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Crux


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Pannello ligneo della porta Romana del 5s
della basilica di S. Sabina a Roma.

Articolo di Benjamin Jowett, M.A., Fellow of Balliol College, Oxford
Alle pp 370‑371 di

William Smith, D.C.L., LL.D.:
A Dictionary of Greek and Roman Antiquities, John Murray, Londra, 1875.

CRUX (σταυρός, σκόλοψ), uno strumento di pena capitale usato da diversi popoli antichi, e specialmente dai Romani e dai Cartaginesi. Le parole σταυρόωσκολοπίζω sono anche usate per le pene dei Persiani e degli Egizi, ma Casaubon (Exer. Antibaron., XVI, 77) mette in dubbio che queste si riferissero al metodo di crocifissione dei Romani. Da Seneca (Cons. ad Marc. XX, Epist. XIV, 1) sappiamo che quest'ultimo poteva essere di due generi, il meno usuale era più un'impalatura che ciò che noi descriveremmo con la parola crocifissione, poiché il criminale era trafitto da un palo, il quale passava attraverso il fondoschiena e la spina dorsale e usciva dalla bocca. La croce era di diversi tipi; una a forma di una X, chiamata crux Andreana, perché la tradizione ci dice che Sant'Andrea sia stato martirizzato su di essa; un'altra era a forma di T, come sappiamo da Luciano (Judic. Vocal., XII), che ne fa motivo di un'accusa contro la lettera.

Il terzo tipo, il più comune, era fatto da due pezzi di legno incrociati, così da formare quattro angoli retti. Fu su questa che il nostro Redentore patì, secondo l'unanime testimonianza dei padri, che tentarono di confermarlo con le stesse scritture (Lips. De Cruce, I, 9). La pena, come è ben noto, veniva principalmente inflitta agli schiavi e al peggior genere di malfattori (Iuv. VI, 219; Hor. Sat. I, 3, 82). Il procedimento era il seguente:— Il criminale, dopo che era stata pronunciata la sentenza, portava la sua croce sul posto dell'esecuzione, costume menzionato da Plutarco (De Tard. Dei Vind. ἕκαστος τῶν κακούργων ἐκφέρει τὸν αὐτοῦ σταυρόν), e da Artemidoro (Oneir. II, 61), così come nei Vangeli. Da Livio (XXXIII, 36) e Valerio Massimo (I, 7), appare che la flagellazione costituiva una parte di questa pena, come delle altre pene capitali fra i Romani. La flagellazione del Signore, comunque, non deve essere vista sotto questa luce, poiché, come hanno osservato Grotius e Hammond, essa fu inflitta prima che la sentenza fosse pronunciata (San Luca, XXIII, 16; San Giovanni, XIX, 1, 6). Il criminale veniva in seguito spogliato delle sue vesti e inchiodato o legato alla croce. L'ultimo metodo era il più doloroso, poiché la vittima veniva lasciata morire di fame. Sono ricordati casi di persone che sono sopravvissute nove giorni. Si era soliti lasciare il corpo sulla croce dopo la morte. Spezzare le gambe dei ladroni, come menzionato nei Vangeli, fu una procedura accidentale;​a venne fatto perché, secondo la legge ebraica, ed è espressamente sottolineato, i corpi non potevano rimanere sulla croce durante il giorno del Sabato. (Lipsius, De Cruce; Casaubon, Exer. Antibaron. XVI, 77.)


Nota di Thayer:

accidentale: qui c'è un uso piuttosto tecnico di questa parola. Il nostro autore non vuole dire che le gambe dei condannati non furono spezzate di proposito; piuttosto che questa non era la normale procedura: si fece così a causa di circostanze insolite, che più tardi l'autore spiegherà.


Si veda l'articolo dello Smith's Furca.


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