblioteca Riccardiana così dice Apollonia:

Lo sposo mio è Re di Vita Eterna.

A cui l'onesta mia verginitade

Ho conservata, e lui regge e governa

L'anima mia con somma puritade

E perchè chiaramente tu discerna

O Padre mio quel che è la veritade

Fa qui venir chi disputi la fede

E vederai disputando il ver chi crede.

Dall'esame complessivo della rappresentazione edita in Siena appare evidente una maggiore ampiezza di concetti espressi in versi non di rado eleganti e sempre esatti, così negli accenti come nel numero delle sillabe; congiunta ad una maggior ricchezza di episodi che vengono a rendere più lento; ma più razionale lo svolgersi dell'azione drammatica.

Così è nuovo e ben trovato l'episodio della Matrona che si accorge della mancanza nel palazzo reale, di Apollonia e delle sue compagne, uscite per andare alla ricerca del "Romito bono" dopo l'apparizione dell'angelo, e ne fa consapevole il re Tarsio che si adira e manda il Siniscalco a ricercare la figlia; così pure è nuovo e ben ideato l'episodio del Siniscalco che ritrova Apollonia mentre sta predicando la nuova religione ai cittadini adunati sulla piazza intenti ad ascoltarla e chiedenti con insistenza di essere da essa battezzati, e ne riferisce al Re il quale comprimendo l'ira e avendo riguardo all'età giovanile della figlia manda a cercare dei savi perchè tolgano dalla mente di lei la nuova fede . . . . . . . . .

 p23  Questa chiara rassomiglianza fra la nostra rappresentazione appartenente indubbiamente al secolo XIV e quella posseduta dalla biblioteca Riccardiana scritta secondo l'opinione del Professore D'Ancona un secolo dopo, congiunta al fatto che i nostri due frammenti, cioè quello della laude sulla passione di Gesù Cristo e quello della rappresentazione di Santa Apollonia, mostrano evidentissima l'origine toscana; ci porta a concludere che dalla parte della regione toscana e più precisamente della cortonese dovettero venire questi due componimenti ad arricchire la collezione di laudi usualmente cantate e recitate dai nostri Disciplinati.

Da quanto si è detto si può trarre anche la conseguenza che assai facilmente l'anonimo scrittore della rappresentazione sacra edita in Siena dovette avere dinanzi agli occhi o per lo meno conoscere la rude e antica rappresentazione di Santa Apollonia della quale riportiamo in appendice il frammento da noi ritrovato fra le carte appartenenti alla Compagnia di Santa Croce; e che tale dramma sacro doveva essere divenuto per opera delle confraternite di Disciplinati assai noto e popolare nella Toscana e nell'Umbria.

E se la nostra rappresentazione nel passare a far parte della raccolta di laudi dei Disciplinati della Fratta non perdette affatto il suo sapore toscano lo dobbiamo certamente al fatto che il vernacolo parlato nei nostri luoghi se non ha tali spiccati caratteri da formare una cosa a se; ma che si debba piuttosto riunire col dialetto castellano, diversifica però da questo sia perchè non possiede la gorgia a questo propria; sia perchè presente più di questo spiccata l'impronta toscana.

Anzi dobbiamo aggiungere che (poichè tutto coll'andare degli anni si trasforma) anche il dialetto odierno Umbertidese se si è in qualche cosa trasformato da quello che era al tempo in cui vennero compilate le laudi dei nostri Disciplinati, tale modificazione è andata certamente a danno dell'impronta toscana, e piuttostoº a vantaggio del dialetto castellano: mentre 700 e più anni di soggezzione e di continui rapporti amministrativi  p24 e commerciali non hanno fatto fare un passo più oltre all'accento perugino con il suo strascino e con la sua querimonia​52 quasi che si fosse trovato dinanzi ad un ostacolo insormontabile o ad una nuova muraglia della China.

Noi non cercheremo di approfondire le ragioni di tale maggiore impronta toscana nel nostro dialetto; ma ci limiteremo ad accennarne la causa prossima materiale e costante nella vicinanza del confine cortonese;​53 congiunta al fatto che fino al 1189 i rapporti con la Toscana, sotto il dominio feudale di un ramo (marchesi di Castiglione Ugolino) collaterale ai marchesi del Monte santa Maria,​54 dovevano essere più frequenti ed importanti; che se si volessero ricercarne le ragioni nel fatto più incerto e remoto di una occupazione più sollecita, o di una più lunga permanenza, o di un più forte assorbimento dell'elemento umbrico anteriore per opera degli Etruschi i quali "in tempi non troppo lontani traversato il Tevere in prossimità delle sorgenti, si inoltrarono gradatamente quali altrettanti pacifici coloni nella valle Tiberina";​55 non ci rimarrebbe che confessare la nostra completa incompetenza.

A noi basta far risaltare l'errore commesso dal professor Mannucci​56 nel dichiarare il nostro dialetto essere tutta una cosa con quello perugino; supposizione posta in dubbio già dall'avv: Bianchi​57 e che sembra venga combattuta dal Cav. Magherini Graziani quando giustamente afferma essere il dialetto castellano invadente nel territorio umbertidese​58 ove però è indubitato, aggiungiamo noi, che vada perdendo la gorgia ad esso propria e rivestendosi di una forma dialettale più spiccatamente toscana, o più precisamente, cortonese.​59


 p63  Le note dell'autore:

1 Archivio municipale di Perugia, Liber submiss. pag. 115 terg. L'atto di sottomissione della Fratta dei figli di Uberto leggesi anche nel libro delle sommissioni B. c. 6 r, e C. c. 5 r; ed è riportato per disteso nel Fasc. I An. I Vol. I pag. 144 del Bollettino della Società Umbra di Storia Patria. Il marchese Ugolino di Castiglione viene da taluno creduto discendente di Arimberto od Uberto capostipite dei Ranieri conti di Civitella (Umbria descritta ed illustrata Vol. IV disp. 18 pag. 14); ma già il P. Fedele Soldani (Historia monasterij de Passiniano, Lucae 1741 pag. 94), Pompeo Litta (Albero genealogico della famiglia dei Marchesi del Monte Santa Maria in Famiglie celebri italiane), il Bolletti (Dizionario geografico fisico storico della Toscana alla voce: Monte Santa Maria Vol. III, e nell'appendice al Vol. VI ove è riportato l'albero genealogico della famiglia dei Marchesi del Monte Santa Maria), Monsignor Muzi (Memorie civili ed ecclesiastiche di Città di CastelloMem. civ. Vol. I pag. 27) con più precisione e più esattamente posero il Marchese Ugolino signore di Castiglione, della Fratta e di altre terre, fra gli ascendenti dei Marchesi di Petrelle e fra i discendenti dei Marchesi di Toscana; una diramazione dei quali prese verso il 1250 il nome di Marchesi di Monte Santa Maria. Negli scritti recenti del prof: Girolamo Mancini (Cortona nel Medio-Evo pag. 17 e 26) e del prof: Oscar Scalvanti (Considerazioni sul primo libro degli Statuti Perugini in Bollettino della Società Umbria di Storia Patria An. I Fasc. II pag. 278) viene il Signore della Fratta, che ne fece cessione alla Comunità di Perugia nel 1189, chiamato Ugolino del Monte; però tale espressione non è troppo esatta, sia perchè come già dicemmo il ramo dei Marchesi di Castiglione era collaterale a quello dei Marchesi di Santa Maria, sia perchè solo nel 1250 un ramo dei Marchesi della Toscana s'impossessò del feudo di Monte Santa Maria dal quale prese il nome, togliendolo alla famiglia Lambardi di Citerna. (Vedi in proposito l'opuscolo del Can: Giulio Mancini di Città di Castello sopra due monete Lucchesi, la Storia di Perugia del Bonazzi pag. 244 in nota, e l'Op. cit. del Muzi Vol. I Mem. civ. pag. 64 e 62).

2 L'apparizione in Perugia dell'eremita Raniero Fasano secondo la leggenda esistente nell'archivio della Fraternita di Santa Maria della Vita di Bologna; resa di pubblica ragione per cura del chiarissimo e infaticabile professor Mazzatinti nel Bollettino della Società Umbra di Storia Patria Fasc. I e II An. II pag. 561 e seguenti; avvenne nell'anno 1258 al tempo del podestà Rolandino de' Mariscotti; ma secondo le memorie del Monaco Padovano cronista contemporaneo (Chronicor. de factis in Marchia Tarvisana per Monacum Paduanum) riportate dal Muratori (Rerum italicarum scriptoresº T. VIII pag. 712) il principiare della devozione dei Flagellanti si deve protrarre all'anno 1260. Quest'ultima  p64 data è seguita dalla maggior parte degli scrittori di opere letterarie e storiche (Muratori, Annali d'Italia anno 1260; Bonazzi Op. cit. pag. 303; Moroni, Dizionario di Erudizione storico-ecclesiastica alla voce: Confraternite; Cibrario, Economia nel Medio-Evo pag. 175; D'Ancona, Origini del Teatro Italiano, pag. 106 e seguenti, però in Studi sulla Letteratura Italiana dei primi Secoli pag. 44 pone nell'anno 1258 il principiare di questa devozione; Can. Aurelio Zonchi, Capitoli della fraternita dei Disciplinati di Fabriano pag. 3, Tocco, Eresia nel Medio-Evo pag. 455; Cantù, Storia Universale T. VI pag. 573 in nota), altri fanno accadere tale commozione religiosa nel 1259 (Racine, Storia Ecclesiastica, Firenze 1779 T. VIII pag. 142), altri infine pongono il principiare della devozione dei Flagellanti, e l'apparizione in Perugia dello eremita Fasano sotto la stessa data (Vermiglioli, Storia e costituzioni della confraternita dei nobili della giustizia di Perugia; Monaci, Appunti per la Storia del Teatro Italiano in Rivista di Filologia Romanza Fasc. I pag. 250, e Crestomazia italiana dei primi secoli; Lapi, Città di Castello pag. 451; Bartoli, Storia della Letteratura Italiana, Firenze, Sansoni 1879 pag. 205 a 212; Tommasini Mattiucci nella memoria sul poeta Nerio Moscoli in Bollettino della regia Deputazione di Storia Patria dell'Umbria An. III Vol. III Fasc. I pag. 103). Noi abbiamo scritta la duplice data 1258‑1260, come già aveva fatto prima di noi il Mazzoni (Laudi Cortonesi del secolo XIII nel Propugnatore anno 1890 Vol. II Fasc. XI‑XII), sia per la indiscutibile autorità dei due documenti in principio di questa nota ricordati, sia anche perchè ci sembra naturale che tra l'apparizione dell'eremita Fasano e il sorgere della prima compagnia di Disciplinati in Perugia dovesse trascorrere un certo lasso di tempo.

3 Nel 1268 già troviamo in Avignone i penitenti bigi [Moroni Op. cit.]; nel 1349 il numero dei Flagellanti in Francia, ove si univano al popolo signori e dame, fu di 180000 [Nencioni, Letteratura mistica in vita italiana nel Trecento, Milano, Treves, pag. 225]. Una processione, durante il regno di Enrico III di Valois, di penitenti turchini che avevano a loro speciale protettore S. Girolamo viene colla solita maestria descritta da A. Dumas [La Signora di Monsoreau, Milano, Sonzogno, pag. 77]. Anche nella nostra letteratura abbiamo una breve, ma bella descrizione di una processione di Flagellanti nell'occasione del Venerdì Santo dell'anno 1340, dovuta alla penna di Cesare Cantù (Margherita Pusterla, Lubrano, Napoli, pag. 33).

4 Bonazzi Op. cit. pag. 305, D'Ancona Op. cit. pag. 111.

5 Oberto Pallavicino, eletto signore di Milano per 5 anni col titolo di Capitano generale, si diffidò di tanta devozione e sulla strada fece piantare 600 forche, dinanzi alle quali una processione di Flagellanti cambiò cammino [Verri, Storia di Milano, pag. 51], Manfredi impedì ai Flagellanti l'ingresso nei suoi domini in Puglia, Obizzo d'Este proibì tale devozione prescrivendo pene se alcuno "se scovaverit in aliqua parte civitatis", come pure Firenze e Ferrara introdussero severe proibizioni nei loro statuti contro le compagnie dei Flagellanti [D'Ancona Op. cit. pag. 111, Monaci Op. cit. pag. 248 nota 2], Arrigo duca di Baviera rigettò con dispregio tale devozione [Racine Op. cit. pag. 142] (Filippo VI nel 1349 proibì entrassero in Francia pena la vita [Cantù Op. cit. pag. 573].

6 Bonazzi Op. cit. pag. 306.

 p65  7 Il Pontefice Alessandro IV non tardò a disapprovare i Flagellanti temendo il sorgere di nuove eresie [Raynald., Ann. Eccles. anno 1260 ediz. Mauri T. III pag. 57] tanto più che l'anno 1260 era nelle profezie dell'abate Gioacchino e di Gerardo Segarelli annunziato come principio del regno dello Spirito Santo, e dell'avvenimento dell'Evangelio eterno. [Tocco Op. cit. pag. 251, 294, 464, D'Ancona Op. cit. pag. 110 e 111]. Nella stessa Perugia la prima compagnia di Disciplinati al nome di Gesù Cristo fu ben presto per ragioni politiche disciolta [Monaci Op. cit. pag. 254]. Alcuni vescovi di Alemagna rigettarono i Flagellanti con dispregio, il vescovo di Cracovia li discacciò minacciandoli del carcere, l'arcivescovo di Gnefna ed altri vescovi di Polonia proibirono tale setta [Racine Op. cit. pag. 142]. Infatti papa Giovanni XXII punì severamente frate Venturino da Bergamo, che fu messo al tormento e in carcere [Cantù Op. cit. T. VI pag. 573] o secondo altri fu semplicemente mandato al confine e privato della confessione e impedito di predicare [Emma Bertini, Piccola Storia di Firenze pag. 220]. L'abate di Nonantola Bernardo in una lettera (1334) al proposto di Nonantola dice ". . . . . in hospitali de Nonantola vicissim se verberant et alia sua colloquia et conventicula faciunt contra S. S. Canonum istituta, quae redundare possunt in magnum periculum animarum suarum" e comanda che si vietino e si impediscano tali radunate di Battuti tanto in Nonantola che in Crevalcuore [Tiraboschi, Storia dell'augusta Abbazia di Nonantola pagg. 216 e 217]. Clemente VI nel 1349 disapprovò la devozione dei Flagellanti comandando di denunziarli [Cantù Op. cit. T. VI pag. 573].

8 Ne i registri delle spese che vanno dal 1341 al 1346 non risultano fatte per opere caritatevoli che le seguenti:

Item: costò el pane che se de ai poveri in lo dicto die (Natale) XXXIIJ s.
Item: expendidit in funere trium pauperum quos expendidit Mone IIIIJ s. IIIJ d.
Item: solvi Juncte Esmerutij quos portavit eidem Mone pro auxilio sue infirmitatis IIJ s.
Item: costò el pane che comparammo per li poveri quando demmo el legume V s.
Item: costaro IIJ canidele quando morì j c̤itolo en l'ospedale XIJ s.

9 Muratori Ann. d'Italia anno 1334; Cantù Op. cit. T. VI pag. 573; E. Bertini Op. cit. pag. 220.

10 La confraternita dei Disciplinati di Santa Maria del Mercato in Gubbio, della quale si hanno notizie certe fino dal 1276 ebbe solo nel 1313 un privilegio da Francesco vescovo di Gubbio, col quale si concedevano 40 giorni d'indulgenza a coloro i quali avessero contribuito con offerte per la fabbrica dell'ospedale dei Battuti, e nel 1326 ebbe dal comune di Gubbio il permesso di cavare pietra in certi monti di suo possesso per l'erezione dell'ospedale [Mazzatinti, I Disciplinati di Gubbio in Giornale di Filologia Romanza Fasc. I e II N.o 6. T. III Anno 1880 pag. 93 in nota]. La compagnia dei Disciplinati della Madonna di S. Nicandro in Terni, della quale si hanno notizie certe fino dal 1291 solo nel 1366 potè istituire un'ospedale per gli infermi in virtù di un lascito fatto a favore della Fraternita da Tristano di Joannuccio [Riccardo Gradassi-Luzi, Degli istituti di carità di Terni pag. 36].

 p66  11 È una pura supposizione basata sul fatto che l'ordine eremitico di Sant'Agostino fu fondato secondo l'Helyot [Storia degli Ordini regolari T. III pag. 8] nel 1243 al tempo del papa Innocenzo IV; però sembra che questo papa si limitasse semplicemente ad unire alcuni eremiti della Toscana, ai quali dette la regola di Sant'Agostino; mentre secondo altri l'Ordine eremitico di Sant'Agostino cominciò in realtà soltanto nel 1254 dopo che il papa Alessandro IV riunì le varie congregazioni di Eremiti sotto un solo Generale Lanfranco di Septala milanese [Cibrario, Descrizione storica degli Ordini religiosi pag. 172; Moroni, Op. cit. voce Agostiniani]; ma ciò avvenne in fatto solo 2 anni dopo e cioè nel 1256 [Cantù Op. cit. T. VI pag. 98]. Le congregazioni riunite furono quella di Giovanni Bonites la più antica di tutte, quella degli eremiti di Toscana, quella del Sacco, quella di Vallorsuta, di San Biagio, di S. Benedetto di Monte Fabalo, della Torre di Palmes, di S. Maria di Murcetta, di S. Giacomo di Molinio e di Loupfavo vicino a Lucca [Efraino Chambers, Dizionario Universale delle arti e delle scienze, Venezia MDCCXLIX, alla voce: Eremiti].

12 I nostri storici paesani Costantino Magi, Pietro Paolo Cristiani e Sante Pellicciari, i quali vissero nella prima metà del secolo XVIIXVIII; nelle loro memorie manoscritte della Fratta (che si conservano nella Biblioteca Comunale di Perugia in originale, e nell'archivio di Umbertide in copia) vogliono che la chiesa di Santa Maria a Castro-Veteri venisse così chiamata perchè dipendente dal monastero di Valle di Castro (Fabriano) fondato da S. Romualdo; ma evidentemente i nostri storici confusero questa chiesa con quella di S. Martino della Fratta nella diocesi di Perugia (la nostra Fratta è nella diocesi di Gubbio) ricordata dai dotti annalisti camaldolesi Mittarelli e Costadoni (Annales Camaldulenses Ordinis Sancti Benedicti pag. 52 b. A e 278 c) tra le dipendenti dal monastero di S. Salvatore e di S. Romualdo in Valle di Castro. La nostra chiesa nel 1481 fu demolita e le poche suppellettili sacre trasportate nella vicina chiesa e convento dei Zoccolanti di S. Maria della Pietà eretto a spese di Nello Burelli (Guerrini, Storia della Terra di Fratta pag. 209; Waddingh. Ann. Minor. T. VII Anno 1481).

13 Oderisi Lucarelli, Memorie e guida storica di Gubbio pag. 563; Ugolino, Storia dei conti e duchi di Urbino Vol. I pag. 873.

14 Pompeo Compagnoni, Memorie storiche e critiche della Chiesa e Vescovi di Osimo, Roma 1782, T. II pag. 510; Muratori, Dissertazioni sulle antichità italiane, T. II Dissert. XXXVII pag. 135. Gli Agostiniani di Città di Castello che già possedevano l'ospedale di S. Spirito, ottennero nel 1256 dal vescovo Pietro di costruire il convento e la chiesa "prope murum et Scatorbiam et propreº Portam S. Andreae" (Muzi, Op. cit. Mem. Eccles. Vol. IV pag. 275).

15 Troviamo in Cortona alcune compagnie di Laudesi stabilite presso i frati Agostiniani (Girolamo Mancini Op. cit. pag. 107). La compagnia dei Disciplinati del Crocifisso in Gubbio ebbe la sua sede nella chiesa di S. Agostino, ed ebbe affidato dagli Agostiniani il vicino ospedale (Mazzatinti, Op. cit. T. III Ann. 1880 Fasc.º I e II pag. 92 e seguenti; Oderisi Lucarelli, Op. cit. pag. 563, 619 e seguenti). Una delle prime compagnie formatasi in Perugia dagli aggregati  p67 a quella fondata dall'Eremita Fasano, si fu quella dei Disciplinati di S. Agostino (Monaci, Op. cit. pag. 254).

16 Nel registro delle spese fatte nell'anno 1341 fino al 1346 troviamo:

Spesi in vino per lo vespero in la sera de la vegilia de Sancta Crucie IJ s.
Item: la matina de sancta crucie per vino IJ s. VI d.
Item: la sera al vespero per lo vino IJ s. IIJ d.
Item: costò la carne che se de ai frati in natale VIJ s. IJ d.
Item: costaro le poluccie VIJ d.
Item: costò la carne che se de ai frati in sancta crocie X s. VI d.
Item: in carnibus donatus fratribus in carniprivia (?) VI s. VI d.
Item: solvi Moni uno capreto dandi fratribus presbiteris in festo Sancte Crucis XX s. VI d.
Item: solvi Moni et Andree pro pane causa dandi fratribus et presbiteris in dicto festo XV s.
Item: solvi in uno quarto de capreti et in vino pro dando in dicto festo dicti prioris VIIJ s.
Item: habuit die XI Maij Gerius Ceccoli pro uno caprecto pro festo Sancte Crucis de mense Maij XVIIJ s.

Item: de quo edendo habuerunt fratres duos quartos cum capite et donpnus Petrucianus et donpnus Petrus sororem (?) unum quartum, presbiter Sancti Johannis quia fuit ad dictum festum et in dominicis quadrigesime stetit in fraternita ad faciendumº confessionem personis qui veniebant alium quartum, et Giardinus habuit rubitella.

Item: costò el vino per li preitiº e per li frati ella festa de Sancta Crocie en tre volte VIIIJ s. VI d.
Item: demo a Gieri de Ceccholo per V libre de carne che demo ai frati quando femo la visitatione VI s. IIJ d.

17 Troviamo nell'inventario redatto da Vanne di Ceccolo, delle cose spettanti all'Ospedale.

item: duos saccones quos misit donpnus Ugolinus olim Capelanus fraternite.

18 Guerrini, Op. cit., pag. 221.

19 Lupattelli. Di un quadro di Luca Signorelli esistente a Umbertide in Miscellanea di Erudizione e Belle Arti Anno II Fasc. IX Cortona edito dal professor Ravagli Francesco.

20 Lo schizzo a penna della Fratta di Perugia è contenuto nell'opera di Cipriano Piccolpasso "Le piante e i ritratti delle Città e Terre dell'Umbria sottoposte al governo di Perugia" posseduta dalla Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma; di tale pianta potemmo prendere per somma gentilezza del prof: cav: Annibale Tenneroni vice bibliotecario di quella biblioteca alcune copie fotografiche; eseguite con la consueta esattezza dallo stabilimento litografico dei sig. Filippo e Augusto Martelli di Roma. Nella pianta vediamo il primo giro dei muri del tempo ottagonale della Madonna della Reggia; e questa indicazione segna con precisione il turno di tempo in cui lo schizzo stesso fu eseguito dal Piccolpasso e cioè tra il 1559 e il 1568 nel qual anno il tempio fu ultimato sotto la direzione  p68 del cavaliere Francesco Lapparelli di Cortona che ne aveva fatto il progetto (Guerrini, Op. cit., pag. 226; Mancini, Op. cit. pag. 331 in nota).

21 Oderigi Lucarelli, Op. cit. pag. 78. Non potendo assentarci dal paese ed essendoci necessario consultare l'opera del Sarti (De episcopis Eugubinis) ci siamo rivolti al ch. prof. Augusto Vernarecci bibliotecario della Comunale di Fossombrone, il quale ci onora della sua amicizia e ci è stato largo di consigli e di aiuti nella compilazione di questo nostro primo lavoro; ed egli con la sua consueta cortesia così ci rispondeva: "il Sarti presta pochissima fede al Lazzarelli (Catalogus episcoporum civitatis Eugubij); che dice come il vescovo Giovanni Murlacco morirse esule a Firenze. Non può tuttavia negare gli eccessi dei Gubbini, gli incendi degli archivi, ne fosse o no cagione l'avarizia e la troppa esigenza del vescovo; tanto è vero, egli dice, che la città per quei fatti fu interdetta. Ma intorno a tutte queste cose il Sarti confessa di saperne poco e di essere nell'incerto; e aggiunge infine, che non sa veramente se quegli eccessi avvennero sotto il vescovo Morlacco, o sotto il suo successore di nome parimenti Giovanni. Il Sarti non ha una parola che dica come il vescovo Morlacco fosse costretto ad uscire da Gubbio per le violenze della fazione ghibellina."

22 Le concessioni fatte alle confraternite di ricevere fino a un certo limite di prezzo le cose mal tolte sono assai frequenti in questo lasso di tempo; il prof: Vernarecci ci fa noto che Ugolino vescovo di Fossombrone fece un identica concessione ad una compagnia di Disciplinati di quella città. La lira di Ravenna al dire del Tonini (Storia di Rimini T. III) equivaleva a poco più di 7 lire in nostra moneta.

23 Muratori, Annali d'Italia anno 1399; Cantù, Op. cit. pag. 573 in nota; Emma Bertini, Op. cit. pag. 437; Mancini, Op. cit. pag. 252 e 253; Bonazzi, Op. cit., pag. 535; Scimondi, Storia delle Repubbliche italiane dei secoli di mezzo T. VII pag. 344 e seguenti; Scipione Ammirato, Istorie Fiorentine T. IV libro XVI pag. 308 e 309; Amiani, Memorie Istoriche della città di Fano T. I pag. 323; Camillo Marcolini, Notizie Storiche della Provincia di Pesaro e Urbino pag. 114; Achille Sansi, Storia di Spoleto pag. 274. Per i rapporti tra i Bianchi e l'Autorità ecclesiastica vedi Henrion, Storia della Chiesa T. VI pag. 80; Racine Op. cit. T. X pag. 134.

24 Cantù. Op. cit. pag. 573; Duller, Storia del Popolo tedesco pag. 312 e 313. I flagellanti della Germania formano il soggetto di un grandioso quadro storico di Carlo Marr di Milwaukeeº (America) meritamente ammirato alla Prima Mostra Internazionale di Belle Arti ch'ebbe luogo nel 1895 in Venezia (Emporium Novembre 1896 Vol. IV N.o 23 Bergamo). L'usanza del flagellarsi in espiazione dei peccati forma il soggetto di un dipinto di Giotto esistente nella chiesa dell'Incoronata a Firenze ove si vedono tre penitenti che indossato un sacco s'infliggono la disciplina.

25 Francesco Bertolini, Il Rinascimento e le Signorie italiane pag. 204. Il Muratori (Annali d'Italia anno 1399) parlando di questa nuova commozione religiosa dei Bianchi così si esprime "celebre fu quest'anno — 1399 — per la pia commozione dei Bianchi somigliante ad altre che s'erano vedute nel precedente secolo ed anche nel presente, se non che non s'ode in questa il fracasso della  p69 disciplina che si praticò nelle prime". Questa proposizione del celebre annalista non ci sembra troppo esatta, tanto più che egli nelle sue Ant. Ital. Medii Evi coll. 816 sgg. già aveva riportata la Cronaca di Nicolò di Borbona Aquilano, nella quale così si dice: "Nelli anni 1399 a dì 12 Settembre venne in Aquila una gran gente de populo minuto vestuti de sacca e de panni de lino bianchi colle ferze overo scoriati de funi in mano battenose e cantanno laude e orazione . . . ". Anche Francesco Datini ricco mercante di Prato, cittadino Fiorentino, che faceva parte di una processione di Bianchi condotta dal vescovo di Fiesole, la quale recossi da Firenze ad Arezzo; ci ha lasciato alcune note assai curiose, dalle quali apprendiamo come egli e i suoi compagni si andassero fervorosamente flagellando in espiazione dei peccati "come deve fare ogni fedel cristiano" (Emma Bertini, Op. cit. pag.º 439 e 440).

26 Muzi, Op. cit. Mem. eccles. pag. 48.

27 Nei libri contabili della nostra confraternita, che vanno dal 1341 al 1346, troviamo registrate le seguenti entrate.

Da Gennaio ad Aprile per oblazione all'altare, puntature e donativi pro anima XIJ lb. V. s.
Per corriposte mensili dei fratelli LIIJ s.
Da Maggio ad Agosto come sopra IIJ lb. IIIJ s. IIIJ d.
Per corriposte dei fratelli XXJ s. IJ d.
Da Settembre a Dicembre come sopra V lb. IV. s.

In complesso XIX lb. VII s. V. d., alla quale somma unendovi le partite non registrate; ma certamente riscosse come le corrisposte mensili dei fratelli da settembre a dicembre, il totale delle entrate potrebbe portarsi a XXII lb. di danari. La libbra era composta di 20 soldi, ed ogni soldo di 12 danari, per cui la libbra corrispondeva a 240 danari, e poichè il fiorino d'oro fiorentino nel 1345 corrispondeva a 3 libbre e 2 soldi (Carli, Delle Monete e dell'istituzione delle Zecche in Italia Vol. I pag. 320) l'entrate della confraternita superavano di poco i 7 fiorini. Il fiorino in peso si calcola equivalere da 12 a 13 lire di nostra moneta; ma l'antico valore del fiorino d'oro può ragguagliarsi al triplo del presente,º così l'antico valore del fiorino d'oro può ragguagliarsi ora al triplo in moneta moderna cioè a circa 40 franchi. (Peruzzi, Storia del Commercio dei banchieri di Firenze; Bertini, Op. cit. pag. 289 in nota).

28 L'ospedale di S. Maria Nuova e di S. Giglio in Firenze ebbe per lasciti fatti da coloro che morirono durante l'epidemia 25.000 fiorini d'oro, la compagnia di S. Maria della Misericordia 35.000 fiorini d'oro, la compagnia di S. Maria di Or S. Michele 350.000 fiorini d'oro. (Matteo Villani, Storie libro I Cap VI pag. 6; Passerini, Storia degli Stabilimenti di beneficenza di Firenze pag. 295, 414, 448; Bertini, Op. cit. pag. 273).

29 Seguiamo l'opinione comune, quantunque ci sia noto lo scritto di P. Orsi relativo all'anno Mille inserito nella Rivista storica italiana Vol. IV Fasc. I, nel quale l'autore cerca di dimostrare che la credenza del finimondo in quella epoca, credenza precisa e generale non vi fu, nè l'anno Mille suscitò più che un altro anno i terrori della cristianità.

30 Negli inventari e nei registri delle entrate della nostra confraternita,  p70 già più volte citate, troviamo:

Item: unum sacconem quem habuimus ab Artinello pro anima Nute Jacomelli una cum lenzolis et cultra . . . . . . .
Item: per l'anima d'Andrea de Ghirardo IIJ s.
Item: per l'anima di Matelda XXIIJ d.
Item: cie oferie uno da l'asino (il torrente Asino) per l'anima del pare e de la mare IIJ s.
Item: recepi a Mone quos perceperat pro anima Gondi V s.
Item: recepi ab eo quos perceperat pro anima Baldutij laboratoris Nuti IJ s.
Item: habui pro anima Salimbutij Acurroli die IIIJ Martij XIJ d.
Item: pro anima Landi Ondedutij IJ s.
Item: die XVJ Martij pro anima Futij Clare XIJ d.
Item: pro anima Ranutij Partutij die IIJ Aprilis IIJ s.
Item: pro anima Ceccoli Grassi XIJ d.
Item: habuimus pro anima Consoli Cambij IJ s.
Item: habuimus pro anima filij Pascioli XIJ d.
Item: die XXV Ianuari pro anima Amatutie Colombani XIJ d.
Item: die prima Martij pro anima Ceccoli Martelli IJ s.
Item: die dominico prima die aprilis habui a Nicola Salimbenis d'curia Serre dante pro anima sua et domine Baldutie sue matris et patris sui IIJ s.
Item:º habuit Mone pro anima Nicolutie uxoris Angeli Andree quos danarios dedit m. Guido dicti Mone XXX d.
Item: habui a filio Ceccoli Martelli pro anima Ceccoli Martelli quos reliquerat nobis in suo testamento scritto manibus ser Vannis Ugolini et fuit rogatum d'refutatione dictis ser Vannes die VIIJ aprilis XL s.

31 Dai soliti registri togliamo:

Item: habui de denaris exactis de ceppo V lb.
Item: dicta die (XIJ mensis februarii) invenit Artinellus in ceppo VIIJ d.
Item: costò la chiave del cieppo che comparò giorgio XIIJ d.

Il Passerini (Op. cit. pag. 188) parlando della confraternita di S. Niccolò del Ceppo di Firenze, ricordata anche dal D'Ancona (Origini del Teatro italiano Vol. I pag. 405 e 418 in nota); così scrive: ". . . . Ceppo null'altro significa che piede o tronco di albero. Era uso dei nostri antichi di tenere nelle chiese di cotali tronchi vuotati nella parte interiore, ma chiusi nella parte di sopra con piccolo pertugio per passarvi i danari che dalle persone pietose vi si depositavano, e così la voce Ceppo in senso traslato null'altro sta ad indicare che l'attuale cassetta delle elemosine".

32 Costantino Magi, Pietro Paolo Cristiani, Sante Pellicciari.

33 Cristofani, Storia di Assisi pag. 79 e sgg.; Sabatier, Vita di S. Francesco d'Assisi, Loescher, Roma, pag. 2.

34 Laudi dei Disciplinati di Gubbio, Bologna, Fava e Garagnani 1889; I disciplinati di Gubbio in Giornale di Filologia Romanza, Fascicolo I II M. 6 T. III Anno 1880; Poesie religiose del Secolo XIV, Romagnoli, Bologna 1881.

35 Ricordo di Terni, Tipografia Possenti 1886.

36 Albori del Teatro italiano nel giornale l'Umbria. Rivista di arte e letteratura, An. I Fasc.º 8 e 9.

 p71  37 Appunti per la storia del Teatro in Italia in Rivista di Filologia Romanza Vol. I Fasc. IV e Vol. II Fasc. I; Crestomazia italiana dei primi Secoli; Lapi, Città di Castello.

38 Gli uffizi drammatici dei Disciplinati di Gubbio in Archivio storico per le Marche e per l'Umbria, Vol. I Tom. I An. 1884.

39 Nel Chronicor. de factis in Marchia Tarvisana per Monacum Paduanum Venetiae 1635 si legge "Sola cantio poenitentum lugubris audiebatur ubique . . ."

40 D'Ancona, Origini del Teatro italiano in pag. 114.

41 D'Ancona. Studi sulla Letteratura italiana dei primi Secoli pag. 11 e sgg.; Renier, Un codice antico di flagellanti nella biblioteca Comunale di Cortona nel Giornale storico della Letteratura italiana, Anno VI Vol. XI Fasc. 31 e 32 pag. 109 e sgg.; G. Mazzoni, Laudi Cortonesi del Secolo XIII in Propugnatore Vol. II Fasc. 11 e 12 nuova serie. Vedi anche: Annibale Tenneroni, Lo Stabat Mater e Donna del paradiso, Todi 1887.

42 Degli Azzi, Op. cit., Fasc. 8; D'Ancona, Origini del Teatro italiano pag. 117.

43 Pensiamo che tali spese debbano riferirsi all'acconciatura della Chiesa nella circostanza in cui davansi delle sacre rappresentazioni, perchè le altre spese, e cioè l'olio per le lampade, le candele, l'uffiziatura della chiesa, l'elemosine per i poveri sono diligentemente registrate dal Camerlengo, subito appresso a quelle che abbiamo nel testo riportate.

44 Degli Azzi, Op. cit., Fasc. 9.

45 Negli inventari inediti della Compagnia del Buon Gesù e di S. Bernardino della Terra di Fratta si trova registrata una "vesta d'camoscio da Cristo con calze e guanti, avolta in una tovaglia vecchia". Il Monaci negli Appunti per la storia del Teatro in Italia riporta un inventario di oggetti sacri appartenenti alla Compagnia di S. Domenico di Perugia, e tra questi é notataº "una vesta encarnata de cuoio da Cristo colle calze de cuoio encarnate".

46 Pensiamo che con la parola "balcum" si voglia intendere una tribuna di legno che si doveva elevare sul fondo o da una parte del palcoscenico chiamato allora "talamo". La costruzione di questo balcone doveva assai facilmente rendersi indispensabile quando personaggi altissimi quali la Divinità e gli angeli interloquivano nel dramma sacro; sia perchè fosse più completa la illusione che le loro voci scendessero dall'alto dei Cieli, sia perchè doveva sembrare indecoroso frammischiare sì alti personaggi celesti con gli altri attori del dramma. Anche fra questi ultimi usavansi speciali distinzioni così per gli Imperatori e per i Re assai di rado avveniva che essi quando parlavano dovessero scendere od alzarsi dall'alto seggio simbolo della loro autorità. D'Ancona, Origini del Teatro italiano Vol. I pag. 423 e Vol. II pag. 264.

47 Monaci, Crestomazia italiana dei primi Secoli, pag. 462; Lapi, Città di Castello; Appunti per la storia del Teatro in Italia in Rivista di Filologia Romanza.

48 I capitoli inediti della Confraternita di S. Antonio terminano con alcune poche strofe di carattere religioso che cominciano così "Signore che per noi perdesti la vita — Soccorri quest'anima che s'ê partita etc. . . . ." Questa notizia la debbo alla gentilezza del colto amico Cav. Giuseppe Amicizia di Città  p72 di Castello. I suddetti capitoli costituiscono una delle fonti alle quali attinse l'eruditissimo Avv. Bianco Bianchi per il suo libro, Il dialetto e l'etnografia di Città di Castello. (Vedi prefazione pag. VI).

49 Monaci, Crestomazia italiana dei primi Secoli Vol. II pag. 462; Mazzatinti, Poesie religiose del Secolo XIV, Romagnoli, Bologna; Laudi dei Disciplinati di Gubbio. Fava e Garagnani I Disciplinati di Gubbio in Rivista di Filologia Romanza Fasc. I e II An. 1880 N.o 6 T. III.

50 Mazzoni, Laudi Cortonesi del Secolo XIII in Propugnatore Fasc. 11 e 12 Vol. II; G. Mancini, Laudi francescane dei Disciplinati di Cortona estratte dalla Miscellanea francescana Vol. IV Fasc. II Foligno 1889; Renier, Op. cit. Per altre laudi di Disciplinati della Toscana vedi: Cecconi, Laudi di una compagnia Fiorentina del Secolo XIV fin qui inedite; Enrico Bettazzi, Laudi volgari trascritte da un codice che si conserva nell'Archivio dello Spedale di S. Bartolomeo in Borgo S. Sepolcro.

51 D'Ancona, Origini del Teatro italiano pag. 269. Se abbiamo potuto consultare nella Biblioteca Riccardiana di Firenze la sacra rappresentazione di S. Apollonia, lo dobbiamo alla gentilezza del prof: Alessandro Bellucci di Perugia. Egli da noi pregato si rivolse direttamente al prof: D'Ancona per avere le notizie e gli schiarimenti che ci erano necessarii per potere rintracciare con sicurezza la biblioteca nella quale potevasi rinvenire quella sacra rappresentazione, non avendo potuto trovare nel libro già citato del prof: D'Ancona notizie sufficienti a facilitare le nostre ricerche.

52 Bonazzi, Op. cit., pag. 352.

53 Il confine Cortonese trovasi a circa 11 chilometri da Umbertide seguendo la strada provinciale della Mita, e a meno di 9 chilometri in linea retta.

54 Dagli antichi Marchesi di Toscana discesero più rami di famiglie distinte con i nomi dei luoghi, dei quali ebbero in varii tempi la signoria; e tra essi i più importanti certamente furono: 1.o il ramo dei Marchesi di Colle, Petriolo e Civitella il quale alla sua volta si suddivise nelle due famiglie dei Marchesi di Petrelle (ramo tuttora esistente) e dei Marchesi di Civitella (ramo estintosi violentemente nel 1416); 2.o il ramo dei Marchesi di Valliana (luogo presso le Chiane sotto Cortona) chiamato, dopo il 1250, dei Marchesi del Monte S. Maria e qualche volta anche di Monte Migiano (ramo tuttora esistente). Da questo ultimo ceppo sortirono due altre ramificazioni e cioè: 1.o quella dei Marchesi di Rasina principiata nel 1407 ed estintosi nella linea mascolina nel 1435, quantunque il feudo rimanesse ancora per qualche tempo di proprietà dei Marchesi del Monte S. Maria, fino a che dopo varie vicende fu acquistato dalla famiglia Altieriº ed elevato a principato da Clemente X (Altieri); oggi è proprietà del nostro egregio amico Prof: Marchese Ugo Patrizi; 2.o quella dei Marchesi di Sorbello principiata con Gian Matteo del Monte nel 1430 e tuttora esistente nella persona del nostro colto amico Marchese Ruggero Ranieri Bourbon di Sorbello.

Numerose sono le Terre e i Castelli, con i quali a guisa di fitta rete, i differenti rami dei Marchesi di Toscana circondarono tra il Secolo IX e il XIII il nostro territorio; noi solo ricorderemo la Fratta e Castiglione Ugolino ceduti nel 1189 a Perugia dal Marchese Ugolino di Uguccione ascendente dei Marchesi di Petrelle, i  p73 castelli di Monte Gualandro, Castel nuovo, S. Maria di Pierle, Lugnano, Lisciano, Reschio sottomessi a Perugia nel 1202 dai Marchesi Uguccione e Guido figli del quondam Marchese Ranieri (Liber submiss. C 115 t, e C 116 2); Montone che già nel 1210 si reggeva a libero comune ceduto in quell'anno dai Consoli Cardasanti e Bernardo di Jacobo a Perugia colla riserva di non "facere hostem et guerram . . . . contra Macchiones", e salvi i diritti che in detto Castello hanno anche per consuetudine i Marchesi (Liber submiss. C 106 2). Si debbono poi aggiungere i castelli di Preggio, Migianella de' Marchesi, Verna, Montecastelli, Montemigiano (chiamato nelle carte Montemixano e Monte Mezzano), Colle (distrutto dai Guelfi nel 1270 quando fu ritolto ai Ghibellini), Civitella de' Marchesi (chiamata poi Civitella guasta dopo che nel 1416 venne distrutta dalle milizie del Comune di Città di Castello), Canoscio, Trestina, Lipianoº (tolto ai Tarlati nel 1336), Monte Santa Maria (tolto ai Lambardi di Citerna nel 1250), Ghironzo, Petroja, Giojello, Marzana, Paterno, Meone, Prine, Tocerano (luogo di fronte al Monte S. Maria), Trevina, Torre, Monte Albano, Rasina, Poggio, Sorbello, Bastia Creti, Castel Rigone, Favalto, Castellalto, Vernazzano, Passignano, Panicale, Monticello, Castiglione Aretino, Vitiano, Montanina ed il castello denominato dei Marchesi in Arezzo.

Quantunque queste vastissime proprietà situate parte sul territorio toscano e parte su quello umbro, andassero spezzate fra i varii rami dei Marchesi, appartenendo essi ai Franchi Ripuarii fra i quali il retaggio paterno si divideva quasi sempre in parti eguali; pure fra le popolazioni delle Terre soggette al loro dominio dovettero certamente mantenersi se non molto importanti certo amichevoli eº frequenti rapporti; come fra i loro dominiatori se non troviamo nella storia che si fossero costituite leghe od alleanze, pure era viva in essi la memoria di derivare da un'unico stipite. (Mancini, Op. cit.; Soldani, Op. cit.; Muzi, Op. cit.; Bolletti, Op. cit.; alla voce Monte S. Maria, Pompeo Litta, Op. cit.; Ugo Leoni, Storia d'Arezzo).

55 Magherini Graziani, Storia di Città di Castello Vol. I pag. 75; Bianco Bianchi, Op. cit. Vedi anche l'opera del prof: Giuseppe Donnini Sull'epoca preistorica dell'alta valle del Tevere.

56 Bianchi, Op. cit. pag. 18.

57 Bianchi, Op. cit. pag. 19.

58 Magherini Graziani, Op. cit. pag. 75 in nota.

59 Dalla rivista Erudizione e Belle Arti diretta dal prof: Francesco Ravagli di Cortona (Anno I N. 6 pag. 87) tolgo queste notizie sopra il dialetto cortonese. "Il dialetto (specialmente del contado) delle città e paesi situati sulla destra della Chiana dal Trasimeno a Ponte a Buriano dove essa mette foce nell'Arno, risentono tutti più o meno del dialetto Umbro, il che, oltre ad altre ragioni, farebbe supporre che in tempi antichissimi anche questi luoghi fossero in gran parte abitati dagli Umbri. Il dialetto del contado cortonese è quello che ne risente maggiormente essendo il comune di Cortona a confine coll'Umbria . . . ." Ed in nota si aggiunge: "il dialetto chianajolo cioè della Val di Chiana differisce, specie nella pronunzi da montagninoº cioè da quello parlato dai contadini della montagna cortonese . . . . e su quest'ultimo nessuno ha fatto studio". Sarebbe assai interessante uno studio speciale intorno al dialetto che si parla nel Comune di Umbertide facendo gli opportuni raffronti con il dialetto cortonese tanto chianajolo che montanino;º ma a  p74 noi non resta che indicare questo fertile e nuovo campo agli studiosi più competenti di noi, sebbene in tesi generale valga per il nostro dialetto quanto già ha scritto l'avv. Bianchi intorno al dialetto castellano con il quale il nostro ha fortissime rassomiglianze e tali da rendere il nostro dialetto piuttosto una modificazione di quello parlato a Città di Castello, che una cosa a se, come già abbiamo nel testo accennato.


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