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Questa pagina riproduce una parte di
Spello, Bevagna, Montefalco

di
Giulio Urbini

stampato dall'Istituto Italiano d'Arti Grafiche
a Bergamo
1913

Il testo è nel pubblico dominio.
Le eventuali foto a colori sono © William P. Thayer.


Se vi trovate un errore, vi prego di farmelo sapere!

seguente:

[ALT dell'immagine: (link alla parte seguente)]
Spello (2)

[ALT dell'immagine: Un panorama di una piccola città su una bassa collina, con un arco nella pianura a sinistra, e almeno 4 torri che spiccano. Si tratta di un panorama di Spello, nell'Umbria.]

Panorama di Spello.

(Fot. Alinari)

 p13 

Spello

(1a parte di 6)


[ALT dell'immagine: [ALT dell'immagine: missing ALT]. Si tratta di uno scorcio a Spello, nell'Umbria.]

Via dell'Arco d'Augusto.

(Fot. Alinari)

Nell'estremo pendio meridionale del Subasio, grigio d'ulivi, sorge una collina rocciosa, su pe' cui massi par che si arrampichino dal piano, in mezzo a grandi cespi di verzura, le vecchie case di Spello, tra cui spiccano gli alti campanili e parecchie delle molte torri che v'erano un giorno e alcuni gruppi di cipressi qua e là. Il paese, lungo circa un chilometro, cambia molto d'aspetto secondo il punto donde si guarda: il più esteso panorama, sebbene forse meno avvertito, l'offre a levante; il più vario e pittoresco dalla parte opposta, dove un francese, innamorato dell'Umbria, lo trova addirittura "meraviglioso". A un cronista del cinquecento si presentava nella classica forma d'un ancile: io mi contenterò di farne rilevare la forma oblunga, rialzata nel mezzo, dove sale in gran parte la via principale, e in declivio ai due lati, con ripide vie e con vicoli dove si conservano di più le impronte del passato. Il clima è puro e mite, e dall'alto del Belvedere (a più di 300 metri sul livello del mare) si domina l'amena valle che verdeggia, popolata di case coloniche, tra una bella cerchia di monti e una corona di città e di paeselli.

Non dirò con quali peregrini indizi etimologici si sia fatta rimontare la sua fondazione a Noè in persona, o come ad un Ispeo Polisio la riferisse quel bevanate Ceccarelli, che, sotto nome di Gabinio Leto, inventò un'"Eparchigrafia d'Italia" da cui più d'uno rimase ingannato, come prima dalle "Origini" di Catone, inventate da Annio di Viterbo. Ma, lasciando in pace anche i Pelasgi e le ipotesi più o meno cervellotiche, ricorderò come Spello si trovi annoverata tra le città più antiche degli antichissimi Umbri; come dalle iscrizioni risulti Municipio romano, ascritto alla tribù Lemonia, e  p14 come Silio Italico la noti tra le città che sotto il comando di Pisone mandarono soldati per la seconda guerra cartaginese. Che poi fosse Colonia Giulia, ce n'assicurano Plinio il vecchio e Igino il Gromatico, oltre parecchie iscrizioni dove ha pure l'aggiunto di "splendidissima"; non però dedotta da Cesare, ma invece, circa il 700 di R., da Ottaviano, che prese il nome di Giulio per adozione del dittatore. Lo stesso Ottaviano poi, di cui seguì le parti nella guerra perugina, le donò anche i bagni del Clitunno; ond'ebbe allora un vastissimo e ubertosissimo territorio che dal ponte di detto fiume stendevasi fin presso a Civitella d'Arna sul Tevere; senza dire di un aumento di coloni avuto, a quanto pare, più tardi, sotto Adriano.

E alla nominanza nelle armi e ai favori imperiali congiunse la gloria "che più dura e più onora", poichè a Spello o nel suo contado con tutta probabilità nacque e passò l'adolescenza Sesto Properzio, che nei giorni della gloria non dimenticava la patria, e desiderava svagarsi a caccia lungo i verdeggianti boschi del suo Clitunno: di Spello, conseguentemente, dovè esser quel suo "concittadino e discendente" Paolo Passieno, cavaliere di gran nobiltà, poeta e uomo dottissimo, di cui l'amico suo Plinio iuniore lodava le elegie terse, molli, soavi, da parer proprio scritte in casa del Callimaco Romano: di Spello infine fu un altro poeta, Tito Vario Prisco, di cui le ingiurie del tempo non ci hanno risparmiato che il nome in una monca iscrizione ora perduta, ma accettata e pubblicata nelle più autorevoli raccolte epigrafiche.

Pare che anche il terzo Gordiano le concedesse alcuni privilegi; e i più insigni archeologi moderni hanno dichiarato autenticissimo il famoso Rescritto di Flavio Costantino Massimo e de' suoi figli, col quale diverse concessioni si facevano a Spello:  p16 che cioè non solo all'antico nome (Hispellum nei manoscritti e nelle iscrizioni, Εἰσπέλλον in Strabone, ἼσπέλλονἼσπέλον in Tolomeo) si sostituisse l'altro di Flavia Constans (donde l'equivoco di chi immaginò un'altra Colonia sotto Vespasiano); ma che inoltre s'erigesse un suntuoso tempio a onore della gente Flavia, e il sacerdote, eletto ogni anno, potesse celebrare in detta città i ludi scenici e i combattimenti dei gladiatori, senza che si dovessero più affrontare le asprezze dei monti e la difficoltà delle strade fra i boschi per andare a Bolsena; onde Spello divenne allora come il centro religioso dell'Umbria.

La qual persistenza del culto pagano fa supporre che il cristianesimo non v'attecchisse molto presto; e gli Atti pavesi del martirio del suo primo vescovo e patrono s. Felice, che si vuole decapitato sotto Diocleziano e Massimiano, sono, a detta stessa dei Bollandisti, molto posteriori ai fatti narrati. La serie dei vescovi, in ogni modo, non è lunga; poichè la sede episcopale si abolì nel 1130, dopo che per discordie cittadine il vescovo Niccolò (III) fu precipitato da una finestra.

Decaduta intanto la città pei danni delle incursioni barbariche, fu presto unita al Ducato di Spoleto, col quale passò sotto il dominio della Chiesa. Quando si costituisse il Comune, non si può precisare; ma nel 1190, morto il Barbarossa, che pare n'avesse investito un suo vicario di Perugia, il paese sarebbe ritornato sotto l'annuo magistrato dei consoli, eletti dalle società dai collegi delle arti. Comunque,  p17 le cose non dovevano procedere troppo bene se nel 1209 un Ranuccio di Gualtiero Cacciaguerra fu mandato ambasciatore al papa e all'imperatore per riordinarne il governo, e se l'anno stesso, per sedarne le discordie, dovè recarvisi da Perugia lo stesso Ottone IV, che, convocati i maggiorenti, li esortò alla pace, assegnando il governo a quattro cittadini, che stessero in carica tre mesi ciascuno, con ampie facoltà.

Intanto nel 1240 Spello si dava a Federico II, e sei anni dopo vi si combattè presso una sanguinosa battaglia tra il legato pontificio, Raniero Capocci, e Marino d'Eboli vicario imperiale, nella quale l'esercito guelfo fu completamente disfatto. Essendosi poi ribellata all'imperatore, fu messa a ferro e a fuoco; e più tardi fu travagliata dalle guerre; nel 1293 con Assisi; nel 1298 contro il Vicario del Ducato di Spoleto; dal 1254 al 1300 contro gli Anastasi signori di Foligno. Alle quali si aggiungevano fiere lotte intestine, che la fiaccavano sempre più: non potendo perciò resistere alla potenza di Spoleto e del Vescovo di Foligno, ricorse novamente a Perugia, che nel 1354 la difese da fra Monreale d'Albaro, andatovi a porre il campo col favore d'Ugolino VIII Trinci e di suo fratello, vescovo di Foligno, che gli dettero il passo e i viveri, perchè la sottoponesse a loro; ma colui, avendola invano assediata più volte, dovè contentarsi di mettere a guasto i territori vicini. Nello stesso anno Ugolino le riconciliò il Rettore del Ducato, a cui s'era ribellata, e il figlio Trincio VII aiutò il Rettore e l'Albornoz a ritoglierla alla tirannia d'un Bartoloccio di messer Giacomo Bartolocci, capo de' ghibellini della sua patria, ucciso nel 1373.

Ma altre e più odiose servitù l'attendevano. Bonifazio IX nel 1389 ne investì, come vicario pontificio, Pandolfo Baglioni, a cui nel 94 fu ritolta da Biordo Michelotti di Perugia, e sei anni dopo cadde in potere di Gian Galeazzo Visconti, il quale, dopo due anni, ne fu cacciato da Braccio Fortebracci, capo dei nobili di Perugia; cacciata alla sua volta, cinque anni appresso, da Giovanni Pucci e dai suoi aderenti, che v'introdussero Ceccolino, fratello di Biordo e capo del popolo. Nel 1411 se ne impadronì Guido Antonio da Montefeltro, duca d'Urbino, che in breve dovette ridarla  p18 al Michelotti, spogliatone poi dal signor di Montone, a cui successe il figlio naturale Oddo. Morto il quale, Martino V ricuperò con gli altri dominî della Chiesa anche Spello, che durante lo scisma avignonese, da lui estinto, si era sottratta all'obbedienza del legato di Perugia; e nell'ottobre del 1425, per compensare Malatesta Baglioni d'aver indotto i Perugini a sottomettersi alla Chiesa, concesse a lui e a suo fratello questa terra, dal cui dominio e da quello di Cannara cominciò la grande potenza dei Baglioni; a cui fu confermato da Eugenio IV e da Sisto IV; poi ritolto per la ribellioni di Gian Paolo, e restituito da Clemente VII, che però, insospettitosi anche lui, fece imprigionare Orazio e Gentile, il quale tuttavia potè rientrare a Spello nel 1526. Tre anni dopo però, il famoso Malatesta IV, avendo accettata la condotta de'  p20 Fiorentini, ed essendo perciò caduto in disgrazia del papa, era sul punto di perdere lo Stato; e già Braccio suo parente e nemico, militante nelle file imperiali, marciava contro Spello, che era difesa da milizie fiorentine e che valorosamente lo respinse. Ma l'Orange, fatta la massa dell'esercito fra Foligno e Spello, mosse egli pure all'assedio di quest'ultima (secondo il Guicciardini ed il Varchi con 6000 fanti e molti cavalli), e fattala indarno richiedere, ordinò che la notte stessa si desse l'assalto, che fu animosamente respinto da quelli di dentro, poco più di 500 fanti e non più di venti a cavallo. Allora, per far la ricognizione del sito da piantar l'artiglieria, fu mandato il celebre capitano Giovanni d'Urbina, che, ferito gravemente da una palla d'archibugio grosso e trasportato a Foligno, in breve morì. Del che addoloratissimo il principe fece piantar subito l'artiglieria; e dopo pochi colpi ebbe la terra, che gl'imperiali, mancando alla data fede, sacchegiarono crudelmente. Così i Baglioni perdettero lo Stato, che passò sotto l'immediata soggezione della Chiesa; ma non tardarono a ricuperarlo; e nel 1535 vi dominava il tristo Rodolfo, figlio del suddetto Malatesta, che, odioso ai concittadini e minacciato dalle armi di Paolo III, uscì volontariamente dallo Stato. Perchè non potesse fortificarvisi più, il papa ordinò al Savelli che facesse smantellare le mura di Spello, di Bevagna, di Bettona, della Bastia; però il detto Rodolfo per altissime intercessioni fu poi reintegrato nelle sue terre, rimaste così alla sua famiglia fino al 1583, quando con la morte di Guido, figlio d'Astorre, finì il ramo de' Baglioni signori di Spello, che perciò, tornando direttamente sotto la Chiesa, venne a perdere ogni importanza politica.

Qui noterò di passata un Andrea da Spello, morto, secondo che scrive il Paruta, dopo aver valorosamente respinto un assalto di Turchi a Nicosia, nella guerra di Cipro; ma lasciando finalmente il fragore delle armi, sarà meglio ricordare gli uomini che si distinsero negli studi, come, a metà del sec. XIII, quel Vilichino che narrò in versi latini la leggenda d'Alessandro, e, più tardi, tra i molti altri, Francesco Mauri (1500‑71), autore d'un lungo poema latino su s. Francesco d'Assisi ("Francisciados libri XIII"), che piacque molto a Paolo Manuzio, che fu ristampato più volte e tradotto e commentato da vari. Del Mauri fu contemporaneo e, parrebbe, anche compaesano il cavaliere e conte palatino Sigismondo Filogenio Paolucci (1510‑90 c.), che compose  p21 due poemi: uno inedito, di cui non conosco alcun codice, su le "Rotte d'Africa", per celebrare la spedizione di Carlo V contro i Turchi; l'altro, pubblicato nel 1543 dallo Zoppino, in "Continuazione dell'Orlando Furioso, con la morte di Ruggero", e dedicato a don Francesco Gonzaga, a cui v'è pure indirizzata una lettera di Pietro Aretino. Noterò, per curiosità, che nel secolo XVIII uscì a Spello, dalla Tipografia Mariotti, un giornale di cui nella Casanatense di Roma si conserva una raccolta in tre o quattro volumi. E a Roma morì nel 1730 lo spellano Giuseppe Paolucci, elegante verseggiatore, che, se già a tempo del Baretti era "miseramente sprofondato in Lete", godè pure la stima e la familiarità de' più celebri letterati; esaminò il Perfetti, destinato a ricevere l'alloro in Campidoglio, e fu uno dei quattordici fondatori  p22 dell'Arcadia. Nella quale si distinse anche una sua concittadina, "la generosa Nosside", ossia Gaetana Passarini, che cantò le vittorie d'Eugenio di Savoia sui Turchi, ed è ricordata da parecchi, fra i quali il Bisso, che riporta anche un sonetto, con l'intercalare, del fratello di lei, abate Ferdinando, il più benemerito ricercatore di memorie storiche della sua patria. La quale nel 1799 fu fatta capoluogo di cantone del dipartamento del Clitunno, e nel 1829 riebbe da Leone XII il titolo di città. Seguitando a ricordare i suoi migliori cittadini, noterò più specialmente Vitale Rosi (1782‑1851), chiamato "il Socrate dell'Umbria", e avuto in pregio dal Lambruschini, dal Rosmini, dal Tommaseo, per le sue opere didattiche e pe' metodi onde diresse in patria un fiorente collegio donde uscirono, tra gli altri, il filosofo Augusto Vera e lo spellano Luigi Incoronati, assai valente architetto. Nè va dimenticato Francesco Piermarini, che per le sue produzioni musicali e per il suo Cours de chant, presentato nel 1865 al Conservatorio di Milano, ottenne l'ufficio di direttore del Collegio musicale di Madrid e di maestro dell'ex regina Isabella e di segretario della regina Cristina, della quale fu camerista la moglie Clelia, lodata da M. d'Azeglio ne' suoi "Ricordi".

Oggi Spello conta più di 5800 abitanti, dati in gran parte alla coltura delle loro ubertosissime terre. Ha diverse istituzioni di beneficenza e di previdenza; spende molto per l'istruzione e occupa un posto molto distinto tra le minori città dell'Umbria per le sue tante e importantissime opere d'arte, le quali però richiedono, anche da parte de' cittadini, più vigili cure che pel passato, più amore che al presente; giacchè il bene non dovrebbe andar disgiunto dal bello, e Menandro diceva che "il vero conforto della vita è riposto nelle arti".


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Pagina aggiornata: 23 ago 05